Antologia Premio Nazionale di Arte letteraria Metropoli di Torino - XVII Edizione - Anno 2020

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Per me quel giorno era accaduto soltanto che avevo camminato per ore sotto il sole; avevo letto alcune poesie a degli sconosciuti e ora stentavo a prendere sonno. Questo soltanto era accaduto per me in quella giornata. E domani sapevo già che avrei ripreso la strada di casa, camminando per ore sotto il sole cocente per tornare alla mia solitudine. È mattina. I tralci della vite fanno ombra. Sul tavolo in giardino sono posati pane, formaggio, olive. Il mio amico, vedendomi apparire dalla porta, sorride, mi saluta. Mi abbraccia. Poi, seduti l'uno di fronte all'altro, iniziamo a mangiare. Sento uno scalpiccio alle mie spalle. La ghiaia stride per i passi di qualcuno. Mi volto. Un individuo con una tunica bianca è entrato dal cancello. Il mio amico va incontro al nuovo arrivato e prende a parlare con lui sottovoce. La visita non è inaspettata. Poi il mio amico, tornando al tavolo, mi spiega che deve accompagnare questa persona a svolgere un compito urgente. Aggiunge che posso restare a casa sua quanto voglio. Di fronte alla mia faccia interdetta, dice: «Se vuoi, vieni anche tu. Puoi accompagnarci». "Non ho fretta di tornare a casa – penso - nessuno mi aspetta". Con la fronte e la schiena bagnate di sudore sotto un sole già caldo, cammino per le vie anguste di questa città. Le poche persone che s'incontrano sembrano appiattirsi sui muri quasi in un gesto di ritrosia, di timore. Affianco il mio amico. Gli chiedo dove stiamo andando, quale sia il compito così urgente da svolgere. «Bisogna aiutare una persona - mi risponde - una persona che ha aiutato tanti nella sua vita, ma di cui ora nessuno sembra più ricordarsi». Poi, quasi a troncare la conversazione, si mette a camminare più veloce. Allungo il passo per riuscire a restargli alle spalle. Sotto il sole rovente la strada s'inerpica. Il selciato è sconnesso. La salita diventa sempre più aspra. Sembra quasi una corsa quella che stiamo facendo; e forse è proprio una corsa contro il tempo, contro il destino. Le persone che incrociamo si ritraggono al nostro passaggio, con un atteggiamento quasi di timore. La strada è una strada impastata di pietre e di polvere. Allungo il passo; affianco l'uomo arrivato quella mattina. Gli chiedo quale sia il compito che dobbiamo svolgere, perché corriamo in quella maniera, che ragione ci spinga ad affrontare la salita così di furia. «È meglio parlare più tardi» replica; e prende a camminare ancora più in fretta, lasciandomi subito indietro con le mie domande. Sembra che gli altri non mi prestino appositamente attenzione. Gli occhi sono abbacinati dal sole. La polvere impasta la lingua, il palato. Non so quale sia la mèta di questo cammino. Ogni spiegazione è inutile, ogni domanda insensata. Con affanno, a fatica, riesco a star dietro a stento ai due che ho deciso di seguire oggi. Man mano che la strada s'inerpica, loro camminano ancora più velocemente quasi sentissero sempre più pressante l'urgenza di svolgere il compito che si sono ripromessi. Con affanno, a fatica, mi sembra di avvicinarmi a qualcosa che cambierà la mia vita.

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