L'intrigo di uno spazio: il labirinto come modello di spazio espositivo

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Accortosi dell’ostruzione lo spettatore dovrà cambiare la sua posizione, regolare nuovamente il suo punto di vista, non inteso più solo in senso pragmatico come luogo delle condizioni di visibilità di un angolo di mondo, ma come dispositivo che rende conto di relazioni di tipo cognitivo e passionale che possono manifestarsi anche attraverso la messa in spazio

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cosicché la questione, è posta sotto l’aspetto di una vera e propria trattativa. Ma non è tutto. Questo punto presuppone soprattutto l’intenzionalità. Con questo cosa voglio dire? L’accento dal poter non vedere si sposta sul voler vedere. C’è una certa consequenzialità, e ancora una volta tensione. Potendo non vedere, si vuole vedere. Credo di aver in questo modo toccato proprio il cardine di questo lavoro: la sottrazione ad agire, a muoversi si gioca sul rapporto della tensione a poter non vedere. Forse però ancora qualcosa non è chiaro... Perché giocare continuamente con questa possibilità? La risposta potremmo trovarla se proviamo ancora ad osservare il punto che non abbiamo ancora toccato dello schema qui sopra proposto: il non poter non vedere, punto della completa esposizione e quindi della massima possibilità di visione. Se non posso fare a meno di vedere, mi è tutto mostrato. Il rischio è che questo diventi un vero e proprio abbaglio. Tutto è dato. Tutto è concesso alla vista e alla portata del fruitore. Al contrario l’acquisizione di una piena visione, anzi di una nuova e personale fruizione, non deve essere semplicemente una massima esposizione, ma un conseguimento di nuove competenze attraverso il gioco d’intimidazione, sottrazione e tensione. Il tutto è una messa in opera di passioni che vuole modificare l’interesse e spronare il pubblico verso la ricerca di nuove strade, esperienze e capacità di valutazione.

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S. CAVICCHIOLI, 2002, op. cit., p. 169.


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