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Il miraggio del riordino per le scommesse

Si attende da ormai cinque anni un allineamento delle varie licenze di betting ma il settore andrebbe anche riorganizzato sulla base di alcune questioni

di Cesare Antonini

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Maurizio Ughi (Obiettivo 2016) «RIBALTARE IL RUOLO DEL CONCESSIONARIO SUL CAMPO E NELLE GARE PUBBLICHE»

MAURIZIO UGHI Riordino, gare pubbliche, agenzie, gioco online, pandemia e la ripresa dopo le chiusure. Per fare chiarezza su tutti questi argomenti chiave abbiamo fatto il punto con Maurizio Ughi, presidente di Obiettivo 2016 e massimo esperto della storia del betting e del gioco pubblico nel nostro Paese. Come stanno le scommesse sportive “terrestri”, quindi? “Siamo a fine anno ma ne abbiamo fatto praticamente metà. Tuttavia, al di là di tutto quello che è stato il calo a seguito del virus, quando il settore ha riaperto abbiamo appurato che il cliente vuole ritornare a giocare con grande entusiasmo. Il servizio che dà l’online è importante ma il cliente dell’agenzia vive perché frequenta luoghi a tema perché lì si parla la stessa lingua e c’è la stessa mentalità. Poi si può dibattere sul tifo, sui cavalli o su teorie sportive e di pronostico strettamente personali. A casa vedo la partita da solo ed è bello, per carità, ma con gli amici si commentano le azioni e i gol e ci si diverte di più. Per quello crediamo che sia la vita d’agenzia la vera vita social, mentre il gioco online è individual”. Ripartenza, ok, sì, ma al netto di tantissimi costi in più, doverosi ma onerosi: “La rete deve ottemperare a una serie di operazioni che servono a non far richiudere ma

rimangono comunque delle complicazioni - prosegue Maurizio Ughi - la pulizia dei terminali self service, il controllo degli ingressi per i minori, la sanificazione delle mani e il controllo del green pass, provvedimento corretto ma che complica anche esso il lavoro. Prima i dipendenti erano messi lì per produrre e approcciare e seguire il cliente, adesso metà del lavoro viene impegnato per tutte queste operazioni inevitabili e necessarie. Ma i nostri lavoratori non sono controllori ma dipendenti addetti al betting e per fortuna che i terminali self service riescono a sopperire parte della forza lavoro. Di sicuro ci vorrebbe più personale anche perché, accanto alle nuove imposizioni per il Covid-19, bisogna seguire anche l’antiriciclaggio e altri obblighi che esistevano nel periodo pre virus”. Il discorso è sempre più integrato tra online e fisico e dovrà esserci sempre più amalgama anche degli interessi tra le due realtà. “Assolutamente sì anche se, durante il lockdown, ad avere vantaggi sono stati i brand più importanti. I giocatori ne hanno sempre sentito parlare da trent’anni a questa parte e si sono serviti di questi bookmaker per piazzare le puntate online. Ma per un fatto di equità si dovrebbe arrivare ad un equilibrio. In questo senso il decreto Dignità ha fatto solo guai perché si è basato sull’ideologia e sulla campagna promozionale da parte di un gruppo parlamentare. Tuttavia il decreto ha portato nel tempo l’incremento del Ctd italiano, il Punto vendita ricarica, dove alcuni gestori fanno anche abuso del ruolo e non fanno solo contratti e ricariche e utilizzano le carte per raccogliere gioco. Questo è successo - prosegue Ughi - perché prima si poteva fare la pubblicità e ora molti operatori sono dovuti scendere sul territorio e si sono dovuti adeguare a quella norma che ancora esiste ed è criticata da tutti”. Come ovviare a questo? “Il fisico, che è stato cannibalizzato dall’online nel lunghissimo lockdown, dovrebbe poter svolgere l’attività di contrattualistica e ricarica di tutti i concessionari online. Il punto di vendita X autorizzato dovrebbe fare solo quello, negozi e corner concessi. I Pvr dovrebbero tornare nei 12-13mila negozi e corner della rete autorizzata. In questo modo ci sarebbe la vera e propria integrazione. Ma quello che deve essere rispettato nella multicanalità è il cliente che deve essere libero di scegliere tra tutti i concessionari. E così si stimolerà la concorrenza e i clienti potranno trovare tutte le offerte a disposizione. A livello di controllo i giocatori tornerebbero nei punti vendita autorizzati dove sono in atto anche tutti quei controlli di sicurezza di cui parlavamo prima. Ci stiamo organizzando per far arrivare questa proposta sul tavolo del regolatore ancor prima del riordino e delle gare”. Non possiamo esimerci dal pronunciare la parola magica, riordino: “Mi ritrovo nelle cose che dice il direttore generale di Agenzia delle dogane e dei monopoli, Marcello Minenna, ma quello che non condivido è la tempistica sulla gara online che deve essere armonizzata per forza con il gioco terrestre, le scommesse, le slot e le Vlt. Non ha senso farla ora per incassare qualche soldo per l’erario o perché non ci sono problemi a livello territoriale. Deve esserci una gara coordinata, se si rimane con il sistema concessorio tutto deve passare per la stessa strada e l’integrazione è determinante. E le gare devono essere pensate per il cliente non ragionare per compartimenti stagni anche perché la multicanalità parte proprio dallo scommettitore che deve poter avere più conti gioco da più bookmaker online. Da questo la nostra proposta di cui sopra. Inoltre, senza una modifica del divieto di pubblicità un operatore nuovo difficilmente investirà in Italia se non può investire in marketing per posizionarsi nel nostro mercato”. E se le gare dovessero finalmente poter vedere la luce? “La vedo come il Lotto - propone Maurizio Ughi - vanno autorizzati punti vendita che devono diventare concessionari diretti dello Stato. Trentamila tabaccai hanno il gioco in concessione e sono autorizzati dallo Stato. C’è solo un soggetto che rischia su quella quota fissa e c’è un unico concessionario che ora è Igt che svolge tutto il servizio tecnico. Nelle scommesse non si può partire dai concessionari che devono prendere più di cento punti a testa, il soggetto deve avere il titolo dallo Stato e poi si può scegliere il provider che vuole. Non può esserci una quota singola ovviamente e l’online dovrebbe essere la vetrina per il punto vendita che poi sceglierà il miglior prodotto da vendere: mi collego e faccio il contratto con il concessionario preferito. Questo servirebbe al territorio”. Importante capire anche il ruolo del concessionario: “In questo momento i provider sono per lo più multinazionali che ragionano da grandi finanziarie per acquisire e crescere valore ma gli operatori dovrebbero pensare a lavorare sul prodotto e sui servizi. Col nostro modello si riequilibrerebbe tutto e il contatto col cliente verrebbe riscoperto”, conclude Maurizio Ughi.

Stefano Sbordoni «LA LEGGE DELEGA È L’UNICA VIA PER IL RIORDINO MA SIAMO ANCORA FERMI ALLO STESSO PUNTO»

“Purtroppo siamo alle solite e ripetiamo sempre le stesse cose: per i bandi di gara di scommesse e gioco pubblico, al di la di quello online, se non si provvede alla sospensione o alla cancellazione delle norme che prevedono distanziometri e orari di chiusura non si può fare nulla. L’unico passo in avanti sono i soldi stanziati dal gioco per gli enti locali e speriamo che questo serva a far capire il ruolo del settore nel Paese”. Stefano Sbordoni, esperto legale di sportsbetting e gioco legale dello studio omonimo del foro di Roma, analizza il momento del settore delle scommesse d’Italia che, purtroppo, devono fare sempre i conti con un’incertezza normativa ormai annosa e dannosa per il mercato. “Come detto un passo in avanti potrebbe essere la parte della manovra fiscale in cui si riservano risorse per le Regioni - prosegue Sbordoni - sarebbe già qualcosa ripartire dall’accordo Stato-Regioni che venne siglato con l’allora sottosegretario Pier Paolo Baretta. L’importante è che non rimanga una libertà totale e che finiscano le lotte di poteri con lo Stato che vanno a discapito dei cittadini. Il problema speriamo non sia più affermare un programma politico che non esiste più”. Sui criteri del bando, come regolarsi? “Se parliamo di riduzione dei punti di gioco anche qui i paradossi sono molti - prosegue l’avvocato Sbordoni - si parlava di mettere a gara i locali e non i diritti. Una condizione che va inserita, però, è la distanza tra i punti vendita. Nel Bando Bersani c’erano e si ragionava per bacini d’utenza. Poi addirittura l’Europa ha rovinato tutto stravolgendo i concetti ma nel giro di 100 metri non si possono avere due o tre agenzie. Detto ciò la questione delle gare deve essere regolata anche in funzione delle riduzioni, certo, ma di cosa parliamo? Di agenzie o sale Awp o Vlt? Le buone intenzioni, purtroppo, sono sempre accompagnate da una cattiva gestione delle motivazioni iniziali”. Un consiglio spassionato, Sbordoni, lo offre da sempre: “Dico solo di lasciare gestire il settore a chi è del mestiere, a chi se ne occupa tutti i giorni. Ovviamente fissati dei principi a livello generale dai quali strutturare il livello secondario del framework normativo. Partiamo da un sorta di ‘comandamenti’ per poi lasciare al regolatore e al concessionario gestire il settore sulla base delle regole sottostanti dettate dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli. Serve un doppio livello di competenza, tecnica e pubblica, e bisogna capire come i provvedimenti impattano in un modo o in un’altra”. Come sta il settore? “Il mio timore è quello di una lobby inversa nel gioco pubblico - spiega Sbordoni – con il rischio di farsi molti autogol. Per non parlare dell’unità nel settore che sembra esserci solo nell’emergenza poi si torna a far quadrare il cerchio con soluzioni fantasiose. Per fortuna stiamo uscendo da un momento tremendo a livello politico e mediatico in cui la gente moriva perché giocava alle slot o alle scommesse. E in molti si sono buttati in questo spazio perché hanno trovato beneficio e soprattutto soldi”. Tornando al riordino, è la volta buona o siamo ancora lontani anni luce? “Se ci fosse una legge delega che il Parlamento offre al Governo allora le speranze sarebbero piuttosto alte, le probabilità sono importanti. Ma se gli strumenti scelti fossero decreti o decreti legislativi allora sui tempi sarei decisamente più pessimista”. C’è chi si lamenta di alcune distorsioni del mercato: “Se crei invivibilità a un settore che è comunque vivo e diffuso, è ovvio che gli imprenditori si industriano e trovano soluzioni per sopravvivere. Abbiamo sanato i Ctd e siamo passati ai Pvr ma se chiudi tutti i ristoranti la gente si industria comunque per mangiare o offrire cibo”, conclude Stefano Sbordoni.

STEFANO SBORDONI

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