Tesi di Laurea in Scienze dell'educazione e della formazione l Unifi l Gioia Grandi

Scuola di Studi Umanistici e della Formazione Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione e della Formazione Curriculum in Educatore per l’inclusione della disabilità e del disagio giovanile

ESSERE FIGLI DI GENITORI SEPARATI. UNA “LINEA CHAT” PER IL SOSTEGNO AD ADOLESCENTI CON GENITORI DIFFICILI: L’ESPERIENZA GENGLE

Relatore

Prof.ssa Maria Rita Mancaniello Candidato

Gioia Grandi

Anno Accademico 2019/2020

A mia mamma, La donna che mi ha trasmesso l’amore per la libertà e per la vita

ESSERE FIGLI DI GENITORI SEPARATI. UNA “LINEA CHAT” PER IL SOSTEGNO AD ADOLESCENTI CON GENITORI DIFFICILI: L’ESPERIENZA GENGLE

INDICE

Introduzione

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Capitolo Primo : Gli adolescenti nella separazione dei genitori 1.1 Adolescenza: un periodo di crisi 1.2 Il panorama della separazione 1.3 L’importanza di un genitore presente 1.4 Rischi in adolescenza

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Capitolo Secondo : Il movimento GenGle: le attività per i figli di genitori single 2.1 Nuove forme di comunicazione tra gli adolescenti di oggi 2.2 L’efficacia del Auto-Mutuo-Aiuto in rete 2.3 Adolescenti e social media, la chat come mezzo di comunicazione 2.4 Attività proposte da GenGle per e con i figli

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Capitolo Terzo : Analisi del servizio “Whatsapp di supporto ai teenagers!”

3.1 Supporto di un’équipe di specialisti 3.2 Accoglienza emotiva e ascolto attivo 3.3 Limiti e problemi del servizio 3.4 Proposte per il futuro

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Conclusione

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Appendice : Interviste ai professionisti di GenGle Intervista alla Direttrice Giuditta Pasotto Intervista al Dottor Andrea Santi

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Riferimenti bibliografici Riferimenti sitografici

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Ringraziamenti

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INTRODUZIONE La volontà di affrontare il tema della separazione dal punto di vista dei figli adolescenti nasce dalla convinzione che ad oggi siano tanti i ragazzi che vivono in famiglie monogenitoriali, senza però trovare nessuno con cui parlare o confrontarsi.

Anch’io sono figlia di genitori separati e ho vissuto gran parte della vita con mia madre. Sono stati tanti i momenti in cui avrei voluto raccontare a qualcuno delle mie sofferenze o delle mie insicurezze, fortunatamente mi sono sempre circondata di amici che hanno saputo ascoltarmi e sostenermi, e soprattutto i miei nonni, con i quali sono cresciuta, sono sempre stati in grado di capirmi, riempiendo quei vuoti affettivi che i miei genitori, in quei momenti, non potevano e non sapevano colmare. Io sono stata fortunata, perché grazie a queste persone e ai tanti momenti di autoriflessione e autoanalisi sono stata capace di elaborare e trasformare la rabbia ed il rancore in sentimenti positivi che hanno guidato le mie scelte e i miei comportamenti. È stato un percorso lungo e burrascoso, che però mi ha portata a riflettere sul perché delle cose e soprattutto mi ha ridato la sicurezza e la consapevolezza di cui avevo bisogno. Quando la Prof.ssa Maria Rita Mancaniello mi ha parlato di GenGle e della sua mission, ho capito che era il tema giusto per me e spero, in questo lavoro di tesi, di essere stata all’altezza del compito assegnatomi.

Il seguente progetto di tesi è stato sviluppato attraverso un’analisi dettagliata delle caratteristiche, dei valori e dello “stile” GenGle, e sulla base di una rassegna in letteratura in tema di separazione e adolescenza. Le metodologie utilizzate per questo studio sono state le seguenti: l’intervista a Giuditta Pasotto, fondatrice e direttrice di GenGle, l’intervista ad Andrea Santi, responsabile del servizio “Whatsapp di supporto ai Teenagers!”, l’analisi della struttura del portale Internet GenGle e di tutte le sue risorse, la consultazione del volume “Essere GenGle. Guida pratica a GenGle e alla sua struttura” e della “Rivista Italiana di Educazione Familiare”, in particolare dell’articolo scritto da Mancaniello M.R. “La realtà dei genitori separati e il supporto emotivo e relazionale nella separazione: il movimento dei GENitori sinGLE (GenGle) come gruppo di mutuo-auto-aiuto online. Uno sguardo pedagogico-sociale”. Ci tengo comunque a sottolineare che il lavoro di scrittura di questo progetto di tesi è stato un “viaggio” che mi ha permesso di misurarmi con diverse realtà e personalità. In questi

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mesi mi sono confrontata con tanti genitori single e soprattutto con tanti figli di genitori separati, per ascoltare le loro storie, capire il loro punto di vista, conoscere le difficoltà che hanno incontrato nel loro percorso e comprendere come sono riusciti a superarle. Mi sento di dire che abbraccio totalmente la filosofia GenGle e sono molto onorata di aver potuto scrivere delle loro iniziative e dei loro progetti.

Questo lavoro di tesi è stato suddiviso in tre capitoli dove, nel primo viene analizzata la fase di sviluppo adolescenziale, presentando il panorama della separazione e l’importanza che ha, per il figlio che vive in questa circostanza, la presenza di una figura genitoriale attenta e comprensiva; nel secondo capitolo viene introdotto il movimento GenGle con le sue attività e i suoi progetti, spiegando il motivo della scelta di lavorare in due modalità: online e offline; nel terzo e ultimo capitolo viene fatta un’analisi approfondita del servizio rivolto ai giovani adolescenti figli di genitori single, in particolare della linea chat gestita da Andrea Santi.

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CAPITOLO PRIMO Gli adolescenti nella separazione dei genitori “Attraversa il tuo dolore, arrivaci fino in fondo Anche se sarà pesante come sollevare il mondo E ti accorgerai che il tunnel è soltanto un ponte E ti basta solo un passo per andare oltre” Simone Cristicchi, Abbi cura di me

1.1 Adolescenza: un periodo di crisi L'adolescenza è quel tratto dell'età evolutiva caratterizzato dalla transizione dallo stato infantile a quello dell'individuo adulto. Questa è la fase della vita caratterizzata dai maggiori cambiamenti fisici, che derivano principalmente dallo sviluppo puberale e che creano le condizioni per il processo di definizione del Sé e il compimento del processo di separazione-individuazione verso l’autonomia del soggetto. Nel periodo di età compresa tra i dodici e i diciotto anni, l’adolescente si trova a dover gestire la trasformazione del proprio corpo, delle proprie relazioni e del proprio mondo interno. Tutto ciò che aveva precedentemente costruito cambia, una vera e propria metamorfosi, dopo la quale niente è più come prima.1 È difficile dare a questa fase della vita limiti fissi, proprio perché è una continua evoluzione che presenta al suo interno differenti momenti di trasformazione fisica e psicologico-emozionale. L’adolescenza non deve essere confusa né con la pubertà (dato biologico), né con il dato cronologico costituito dall’età 12-18 anni. Risulta sicuramente molto più corretto analizzarla invece come una fase di transizione, valutando i problemi che il soggetto è tenuto ad affrontare, con tutti i rischi che comportano, e i bisogni a cui il soggetto, anche attraverso l’aiuto degli adulti, deve rispondere.

La metamorfosi che avviene con la pubertà è così improvvisa e ricca di novità che può far percepire il proprio corpo come estraneo. La trasformazione in atto porta ad un senso di perdita ed è così profonda da poter essere considerata una “fase di lutto”. Possiamo

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Mancaniello, M.R., Per una pedagogia dell'adolescenza. Società complessa e paesaggi della metamorfosi identitaria, Lecce, PensaMultiMedia, 2018, p. 49.

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infatti individuare tre processi luttuosi simbolici, caratterizzati dal distacco dalle precedenti sicurezze per andare verso la ricostruzione di una propria identità. Il primo distacco è il “lutto per la morte della famiglia”, per il quale viene a crollare la visione di onnipotenza e ipervalutazione dei genitori, tipica dell’infanzia, e diventa necessario spezzare il legame con essi. Il secondo lutto simbolico è caratterizzato dalla trasformazione corporea che si impone all’adolescente in modo incontrollabile: il “lutto della propria dimensione infantile”, di quel corpo che sta lasciando il posto ad un nuovo aspetto che non ha niente di rassicurante familiarità. Il terzo e ultimo aspetto di cambiamento che possiamo considerare è la comparsa della sessualità, la quale si presenta carica di tensioni e nuove responsabilità. Il soggetto, in questo caso, vive una condizione di spostamento del rapporto con gli adulti, con i quali il nuovo corpo entra in conflitto.2 Questi tre lutti simbolici vengono elaborati lentamente e spesso il processo richiede diversi anni, ma il loro superamento è fondamentale per permettere al ragazzo l’accettazione del proprio corpo in mutazione, l’acquisizione di un’identità personale, il consolidamento di un’identità sessuale e di genere, lo sviluppo di un’identità sociale che gli permetterà di creare relazioni con i coetanei e la formazione di sistemi motivazionali, valoriali e di progettualità futura.

Nel corso dell’adolescenza ogni individuo è impegnato nella ricerca della propria identità. La teoria di Erickson sullo sviluppo psicosociale copre l’intero arco di vita e in essa ogni stadio è caratterizzato da una crisi, che l’individuo deve risolvere.

L’adolescenza è stata descritta come lo stadio dello sviluppo di identità in opposizione alla dispersione. Fino a questo punto lo sviluppo psicologico è stato influenzato dall’ambiente in cui l’individuo è cresciuto, nonché dalle cure genitoriali e dall’istruzione ricevuta. Nello stadio di identità in opposizione alla dispersione, invece, questi aspetti dello sviluppo cognitivo e del cambiamento dipendono dall’adolescente. La formazione di un’identità è vitale perché il giovane conosca se stesso, ciò che reputa importante e ciò che vuole dalla vita. Erickson sottolinea però, che per riuscire a sviluppare un forte senso di identità, è necessario completare tutti i precedenti stadi dello sviluppo sociale ed emotivo. Senza aver sviluppato, per esempio, un forte senso di fiducia, è inverosimile trovare idee in cui possiamo credere; se abbiamo scarsa autonomia, saremo difficilmente

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Ivi, p. 54.

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in grado di capire chi siamo e a che cosa dare importanza. L’adolescente che attraversa lo stadio di identità vive un vero e proprio periodo di confusione identitaria, che gli impone di compiere scelte in modo attivo, selezionando le proprie possibilità di vita. È un processo di sperimentazione in costante evoluzione, che continua sino all’età adulta. 3 A questo punto possiamo distinguere, all’interno del percorso di ricerca dell’identità, due differenti forme di identificazione: l’identità personale e l’idea di sé. La prima si forma sin dai primi anni di vita e corrisponde alla unicità di ognuno: le caratteristiche personali, gli attributi corporei, gli interessi, le capacità fisiche e mentali, in poche parole ciò che si è. La seconda, invece, riguarda ciò che si pensa o si sente di essere. L’adolescente si trova a dover gestire questa costruzione della propria identità dovendo fare i conti anche con tutta una serie di novità delle quali deve prendere consapevolezza, provando ad elaborare un proprio progetto di vita. 4 La crisi adolescenziale, per come è stata definita e descritta negli studi relativi alla psicologia dello sviluppo, riguarda principalmente la sfera percettiva, affettiva e cognitiva da cui è influenzata l’organizzazione e la strutturazione dell’identità individuale, tanto che operando una sostanziale semplificazione concettuale si tende a dire che l’adolescente attraversa una crisi di identità. Questa nozione ha posto al centro dell’analisi scientifica la questione della definizione dell’io e del sé, nel processo evolutivo di un individuo, che proprio in adolescenza sarebbero esposti a una riconfigurazione così profonda da mettere a repentaglio l’equilibrio psichico complessivo del soggetto.5 Lungo tutto il corso dell’adolescenza molti ragazzi, chiamati a superare le crisi date dai vari cambiamenti che si manifestano, vivono momenti in cui sono ipersensibili e facilmente irritabili. In questi periodi, possono diventare furiosi come se tutto il mondo congiurasse contro di loro, mentre un attimo dopo possono ridere a crepapelle. In altre parole le emozioni sembrano completamente impazzite. 6 Risulta complicato in questi casi comunicare con loro o provare a capire il loro stato d’animo, in quanto il più delle volte si chiudono in sé stessi e tendono ad isolarsi. Molto spesso gli adolescenti sentono che il

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Gillibrand, R., Lam, V., O'Donnell, V. L., Tallandini, M. A., Psicologia dello sviluppo, Milano, Pearson, 2013, p. 364.

4 Mancaniello, M.R., Per una pedagogia dell'adolescenza. Società complessa e paesaggi della metamorfosi identitaria, Lecce, PensaMultiMedia, 2018, pp. 61-63.

5 Barone, P., Pedagogia dell'adolescenza, Milano, Guerini & Associati, 2009, p. 87.

6 Crone, E., Nella testa degli Adolescenti, Milano, Apogeo, 2012, p. 73.

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loro dolore non può essere compreso dagli adulti e per questo tentano di risolvere i loro conflitti interni in autonomia o con l’aiuto dei pari.

Una tecnica di narrazione spesso utilizzata dagli adolescenti, per lo più dalle ragazze, è la scrittura di sé sui diari personali. Diari che spesso vengono nascosti o chiusi con un lucchetto, proprio per impedirne la lettura a genitori o familiari. Bruner sostiene che senza raccontarsi non si può dare forma a quel vissuto carico di fatti e di emozioni, è proprio attraverso il pensiero narrativo che gli esseri umani organizzano e gestiscono la loro conoscenza del mondo e strutturano l’esperienza. La scrittura di sé diventa quindi un dispositivo educativo molto forte, un modo di canalizzare quel nuovo e percorrerlo, per conoscerlo e comprenderlo, dargli un senso e delle parole, un modo per scoprire il proprio mondo interiore.7 Attraverso la scrittura di sé e la riflessione interiore, l’adolescente riesce a percepirsi come soggetto unico, scoprendo così ciò che caratterizza la sua unicità e lo differenzia dal resto del mondo. 8 L’autobiografia, riprendendo il pensiero di Foucault, è l’espressione massima della cura che il soggetto pone a sé stesso e all’atto di prendersi cura. L’autobiografia è insieme diagnosi, terapia e farmaco, è un esercizio spirituale, che si colloca nel percorso interiore del de-costruirsi per ricostruirsi come persona. Abituare il soggetto ad ascoltarsi e ad entrare nel dialogo, sono elementi chiave di emancipazione e trasformazione umana. 9 L’utilizzo di questo dispositivo di autoanalisi è importante per tutti gli esseri umani, di qualsiasi età, ma per gli adolescenti diventa fondamentale per prendere coscienza del proprio essere, della propria esistenza e delle proprie memorie, con lo scopo di guardare al futuro con occhi consapevoli, per poter creare un progetto di vita in linea con i propri gusti, la propria identità e le proprie capacità. Franco Cambi definisce il Postmoderno come l’epoca del “disincanto”, carica di incertezza e precarietà, circoscritta nella complessità e nella rapidità del cambiamento. Oggi, più che mai, ci viene chiesto di diventare persone consapevoli, con capacità di autoanalisi e autocorrezione, in grado di gestire la molteplicità del proprio Io. Bauman sostiene che viviamo in una “società liquida”, utilizza questa metafora per descrivere l’angoscia dell’uomo postmoderno che vive in un mondo in continuo mutamento, è proprio per questo che si sottolinea l’importanza di sviluppare negli esseri umani, a partire dall’adolescenza,

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Cambi, F., Abitare il disincanto. Una pedagogia per il postmoderno, Torino, Utet, 2006, p. 63.

Biagioli, R., I significati pedagogici della scrittura e del racconto di sé, Napoli, Liguori, 2015, pp. 11-17.

9 Cambi, F., Abitare il disincanto. Una pedagogia per il postmoderno, Torino, Utet, 2006, pp. 58-69.

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un’identità con basi solide, una conoscenza di sé che permetta di muoversi con agilità in uno scenario permeato dalla complessità e dall’insicurezza.

Analizzare le caratteristiche della società e della cultura all’interno delle quali crescono e si sviluppano gli adolescenti è fondamentale, perché influenzano fortemente il processo di identificazione e, più in generale, di crescita dell’individuo.

1.2 Il panorama della separazione Il divorzio venne introdotto a livello legale in Italia il 1º dicembre 1970, ma nonostante siano passati cinquant’anni, sono ancora molti i problemi che girano attorno a questo tema. Il divorzio consensuale, basato cioè sulla richiesta concorde dei coniugi, non è ammesso nel nostro ordinamento in assenza di una pregressa separazione legale protrattasi per il tempo stabilito dalla legge 10, che costituisce il caso prevalente di divorzio. La separazione legale, invece, è il provvedimento con cui il giudice autorizza i coniugi a vivere separati e stabilisce le condizioni per l'affidamento dei figli minori, l'assegnazione della casa familiare e l’eventuale pagamento di un assegno di mantenimento da parte di un coniuge in favore dell'altro e dei figli. Esistono due tipi di separazione legale, quella consensuale, in cui i coniugi sono d'accordo su come regolare i loro rapporti e chiedono che il Tribunale prenda atto della loro volontà, e quella giudiziale, in cui invece questo accordo non c’è ed è il Tribunale che decide, dopo gli opportuni accertamenti, le condizioni della separazione.11 Nel momento storico attuale, dove l’incremento di separazioni e divorzi riflette uno scenario frammentato della famiglia, si osserva che nella maggior parte dei casi la rottura coniugale non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza per la ricerca di un nuovo equilibrio in cui ancora rabbia, aggressività, frustrazione e senso di colpa circolano nel contesto relazionale con possibili conseguenze negative sui figli. La frattura del divorzio può rappresentare un ostacolo nella transizione alla vita adulta e può minare la

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Sei mesi nel caso di separazione consensuale e un anno nel caso di separazione giudiziale.

Regione Emilia-Romagna, Informa Famiglie e Bambini, Separazione e divorzio, in https://www.informafamiglie.it/le-famiglie/separazione-e-divorzio, consultato il 28 dicembre 2020 alle ore 14:40.

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costruzione di legami stabili. In letteratura emerge però che non è la separazione in sé il vero rischio per i figli, bensì l’esposizione al prolungato ed elevato conflitto genitoriale.

Dopo una separazione è frequente che i figli mostrino cambiamenti nel quadro comportamentale, come l’aumento di aggressività e difficoltà a relazionarsi, ma anche in quello emozionale, provando forti emozioni come tristezza, rabbia, paura e vergogna. In generale, i figli che vivono separazioni altamente conflittuali hanno una maggiore incidenza di difficoltà psicologiche, sociali e scolastiche. Durante il periodo adolescenziale, se la struttura della famiglia viene meno, le normali spinte legate allo sviluppo possono subire una repentina accelerazione. Questa sovrapposizione tra compiti evolutivi e mutamenti nell’assetto familiare porta l’adolescente a non trovare più funzioni adulte che lo aiutino a trattare gli stati emotivi e i conflitti. A questa età gli adolescenti possono essere chiamati a fare i giudici dei loro genitori, a fare da mediatori, venendo investiti di un ruolo eccessivo che inibisce il normale processo di individuazione. 12 In base ai dati Istat, nel biennio 2015-2016, si stima che in Italia, in media, i nuclei familiari monogenitoriali in cui è presente almeno un figlio minore siano pari a 1.034.000, il 15,8% del totale dei nuclei con figli minori. Si tratta di un fenomeno in persistente crescita se si considera che nel 1983 erano 468.000 (soltanto il 5,5% del totale).13 I single non vedovi sono soprattutto uomini (55,3%), mentre i monogenitori sono in gran parte donne (86,1%). Le nuove forme familiari sono cresciute per l’aumento di separazioni e divorzi.14 Il fenomeno della monogenitorialità però non è nuovo come si potrebbe pensare, infatti le cause che possono portare un uomo o una donna a diventare genitori single sono molteplici e non esclusivamente legate a separazione e divorzio. Negli anni Settanta, quando la pratica del divorzio era meno utilizzata, la monogenitorialità era dovuta nella maggior parte dei casi al decesso di uno dei due genitori, mentre il divorzio rappresentava solo il 6% delle occorrenze. La monogenitorialità è quindi un fenomeno che è sempre esistito, per varie ragioni, ma l’elevata percentuale di separazioni lo rende

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Cornale, A., Separazione: cosa provano e come si comportano i figli, GenGleMag, https://genglemag.com/figli/separazione-cosa-provano-i-figli/, consultato il 28 dicembre 2020 alle ore 14:00.

13 Guilmaine, C., Genitori al singolare. Vincere la sfida quotidiana della monogenitorialità, Trento, Erickson, 2019, p. 27.

14 Istat, Come cambiano le forme familiari, https://www.istat.it/it/archivio/38613, consultato il 28 dicembre alle ore 20:00.

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oggi molto meno marginale. 15 Tuttavia, uno degli errori più comuni in questi casi è proprio quello di sottovalutare l’impegno del genitore single, al quale è richiesto un contributo maggiore per provvedere ai bisogni della crescita dei figli, sia dal punto di vista emotivo, che economico. Da non sottovalutare, inoltre, è anche la condizione del figlio che vive la separazione dei genitori o la morte di uno dei due. Oltre al dolore provato in entrambi i casi, nella prima condizione di separazione spesso egli si trova a dover affrontare le situazioni conflittuali tra i genitori e a definire il suo rapporto con loro.

Queste dinamiche lo portano sicuramente ad una crescita rapida e precoce, una condizione che, se vissuta nella fase dell’adolescenza, va ad incrementare quella situazione di crisi che già di per sé sconvolge i ragazzi. In questo caso il soggetto si trova quindi a combattere metaforicamente nello stesso tempo due battaglie: quella con se stesso e quella con i genitori, che in situazioni come questa tendono a concentrarsi maggiormente sul procedimento legale e sulle difficoltà economiche, piuttosto che sulle richieste e i bisogni dei figli.

Come accennato precedentemente, nella maggioranza dei casi di divorzio o separazione, è alla madre che viene affidata la cura del figlio o dei figli, ma non sempre il contributo economico del padre previsto dal Tribunale è sufficiente per provvedere al loro mantenimento e al soddisfacimento di tutti i loro bisogni. Secondo i dati Istat, la condizione economica delle madri sole è critica: quelle in povertà assoluta sono l’11,8% del totale, a rischio di povertà o esclusione sociale sono il 42,1% e nel Mezzogiorno arrivano al 58%. Inoltre, più della metà delle madri sole non può sostenere una spesa imprevista di 800 euro e neanche una settimana di vacanza. Quasi una su 5 è in ritardo nel pagamento delle bollette, dell’affitto e del mutuo. E altrettante non possono riscaldare adeguatamente l’abitazione. 16 È evidente che tutti questi disagi vanno a peggiorare una situazione che già di per sé sarebbe molto difficile e delicata. Le difficoltà che si presentano ai genitori single e ai loro figli fanno si che il panorama della separazione sia visto con molta preoccupazione. Non sono pochi infatti i casi in cui questa fase della vita provochi problemi di natura psicologica come ansia e/o depressione negli attori coinvolti

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Guilmaine, C., Genitori al singolare. Vincere la sfida quotidiana della monogenitorialità, Trento, Erickson, 2019, p. 29.

16 Istat, Madri sole con figli minori, https://www.istat.it/it/archivio/212522, consultato il 28 dicembre 2020 alle ore 20:30.

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(genitori, figli e, a volte, anche nella famiglia in senso più ampio). È fondamentale quindi essere consapevoli del peso emotivo di questo passaggio e prevenire situazioni di profondo disagio avvalendosi anche, se serve, del supporto di specialisti. Sarebbe importante per esempio mantenere un dialogo aperto con i propri figli, soprattutto se più grandi e in grado di “capire” la situazione, senza cercare di nascondergli ciò che sta per accadere, perché questo cambierà la loro vita e essere parte attiva di questo processo è un loro diritto. Ovviamente sempre tutelando il loro stato di benessere, cercando quindi di migliorare la loro condizione di rabbia e turbamento, e non di peggiorarla. Anche l’AutoMutuo-Aiuto può essere considerato un metodo per superare situazioni di disagio, esso si basa sull’azione partecipata delle persone che, a partire da un problema, si aiutano portando ognuna la propria storia e le proprie conoscenze e competenze. Il fulcro di questa metodologia è il gruppo, che permette al soggetto di riconoscere e sperimentare capacità personali altrimenti inespresse. 17 Nei casi più difficili, invece, potrebbe nascere il bisogno di richiedere il supporto di uno specialista, ad esempio definendo un percorso con lo psicologico. Non sempre è necessario investire risorse economiche importanti per rispondere a questo bisogno, i ragazzi potrebbero ad esempio rivolgersi allo psicologo della scuola, che è a loro disposizione gratuitamente, oppure ad un professionista del consultorio, che è per mestiere tenuto alla massima discrezione. 18

1.3 L’importanza di un genitore presente L’adolescenza di un membro della famiglia mette alla prova le capacità dell’intera organizzazione familiare di adattarsi, mutando, spesso repentinamente, le forme di relazione. È importante riconoscere che non soltanto i ragazzi, ma anche i genitori hanno spesso atteggiamenti ambivalenti. Infatti, se da un lato essi desiderano che i figli siano indipendenti e responsabili, dall’altro temono gli effetti di questa indipendenza. I genitori hanno bisogno di tempo per “rassegnarsi” all’idea che il loro figlio non è più bambino e,

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Mancaniello, M.R., La realtà dei genitori separati e il supporto emotivo e relazionale nella separazione: il movimento dei GENitori sinGLE (GenGle) come gruppo di mutuo-auto-aiuto online. Uno sguardo pedagogico-sociale, in “Rivista Italiana di Educazione Familiare”, 1, 2019, p. 53.

18 Bernardi, M., Adolescenza. Una guida per i genitori di oggi, Milano, Fabbri Editori, 1999, p. 146.

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superando le vecchie abitudini e modalità di relazione consolidate, trovare nuovi modi di relazione e un nuovo tipo di organizzazione familiare. L’atteggiamento dei genitori, in effetti, dovrebbe prevedere da un lato una chiara accettazione del figlio, e il vivo, genuino, costante interesse per come egli è e per tutto quello che fa o gli accade; dall’altro un atteggiamento in cui una lieve dominanza e una lieve sottomissione si alternano con, tuttavia, una prevalenza della prima. È evidente che per quanto riguarda l’adolescenza occorre un maggiore equilibrio tra “sottomissione” e “lieve dominanza”, intendendo per sottomissione essenzialmente un atteggiamento di ascolto e per dominanza una funzione di guida fondata sul prestigio e sull’autorevolezza che il genitore si deve conquistare sul campo, con il proprio comportamento. Tutti i genitori dovrebbero abituarsi all’idea di non essere onnipotenti e di non poter risolvere i problemi e i conflitti dei ragazzi, all’idea dei tempi lunghi, di non avere esiti immediati. Bisogna quindi imparare a rispettare i tempi dei figli e attendere. Ascolto ed empatia sono le parole chiave per accompagnare i ragazzi: occorre criticarli apertamente, quando non si è d’accordo con i loro comportamenti, ma mai far mancare loro comprensione e vicinanza. 19 Per l’adolescente la famiglia costituisce quasi sempre un problema. Anche la migliore, la più aperta, la più comprensiva. Si potrebbe dire che, in certi casi, il desiderio più forte di un ragazzo sia quello di liberarsi della famiglia. Forse non del tutto e non definitivamente, ma in qualche modo sì, praticamente sempre e per tutti. Si deve riconoscere che la realtà della famiglia contemporanea si discosta non poco dall’immagine che ci è stata trasmessa dalla tradizione. Ormai i gruppi familiari hanno ben poco in comune con quelli di alcuni decenni fa e praticamente nulla con quelli del secolo scorso. Cambiando i costumi e la cultura, anche la famiglia è cambiata, infatti i ragazzi di oggi tardano di più nell’abbandonarla. Sono probabilmente ben pochi i figli adolescenti che se ne vanno veramente di casa in cerca di avventura, che lasciano il tetto natio per vagare nel mondo e che rinunciano al legame con i genitori. Il modello dato da padri e madri, il loro “buon esempio”, pare davvero determinante per l’evoluzione dei ragazzi e, durante la loro crescita, continua a costituire una risorsa di incalcolabile valore per la costruzione del loro futuro. Quando le figure dei genitori, come guida e riferimento, vengono meno, la loro mancanza può spingere il figlio a una dissennata ricerca di

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Catarsi, E., Pedagogia della famiglia, Roma, Carocci, 2008, pp. 155-158.

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sostituti. Mentre, al contrario, genitori validi, coraggiosi e affettuosi, stanno alla base di un legame solido e stabile. In generale, si può dire che la famiglia sia per i ragazzi fonte di sicurezza e di consolidamento della personalità, una piattaforma permanente su cui costruire se stessi.

Sicuramente sono irrinunciabili due qualità nei genitori, la prima riguarda una costante comprensione, il costante sforzo di capire chi è questo imprevedibile figlio, che fino a poco prima vestiva i panni di tenero bambino; la seconda è il rispetto per la libertà del ragazzo, soprattutto la libertà di fare nuove esperienze e quindi di assumersi nuove responsabilità. Se volessimo dare una definizione di famiglia e quindi del ruolo che dovrebbero impegnarsi a rivestire i genitori, potremmo affermare che essa è un nucleo affettivo, un centro intorno al quale si dovrebbero raccogliere affetti profondi e sinceri. È importante quindi che i genitori cerchino di capire i bisogni, i desideri, la personalità, i turbamenti, le delusioni e gli entusiasmi dei propri figli, provando a conoscere come sono veramente e non come essi vorrebbero che fossero. Questa non è certamente un’operazione facile, dato che quasi per istinto ogni genitore è portato a stampare nel figlio una copia di se stesso, ma una simile apertura verso il ragazzo, nutrita di tolleranza e di affetto, una simile partecipazione alle sue personali avventure, consente ai genitori di dare al figlio un vero punto d’appoggio, mantenendo quella “serena fermezza” che non aggredisce. Una palese e autentica partecipazione dei genitori a un qualunque discorso è preziosa per il figlio. Vorrei sottolineare la parola “qualunque”, perché il genitore non dovrebbe avere timore, anzi al contrario dovrebbe affrontare tranquillamente qualsiasi argomento che il figlio gli propone, anche quelli più difficili o drammatici. È questo che serve ad un adolescente: un modello, un esempio convincente, un binario da seguire con fiducia. E questo lo possono dare solo i genitori comprensivi, affettuosi e ragionevoli.20 Secondo alcuni ricercatori il rapporto più frequente e più sincero sarebbe quello con la madre. Sembra che soltanto un terzo dei ragazzi, nella popolazione italiana studiata, parli col padre, piuttosto che con la madre, degli argomenti che riguardano la loro vita personale. E questo vale sia per i maschi che per le femmine. Secondo qualche ricercatore inglese, invece, sarebbero più i maschi che le femmine a prediligere la figura materna.

Ad ogni modo, tutti ritengono che la madre rappresenti per i figli il punto centrale del

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Bernardi, M., Adolescenza. Una guida per i genitori di oggi, Milano, Fabbri Editori, 1999, pp. 82-92.

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tessuto familiare, almeno dal punto di vista affettivo. 21 Anche John Bowbly, pioniere della teoria dell’attaccamento, afferma che nella maggior parte dei casi è la madre che si identifica come “caregiver”, ovvero quella figura che è in grado di dare attenzioni e cura ai figli, riuscendo a capire e comprendere le loro esigenze attraverso interazioni positive, creando in loro una “base sicura” di attaccamento. Un attaccamento sano nei primi anni di vita fornisce al bambino una base sicura per imparare a conoscere se stesso e gli altri.

Alcuni pensano che i dati ottenuti dagli studi sull’attaccamento indichino che i primi anni di vita determinino il nostro destino. In realtà questi studi mostrano che le relazioni con i genitori possono cambiare nel tempo, e che a tali cambiamenti corrispondono modifiche nell’attaccamento dei figli; ciò significa che non è mai troppo tardi per cercare di indurre cambiamenti positivi nella vita di un figlio, sia esso un bambino o un adolescente. 22 Questa è la caratteristica più importante dell’essere genitori: fornire la sicurezza di una relazione di attaccamento da cui un bambino o un adolescente possa partire per affacciarsi nel mondo esterno e a cui possa ritornare sapendo per certo che sarà il benvenuto, nutrito sul piano fisico ed emotivo, confortato se triste, rassicurato se spaventato. In sostanza questo ruolo consiste nell’essere disponibili, pronti a rispondere quando chiamati in causa, per incoraggiare e dare assistenza, ma intervenendo attivamente solo quando è chiaramente necessario. Quindi, più si è in grado di dare ai giovani la possibilità di incontrare e di osservare dal vivo genitori sensibili e premurosi, più è probabile che i giovani seguano il loro esempio. 23 Il dialogo e il confronto intra-familiare permettono l’individuazione di una trama comune e offrono ad ogni soggetto la sicurezza necessaria per l’esplorazione delle alternative e delle scelte. 24 Fare il genitore non è quindi un compito facile, capire qual è la cosa giusta da fare, riuscire a vedere anche i propri errori, provare a migliorarsi, sono operazioni che richiedono grandi capacità di autoriflessione.

Bettelheim, nel suo libro più famoso “Un genitore quasi perfetto”, spiega quanto sia importante per un genitore riattivare le memorie infantili per agire una genitorialità

21

Ivi, pp. 93-94.

Siegel, D.J., Hartzell, M., Errori da non ripetere. Come la conoscenza della propria storia aiuta a essere genitori, Milano, Raffaello Cortina, 2016, pp. 93-94.

23 Boffo, V., Relazioni educative: tra comunicazione e cura. Autori e testi, Milano, Apogeo, 2011, pp. 7172.

24 Mancaniello, M.R., Per una pedagogia dell'adolescenza. Società complessa e paesaggi della metamorfosi identitaria, Lecce, PensaMultiMedia, 2018, cit. p. 93.

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accorta e responsabile. Comprendere se stessi partendo da una relazione e una comunicazione interpersonale, permette di comunicare e comprendere gli altri, in questo caso i propri figli.25 A questo punto, tornando al caso specifico della famiglia monogenitoriale, possiamo usare una metafora per comprendere quanto detto finora. Immaginiamo che l’universo del figlio sia paragonabile ad un edificio che si regge su due colonne, i genitori appunto.

Se una delle due viene meno, o non c’è mai stata come nel caso della morte o della scomparsa di un genitore, o come nel caso di una madre nubile, la situazione può mantenere una sua stabilità, sufficiente a garantire la salute psicologica del figlio soltanto a patto che il genitore presente sappia assumere una posizione centrale di sostegno, conservando un equilibrio forse non assoluto, ma bastevole. Se invece le due colonne entrano in collisione tra loro, se il conflitto esplode, non c’è più nessun punto d’appoggio per il figlio e il suo universo cade in rovina. Questa è la situazione tipica che si crea durante la separazione e che vede il figlio in mezzo a un ciclone scatenato dai genitori, i quali spesso sfruttano addirittura il figlio come arma. Questo scenario può provocare nel povero ragazzo o ragazza l’istinto ad autoeliminarsi, destrutturando la propria personalità, per evitare di scegliere con quale genitore schierarsi. L’adolescente non sa più di chi deve fidarsi, vede i suoi modelli degradarsi e sente soltanto il bisogno di togliersi di mezzo.

Questi non sono casi estremi o eccezionali, purtroppo si tratta di avvenimenti frequenti, con conseguenze molto dolorose per tutti gli attori coinvolti, ma soprattutto per la parte più vulnerabile: i figli. È importante che gli adulti affrontino i loro diverbi in modo maturo, che imparino a gestire i loro conflitti, evitando di usare il figlio per ottenere qualcosa o fare dei dispetti all’altro. Non occorre andare sempre d’accordo. Mille volte meglio una tranquilla e civile separazione che il mantenimento di una pseudo-unione lacerata dall’incompatibilità, dal rancore e dal disprezzo. Un’operazione di pace e non di guerra. Ciò permetterebbe al ragazzo di superare questo cambiamento in un contesto più sereno e protetto.

La cosa migliore sarebbe riuscire a garantire la presenza di entrambi i genitori nella vita dei figli, nonostante il fatto che le abitudini, la casa, la vita domestica subiranno cambiamenti profondi, i legami fondamentali dovrebbero restare invariati, assicurando la

25

Boffo, V., Relazioni educative: tra comunicazione e cura. Autori e testi, Milano, Apogeo, 2011, pp. 5354.

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presenza di entrambe le colonne pronte a sostenere l’universo del figlio. È questo che conta, è questo che può far felice il figlio e che gli assicura l’avvenire. 26

1.4 Rischi in adolescenza Nella letteratura criminologica minorile, l’ambiente familiare occupa un posto di notevole considerazione ed interesse, data la grande importanza ed influenza che la famiglia esercita nello sviluppo del soggetto e nella formazione della sua personalità.

Molti autori hanno cercato di fornire una lettura ed una spiegazione della devianza minorile, attraverso l’individuazione di caratteristiche particolari relative all’ambiente familiare e alle sue dinamiche. L’indagine svolta da Barbara Gualco27, Mario Ruocco28 e Regina Rensi29 si inserisce all’interno di un più ampio progetto di collaborazione internazionale30, che vede coinvolti numerosi esperti di 30 Paesi e si propone come ulteriore contributo volto ad approfondire il delicato tema del rapporto tra famiglia e devianza giovanile. Il loro studio ha posto l’attenzione sulla relazione tra tipo di struttura familiare e delinquenza giovanile, cercando di capire se la presenza di entrambi i genitori all’interno del nucleo familiare costituisce un fattore preventivo sull’attività deviante dei giovani, rispetto a strutture familiari “alternative”. Sulla base dei dati raccolti hanno concluso che la presenza di entrambi i genitori sembra essere un fattore preventivo, che allontana i giovani dall’attività deviante. Infatti, i giovani che vivono con entrambi i genitori si concentrano al 92,1% nel gruppo “Non Devianti”, mentre i giovani che vivono con un solo genitore si concentrano al 10,5% nel gruppo dei “Devianti”, riducendo la loro rappresentazione nel gruppo “Non Devianti” al solo 7,9% . Inoltre, vista la distribuzione omogenea dei dati raccolti, il vivere solo con la madre piuttosto che col padre, non incide sull’attività deviante. Sembrerebbe dunque, sempre secondo i dati di questa ricerca, che

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Bernardi, M., Adolescenza. Una guida per i genitori di oggi, Milano, Fabbri Editori, 1999, pp. 139-141.

Ricercatore di criminologia all’Università degli Studi di Firenze.

28 Psicologo.

29 Professore a contratto del Master II Livello in Psichiatria, Psicopatologia Forense e Criminologia all’Università degli Studi di Firenze.

30 L’International Self-Report Delinquency Study 2 (ISRD-2).

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la “Famiglia Unita” sia il luogo ideale per prevenire la commissione di agiti antisociali.

Mentre, l’assenza di un genitore, la sua presenza deficitaria o persino la sua sostituzione, costituiscono elementi di disturbo che portano i giovani a concentrarsi all’interno dei giovani che più frequentemente violano le regole del vivere civile. I giovani esposti alla conflittualità genitoriale si concentrano nel gruppo dei giovani “Devianti” (14,8% vs.

7,0%), rispetto ai loro compagni che vivono in “Famiglie Non Conflittuali”, i quali si concentrano nel gruppo dei giovani “Non Devianti” (93,0% vs. 85,2%). Tale dato conferma ciò che è stato evidenziato anche in altre ricerche, ossia che un clima familiare pieno di tensioni e conflittualità si ripercuote in maniera negativa sul giovane, inducendolo a tenere comportamenti devianti. Per concludere, gli autori hanno evidenziato che ancora oggi la “Famiglia Unita” costituisce il luogo ideale dove crescere.

I giovani che hanno il privilegio di vivere con entrambi i loro genitori e in un clima relazionale privo di conflitti, sono meno propensi a commettere gesta antisociali. Tutte le altre strutture familiari possono essere considerate dei fattori di rischio, a fronte dei quali i giovani entrano a fare parte, con maggiore probabilità, del gruppo di compagni che pongono in essere condotte antisociali.31 I comportamenti a rischio nella fase dell’adolescenza possono essere molteplici e di vario tipo. Come è stato ribadito finora, l’adolescenza è una fase della vita caratterizzata da sbalzi emotivi e comportamentali, in cui alcuni soggetti sfidano il pericolo e si spingono al limite per ritrovare se stessi e il loro spazio nel mondo. Ai giovani piace la sensazione di adrenalina che danno le situazioni rischiose e pericolose, infatti si mettono facilmente nei guai. Questa voglia di trasgressione li porta a volte a non rispettare le regole, ad esempio infrangendo il codice della strada guidando in stato di ebrezza o ad alta velocità, oppure più semplicemente saltando la scuola falsificando la firma del genitore nella giustificazione. Sempre rimanendo all’interno del contesto scolastico, sono numerosi i fenomeni di bullismo, tra alunni violenti ed aggressivi nei confronti di quelli più sensibili e fragili. Queste vicende non devono essere sottovalutate, in quanto possono portare a lesioni o addirittura a casi di omicidio e suicidio, quando la giovane vittima non

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Gualco, B., Ruocco, M., Rensi, R., Rassegna italiana di criminologia, Struttura familiare e comportamenti devianti dei giovani in Italia: uno studio effettuato attraverso il metodo del self-report, http://www.rassegnaitalianadicriminologia.it/it/component/k2/item/32-struttura-familiare-ecomportamenti-devianti-dei-giovani-in-italia-uno-studio-effettuato-attraverso-il-metodo-del-self-report, consultato il 31 dicembre 2020 alle ore 11:00.

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è in grado di affrontare e superare questo problema. Va sottolineato che non è corretto in questi casi vedere soltanto una vittima e un carnefice, in quanto, quasi nella totalità dei casi, il bullo è a sua volta vittima di un ambiente familiare e un modello educativo inappropriati. Il bullo può provenire da una famiglia che non ha fornito un ambiente affettivamente accogliente, oppure da un contesto familiare caratterizzato da uno stile educativo permissivo, incapace di dare dei limiti ai comportamenti aggressivi del figlio.

L’atteggiamento da duro accresce la sua autostima e gli permette di costruirsi un’identità indipendente dall’adulto, conquistando l’ammirazione dei compagni. In realtà il soggetto in questione avrebbe soltanto bisogno di attenzioni e di essere ascoltato, di un modello genitoriale capace di aiutarlo nel suo percorso di identificazione, insegnandogli anche il rispetto dei limiti e delle regole. Oggi il bullismo viene condotto anche attraverso strumenti telematici, come ad esempio tramite Internet. In questi casi si parla di cyberbullismo. Questo è un fenomeno ancora più subdolo rispetto al bullismo vero e proprio, in quanto in rete è possibile nascondere la propria identità e così facendo la vittima non sarebbe nemmeno a conoscenza della vera provenienza degli insulti o delle offese a lei rivolti. Inoltre, utilizzando i social media, l’informazione può raggiungere milioni di persone in tutto il mondo in un solo click. In questo modo, quando vengono pubblicati contenuti offensivi sotto forma di post, foto o video, è impossibile tornare indietro, il messaggio ricevuto o il contenuto visualizzato nella bacheca, diventa di dominio pubblico immediatamente e può essere a sua volta condiviso infinite volte. La potenza di Internet ha quindi amplificato notevolmente gli effetti di un fenomeno già di per sé pericoloso, portando ciò che prima riguardava pochi compagni di classe, sulla rete del mondo intero.

L’intensificazione dell’uso di Internet e del telefono cellulare ha dato il via ad un’altra pratica molto pericolosa per gli adolescenti: il sexting. Il termine sexting deriva dalla fusione delle parole inglesi “sex” e “texting”, ovvero “sesso” e “messaggiare”. È un neologismo utilizzato per indicare lo scambio di messaggi, audio, immagini o video sessualmente espliciti, principalmente tramite il telefono cellulare o tramite Internet.

Questo fenomeno si è molto diffuso negli ultimi anni, anche tra i minori e, come si può facilmente immaginare, potrebbe portare a conseguenze molto dolorose e dannose.

Quando si perde il controllo delle immagini prodotte, la loro diffusione su web e social network è difficilmente gestibile. Anche quando non c’è intenzione di danneggiare l’altra

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persona né di commettere un abuso online, non è escluso che i comportamenti tipici del sexting possano configurare reati connessi con la pedopornografia. Secondo il nostro ordinamento il materiale scambiato in forma di sexting si declina come pedopornografico, quando se ne perde il controllo, anche ingenuamente. Mentre, secondo il recente parere emesso del Comitato di Lanzarote del Consiglio d’Europa32, il “sexting” tra minori non costituisce una condotta connessa alla pedopornografia, se destinato esclusivamente all’uso privato dei minori. Il parere specifica però che i minori costretti a tale condotta dovrebbero essere affidati ai servizi di assistenza alle vittime e non essere perseguiti penalmente. È importante che i ragazzi siano equipaggiati con strumenti che gli consentano di leggere criticamente quello che vedono o sperimentano, anche quando si tratta della loro sessualità, per poter, ad esempio, definire i loro confini e riconoscere quando una richiesta esterna li supera. I ragazzi e le ragazze hanno il diritto di vivere la sessualità secondo tempi e modi adatti alla loro maturità e questo può avvenire solo se possono contare su conoscenze e competenze specifiche, in grado di orientarli e guidarli nelle loro scelte anche online. 33 Esistono anche altri fattori di rischio legati al sesso in età adolescenziale. I dati raccolti in ambulatori e consultori dimostrano che il 75% delle infezioni a trasmissione sessuale recentemente diagnosticate sono contratte da adolescenti e da giovani adulti. Altre ricerche dimostrano che le preoccupazioni degli adolescenti sono rivolte maggiormente alla prevenzione della gravidanza, piuttosto che alla protezione da infezioni a trasmissione sessuale. Il 51% dei ragazzi riferisce di aver usato il preservativo durante il primo rapporto sessuale, in seguito questo comportamento è sceso al 31%, mentre l’uso della pillola anticoncezionale è salito dal 7% al 38%.34 Incoraggiare e promuovere l’uso continuato del preservativo come mezzo di prevenzione della trasmissione di infezioni è compito della scuola, delle agenzie sanitarie, ma anche e soprattutto dei genitori che,

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Organismo che monitora l’attuazione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei bambini contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali.

33 Save the Children, Il sexting e gli adolescenti: cos’è e perché è diffuso, https://www.savethechildren.it/blog-notizie/il-sexting-e-gli-adolescenti-cos-e-perche-e-diffuso, consultato il 30 dicembre 2020 alle ore 17:00.

34 Gillibrand, R., Lam, V., O'Donnell, V. L., Tallandini, M. A., Psicologia dello sviluppo, Milano, Pearson, 2013, pp. 380-381.

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attraverso il dialogo, dovrebbero informare i figli sui vantaggi di un uso consapevole di questo dispositivo medico.

Un’altra tipologia di comportamento a rischio negli adolescenti corrisponde all’uso e l’abuso di sostanze alcoliche e stupefacenti. Il dato allarmante è che i ragazzi si avvicinano all’alcol sempre più precocemente e ne abusano già a partire dagli 11-12 anni, solitamente ciò accade con maggiore frequenza durante le feste. Partendo dal presupposto che alla cronaca arrivano solo ed esclusivamente i casi più gravi, dobbiamo considerare che il numero delle intossicazioni, soprattutto alcoliche, è elevatissimo: infatti, secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza, nella fascia d’età compresa tra gli 11 e i 13 anni, il 36% dichiara di bere bevande alcoliche e 1 su 10 si è già ubriacato. Tra i ragazzi più grandi i numeri salgono notevolmente: il 55% degli adolescenti, dai 14 ai 19 anni, beve alcolici e il 24% lo fa anche fino a stare male, non rendendosi conto di quanto sia nocivo per la propria salute. L’abuso di alcol, in una fase di sviluppo delicata come l’adolescenza, può avere effetti devastanti, portando a complicanze gravi e danni irreversibili fino, in alcuni casi, alla morte, considerando che spesso i ragazzi mischiano gli alcolici con farmaci e droghe per amplificare gli effetti e raggiungere più rapidamente lo sballo. In questi casi, anche le imposizioni e le minacce di punizioni da parte dei genitori non servono, perché il concetto di limite si costruisce e deve essere interiorizzato gradualmente, in modo tale che crescendo i figli siano in grado di tutelarsi autonomamente e sappiano dire no quando si accorgono che si sta esagerando.

Certamente bisognerebbe fare prevenzione a partire dalle scuole primarie, informando i bambini in maniera più sistematica sui danni e sull’impatto degli alcolici sulla salute. Dal momento che le conseguenze non sono immediate ma a lungo termine, i ragazzi fanno ancora più fatica a prendere consapevolezza del problema e ad avvertirlo come un pericolo reale. Per tale ragione, c’è un bisogno enorme di responsabilizzarli, sin da quando sono piccoli, evitando di fare paternali o parlare unicamente in termini allarmistici.35 Altri rischi a cui si sottopongono i ragazzi nella fascia d’età adolescenziale, sono i disturbi del comportamento alimentare come anoressia e bulimia. In questo caso parliamo

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Manca, M., Adolescienza.it, Giovanissimi sempre più attratti dall’alcol: tra inconsapevolezza e bisogno di evadere, https://www.adolescienza.it/alcol-e-droghe/giovanissimi-sempre-piu-attratti-dallalcol-trainconsapevolezza-e-bisogno-di-evadere/, consultato il 30 dicembre 2020 alle ore 18:00.

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di una diffusione nettamente superiore tra le ragazze, ma non è da escludere che questi disturbi coinvolgano anche i ragazzi. Gli adolescenti affetti da questi disturbi alimentari manifestano un’eccessiva preoccupazione verso il proprio peso, le proprie forme e dalla distorsione dell’immagine di sé. Ciò porta, nel caso dell’anoressia, alla restrizione dell’assunzione di cibo, che comporta a sua volta problemi salutari di notevole portata.

Quando il soggetto è affetto invece da bulimia, inizia a seguire una dieta ferrea, ma la voglia di cibo è talmente tanta che spesso cade in tentazione e si abbuffa. Chiaramente, dopo l’abbuffata si palesa il senso di colpa e la terribile paura di aumentare di peso, che a sua volta porta alla messa in atto di comportamenti compensatori come il vomito autoindotto, l’uso improprio di lassativi, il digiuno e l’esercizio fisico eccessivo. I mezzi di compenso, come il vomito e il digiuno, portano ad avere altre abbuffate e il circolo vizioso si autoalimenta e si mantiene fino a cronicizzarsi. Le persone interessate solitamente negano l’esistenza di un problema legato all’alimentazione. Sono spesso i genitori ad accorgersi della drastica riduzione di peso corporeo e delle abitudini alimentari scorrette e, sempre loro, intervengono per accompagnare il figlio o la figlia verso la cura e la risoluzione di questi disturbi.

Durante il periodo adolescenziale possiamo dire che il ragazzo inizia un processo di scoperta e inserimento nella società e spesso individua nel gruppo dei pari un punto di forza e di sostegno; nella maggior parte dei casi si sente capito, si fida degli amici e crea relazioni positive con loro. Tuttavia, alcuni adolescenti potrebbero non dimostrare interesse per le relazioni con i coetanei e il timore di non essere accettati o la mancanza di legami forti li portano all’isolamento. “Hikikomori” è un termine giapponese che significa letteralmente “stare in disparte” e viene utilizzato in gergo per riferirsi a chi decide di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi, da alcuni mesi fino a diversi anni, rinchiudendosi nella propria abitazione, senza aver nessun tipo di contatto diretto con il mondo esterno, talvolta nemmeno con i propri genitori. Marco Crepaldi36 spiega che questo fenomeno riguarda soprattutto i giovani dai 14 ai 30 anni, principalmente maschi, anche se il numero delle ragazze isolate potrebbe essere sottostimato dai sondaggi effettuati finora. L’hikikomori insorge principalmente durante l’adolescenza, ma tende a cronicizzarsi con molta facilità e può dunque durare potenzialmente tutta la vita. In Italia

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Presidente e fondatore di “Hikikomori Italia”.

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l’attenzione nei confronti di questo fenomeno sta aumentando. L’hikikomori, infatti, sembra non essere una sindrome culturale esclusivamente giapponese, come si riteneva all’inizio, ma un disagio adattivo sociale che riguarda tutti i paesi economicamente sviluppati del mondo. In Italia non ci sono ancora dati ufficiali, ma si ritiene verosimile una stima di almeno 100 mila casi. 37 Per concludere, possiamo dire che l’adolescenza è un periodo della vita complesso e che richiede molta attenzione e pazienza da parte della famiglia. I rischi in cui possono incorrere i ragazzi sono molti e per prevenirli è richiesto uno sforzo attivo da parte dei genitori, che ricoprendo il ruolo di modello educativo, non solo dovrebbero dare il buon esempio, ma anche essere una guida per i loro figli, aiutandoli a mettere insieme i pezzi per costruire il loro futuro.

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Crepaldi, M., Hikikomori Italia, Chi sono gli Hikikomori?, https://www.hikikomoriitalia.it/p/chi-sonogli-hikikomori.html, consultato il 31 dicembre 2020 alle ore 19:00.

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CAPITOLO SECONDO Il movimento GenGle: le attività per i figli di genitori single “Ti salverò da ogni malinconia Perché sei un essere speciale Ed io avrò cura di te Io sì, che avrò cura di te” Franco Battiato, La cura

2.1 Nuove forme di comunicazione tra gli adolescenti di oggi Se un sociologo come Luhmann ci ha ricordato che noi stiamo e siamo sempre e soltanto nel sistema sociale, un altro sociologo come Elias ha parlato di società degli individui, ovvero individualismo come valore e individualizzazione come processo socioculturale primario, nel quale si decantano i gusti personali, le differenze, gli stili e in cui il privato dei soggetti è aspetto primario del soggetto e così fondante che è su di esso che si incardina il pubblico. Siamo quindi davanti a due posizioni che proprio il dibattito sul postmoderno ha messo in rilievo. Postmoderno è sì tempo del pluralismo, delle differenze, ma è tempo anche delle relazioni, della complessità. Nel postmoderno il soggetto è sempre più individuo, ma al tempo stesso è sempre più anche collettivizzato e standardizzato.38 Un esempio lo troviamo anche nella domanda di mercato: l’industria della moda da una parte promuove un’omologazione di massa per cui, soprattutto i ragazzi, tendono a vestirsi tutti uguali, seguendo tutti gli stessi stili che ormai con la globalizzazione vengono diffusi a livello mondiale. Dall’altra però c’è molta richiesta di prodotti personalizzati o personalizzabili e questo ci porta a pensare che il soggetto desideri distinguersi dalla massa, indossando capi o possedendo oggetti di cui non si possa trovare una copia. Questa antinomia tra pubblico e privato acquisisce maggior rilevanza in un tempo in cui la diffusione di idee, tendenze e problematiche, grazie ai nuovi mezzi

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Cambi, F., Abitare il disincanto. Una pedagogia per il postmoderno, Torino, Utet, 2006, pp. 49-50.

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di comunicazione, avviene su scala mondiale e l’informazione inviata può raggiungere qualsiasi parte della Terra in un tempo pressoché immediato.

Negli ultimi decenni lo sviluppo e la diffusione delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione, anche dette ICT in inglese, hanno subito una notevole accelerazione, diventando parte integrante della vita quotidiana di tutti, soprattutto dei più giovani. Nell’ultimo ventennio, Internet ha assunto un ruolo da protagonista tra gli strumenti di comunicazione e di lavoro. Ciò che in primo luogo colpisce del fenomeno Internet è lo “stravolgimento” della comunicazione. Collegarsi alla rete è come affacciarsi su una porta che divide il reale dal virtuale: oltre il monitor non esiste né spazio né tempo, ma tutto viene deciso, giocato e controllato dalla volontà dell’utente. Si parla infatti di cyberspazio, cioè di una dimensione immateriale, di uno spazio di comunicazione senza limiti che si sviluppa al di là dello schermo, dove però ci si priva di una componente fondamentale dei rapporti umani: il corpo, ovvero la possibilità di vedersi, toccarsi e sentirsi.39 Oggi più che mai, a causa dell’evoluzione della pandemia da Covid-19, che ha costretto tutti noi a cambiare drasticamente le nostre abitudini, rimanendo confinati all’interno delle nostre case, stiamo assistendo ad un ulteriore diffusione e ad un uso più efficace delle tecnologie digitali. La scuola pubblica ha dovuto abilitarsi ed adattarsi ad un tipo di didattica mai sperimentato prima: la didattica a distanza, anche detta DAD. Molti lavoratori hanno smesso di recarsi in ufficio o sul posto di lavoro, sperimentando un nuovo modo di lavorare da casa: lo smart working (o lavoro agile). Tuttavia, nonostante i privilegi dati dallo studio o dal lavoro da casa, sono subito emerse le difficoltà e i disagi prodotti dall’utilizzo di questi mezzi di comunicazione. Infatti, dopo una prima reazione positiva di curiosità per questo processo di cambiamento ed innovazione, non è passato molto tempo perché studenti e lavoratori rimpiangessero le giornate trascorse a scuola tra i compagni di classe, all’università o in ufficio tra colleghi.

L’essere umano vive nelle relazioni e non può essere sradicato dalla sua natura sociale.

Non tutti però la pensano così, ci sono persone che sostengono che proprio in Rete sono riuscite a stringere nuove amicizie, fare nuove conoscenze e instaurare nuove relazioni. Infatti, seppur nella rete la comunicazione si affidi al solo linguaggio digitale

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Mancaniello, M.R., La realtà dei genitori separati e il supporto emotivo e relazionale nella separazione: il movimento dei GENitori sinGLE (GenGle) come gruppo di mutuo-auto-aiuto online. Uno sguardo pedagogico-sociale, in “Rivista Italiana di Educazione Familiare”, 1, 2019, pp. 54-55.

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scritto, i “codici virtuali” assumono un grande potenziale comunicativo che è importante analizzare. Nel web le parole non si dicono, ma si leggono e si scrivono; i silenzi non si odono, ma si quantificano in spazi o tempi di risposta. Alcuni possono trovare questa modalità comunicativa un po’ troppo arida, alienata in un dialogo silenzioso che produce smarrimento; altri, al contrario, amano lo stile minimalista dell’interfaccia testuale, trovano creativo esprimersi al di là delle limitazioni imposte, ed intrigante immergersi in un fiume di parole che sembra fluire in modo più diretto ed intimo. Esistono infatti nel cyberspazio delle comunità virtuali, ovvero luoghi immaginari di aggregazione, costruite su affinità di interessi e conoscenze, sulla condivisione di progetti, in un processo di cooperazione e di scambio, e tutto ciò indipendentemente dalla prossimità geografica e dalle appartenenze istituzionali. Nella rete, la mancanza di fisicità riesce allo stesso tempo sia a diminuire che ad aumentare i problemi di interazione con gli altri. Comunicare senza avere un corpo costituisce una protezione in più, e grazie a questa difesa ci si può svelare e scoprire di fronte agli altri molto più di quanto si sarebbe disposti a fare in un gruppo reale e fisico.40 Il nostro mondo si è contratto a poco più che un villaggio, direbbe McLuhan. Il villaggio globale è il risultato dello sviluppo dei mezzi di comunicazione mediata, oggi in grado di connetterci sempre, dovunque e con chiunque. Un’importante forma di comunicazione mediata è quella che viene chiamata Comunicazione Mediata dal Computer (CMC), ovvero l’insieme di tutte quelle attività in cui il computer è utilizzato per la comunicazione a distanza. Una delle qualità distintive della CMC è quella di far convergere la dimensione interattiva della lingua con quella riflessiva: grazie al computer e alla rete, infatti, qualsiasi utente può non solo comunicare, socializzare e condividere idee, ma anche conservare e modificare contenuti. Oltre a ciò, il computer offre oggi la possibilità di comunicare con interi gruppi di persone, scardinando così le tradizionali barriere imposte dall’interazione uno a uno. Per fare questo, la CMC mette a disposizione una serie di strumenti che permettono la comunicazione fra gli utenti, i quali possono scegliere di utilizzarne uno piuttosto che un altro in base alle diverse caratteristiche intrinseche di ciascuno di questi. Ad ogni strumento corrispondono caratteristiche diverse e quindi di conseguenza diverse modalità di interazione fra i soggetti comunicatori. Le

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Ivi, p. 56.

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email, i forum di discussione online e le chat sincrone, sono stati tra i primi strumenti che hanno accompagnato la nascita e la diffusione della CMC. Tuttavia, attraverso il rapido sviluppo del Web 2.0, la comunicazione mediata dal computer può oggi contare su strumenti multimediali più partecipativi e interattivi: i più conosciuti tra questi non includono soltanto blog, wiki, sistemi di videoconferenza come Skype ed applicazioni per la condivisione di foto e video come YouTube, ma anche i sempre più diffusi mondi virtuali, i giochi virtuali multimediali, i social network come Instagram e Facebook, nonché un crescente numero di applicazioni pensate per la telefonia mobile (ad es.

Whatsapp e Telegram).41 Sono sicuramente i ragazzi più giovani, gli adolescenti a fare un uso maggiore di queste tecnologie, ad oggi la comunicazione tra loro avviene per lo più attraverso i social network o le chat. Da “Nativi Digitali”42 (o “Digital Natives”) a “Generazione Google”43 o “Generazione copia e incolla”44, le ultime generazioni sono sempre più definite come rappresentanti delle tecnologie.

2.2 L’efficacia del Auto-Mutuo-Aiuto in rete A partire dagli anni Novanta del secolo scorso, la diffusione delle tecnologie di informazione e comunicazione e, in particolare, la creazione del World Wide Web, ha consentito lo sviluppo di nuove forme di Auto-Mutuo-Aiuto (AMA), di quel sostegno che viene offerto a persone che condividono lo stesso disagio e che si pongono l’obiettivo di poterlo affrontare insieme. «Il gruppo AMA è un insieme di persone che hanno scelto volontariamente e in autonomia di trovarsi alla pari, intorno ad un tema o problema

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Ivi, pp. 56-57.

Espressione coniata da Marc Prensky nel suo articolo Digital Natives, Digital Immigrants pubblicato nel 2001, e diffusa in Italia dal saggio Nativi Digitali pubblicato nel 2011 da Paolo Ferri. Il termine identifica una persona che è cresciuta con le tecnologie digitali come i computer, Internet, telefoni cellulari e MP3, facendo riferimento alle persone nate (negli USA) dopo il 1985. Tuttavia, quest’espressione è stata oggetto di tante critiche ed il termine è stato più volte rivisto dallo stesso autore.

43 Con questo termine vengono definiti i rappresentanti più giovani (nati dopo il 1990) dei nativi digitali, cresciuti in un mondo pervaso dai media digitali e che prendono il nome dal motore di ricerca Google, entrato in funzione nel 1998.

44 Nel 2007 delle ricercatrici della British Library di Londra hanno indagato sul tipo di ricerca di informazioni compiuto dagli utenti della biblioteca in relazione all'età, a conclusione dello studio le ricercatrici hanno rinominato la generazione: “generazione copia e incolla”.

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comune, nel desiderio di affrontarlo con altri. Nel gruppo AMA si condividono esperienze, vissuti, risorse, informazioni e strategie di soluzioni, scoprendosi risorsa per sé, per i compagni di gruppo e per l’intera comunità».45 I gruppi offrono supporto a coloro che lo richiedono, restituiscono alla persona una competenza, un senso di sé, un ruolo e possibilità di nuovi legami. L’Auto-Mutuo-Aiuto è una pratica che rende la persona protagonista nella risposta ai disagi e ai problemi quotidiani; è un contributo della società a se stessa nel miglioramento della qualità della vita, è uno strumento che trasforma le singole esperienze in risorse per tutti.

Il numero dei gruppi di AMA online è stato stimato in alcune migliaia in tutto il mondo. Dopo ampie discussioni sul valore e le potenzialità di tali gruppi si è concluso che essi risultano simili ai gruppi di AMA tradizionali, nella filosofia e nell’approccio. Il gruppo online, così come il gruppo di AMA tradizionale, rappresenta un ambiente positivo e di supporto che incoraggia la condivisione e promuove il cambiamento personale. Sul fronte delle dinamiche di interazione, è opportuno superare l’ipotesi di una contrapposizione tra i tradizionali rapporti face to face, caratterizzati da comunicazioni calde, empatiche e cariche di senso, e le comunicazioni telematiche, intese come forme di interazione più fredde e formali. Diversi studi hanno da tempo evidenziato come la comunicazione telematica costituisca un canale che consente un’interazione densa e significativa, sia a livello interpersonale che in una più ampia dimensione collettiva. Ciò che distingue queste due forme di comunicazione non è quindi la loro autenticità o valenza, bensì le diverse dinamiche di presentazione di sé che ciascuna prefigura.

A differenza della spontaneità del contatto fisico, che impedisce di poter controllare tutti i canali comunicativi verbali e non verbali, lo schermo e dunque l’interazione digitale, consentono un maggior livello di attenzione verso il messaggio prodotto, più rielaborato e meno spontaneo dello scambio faccia a faccia. Lo schermo funge in questo caso da protezione e contemporaneamente da filtro, permettendo di stabilire a priori cosa della propria identità si desidera esporre. Il non essere faccia a faccia quindi, non dà un interlocutore ben definito, ma lascia all’anonimato, permettendo dunque una maggiore libertà di espressione e facilitando l’intimità e la confidenza tra le persone. Se da un lato

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CAMAP – Coordinamento Auto-Mutuo-Aiuto Piemonte, Auto-Mutuo-Aiuto: Principi e prassi, https://www.ilcerchiocuneo.it/res/site81886/res757449_2012-AMA-Principi-e-prassi-1-.pdf, consultato il 10 gennaio 2021 alle ore 12:30.

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questo effetto di disinibizione può essere positivo, aiutando i componenti del gruppo a sentirsi liberi di condividere pensieri, esperienze, emozioni, paure e desideri segreti; dall’altro potrebbe essere negativo, in quanto alcuni membri del gruppo potrebbero ricevere aspre critiche, espressioni di rabbia, odio e persino minacce.

Dal punto di vista organizzativo, le esperienze di AMA online, a differenza dei gruppi tradizionali, si sviluppano in contesti accessibili potenzialmente da ogni parte del mondo e senza orari predefiniti. Questo consente a chiunque, anche a persone provenienti da zone rurali o scarsamente popolate, dove potrebbe essere difficile trovare un numero sufficiente di persone per creare un gruppo AMA tradizionale, di esprimersi in una piattaforma aperta e accessibile ventiquattro ore al giorno. Un’ulteriore potenzialità del Web 2.0 è la possibilità di una diversificazione delle “voci”. Ogni individuo può, infatti, con relativa semplicità, fondare una propria “comunità di interessi”, attorno alla quale radunare le esperienze di altri che condividono determinati principi, obiettivi e preferenze. Il Web è inoltre un grande archivio, perché rende i contenuti reperibili, ma anche archiviabili e, soprattutto, grazie alla sua diffusione, consente di rendere gli stessi contenuti potenzialmente alla portata di tutti i navigatori, che costituiscono un bacino di contatti notevole.46 GenGle47 è, ad oggi, la più grande associazione italiana di genitori single, separati, divorziati e vedovi; è il primo social network dedicato ai Gen-itori sin-Gle e ai loro figli.

GenGle, infatti, sta per “genitore” da un lato, “single” dall’altro, ed è il nome della piattaforma ideata da Giuditta Pasotto, una giovane mamma single fiorentina. GenGle è difficile da definire, nasce nel 2015 come “aggregatore sociale” e rappresenta una rete di aiuto reciproco dei genitori single, nata per dare un sostegno reale alle famiglie monogenitoriali. Questa community è stata creata per dare una risposta al bisogno di supporto e di vicinanza, offrendo uno spazio di confronto e discussione dove fare crescere nuove relazioni sociali, offrire consulenze specialistiche e servizi di informazione.

GenGle in questi cinque anni di attività ha affiliato e aiutato più di 100.000 famiglie in tutta Italia; è diventata una Onlus nel febbraio 2016 e da allora è attiva su tutto il territorio

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Mancaniello, M.R., La realtà dei genitori separati e il supporto emotivo e relazionale nella separazione: il movimento dei GENitori sinGLE (GenGle) come gruppo di mutuo-auto-aiuto online. Uno sguardo pedagogico-sociale, in “Rivista Italiana di Educazione Familiare”, 1, 2019, pp. 58-64.

47 Per un approfondimento sul movimento GenGle si veda: www.GenGle.it.

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nazionale. Dal 2018 è presente anche in Inghilterra, Belgio e Svizzera, per dare supporto ai GenGle italiani all’estero. GenGle offre una vasta gamma di servizi, non solo rivolti ai genitori single, ma anche ai figli che vivono il doloroso momento della separazione dei genitori.

2.3 Adolescenti e social media, la chat come mezzo di comunicazione Come è stato ampiamente sottolineato lungo tutto il primo capitolo, i figli adolescenti di genitori single si trovano spesso ad affrontare una situazione di profondo disagio, che potrebbe anche protrarsi per un tempo disteso. GenGle Teen, per rispondere a questo disagio, ha creato un servizio rivolto proprio ai figli adolescenti, uno spazio in cui possano dare libero sfogo alle proprie emozioni, scaturite dalla separazione dei genitori, dalla morte di un genitore o dalla sua assenza, liberi dal giudizio altrui e ascoltati da professionisti. Questa iniziativa di GenGle si basa sul fatto che la famiglia monoparentale è oggi sempre più diffusa: le statistiche italiane parlano di un matrimonio interrotto su due, cui si sommano le famiglie con un genitore vedovo e quelle rette da ragazze madri.

In questa condizione, è l’adolescenza l’età che mette più in crisi genitori e figli. Un figlio che vive la separazione dei genitori o la morte di uno dei due, viene catapultato d’improvviso in un assetto familiare del tutto nuovo: le trasformazioni emotive e relazionali che ne derivano possono bloccarlo in una sofferenza che annienta tutti gli altri aspetti della sua vita. Chi è cresciuto nell’assenza di un genitore prova un vuoto colmo di domande che non trovano risposta. Questa assenza crea dubbi, incertezze, senso di impotenza, ansie, che mettono in discussione la visione della vita, il modo di pensare, di comportarsi e di relazionarsi con gli altri. Un disagio enorme, spesso nascosto, che fa sprofondare in una solitudine estrema, fino ad arrivare ad un passo dalla disperazione.

Parlare diventa allora una necessità fondamentale, significa poter dare libero sfogo alle proprie emozioni, consentendo di metabolizzare ed elaborare la sofferenza, fino ad innescare la capacità di andare avanti nel proprio percorso di vita. Eppure, in questi casi, la capacità di riuscire ad esprimersi non è affatto scontata. I genitori soli sono talmente presi dal proprio dolore da divenire incapaci di accogliere il bisogno di ascolto e di empatia dei figli. Al tempo stesso i figli non trovano il coraggio di aprirsi un varco nella

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corazza del genitore rimasto e hanno paura o provano vergogna a confidarsi con le altre figure di riferimento, siano essi gli insegnanti, i nonni, gli allenatori o gli amici di una vita. GenGle Teen nasce per creare uno spazio dove i figli possano dare libero sfogo alle proprie emozioni, esprimersi, raccontare le proprie esperienze, sdrammatizzarle e condividerle, abbassando i loro livelli di paura, di rabbia e di dolore. Uno spazio dove sia sempre possibile essere ascoltati da qualcuno che non si conosce, che non potrà giudicare e che permetta ai partecipanti di ricevere risposte. Questo servizio non vuole essere una terapia, ma un sostengo che fa leva sulle risorse intrinseche del gruppo, divenendo stimolo al cambiamento.48 Andrea Santi, laureato in “Scienze dell’educazione degli adulti e della formazione continua” all’Università degli Studi di Firenze, è un educatore socio-relazionale che risponde al Whatsapp GenGle, ovvero la linea chat di supporto agli adolescenti. Il Dott.

Andrea Santi spiega che: «Questo sportello nasce dalla consapevolezza del profondo cambiamento del linguaggio adolescenziale, il quale si è trasformato negli ultimi anni e si sta trasformando ancora oggi da una comunicazione di tipo verbale e lineare, a una di tipo iconografica e figurativa. Le nuove forme morfologiche, le Emoticon, gli Smile e le Gif sono evidentemente un nuovo modo di comunicare e di trasmettere verso l’esterno, forse anche in maniera meno coinvolgente e carica di responsabilità, quel complesso di pensieri, paure, aspettative, proprie di ogni individuo e spesso ancora da definire, in quella fase di trasformazione e di ristrutturazione di identità rappresentato dall’adolescenza. Se poi alla naturale trasformazione adolescenziale aggiungiamo l’evidente difficoltà da parte delle figure adulte di riferimento di calarsi nelle dinamiche e nei vissuti dei giovani come guide autorevoli, fai per mancanza di tempo in una società sempre più frenetica, fai per mancanza di supporto da parte delle strutture sociali e di adeguati strumenti di lettura del “nuovo” mondo in inafferrabile mutamento, il messaggio scritto diventa per l’adolescente uno strumento di contatto proprio del suo tempo, pratico e facile da usare, che racchiude in sé una schermatura etero diretta da giudizi e critiche dal mondo esterno, offrendo maggiore leggerezza e disimpegno emotivo di fronte a questioni anche profonde e cruciali di cui non si comprende ancora chiaramente l’origine e la normalità. Ecco perché credo di vitale importanza offrire una linea di ascolto di questo tipo, più famigliare nella

48

GenGle Onlus, Whatsapp di supporto ai teenagers, https://gengleonlus.org/whatsapp-di-supporto-aiteenagers/, consultato il giorno 8 gennaio 2021 alle ore 17:00.

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fruizione e più vicina alla realtà degli adolescenti e del loro vissuto comunicativo quotidiano».49 Come è stato ribadito nel primo capitolo, prendersi cura di sé, ascoltarsi, è molto importante e la scrittura di sé può essere vista come lo strumento adatto a questo scopo. 50 In questo caso non si parla di autobiografia vera e propria, ma di una forma di scrittura più breve, che permetta un confronto istantaneo: la chat. Gli adolescenti che scrivono alla chat di GenGle Teen lo fanno per parlare dei loro problemi con la madre, con il padre, con i loro nuovi compagni che con tanta fatica provano ad accettare, ma anche di problemi con gli amici, con i compagni di classe o con la fidanzata o il fidanzato. Gli operatori che rispondono, come il Dott. Santi, sono professionisti che provano a dare il loro supporto attraverso il mezzo più consono ai ragazzi di questa generazione. Lo scopo non è quello di fare terapia, infatti per situazioni più specifiche vengono consigliati percorsi con lo psicologo, o con un counselor, oppure percorsi di mutuo-aiuto. Nel caso di GenGle quello che si cerca di fare è cambiare il punto di vista. Spesso i ragazzi si concentrano sulle loro paure, sui loro dolori, vedendo l’altro come un nemico che pensa soltanto a ferirli; gli operatori GenGle provano a suggerire una visione più completa della situazione e di tutte le dinamiche relazionali che circondano i ragazzi che in questo modo avranno più elementi per leggere la realtà e trovare una soluzione.

2.4 Attività proposte da GenGle per e con i figli Le attività per e con i figli sono il cuore pulsante di tutto il meccanismo GenGle. Decidere di iscriversi a GenGle è sicuramente il primo grande passo che la persona deve compiere, ancora più impegnativo è decidere di partecipare alla prima attività, dove non si conosce nessuno, dove non si sa cosa aspettarsi. Passo ultimo e decisivo è quello di partecipare con i propri figli.

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GenGle Onlus, Intervista ad Andrea Santi, https://gengleonlus.org/whatsapp-di-supporto-ai-teenagers/, consultato il giorno 8 gennaio 2021 alle ore 18:00.

50 Mariani, A., Elementi di filosofia dell'educazione, Roma, Carocci, 2006, pp. 41-45.

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Una delle caratteristiche che contraddistingue i gruppi di AMA online rispetto ai gruppi tradizionali, è, come abbiamo visto in precedenza, la comunicazione mediata: non c’è una comunicazione face to face, l’interazione è digitale, non c’è contatto fisico; questo consente da un lato una maggiore libertà di espressione, di intimità e di confidenza tra le persone, dall’altro priva la comunicazione di una componente fondamentale dei rapporti umani, che è il corpo, e quindi la possibilità di vedersi, di sentirsi, di stare insieme. A questo limite GenGle risponde proponendo la creazione e la condivisione di attività da vivere insieme, genitori e figli. Le attività proposte in GenGle danno ai genitori la possibilità di dialogare in modo giocoso con i figli, o semplicemente di condividere dei momenti con sincero interesse e divertimento. La voce “Attività” all’interno del portale GenGle consente di visualizzare in modo immediato tutte le attività in programma, anche dei giorni/mesi successivi. Questa è la grande novità che il portale GenGle offre ai suoi utenti rispetto alla maggior parte dei gruppi AMA online, ovvero la possibilità di far incontrare le persone, farle conoscere, creare legami veri, far sì che le persone abbiano modo di condividere momenti reali con i figli, offline. In questo modo si cerca di creare un’aggregazione tra figli con altri figli, tra genitori e figli. GenGle e le sue attività sono uno strumento finalizzato a dare al genitore la possibilità di ricreare una rete sociale nella quale i figli sono inclusi in modo attivo.

Ogni membro di GenGle può proporre una qualunque attività e questa entra in agenda.

Le attività che si possono registrare nel sito GenGle sono di tre tipi: Attività per i figli: comprendono tutte quelle attività rivolte principalmente ai figli, ad esempio un cinema per bambini o ragazzi, attività di gioco a squadre, pallavolo, calcio, pingpong, gimkana con biciclette e molte altre; Attività per i genitori con i figli: riguardano tutte quelle attività che rappresentano un momento di svago per i genitori insieme ai figli, come ad esempio passeggiate in montagna, pizza in compagnia, pranzi, uscite; Attività solo per i genitori: comprendono tutte quelle attività riservate esclusivamente ai genitori, come ad esempio incontri gestiti da professionisti su varie tematiche (relazione con i figli, relazione con l’altro genitore, conflittualità), oppure attività ludiche, quali il cinema, un aperitivo o una serata in discoteca.

Una “buona” attività per GenGle deve avere cinque caratteristiche fondamentali:

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1. Le attività devono essere per la maggior parte a basso costo o gratuite, per dare modo a tutti di poter partecipare, senza gravare sul bilancio familiare già problematico; 2. Le attività devono essere ben spiegate, chiare e dettagliate, in modo che non ci siano sorprese per nessuno; 3. Le attività che prevedono la presenza dei figli devono avere un referente per la sicurezza dei bambini; durante le attività è possibile prevedere dei giochi mirati ad integrare sia i grandi che i piccoli; 4. Le attività possono essere proposte sempre, la varietà e la dislocazione geografica delle attività sono la ricchezza di GenGle; 5. Le attività per il gruppo GenGle devono garantire l’inclusione dei nuovi iscritti.

Non tutti hanno le stesse capacità di adattamento, e proprio per questo è necessario far sì che tutti possano sentirsi accolti e inclusi nel gruppo fin da subito.51 All’interno dello Statuto dell’organizzazione di volontariato “GenGle Onlus” è possibile trovare, all’articolo 3, un elenco esemplificativo e non esaustivo delle attività che GenGle propone per la realizzazione dei suoi scopi, ovvero: -

Rendere accessibili le risorse sociali ed economiche esistenti sul territorio (pubbliche, private, del terzo settore) al fine di creare iniziative volte a migliorare le condizioni in particolare delle famiglie monogenitoriali/monoparentali;

-

Far conoscere e tutelare i diritti del nucleo familiare e dei suoi singoli membri;

-

Diffondere buone pratiche di reciprocità, aiuto, mutuo-aiuto, incontro;

-

Valorizzare il dialogo intergenerazionale;

-

Valorizzare il capitale sociale e relazionale che proviene in particolare dalle famiglie monogenitoriali/monoparentali, con l’obiettivo di creare una rete fra i genitori single, i loro figli/e e le diverse realtà che in questo ambito operano sul territorio partecipando attivamente al dibattito pubblico come specifici portatori di interesse;

51

Mancaniello, M.R., La realtà dei genitori separati e il supporto emotivo e relazionale nella separazione: il movimento dei GENitori sinGLE (GenGle) come gruppo di mutuo-auto-aiuto online. Uno sguardo pedagogico-sociale, in “Rivista Italiana di Educazione Familiare”, 1, 2019, pp. 66-69.

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-

Favorire la creazione e lo sviluppo di ricerche e iniziative e promuovere progetti editoriali sui temi inerenti le finalità dell’Associazione e promuovere iniziative artistiche, culturali e ricreative, come convegni, tavoli di lavoro, incontri, feste, spettacoli, corsi di aggiornamento culturale, di formazione e orientamento, con l’obiettivo di aumentare all’interno dell’opinione pubblica e delle istituzioni e delle stesse famiglie monogenitoriali/monoparentali la conoscenza sul vissuto di questa tipologia familiare;

-

Organizzare

iniziative

e

servizi

rivolti

in

particolare

alle

famiglie

monogenitoriali/monoparentali finalizzati al miglioramento della loro qualità di vita; -

Operare a favore delle persone e delle loro reti di relazione, con particolare attenzione a chi è in stato di maggior disagio, senza discriminazioni di età, genere, orientamento sessuale, cultura, religione, cittadinanza;

-

Contribuire a rimuovere gli ostacoli che impediscono alle famiglie monogenitoriali/monoparentali il raggiungimento effettivo della qualità della loro vita quotidiana e del loro benessere;

-

Sviluppare azioni a sostegno della conciliazione famiglia-lavoro orientate in particolare

alle

caratteristiche

peculiari

delle

famiglie

monogenitoriali/monoparentali; -

Favorire i processi di emersione di una domanda competente sia di servizi sia di beni e la costruzione di reti comunitarie;

-

Raccogliere e diffondere informazioni e dati di carattere culturale, sociologico, pedagogico, psicologico ed economico in merito e a sostegno di queste tipologie familiari;

-

Intervenire nelle aree dell’ascolto e della relazione quali presupposti fondamentali per il raggiungimento della qualità della vita e del benessere individuale e familiare;

-

Proporsi come punto di riferimento sul territorio (di incontro, informazione, orientamento) in particolare per le famiglie monogenitoriali/monoparentali;

-

Partecipare a reti nazionali e internazionali rispondenti ai fini dell’Associazione. 52

52

Pasotto, G., Gioli, C., Mancaniello, M. R., Fani, G., Wood, I., Prochilo, N., Essere GenGle. Guida pratica a GenGle e alla sua struttura, Firenze, Gengle Editore, 2018, pp. 10-11.

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CAPITOLO TERZO Analisi del servizio “Whatsapp di supporto ai teenagers!”

“E ti vengo a cercare Anche solo per vederti o parlare Perché ho bisogno della tua presenza Per capire meglio la mia essenza.”

Franco Battiato, E ti vengo a cercare

3.1 Supporto di un’équipe di specialisti Carl R. Rogers, celebre psicologo americano, elenca le condizioni imprescindibili per un approccio centrato sulla persona. Vi sono tre condizioni che devono essere presenti affinché si stabilisca un clima che determini la crescita. Queste condizioni valgono sempre e si applicano ad ogni situazione il cui obiettivo sia la crescita di una persona. Il primo elemento potrebbe essere definito genuinità, autenticità o congruenza. Quanto più lo specialista53 è se stesso (o se stessa) nella relazione, non erigendo alcuna barriera professionale o facciata personale, tanto più grande è la probabilità che l’utente54 si trasformerà e svilupperà in maniera costruttiva. Il secondo fattore di rilievo nel creare un clima adatto al cambiamento è l’accettazione, o il preoccuparsi, il valorizzare, tutto ciò che Rogers definisce come “incondizionata considerazione positiva”. Questo atto viene chiamato anche epochè, ovvero sospensione del giudizio. Quando l’operatore sperimenta un atteggiamento positivo, accettante verso qualunque cosa l’utente è in quel momento, un cambiamento ha maggiori probabilità di accadere. Il terzo elemento facilitante di una relazione è la comprensione empatica. Questo significa che lo specialista percepisce

53

Rogers si riferisce a questa figura chiamandolo “terapeuta”, proprio perché esercitando la professione di psicologo è il termine più indicato, mentre in questo caso non parlando di percorso terapeutico questo termine non sarebbe appropriato.

54 Rogers, nel suo libro, si riferisce a questa figura chiamandolo “cliente”, perché esercitando la professione di psicologo le persone che aiuta sono effettivamente dei clienti, in questo caso il termine cliente non sarebbe appropriato.

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accuratamente i sentimenti e i significati personali che il ragazzo in questo caso sta sperimentando, e gli comunica questa comprensione.55 Il servizio Whatsapp di supporto ai teenagers esiste da due anni e ad occuparsene è proprio Andrea Santi, come accennato nel capitolo precedente. Giuditta Pasotto, fondatrice e direttrice di GenGle, durante l’intervista56, descrive il Dott. Santi come la persona perfetta per questo servizio. Egli esprime imperfezione, non è un ragazzo che segue le masse, omologato, a volte può sembrare anche un po’ insicuro, ma le cose le sa, la conoscenza e le competenze non gli mancano. In questo senso GenGle mette a disposizione dei suoi utenti un team di specialisti che si occupano ognuno di un settore specifico.57 Il ragazzo o la ragazza adolescente che scrive al Whatsapp GenGle, non sta cercando una figura inquadrata, precisa, perfetta, con la soluzione pronta, come può essere quella dello psicologo, l’adolescente ha, nella maggior parte dei casi, soltanto bisogno di sfogarsi e vuole essere ascoltato. Quello che cerca di fare il Dott. Santi in questi casi è trasmettere tranquillità, cercando di comprendere il conflitto interno o esterno del teenager, assicurandogli che i suoi genitori non verranno coinvolti se lui non lo vorrà. Questo ruolo richiede dunque un alto livello di professionalità: rispettare le volontà del ragazzo, ascoltare con empatia, non giudicare, anzi, garantire terzietà ed essere in grado di leggere la situazione con imparzialità. Possedere queste competenze richiede tempo e molta esperienza. Il lavoro richiesto non è affatto semplice e per questo motivo rivolgersi ad amici o familiari per raccontare le proprie paure, i propri sentimenti, i propri disagi o dubbi, potrebbe non essere la scelta migliore. Spesso le persone vicine a noi cercano di consolarci perché vederci tristi o arrabbiati provoca dolore, tuttavia non è soltanto questo quello di cui si ha bisogno in questi casi. La filosofia di GenGle parte dal presupposto che la famiglia perfetta non esiste e fare il genitore è un compito molto arduo che spesso porta gli adulti a dubitare delle proprie capacità di genitori e i ragazzi a cadere in disperazione per ogni conflitto o crisi. Una volta appreso che la “Famiglia del Mulino

55

Rogers, C.R., Un modo di essere. I più recenti pensieri dell’autore su una concezione di vita centratasulla-persona, Firenze, Martinelli, 1993, pp. 125-126.

56 Per un approfondimento, consultare il testo integrale dell’intervista a Giuditta Pasotto riportato in Appendice.

57 Alla voce “Professionisti” del portale GenGle è possibile trovare tutti i nominativi dei professionisti convenzionati ai quali rivolgersi per un supporto legale, psicologico, ma non solo. È possibile trovare anche altre figure professionali selezionate dall’amministrazione GenGle per ricevere consulenze o informazioni.

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Bianco” non esiste, è importante spiegare a genitori e figli che i conflitti e i momenti di crisi fanno bene, ovviamente vanno gestiti nel modo giusto per riuscire a vederne i vantaggi, ma spesso portano ad una crescita. In questo processo l’essere umano, di qualsiasi età, ha bisogno di essere aiutato da una persona esterna, imparziale, che gli dia modo di leggere il conflitto con altri occhi e sotto un altro punto di vista. Pasotto, durante l’intervista, afferma: «Cerchiamo di spiegare alla gente che bisogna starci nel lutto, bisogna essere tristi»58. Con queste parole la direttrice di GenGle sottolinea l’importanza di non nascondere le proprie emozioni e i propri sentimenti, perché è proprio parlandone che si riesce a “normalizzare” una situazione. Bisogna cancellare quest’idea di famiglia, genitore e figlio perfetto e non vergognarsi di parlare dei problemi o delle discussioni che possono nascere; di questo ne ha bisogno la società, ma soprattutto i ragazzi, per non sentirsi diversi, strani, e per sentirsi liberi di parlare, di sfogarsi.

Sapersi relazionare con persone in difficoltà o in situazioni di disagio, come possono essere i figli di genitori separati o single, richiede grandi competenze comunicative e la capacità di utilizzare un linguaggio generativo e “proattivo”. Chi usa questo tipo di linguaggio: evita giudizi, si esprime usando la prima persona, riesce ad essere paziente e sa aspettare il momento giusto, usa critiche costruttive, favorisce la metacomunicazione, cerca reciproci vantaggi nell’ottica del superamento delle posizioni individuali, utilizza domande esplorative ed evita la disconferma di sé, dell’altro e del contesto. 59 Il Dott. Andrea Santi spiega: «Io medio un po’ la dinamica, cioè non è che la interpreto, non c'è una decifrazione in questo, non sono uno psicologo. Cerco più che altro di far fluire un po’ i pensieri, di far metariflettere il ragazzo che mi contatta su quella che è la dinamica, un po’ a mettersi nei panni di».60 Daniele Novara afferma che mediare non significa incontrarsi a metà strada, ma piuttosto tentare di trasformare gli automatismi di risposta aggressivi, difensivi, quei copioni che si vedono facilmente attivare in una dinamica conflittuale, in momenti di

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Citazione estratta dall’intervista a Giuditta Pasotto consultabile, per un approfondimento, in Appendice.

Canuti, L., Palma, A.M., La gentilezza che cambia le relazioni. Linfe vitali per arrivare al cuore, Milano, FrancoAngeli, 2017, p. 42.

60 Per un approfondimento, consultare il testo integrale dell’intervista ad Andrea Santi riportato in Appendice.

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crescita personale e sociale costruttiva. 61 Importante è anche non avere paura del conflitto, ma imparare a “so-stare” in esso. Difficile però pensare di trovare un adolescente in grado di “stare” nel conflitto e carpirne la valenza formativa, queste sono competenze che si imparano con l’esperienza. Il Dott. Santi, in questo caso, può soltanto essere una guida per i ragazzi, insegnandogli a spostare il loro punto di vista, a considerare la situazione nella sua totalità e complessità, a diventare persone più consapevoli e a comunicare con assertività62. Compito del mediatore è facilitare il passaggio dal cosa voglio al perché lo voglio, ovvero favorire l’emergere dei bisogni e delle paure che sono sottese alle posizioni dichiarate e apparentemente irremovibili e inconciliabili. 63 Soltanto un professionista con competenze comunicative e relazionali sviluppate è in grado di interpretare questo ruolo, ed è per questo che GenGle affida la gestione dei suoi servizi soltanto a specialisti.

3.2 Accoglienza emotiva e ascolto attivo Il genere di ascolto attivo e sensibile di cui parla Rogers, è eccezionalmente raro nelle nostre esistenze. Pensiamo di ascoltare, ma solo raramente ascoltiamo con una reale comprensione, con un’empatia vera. Eppure, questo tipo molto speciale di ascolto, rappresenta una delle forze più potenti ai fini del cambiamento. Quando le persone sono accettate e valorizzate, tendono a sviluppare un atteggiamento di maggior cura verso se stesse. Quando le persone sono ascoltate empaticamente, diventa loro possibile prestare un ascolto più accurato al flusso delle esperienze interiori. 64 L’esercizio del silenzio, del non intervento, il non poter dare un assenso o un dissenso, appaiono per molte persone operazioni difficili, tanto sono abituate, nel quotidiano, ad

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Novara, D., La grammatica dei conflitti. L’arte maieutica di trasformare le contrarietà in risorse, Casale Monferrato, Edizioni Sonda, 2011, p. 154.

62 La comunicazione assertiva è un modo di comunicare basato su uno stile chiaro ed efficace che permette di stabilire delle buone relazioni sociali. L'assertività è un modo d'essere basato sulla promozione delle proprie idee, ma senza prevaricare gli altri.

63 Buccioni, I., Palma, A.M., Venturi, I., Mediare le conflittualità. Riflessioni e strategie operative per sviluppare competenze comunicative e relazionali nella trasformazione dei conflitti, Milano, FrancoAngeli, 2012, p. 14.

64 Rogers, C.R., Un modo di essere. I più recenti pensieri dell’autore su una concezione di vita centratasulla-persona, Firenze, Martinelli, 1993, p. 126.

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intervenire e interferire su ciò che altri dicono o riportano. Ma la paura del giudizio invita a ritrarsi piuttosto che ad esporsi. Chi narra tira il proprio freno a mano, per timore, per non scoprirsi troppo. Ci si può esprimere quando si è protetti, non quando ci si sente abbandonati, derisi o giudicati. Il freno a mano si allenta quando il clima lo consente, quando c’è quella epochè di cui si è parlato in precedenza, ovvero la sospensione del giudizio che non utilizza preconcetti, quando c’è un ascolto attivo che permette a chi narra di sostituire la sua comunicazione, che è un atto umano inevitabile, con una narrazione sempre più profonda.65 Le relazioni funzionali partono da una buona relazione con se stessi. La scelta di voler ben comunicare e quella di saper ascoltare trovano il loro spazio nello sviluppo particolare di una caratteristica irrinunciabile: l’attenzione. Quando mettiamo l’attenzione su qualcosa “tendiamo” verso di essa. Attenzione allora come “presenza”; ovvero saper gestire la propria attenzione e quindi aumentare la propria efficienza per essere capaci di “sentire” quanto avviene intorno a noi. 66 Questo è ciò di cui devono essere capaci i professionisti che si relazionano con gli adolescenti: ascoltare attivamente, con attenzione e soprattutto con empatia, con il cuore.

Andrea Santi e il team GenGle hanno pensato di aprire uno sportello tramite Whatsapp «proprio per dare la possibilità a questi ragazzi di esprimersi con un canale a loro più congeniale, mantenendo comunque l'anonimato e non dovendo attingere all'uso della parola, che comunque ha un certo coinvolgimento emotivo».67 GenGle infatti permette ai suoi utenti di “togliersi la maschera”. All’interno di GenGle nessuno sa chi sei veramente, e se vuoi mantenere l’anonimato puoi farlo. È un ambiente protetto, reale e virtuale, nel quale ognuno può esprimersi liberamente. Vista la difficoltà che molti adolescenti incontrano nel relazionarsi ed esprimersi apertamente con gli adulti in “real life”, si è pensato che offrire loro l’opportunità di farlo attraverso una linea chat, quindi virtualmente e mantenendo l’anonimato, potesse essere più stimolante e funzionale per loro. Tuttavia, è fondamentale trovare un equilibrio tra le forme “tradizionali” di narrazione e le forme digitali, le une infatti non escludono le altre. I ragazzi di oggi

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Staccioli, G., L’albero dei racconti, Pisa, Pacini Editore, 2014, pp. 24-25.

Buccioni, I., Palma, A.M., Venturi, I., Mediare le conflittualità. Riflessioni e strategie operative per sviluppare competenze comunicative e relazionali nella trasformazione dei conflitti, Milano, FrancoAngeli, 2012, p. 37.

67 Citazione estratta dall’intervista ad Andrea Santi consultabile, per un approfondimento, in Appendice.

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devono potersi e sapersi muovere in entrambi i mondi. Devono poter partecipare alla creazione di entrambi i mondi. 68 Martin Buber, filosofo e pedagogista israeliano di origine austriaca, sostiene che la pratica del dialogo costituisce un percorso di ricerca, dal momento che l’interlocuzione tra i soggetti rappresenta un momento privilegiato per l’indagine sul sé e sul mondo.

Quando qualcuno si racconta automaticamente pratica un processo di autoriflessione e di autoanalisi. Ci sono tanti modi di dialogare, tanti linguaggi, modi diversi di comunicare; in questo caso il dialogo avviene attraverso una chat online, quindi attraverso parole e simboli (ma anche Emoticon, Gif, immagini o video) inviati attraverso un telefono cellulare. Se questo da un lato può essere un vantaggio per il ragazzo che scrive, dall’altro potrebbe essere uno svantaggio per la persona che deve interpretare quei messaggi per riuscire ad individuare quali siano i veri bisogni e i veri problemi che provocano disagio e malessere. Marshall Rosenberg afferma che se vogliamo davvero essere d’aiuto agli altri, la prima cosa che dobbiamo imparare è come tradurre qualsiasi messaggio nell’espressione di un bisogno. Dobbiamo allenarci a percepire i bisogni che le persone esprimono a prescindere da come lo fanno. 69 Per fare questo è importante leggere con empatia questi messaggi. Solitamente, nelle conversazioni quotidiane, invece di dare empatia, tendiamo ad avere un forte impulso a dare consigli, a rassicurare o a spiegare la nostra posizione o i nostri sentimenti. L’empatia, al contrario, ci chiede di concentrare tutta la nostra attenzione sul messaggio dell’altra persona. Possiamo relazionarci agli altri in modo empatico soltanto una volta che siamo riusciti a liberarci di tutte le idee preconcette e di tutti i giudizi che abbiamo su di loro.70 “Osservare senza valutare è la forma più elevata di intelligenza umana” J. Krishnamurti71

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Staccioli, G., L’albero dei racconti, Pisa, Pacini Editore, 2014, p. 130.

Rosenberg, M.B., Le parole sono finestre oppure muri. Introduzione alla comunicazione nonviolenta, Reggio Emilia, Edizioni Esserci, 2003, pp. 205-206.

70 Ivi, p. 120.

71 Filosofo indiano.

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3.3 Limiti e problemi del servizio L’idea del servizio Whatsapp per i teenagers nasce dal fatto che, secondo Giuditta Pasotto, i ragazzi di oggi inseguono un ideale di perfezione, cercando di avere la vita che si creano e mostrano sui social network. Le ragazze si impegnano per avere un corpo perfetto, i ragazzi fanno vedere che hanno tanti soldi, tanti amici e che sono dei duri.

Difficilmente però nei profili social si parla dei propri problemi. Quindi la domanda che è sorta a Pasotto è “se mio figlio avesse un problema con me o con il mio compagno con chi potrebbe parlarne?”. Gli adolescenti figli di genitori separati spesso non parlano con gli amici dei loro problemi in famiglia perché si vergognano o perché hanno paura di essere giudicati, allo stesso modo non possono parlarne nemmeno con i famigliari (ad es. nonni o zii), perché questo vorrebbe dire schierarsi con un genitore piuttosto che con l’altro. Quindi per evitare di ferire qualcuno o per ferire ancora di più se stessi finiscono per chiudersi a riccio, tentando di risolvere da soli i loro problemi e spesso facendo le scelte sbagliate. È proprio in questi momenti che può essere utile il supporto del team GenGle Teen con il servizio di linea chat per teenagers.

Tuttavia, se da una parte questo servizio potrebbe essere un’idea innovativa, vera e professionale per aiutare i giovani, dall’altra presenta alcuni problemi che ad oggi ne impediscono la diffusione su vasta scala. Per prima cosa Giuditta Pasotto afferma che uno dei problemi di scalabilità del progetto potrebbe essere legato alla ricerca di professionisti adatti a rispondere alle richieste dei giovani; persone che, come Andrea Santi, abbiano non solo le competenze tecniche e professionali, ma soprattutto la personalità adatta a questo tipo di lavoro. Un lavoro che richiede passione e capacità che difficilmente si possono insegnare. È difficile rapportarsi con gli adolescenti, comprenderli, ma ancor di più lo è guadagnarsi la loro fiducia e riuscire a conquistare la loro stima. Un ragazzo si confida con un adulto soltanto quando c’è intesa, quando si sente capito. Normalmente i giovani, al contrario, tendono a vedere l’adulto come un nemico, come la persona che gli impone delle regole, che vuole costantemente insegnargli delle cose o dirgli cosa fare e come comportarsi; per questo motivo nell’adolescenza si sviluppa un senso di ribellione che porta ad un distacco, un allontanamento dal mondo adulto. E rompere quel muro, quella barriera è complesso. A tutte queste difficoltà si aggiunge il fatto che non può essere il genitore a proporre al ragazzo di scrivere a GenGle, altrimenti è ovvio che il

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servizio perderebbe un po’ di significato. In questo caso il ragazzo potrebbe pensare che il genitore sia coinvolto e che le conversazioni con l’operatore GenGle vengano condivise con i genitori. Questo porterebbe l’utente a non sentirsi libero di esprimersi, anzi, cosa ancor peggiore lo porterebbe a vedere l’operatore GenGle come l’ennesimo adulto “alleato” con i genitori e “contro” di lui.

Il secondo problema che impedisce una rapida diffusione del servizio viene descritto dal Dott. Santi in questo modo: «Lo sportello nasce per questa idea di supporto ai ragazzi adolescenti che incontra subito una difficoltà. Incontra difficoltà nel raggiungere adolescenti e nel stimolarli a chiamare, a contattarci, perché? Perché i giovani fanno un po' quello che vedono fare e quindi non avendo a volte dei modelli genitoriali così aperti al confronto, così aperti al condividere informazioni sensibili e personali, nonostante l’anonimato, c'è sempre un po' di riserva da parte del ragazzo nel contattare un servizio telefonico di questo tipo».72 Questo fa riferimento all’incapacità umana di vedere un problema come fonte di crescita e ricchezza. Se sono gli adulti in primis ad avere paura di esprimersi, di raccontarsi, di togliersi la maschera e farsi vedere fallaci, come possiamo pretendere che lo facciano i loro figli? I bambini imparano per imitazione, quindi quando questi bambini crescono e diventano adolescenti, molto spesso sanno solo simulare il comportamento dei loro adulti di riferimento; questo è quanto avviene fino a che non sviluppano uno spirito critico tale da permettergli di costruire la loro personalità. Ma fino a quel momento, fino a che il loro pensiero riflessivo e critico non si è consolidato, sono i genitori che devono essere d’esempio e fungere da guida. Proprio per questo all’interno di GenGle, attraverso incontri e conferenze con esperti, si cerca di formare anche i genitori, insegnandogli a scoprirsi, a farsi vedere erranti e fallaci; facendogli capire che per un ragazzo è più importante vedere un genitore che cade e si rialza, piuttosto che uno che non cade mai. In questo modo si cerca di renderli consapevoli che l’enorme responsabilità che hanno nei confronti dei loro figli non è essere perfetti, ma essere esattamente come sono: umani.

GenGle inoltre ha attivato, in collaborazione con l’Università degli Studi di Firenze (Cattedra Transdisciplinare UNESCO UTC), il progetto “Linea di ascolto telefonico”.

Questo servizio è rivolto ai genitori e il ruolo degli operatori in questo caso è più simile

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Citazione estratta dall’intervista ad Andrea Santi consultabile, per un approfondimento, in Appendice.

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a quello di un amico che chiameresti per dirgli che stai male e che hai bisogno di aiuto, la differenza è che qui sei sicuro di poterlo fare in totale libertà e di ricevere l’aiuto più mirato possibile.73 Si sta facendo riferimento a questa iniziativa di GenGle perché, nonostante sia un servizio simile alla linea chat rivolta agli adolescenti, è stato diffuso e utilizzato molto più facilmente e rapidamente. Il Dott. Andrea Santi spiega che nei genitori che vivono la separazione nasce spesso un forte senso di colpa che li porta a cercare uno strumento, un modo, una soluzione ai problemi che hanno con i loro figli.

Alcuni pensano che rivolgendosi ad un esperto avranno la ricetta giusta per ottenere ciò che vogliono o comunque ad ottenere un cambiamento. «Mentre l'adolescente in questo è più sguarnito, non ha ben chiaro neanche ciò che vuole sotto certi punti di vista».74 I ragazzi, normalmente, invece di cercare una soluzione tendono a deviare il problema.

Molti si vergognano degli amici che se scoprissero della chat con un operatore GenGle probabilmente li prenderebbero in giro, altri invece non si sforzano nemmeno di cercare servizi come questo ai quali chiedere aiuto. L’adolescenza è per definizione un periodo di smarrimento, di confusione, di poca lucidità. E anche per questo i ragazzi sono un pubblico difficile da raggiungere e da trattenere.

Andrea Santi, inoltre, menziona un altro aspetto importante emerso dalla sua esperienza in questa linea di contatto, e lo fa con queste parole: «Tanti di quelli che mi contattano, non mi contattano per problemi con i genitori o per problemi derivanti dalla condizione genitoriale, ma alcuni mi contattano perché hanno litigato con l'amica, perché l'amico si è fidanzato con l'amica, e quindi chiedono se possono essere ancora amici nonostante si siano fidanzati, e questo fa emergere comunque un forte spaesamento dal punto di vista relazionale dei giovani d’oggi, che non hanno dei modelli relazionali solidi».75 Come si può facilmente dedurre da questa citazione, i ragazzi che chiedono aiuto agli esperti di GenGle Teen hanno semplicemente bisogno di un confronto, di una persona con cui sfogarsi e confidarsi, perché sostanzialmente si sentono soli e incompresi.

La sensazione che provano è che il loro dolore in certe situazioni è così inspiegabilmente forte che un genitore, così forte e sicuro di sé, non potrebbe mai capire. È importante

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Redazione GenGle, Apre il centro di ascolto telefonico GenGle, https://gengle.it/blog/517-apre-il-centrodi-ascolto-telefonico-gengle, consultato il 20 gennaio 2021 alle ore 19:30.

74 Citazione estratta dall’intervista ad Andrea Santi consultabile, per un approfondimento, in Appendice.

75 Citazione estratta dall’intervista ad Andrea Santi, consultabile in Appendice.

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invece che i ragazzi abbiano dei modelli di riferimento solidi con i quali confrontarsi, senza paura di sembrare troppo vulnerabili o deboli. In queste situazioni il ruolo di Andrea Santi è molto simile a quello di fratello maggiore. Può dare un consiglio, può indirizzare l’utente verso il comportamento più maturo e responsabile, ma poi lo scambio finisce lì.

In questi casi non c’è molta possibilità di andare in profondità e di scavare all’interno per trovare il problema reale che sta alla base, perché non è ciò che il ragazzo in quel momento richiede.

Per riassumere, quindi, possiamo dire che arrivare ai giovani, far capire loro l’importanza e il valore dell’opportunità che GenGle gli sta offrendo non è semplice, e questo può essere un grosso limite per il servizio. Un primo problema è legato alla difficoltà di trovare la persona “giusta” per rispondere ai messaggi dei ragazzi. Un secondo ostacolo è legato invece alla diffusione e alla pubblicizzazione del servizio stesso, che essendo rivolto ad adolescenti, si rapporta con un pubblico ancora poco consapevole e quindi poco disponibile e interessato all’incontro con l’adulto.

3.4 Proposte per il futuro Nonostante, come abbiamo appena visto, questo servizio presenti delle difficoltà per quanto riguarda la diffusione tra gli adolescenti, chi guida le attività GenGle non si scoraggia facilmente, anzi, sono già diverse le iniziative e le idee che Giuditta Pasotto sta sviluppando per far fronte a questi problemi, e durante l’intervista le spiega così: «Non abbiamo mai avuto budget per pubblicizzarlo questo servizio e quindi è molto limitato, ma quello che io sto cercando di fare ora, proprio con dei bandi, è di trovare il budget per promuoverlo e pubblicizzarlo. Perché secondo me ce n'è un bisogno immane, perché sei in uno spazio dove non vieni giudicato, puoi dire veramente tutto in maniera libera. Io avrei tanto voluto da ragazzina, quando ero arrabbiata, che comunque mi mancava papà, che comunque mi dispiace vedere mia mamma piangere, cioè le avrei volute dire queste cose, però poi decidi di non farlo, e quindi la mia speranza è quella di riuscire a creare proprio un servizio dove questo può succedere». E ancora: «Ha bisogno di essere solo ampliato e pubblicizzato, infatti ora ho preso delle persone a farlo e spero di riuscire insomma ad arrivare […] l'ideale sarebbe quello di trovare una chiave per entrare nel

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mondo dei ragazzini e farlo promuovere a loro. Lavoreremo su questo fondamentalmente».76 Pasotto è una donna molto intelligente e determinata. Ha creato GenGle “più da figlia che da moglie”, nel senso che uno dei suoi obiettivi principali è quello di essere di supporto ai ragazzi, ai bambini, ai figli di genitori single, per ascoltarli, supportarli e aiutarli in questo periodo delicato. È molto consapevole della difficoltà a comunicare che i ragazzi incontrano in questo momento, perché lei stessa ha vissuto quel disagio. Il suo scopo è quello di offrire ai giovani un “amico” con cui poter parlare liberamente, e nell’inseguire questo scopo ci mette tanta passione. Conosce diverse tecniche di comunicazione strategica ed efficace, sia verbale che digitale. Insieme al suo team pubblicizza gli eventi e le attività GenGle su vari canali e praticamente su tutti i social network. Per coinvolgere i giovani e promuovere questo servizio GenGle ha avviato campagne pubblicitarie mirate, selezionando un target tra i 16 e i 18 anni su Facebook.

Inoltre vengono pubblicati video promozionali su YouTube, Instagram e TikTok, tutte piattaforme utilizzate quotidianamente dai più giovani. In futuro a Giuditta Pasotto piacerebbe avere il budget per sponsorizzare GenGle Teen anche con l’aiuto di qualche giovane Influencer, che con la sua immagine e visibilità mediatica sicuramente catturerebbe maggiormente l’attenzione dei ragazzi. Piccoli passi che potrebbero contribuire all’aumento di visibilità, e quindi di diffusione, del servizio.

«L'ideale sarebbe andarlo ad attaccare alle scuole superiori»77 dice Pasotto, riferendosi ad un altro tipo di pubblicizzazione, non più digitale, ma di volantinaggio o di passaparola. Uno dei sogni di Giuditta Pasotto è quello di avere un giorno l’autorizzazione per poter appendere nelle bacheche delle scuole superiori di tutta Italia un volantino GenGle, dove i ragazzi possano trovare il numero di telefono da contattare in caso di bisogno e qualche breve informazione sul servizio. Questo permetterebbe a genitori e figli di venire a conoscenza almeno dell’esistenza dell’iniziativa promossa da GenGle e la diffusione di queste informazioni potrebbe avvenire anche attraverso il passaparola.

Anche il Dott. Santi risponde similmente a questa domanda dell’intervista e racconta i suoi due più grandi sogni rispetto al Whatsapp di supporto ai teenagers in questo modo: «Il primo sarebbe quello di farsi conoscere di più e quindi anche attraverso il passaparola

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Citazione estratta dall’intervista a Giuditta Pasotto, consultabile in Appendice.

Citazione estratta dall’intervista a Giuditta Pasotto, consultabile in Appendice.

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fra i giovani. Ma questo obiettivo si raggiungerà quando non sarò più sufficiente io, perché fino a che basta una persona sola per coprire il territorio, evidentemente la densità di frequentazione di questo spazio simbolico è bassa ancora. […] L'altro obiettivo a lungo termine invece potrebbe essere proprio il passaggio dalla figura di mentore, il vecchiettino con la barbetta tipo maestro Miyagi, a invece trovare più riferimento in ragazzi più prossimi. Quindi come ti dicevo prima, per il quindicenne il diciottenne, per i diciottenni i ventitreenni, e così via. In modo tale che i ragazzi che trovano o che hanno trovato sostegno e aiuto all’interno del servizio GenGle si proponessero loro stessi come volontari, e quindi come guide, come metaguide per i ragazzi».78 La proposta di Andrea Santi è davvero molto interessante. La sua idea è che negli ultimi anni il divario generazionale è sempre più ampio e il modo di vivere, le tendenze, i linguaggi, cambiano in tempi molto brevi. Quindi un ragazzo, per esempio, di quindici anni trova molta difficoltà a comunicare e ad aprirsi con un uomo di trenta, perché lo vede distante rispetto a lui, diverso, “troppo vecchio”. Interessante potrebbe essere quindi coinvolgere dei ragazzi giovani che, volontariamente, si propongono di partecipare all’iniziativa GenGle nelle vesti di operatori che offrono aiuto. Questo potrebbe essere un progetto da sviluppare in collaborazione con le scuole superiori, dove i ragazzi svolgono attività formative curricolari per completare il percorso di studi. Lo scopo è quello di creare un rapporto di vicinanza, di prossimità tra chi scrive per chiedere aiuto e chi lo da.

Tutte queste proposte per il futuro sono in fase di sviluppo. Giuditta Pasotto, Andrea Santi e tutto il team GenGle si impegnano quotidianamente per portare a termine le iniziative e diffondere sempre più gli scopi, i princìpi e la missione di GenGle. Il movimento GenGle, dalla sua nascita nel 2015 ad ora, ha vissuto un’ampia espansione e ciò che tutta la comunità si augura è che questa crescita continui ancora nei prossimi anni.

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Citazione estratta dall’intervista ad Andrea Santi, consultabile in Appendice.

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CONCLUSIONE Il presente lavoro di ricerca ha voluto evidenziare come il fenomeno GenGle, insieme a GenGle Teen, rispondano a bisogni reali della società contemporanea. I componenti delle famiglie monogenitoriali, sia genitori che figli, hanno bisogno di ascolto e comprensione, di circondarsi di persone che vivono in circostanze simili alle loro e quindi che non li possano giudicare. La community GenGle permette ai suoi membri di togliersi la maschera della perfezione, per poter essere liberi di spogliarsi e aprirsi, raccontando le proprie paure, i propri dubbi e le proprie incertezze, all’interno di un ambiente protetto e accogliente. Questi sono i principi fondamentali di GenGle, un movimento attento ai bisogni dei ragazzi e di chi li circonda. Un’associazione che insegna ai genitori come capire i propri figli e ai figli come interpretare il comportamento dei propri genitori, alla ricerca di un punto d’incontro, di comprensione reciproca, con lo scopo di migliorare le circostanze di vita degli uni e degli altri.

GenGle ha grandi aspettative per il futuro e il team lavora costantemente per raggiungere tutti gli obiettivi di crescita prefissati. La professionalità, lo spirito d’iniziativa e la determinazione sono elementi che non mancano in questo movimento.

Con la speranza di poter aiutare quante più famiglie e persone possibile, i membri di GenGle continuano con passione e dedizione il loro lavoro di supporto e aiuto alla comunità.

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APPENDICE Interviste ai professionisti di GenGle

Intervista alla Direttrice Giuditta Pasotto Data dell’intervista: 12/01/2021 Luogo dell’intervista: Piattaforma Zoom Insider: Giuditta Pasotto Outsider: Gioia Grandi Gioia: «Bene sono contenta che siamo riusciti ad iniziare dopo qualche problema tecnico. Allora ti richiedo di nuovo il consenso per la registrazione».

Giuditta: «Ti do il consenso a registrare».

Gioia: «Allora, prima di tutto volevo dirti grazie per avermi concesso questo tempo per parlare con te, immagino tu sia molto impegnata in questo periodo, quindi ecco grazie per questo tuo contributo alla mia tesi. Poi volevo dirti anche che io ti stimo molto perché in realtà è un po’, scrivendo la tesi, che seguo le attività GenGle e anche un po' la tua storia, quindi è davvero un piacere conoscerti ecco».

Giuditta: «Grazie».

Gioia: «E poi ovviamente ci tengo a sottolineare che la registrazione e tutto il materiale che adesso stiamo registrando verrà usato soltanto a scopo della mia tesi e non verrà divulgato da nessun'altra parte».

Giuditta: «Ok, nel caso son pronta a tutto».

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Gioia: «No, non ti preoccupare. Allora io pensavo così brevemente di raccontarti un pochino la mia storia e il motivo per cui ho scelto questo tema».

Giuditta: «Volentieri!».

Gioia: «Allora io vengo da un paesino molto molto piccolo in provincia di Rovigo, in Veneto. Infatti come senti non ho l'accento fiorentino. I miei genitori si sono separati quando avevo sei anni e in realtà erano una coppia di fatto, quindi una separazione di fatto, cioè convivevano però ecco non erano sposati. Io poi ho scelto, insomma diciamo anche un po’ per legge, di vivere con mia mamma e quindi ci siamo trasferite in un'altra casa. Poi mio padre ha avuto un'altra relazione, insomma ha creato una nuova famiglia dalla quale sono nati i miei tre fratelli, che sono per me fratelli al cento per cento, e sta ad oggi ancora con la sua nuova compagna. Ovviamente, come di solito succede, il rapporto con mio padre è molto diverso da quello che ho con mia madre, perché a parte il fatto che ci ho vissuto, però insomma mio padre è un po’ più distaccato. Però diciamo che io mi ritengo abbastanza fortunata, perché penso di essere riuscita negli anni ad elaborare tantissimo tutte queste cose e ad accettare il fatto che i miei genitori sono così e insomma questi mi sono arrivati non si possono cambiare. E nonostante insomma ovviamente queste vicende cambiano tanto le nostre vite, ad oggi mi sento comunque una persona anche grata di questi ostacoli che la vita mi ha posto davanti, perché mi hanno permesso di arrivare dove sono oggi e probabilmente anche ad interessarmi a tutti questi temi.

Adesso studio all'università di Firenze, sono qui nella casa dello studente in centro perché ho la borsa di studio del DSU; sto finendo la triennale perché devo soltanto laurearmi, ma ho già iniziato la magistrale in Scienze dell'educazione degli adulti, della formazione continua e Scienze pedagogiche. Ho scelto come relatore la prof.ssa Mancaniello perché già dalla prima lezione mi sono innamorata di lei e del suo metodo di insegnare, anche lei è una persona che stimo tantissimo. Quando sono andata a parlarle del tema della mia tesi io gli ho detto che volevo qualcosa che mi coinvolgesse, che mi rendesse veramente partecipe anche no della tesi stessa e così le ho raccontato un po’ la mia storia. E lei mi ha detto “Ho il tema giusto per te! Fai l’analisi del servizio GenGle!”, e così mi ha spiegato brevemente cosa fosse GenGle e i servizi che offriva. Poi sono partita e mi sono

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interessata. Ma iniziamo adesso con le domande rivolte a Giuditta. Ti chiedo qual è un po’ la tua storia e come è nato GenGle».

Giuditta: «Allora senti come prima cosa, trovi anche un post che ho fatto abbastanza recentemente, la mia famiglia è veneta e i miei nonni sono stati la prima separazione del Veneto nel ‘32 tipo hanno fatto una sorta di separazione, poi quando è passata la legge, non mi ricordo l'anno, sono stati proprio i primi fuori dall'ufficio insomma ad avere questa sentenza. I miei genitori si sono separati e mio papà anche lui, come il tuo, si è risposato e ha fatto una nuova famiglia. Non ha avuto altri figli, ma la sua moglie aveva un'altra figlia. Mia mamma invece è rimasta sola per diverso tempo, poi si è riaccompagnata quando io ero già adolescente e in famiglia mia non esistono coppie unite, cioè penso che in tutti i rami che siano nonni, bisnonni, mia nonna è rimasta vedova giovanissima e le mie zie sono tutte separate. Cioè ho proprio un curriculum di modelli familiari anche molto matriarcali volendo, anche perchè poi come esercizio ho rifatto il mio albero genealogico e ho ripercorso appunto un po' all'indietro quella che è la storia della mia famiglia. Detto questo, questo lo uso spesso scherzando, dicendo che solo io avrei potuto fondare GenGle, perché ho proprio i geni dentro della separazione. Detto questo, io quando racconto di GenGle, e questo penso possa essere molto interessante anche per la sua tesi, dico sempre che l’ho fondato più come figlia che come moglie, nel senso che quando da figlia, poi ora io sono più grande di te, negli anni ‘80 essere figlia di genitori separati era veramente discriminante, in più io ho avuto anche la sfortuna, se ne parlava ieri con mia mamma, che lei era molto bella, cioè proprio quelle insomma che la gente si gira a guardarla per strada e nel momento in cui è rimasta sola a me mi hanno tagliato fuori da qualunque festa, da qualunque invito perché era diventata un pericolo e negli anni ‘80 appunto la donna separata era quella pericolosa, che aveva voglia di scopare, detto proprio in maniera brutale. E mi ricordo che ad una festa di compleanno dove si andò, ci fu un babbo di un compagno di classe le disse “Se ogni tanto hai voglia di scopare ci penso io”. Ma mia mamma calcola che penso non abbia più fatto sesso da quando è morto mio papà, quindi ecco era bella, ma non era né una bella che sapeva di essere bella, né una che si è mai atteggiata a bella, cioè proprio una semplice. E oltre alla discriminazione a scuola, quindi il fatto che i compagni letteralmente mi bullizzassero, perché ero l'unica, non so se della classe o della scuola, con i genitori palesemente

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separati, perché mio papà tornò in Veneto, quindi non c'era proprio, e la frase tipo era “Il tuo papà ti ha abbandonato, non ti ha voluto nemmeno tuo padre”, roba del genere, e non avendo nessuno con cui confrontarmi, io poi sono sempre stata molto chiusa, non potevo parlarne a mia mamma, perché mamma già stava malissimo, e quindi non è che volevo infierire. Poi sai, noi femmine siamo molto sensibili e in più ci piace forse questo status di soffro io ma non condivido per non appesantire, e quindi non le ho mai raccontato in maniera diciamo aperta quanto succedeva a scuola, che però era molto peso, tant'è che un paio di volte sono arrivata anche a menare i miei compagni di classe perché infierivano su questo argomento. Ho sviluppato tanto la fantasia in quel periodo, perché appunto mi creavo storie. Lì mia mamma fece una scelta che ora, da adulta, non so se condivido, nel senso che anch'io, come dicevi te, ho lavorato tantissimo, perché penso che abbia influito tanto il rapporto con mio padre. Proprio tanto. Perché non c'è stato. Lui è sparito che io avevo tre anni ed è riapparso quando ne avevo tredici, quindi è stato proprio un bel trauma. La cosa per cui GenGle l’ho fondato più da figlia, è stata veramente la mancanza di un confronto. Cioè tipo, avessi incontrato una come te, che mi dice che il padre si è separato, che ha rifatto dei figli, non è che poi dobbiamo parlare di quello, però so che non mi stai giudicando. E quindi quando mi sono separata la prima cosa che ho pensato è stato dare la possibilità ai miei figli, poi la mia situazione è un po' strana, dopo te la racconto, di normalizzare questa situazione. Quindi di avere semplicemente un qualcuno con cui confrontarsi, vedere che i separati sono tanti e capire che non è un dramma e comunque renderla una situazione normale. Io penso sempre che è un po’ come portare un ragazzino sulla sedia a rotelle ad una festa dove tutti sono in sedia a rotelle. E questa è una cosa che ci tengo a spiegarti bene, perché molti mi hanno detto “Scusa ma perché devi discriminare? Portami semplicemente ad una festa”. Cioè secondo me, quando sei figlia di separati o quando ti separi, ti porti comunque dentro un pezzettino di qualcosa che ti fa sentire diverso, che poi non è mica niente di che. Io non mi vergogno della mia separazione, non mi vergogno che i miei si sono separati, cioè non ho nulla che non va.

L'unica mia preoccupazione è stata veramente da figlia, e uno dei successi che attribuisco a GenGle è proprio l’impronta che gli ho dato. Se tu guardi io ho fatto diverse analisi sui competitor e uno che è nato da poco, da due anni, è fondato da avvocati, loro mirano a farti separare con loro. Che è anche giusto, perché uno dice comunque ti do una guida. Sì però quando uno si separa vuole essere abbracciato. E guarda ieri stavo scrivendo la mia

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bio perché mi è stata richiesta e quindi la stavo rileggendo con mia mamma, e mia mamma mi ha detto, stavo parlando proprio della mia separazione e io avevo scritto che mi sentivo allo sbando, persa, e lei mi fa “Giuditta non puoi dare un’immagine di te così, senza freni, che avevi perso le redini!”, e io le ho detto “Mamma non è credibile che scrivo che saldamente ho tenuto il punto e che sono riuscita…”, e quindi gli ho detto che va bene che ho detto anche questa cosa, cerchiamo di normalizzarla, cerchiamo di spiegare alla gente che bisogna starci nel lutto, bisogna essere tristi, bisogna avere il periodo in cui si mangia il gelato direttamente dalla ciotola e si piange e si guardano i film d'amore, cioè secondo me ci sono alcune questioni che non vanno bene, perché la gente non ne parla.

Nel momento in cui, anche lì trovi sempre un mio post su Facebook eventualmente. Allora io ho sofferto tantissimo di depressione al primo lockdown, sono proprio andata giù di brutto, mi son fatta di psicofarmaci e xanax pesantemente e l'ho raccontato, perché a parte che secondo me fa bene, infatti se guardi sotto ci sono tipo 500 commenti e io calcola che non è che ho tutti sti follower da dire».

Gioia: «Chissà quante persone si sono trovate nella tua stessa situazione e hanno detto “Ma guarda, non sono l'unica!”».

Giuditta: «Bravissima! In più, dico sempre, proprio perché ho un minimo di ruolo un pochino sopra, nel senso che sembro un po' di più quella un pochino più modello diciamo, secondo me è proprio per questo che il fatto di raccontare tutte queste sensazioni, insomma tutte queste cose, secondo me è quello che ha fatto un po’ la chiave di volta di GenGle. Io, all'inizio di GenGle, ho proprio raccontato sia la mia separazione: come stavo male, i problemi economici, i problemi relazionali, insomma tutte queste cose qua, perché le persone hanno bisogno di sentirsi non diverse. Guarda, mio figlio ora va a scuola, ha iniziato ora la prima superiore, ed è il più bravo della classe. Ma lui è un “ciuco”, nel senso che lui alle medie era tipo il terzultimo, ha fatto delle medie tostissime, ci mancava solo che gli chiedessero di fare le versioni di latino e poi aveva fatto tutto. Ha sofferto per tre anni, ha arrancato proprio, ma lui ora è alle superiori, non fa niente e mi dice “Mamma è brutto, perché siamo in due bravi in classe! Preferivo quando arrancavo ed ero nel mezzo”, per dirti. Perché i ragazzi hanno molto bisogno di normalità, e quindi il fatto di avere un qualcosa anche oggi che può essere diciamo, poi per i ragazzi di oggi è molto

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meno ghettizzante, però guarda ti racconto un aneddoto che spiega secondo me bene com'è il mondo oggi. Mi scrisse tempo fa una mamma, una mail bellissima: “Mio marito lavora sulle piattaforme, sta via sei/otto mesi l'anno e quindi sono praticamente una GenGle, sono tanto sola perché poi comunque essendo sposata tendo a non uscire troppo, perché comunque sai che quando il marito non c’è si tende ad avere una vita sociale minima, posso uscire con i GenGle?” e siccome era abbastanza all'inizio, eravamo in quattro/cinquemila utenti, lo chiedo ai GenGle e dico “ma ragazzi ma se noi si iniziasse ad accogliere anche le donne che hanno i mariti che magari sono piloti o lavorano all'estero o cosa del genere, vi andrebbe bene?”. Ci fu un plebiscito per il no. E io rimasi di ***** perché dissi, ma guarda sti ******* rotti in ****, che prendono prendono e poi appena arriva qualcuno un po' diverso, no. Bene. Io scrissi allora a questa signora spiegandole come mi sono mossa, proprio con una totale disponibilità, ho fatto questo sondaggio, ho chiesto anche di motivarlo, perché ovviamente dire no è facile, però i GenGle non l'hanno presa bene, allora ho pensato che si potrebbe comunque fare una prova, per vedere lei come si trova, perché comunque integrarsi bla bla bla. La risposta fu: “Siete un gruppo di invidiosi di *****, non siete stati in grado di tenervi neanche un marito, quindi non mi aspettavo nulla di diverso da quello che mi avete risposto”».

Gioia: «Ecco, si è risposta da sola!».

Giuditta: «Esatto, brava! Però lo vedi che in un angolino del cervello c’aveva quest’idea di essere superiore a noi comunque, dopo due anni si è separata ed è tornata.

Però per dirti, io racconto sempre questo aneddoto, perché il matrimonio è e rimane ancora uno status symbol, e su questo ci ho lavorato molto. E quindi, il fatto di dire, sono la moglie del dottor x, sono la moglie di, te quando ti descrivi fai, tipo nel tuo caso no, non lo so, sono la figlia di, studio questo, faccio quest'altro; io Giuditta se mi presento dico sono la mamma di tre bambini, ho fondato GenGle, sono sposata ecc. Quindi nel mio essere c'è anche il matrimonio. Nel momento in cui ti separi, il fatto che ti venga a mancare o lo status dove ti sei collocata o il tenore di vita, ti destabilizza totalmente. E quindi diciamo questa è anche una cosa notevole, perché alla fine te fai del matrimonio non solo un’ancora di salvezza, ma è una sorta di nido o di bolla che te ti senti di aver costruito anche per i tuoi figli. Io guarda sono stata ad una cena di classe di mio figlio,

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dove c’avevo seduta davanti una mamma che fa il cardiochirurgo a Careggi e lui che non so cosa faccia, però tipo professore o qualcosa del genere, e poi c'era il figlio. Il figlio era molto sovrappeso, con la camicia sempre bianca, tirata su un po’ alla Fonzi, con l'ultimo iWatch, l'ultimo iPhone e tutte queste cose qua, vestito sempre con marchi pazzeschi e cose così. Durante la cena diciamo che io Gully, mio figlio, cercavo sempre di prenderlo un po' in giro, perché gli dicevo guarda che a lui stanno compensando qualcosa. Dopo un po’, sempre durante questa cena, lei viene da me, mi tira da parte e mi dice: “Ma lo sai che ti seguo tantissimo? Perché noi in realtà siamo separati”. Io ho subito pensato ecco, lo sapevo, lo sapevo. In pratica loro sono separati, solamente che stavano cercando di non dirlo, di non farlo sapere alla società. Perché comunque lei ha una posizione, che quando sento dire così mi fa sempre ridere, perché il cardiochirurgo se si separa o no non è che c'ha un impatto sociale, è più una cosa loro. E questo ragazzino era proprio il riflesso di questo, quindi andare a compensare una carenza sociale dal punto di vista affettivo con oggetti materiali. E questa è una cosa di cui sicuramente puoi avere il riscontro in quasi tutte le coppie di separati, perché si cerca di compensare economicamente, di riempire proprio un vuoto. Io feci una partaccia una volta ad una GenGle con cui sono in grandissima amicizia ora, perché ad una festa, lei c’aveva un figlio di quindici/sedici anni che stava giocando con altri ragazzini e gli fa “Mamma portami una Fanta!” e lei gliela porta, poi lui gli fa “No non voglio questa! Voglio quella fredda!” e la butta in terra, io a quel punto la fermo e gli faccio “Barbara ascolta ha le gambe, se io ti rivedo portargli una cosa oggi io ti giuro che ti cancello da GenGle” e lei “No ma sta giocando”, cioè sai proprio in balia di questo mostriciattolo. Ora, lei è rimasta servile ovviamente insomma limitandosi, un po' di nascosto, però ha sviluppato questo servilismo proprio perché comunque “poverino”. Ma io dico vi siete separati che c’aveva cinque anni, cioè che fai vai avanti così tutta la vita? Io capisco magari il primo anno, però dopo basta, piuttosto mandalo dallo psicologo. Quindi GenGle nasce pensando ai figli e questo per me è fondamentale. Nasce con eventi per bambini, nasce con eventi per ragazzi. Il primo step fatto è stato proprio quello di spiegare ai genitori con figli come includere gli adulti tra di loro, come includere i ragazzi, cioè quindi fare un grosso lavoro di inclusione sociale, anche perché all'inizio, e non c'era ancora il Covid, la gente quando dicevo “Si fa un evento dove ognuno porta qualcosa” tendevano a portarsi la loro insalatiera con la pasta, le patate, le cose ecc. Quindi ognuno porta qualcosa per se stesso. Invece abbiamo proprio

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insegnato la condivisione. La cosa bella e sconvolgente è che la condivisione non è insita nelle persone, cioè per me e per te magari è normale andare ad una festa e condividere, mentre per moltissime persone no. Quindi c'è stato bisogno veramente di insegnare questo e insegnando questo gli si è abbassato il livello di tensione e anche i figli, vedendo i genitori rilassati e buttati sul divano, che cantavano, che ballavano e, io dico sempre, nel punto di gioco si crea il dialogo, perché in genere il genitore è perennemente incazzato, perennemente giudicante e perennemente a cercare di correggere i comportamenti del figlio. Se te hai modo di fare una corsa coi sacchi, perdere, essere goffo e il figlio ti può ridere in faccia della tua goffaggine, lì c'è un punto di contatto che non puoi in altri modi trovare, e lì è proprio dove abbiamo lavorato tanto. Poi, ti dico la verità, me l'hanno stuprato GenGle, perché i figli sono cresciuti, quelli che avevano i figli di circa 11 anni e che ora ne hanno 17 magari non vengono più e quindi sono rimasti tantissimi eventi per single. Tipo andiamo in discoteca, andiamo di qua e andiamo di là. E’ mia intenzione rifare tutto il lavoro da capo, però questa volta strutturarlo online, quindi tramite newsletter, tramite insomma un modo un po' più automatizzato, anche se è diverso, però non è che posso andare in giro a fare l’animatrice per tutta la vita, è vero che è bello, però non mi pagano per fare questo. E diciamo questa è tutta la parte per i ragazzi. La cosa bellissima, sempre riguardo ai ragazzi sugli eventi GenGle, è la resistenza che hanno sempre fatto fin dall'inizio a partecipare agli eventi».

Gioia: «Immagino, infatti mentre scrivevo la tesi pensavo, ma chissà come li convincono ad andare? Io vedo anche mia sorella di 14 anni, cioè non vedono l'ora che i genitori vadano via di casa per stare in casa da soli e quindi riuscire a coinvolgerli non è una cosa semplice».

Giuditta: «Esatto. Quindi diciamo un po’ tramite bugie, del tipo semplicemente non ti dico dove si va, un po’ tramite insistenza, perché poi un'altra cosa che cerco sempre di insegnare ai genitori è: i figli non sanno cosa è bene per loro. E’ ovvio che se io ti dico che ti porto a conoscere un branco di sconosciuti, te non puoi pensare che sia una cosa sana o intelligente, è tutta la vita che mi dici di non parlare con gli sconosciuti e ora mi porti ad un pranzo o ad una cena con soli sconosciuti? E io dico sempre, non dovete dargli modo di scegliere, li portate punto e basta, se vi tengono il muso terranno il muso, amen,

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l'unica cosa che dovete fare è portarli e non dargli un telefonino. Negli eventi GenGle vengono vietati i telefonini. Non lo voglio proprio vedere. Quando c'ero io, passavo proprio con la cestina a raccoglierli, perché è ovvio che un ragazzino, se c’ha il telefono, si mette a tavola accanto al genitore e passa la serata attaccato al cellulare. Allora tutti i ragazzini, tutti, e ti assicuro che sono migliaia, per ora siamo a 100.000 iscritti, io ho smesso di uscire con i GenGle che eravamo a 40.000 iscritti più o meno, quindi ti posso dire non che ne conosco 40.000 ma ne conosco penso 25.000 di GenGle e di figli; i figli che venivano ai primi eventi col muso, dopo li portavi via che piangevano disperati e dicevano “No mamma ti prego, ancora cinque minuti!”. Quindi, anche lì, li porti fuori dalla loro zona di comfort, li porti fuori da tutto quello che è conosciuto, li porti fuori da tutto e quindi è normale! Guarda, ti faccio un esempio che porto spesso agli eventi GenGle. Il mio figlio più grande, e anche gli altri, però insomma lui essendo più grande l’ha vissuto più consapevolmente, li ho sempre portati con me in tutta Italia agli eventi GenGle, e avevano il compito, guarda io sono una persona molto esigente, veramente pesa, perché ho degli standard alti, e io imponevo ai miei figli di fare inclusione quando si andava agli eventi, e li ritenevo responsabili se vedevo bambini in disparte».

Gioia: «E quanti anni avevano?»

Giuditta: «Questo da quando avevano sei anni. Sei e quattro. Li avevo formati, gli avevo spiegato cosa dovevano fare, dovevano solo farlo. Considera che il più grande è timidissimo, potendo starebbe in un guscio. Allora, bene, li ho forzati a fare questa cosa.

Io mi ricorderò sempre che a Torino siamo andati a questo evento e c'erano 106 bambini e c'era sto tappolino, che all'epoca aveva tipo 8 anni, che ha spiegato a tutti cosa dovevano fare e dava i compiti anche ai più grandi, non voleva più venir via, si era divertito come un pazzo. Il mio figlio medio, che è invece il contrario, lui per esempio ha acquisito talmente tanta sicurezza che una volta è andato da delle GenGle che ad un evento stavano distribuendo dei regali a chiedere di potergliene dare un altro, perché quello che aveva pescato era da femmina. Noi a volte organizziamo questi eventi in cui ognuno porta un regalo, ma deve essere proprio una cosa che hai in casa e non usi più. La incarti e la metti lì, e poi qualcuno la pesca. Il suo giochino era da femmina e quindi lo voleva cambiare.

Andò da queste GenGle e gli disse “Senti, ora non voglio dire nulla, ma io sono il figlio

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della capa e posso farti buttare fuori in qualunque momento, l’ho richiuso e ho messo anche la carta per bene, me lo puoi cambiare per favore?».

Gioia: «E a quel punto gliel’hanno cambiato, sicuro».

Giuditta: «No! Ahahah no, assolutamente. Ti ripeto io sono molto esigente quindi sapevano che mi sarei infuriata. Però per dirti, hanno acquisito tantissima sicurezza, entrambi. Guglielmo, quando è stato il momento di scegliere le medie, ti giuro che non c'era un amico che andava a queste medie, anche perché appunto chi manda i figli lì probabilmente è pazzo. Ha scelto lui. Cioè nel senso, ovviamente io gli ho spiegato tutte le cose però, mentre se sentivi tutti i suoi compagni sceglievano la scuola in base agli amici, lui mi ha detto “Mamma cioè io mi sono fatto amici in tutta Italia nel giro di 5 minuti, non è che cambiar scuola mi arrechi questo scombussolamento, ci metterò quanto, una settimana? E sarà una settimana in cui starò senza amici”, per dirti. Quando lui mi disse questa cosa, io avevo vinto, cioè per me basta, io ho finito, e non è stato mai più condizionato da un amicizia. Allora, questo da un lato mi piace tantissimo perché anche ora che ha scelto le superiori, lui ora fa robotica, e l’ha scelta da solo, ha scelto libero, e secondo me GenGle ti insegna questo. Quindi ecco, per farti capire cosa c’è dietro a GenGle, quando mi dicono “E’ un social network” io muoio, perché per descrivere queste cose dovrei riuscire a trovare un termine, che non è neanche “comunità”, perché c’è tanto dietro. E io ti parlo di Gully perché ce l’ho in casa, ma la stessa cosa succede anche con gli altri figli. Anche questa è una cosa molto importante per me, ti faccio un esempio, io ora ti sto conoscendo come studentessa e magari fra 5 anni diventi una luminare, per me rimani la studentessa, perché comunque io ti ho conosciuto come studentessa, cioè purtroppo quando entri in una società, e questo succede a Firenze ma penso anche nel tuo paesino di Rovigo, se te ora ritorni a Rovigo da dottoressa, per loro sarai sempre quella bambina che magari si sbucciava le ginocchia, agitata, non lo so, e questo è un altro problema molto grande che ho vissuto da bambina. Io ero la figlia dei separati che menava tutti e quello è, cioè non se ne esce, io avevo questa etichetta. Cioè purtroppo il problema è che non importa il come ci arrivi, ma ti si attaccano addosso delle etichette che ti porti avanti per tanto tempo e il fatto di poterti levare queste etichette, e ti faccio un esempio, io dentro GenGle ho persone anche molto famose iscritte, tipo il cardiochirurgo, tipo il

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direttore del Corriere della Sera, tipo scrittori, tipo che ne so amministratori delegati di grosse aziende, te casalinga che non è che segui la finanza, sai una sega te di chi è quello.

C’è il direttore appunto di Repubblica o del Corriere della Sera che è un GenGle attivissimo a Milano, che nessuno sapeva chi fosse, era un babbo che quando è arrivato gli hanno detto “Guarda vai a sistemare la roba da mangiare e non rompere”. Allora in quel momento lui ha potuto levarsi la sua maschera impettita, perché te a lavorare se vai ad una cena aziendale non ti puoi portare il figlio e fargli così (fa un gesto amichevole col braccio in senso di intesa), perché sei il direttore e al figlio gli devi dire “Comportati bene, tieni il bicchiere così” e quant'altro. Dentro GenGle non ce ne può fregar di meno di chi sei, perché sei qui come genitore quindi puoi veramente levarti il vestitino che hai fuori. E anche questo, secondo me, è fondamentale ai fini non solo psicologici, ma anche per il figlio, perché vuoi o non vuoi noi la parte la recitiamo tutto il giorno. Perché se sei il direttore di un’azienda devi mantenere un certo comportamento sempre, invece il fatto di far vedere anche il lato normale, quindi far vedere che siamo umani, abbassa un po' lo standard. Perché poi c'è questa cosa dei figli che hanno il complesso. Sia mio papà sia mio nonno sono stati dei grandissimi imprenditori insomma hanno fatto cose che potrebbero farci dei film sulle loro vite, però non so come spiegarti siccome soprattutto di mio papà quando poi sono arrivata diciamo a conoscerlo ho visto tutta la parte fallace, perché mio papà aveva il pregio/difetto di non fare il padre, quindi lo vedevo alle feste che si divertiva, lo vedevo con la moglie che andava in vacanza, che da un lato mi uccideva perché non mi cagava, ma dall'altro lo vedevo come essere umano. E quindi era fallace, era sbagliato, non so come spiegartelo».

Gioia: «Sì, diciamo che decade un po’ l’idea di onnipotenza del genitore come idolo indiscusso, capisco perfettamente».

Giuditta: «Esatto, e anche su questo i miei figli mi prendono sempre in giro perché a volte faccio magari l'intervista o le cose, tutta così (si mette in posa rappresentando un ideale di perfezione) e poi dopo vado di là e faccio “Madonna che ********!”, per dirti no».

Gioia: «Beh e chi non lo fa? Ahaha».

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Giuditta: «Esatto! Però il fatto di farlo anche con altre persone, cioè io non lo faccio solo con loro. E’ venuta la Rai ad un evento GenGle e gli faccio “Ragazzi mi raccomando c'è la Rai, quindi si gioca a pallavolo, ma solo chi sa giocare molto bene, per i bagher mi raccomando piegate bene le ginocchia”, insomma tutte cose del genere, poi sono andati via e ci siamo sdraiati insieme. E non so come spiegarti, ti levi il vestitino, semplicemente questo. E lo puoi fare all'interno di GenGle proprio perché nessuno sa chi sei, cioè non è che entri e dici sono “tizio”, anzi ti dirò di più. Noi avevamo creato le GenGle chat, il gioco di parole era ovviamente voluto, che erano degli incontri, in “real life” ovviamente, di massimo otto persone, nelle quali io avevo creato tre livelli di GenGle chat. Nel primo livello avevi quattro domande, non si poteva mai parlare insieme, quindi c'era un moderatore che teneva il tempo, due minuti per domanda, ognuno parlava e rispondeva, non si poteva interagire, altrimenti poi si inizia a chiacchierare e non si finisce più. Allora, le domande erano banali, del tipo: “Senza dirmi quanti figli hai, senza dirmi che lavoro fai, senza dirmi di chi eri moglie o marito, descriviti”. E la gente partiva a piangere prima, cioè appena sentiva la domanda. Quindi, per esempio, il primo livello lo facevano due o tre volte, perché non riuscivano neanche a descriversi, dicevano “Due minuti, ma due minuti cosa? Mi bastano 15 secondi e mezzo!”. Anche lì cavolo era tutto un lavoro per tirar fuori il profondo, quello che c'è davvero, quello che ti piace e nel momento in cui lavori su quello è un po’ sempre tutto a catena e a ricaduta. perché ricade sui figli. Ora ti dico, tutta questa parte bellissima che io amo alla follia non tutti la capiscono, perché in GenGle molti, come dico spesso, vogliono solo mangiare-bere-scopare e quindi diciamo la classe un po’ più eletta, quelli che hanno capito il vero senso di GenGle, quelli che hanno capito tutto quello che c'è dietro, tutto quanto, saranno un terzo degli iscritti. Gli altri lo fanno, ma lo vivono passivamente, quindi ci sono genitori consapevoli che quello che stanno facendo avrà un impatto grosso sulle vite anche dei figli e quant'altro, e altre persone che lo fanno e lo vivono, ma senza rendersi conto di quanto sta cambiando il loro rapporto con i figli, di quanto sta cambiando il loro modo di essere e quant'altro. Detto questo, per arrivare diciamo al servizio di Whatsapp, quello dei teenagers, l'idea è stata proprio quella che da figlio, soprattutto oggi, non so come mai c'è questa cosa, chiedevo sempre a Gully (suo figlio) perché lo uso molto per avere uno specchio sugli adolescenti di oggi, gli ho detto “Gully, ma voi parlate mai dei vostri problemi, che ne so, la mamma

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che sclera?” e lui mi ha detto “No mamma, assolutamente no!”, perché tuttora c'è molto questa cosa di effimera perfezione, cioè cerchi di avere la vita che crei sui social, con gli amici. Ora lui ancora è piccolo, perché comunque ha solo 14 anni, magari verso i 18/19 anni, quando ti senti un po’ più sicuro probabilmente parli anche dei difetti. Però lui dice “No no, noi cerchiamo di corrispondere il più possibile a quanto viene fatto vedere sui social”, non che facciano vedere la Ferrari ovviamente, cioè non è che sono a quei livelli, ma semplicemente che ne so, sono in vacanza e mi hanno messo in punizione tre giorni, non è che lo vado a raccontare sui social ecco. L'idea di Whatsapp nasce dal fatto che, secondo me, un quattordicenne che ha…ad esempio, io ho un compagno che è odioso e quindi ogni tanto sclera, allora io dico, mio figlio a chi lo va a dire che il compagno della mamma ogni tanto sclera e gli dice “Non correte, non saltate”? Io gli dico sempre “Son bambini, non è che gli puoi rompere i ******** per queste cose” e su questo ci litighiamo praticamente 364 giorni l'anno. A chi lo dice? Lo dice a mia mamma, sì lo dice a mia mamma, poi io appena mia mamma me lo dice, prendo Gully e gli faccio “Se te dici un’altra volta una cosa del genere alla nonna ti svernicio!” perché poi ovviamente mia mamma mi viene e mi fa “Eh ma glielo devi spiegare che possono correre, perché bla bla bla” e quindi mi prendo le partacce. A prescindere da questo, che è un caso diciamo non grave, non mi piace il nuovo compagno della mamma, oppure mi sento trascurato da quando mio papà se n'è andato, mi manca mio padre. A chi le dici queste cose? E’ molto difficile. E siccome i ragazzi sono anche molto meno abituati a comunicare anche al telefono, l'idea di Whatsapp è proprio l'idea di dargli modo di scrivere nel loro linguaggio, nello strumento che più gli è consono, un qualcosa che gli crea disagio, perché secondo me è veramente importante. Ora noi, fino ad oggi, non abbiamo mai avuto budget per pubblicizzarlo questo servizio e quindi è molto limitato, ma quello che io sto cercando di fare ora proprio con dei bandi è di trovare il budget proprio per promuoverlo e pubblicizzarlo. Perché secondo me ce n'è un bisogno immane, proprio perché sei in uno spazio dove non vieni giudicato, puoi dire veramente tutto in maniera libera. Io avrei tanto voluto da ragazzina, quando ero arrabbiata, che comunque mi mancava papà, che comunque mi dispiace vedere mia mamma piangere, cioè le avrei volute dire queste cose, però poi decidi di non farlo, e quindi la mia speranza è quella di riuscire a creare proprio un servizio dove questo può succedere, ecco».

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Gioia: «E soprattutto, secondo me, magari uno lo fa, nel senso che ne parla con qualcuno, con lo zio, con la nonna, con l'amico di banco, e poi magari non è la persona giusta con cui confrontarsi. Magari ti dice “Ma ti lamenti sempre!” oppure altre cose, e quindi invece di essere una cosa positiva, diventa una cosa che ti fa chiudere ancora di più, oppure ti fa pensare di essere tu la causa del problema, oppure di avere delle colpe, quindi invece di essere un pro è un contro».

Giuditta: «Sì sì, brava! Anche perché guarda, capita anche con le amiche. Mi è capitato anche di recente. Te facevi l'esempio dello zio, lo zio che ti dice “Guarda sì ma dai lo sai che la mamma e il babbo litigano, però ti vogliono bene”, sta facendo il giusto, ma te vuoi solo sfogarti in certi momenti, e quindi sai anche già quello, ma è proprio una sorta di…

Bisognerebbe solo trovare qualcuno che sta zitto, capito? Che non ti dà risposte. Perché poi è normale che uno tenda a consolare, perché è difficile stare zitti davanti a una confessione, ma a volte è quello. A me è capitato ora con la mia migliore amica di raccontarle questa cosa del mio compagno, infatti ora siamo andati in terapia perché voglio che smetta di dire ai miei figli “Non correte, non saltate”, perché poi ovviamente mi frustro io, perché son bambini, e quindi mi tocca mediare su sta cosa; però per dirti anche lì, io voglio solo dire questa cosa, non voglio risposte dall'altra parte, perché tanto mio marito lo conosco io, so perché fa così, non mi devi dar consigli, mi voglio solo sfogare, te lo voglio dire, voglio lamentarmi e basta, non voglio che mi dici “Ah ma prova a dirgli…”, perché tanto le ho già provate tutte, non funzionano, infatti ora lo porto in terapia per questa cosa, per dire. Però come fai a dire ad un'amica “Ti dico una cosa ma devi stare zitta”?».

Gioia: «Ahahah io lo faccio con mia mamma. Tante volte quando poi sono diventata grande, gli dicevo “Senti mamma, io ti dico una cosa però tu stai zitta”».

Giuditta: «Ahahah ma davvero? E ci riesce?».

Gioia: «A volte. Mi dice “Ti posso dire una cosa? Basta che non ti arrabbi”. Capita su cose diverse, magari sulle cose dell'università o dello studio che lei non può capire, quindi

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come dici tu mi da dei consigli come se io non avessi già provato a risolvere il problema, ma in realtà ho solo voglia di lamentarmi».

Giuditta: «Esatto e quindi l'idea anche nella scelta di Andrea (si riferisce ad Andrea Santi, colui che risponde al Whatsapp GenGle) è stata voluta. Non so se l'hai conosciuto Andrea».

Gioia: «Sì, diciamo che ci ho parlato al telefono, ma di persona non ancora, lo dovrò sentire più tardi per un’intervista».

Giuditta: «Ah ecco! Allora, Andrea è buono, è una persona buona, è una persona particolare, perché lui non so se te l’ha spiegato ma fa parkour».

Gioia: «L’ho letto sì nella sua intervista nel sito di GenGle».

Giuditta: «Esatto è, i termini che uso li uso sempre in maniera bonaria, però è un po' un emarginato sociale. Ma non nel senso cattivo, emarginato nel senso che non è omologato. Fa parkour con la sua nicchia di parkouristi, ha i suoi credo un po’ anarchici, studia appunto life coach e cose del genere, è molto molto buono come persona e quindi è la persona perfetta, cioè io vorrei clonarlo e trovarne X come lui, perché il ragazzino che arriva, già il fatto di non trovare uno psicologo che quantomeno all'apparenza è perfettino, è già una cosa molto amichevole. Poi io dico sempre che è buffo perché lui, ti racconto questa ma veramente te lo dico con tenerezza, siamo andati in una trasmissione tv e si era messo tutto elegante, stava malissimo, perché era talmente fuori dal suo modo di vestire che sembrava ingessato con l' amido. Il fatto di vedere una persona così ti da una sicurezza inumana. Se lì fosse arrivato tipo Will Smith con il completo quello viola, che tu dici “Va beh Signore grazie”, avremo un tale senso di insicurezza, di disagio. Stessa cosa un è un po’ il ragazzino che si deve relazionare con qualcuno, mi piace che comunichi imperfezione e te non puoi chiedere da uno psicologo di mostrarsi imperfetto».

Gioia: «Sì sì, sono proprio due cose diverse».

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Giuditta: «Esatto. Questo può essere l'unico problema di scalabilità del progetto, che bisogna proprio trovare una persona che sappia, perché poi lui sa, però anche lì per esempio una cosa che mi fa sempre molta tenerezza, sta ed è sicuro, però anche quando si faceva i video mi diceva sempre “Dimmelo è se vuoi che dico altro”. E’ perfetto, perché questa insicurezza d’animo comunque traspare e per il ragazzino insicuro che telefona, il fatto di avere quello che ti da la soluzione non va bene. Lui magari te la da la soluzione, ma in realtà una cosa che mi è piaciuta molto di Andrea, non so se te l'ha spiegato questo, perché poi essendo anche molto umile non so fino a che punto sia conscio del suo sapere, lui ti continua a girare il punto di vista, per esempio lui ti dice “Ma tua mamma come si sente quando si dice queste cose?” e lui così ti fa ragionare».

Gioia: «Sì, io questo lo faccio spesso con me stessa, è una cosa che ti cambia tutto. Io mi sono risparmiata tantissime arrabbiature, perché ti metti nei panni degli altri e dici “Ma anche lui magari ha un problema con me, non è che solo io sono nel giusto e lui è per forza sbagliato. Cosa posso fare per far sì che quella persona cambi atteggiamento?”.

Che poi questa cosa giova pure a me, perché ovviamente se ne esce entrambi vincitori. Sì poi vabbè, quando ero adolescente non lo facevo assolutamente questo, mi scontravo a testa dritta, c’ho proprio delle scene di pazzia, tutt’altra persona».

Giuditta: «Sì esatto esatto. Però brava che sei riuscita ad applicarlo, io ancora non ci riesco, perché vuoi mettere la soddisfazione di litigare, il gusto. Però, ti ripeto, la chiave è proprio riuscire a trovare la persona giusta, perché è un servizio appunto molto particolare. Lui va bene per i maschi perché appunto anche solo il fatto per dirti di fare parkour, ora lui non è che deve raccontare la sua vita, però fa una cosa nella quale si allena, ha bisogno di disciplina e quindi comunque come servizio ti ripeto secondo me è fondamentale, ha bisogno di essere solo ampliato e pubblicizzato, infatti ora ho preso delle persone a farlo e spero di riuscire insomma ad arrivare. Paradossale dire non è facile arrivare ai ragazzini, perché abbiamo tutto un pubblico di genitori e non sono i genitori che possono dire al figlio “Guarda che c'è questo numero, se vuoi scrivi lì”, quindi l'ideale sarebbe quello di trovare una chiave per entrare nel mondo dei ragazzini e farlo promuovere a loro. Lavoreremo su questo fondamentalmente».

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Gioia: «Ma più o meno quanti sono gli utenti che usano questo servizio? Qual è la loro età?».

Giuditta: «Ma oddio senti, l’età è dai 14 anni in su, perché ovviamente in genere a quell’età hanno il cellulare di proprietà. Gli utenti generalmente, allora, dipende quanto si attaccano, nel senso che Andrea a volte ha passato una giornata a chattare con un utente, o due giornate magari, cioè dipende un po’ dai casi. Alcuni diciamo spariscono dopo i primi scambi, perché magari era proprio uno sfogo e basta, altri invece hanno bisogno di un po’ di più, in altri casi la cosa buffa è che chiamano i genitori dicendo che vogliono far chiamare i figli e anche questa è una cosa che ho cercato di precisare ai genitori che non si può fare. Quando chiamano i genitori non mi piace, perché il ragazzo, o almeno la sensazione che avrei io è che poi lo quello che dico lo vanno a riferire al genitore, è vero che Andrea glielo dice che tutto quello che viene detto rimarrà qua e tutto quanto, però da figlio, proprio perché magari una volta ti sei confessata con lo zio e poi lo zio l’ha confessato alla mamma e così via (fa riferimento all’esempio citato precedentemente), non penso ci sia tanta fiducia nel mondo degli adulti diciamo. E quindi Andrea sa che deve diciamo “levare i genitori di mezzo” il più possibile, a meno che non sia il genitore che vuole parlare perché il figlio magari non ha la minima intenzione di parlare, e allora chiede il genitore consiglio su come magari interagire col figlio. E quello è un altro paio di maniche. Però è buffo perché all'inizio mi diceva “Giuditta ma qua chiamano solo genitori!”, proprio per capire come leggere il figlio».

Gioia: «Certo, lo posso immaginare. Ma come vengono a conoscenza i ragazzi di questo numero? Perché io ho visto che c'è nel sito il numero con scritto “Il numero a cui scrivere!”, però ecco per quelli che non capitano sul sito GenGle, come possono trovarvi?».

Giuditta: «Allora, noi abbiamo fatto anche su TikTok (social network cinese lanciato nel 2016 molto utilizzato dai ragazzi tra i 16 e i 24 anni) dei video, che mio figlio mi ha detto “No, anche su TikTok mamma ti prego!”. Però sì, avevamo usato anche TikTok. Avevamo fatto campagne mirate ovvero, non so come si dice in gergo tecnico, però sono quelle che non vedono tutti, quindi non è un post, ma sono campagne mirate in cui

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selezioni tu un target, quindi ad esempio un target di utenti tra i 16 e i 18 anni su Facebook, però Facebook rende veramente veramente poco e quindi è nata l'idea ora con queste ragazze nuove di usare altri canali. Sicuramente il fatto di riuscire a divulgare anche tramite i gruppi di genitori, sai tipo che ne so “mamme di Milano”, oppure non so se ci sia anche “mamme di Rovigo” o cose del genere, è utile perché se poi iniziano a girare nelle chat o cose del genere, insomma poi piano piano si sparge la voce. Un po’ come era il Telefono Azzurro, sai che c'è, nel caso lo cerchi su Google e vai a cercarti il numero insomma. L'ideale sarebbe andarlo ad attaccare alle scuole superiori, cioè proprio se avessi un sogno direi “Guarda stampo X volantini e me li vai ad attaccare alle scuole superiori”, solo che non in tutte le scuole trovi le bacheche libere, dove puoi attaccare quello che vuoi, tipo “Faccio ripetizioni”, “Faccio la babysitter”, ecc. Mi dicevano che ad esempio su Milano devi avere l’autorizzazione della Preside e quindi ecco, diventa più complicato. Quindi, anche lì, un attimo mi sono stoppata. Sarebbe utile darli fuori dalla scuola, ma anche questo in realtà è un problema, perché il ragazzino che è con i suoi amici e che prende il figliolino con scritto “Se hai bisogno scrivici” lo butta via, perché sennò sembra uno sfigato. E quindi anche lì la veicolazione deve essere abbastanza capillare, ma silenziosa. L’ideale, sai cosa si potrebbe fare? Mi hai appena dato un’idea pazzesca!

Non so se conosci degli youtuber, tipo vabbè da femmina immagino tu li conosca meno, comunque mio figlio è fissato con CiccioGamer».

Gioia: «Sì sì, quelli che giocano e poi caricano i video su youtube, oppure fanno le dirette. Li conosco perché mio fratello c’ha 13 anni e anche lui me ne parla spesso».

Giuditta: «Ecco, allora sì. Praticamente è successo due settimane fa che non si sa per quali coincidenze astrali, Guglielmo gli ha scritto “Grandissimo Ciccio” e Ciccio gli ha detto “No grandissimo Guglie! Ciao” e lì apriti mondo. Praticamente ci ha tenuto a far vedere il replay di quando lo saluta e abbiamo girato la via, casa per casa, citofonando alla gente e dicendo “CiccioGamer mi ha salutato” e quant'altro. Allora ho visto una cosa che, ora non so quanto possa dar fastidio, però anche nei commenti tipo della Ferragni o dei vari influencer che comunque hanno tipo 1000 mila commenti per ogni post, qualcuno a volte scrive che ne so “Vendo scarpe online” con sotto il link al sito. Allora si potrebbe provare a scrivere, magari in privato, ma non è che voglio una risposta da CiccioGamer,

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però uno gli dice “Guarda, lascerò un commento sotto al tuo post per promuovere un servizio per adolescenti, sappilo” in modo tale che uno magari lo mette lì, sotto questi post o durante dei video».

Gioia: «Sì sì, può essere un’idea. Adesso va tanto, oltre a youtube, anche Twitch come piattaforma».

Giuditta: «Sì, siamo anche lì ahaha».

Gioia: «Per dirti, anche il mio ragazzo che ha 23 anni lo usa, e lui non è che sia un gamer, però gli piace metterselo anche solo come sottofondo e si fa compagnia così, con le dirette di Twitch. Un giorno, siccome lui studiando Architettura sa usare i vari programmi tipo Photoshop ecc, ha modificato una foto di Fedez e Louis Sal, ma così per gioco, non c’aveva niente da fare e l'ha pubblicata. In pratica Fedez l’ha vista e gliel’ha commentata in diretta dicendo che era fatta bene e che gli era piaciuta ecc. Non ti dico.

E’ andato fuori di testa. Tra l’altro, caso vuole che in quel momento ci fosse anche la Ferragni in diretta su Twitch e quindi niente lui ha fatto la registrazione schermo e l’ha mostrata a tutti, esattamente come tuo figlio. Per dirti che l'impatto di questi influencer è forte sia sui ragazzini sia sui ragazzi più grandi ecco. Poi sì, pian piano le idee vengono.

Ma infatti volevo chiederti, te cos’hai studiato per essere così informata e così competente in tutti questi campi, l’uno diverso dall’altro? Perché sei un’animatrice, un’educatrice, una formatrice, un’imprenditrice, una social influencer, insomma un sacco di cose.

Voglio fare anch’io la tua scuola».

Giuditta: «Grazie. Allora senti ho studiato tanto e sto studiando tanto, calcola che ora sto facendo Scienze della Comunicazione all'Università, in pratica prima ho insegnato e ora sono all’Università, è imbarazzante! Sono un direttore creativo, quindi ho una conoscenza molto vasta su tutto quello che è comunicazione visuale e quindi foto, video, film, grafica, conosco qualunque programma, appunto parlavi prima di Photoshop, Illustrator, InDesign, che ne so, programmi di montaggio video, qualunque cosa possa servire a comunicare io la conosco diciamo. E questa è stata la prima base, perché per me la comunicazione è fondamentale. Dopodiché c'è stata vabbè tutta la grande passione per

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la psicologia e tutto quello che riguarda il mondo della psicologia. Avevo iniziato a fare psicologia del lavoro perché mi occupavo di selezione del personale, però poi ho capito che non fa per me, nel senso che secondo me sicuramente serve studiarla e serve tutto, nel senso lo studio serve tantissimo, però mi teneva un pochino troppo bloccata a quello.

Quindi le cose di psicologia del lavoro, per esempio, le sto usando e le uso sulla parte di GenGle. Ora per esempio c'è stato anche un esame che ho dato di organizzazione aziendale e ho detto “Cavolo ma sono le cose che io faccio su GenGle!”, quindi le ho fatte senza averle studiate diciamo. Un po’ per sensibilità e un po' perché ripeto secondo me ho applicato studi di una cosa ad altri settori e alla fine diciamo arrivi un po’ alla stessa conclusione. Poi c'è da dire che ho avuto la fortuna di uscire di casa a 15 anni perché sono andata a studiare all'estero e sono stata in un collegio».

Gioia: «Anch’io, mamma mia abbiamo tante cose in comune!».

Giuditta: «Davvero? Ecco quello vuol dir tanto. Io mi ricordo sempre sono tornata una volta, e c’avevo forse 16 anni, a casa e a mia mamma era saltata una doga del letto. Lei subito voleva chiamare qualcuno e io le ho detto “Mamma basta fare leva e la rimetti”.

Per dirti. Però vivendo da soli presto, ti abitui a ragionare, a studiare una soluzione, in più il fatto secondo me di aver vissuto in un’epoca dove non c'era Internet, perché ora vedi basta scrivere su Google “Doga del letto rotta” e ti escono tutte le istruzioni. Mentre prima dovevi proprio insegnarti, andare a prendere un libro, chiedere a qualcuno, dovevi un po’ arrangiarti. E quindi secondo me la base diciamo della mia natura creativa, unita al fatto di aver letto tanto, ricercato tanto su tutto, io dico sempre a me interessa tutto, mi puoi parlare di qualunque cosa e a me interessa. E questo, ti ripeto, aiuta tanto, perché spazi di continuo, riesci a contaminare».

Gioia: «Eh ma si vede, si vede proprio questa cosa, traspare».

Giuditta: «E poi senti le altre cose che secondo me sono state fondamentali e che mi hanno aperto tantissimo, io ho studiato per tre anni PNL, ovvero programmazione neurolinguistica. In pratica conta che la PNL viene usata per manipolare le persone fondamentalmente e io ho studiato PNL perché ero in crisi col mio ex, quindi ero convinta

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che non ci capivamo e quindi io mi fissai a studiare PNL con gli occhi da coppia, quindi mentre loro parlavano di “E’ importante comunicare per convincere l'altro” e cose così, i miei vicini pensavano al cliente o al fornitore, e io pensavo al mio compagno. Quindi anche lì per dirti è stato bruttissimo perché poi ho rifatto il percorso successivamente in maniera imprenditoriale e mi facevo tenerezza, perché ho proprio visto che ho carpito quelle cose per un altro uso e quell’uso l'ho portato dentro GenGle. Perché se te applichi la comunicazione alla vita reale con sincerità ovviamente, perchè non è che puoi fingere, ti si apre un mondo e siccome il mio obiettivo pian piano, nel senso di un obiettivo abbastanza a lungo termine, è veramente quello di rivoluzionare il mondo delle separazioni, partendo proprio dal presupposto che è impossibile separare legalmente quello che non è stato separato emotivamente, perché c'è sempre il rischio di risentimento.

Io guarda, lo vedo con il mio ex, lui è il mio migliore amico, cioè ora siamo proprio amici, e se faccio una cosa bella al lavoro mi fa piacere chiamarlo per dirglielo. Ma non è che sia stata così semplice questa cosa, c’abbiamo lavorato, nel senso che c'è stato il periodo in cui speravo morisse, pensavo a tutti i modi possibili in cui sarebbe potuto morire e non succedeva, però anche lì se te capisci che alle recite di classe ce l'avrai sempre seduto accanto, che ai compleanni ce l'avrai sempre in casa, quando si sposeranno i figli ci dovrai stare accanto, che quando faranno un figlio ci dovrai stare accanto, inizi a lavorarci e inizi anche a morderti la lingua su tante cose, a dire le cose in modo diverso, ad essere più accondiscendente. Questo cambia tanto il modo di vivere e di rapportarsi soprattutto con un ex, perché insomma se ci siamo lasciati un motivo ci sarà. L'altra cosa secondo me fondamentale è parlarne con i bambini. Parlarne proprio in maniera trasparente, nel senso che, allora io ai miei figli gli ho sempre raccontato tutto: se soffrivo, se piangevo; ora per l'ultimo figlio ho avuto di tutto, allora ho fatto il cesareo, ho avuto la mastite, ho avuto il baby blues, ho avuto poi la depressione post parto, perché mi è degenerato il baby blues, ma era ridicolo perché tipo “Mamma è pronto da mangiare” e io “Arrivo” (imita il gesto del pianto), cioè ero a questi livelli. Era bellissimo perché glielo spiegavo e drammatizzavano, facevano tipo che ne so “Mamma vado a fare pipì, piangi?” o cose del genere. Però il fatto appunto di renderli partecipi delle sofferenze, del dolore. Spesso sento dire dai genitori “No ma sono troppo piccoli per coinvolgerli”. Ovvio non è che gli vado a dire, che ne so, cose intime non adatte alla loro età, ma siccome i bambini sono piccoli adulti, anche loro hanno la sofferenza, perché magari hanno litigato con l'amico,

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la sofferenza perché la ragazzina che gli piace non li caga o cose del genere, soffrono fisicamente il dolore fisico come noi, possono essere giù, scoglionati e può non andargli di fare una cosa, è fondamentale che sappiano che va bene, che lo possono fare, che lo possono dire. Anch’io certe volte sono paralizzata sul divano perché non ho voglia di far nulla e allora diciamolo! Perché dobbiamo far finta di fare quelli perfetti? La stessa cosa vale per le emozioni. Se te circondi le persone dicendo “Ragazzi oggi mi gira il *****, statemi alla larga, ve lo consiglio, perché sennò magari vi mangio e non è neanche colpa vostra”, allora lì, dandogli questa chiave, gli dai anche modo di, intanto saperlo, e poi magari di aiutarti a uscire da quel tunnel nero, del tipo “Mamma ma che è successo?”.

Secondo me sarebbe tanto importante inserire, ma proprio a livello scolastico, gestione delle emozioni e tutte queste cose qua, perché se ne parla troppo poco e sembra che ci sia sempre un alone di sbagliato, insomma qualcosa di sbagliato nell’essere fallaci, nell’aver sbagliato una cosa, si cerca di non raccontare appunto gli errori, i fallimenti, le litigate.

Magari sbaglio io, però secondo me più naturali sono le cose meglio uno le vive».

Gioia: «Sì sì, concordo pienamente. Poi penso sia importante imparare a gestirle, per evitare che magari uno abbia problemi di rabbia del tipo che scatta così dal nulla, ma anche e soprattutto riuscire a riconoscere le emozioni. Perché anche questo non è semplice. Io certe volte mi ritrovo, come hai detto tu prima, in giornate nere e magari non so neanche il motivo. Allora provo a capire perché mi sento così, provo a pensare a cos’è successo oggi, quali sono stati i miei pensieri, cos'è successo ieri, e quindi poi magari piano piano, poi vabbè ci sono delle volte in cui uno si sveglia così punto e basta, però anche riuscire a capire da dove arriva quello stato d’animo, in modo da poter magari andare a riprendere proprio quella cosa e gestirla e insomma superare il problema o comunque capire che è quello e non magari semplicemente il brutto tempo. E questo ecco uno poi lo impara, lo capisce e sicuramente potrebbe essere d’aiuto. Comunque volevo dirti, in riferimento a quello che dicevi prima riguardo GenGle e le varie attività che proponete, che stavo pensando alla mia storia e a quella di mia mamma, insomma a come abbiamo vissuto noi la separazione. E in pratica, vabbè mia mamma di lavoro fa la bidella, ha la terza media come mio papà, quindi diciamo che non sono persone colte che potessero trovare chissà quali strategie per affrontare il problema, però ecco mia mamma, quando si è lasciata con mio papà, vabbè inizialmente è andata in depressione, però si è

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circondata di persone nella sua stessa situazione. Quindi donne separate da poco con dei figli. E quindi lei andava a trovare queste sue amiche, perché poi ovviamente il problema della separazione si porta dietro un problema economico, per dire noi non avevamo neanche i soldi per fare la spesa, però andavamo spesso a casa di queste sue amiche e mangiavamo tutti insieme, ad esempio. Oppure anche quando mia mamma andava a lavorare, che faceva tre/quattro lavori, io stavo con queste sue amiche e con i loro figli, quando i nonni non potevano tenermi. E quindi insomma mi sono resa conto, mentre ti ascoltavo, che pur non avendo i mezzi di arrivare a GenGle o a servizi simili, ha saputo crearsi la sua comunità diciamo, la sua cerchia di persone che potessero capirla, ascoltarla, senza giudicarla. E anche io in questo modo ovviamente sono cresciuta conoscendo bambini con la mia stessa situazione, quindi non mi sono mai sentita l’unica diciamo, o quella strana. Poi vabbè le prime sere anch’io le dicevo “Ma chi sono questi? Cosa ci andiamo a fare?”, ma poi, come hai detto tu, non volevo più venir via da casa loro. E quindi ecco, credo che anche lei nel suo piccolo abbia proprio ricercato questo.

Esattamente quello che te stai cercando di dare con GenGle».

Giuditta: «Sì, l’ha fatto naturalmente diciamo, è quello che le è venuto d’istinto. E secondo me è proprio fondamentale anche perché sono magari periodi transitori, nel senso periodi in cui devi elaborare, devi ritrovare equilibrio, ritrovare una tua sicurezza, trovare diciamo un tuo status. Quindi non sei più moglie, ma sei una donna, sola, con una figlia e mi va bene così. E lì dopo sei di nuovo pronto ad affrontare il diverso da te. Però secondo me c'è un periodo transitorio dove c'è bisogno di stare tra simili ecco».

Gioia: «Sì sì. Ma io proprio concordo in tutto quello che hai detto. Anche il fatto di parlarne con i figli. Mia mamma è una che non si è mai nascosta, cioè anche con me, ha avuto un periodo insomma in cui lei prendeva psicofarmaci e ansiolitici, era tipo uno zombie, però non è che insomma mi avesse portato da un'altra parte, io ero lì e me la vivevo. Poi magari ogni tanto le dicevo “Sveglia! C'è da fare questo, c’è da fare quell'altro” anche se avevo sei/sette anni però insomma ecco. Questo l'ha anche secondo me aiutata, magari no, ad uscirne. E poi lei non si è mai vergognata».

Giuditta: «Bravissima, questo è fondamentale».

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Gioia: «Anche a me è successo, infatti prima volevo raccontartelo ma mi dispiaceva interromperti, quando mi hai parlato del fatto del bullismo a scuola. Io sono nata nel ’98, quindi insomma più tardi rispetto a te, però per esempio essendo un paesino piccolo quello in cui vivevo quando i miei si sono separati, tutti sapevano tutto. Quindi io facevo le elementari e tutti lo sapevano: le maestre, i miei compagni, i genitori dei miei compagni, le bidelle, tutti. E mentre prima magari, io sono sempre stata una bambina molto socievole, quindi andavo a fare i compiti da questa mia amica, oppure lei veniva a giocare a casa mia, quando però i miei genitori si sono separati, sua mamma le ha detto che da me non ci poteva più venire, perché insomma non c’era una bella situazione e che non doveva passare troppo tempo con me, quindi lei un giorno me lo disse. E la cosa bella è che quando gliel’ho detto a mia mamma, non è che lei ci sia rimasta male, anzi, mi ha risposto “Ma guarda che ignoranti!”. Cioè ha avuto una reazione talmente spontanea che mi ha fatto capire che il problema non ero io, o noi, anche perché nessuna famiglia è perfetta, questa mamma per dirti metteva le corna al marito dalla mattina alla sera e se non sbaglio adesso sono separati. Però ecco il modo naturale con cui mi ha risposto è come se mi avesse detto “Tu sei la stessa sia che noi siamo insieme, sia che siamo separati, non è che cambi, anzi, può farti solo che bene stare con i tuoi compagni”. Ecco insomma, infatti anche mia mamma è molto contenta per la scelta di questo tema per la tesi. Poi lei di tante cose non se ne rende conto, probabilmente non è consapevole di tutti i suoi pregi e di tutte le sue risorse, anche perché quando io ero più piccola tendevo a puntarle sempre il dito contro, ero sempre pronta a criticarla, a vedere solamente i suoi sbagli. Anche perché lei aveva il peso di fare sia da madre che da padre, perché mio papà sì mi da il mantenimento, ma si ferma lì, non è che posso contare su di lui se ho bisogno di un passaggio, di un consiglio o di un aiuto per qualcosa. E questo lo fa anche con gli altri figli, quindi non è che faccia differenze. Però ecco, mia mamma si è sempre sentita criticata da me, più che lodata, mentre adesso che riesco a rendermi conto di quanto sono stata pesante in certe situazioni, cerco di dirglielo e farle vedere anche i suoi lati positivi da mamma. Non è semplice, ci vuole magari un po’ di tempo, però dai, piano piano».

Giuditta: «No certo, assolutamente».

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Gioia: «Comunque dai, adesso ti lascio che ormai è un pochino che parliamo».

Giuditta: «Vai, va bene, se poi hai domande quando sei diciamo a scrivere scrivimi pure, non c’è problema».

Gioia: «Grazie mille Giuditta! Sì cioè in realtà mi ero preparata una lista di domande, ma abbiamo risposto a tutto, quindi non c'è nemmeno bisogno di fartele. Mi ha fatto veramente super piacere conoscerti».

Giuditta: «Anche a me! Ovviamente ci tengo a leggere, quando avrai finito, tutto il lavoro».

Gioia: «Certamente. Spero sia all’altezza, visto che comunque in tutta questa situazione è stata molto impegnativa come cosa. E poi comunque magari quando finirà la pandemia mi piacerebbe insomma, se ci sarà l'occasione, incontrarci e magari prendere un caffè oppure vengo a vedere dove lavori, non lo so ecco, sarebbe bello».

Giuditta: «Molto volentieri, te ne innamori poi!».

Gioia: «Eh sì, già mi immagino infatti».

Giuditta: «Ma sai dove sono? Allora, te la conosci via Gioberti, quella vicina a piazza Beccaria? Ecco, praticamente l'ufficio è dentro la chiesa, è al primo piano dell’oratorio e quindi noi abbiamo tutto lo spazio dell'oratorio a disposizione, quindi ci sono i campi da basket, da calcio, il giardino per i bambini, i giochini e cose varie, e sono tipo 4000 m² di parco per le attività, proprio in via Gioberti, quindi centralissimi, e poi abbiamo tutto un piano dove c’abbiamo la stanza della musica, la stanza delle cene, la stanza del ritrovo, la stanza cinema, tutte queste cose qua. E’ un po’ un’enorme enorme ludoteca».

Gioia: «No vabbè, ma è bellissimo! Allora sì, ci devo venire per forza!».

Giuditta: «Sì sì».

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Gioia: «Bene dai, allora grazie mille Giuditta».

Giuditta: «Gioia, è stato un piacere e in bocca al lupo».

Gioia: «Viva il lupo! A presto, ciao».

Giuditta: «Ciao ciao».

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Intervista al Dottor Andrea Santi Data dell’intervista: 12/01/2021 Luogo dell’intervista: Piattaforma Zoom Insider: Andrea Santi Outsider: Gioia Grandi Gioia: «Ciao Andrea, come va?».

Andrea: «Ciao Gioia, bene grazie».

Gioia: «Allora Andrea, prima di tutto ti chiedo il consenso per la registrazione, che come sai verrà usata solo ai fini della tesi e non verrà divulgata altrove».

Andrea: «Sì sì, ti do il consenso».

Gioia: «Bene, allora possiamo iniziare! Tu lavori per GenGle, con Giuditta, e ti occupi principalmente della linea chat per gli adolescenti, giusto?».

Andrea: «Sì esatto».

Gioia: «Ecco, vorrei sapere un po’ com’è nato questo servizio, come si è sviluppato e come sta andando».

Andrea: «Allora senti, l'idea di aprire uno sportello tramite Whatsapp non è stata casuale, infatti è nato proprio per dare la possibilità a questi ragazzi di esprimersi con un canale a loro più congeniale, mantenendo comunque l' anonimato e non dovendo attingere all'uso della parola, che comunque ha un certo coinvolgimento emotivo, quindi questa diciamo è stata l'origine del servizio. Poi se vuoi qualche approfondimento in più te lo posso dare, però ti sto dicendo a grandi linee è un po’ come è stato il processo. Lo sportello nasce per questa idea di supporto ai ragazzi adolescenti che incontra subito una difficoltà. Incontra difficoltà nel raggiungere adolescenti e nel stimolarli a chiamare, a

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contattarci, perché? Perché i giovani fanno un po' quello che vedono fare e quindi non avendo a volte dei modelli genitoriali così aperti al confronto, così aperti al condividere informazioni sensibili e personali, nonostante l’anonimato, c'è sempre un po' di riserva da parte del ragazzo nel contattare un servizio telefonico di questo tipo. Quello che è successo in questi due anni è un po’ molto variopinto, nel senso che non c'è stata una moda regolare, né nelle modalità né da chi vengo contattato, nel senso che spesso vengo contattato da ragazzi spinti o comunque incentivati da parte dei genitori, quindi in questo caso non parte da loro, non è che si autoanalizzano e pensano che un confronto diretto con un professionista esterno alla famiglia, che possa in qualche modo ascoltarli o negoziare un po' il significato di alcune attività dei genitori, di alcuni conflitti, possa essere funzionale, ma son più i genitori che c'hai già dentro GenGle, o comunque già dentro il circuito, che avendo trovato loro benessere o comunque degli aspetti positivi in questo mondo, perché GenGle praticamente è un mondo di servizi, spingono i figli a intraprendere un contatto, che però appunto, mancando di sostanza, si esaurisce nel momento del contatto. Ecco, della serie “Come mai mi hai contattato?” e la risposta è “Perché ho avuto questo problema con mia madre e lei ha voluto che ti contattassi, quindi ti contatto per dirti questo”. A quel punto io medio un po’ la dinamica, cioè non è che la interpreto, non c'è una decifrazione in questo, non sono uno psicologo, cerco più che altro di far fluire un po’ i pensieri, di far metariflettere il ragazzo che mi contatta su quella che è la dinamica, un po’ a mettersi nei panni di. Quindi dal momento in cui c’è questa dissoluzione o questo confronto, il contatto si esaurisce. Il servizio trova difficoltà anche perché un po’ per la mancanza di pubblicità, ma quello è un limite che si potrebbe risolvere ad esempio pubblicizzando il servizio, attraverso canali radio attraverso internet, attraverso i genitori, però è difficile arrivare ai ragazzi, è difficile far capire ai ragazzi quanti servizi sono attivi per loro e quanti strumenti possono utilizzare; e questo non riguarda solo GenGle, riguarda un po' tutto il mondo dei servizi e dell’adolescenza, questo te lo dico da professionista del sociale, da educatore, da insegnante, insomma, è difficile far capire ai ragazzi il potenziale degli strumenti che usano al di là del mero soddisfacimento che provano nell’utilizzarli, dimostrato anche dal fatto che i mezzi di comunicazione stanno sempre più andando verso un’impronta consumistica. Abbiamo avuto Facebook, poi abbiamo avuto Whatsapp, poi abbiamo avuto Instagram e ora abbiamo TikTok che è il massimo dell’istantaneità: guardo, scarto, metto mi piace o non

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mi piace, un ingurgito di informazioni ma non è che io adolescente ne carpisco e ne comprendo il potenziale».

Gioia: «Certo, della serie, lo uso però, si capisco cosa vuoi dire. Ma all'interno di GenGle tu ti occupi soltanto di questo servizio oppure ci sono altri servizi di cui ti occupi o ti sei occupato?».

Andrea: «Allora, io mi sono occupato per un anno dello sportello per adulti, quindi per i genitori single o in via di separazione o che vivevano una grossa crisi e volevano trovare strumenti per poter provare a rimediare in qualche modo, per recuperare un po’ la relazione».

Gioia: «E quello era un po’ più diffuso?».

Andrea: «Sì esatto, quello era un pochetto più diffuso, ma anche perché è più pressante la condizione sociale di disagio che vive il genitore separato. Per quanto la famiglia mononucleare negli ultimi dieci anni ha spopolato, ma come quasi una tendenza, una moda, comunque c'è ancora un certo disagio da parte del genitore. Un po’ il senso di colpa, di far mancare al figlio quella dimensione parentale legata al modello del “mulino bianco”, cattolica, da film, un po' da romanzo. Quindi dal senso di colpa si cerca strumenti per venire incontro ai bisogni dei figli, che spesso lì si esagera anche, perché poi uno poi pensa: il figlio avanza delle richieste, io non sono più accompagnata o accompagnato, sono io che ho generato quel bisogno e quindi lo devo soddisfare. Quando poi in realtà un po' si sfocia anche nel capriccio, anche perché poi il figlio di genitori separati fa una domanda al padre, una domanda alla madre per ottenere sempre ciò che vuole, in tutti i contesti. “La mamma non mi fa uscire, però il babbo non mi manda con gli amici, però la mamma sì. La mamma mi aiuta a studiare e il babbo no”, cioè capito, trovo sempre nelle dinamiche, nella dualità trovo sempre ciò che voglio. Quindi il genitore sente sempre un po’ di più la pressione di dover trovare qualcosa, un modo, uno strumento, vuole sapere, vuole trovare l'esperto che gli dica la ricetta giusta per ottenere ciò che vuole o per ottenere comunque cambiamento, per generare cambiamento. Mentre l'adolescente in questo è più sguarnito, non ha ben chiaro neanche ciò che vuole sotto certi punti di

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vista e quindi sì, sicuramente i genitori ne usufruivano di più, ma in generale usufruiscono di più di tutti i servizi GenGle. Che poi c’è anche una condivisione, perché il genitore single si trova a vivere lei o lui, all'interno di GenGle, delle situazioni in cui può condividere il suo disagio o la sua dinamica conflittuale di coppia con altri genitori, che a loro volta vivono la stessa dinamica conflittuale. Quindi si apre un po’ una rete nel servizio GenGle, al di là del servizio telefonico che sì, a volte è specifico su singole situazioni e rimanda a determinare professionalità, perché quello che fa GenGle è trovare sul territorio le professionalità, magari più specializzate per sciogliere un po’ di ansia, di tensioni accumulate, in una società che offre pochi momenti di condivisione e di scambio, però nel momento in cui si registra una situazione un pochettino più specifica, più caratterizzata dai bisogni specifici di un professionista, l'operatore GenGle telefonico indirizza verso l'avvocato, verso il mediatore familiare, verso lo psicologo, verso un counselor o verso un assistente sociale, insomma verso professionalità che si interessano un po’ della cura e del sostegno della famiglia oggi. Questo è diverso per un adolescente, perché l'adolescente intanto per condizione socio-culturale individuale vive un po’ quella schizofrenia tipica dell'adolescenza, in cui a volte mi son trovato anche dei ragazzi che mi contattavano e poi non c'era sostanza, andando a scavare con le domande alla fine magari era uno scherzo, magari avevano ingigantito un po’ la cosa, si sono resi conto che magari alla narrazione avevano aggiunto parti che potevano portare anche ad un risvolto legale grave, quindi a quel punto c'è un certo tirarsi indietro, che non si sa se è dovuto all’aver vissuto lo sportello come un gioco, perché poi ci sta anche quello, anche noi facevamo gli scherzi telefonici quando avevamo 12/13 anni. Da una parte però c’è anche il fatto che la cosa finisce anche un po’ lì, anche perché mi è capitato a volte di chiedere “Posso confrontarmi col tuo genitore?” e la risposta è sempre stata “No non voglio”, quindi una volta parlato, una volta condivise con le persone quelle che possono essere delle soluzioni o dei percorsi da intraprendere per genere cambiamento, a me non mi è dato di sapere se questo cammino è stato intrapreso o se la cosa è morta lì, se effettivamente c'è stato un risvolto. Vado un po’ a fiume eh, perdoni ma almeno…».

Gioia: «No no, vai vai tranquillo».

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Andrea: «L’altra cosa è che tanti di quelli che mi contattano, non mi contattano per problemi con i genitori o per problemi derivanti dalla condizione genitoriale, ma alcuni mi contattano perché hanno litigato con l'amica, perché l'amico si è fidanzato con l'amica, e quindi chiedono se possono essere ancora amici nonostante si siano fidanzati, e questo fa emergere comunque un forte spaesamento dal punto di vista relazionale dei giovani d'oggi, che non hanno dei modelli relazionali solidi. Quello che io dico spesso quando mi trovo a confrontarmi con i miei colleghi è che abbiamo rinunciato alla chiesa, come società, alla chiesa come legante, come rappresentante delle dinamiche relazionali eccetera, a me la chiesa non piace, sono uno storico, quindi se leggo la storia mi metto le mani nei capelli per la chiesa, però riconosco anche la funzionalità che svolgeva, su modalità, su buone pratiche a cui si è rinunciato senza però aggiungere un sostituto.

Abbiamo vissuto con la chiesa, lo uso perché anche te sei del settore sennò non lo userei, quello che abbiamo un po’ vissuto con la legge Basaglia. Nel senso, va bene, la chiesa fa schifo, ci sono i pedofili o comunque non ci credo, è tutto un mercato eccetera, ok, vediamo tutto il negativo, però l'alternativa non è stata creata, non ci sta l’alternativa di buone pratiche. Cioè i ragazzi spesso mi dicono giustamente “Eh, te mi parli di onestà e di essere sincero, ma perché devo essere sincero, essere onesto per essere come te che fai l'educatore sottopagato, che sei sempre di corsa o fai il professore all’università però sempre così subordinato, precario, mentre vedo la gente tipo i politici, le star, i trapper che invece sono il contrario, non sono oneste, si drogano, bevono, trattano male le compagne, trattano male i fan e hanno successo?”. E questa cosa è pesante, molto pesante».

Gioia: «E immagino sia anche spiazzante, perché che gli rispondi?».

Andrea: «No ma infatti non puoi neanche dirgli “No ma guarda, non è così…”, perché vacilli, ti mettono davanti la realtà, perché sai che finché sei sul piano dell’immaginazione e della fabulazione quando son più piccini, puoi giocare con le favole, la morale, eccetera, ma quando poi crescono, che inseguono i loro modelli, lì è dura. Dal momento che ci sono quei modelli, come fai a non farli avvicinare o a dirgli che quei modelli in qualche modo funzionano perché sono dietro uno schermo, ma nella vita reale poi non sono funzionali? Perché non si può essere tutti star, non si può essere tutti calciatori omofobi,

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non si può essere tutti… E quindi quando mi chiamano è un po’ per il “come si fa?”. Del tipo “Dove trovo una ragazza? Come faccio a chiedere ad una ragazza di uscire? Come mi comporto con i miei compagni se dicono che sono brutta? Io vorrei essere diversa, ma come faccio?”. Cioè cose che te puoi affrontare, magari proponendo un percorso che alla fine è un percorso psicologico, però un percorso di mutuo-aiuto, un counselor, una figura di riferimento, oppure di aprire una relazione con il genitore, perché poi quello che spesso suggerisco è quello. “Parlane con tua madre o con tuo padre o con entrambi, cioè digli di queste paure che hai, di questi dubbi”, ma la risposta è sempre “Ma a loro non interessa, dicono che è normale, loro non mi capiscono” e quindi con la distanza fisica è un po' difficile, è un po' più sterile questo servizio rispetto all’altro. Gli adolescenti non vivono soltanto il dramma della separazione coniugale…».

Gioia: «…ma anche quello dell'adolescenza stessa, che è un po' un caos».

Andrea: «Esatto e oggi è un caos ancora più di prima, perché vengono a mancare un sacco di elementi. A me a volte i figli vengono a dire “Ma a me, che i miei siano separati, non me ne frega niente, me ne fregherebbe che non fossi costretto ad andare tre giorni da uno e tre giorni dall'altro, in maniera psicotica, spostando le mie cose da un posto all’altro soltanto perché l'ha detto un giudice” ad esempio».

Gioia: «Ma senti Andrea, io volevo chiederti, visto che tu comunque in un modo o nell'altro, in positivo e in negativo hai tante relazioni, hai modo di relazionarti con tanti adolescenti e tanti ragazzi, per quello che vedi tu, ai giorni nostri, con chi si confidano i giovani? Chi hanno come modello? Sono di più i pari, oppure gli amici più grandi, o più la mamma, il papà, i nonni, oppure magari sono di più adulti professionisti di un servizio come GenGle, oppure dei professori che hanno a scuola? Ovviamente questo non può essere uguale per tutti ma dico magari nella maggioranza, sempre considerando il fatto che se si rivolgono a voi è evidente che magari questa figura manca un pochino, però al di là della ricerca di un aiuto esterno, quale può essere una figura all'interno della loro quotidianità alla quale possono fare riferimento, su cui possono contare? Secondo te, chi riveste questo ruolo, può essere ancora considerato il genitore oppure proprio nella maggior parte dei casi i genitori sono una cosa a parte?».

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Andrea: «Wow, bellissima questa domanda, solo per questa ti devo dare dieci punti!

Allora, sicuramente il genitore riveste ancora un ruolo importante, anche perché i genitori cominciano a formarsi, cominciano a interessarsi anche un po’ di più rispetto a prima.

Prima appaltavano, appaltavano alla scuola, appaltavano alla parrocchia, appaltavano al catechista, appaltavano all’educatore di turno del centro diurno, ora invece si sentono un pochettino più… Che ha una doppia valenza questa cosa, perché poi nasce il figlio narciso, che è il figlio che solo i genitori possono contendere, solo i genitori possono dirgli cosa mangiare, quindi poi il figlio quando si trova in giro si sente libero di spaccare tutto, fare quello che gli pare, perché tanto il genitore non è presente, che è l'unico ad avere il veto di decidere su di lui, manca un po’ quest’aspetto della genitorialità condivisa.

A me altre volte mi capita di sentirmi dire “E’ figlio mio e ci penso io a riprenderlo”, ed è così però è la quarta volta che gli dico di non accarezzare il cane perché lo morde e alla fine io intervengo alzando la voce, lei poi si alza, quindi significa che ha seguito tutta la scena dall'inizio alla fine, ed è anche un’ignorante, perché cosa si aspettava, qual è la dinamica che si aspettava? Certo ora questa è una cosa a parte, però ecco. Il genitore riveste ancora un ruolo importante per il figlio, è anche vero che i figli attraverso gli strumenti, che sono i telefoni fondamentalmente, quando parlo di strumenti mi riferisco al telefono, oggi è lui sul banco degli inquisiti, sono molto autoreferenziali e prendono a modello degli eccessi. Non c'è più la norma, un ragazzo normale, e si confrontano tanto con i pari e se non sono i pari sono i ragazzi prossimi, cioè io quindicenne non mi confronto con un trentenne o un trentacinquenne, è vecchio. Sai quante volte mi hanno detto “Sei vecchio”?».

Gioia: «Sì anche perché adesso si parla di generazioni, ma non è che la generazione cambia ogni cinquant’anni. La generazione cambia ogni 5/10 anni. Io vedo anche mia sorella che ha otto anni in meno di me, è come se fosse nata in un'altra epoca, siamo proprio due cose completamente diverse».

Andrea: «Se pensi, tua nonna, è più vicina come stile di vita e di pensiero a un romano del 300 a.C. piuttosto che a noi, come stili, come la giornata viene scandita. Adesso non so tua nonna, perché sei molto più giovane di me, però in generale una nonna che è nata

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nel 1910, se te pensi che nel 2007 è arrivato il primo iPhone e sembra ormai la normalità, nel senso, tutti ce l'hanno, tutti lo usano e anzi se non ce l'hai sei quasi tagliato fuori da una serie di servizi essenziali, basilari, che dovrebbero essere invece accessibili a tutti e non soltanto a chi ha uno smartphone. Però sì ecco, il sedicenne si confronta con il diciannovenne, che a sua volta si è confrontato con il ventiduenne, quindi è molto vicino al confronto, è molto vicino e a volte anche molto strumentalizzato, perché il ventenne che magari vuole ottenere qualcosa gli dice al diciassettenne che boh, per entrare nel gruppo di ragazzi più grandi bisogna fare così, bisogna portare un dono, bisogna fare una bravata per far vedere che uno è più coraggioso o più fico degli altri; per non parlare poi delle ragazze, perché adesso andiamo anche in un discorso un po’ grave, che negli ultimi anni ho visto aumentare, al di là di quanto dicono i giornali, ma negli anni sono aumentati tanto anche i, passami il termine, “soprusi” da parte dei compagni di classe sulle compagnie, delle prove e dei servizietti che vengono richieste alle ragazzine di 14/15 anni per entrare nel gruppo di quelli di 17/18 anni con la macchina. Tutte cose, anche queste, che denotano la mancanza di un modello che dica “No, questo non si fa, è sbagliato”, però alla fine escono di casa, si ritrovano al parco e nei luoghi di aggregazione giovanile e hanno il loro codice e i loro modi. Sono molto distanti, sono sempre più distanti. L'altra figura che mi viene in mente, perché la rivesto e perché vedo che ha un ruolo importante, è il maestro della passione. Nel senso il maestro della passione che ha il ragazzo, quindi può essere la passione per la musica, per lo sport, può essere l'arte. Ecco, quello riveste un modello simbolico, perché comunque si è realizzato e si è impegnato in quello in cui anche il ragazzo si vuole impegnare e realizzare, quindi è quasi come un mentore».

Gioia: «Sì sì, anche questa cosa dello sport io la vedo in tanti ragazzi. Si vede proprio la differenza di un ragazzo cresciuto con lo sport, perché comunque lo sport, qualsiasi esso sia, ti dà disciplina ti dà modo di confrontarti con altre persone della tua età, che siano colleghi o avversari, quindi ti mette anche nella condizione di dover gestire delle situazioni di avversità, degli scontri magari, delle sconfitte, delle vittorie. E a volte proprio durante l’adolescenza, adesso ovviamente non sto parlando di sportivi a livello agonistico, comunque lo dico perché anch'io mi ci sono ritrovata, chi inizia i corsi di danza, di calcio o di basket da piccolo, arriva poi agli anni dell’adolescenza che dice “Ma io preferisco uscire con gli amici piuttosto che andare a fare sport”, e così in quegli anni

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lì, almeno per quello che ho visto io, si tende a mettere lo sport un po’ da parte, invece sarebbe proprio una bella risorsa in un periodo come l’adolescenza».

Andrea: «Esattamente, è una super risorsa! Tant'è che andrebbe professionalizzata, perché spesso anche lì chi va a fare l’insegnante di calcio è semplicemente perché ha vinto magari una coppina, uno scudettino, o qualcosa e poi in realtà di relazione, di comunicazione, del linguaggio non ne sa niente».

Gioia: «Certo, allora Andrea, ti faccio l'ultima domanda e poi ti lascio che comunque anche tu hai i tuoi impegni. Mi hai parlato già un pochino di quelli che sono i limiti di questo servizio o comunque i vari problemi che si possono presentare, tenendo conto di questi, quali sono secondo te gli obiettivi a lungo termine che potreste porvi sia in generale come comunità GenGle, ma anche nello specifico proprio per gli adolescenti?».

Andrea: «Allora, secondo me, sono due principalmente. Parliamo di ambizioni, quindi si lavora anche sulla fantasia. Il primo sarebbe quello di farsi conoscere di più e quindi anche attraverso il passa parola fra i giovani, e questo obiettivo si raggiungerà quando non sarò più sufficiente io, perché fino a che basta una persona sola per coprire il territorio, evidentemente la densità di frequentazione di questo spazio simbolico è bassa ancora. Quindi l’idea che anche tra i ragazzi si diffondesse la voce che “Ah ma lo sai che questo Teen (si riferisce al servizio GenGle Teen) è gestito da ragazzi che non ti giudicano, ti dicono magari cosa può essere meglio per te invece di che cosa è meglio per loro” eccetera. L'altro obiettivo a lungo termine invece potrebbe essere proprio il passaggio dalla figura di mentore, il vecchiettino con la barbetta tipo maestro Miyagi, a invece trovare più riferimento in ragazzi più prossimi. Quindi come ti dicevo prima, per il quindicenne il diciottenne, per i diciottenni i ventitreenni, e così via. In modo tale che i ragazzi che trovano o che hanno trovato sostegno e aiuto all’interno del servizio GenGle si proponessero loro stessi come volontari, e quindi come guide, come metaguide per i ragazzi, facendo sentire di più i ragazzi in una condizione, non è un termine adatto alla situazione però ci capiamo, di “peer education”. Più vicinanza, più prossimità, cioè far sentire questa prossimità, la prossimità nei linguaggi, nei gusti e questo darebbe al servizio un'altra spinta. Perché per quanto io mi reputo una persona giovanile,

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costantemente a contatto con gli adolescenti, quindi gioco al computer, faccio cose, conosco le tematiche eccetera, quando ai ragazzi dico che ho 34 anni, perché a volte me lo chiedono e non mento, perché potrei mentire, ma tanto poi se ne accorgono, c'è una qualche forma di avvicinarmi più ai loro genitori che a loro come ragazzi».

Gioia: «Sì sì, lo vedono come uno stacco abissale».

Andrea: «Esatto, quindi potrebbe essere, che ne so, un liceo delle scienze umane che al suo interno fa un programma per cui le quinte tengono il servizio GenGle. E’ una grossa responsabilità, ci vorrebbe un protocollo di formazione per non creare altro disagio, però secondo me potrebbe essere un aspetto interessante».

Gioia: «Sì sicuramente, magari poi non è una cosa che possono fare tutti, ma una percentuale di ragazzi in gamba che sono in grado di fare questa cosa sicuramente c'è».

Andrea: «Mi hai detto così e mi è venuto in mente lo scoutismo. Gli scout, gli angeli del bello, questi gruppi che comunque lavorano con ragazzi molto giovani sul volontariato. E allora avrebbe un senso. Sicuramente, come è stato per lo sportello Teen, non lo dico perché sono io, ma perché Giuditta è così, non prendere le prime persone che capitano, perché sai bene che da un servizio può venir fuori una catastrofe, e uguale questo, cioè non che diventi il “volontariato butta dentro” di molte associazioni e cooperative che prendono i volontari per fargli fare le fotocopie, ma un volontariato formativo attivo, che crei un servizio reale di supporto e di vicinanza, di prossimità, secondo me è questa la parola importante, la prossimità. Perché, come dicevi te, c’è un divario tra le generazioni, c'è un divario fra un trentenne e un quindicenne davvero che dici non si parla la stessa lingua, cioè ci vuole proprio un vocabolario diverso».

Gioia: «Sì sì, a parte che proprio anche tra di loro vedo che vengono fuori termini, abitudini, tendenze, così, un giorno per l'altro, è proprio un lavoro starci dietro. Io sono nata nel ’98, quindi posso quasi dirmi una 2000 e cioè mi pesa usare TikTok, per dirti.

Mi piace Instagram, Facebook già inizio a vederlo un po’ da vecchietti perché l'hanno un po’ invaso per dire tante cavolate, insulti eccetera. TikTok i miei fratelli lo adorano, io

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non riesco proprio, si è carino, qualche video me lo guardo, ma anche tutte le parole che ci sono dietro, tipo le Challenge, i Trend, sono troppo veloci per me, mi rendo conto che “son vecchia” e mi dico “Ma quando c’avrò dei figli io come faccio? Avoglia te capirli”».

Andrea: «Sì sì esatto, bisogna secondo me tornare a quello che Foucault chiamava “l’obiettivo decrescita”, cioè se non siamo noi a rallentare, noi più grandi, i figli ci vengono dietro, vanno sempre e solo più veloci. Noi stiamo inciampando su noi stessi e i figli vedono solo che bisogna andare più veloci, con risultati anche un po’ scadenti dal punto di vista della felicità, perché sai appunto vedi un genitore felice e dici “Boh faccio come fa lui che andrà bene”, in realtà no, vedi genitori tristi, depressi, frustrati dal lavoro e dici “Ma io devo studiare, lavorare e impegnarmi per diventare così? Ma chi me lo fa fare?”».

Gioia: «Senti Andrea, nel sito di GenGle io avevo letto la breve intervista che c'è riportata e c'è scritto che tu hai studiato “Lifelong learning”, sarebbe Scienze dell'educazione degli adulti e della formazione continua e Scienze pedagogiche dell’Università di Firenze?».

Andrea: «Sì sì, esatto».

Gioia: «Ah ecco, perché pure io ho iniziato la magistrale e faccio proprio quella, quindi chi lo sa, magari ci sarà un'altra occasione per risentirsi. Per ora mi sta piacendo tanto, è molto interessante».

Andrea: «Ah sì sì, è pratica, è reale, un indirizzo reale rispetto anche a Scienze della formazione che è un mondo con tanti punti interrogativi. Io in realtà in quel corso lì ci ho trovato grandi contenuti, ci sono molti laboratori quindi si fa davvero, è qualcosa di più solido rispetto ad alcuni altri indirizzi».

Gioia: «Sì sì, poi come dici tu, ti apre su tanti aspetti, su tanti fattori. Adesso magari in questo caso tu ti occupi di ragazzi e tante cose ti aiutano anche a vedere più in là, cioè è come se avessi una visione della vita continua, in questo caso secondo me è anche bello,

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cioè dal punto di vista formativo, sto pensando a come tu, essendoti formato in questo modo, ti possa approcciare a questo lavoro, a questo ruolo che rivesti in GenGle. Sicuramente avrai una visione anche più ampia, non ti fermi all’adolescente in sé, ma magari gli dai dei consigli per il futuro adulto che sarà».

Andrea: «Assolutamente, sì sì, ma anche l'idea del fatto che il cambiamento si genera chiamando in causa tutte le parti in gioco. Non si può pensare soltanto che bisogna lavorare sulla scuola dell’infanzia per generare cambiamento, oppure che bisogna lavorare soltanto suoi genitori, per generare cambiamento devi seminare su tutto il sistema, non puoi pensare di tenerti fuori o di tener fuori qualche soggetto che partecipa al teatrino sperando di cambiare l'opera delle cose».

Gioia: «L’importante è fare, partire, partire da qualche punto».

Andrea: «Esatto e coinvolgere, perché sennò poi vieni assalito dalla frustrazione. Te a scuola lo puoi dire quanto vuoi ai bambini di non guardare la televisione a casa, ma se poi tornano a casa e il modello che trovano è il babbo che non vuole parlare, che dice di stare zitti perché vuole guardare il telegiornale. No, vanno affrontate in maniera transdisciplinare le cose. Sicuramente questo indirizzo sull’educazione degli adulti ti da questa transdisciplinarietà».

Gioia: «Sì, son d’accordo, a me sta piacendo molto e spero continui così, visto che ho appena seguito il primo semestre quindi sono ancora un po’ fresca diciamo. Comunque dai, ti lascio, è stato super interessante approfondire queste tematiche con te e Giuditta, perché ho intervistato anche lei poco fa, anche perché mi sembrate due persone molto diverse. Nonostante le affinità sugli obiettivi, su alcune idee o progetti, è bello vedere questa diversità, conoscere più punti di vista sullo stesso tema o sullo stesso obiettivo.

Poi è bello perché rende l’idea della ricchezza e della varietà che ci può essere all’interno di GenGle, visto anche che ci sono più di 100.000 utenti, penso proprio sia utile e fondamentale avere più persone, ognuna con il proprio carattere e con la propria diversità».

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Andrea: «Sì sì, sta crescendo a vista d’occhio poi come gruppo».

Gioia: «Allora grazie mille Andrea, è stato un piacere. Ti aggiorno sul procedimento della tesi, così poi quando l’ho finita magari te la mando e se hai voglia e tempo la puoi leggere».

Andrea: «Grazie a te, è stato un piacere anche per me. Volentieri! Sicuramente una lettura veloce mi fa piacere dagliela, per capire anche il timbro che gli hai dato, comunque mi sembri anche te una persona molto tetraedrica».

Gioia: «Ahaha. Vai, va bene, allora ti saluto Andrea».

Andrea: «Vai, buona serata».

Gioia: «Ciao ciao».

Andrea: «Ciao».

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RINGRAZIAMENTI Se potessi parlare con la Gioia di tre anni fa per raccontargli che sono riuscita veramente ad arrivare fino a qui, probabilmente non mi crederebbe e credo che nemmeno i miei genitori si sarebbero aspettati tanto da me. Mi sono iscritta al liceo non perché fossi sicura di proseguire con il percorso universitario, ma semplicemente perché mi piaceva.

Ho sempre scelto con il cuore, seguendo il mio istinto, ed è proprio grazie a questo se oggi mi ritrovo qui, al termine del primo, ma non ultimo, traguardo universitario.

Dedico tutto questo a mia mamma, la donna che mi ha sempre lasciata libera di scegliere, restando al mio fianco e aiutandomi in qualsiasi occasione. Colei che ha rinunciato a tanto per farmi arrivare fino a qui, colei che di fronte a qualsiasi ostacolo mi tranquillizza semplicemente con la sua presenza.

Ringrazio con tutto il cuore ogni membro della mia famiglia. Mio padre, che mi ha sempre incoraggiata ad essere la miglior versione di me stessa senza lasciarmi abbattere dalle difficoltà. Mia zia Valentina, grazie alla quale mi sono sentita un po’ più a casa in questa città nuova. I miei nonni, che sin da quando ero piccola si sono presi cura di me, aiutandomi a diventare la donna che sono, sicura e coraggiosa. In particolare ringrazio mio nonno Leonardo per essere stato così insistente nello spiegarmi quanto importanti fossero la scuola e lo studio, lui che così tanto avrebbe voluto vedermi indossare quella corona d’alloro come una vera Dottoressa. So che sei qui con me oggi e so che mi vedi, ti voglio bene. Grazie ai miei cugini, ai miei fratelli, che essendo più piccoli mi hanno spinta ad essere un buon esempio, una guida, una persona da stimare e io sempre mi impegnerò a non deluderli. Grazie a mio cugino Lorenzo che ho sempre ammirato per la sua intelligenza e a cui mi sono ispirata tanto negli ultimi anni.

Voglio ringraziare anche Lucia, Stefano e la sua famiglia, persone che sono state parte della mia vita e che nonostante non fosse un loro compito si sono prese cura di me, sostenendomi nello studio e nella vita.

Ringrazio Sania, l’amica che dai tempi delle medie c’è sempre stata, nonostante abbia assistito alle mie pazzie, ai miei pianti e alle mie infinite chiacchierate, lei ha saputo apprezzarmi per ciò che sono e nonostante la distanza mi ha fatto sentire la sua presenza e il suo sostegno in tutto questo tempo. Le sue parole e la sua stima nei miei confronti mi hanno portata a credere di più in me stessa e a rialzarmi dopo qualsiasi caduta.

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Un grazie enorme va anche a tutte le persone conosciute a Firenze, compagni di studio e di avventure. Agli abitanti della Residenza Salvemini, che sono stati in questi anni la mia famiglia. Alla mia coinquilina Elide, una santa che mi ha sopportata e supportata ogni giorno negli ultimi anni, credendo sempre in me. A Desi, che ha condiviso con me questo percorso universitario, in tutte le sue gioie e delusioni. A Nussa, la persona più strana e speciale che io abbia mai conosciuto, dal momento in cui ti ho conosciuta ho capito che saresti stata la mia musa ispiratrice, grazie.

Grazie a Lapo, colui che più di tutti ha cambiato la mia vita e la mia persona. Grazie per essere esattamente come sei, per aiutarmi ogni giorno ad essere una persona migliore, grazie per permettermi di stare al tuo fianco condividendo i momenti di questa vita intensa, grazie per farmi sentire amata e importante, grazie per spronarmi a dare sempre di più, a tirar fuori il meglio di me.

Ringrazio anche la mia prof.ssa di “Scienze Umane” del liceo, Elisabetta Bocchini, per avermi insegnato queste materie con tanto amore e tanta passione da farmi desiderare di approfondirle nello studio. Grazie perché mi ha dato l’opportunità di vedere cosa significhi veramente insegnare.

Grazie alla prof.ssa Maria Rita Mancaniello, per avermi dato la possibilità di scrivere con lei questa tesi, ma soprattutto per avermi permesso di trattare un tema che mi sta tanto a cuore e mi coinvolge personalmente ed emotivamente. Sin dalla prima lezione del suo corso in “Pedagogia dell’adolescenza” ho sentito un forte legame con lei e con il suo modo di vedere la vita, sono davvero felice di averla avuta al mio fianco in questo percorso.

Grazie anche a Giuditta Pasotto e ad Andrea Santi per avermi concesso del tempo prezioso per lo svolgimento delle interviste, che sono state il cuore di questo lavoro di tesi, senza di loro sarebbe stato difficile comprendere appieno il mondo GenGle. Infine, ringrazio ogni singola persona che ha contribuito al raggiungimento di questo traguardo con un piccolo consiglio, esempio o incoraggiamento; sarebbe impossibile citarvi tutti, ma sappiate che vi ringrazio e che il vostro aiuto è stato prezioso. Grazie a tutti quelli che nella mia vita hanno lasciato un segno.

Gioia

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