

PROGETTO BABELE

A DANTE IL SOMMO POETA
Gloria et divitiae in domo ejus, et Justitia ejus manet in saeculum saeculi etc. Sì come lo Profeta ne testimonia, nella casa del nostro Signore Iddio si è universalmente tre cose, le quali si connumerano nella preallegata autoritade, sì come gloria et divitie et giustizia eterna; le quali tre cose sono cagioni efficienti a fare l'umana natura beata, ricca et perfetta.
A CURA DELLA PROF.SSA
ANNA SARACENO
Il concetto di “prova da superare” che forgia l’animo, il carattere, la personalità è fondamentale nella Commedia, giacché si rifugge dalle facili scorciatoie, dalle quali l’adolescente si sente, nel suo difficile cammino esistenziale, fortemente attratto.
Difficile parlare di Dante, il poeta più studiato, più letto, più analizzato e commentato al mondo
Dovremmo forse seguire
til poeta con umiltà e buon senso, fermandoci a inquadrare la sua faccia pensosa, le sue vesti che si agitano mentre cammina, le figure degli amici che incontra, l’immagine della donna amata La sfida più grande per noi docenti credo che sia quella di farlo leggere a quei ragazzi che lo considerano un dovere noioso e a quelli che istintivamente si allontanano da un linguaggio considerato antiquato e quasi incomprensibile Bisognerebbe dimostrare loro che, sebbene lontano nel tempo, sebbene così diverso da loro, sebbene così arcaico nel suo linguaggio, il nostro imprevedibile poeta farà loro riveder le stelle E questo potrà accadere solo camminando accanto al grande viaggiatore, che non si è tirato indietro nemmeno di fronte alla discesa nell’inferno più spaventoso, che ci ha buttato dentro un tempo pieno di grovigli e di violenza, ma anche ricchissimo di creatività e di sorprese Il coinvolgimento dell’adolescente sarà tanto maggiore quanto a poco a poco gli faremo scoprire come la vicenda di Dante - personaggio, che si appresta ad affrontare numerose e difficili prove per risalire dal buio alla luce, sia un po’ la sua stessa vicenda, quella di un giovane che deve superare una serie di prove altrettanto impegnative per passare dall’adolescenza alla maturità, o
semplicemente, da uno stato d’insoddisfazione e infelicità ad una condizione di appagamento e di maggiore serenità Il concetto di “prova da superare” che forgia l’animo, il carattere, la personalità è fondamentale nella Commedia, giacché si rifugge dalle facili scorciatoie, dalle quali l’adolescente si sente, nel suo difficile cammino esistenziale, fortemente attratto Si prefigura quindi un percorso laico di formazione, a fianco di quello religioso, che non può lasciare indifferente l’alunno nel momento del massimo bisogno di punti di riferimento della sua vita. Del resto qualcuno ha affermato che la letteratura intensifichi la vita La grande forza di Dante credo sia anche la possibilità di far intravedere, in fondo a un lunghissimo tunnel, la luce. Un poeta grandissimo come Petrarca, macerato com’è nella sua continua autoanalisi fra il costante proposito di una maggiore dedizione alla vita autenticamente cristiana in vista di una possibile salvezza nell’aldilà e un parallelo costante rinvio di tale decisione, attratto com’è dalle lusinghe mondane dell’amore per Laura, del conseguimento della gloria poetica e così via, anche se incarna perfettamente l’indole di quello che sarà l’uomo moderno e non più medievale, non riesce a coinvolgere a livello esistenziale, se non per la splendida e impeccabile corrispondenza fra contenuto e forma e per le magiche atmosfere evocate Tutte queste raffinate
operazioni poetiche riescono a coinvolgere solo parzialmente, giacché quella macerazione interiore infinita rischia di non dare risposte definitive alle domande esistenziali di un animo in formazione come quello di un giovane studente. Il percorso dantesco appare allora più convincente per le possibilità di riscatto che offre, per la speranza che prospetta, per il raggiungimento di una meta definitiva e totalizzante, naturalmente a certe condizioni. Ed è qui la forza educativa della Commedia: condizioni dure, fatte di coraggio, sacrificio, di recupero delle facoltà razionali e della loro costante applicazione in un esercizio di rafforzamento del carattere che può essere l’antidoto ideale alla vacua apatia di molti giovani d’oggi

Dante esorta a essere uomini e non pecore Cosa significa essere uomini, vivere da uomini? Significa in primo luogo usare la ragione Che cosa intende quindi Dante per ragione? Quando, nel canto XXV del Purgatorio, vuole distinguere la facoltà razionale dell’anima da quelle vegetativa e sensitiva, la definisce come capacità di riflettere su se stessa In altre parole è la capacità di vedere noi stessi, di essere consapevoli Non si tratta di una facoltà innata nell’uomo, bensì di una capacità acquisita dopo tutto un cammino e un duro lavoro su di sé È il conoscere se stessi Questo è il nocciolo fondamentale della Commedia e il motivo principale per cui leggerla: Dante insegna il cammino che ci conduce alla conoscenza di noi stessi, senza la quale non vi può essere vera felicità
Egli stesso dice che lo scopo per cui ha scritto il suo poema è quello


di togliere i viventi in questa vita dallo stato di miseria e condurli allo stato della felicità Noi viviamo in una società bisognosa di ripensare le regole generali dell’economia, della politica, della morale, una società che ha bisogno di riscoprire i valori dell’altruismo e della solidarietà, anche fra entità nazionali, che ha bisogno di ridurre le disuguaglianze per ritrovare una convivenza pacifica e meno conflittuale: ebbene la Commedia dantesca è forse il più grande ambizioso profetico progetto di riforma morale della società. Più attualità di questa... Dante è attuale perché è eterno, è fuori dal tempo, fuori da quelli che sono i costumi degli uomini che vanno, vengono, si modificano negli anni: a lui interessa l’essenza dell’uomo, che è sempre la stessa, non muta; ed è questa la ragione per cui anche l’uomo d’oggi vi può trovare risposta alle grandi domande della vita
I TRATTI SALIENTI DELLA SUA VICENDA BIOGRAFICA
A CURA DI ESTHER MARIA CAROLEO IIH LICEO SCIENTIFICO
Settecentocinquantanove anni fa nasceva a Firenze Dante Alighieri o Alighiero, della famiglia Alighieri, un grande poeta e filosofo italiano del tardo Medioevo, conosciuto in tutto il mondo per una delle sue opere più celebri, la Divina Commedia. Cresciuto in un'importante famiglia fiorentina, Dante ricevette un'educazione completa in letteratura, filosofia, teologia e lingue classiche come il latino e il greco antico. La sua educazione ebbe luogo a Firenze, dove studiò le opere di autori classici come Virgilio, Ovidio e Cicerone, nonché di scrittori cristiani medievali come Sant'Agostino e Tommaso d'Aquino. Fin dalla tenera età dimostrò un vivo interesse per la letteratura e la poesia e la sua educazione ha incluso un approfondimento delle tradizioni poetiche del suo tempo, sia classiche che contemporanee Anche gli studi teologici di Dante giocarono un ruolo significativo nel plasmare il suo sviluppo intellettuale. La sua comprensione della teologia cristiana, in particolare dei concetti di peccato, redenzione e vita ultraterrena, influenzò profondamente il suo capolavoro, La Divina Commedia. Nel complesso, la vasta educazione di Dante gettò le basi per i suoi successi letterari e

filosofici, fornendogli la conoscenza e gli strumenti intellettuali necessari per creare opere che avrebbero avuto un impatto duraturo sulla letteratura e sul pensiero occidentale La vita di Dante fu segnata da disordini politici, esilio e una profonda devozione verso la sua arte Quando aveva solo dodici anni fu concordato il matrimonio con la sua futura moglie, Gemma Donati, figlia di Messer Manetto Donati, che sposò all'età di vent'anni nel 1285 Non fu però un’unione felice in quanto è risaputo che il vero amore di Dante fu Beatrice o Bice Portinari,

donna realmente esistita che occupa un ruolo centrale nella Divina Commedia Dante generò con sua moglie due figli e una figlia: Jacopo, Pietro, Antonia e un quarto, Giovanni di cui si dubita ancora oggi l’esistenza. Dei primi tre, Pietro divenne giudice e l'unico che continuò la stirpe degli Alighieri, in quanto Jacopo scelse di seguire la carriera ecclesiastica, mentre Antonia divenne monaca con il nome di Sorella Beatrice, nel convento delle Olivetane a Ravenna. Nella sua giovinezza fu coinvolto nella lotta politica tra due fazioni: i guelfi, che sostenevano il papato, e i ghibellini, che sostenevano l’autorità dell’ Impero Nonostante
l'appartenenza al partito guelfo, egli cercò sempre di osteggiare le ingerenze del suo acerrimo nemico papa Bonifacio VIII, dal poeta intravisto come supremo emblema della decadenza morale della Chiesa Dante si schierò dunque con i Guelfi Bianchi, ma le sue ambizioni politiche furono contrastate quando i Guelfi Neri presero il potere e lo esiliarono da Firenze nel 1302 Nonostante il suo esilio, Dante continuò a scrivere in modo prolifico, producendo altre opere degne di nota come la Vita Nova e il De Monarchia Trascorse i suoi ultimi anni viaggiando e praticando il mecenatismo, ma non tornò mai a Firenze. Morì a Ravenna nel 1321, lasciando dietro di sé un'eredità che continua a ispirare studiosi, artisti e lettori di tutto il mondo Importante linguista, teorico politico e filosofo, Dante spaziò all'interno dello scibile umano, segnando profondamente la letteratura italiana dei secoli successivi, come accadde nelle opere di scrittori quali Petrarca, Boccaccio e Tasso e della più ampia cultura occidentale tanto da essere soprannominato il Sommo Poeta o, per antonomasia, il Poeta L'impatto di Dante trascende i secoli, rendendolo una figura di assoluta ed imprescindibile importanza nel canone della letteratura mondiale

LA DONNA ATTRAVERSO LE VICENDE BIOGRAFICHE ED I VERSI DI DANTE
A CURA DI GAIA MOSCHELLA IH LICEO SCIENTIFICO
Nel panorama della letteratura mondiale, poche figure brillano con la stessa intensità di Dante Alighieri, l’illustre poeta fiorentino del XIII e XIV secolo Dante ha lasciato un’impronta indelebile nella storia culturale dell’umanità, influenzando generazioni di scrittori, filosofi e artisti, anche per il ruolo e la rappresentazione della donna che egli ha tratteggiato. Nel Medioevo il ruolo delle donne era ampiamente influenzato dalle concezioni sociali e culturali dell’epoca In generale, le donne erano considerate di status inferiore rispetto agli uomini e spesso sottoposte a restrizioni rigide nella sfera pubblica, imposte dal patriarcato dominante, ma potevano esercitare un’influenza significativa sulla sfera familiare e sociale, contribuendo per esempio alla diffusione della fede e dell’istruzione È in questo contesto che emergono figure femminili di rilievo nella vita di Dante, tra cui sua madre Bella degli Abati, una donna


fiorentina del XIII secolo, nota per la sua bellezza e il suo spirito intellettuale È stata celebrata da molti poeti del suo tempo, tra cui suo figlio, che ne ha fatto menzione nel suo trattato De vulgari eloquentia La figura di Bella ha influenzato profondamente la vita e le opere di Dante, tanto da essere identificata come una delle fonti di ispirazione per la figura di Beatrice nella Divina Commedia. La visione dell’amore che Dante aveva per Beatrice riflette l’adorazione che l'autore nutriva per Bella degli Abati. Nelle opere letterarie di Dante, in particolare nella Divina Commedia, la rappresentazione della donna riveste un ruolo di fondamentale importanza che viene narrata in una varietà di ruoli e incarna una vasta gamma di simboli e significati con una varietà di significati simbolici e tematici Attraverso le sue descrizioni e le interazioni con le figure femminili, Dante offre una visione complessa e sfaccettata della donna, che va oltre i confini della e caratterizzazione. Al centro di questa visione si trova Beatrice Portinari, a di Firenze, che fu la musa ispiratrice del poeta sin dalla sua giovinezza. escrive il primo incontro con Beatrice nella Vita Nova, durante il quale la ezza e la sua grazia lo colpirono profondamente al punto da innescare in lui re puro e idealizzato Nella Divina Commedia Beatrice rappresenta la ne divina, l’incarnazione dell’amore divino e della redenzione, guidando ttraverso i regni dell’aldilà fino alla visione di Dio L’amore tra i due viene descritto come amore platonico In questo tipo di amore l’adorazione e la ne sono rivolte non solo alla persona stessa, ma anche all’idea di ne e bellezza che essa rappresenta. Questo amore idealizzato è al centro elazione in cui la figura di Beatrice diventa un simbolo e il suo ruolo nella Dante è fondamentale per comprendere il significato e la profondità delle re letterarie Accanto a lei Dante presenta anche personaggi femminili cende tragiche e complesse Uno dei più memorabili è sicuramente ca da Rimini, la donna condannata all’Inferno per il suo amore inoso con Paolo Malatesta.

La sua storia commovente e la sua tragica fine incarnano il tema dell’amore proibito e delle sue conseguenze nefaste, offrendo uno sguardo sulle dinamiche del desiderio e del peccato Oltre a Beatrice e Francesca, Dante popola la sua opera con una varietà di altre figure femminili, ognuna con le proprie caratteristiche e significati simbolici Si spazia da donne virtuose come Piccarda Donati, la prima anima che incontra nel Paradiso nonché sorella di Forese Donati, amico di gioventù di Dante e cugina della moglie di Dante, Gemma, che incarnano la santità e la rinuncia terrena, a figure mitologiche come Matelda, la donna che il poeta incontra nel Paradiso Terrestre prima di Beatrice, caratterizzata da una bellezza assoluta, sia nell’aspetto sia nei gesti e che simboleggia la condizione umana prima del peccato originale. Attraverso queste figure Dante offre un panorama femminile ricco e variegato nel suo universo poetico, esplorando la natura dell’amore, del peccato e della redenzione

La visione dantesca della donna non si limita alla sua epopea divina, ma si estende anche alla sua poesia amorosa, in cui l’amore cortese e la figura della donna idealizzata giocano un ruolo fondamentale, rappresentando temi centrali molto frequenti nelle sue opere liriche e nei suoi sonetti Attraverso la celebrazione dell’amore come forza trascendentale e sublime, Dante esplora la natura dell’affetto umano e la sua capacità di elevare l’anima verso la perfezione divina. Al cuore della poesia amorosa di Dante si trova il concetto di amore cortese, un ideale cavalleresco che esalta la donna come oggetto supremo di desiderio e devozione Nelle sue liriche Dante adotta i principi di questa tradizione, esaltando la bellezza e la nobiltà della sua amata e manifestando un profondo rispetto e riverenza nei suoi confronti Nella visione di Dante, la donna non è solo l’oggetto del desiderio amoroso, ma anche la fonte di ispirazione poetica e spirituale. Attraverso il suo amore per Beatrice, il poeta trova la motivazione per esplorare le profondità dell’animo umano e per aspirare alla perfezione divina Nella poesia di Dante, la donna idealizzata assume una valenza simbolica che va oltre la rappresentazione di un sentimento romantico, diventando uno strumento per il processo d crescita e trasformazione interiore del poeta Attraverso la sua idealizzazione della femminilità e la celebrazione dell’amore cortese Dante ci invita a riflettere sulle
profondità dell’affetto umano e sulla sua capacità di elevare l’anima verso l’infinito Tuttavia, nonostante la bellezza e la complessità delle sue rappresentazioni, l’opera di Dante non è immune da critiche e controversie riguardo alla sua visione della donna Alcuni studiosi contemporanei hanno sollevato interrogativi riguardo alla presunta misoginia nelle opere del poeta, sottolineando il ruolo subordinato e stereotipato assegnato alle donne all’interno della sua narrazione. Tale dibattito offre uno spunto prezioso per una riflessione critica sulla complessità delle relazioni di genere nel contesto passato e odierno e sulle loro implicazioni per la nostra comprensione delle opere di Dante oggi. A tal proposito risulta calzante una citazione del poeta tratta dalla Vita Nova, capitolo XIX, dedicata a tutte le donne: Donne ch’avete intelletto d’amore, i’ vo’ con voi de la mia donna dire, non perch’io creda sua laude finire, ma ragionar per isfogar la mente. Io dico che pensando il suo valore, Amor sì dolce mi si fa sentire, che s’io allora non perdessi ardire, farei parlando innamorar la gente

DANTE, IL POETA DELL'AMORE E DELLA TRASFORMAZIONE NELLA VITA NOVA
A CURA DI MARTA PUGLIESE IA LICEO CLASSICO
Nel vasto e intricato panorama della letteratura italiana pochi autori emergono con la stessa luminosità e grandezza di Dante Alighieri Celebrato principalmente per la sua epopea immortale, La Divina Commedia, Dante ha lasciato un'eredità letteraria che continua a incantare e ispirare generazioni di lettori in tutto il mondo Tuttavia, oltre alla sua opera epica, Dante ha prodotto un'altra gemma preziosa, altrettanto significativa e penetrante, la Vita Nova. Nato a Firenze nel 1265, Dante Alighieri è considerato uno dei più grandi poeti della storia e uno dei padri della lingua italiana Cresciuto in un'epoca turbolenta segnata da lotte politiche e rivalità tra le città-stato italiane, Dante mostrò fin da giovane un eccezionale talento letterario e una profonda sensibilità verso le questioni umane e spirituali La sua vita fu segnata da esperienze personali intense, tra cui l'amore per Beatrice Portinari, che avrebbe influenzato gran parte della sua produzione poetica, compresa la Vita Nova. La Vita Nova, scritta intorno al 1293-1294, rappresenta uno dei primi capolavori di Dante Composta da una serie di poesie e prose, l'opera narra il percorso emotivo ed esistenziale del poeta attraverso il suo amore per Beatrice, una figura mitica che incarna la bellezza e la perfezione dell'anima. La Vita Nova è un testamento dell'amore puro e idealizzato di
Dante per Beatrice, ma va oltre la semplice narrazione di un sentimento amoroso per esplorare le profondità dell'anima umana e la sua ricerca di significato e trasformazione Nell'universo letterario di Dante, l'amore assume un ruolo centrale, permeando tutte le sue opere con una forza e una profondità straordinarie Nella Vita Nova Dante ci conduce in un viaggio attraverso le varie fasi del suo amore per Beatrice, dalla prima innocente infatuazione alla struggente consapevolezza della sua perdita. La figura di Beatrice si eleva al di là della mera mortalità per diventare un simbolo di perfezione e redenzione, incarnando idealmente gli ideali amorosi e spirituali del poeta Nel confronto con altri poeti del tempo, come Petrarca e Cavalcanti, l'amore dantesco emerge come un fenomeno unico e straordinario, capace di fondere l'aspetto terreno dell'esperienza umana con la dimensione spirituale e trascendente Mentre Petrarca esplora l'amore attraverso una lente più terrena e sensuale e Cavalcanti riflette su temi più filosofici e razionali, Dante fonde entrambi gli approcci in una visione più ampia e complessa, che abbraccia sia gli elementi fisici che quelli metafisici dell'amore La decisione di Dante di scrivere la Vita Nova è stata motivata da una serie di fattori personali, artistici e spirituali. Da un lato, l'amore per Beatrice rappresenta per Dante una fonte di ispirazione e di tormento, una passione che lo spinge


a esplorare le profondità del suo animo e a trasformare le sue esperienze in opere d'arte immortali. Dall'altro lato, la morte prematura di Beatrice nel 1290 segna un punto di svolta nella vita di Dante, spingendolo a confrontarsi con la fragilità della vita e con le grandi domande esistenziali sulla morte, la spiritualità e il destino umano. In questo contesto la scrittura della Vita Nova rappresenta per Dante una forma di catarsi e di esplorazione interiore, un modo per elaborare il suo dolore e la sua angoscia attraverso l'arte e la poesia. L'opera diventa quindi un'istanza di autoriflessione e di crescita personale per il poeta, che si immerge nelle profondità della sua anima alla ricerca di significato e di consolazione Io mi sentii svegliar dentro a lo core un spirito amoroso che dormia, così inizia la Vita Nova, con versi che risuonano come un richiamo all'esperienza universale dell'amore risvegliato nell'anima Queste parole segnano l'inizio di un viaggio emotivo e spirituale attraverso le profondità del cuore umano, un viaggio che accompagnerà il lettore attraverso le pagine dell'opera. La Vita Nova dunque non è semplicemente un resoconto dell'amore di Dante per Beatrice, ma rappresenta anche un tentativo di esplorare il significato e la portata dell'esperienza amorosa e della sua connessione con la dimensione divina dell'esistenza.


Beatrice, un evento che segna l'inizio della sua profonda e duratura infatuazione per lei Attraverso una serie di episodi e incontri successivi, Dante rivela al lettore la crescente intensità dei suoi sentimenti per Beatrice, la loro connessione spirituale e il suo dolore. La Vita Nova di Dante Alighieri rimane un capolavoro senza tempo della letteratura mondiale, un monumento alla potenza dell'amore e alla sua capacità di elevare l'anima umana verso l'eterno Attraverso le sue pagine intrise di passione e di saggezza, Dante ci ricorda che l'amore è la forza più grande che governa l'universo, una forza che ci accompagna nel nostro viaggio attraverso la vita e oltre.
L'opera si pone come un'ode all'amore e alla sua capacità di elevare l'anima umana verso l'eterno, offrendo al lettore una visione unica e profonda della natura umana e dell'universo La struttura della Vita Nova è organizzata attorno a una serie di poesie e prose che narrano il percorso emotivo ed esistenziale di Dante attraverso il suo amore per Beatrice Il poeta condivide con il lettore le sue più profonde emozioni e riflessioni sull'amore, la bellezza, la morte e la spiritualità, offrendo uno sguardo privilegiato nell'animo di un uomo che si confronta con le grandi domande della vita e della morte Il racconto si apre con la descrizione dell'incontro di Dante con


IL CONVIVIO, UN BANCHETTO DI SAPIENZA
A CURA DI ALESSANDRA BARONE IH LICEO SCIENTIFICO
È un'opera scritta da Dante agli inizi del suo esilio (1304-1308) L'opera prevedeva la presenza di quindici trattati, uno introduttivo e altri quattordici di commento ad altrettante canzoni dottrinali. L’opera è composta sia di versi sia di prosa, può definirsi “prosimetro” come la Vita Nova. Dante non riuscì a portare a termine l'opera e la lasciò incompiuta per dedicarsi alla composizione della Commedia. La parola convivio deriva dal latino convivium e significa “banchetto”: egli infatti attraverso l’opera offre una sorta di banchetto aperto a tutti coloro che non hanno potuto dedicarsi agli studi a causa di occupazioni familiari o civili. Un banchetto metaforico in cui al posto del cibo vengono serviti gli argomenti del sapere medievale. Il simbolismo tra cibo e sapere è conforme alla mentalità medievale che proprio per simboli ragiona Il sapere è la filosofia non intesa come saggezza individualistica, bensì come unica attività capace di condurre l’uomo alla virtù Il Convivio è scritto in volgare, perché esso vuole rivolgersi a quanti, pur non avendo potuto formarsi una cultura alta in lingua latina, sono animati da una grande passione per l'apprendimento della verità Il Convivio è diviso in quattro trattati

Il primo trattato del Convivio ha una funzione introduttiva Dante spiega qual è lo scopo dell'opera e ne giustifica il titolo, invitando il lettore ad un metaforico banchetto per assecondare il desiderio di conoscenza dell’uomo Le quattordici canzoni saranno la “vivanda”, cioè il cibo, mentre il commento sarà il pane con cui questo si accompagna. Nel secondo capitolo l’autore afferma di non parlare di sé per gloria personale, ma perché la sua esperienza può essere utile al prossimo, nonché per difendersi. Dante ci sorprende perché nei suoi testi non si rivolge solo a uomini, ma anche a donne, le quali non avevano conoscenza né del latino né della filosofia Si introduce una proposizione di carattere generale che introduce l’auctoritas di Aristotele. Qui viene citato direttamente, in quanto Dante traduce e riporta un passo tratto dalla traduzione latina della Metafisica di Aristotele. Si procede poi con una formula ricorrente (la ragione di che) e si introduce una generalizzazione, la ragione di che puote essere ed è che ciascuna cosa, da providenza di prima natura impinta, è inclinabile a la sua propria perfezione; onde, acciò che la scienza è ultima perfezione de la nostra anima, ne la quale sta la nostra ultima felicitade, tutti naturalmente al suo desiderio semo subietti. Dal piano generale Dante è arrivato a circoscrivere il discorso, perché, pur essendo tutti portati dal desiderio della scienza, non tutti possono raggiungerla. Dante decide poi di parlare dell’uomo, parlando della parte del corpo e della parte dell’anima Inizia partendo dal primo punto, Da la parte del corpo è quando le parti sono indebitamente disposte, sì che nulla ricevere può, sì come sono sordi e muti e loro simili E conclusa la parte che riguarda il corpo, attacca con la parte dell’anima, Da la parte de l’anima è quando la malizia vince in essa, sì che
si fa seguitatrice di viziose delettazioni, ne le quali riceve tanto inganno che per quelle ogni cosa tiene a vile Il secondo trattato del Convivio si apre con la canzone Voi che ’ntendendo il terzo ciel movete Dante rappresenta il conflitto interiore tra la venerazione verso Beatrice e l’amore per una nuova donna Il poeta loda questa donna e nell’ammirarla la sua anima si smarrisce Si afferma che solo poche persone possono comprendere il significato della canzone, ma molti posso ammirare la sua bellezza Dante è portato ad esporre al lettore la questione del "sovrasenso", quindi fa anche un commento nel quale espone i quattro sensi della scrittura: il senso letterale, che è da considerare come le fondamenta dell'edificio di cui Dio è il primo architetto; il senso allegorico, che implica che sotto una finzione ci possa essere una verità nascosta; il senso morale, che fa riferimento ad un'interpretazione pedagogica ed il senso anagogico, che riguarda le verità ultramondane Dopo ciò Dante sente il bisogno di spiegare che la canzone fu scritta dopo la morte di Beatrice,la donna che egli amava Nel sesto e settimo capitolo Dante fa un’esposizione letterale della prima e della seconda stanza Poi passa all’esposizione allegorica: la donna

gentile che consolò il poeta dopo la morte di Beatrice rappresenta la filosofia; invece i cieli rappresentano ciascuno una scienza. In questo contesto è però fondamentale la vittoria della donna-Filosofia, gentile oltre misura, misericordiosa della vedovata vita di Dante e pronta ad unirsi a lui in un secondo matrimonio La prima interpretazione letterale si concentra, dunque, sulla cosmologia: sono citati a tal proposito Aristotele, Tolomeo ed i cristiani che definirono il numero dei cieli; la conformazione dell'universo delineata in questa seduta sembra rispondere perfettamente alla concezione dantesca che presupponeva una fede nella razionalità della creazione. Successivamente vengono citate le intelligenze angeliche, sostanze separate che muovono i cieli, la cui esistenza è provata dall'apparizione a Maria dell'Arcangelo Gabriele il quale fa riferimento alla propria appartenenza ad un'intera legione di angeli Essi sono dunque messi in rapporto con i pianeti, con gli influssi e tra essi viene messo in risalto quello di Venere, precedentemente citato, che poneva Dante in una situazione di novitas, ovvero inerme nei confronti della generazione del nuovo amore per la donna-Filosofia e del corrompersi dell'antico amore per Beatrice A favore di quest'ultimo è, però, dedicata una divagazione sull’immortalità dell'anima: l'anima deve essere necessariamente immortale, se l'anima non fosse immortale la civiltà sarebbe vana e questa opzione risulta essere addirittura impensabile per Dante. Chiunque non creda in questa caratteristica dell'anima umana ne svilisce il valore umano ed, in ultimo, essendo
la creazione di Dio infinitamente buona, non può presupporre la frustrazione del desiderio umano All’inizio del terzo trattato Dante inserisce la canzone Amor che ne la mente mi ragiona, che è un elogio della sapienza introdotta nel precedente trattato. Il componimento poetico in questione risponde perfettamente allo stile della lauda e vengono adottati tutti gli schemi precedentemente adoperati per descrivere Beatrice La lode vera e propria si presenta come tripartita e si fa riferimento al sole che ammira la donna, tale elogio viene giustificato in base a tre principi: l'amore che ognuno prova per sé, la volontà di preservare l'amistà, ovvero il desiderio di conservare l'amicizia ed infine la prudenza. Infine, nel congedo rivolto alla stessa canzone, il poeta si riferisce a una “sorella” di quest’ultima Nel commento, Dante spiega perché lodò la donna gentile con questa canzone Nell’esposizione della prima stanza spiega il significato di amore e mente L’amore e’ un sentimento che si manifesta diversamente, ciò dipende dalla bellezza e perfezione della donna. L’amore però si materializza nella mente. Dopo l’esposizione della quarta stanza, Dante vuole spiegare come l’anima si riveli principalmente nel viso, nella bocca e negli occhi; poi si affronta il tema dei vizi innati e di quelli dovuti a consuetudine Nella spiegazione del congedo il poeta rivela che chiama la donna fera e disdegnosa solo perché la tende a considerare solo dalle apparenze Il quarto e ultimo trattato del Convivio si apre con la canzone Le dolci rime d’amor ch’i’ solia. Dante in questo trattato decide di parlare direttamente della filosofia e della nobiltà. La polemica tradizionale riguardo all'autentica nobiltà vedeva
contrapposti due grandi schieramenti: coloro che credevano nella nobiltà di sangue (ereditabile) e coloro che credevano in quella d'animo (individuale) Dante in primo luogo presenta la communis opinio, impropriamente attribuita a Federico II, secondo cui la nobiltà coincide con l’ antica possession d'avere e reggimenti belli e subito dopo aggiunge la banalizzazione interessata della medesima. Egli spiega cos’è la nobiltà e vuole far capire che essa non deriva dalla ricchezza Così spiega nel commento di aver scritto la canzone per andare a correggere le false opinioni sul vero significato della nobiltà Il quarto capitolo ha per argomento la natura e i limiti dell’autorità imperiale, mentre il quinto la natura provvidenziale dell’impero romano. Il Convivio affronta anche il problema della divulgazione ad alto livello della cultura Dante si rivolge a chi non asseconda una predisposizione al male e rifiuta la pigrizia intellettuale, ossia a chi possiede un animo nobile Nell’opera per questo prevale l’andamento logico-dimostrativo, ma non mancano anche interventi di carattere più personale, diretto e passionale Non è un caso che proprio nel primo trattato si inseriscono in alcuni punti delle vere e proprie invettive e così anche si introducono delle notazioni di carattere autobiografico In quest’opera non c’è un dedicatario specifico Possiamo semplicemente dire che il pubblico è formato da coloro che non sono litterati, che non hanno potuto compiere gli studi che permettono loro di acquisire la scienza e la conoscenza, perché hanno avuto nella loro vita vicissitudini, occupazioni, condizioni tali che non hanno permesso loro di acquisire questo

IL DE VULGARI ELOQUENTIA
A CURA DI ISABELLA CAVALLARO IA LICEO CLASSICO
Il De vulgari eloquentia è un trattato in lingua latina scritto da Dante Alighieri tra il 1303 ed i primi mesi del 1305. Il trattato doveva essere composto da almeno quattro libri, ma Dante compone solamente il primo e parte del secondo È scritto in latino in quanto rivolto principalmente ai dotti del tempo per mostrare loro la bellezza della lingua volgare Dante decide di dedicarsi allo studio e all’analisi della lingua volgare in quanto quest’ultima si era progressivamente affermata come lingua scritta in tutta l’Europa occidentale In Italia il volgare arriva ad una definitiva imposizione proprio nell’ambito della società comunale, dove sia il popolo sia molte persone colte ricorsero all’uso del volgare Nonostante ciò, all’epoca, il suo utilizzo era fortemente criticato poiché ritenuto un linguaggio inferiore rispetto al latino. Dante nel De vulgari eloquentia, oltre a rappresentare la massima espressione della civiltà comunale italiana del medioevo, spiega l’importanza che riveste il volgare, il quale nonostante sia una lingua frammentata in una miriade di dialetti diverrà, come profetizzato dal Poeta, la comune lingua di cultura. Dunque il libro si presenta come un trattato linguistico universale, che illustra la definizione del linguaggio umano rispetto alla comunicazione degli angeli e degli

animali, trattando poi la storia linguistica dell'umanità a partire da Adamo e restringendosi al quadro etno-geo-linguistico dell'intera Europa; in seguito si focalizza sull'ambito linguistico e letterario affrontando la fenomenologia dei volgari municipali d’Italia e costruisce una teoria filosoficamente fondata sulla poesia e sulla letteratura volgare, che costituirà il nucleo della lingua italiana. Dante inizia il suo discorso chiarendo che nessun altro prima di lui ha mai parlato della dottrina dell’eloquenza volgare, nonostante

artificiale, costruita e detta anche gramatica, un linguaggio di secondo livello fondato sull'arte. La locutio vulgaris, primaria e universale, viene definita da Dante come quella che i bambini acquisiscono con l'uso da chi si prende cura di loro quando cominciano ad articolare le parole; ovvero, come si può dire più in breve, definiamo parlar volgare quello che assorbiamo, al di fuori di qualunque regola, imitando la nutrice Quindi quest’ultimo è un linguaggio più naturale, primordiale, basato sui sentimenti e incurante della correttezza a livello grammaticale che passa in secondo piano La locutio secundaria, invece, è molto più artefatta ed articolata e propria solo di alcuni popoli, soprattutto dei Greci e dei Romani, e all'interno dei popoli stessi è conosciuta solo da pochi individui che sono stati scolarizzati. In ogni caso il linguaggio più nobile è il volgare sia perché è stato usato dalgenere umano per primo, sia perché ne usufruisce il mondo intero, mentre l'altro è piuttosto artificiale e potrebbe risultare forzato e non sincero se utilizzato soprattutto in contesti quotidiani, ma anche in ambito politico e artistico poiché non esprime al meglio ciò che realmente si pensa e si prova. Inoltre lo scrittore definisce la locutio vulgaris come il nostro vero e primo linguaggio e lo identifica come nostro non perché ce ne sia un altro, ma poiché risulta quest’ultima sia necessaria per tutti, dato che come lingua e come dono divino ha il compito di illuminare il discernimento di quanti vagano come ciechi per le piazze, per lo più credendo di avere dietro le spalle ciò che hanno davanti agli occhi. Qui Dante usa l’immagine topica del cieco che deambula nel vuoto per dire che, nonostante le persone comuni parlino volgare, non ne comprendono l’importanza Lo scrittore sin dal primo capitolo si appresta a differenziare due tipi di linguaggi: la locutio vulgaris, il parlare naturale, fondato sull'uso, cioè semplicemente la facoltà umana del linguaggio e la locutio secundaria ovvero una lingua


necessario solo all’uomo. Difatti secondo Dante il parlare non fu necessario agli angeli, non agli animali inferiori, anzi sarebbe stato dato loro inutilmente: cosa che la natura fugge dal fare Quindi, per il poeta la capacità di discernimento appartiene solo all’essere umano, poiché quando parliamo vogliamo manifestare agli altri ciò che la nostra mente concepisce e non avremmo nessun altro modo per farlo A differenza nostra, le creature divine possiedono una notevole capacità intellettuale per effondere i loro pensieri. Gli animali, guidati da un istinto naturale, non necessitano di un linguaggio; infatti quelli della stessa specie, avendo analoghi comportamenti, possono riconoscere quelli dell’altro; tra quelli appartenenti a specie differenti la parola sarebbe divenuta dannosa, in quanto fra loro non ci sarebbe potuto essere alcun rapporto d’amicizia Esprimendo tale concetto Dante, involontariamente, ripone fiducia nell’uomo sottolineando che gli animali in quanto creature inferiori non sarebbero stati in grado di convivere con specie diverse, al contrario l’uomo, in quanto essere dotato di ragionevolezza, dovrebbe saper convivere, instaurando un rapporto civile ed equilibrato Nonostante ciò gli umani spesso dimenticano di aver questo dono, comportandosi come animali, quest’ultimi non pensano in modo eguale a noi umani e non possiedono il dono della parola perciò agiscono seguendo un istinto primordiale, che noi uomini dovremmo ormai saper controllare Quindi l’uomo secondo Dante è un animale politicoIl poeta trae questa conclusione seguendo il ragionamento adottato da san Tommaso nel commento alla Politica di Aristotele, dove Dante ha

trovato la nozione di locutio definita come la facoltà distintiva degli umani che fa sì che l'uomo sia appunto un animale politico Dopo aver espresso tale concetto Dante sposta momentaneamente la sua attenzione sull’origine della parola e afferma di ritenere giusto ricercare a quale fra gli esseri umani per primo fu data la parola, cosa abbia detto per prima cosa, a chi, dove e quando, e infine in quale particolare lingua sia stato emesso quel primo atto di parola Secondo il Poeta ci sono quattro soluzioni originali per rispondere a tale quesito: il primo essere umano a parlare fu Adamo, non la presumptuosissima Eva, ma non per una questione di misoginia quanto per tutelare la nobiltà della locutio, che non può essere stata inaugurata per disporre il peccato originale, ma per evidenziare il suo essere un segno distintivo della perfezione umana e un massimo dono di Dio. Interrogato da Dio, in risposta, il primo suono pronunciato da Adamo è stato El, ovvero Dio Infatti allo scrittore appare assurdo che qualcos’altro sia stato nominato dall’uomo prima di Dio, in quanto l’uomo è stato creato da Lui e per Lui ma riguardo ciò sorge un dubbio, se l’uomo ha parlato per la prima volta in risposta a Dio, quest’ultimo come ha comunicato con l’uomo? Secondo Dante, Dio deve aver comunicato non tramite l’uso diretto della parola ma muovendo l’aria e producendo grandi perturbazioni, le quali, per volere del Signore, risuonavano come parole Inoltre il Poeta affronta la curiosa discussione riguardante il primiloquium e se quest’ultimo abbia avuto luogo dentro o fuori il paradiso terrestre. Con la creazione della prima anima è stata concreata da Dio una lingua parlata da tutti discendenti di Adamo prima dell’edificazione della Torre di Babele, anche detta torre della confusione Dante ripropone
l’idea espressa da sant’Agostino nel De civitate Dei, affermando che inizialmente vi era un unico ydioma, che si crede fosse l’ebraico, o meglio che sia una lingua originaria e singolare appartenente all’umanità che è andata perduta quando è stata costruita la Torre di Babele, e che da allora è stata chiamata ebraico poiché rimasta solo ai figli di Eber, che non hanno partecipato alla costruzione dell’edificio. Per la prima volta assistiamo a un cambiamento nel tipo di fonti utilizzate da Dante per lo sviluppo delle tematiche da lui affrontate; infatti si passa dalle fonti aristotelico-scolastiche, incentrate sulla filosofia e la politica, a fonti di esegesi biblica. Ciò che Dante ricava dalla successione delle sue fonti è quindi che il linguaggio, supremo dono dato da Dio all'uomo per consentirgli di raggiungere il suo fine, ovvero costruire la propria πολιτεία, viene colpito per castigo divino perché l'uomo si è dedicato alla costruzione di una città empia che il De civitate Dei identifica appunto come città terrestre, in senso negativo, contrapposta alla patria celeste Pertanto non vi è alcun dubbio che la lingua creata da Dio sia l’hebraicum ydioma, la cui ricerca apre la seconda fase del trattato che analizza gli ydiomata ovvero le lingue volgari
La ricerca dell'ydioma originario è subito connotata dalla varietà dissonante dei volgari odierni, che fanno sì che gli uomini non si capiscano con le parole più di quanto non si capirebbero senza parole; in questo verso risiede un'allusione alla vanificazione del valore del linguaggio -fondamento della civiltà- causata dall'assetto politico dell'Italia dell’epoca Perciò Dante dopo aver determinato l’origine della parola e l’ydioma originario, pone la sua attenzione su


come le diverse lingue si siano diffuse nel mondo in seguito alla confusione babelica Bisogna specificare che il Poeta si atteneva alla rappresentazione del mondo fornita dalla mappa T in O, una tipica mappa del medioevo che raffigurava il mar Mediterraneo a forma di T dividendo i tre continenti Asia, Africa ed Europa tutti circondati da un grande oceano, la O. Dante ritiene che gli ydiomi si siano diffusi verso tutti gli angoli del mondo, in particolar modo verso l’Europa, verso la quale si dirige una corrente migratoria che porta con sé un triplice ydioma, ognuno nato dalla confusione babelica: un ydioma che possiamo chiamare proto-germanico-slavo, diffuso nell’Europa settentrionale; uno che possiamo chiamare protogreco, diffuso nell'Europa orientale fino in Asia; e uno che possiamo chiamare proto-romanzo, diffuso nell'Europa meridionaleL’ydioma proto-romanzo si diversifica in tre distinti ydiomata che in seguito sono stati definiti vulgaria, d’oc, d’oil e di sì,i quali sono denominati in base al modo in cui dichiarano “sì” Il volgare d’oc si è diffuso nella parte occidentale dell’Europa meridionale, il volgare di sì nella parte orientale, Italia inclusa, e infine il volgare d’oil nella parte settentrionale Dunque Dante dopo aver determinato in quanti e in quali volgari si divide l’ydioma proto-romanzo, si chiede perché le lingue continuano a mutare e a differenziarsi. Innanzitutto è necessario precisare che lo scrittore è consapevole di tale cambiamento, situazione che non bisogna dare per scontata in quanto il mutamento viene percepito solo da pochi Dante accorgendosene riscontra una notevole somiglianza tra i volgari d’oc, d’oil e di sì, e da qui deduce che deriva da un unico ydioma babelico, e che quindi si sono trasformati e differenziati.
Tanto che il Poeta afferma che il nostro ydioma era diventato tripharium, ovvero trisonum Dunque è la scoperta di un protoromanzo comune che porta con sé la scoperta del mutamento delle lingue nel tempo e nello spazio Quindi Dante ritiene che la lingua cambia insieme all’uomo, in quanto quest’ultimo è un animale instabilissimo e mutevolissimo, e il linguaggio non può essere né durevole né persistente, ma al pari delle cose umane, varia necessariamente come i costumi e le abitudini Il rimedio alla mutevolezza delle lingue naturali è l’invenzione delle lingue artificiali, il Latino e il Greco, che si sottraggono al cambiamento nel tempo e nello spazio poiché fondate sulla ragione Nel De vulgari eloquentia il Poeta cita molteplici volte il Latino, quindi la sua grammatica e i suoi vocaboli, poiché quest’ultimi coincidono con alcuni vocaboli presenti nelle tre lingue d’oc, d’oil e di sì. Quest’ultime secondo Dante hanno sviluppato tre tipi di letterature diverse: quella d’oil è specializzata nella prosa, romanzesca, storica e dottrinaria; quelle d’oc e di sì sono specializzate nella poesia Inoltre, il Poeta scopre che questi tre volgari si diversificano in altri volgari, dunque per passare in rassegna i volgari italiani, Dante si appoggia a una ideale mappa fisica e politica della penisola. Dal punto di vista della geografia fisica, è necessario puntualizzare che la mappa dell’epoca era inversa rispetto alle nostre carte moderne, e quindi che il versante tirrenico risultava a destra, mentre quello adriatico a sinistra Dante prende in esame molti volgari d’Italia, alla ricerca del più illustre che possa rappresentare la comune lingua di cultura In principio il poeta vuole eradicare i volgari peggiori, come i volgari anconetani e spoletini e il volgare romano, giudicato come
turpissimo perché i Romani hanno l’arroganza di anteporsi a qualunque altro popolo.Invece uno dei migliori è quello siciliano, reso così illustre dalla scuola poetica fondata da Federico II; tuttavia, secondo lo scrittore anch’esso è inadeguato Dai migliori si ritorna ai peggiori, tra i quali troviamo i volgari toscani, che Dante vuole accostare al volgare siciliano per massimizzare l’evidente contrasto presente fra le rispettive civiltà letterarie: da un lato vi è la curialità tipica del volgare siciliano, dall’altro vi è la bassezza municipale dei rimatori toscani L’autore critica in particolar modo i volgari toscani non perché siano effettivamente i peggiori ma piuttosto perché è ancora scosso dal rancore che prova nei confronti dei suoi concittadini che hanno deciso di esiliarlo Passando poi per il nord dell’Appennino, Dante nota che esistono in Italia due volgari che si oppongono per caratteristiche contrarie e complementari Il primo è il romagnolo, tanto molle che fa sembrare anche un uomo che lo parli una donna. Al secondo Dante non dà un nome, ma grazie al testo sappiamo che occupa la Marca Trevigiana nonché la parte orientale della Lombardia Questo secondo volgare è tanto irsuto e aspro che fa sembrare anche una donna che lo parli un uomo. Dante costruisce questa bipartizione linguistica dell'Italia di sinistra con il preciso scopo di esaltare la centralità di Bologna, la quale, trovandosi esattamente sul confine fra le due aree, possiede un volgare municipale più temperato e dunque uno dei più belli d’Italia; nonostante ciò neppure il volgare bolognese rientra nella perfetta definizione di volgare illustre. Dunque la ricerca del volgare illustre continua e Dante decide utilizzare quattro attributi per delineare al meglio il tipo di linguaggio che vuole trovare; essi sono: -illustre perché doveva dare lustro a chi lo parlava;

-cardinale, così come il cardine è il punto fisso attorno al quale gira la porta, allo stesso modo la lingua deve essere il fulcro attorno al quale tutti gli altri dialetti possono ruotare;
• aulico, perché dovrebbe essere degno di essere parlato in una regia (aula);
• curiale, perché dovrebbe essere degno di essere parlato in una corte (curia)
Il secondo epiteto in particolar modo definisce al meglio il volgare illustre che appunto è cardinale perché come tutta la porta segue il cardine, si gira anch’essa, sia verso l’interno che verso l’esterno, così anche l’intero gregge dei volgari municipali si gira e si rigira, si muove e si ferma, seguendo questo che dimostra veramente di essere il capofamiglia. Però egli non ritiene degno di questo scopo nessuno dei volgari italiani, nonostante alcuni di essi, come il toscano, il siciliano e il bolognese, abbiano un'antica tradizione letteraria Il Poeta conclude il primo libro ribadendo che è sua intenzione fornire un trattato linguistico che analizzi i volgari Italiani e dia la definizione di volgare illustre Possiamo quindi dire che lo scopo del trattato è di dimostrare che la lingua dei poeti ovvero il vulgare illustre, è la prefigurazione di quella che sarà la lingua degli italiani ovvero il vulgare latium, anche detta comune lingua di cultura, che fa dei poeti le membra unite dal divino lume della



Dopo poco tempo Dante inizia la stesura del secondo libro del De vulgari eloquentia per trattare nuovamente il tema del volgare illustre, ma se nel primo libro aveva analizzato l’intero aspetto teorico del volgare, nel secondo il poeta decide di concentrarsi su come quest’ultimo venga utilizzato, dove, quando e soprattutto da chi All'inizio Dante si premura di chiarire che il volgare italiano illustre si applica sia alla poesia che alla prosa Ma che cos’è la poesia, nella sua essenza? Dante la definisce una composizione adarte fatta di retorica e di musica Questa affermazione di Dante è estremamente audace e fonda l'estensione semantica della parola poeta nelle lingue moderne europee In queste prime pagine Dante introduce anche il concetto della convenienza, affermando che non sempre è lecito utilizzare il volgare illustre, bisogna riconoscere le situazioni in cui conviene farne uso. Quest’ultimo è uno strumento e come tale deve essere trattato, difatti il suo utilizzo non garantirà automaticamente dei pensieri migliori, anzi, deve essere adoperato solo quando vi sono pensieri migliori e quindi ingegno e scienza, altrimenti verrà utilizzato invano Inoltre lo scrittore in questa secondo libro analizza cosa spinge gli umani a scrivere un determinato genere di poesie piuttosto che un altro. Il ragionamento ha inizio grazie ad una limitazione posta nella Vita Nova da Dante stesso, che si era espresso contra coloro che rimano sopra altra matera che amorosa; qui il campo letterario si estende a tre grandi domini, corrispondenti alle tre anime dell'uomo: l'anima vegetativa, che l'uomo ha in comune anche con le piante; l'anima sensitiva, che ha in comune con gli animali e infine l'anima razionale, che ha in comune con gli angeli In corrispondenza delle tre anime l'uomo ricerca l'utile, il delectabile e l'honestum, e quindi i tre grandi temi poetabili sono la salus, la sopravvivenza ovvero la poesia delle armi; la venus ovvero la poesia d'amore; la virtus ovvero la poesia morale

DE MONARCHIA
A CURA DI MARCO IAMUNDO IIIA LICEO CLASSICO
II De Monarchia di Dante Alighieri è un'opera politica scritta tra il 1310 e il 1313, in cui l'autore affronta il tema del potere politico e dell'autorità imperiale. Il trattato si compone di tre libri e ha lo scopo di dimostrare la necessità di un'autorità universale e indipendente da ogni potere temporale, che garantisca la pace e l'ordine nel mondo. Nel primo libro, Dante discute il rapporto tra imperatore e pontefice, difendendo l'idea che l'autorità dell'imperatore derivi direttamente da Dio e sia quindi superiore a quella del papa. Secondo l'autore, solo un sovrano universale può garantire la giusta distribuzione del potere e la pace tra le nazioni. Il secondo libro è dedicato alla dimostrazione della necessità di un'autorità imperiale indipendente dal papato, in grado di salvaguardare l'unità e la pace del mondo Dante difende l'idea che l'imperatore debba essere eletto dal popolo e che il suo potere sia limitato dalla legge naturale e dalla giustizia divina Nel terzo libro, l'autore affronta il tema della monarchia universale come modello politico ideale, sostenendo che solo un imperatore universale può garantire la pace e la prosperità dei popoli Dante difende l'idea che l'autorità imperiale debba essere distinta da quella ecclesiastica e che entrambe debbano agire in armonia per il bene comune II De Monarchia di Dante Alighieri è quindi un trattato politico di grande importanza, che riflette le idee dell'autore sul potere politico, la giustizia e la pace nel mondo Nonostante le numerose critiche ricevute nel corso dei secoli, l'opera continua ad essere studiata e apprezzata per la sua profondità filosofica e la sua visione universalistica e utopica

LE RIME DI DANTE: UN TESORO LETTERARIO DI POESIA E PASSIONE
A CURA DI THERESA SICILIANO IIID LICEO SCIENTIFICO
Le rime di Dante Alighieri costituiscono una preziosa raccolta di poesie che, sebbene spesso oscurate dalla magnificenza della “Divina Commedia”, offrono un affascinante sguardo sull’animo del grande poeta italiano. Questa raccolta, composta da una vasta gamma di componimenti, offre un’opportunità unica di esplorare la sensibilità, la creatività e la profondità intellettuale di Dante in una forma più intima e personale Si tratta di una raccolta di circa 230 poesie suddivise in diverse categorie, tra cui sonetti, ballate, canzoni, sestine e altre forme poetiche L’opera affronta una vasta gamma di tematiche che riflettono le preoccupazioni, le passioni e le riflessioni del poeta. Tra le tematiche principali delle “Rime” ci sono:
-l’amore: è una delle tematiche predominanti nelle rime di Dante il poeta esplora l’amore in tutte le sue forme sfaccettature, dall’amore cortese idealizzato all’amore passionale e tormentato Beatrice, la donna amata da Dante, occupò un ruolo geniale e molte delle sue poesie diventando una figura simbolica di perfezione redenzione Dante esprime profonde emozioni attraverso i suoi componimenti amorosi, liberando la sua sensibilità e la sua capacità di trasmettere sentimenti complessi -filosofia e spiritualità: “Le Rime” di Dante riflettono anche le sue riflessioni filosofiche e spirituali. Il poeta esplora temi legati alla natura dell’uomo, al significato della vita e della morte, e alla ricerca della verità e della conoscenza La sua profonda fede religiosa è evidente in molte poesie, in cui esplora il rapporto tra l’uomo e il divino e riflette sulla sua


sua personale esperienza di fede e redenzione. -Politica e società: Dante era profondamente coinvolto negli affari politici della sua città natale, Firenze, e questo interesse si riflette anche nelle sue poesie. Attraverso le “Rime”, il poeta critica apertamente la corruzione e l’instabilità politica del suo tempo, sottolineando l’importanza della giustizia e della virtù nel governo della società. Dante utilizza la sua poesia anche come mezzo per esprimere le sue opinioni politiche e per partecipare al dibattito pubblico sulla direzione del paese
-Morte e trascendenza: la tematica della morte e della trascendenza è presente anche nelle “Rime” di Dante. Il poeta riflette sulla transitorietà della vita umana e sulla ricerca di un significato più profondo nell’esistenza
Attraverso le sue poesie, Dante esplora il tema dell’aldilà e della redenzione, offrendo una visione della vita che va oltre i confini della morte e del tempo
-Bellezza e arte: le “Rime” di Dante esplorano anche il tema della bellezza e dell’arte Il poeta celebra la bellezza del mondo naturale e dell’esperienza umana, trasmettendo un profondo senso di meraviglia e ammirazione per la creazione Dante utilizza la sua poesia per esplorare il potere dell’arte di ispirare e trasformare, rivelando la sua stessa passione per la bellezza e per l’espressione artistica. In definitiva, le “Rime” di Dante Alighieri offrono una ricca panoramica delle tematiche che hanno occupato la mente e il cuore del poeta, offrendo al lettore un affascinante viaggio
attraverso i sentimenti, le idee e le passioni di uno dei più grandi poeti della letteratura mondiale Il linguaggio utilizzato nelle “Rime” di Dante Alighieri è ricco, suggestivo e altamente evocativo, caratterizzato da una varietà di elementi che contribuiscono a creare un’atmosfera poetica coinvolgente Dante fu uno dei primi poeti italiani a utilizzare il volgare fiorentino, la lingua parlata del popolo, anziché il latino per le sue opere. Questo contribuì alla diffusione e all’accessibilità delle sue poesie, rendendole più vicine alla gente comune L’uso del volgare fiorentino conferisce alle “Rime” una sensazione di immediatezza e autenticità, trasmettendo le emozioni e i pensieri del poeta in un linguaggio accessibile a tutti Inoltre, il linguaggio delle “Rime” è arricchito da una vasta gamma di figure retoriche, come metafore, similitudini, allegorie e personificazioni Dante utilizza queste figure retoriche con maestria per creare immagini vivide e suggestive, trasportando il lettore in mondi immaginari e suscitando emozioni intense. Le figure retoriche contribuiscono anche a enfatizzare concetti e idee chiave all’interno delle poesie, aggiungendo profondità e complessità al testo Le Rime di Dante sono caratterizzate da una struttura metrica rigorosa e da schemi di rima elaborati Il poeta utilizza principalmente il sonetto, la canzone e altre forme poetiche tradizionali, seguendo regole precise per il numero di versi, il ritmo e lo schema di rima. Questa maestria tecnica contribuisce a creare composizioni poetiche armoniose e musicali, catturando l’attenzione del lettore e conferendo alle poesie un ritmo fluido e melodioso
Il linguaggio delle “Rime” di Dante è intriso di una profonda espressività ed emotività, attraverso cui il poeta trasmette le sue emozioni e i suoi pensieri più intimi. Dante utilizza le parole con precisione e cura, scegliendo vocaboli e immagini che evocano una gamma di sentimenti, dalle passioni più ardenti alle riflessioni più intime. Questa capacità di comunicare emozioni complesse attraverso il linguaggio è uno dei tratti distintivi dell’opera In sintesi, il linguaggio utilizzato nelle “Rime” di Dante Alighieri è una delle chiavi del loro fascino e della loro bellezza. Attraverso l’uso del volgare fiorentino, delle figure retoriche, della metrica e della rima, Dante crea poesie che continuano a incantare e a commuovere i lettori con la loro ricchezza e la loro profondità espressiva L’eredità e l’influenza delle “Rime” di Dante Alighieri sulla letteratura italiana e mondiale sono profonde e durature. Nonostante siano spesso eclissate dalla magnificenza della “Divina Commedia”, le “Rime” hanno lasciato un’impronta indelebile nella storia della poesia e della cultura. Le “Rime” di Dante hanno svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo e nella standardizzazione della lingua italiana Utilizzando il volgare fiorentino anziché il latino per le sue opere,

Dante ha contribuito a elevare il dialetto fiorentino a una lingua letteraria e nazionale Il suo uso del volgare fiorentino ha influenzato profondamente lo sviluppo della lingua italiana, aprendo la strada per il suo riconoscimento come lingua letteraria e culturale. Le “Rime” sono state innovative nella loro forma e contenuto, contribuendo a trasformare la poesia italiana Il Sommo Poeta ha arricchito il linguaggio poetico con la sua creatività e la sua maestria tecnica. La sua capacità di fondere lirica, filosofia e teologia in modo armonioso e potente ha aperto nuove strade per l’espressione poetica Questa raccolta ha ispirato numerosi poeti e scrittori successivi, che hanno trovato in essa una fonte di ispirazione e di riflessione. I poeti delle generazioni successive come Petrarca e Boccaccio sono stati influenzati dalle opere di Dante, contribuendo a diffondere la sua eredità poetica in tutta Europa. Anche i poeti moderni continuano a essere influenzati dalla sua opera, che rimane una pietra angolare della tradizione poetica occidentale Le “Rime” offrono altresì una profonda riflessione sulla condizione umana, esplorando temi universali come l’amore, la morte, la spiritualità e la giustizia. La sua capacità di esplorare le profondità dell’animo umano e di trasmettere emozioni complesse attraverso le parole continua a risuonare con i lettori di ogni epoca, offrendo una visione intima e universale della vita e dell’ umanità.
IL SENTIERO PER IL PARADISO COMINCIA DALL’INFERNO
A CURA DI EVA PICCOLO IA LICEO CLASSICO
La Comedìa, o Commedia, conosciuta soprattutto come Divina Commedia, è un poema allegorico-didascalico di Dante Alighieri, scritto in terzine incatenate di endecasillabi in lingua volgare fiorentina. L’opera venne scritta da Dante durante gli anni dell’esilio in Lunigiana e Romagna: i critici concordano che i tempi da considerare siano compresi tra il 1306 e il 1321 La Commedia è una delle opere più importanti di tutta la letteratura, in cui il padre della lingua italiana, che è quindi contemporaneamente autore e protagonista della narrazione, descrive il viaggio immaginario e simbolico attraverso i tre mondi dell'aldilà: Inferno, Purgatorio e Paradiso Il titolo originale, con cui lo stesso autore designa il suo poema, fu Comedia. L'aggettivo Divina le fu attribuito da Boccaccio nel Trattatello in laude di Dante Boccaccio definisce la Commedia Divina non solo per la bellezza poetica e l’altezza del significato, ma anche poiché il viaggio del sommo poeta si conclude con la visione di Dio nel Paradiso. La storia dell’origine del titolo è tuttavia molto controversa Da questa frase dell’epistola che Dante Alighieri scrive a Cangrande della Scala si pensò che il poeta volesse attribuire all’opera il titolo di Commedia: Qui inizia la Commedia di Dante Alighieri fiorentino per natali ma non per costumi. La parola commedia indicava nel Medioevo un genere letterario basso ed umile, legato alla comicità, riguardante argomenti leggeri e i cui

protagonisti erano personaggi del volgo, ossia del popolo Il termine commedia venne tuttavia coniato dai Greci e ancora oggi indica un genere divertente, con personaggi comici e un finale lieto. Nell’antica Grecia le commedie corrispondevano a degli spettacoli con stile basso e umile D'altronde la parola deriva dal greco κωμῳδία (cōmōdìa), che sembrerebbe derivare da κῶμος (kômos), corteo festivo, e ᾠδή (ōdé), canto, e indica come questa forma di drammaturgia sia lo sviluppo in una forma compiuta delle antiche feste propiziatorie in onore di divinità elleniche, con probabile riferimento ai culti dionisiaci Opposta alla commedia, vi è la tragedia, un componimento molto più elevato e sublime, utilizzato per trattare argomenti altrettanto elevati e sublimi. Dante riconosce l’importanza dei temi trattati, i quali presentano anche tratti drammatici, ma la sua opera si conclude con un lieto fine che riporta dunque alla commedia Ma per comprendere al meglio il profondo messaggio che Dante vuole trasmetterci, dobbiamo ripercorrere il suo cammino attraverso i tre regni dell’oltretomba cristiano La prima tappa del viaggio di Dante è l’Inferno, ma prima di addentrarsi nel mondo delle anime dannate, il poeta dovrà superare l’orribile selva oscura e ci riuscirà grazie all’aiuto di Virgilio, poeta latino che gli farà da guida durante il viaggio attraverso Inferno e Purgatorio. Da qui inizia il viaggio nell’Inferno vero e proprio, un immensa voragine a forma d’imbuto che si apre nei pressi di

Gerusalemme Il centro dell’Inferno è situato al centro della Terra e lì risiede Lucifero, che sconta la sua pena. La forma scelta da Dante per rappresentare l’Inferno non è casuale: pensiamo infatti ad un imbuto, se vi versiamo un liquido al suo interno notiamo come esso scivola giù senza alcuna possibilità di risalire. Inoltre, guardando il liquido scendere nell’imbuto notiamo come la sua velocità aumenti man mano che l’imputo si restringe: proprio come la anime dannate, disposte in ordine in base alla gravità del peccato commesso: più vicini siamo al centro dell’Inferno, più la gravità dei peccati aumenta; più vicino è il liquido alla fine dell’imbuto, più aumenterà la sua velocità, creando un vortice implacabile L’enorme voragine si apre con un vestibolo, una sorta di grande anticamera che si affaccia sul fiume Acheronte Varcato il fiume, troviamo i nove gironi dell’Inferno, nove cerchi concentrici destinati a una specifica categoria di peccatori. Nei cerchi dal secondo al quinto sono puniti gli incontinenti, cioè coloro che non seppero resistere alle tentazioni terrene In seguito troviamo il fiume Stige, che circonda le mura della città di Dite: oltre inizia la zona infernale popolata dai diavoli, dove si scontano i peccati più gravi Nel sesto cerchio si trovano gli eretici, ovvero tutti i coloro che non ebbero fede in Dio Dopo il fiume Flegetonte si apre il settimo cerchio, quello dei violenti e a seguire, nel basso Inferno, troviamo ottavo e nono cerchio dove vengono puniti

i fraudolenti: nell’ottavo cerchio sono puniti i fraudolenti per imbroglio o per inganno, nel nono cerchio i fraudolenti peggiori fra tutti: traditori dei parenti, degli amici e della patria Nel punto più stretto dell’Inferno troviamo Lucifero, l’angelo ribelle che venne scagliato sulla Terra da Dio, creando la voragine dell’Inferno nell’emisfero boreale e la montagna del Purgatorio nell’emisfero australe. Lucifero viene raffigurato con tre facce: una rossa per l’odio, una gialla per l’invidia e una nera per l’ignoranza; con le sue tre bocche maciulla Giuda, traditore di Cristo, Bruto e Cassio, traditori di Cesare e dell’Impero Non dimentichiamoci infine dell’Antinferno e del Limbo dove si trovano rispettivamente gli ignavi e i virtuosi non battezzati Dante presta molta attenzione alla corrispondenza tra peccato e castigo, infatti i dannati e i penitenti vengono puniti secondo un criterio preciso, ovvero il contrappasso, che può essere per analogia o per contrasto. Nel primo caso il castigo richiama la colpa per affinità, come avviene per esempio con i traditori, immersi nel lago ghiacciato di Cocito mentre piangono lacrime che si cristallizzano all’istante, ghiacciando loro gli occhi, poiché in vita ebbero un cuore freddo e duro come il ghiaccio Lo stesso succede con i lussuriosi, che all’Inferno sono travolti dalla bufera e trascinati con violenza dal vento, come in vita furono spinti dai desideri terreni Il contrappasso può essere anche per contrasto e come dice il nome stesso il castigo è il contrario della colpa: gli indovini, per esempio, sono costretti a camminare con il capo ritorto all’indietro, così da poter vedere solo il passato, mentre in vita cercarono di prevedere il futuro Dopo l’incontro con Lucifero, Dante e Virgilio oltrepassano il centro della Terra e riemergono nell’emisfero australe, dove si eleva la montagna del Purgatorio La montagna, elevatissima e circondata dalle acque, è divisa in tre parti: Antipurgatorio, Purgatorio e Paradiso terrestre L’Antipurgatorio è una larga cornice alla base della montagna. Qui trovano posto le anime di coloro che in vita tardarono
a pentirsi. L’Antipurgatorio si divide in Primo balzo e Secondo balzo Nel Primo balzo troviamo gli scomunicati che sostano nell’Antipurgatorio trenta volte il tempo vissuto Nel Secondo balzo vi sono invece i negligenti, ovvero i coloro che si pentirono in punto di morte e che scontano le loro pene per tanto tempo quanto durò la loro vita Al Purgatorio si accede tramite una porta custodita da un angelo, al di là della quale vi sono sette cornici, dove le anime penitenti espiano i loro peccati attraverso pene corporali, riflessioni, meditazioni e preghiere. È questo che differenzia il Purgatorio dall’Inferno: l’atmosfera provata dalle anime purganti è un clima mite d’attesa e di speranza, non di rabbia e disperazione Anche stavolta Dante, come nel caso dell’Inferno, non sceglie una forma casuale per rappresentare il Purgatorio: infatti sin dai tempi più antichi, le montagne sono sempre state viste come un simbolo d’elevazione verso il divino. Ci basta osservare le più importanti strutture religiose delle vecchie civiltà, dai Sumeri agli Egizi e alle civiltà precolombiane, per capire come l’uomo abbia sempre cercato di raggiungere le proprie divinità Nel Purgatorio, i peccati sono disposte in ordine di decrescente gravità, i peccati più lievi sono dunque posti più in alto e per questo sono più vicini a Dio Anche in Purgatorio viene applicata la legge del contrappasso e ovviamente la pena varia in base alla colpa commessa: nella Cornice I troviamo i superbi, costretti a camminare portando pesi; nella Cornice II si incontrano gli invidiosi, che nel Purgatorio indossano un cilicio e hanno le palpebre cucite; nella Cornice III troviamo gli iracondi, la cui pena è quella di camminare nel fumo; nella Cornice IV vi sono gli accidiosi, i quali corrono gridando senza sosta, simboleggiando la necessità di recuperare il tempo perduto; nella Cornice V, avari e prodighi scontano i loro peccati, legati e stesi sul pavimento roccioso della Cornice, con le spalle rivolte al cielo e il volto a terra, così come in vita furono rivolti ai beni materiali; nella Cornice VI si trovano i
golosi che patiscono la fame e la sete; infine, nella Cornice VII vi sono i lussuriosi, la cui pena è camminare nel fuoco. Sulla sommità del monte è collocato il Paradiso terrestre Qui scorrono due importanti fiumi: il Lete, che fa dimenticare i peccati commessi e l’Eunoè, che fa ricordare il bene compiuto. Prima di ascendere al Paradiso le anime penitenti che hanno concluso il percorso di espiazione, si bagnano nelle acque di questi fiumi Così fa anche Dante, costretto a lasciare Virgilio, che in quanto residente nel Limbo non può accedere al Paradiso Tuttavia proprio in questo momento Dante incontrerà Beatrice che lo condurrà verso il Cielo Per realizzare la struttura del Paradiso, Dante si ispira alla concezione tolemaica, secondo la quale la Terra è circondata da una sfera d’aria, da una sfera di fuoco dove nascono i fulmini, e da nove sfere celesti, dette anche cieli. Esse sono contenute una nell’altra e dotate di un movimento circolare e concentrico Le prime sette sfere contengono un pianeta ciascuna e rappresentano una virtù. Il primo cielo è quello della Luna e qui risiedono tutte le anime che compirono voti Esse si manifestano come immagini riflesse in cristalli o in acque Il secondo cielo è invece quello di Mercurio, il cielo degli Spiriti attivi, i quali operarono il bene per avere fama A differenza delle anime del primo cielo, si manifestano come bagliori che danzano e cantano Il terzo cielo è quello di Venere, nonché il cielo degli spiriti amanti che nel Paradiso volteggiano cantando Nel quarto cielo, il cielo del Sole, risiedono gli spiriti sapienti che danzano e cantano in due cerchi concentrici. Nel cielo di Marte, nonché il quinto cielo, troviamo gli spiriti militanti che appaiono sotto forma di gemme danzanti in una croce luminosa Nel sesto cielo, il cielo di Giove, vi sono gli spiriti giusti che cantano volando in forma di lettere, poi in forma d’aquila Infine nel settimo cielo, che ha come

pianeta Saturno, troviamo gli spiriti contemplativi che si muovono lungo una scala d’oro. In seguito troviamo l’ottavo cielo, il cielo delle stelle fisse, dove si trovano gli spiriti trionfanti che appaiono come luci accese da un Sole fulgente Il nono cielo, anche detto Primo mobile, ha la funzione di trasmettere il suo movimento a tutte le sfere inferiore. Qui sono presenti i cori angelici che girano attorno a un punto disposti in nove cerchi concentrici. Tuttavia al movimento di ciascun cielo, tranne il primo, sovrintende una specifica categoria di angeli, con funzione di Intelligenze motrici: Arcangeli, Principati, Potestà, Virtù, Dominazioni, Troni, Cherubini e Serafini Oltre il nono cielo, secondo la narrazione di Dante, è presente l’Empireo, l’immobile ed eterna sede di Dio, degli angeli e di tutti i beati, quest’ultimi riuniti in una candida rosa. Sebbene questa sia la loro sede, le anime beate scendono per incontrare Dante nel cielo corrispondente alla virtù da loro espressa in vita. Così, ad esempio, Dante incontra San Francesco e San Domenico nel cielo degli spiriti sapienti e l’imperatore d’Oriente Giustiniano nel cielo di Mercurio, quello degli spiriti che operarono il bene Anche in questo caso c’è un motivo ben preciso dietro la scelta delle forma utilizzata per rappresentare il Paradiso Il cerchio era infatti considerata nel Medioevo la figura perfetta, poiché, non disponendo di un inizio e di una fine, era facile associarla a Dio, che esiste sin dall’inizio dei tempi ed è eterno. Dio dunque non ha origine e conclusione, ma lui stesso principio e termine di ogni cosa Alla fine del viaggio, Dante sarà ricondotto tra i vivi, accompagnato da San Bernardo. Dopo aver analizzato la struttura dei tre regni dell’oltretomba, possiamo facilmente notare come Dante presti molta attenzione alla numerologia Egli è infatti molto attento ai valori simbolici dei numeri e poiché il 3 era considerato nel Medioevo il numero perfetto, in quanto simbolo della santissima Trinità, Dante sceglie di basare su di esso e sui suoi multipli l’intera struttura dell’opera: 3 sono le cantiche della Divina Commedia; 33 sono i canti che compongono ogni cantica, più uno introduttivo all’inizio dell’Inferno per un totale di 100 canti; 3 sono i versi delle strofe che compongono il poema; 9 sono i cerchi infernali, le cornici del Purgatorio e i cieli del Paradiso; 3 sono le donne che vegliano su Dante mentre lui è disperso nella selva oscura, ovvero Beatrice, santa Lucia e la Madonna; 3 sono le fiere che attaccano Dante. Tuttavia anche il numero 7 ha una certa rilevanza. Nella Bibbia questo numero simboleggia perfezione, completezza e totalità, poiché associato ai giorni della Creazione, ai doni dello Spirito Santo e alle beatitudini Proprio per questo il numero 7 non ricorre nei canti e nella struttura dell’Inferno, ma è facile riconoscerlo nel Purgatorio e nel Paradiso Nel primo caso infatti, escludendo Antipurgatorio e Paradiso terrestre, notiamo sette cornici che corrispondono ai sette vizi capitali, mentre nel Paradiso notiamo le prime sette sfere che contengono i pianeti Ciò ci dimostra la conoscenza che Dante ha delle Sacre Scritture, ma il sapere di Dante non si limita ad un solo campo Egli è in realtà un intellettuale completo e i riferimenti a personaggi storici, mitologici, leggendari e biblici presenti all’interno della Commedia ne sono la dimostrazione. All’interno della Divina Commedia ogni personaggio e luogo ha un significato simbolico o allegorico. Dante non si lascia sfuggire nessun dettaglio, tanto che la Commedia stessa è una grande allegoria e dopo averla analizzata possiamo comprendere il suo significato allegorico. Lo scopo dichiarato del poema è di riportare gli uomini sulla via del bene e della verità, mediante la rappresentazione delle pene e dei premi che attendono rispettivamente i peccatori e i buoni nella vita eterna Volendo interpretarla però da un punto di vista più ampio, che non si limiti al credo cristiano, ma che possa fornire alle persone un messaggio universale, possiamo dire che l’immaginario viaggio di Dante ci insegna che ogni individuo è responsabile delle proprie azioni e deve imparare a riconoscerne la natura. Chiunque può decidere di cambiare e intraprendere un percorso di miglioramento personale quando si rende conto di star sbagliando qualcosa nella sua vita. Dopo tutto, questo è ciò che fa Dante, il quale passa da uno stato di totale smarrimento all’essere una versione migliore di se stesso, attraverso un viaggio non privo d’insidie, ma che vale la pena percorrere per dimostrare a se stessi il proprio valore Nella confusione dobbiamo dunque ricordare che il sentiero per il Paradiso comincia sempre dall’Inferno

L’INFERNO

I CANTO: NEL MEZZO DEL CAMMIN DI NOSTRA VITA...
A CURA DI DOMENICO GORGONE IIIA LICEO SCIENTIFICO
Nel mezzo del cammin di nostra vita, questa frase ogni anno inaugura il cammino di milioni di studenti che piano piano si appassionano all’opera più famosa del sommo poeta Dante Alighieri: la Divina Commedia, un capolavoro avvolto dal mistero e dal fascino, scritto dal poeta fiorentino tra il 1306 e il 1321 Quest’opera può essere definita un grande viaggio allegorico nel quale Dante, che rappresenta l’umanità caduta nel peccato, intraprende un viaggio per tornare sulla retta via Il canto si apre con Dante, il narratore, che si ritrova smarrito in una selva oscura, simbolo della sua condizione spirituale di peccatore e dell'oscurità che avvolge la sua mente Egli descrive il momento in cui si rende conto di essere nel mezzo della sua vita, all'età di trentacinque anni e di aver smarrito la retta via. Mentre cerca di trovare una via d'uscita dalla selva, Dante si imbatte in un monte illuminato dalla luce del sole Tuttavia, la strada per raggiungerlo è impedita da tre fiere: una lonza, che rappresenta la lussuria, un leone che simboleggia superbia ed una lupa, definita dal poeta carca ne la sua magrezza. A contatto con questa fiera l’autore si sofferma molto di più rispetto alle altre in quanto la lupa rappresenta il peccato che più affligge il mondo: la cupidigia La lupa infatti è l’unico animale che fa cadere Dante a causa del timore che gli

incute Queste fiere rappresentano le tentazioni e i peccati che Dante deve superare per raggiungere la salvezza. Spaventato e impotente di fronte alle fiere, Dante viene soccorso da Virgilio, il grande poeta latino dell'antichità, scelto da Dante non solo in quanto rappresentate della virtù pagana e massimo esponente della letteratura latina, ma anche in quanto egli nella quarta bucolica parla quasi in modo profetico dell’arrivo di un puer che in molti oggi pensano sia Gesù Cristo Virgilio offre a Dante la sua protezione e lo invita a seguirlo

attraverso un cammino alternativo, che lo condurrà attraverso l'Inferno e il Purgatorio per raggiungere infine il Paradiso Dante accetta l'offerta di Virgilio e insieme iniziano il viaggio attraverso l'aldilà. Tuttavia, Dante si sente ancora incerto e timoroso di fronte alla prospettiva dell'ignoto Virgilio cerca di rassicurarlo e gli offre conforto, assicurandogli che Dio li proteggerà e li guiderà nel loro cammino Il canto si conclude con Dante che accetta di seguire Virgilio e di intraprendere il suo viaggio attraverso l'Inferno, con la speranza di trovare la redenzione e la salvezza spirituale Mi vorrei soffermare sulla figura del Veltro, cane da caccia che, secondo Dante, è l’unico che
può riuscire a epurare il mondo dalle bestie e quindi dai peccati. Questa figura è ancora oggi avvolta nel mistero, per anni infatti si è provato a giungere ad una conclusione e da ciò nacquero diverse teorie Per alcuni il Veltro potrebbe rappresentare un ritorno di Gesù Cristo che scenderà sulla terra per eliminare i peccatori; per altri il Veltro sarebbe Dante stesso che tramite questo viaggio cancellerà il peccato dalla natura dell’uomo. Il veltro potrebbe rappresentare anche qualcuno dell’ordine francescano, Dante infatti insieme alla parola Veltro nomina anche Feltro, ovvero una stoffa umile utilizzata dai monaci, oppure potrebbe rappresentare un politico e condottiero dell’epoca che avrebbe potuto riportare l’ordine in Italia, ovvero Cangrande della Scala, signore di Verona, che portò la città a essere sotto la guida dei ghibellini e quindi sotto il governo dell’allora imperatore Enrico VII di Lussemburgo, di cui Cangrande fu pure vicario imperiale. Penso che questo canto sia uno dei più belli in quanto funge da chiave e introduzione ad una delle opere più importanti della letteratura italiana e mondiale, inoltre esso è uno dei canti più allegorici e didascalici dell’intera opera e ciò che lo rende così affascinate è anche il mistero che lo avvolge e la difficoltà nel comprendere e dare spiegazioni a molte delle allegorie presenti.

III CANTO: L’ IGNAVIA AGLI OCCHI DI DANTE
A CURA DI GIUSEPPE BATÀ IIIA LICEO SCIENTIFICO
Il canto si apre con Virgilio che spiega a Dante la natura dei dannati che si trovano nel Limbo, un'area per coloro che non sono stati battezzati e non appartengono a nessuna religione. Il terzo canto dell'Inferno è dedicato agli ignavi, coloro che non si schierano né per il bene né per il male e sono disprezzati sia da Dio che dagli angeli. Questi peccatori sono costretti a rincorrere una bandiera sventolante in eterno, senza mai raggiungerla, simbolo della loro indecisione e mancanza di volontà, in questo canto per la prima volta assistiamo ad una rappresentazione del contrappasso dantesco Sono considerati peggio dei traditori, poiché almeno questi ultimi avevano una passione o un motivo per agire, mentre gli ignavi sono privi di qualsiasi slancio interiore Dante descrive gli ignavi come anime che sembrano esseri umani trasformati in cenci, trascinati dalle corna di un'enorme massa di demoni che li picchiano e li spingono senza sosta Questa immagine drammatica sottolinea la pena eterna che devono subire, senza possibilità di redenzione. Questi dannati si trovano in una condizione tale da invidiare gli altri dannati, essi infatti sono cacciati dal paradiso e rifiutati dall’ inferno. Tra questi è collocato colui che per viltate fece il grande rifiuto, il riferimento è quasi certamente a papa Celestino V che dopo soli tre mesi rinuncia alla sua carica, rinuncia attribuita alla mancanza di coraggio nell’affrontare l’ importante incarico, sottolineando ai lettori che il giudizio divino non risparmia neanche i papi Più avanti sulle sponde del fiume Acheronte altre anime attendono Caronte, il traghettatore, che porterà le anime all’inferno per l’eterna dannazione
Il personaggio di Caronte viene volutamente descritto come un vecchio ripugnante e violento, che, a differenza della tradizione classica, viene “internalizzato”. Si rivolge alle anime nel peggiore dei modi, come ad anticipare ciò che subiranno all’ inferno Caronte è inoltre colui che profetizza a Dante il futuro; nell’invitarlo ad andarsene in quanto essere vivente, aggiunge anche che dopo la morte quella non è la sua destinazione, bensì il purgatorio, indicando a Dante che la barca che lo trasporterà nell’aldilà sarà un legno più lieve Il dialogo viene interrotto da Virgilio che ricorda a Caronte che il viaggio di Dante è voluto da Dio, quasi

che la commedia venga già celebrata come divina. Nel corso del canto, Dante incontra anche alcuni personaggi famosi che si trovano nel Limbo insieme agli ignavi, come il filosofo Aristotele, il poeta Ovidio e molti altri. Questi sono considerati anime virtuose e di grande valore intellettuale, ma sono comunque condannati a una pena eterna per non aver creduto in Cristo e per non essere stati battezzati. Il terzo canto dell'Inferno offre quindi una riflessione profonda sulla natura dell'ignavia e sulla sua condanna nell'aldilà Gli ignavi vengono messi al di sotto persino dei dannati, poiché il loro peccato è visto come una negazione
totale della vita e della volontà di agire La figura degli ignavi rappresenta la paura e l'inerzia che possono bloccare gli esseri umani nella loro crescita spirituale e personale L'immagine della bandiera che non si riesce mai a raggiungere simboleggia la loro incapacità di prendere decisioni e di agire con determinazione, restano eternamente fermi nel loro stato di indecisione e inattività In un certo senso, gli ignavi rappresentano la maggior parte degli esseri umani che tendono a procrastinare e ad evitare di affrontare i propri problemi e le proprie responsabilità La pena che devono sopportare all'interno del Limbo è quindi un monito per coloro che si riconoscono in questa figura, affinché si decidano a cambiare atteggiamento e a fare scelte coraggiose nella propria vita, è dunque un avvertimento contro l'inerzia e la paura che possono condurre alla perdizione eterna. Dante attraverso la sua opera invita il lettore a riflettere sulla propria vita e sulle proprie scelte, affinché non si finisca nel Limbo degli ignavi, ma si possa raggiungere la salvezza attraverso il riscatto della propria anima

V CANTO : LA COMMOZIONE E LA RIFLESSIONE DI DANTE
A CURA DI ANTONIO GUERRISI IIID LICEO CLASSICO
Nel quinto canto dell'inferno Dante descrive il secondo cerchio, all’interno del quale vi sono i lussuriosi, cioè coloro che hanno preferito l'amore carnale rispetto a Dio La loro pena è stabilita secondo la legge del contrappasso: sono condannati a vivere all'interno di una bufera infernale così come in vita preferirono essere trasportati dalla bufera della passione È la sera dell'8 aprile del 1300, Dante e Virgilio entrano nel secondo cerchio sulla cui soglia incontrano il giudice infernale che ascolta le confessioni delle anime dannate, Minosse Minosse è un personaggio della mitologia classica, figlio di Europa e Giove, leggendario re e legislatore di creta, nell'antichità avevamo una rappresentazione maestosa di Minosse; Dante lo rappresenta come una bizzarra parodia della giustizia divina, infatti lo descrive come un essere mostruoso e animalesco dotato di una lunga coda che avvolge intorno a sé per indicare ai dannati il cerchio a cui sono destinati. Dante effettua una trasformazione della figura di Minosse, rendendola così diversa da come veniva rappresentata nei testi classici, dove appunto era dotato di una profonda dignità. Dante si ritrova in un luogo buio, dove soffia

incessantemente una terribile bufera che trascina i dannati e li sbatte da un lato all'altro del cerchio, nel mentre queste anime emettono grida e imprecano Dante capisce che si tratta dei lussuriosi, che volano nell'aria formando dei raggruppamenti simili a stormi d'uccelli. Chiede spiegazioni a Virgilio il quale racconta che sono morti violentemente, per esempio Cleopatra, Didone, Achille, Elena, Tristano, Paride, Semiramide Nel sentire quei nomi l'autore viene colpito da una profonda angoscia e pietà che per poco gli fanno perdere i sensi Tra le tante anime che Dante vede, rimane colpito da due di queste, un uomo e una donna che volano insieme. Egli desidera parlare con loro, Virgilio acconsente e così le va a chiamare; i due si staccano dalla loro schiera, come due colombe che vanno verso il nido, per accostarsi ai due poeti Sono Paolo e Francesca, dei due parlerà solo la donna, mentre Paolo scoppierà solamente a piangere alla fine del discorso; la donna ringrazia per la pietà dimostrata verso di loro e poi si presenta raccontando la loro storia: Francesca era moglie del signore del Rimini, Gianciotto Malatesta, mentre Paolo è cognato e amante della donna, entrambi assassinati dallo stesso Gianciotto Dante incuriosito chiede la causa della loro dannazione, lei spiega di essere nata a Ravenna e di essere stata legata in vita dall'amore indissolubile per l'uomo che ancora le sta vicino nella morte Mentre Francesca racconta, Dante rimane turbato e abbassa gli occhi. Lei continua raccontando che un giorno stava leggendo con Paolo per divertimento le gesta del cavaliere Lancillotto e quando lèssero il passo in cui lui bacia Ginevra, Paolo bació Francesca e così furono spinti a compiere adulterio. Dopo il 1275 Francesca sposa Gianciotto, figlio dei signori di Rimini, Paolo era fratello dello sposo e a quei tempi era capitano del popolo, il matrimonio fra i due aveva interessi politici ed economici, perchè i due sposi appartenevano a famiglie molto potenti
Questo fu un episodio di cronaca nera, che i lettori del tempo già conoscevano, però fu subito mascherato per evitare di rovinare la buona reputazione delle famiglie Nel quinto canto Dante vuole condannare la letteratura amorosa vista come fonte di peccato e come pericolo per il lettore che potrebbe essere spinto a imitare i comportamenti dei personaggi letterari, infatti quasi tutti i lussuriosi nominati da Dante appartengono alla sfera della mitologia o della letteratura L'obiettivo di Dante è condannare tutta la letteratura che ha come oggetto l'amore sensuale e non spiritualizzato, egli vuole rinnegare parte della sua produzione letteraria precedente, come le rime petrose e poi forse anche la poesia stilnovistica, a tal riguardo riprende l'esempio di Paolo e Francesca, che era una colta lettrice di poesie amorose L'amore tra Paolo e Francesca nasce dall'attrazione fisica reciproca, ma l'occasione per realizzare il loro amore sensuale avviene tramite la lettura della letteratura amorosa, il romanzo di Lancillotto e Ginevra La colpa dei due amanti non è quella di essersi innamorati, ma quella di aver messo in pratica i comportamenti peccaminosi dei personaggi letterari esponendosi così alla dannazione.

VI CANTO: IL SIGNIFICATO POLITICO DEL PECCATO DI GOLA
A CURA DI NICOLE DONATO IIIA LICEO SCIENTIFICO
La forzata ellissi di ciò che è accaduto per tutta la durata dello svenimento con cui si era chiuso il canto precedente consente al narratore, come spesso accade, di non informarci sul modo con cui è passato al cerchio successivo Al riprendere dei sensi, infatti, alla vista di Dante si presenta un nuovo genere di pena e un nuovo genere di peccatori, i golosi Il primo impatto con la nuova realtà infernale è dunque visivo. La sensazione provata da Dante è accentuata dal climax ascendente delle azioni successive, che indica il primo avanzare, i primi sguardi sommari, il guardare più a lungo e con attenzione. Segue la precisazione spaziale e il tipo di pena, anche questa meteorologica, come quella dei lussuriosi, costante infine per intensità e aspetto. Nei quattro aggettivi del verso 8, tutti piani e con "e" tonica nella penultima sillaba, è riprodotta la monotonia ritmica del cadere della pioggia; poi ne viene precisata la composizione: grandine grossa , acqua nera e neve. Tutto ciò si traduce in un'acuta sensazione olfattiva disgustosa Cerbero è il custode di tal luogo Cerbero, mostro con tre fauci, mezzo uomo e mezzo cane, emette i suoi latrati come un cane rabbioso E’ naturale quindi che, in un ambiente simile e con simili pene, abbia luogo la metamorfosi animalesca dei dannati, con l'intervento di Virgilio in qualità di aiutante Il gran vermo li accoglie fremente e a fauci spalancate come per divorarli, ma prontamente Virgilio riempie quelle mostruose cavità con manate di fango che acquietano il mostro In questa prima parte hanno rilievo soprattutto sensazioni uditive La scena è dominata da un gran

frastuono Alla sequenza precedente ne subentra una mimetica, in cui il lettore è messo in diretto contatto con un nuovo personaggio. Se nel canto precedente il tema affrontato è stato quello dell'amore nei suoi risvolti passionali ed etici, qui è quello politico, o meglio della corruzione e della decadenza politica a cui è soggetta soprattutto Firenze, uno dei centri economici e politici più in vista nella seconda metà del Duecento In questo frangente, un dannato si leva all'improvviso a sedere, scattando come una molla Rivoltosi a Dante, lo invita a riconoscerlo. Ma lo sforzo di memoria del pellegrino è vano, tale è lo stravolgimento fisico provocato dal dolore in questi dannati Gli ingordi, predatori di cibo, sono divenuti prede di Cerbero, loro carnefice; abituati alle stuzzicanti sensazioni olfattive di cibi prelibati, hanno ora le narici vessate da fetori stomachevoli. Dunque Ciacco (questo è il nome del dannato che si era levato) risponde e, dopo aver fornito le coordinate temporali (l'essere stato contemporaneo di Dante), fornisce quelle spaziali (l'essere fiorentino), ma con una perifrasi polemica che costituisce una prima sferzata morale per quei fiorentini macchiatisi dell'odioso peccato dell'invidia, cioè l'odio di parte, che è all'origine delle sanguinose lotte politiche. Poi, rivelata la propria identità e la colpa, precipita di nuovo nel mutismo, da cui lo riscuote Dante per porgli tre quesiti: sul futuro politico della città, sulla presenza in essa di qualche giusto e sulle cause di tanta discordia. La risposta assume il carattere della profezia; naturalmente si tratta di una predizione post
eventum, cioè annunciata dopo che il fatto è già avvenuto, come gran parte delle profezie dantesche Come tutte le profezie, è ammantata di un linguaggio oscuro, metaforico, allusivo. Per li cittadin de la città partita si preannuncia un futuro di contrasti e di scontri cruenti Infatti la famiglia dei Cerchi, Guelfi di parte bianca, caccerà con molti danni l'altra fazione, quella dei Donati, Guelfi di parte nera. Ma le sorti umane, si sa, sono alterne e ci sarà un ritorno della parte sconfitta Questo avvicendamento è reso possibile dall'appoggio di un personaggio, il papa Bonifacio VIII sempre menzionato perifrasticamente, che ora si barcamena fra una parte politica e l'altra. Poi le risposte alle altre due domande: i giusti sono solo due (o comunque pochissimi) e neppure ascoltati; tre sono i vizi dei fiorentini: la superbia o boria di parte; l'invidia, quella dei borghesi o popolani nei confronti degli aristocratici; l'avarizia, cioè l'avidità di ricchezze e di potere che scatena gli odi e le rivalità. Ciacco si zittisce di nuovo, parla a scatti come se avesse difficoltà a comunicare a parole, dopo che la sua natura di uomo è stata animalescamente degradata Dante-interlocutore, riannodando il filo spezzato del dialogo, si mostra ansioso di conoscere la sorte di alcuni uomini politici noti per le loro benemerenze civili. La risposta di Ciacco è sconcertante: sono tutti all'inferno «tra l'anime più nere» in quanto hanno infranto la legge morale Nel canto in questione, Dante indaga la genesi del peccato della gola, la cui severa punizione può apparire a noi sproporzionata, se non si tiene conto del significato negativo, egoistico che esso assume in epoca medievale. Il goloso è uno che sottrae ad altri, per egoismo,
preziose risorse alimentari che possono, in quell'epoca, scarseggiare con molta facilità a causa di frequenti carestie, morie di animali, guerre ecc Ma il significato del peccato va oltre la sfera dell'ingordigia del cibo, per investire qualunque altra forma di avidità, soprattutto quella di ricchezze e di potere, con la conseguenza, letale per i cittadini, di lotte fratricide, caratterizzate da ogni genere di violenza, di cui Dante stesso era stato vittima. L'esilio e la confisca dei beni lo avevano colpito, dopo che si era prodigato, in qualità di politico, per ristabilire la pace e attenuare le rivalità nella sua città natale Dunque l'intento politico onesto di perseguire il bene dei cittadini non sortisce effetti positivi se non è adeguatamente sostenuto da un ordine morale interiore; questo è il senso della inaspettata dannazione di uomini politici apparentemente benemeriti
Terminata la seconda risposta, Ciacco ammutolisce definitivamente, ha il tempo di un ultimo sguardo di traverso e poi, a testa in giù, cade di nuovo nella melma con gli altri dannati Il barlume di umanità si è spento: il personaggio scompare nella fanghiglia,

riacquistando la sua consueta condizione animalesca di essere privo della Grazia divina Virgilio ritiene opportuno, a questo punto, una chiosa di natura teologica con l'evocazione dello scenario del giudizio universale attraverso alcune suggestive immagini: quella dell'angelo che suonerà la tromba per annunciarlo, quella di Cristo giudice, quella delle anime che riprenderanno i loro corpi e ascolteranno la loro sentenza inappellabile Solo in quel momento il dannato, che ha parlato prima, riacquisterà coscienza umana. Il pellegrino-Dante pone a Virgilio ulteriori domande. Nella descrizione dello svolgersi di questo dialogo il narratore mostra anche consapevolezza di un aspetto non secondario della narrazione, quello del rapporto tra tempo della storia e tempo del discorso Nelle terzine 103111 ha luogo un dialogo tra i due poeti, che occupa esattamente il tempo da loro impiegato per percorrere un tratto del cammino (vv 100-102) Dante cioè si avvale di quel procedimento narrativo che si definisce scena, grazie al quale il tempo della storia e il tempo del discorso coincidono. In quelli ancora seguenti (v. 113 in particolare) usa invece un sommario, cioè un'estrema sintesi degli argomenti toccati dai due nel loro procedere (vv. 112-114), con una conseguente accelerazione del ritmo narrativo

XXVI CANTO : L’ULTIMO VIAGGIO DI ULISSE
A CURA DI DANIELE CERAVOLO IIIB LICEO CLASSICO
Il ventiseiesimo canto si apre con una durissima invettiva contro Firenze: cinque infatti erano i ladri fiorentini incontrati nella precedente bolgia a riprova che il tessuto sociale cittadino è da tempo compromesso dalle fiorenti aspirazioni materialistiche Il canto prosegue con la salita da parte di Dante e Virgilio lungo l’argine che divide la settima dall’ottava bolgia, il cammino appare faticoso e procedono a stento; davanti ai loro occhi si presenta uno spettacolo impressionante, una moltitudine di fiammelle ardenti che palpitano di luce viva illumina il fondo della bolgia, metafora utilizzata dal poeta per indicare lo sfavillio delle lucciole estive nella notte. Tra le tante fiammelle una in particolare emerge fra le altre, grazie anche allo spessore delle figure che contiene: si tratta della fiamma bipartita che tiene rinchiusi Ulisse e Diomede, che biforcandosi riesce ad arderli contemporaneamente con un fuoco incessante Si delinea perfettamente il contrappasso dell’ottava bolgia: coloro che utilizzarono la lingua per pronunciare consigli fraudolenti sono ora imprigionati in lingue di fuoco, la fiamma intera dell’astuzia diventa tormento esterno che brucia quella stessa anima malvagia. A condurre il dialogo con i due dannati sarà Virgilio e una volta interpellato Ulisse racconterà dell’ultima impresa che
condusse lui e i suoi compagni alla morte Di nobile fama all’interno di questo passo è il discorso che pronunciò nei confronti dei compagni nel tentativo di far breccia nei loro cuori, affinché compatti potessero proseguire lungo il viaggio dopo il raggiungimento delle colonne d’Ercole (confine ultimo del mondo allora conosciuto), giungendo sin quasiin vista del Purgatorio Poco durò il loro entusiasmo nell’udire tali parole poiché un turbine improvviso scatenato dalla giustizia di Dio fece inabissare la nave, ponendo fine al

contrapposizione tra religione e conoscenza umana, cioè tra fede e ragione Il desiderio di conoscere è una virtù che può portare l’uomo fino alle soglie della verità ultima, ma questa non può essere raggiunta senza la Grazia Divina: chi come Ulisse tenta di superare i limiti imposti da Dio è folle e soccombe. Dante, nel raccontare di Ulisse, valorizza la sua saggezza e la sua furbizia, desideroso di conoscenza e verità L’Ulisse dantesco è un viaggiatore che cerca soltanto il nuovo, anzi l’ignoto, senza alcun desiderio di fare ritorno. In Dante né il desiderio del figlio, né la pietà verso il padre, né l’affetto nei riguardi di Penelope possono trattenere il viaggiatore Ulisse. L’Ulisse omerico, invece, è il viaggiatore che attraversa un’infinità di pericoli e di tentazioni,volendo fondamentalmente fare ritorno alla nativa Itaca Nei vari pericoli il suo unico pensiero è verso la famiglia, gli amici e la cara patria.


loro folle volo. Considerate la vostra semenza, fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza: tra le frasi più celebri del poema dantesco questa è la più alta espressione della dignità e dell’intelligenza umana, citata spesso per richiamare ai più nobili percorsi della conoscenza e per distogliere dagli interessi materiali. L’interpretazione sulla figura di Ulisse (eroe multiforme) può considerarsi duplice: da una parte questo personaggio viene descritto come un eroe magnanimo, coraggioso, sapiente, dall’altra viene dipinto come fraudolento, menzognero e falso. Inoltre Ulisse incarna perfettamente la


IL PURGATORIO

IL PURGATORIO: ALLA SCOPERTA DEL PRIMO CANTO
A CURA DI GIUSEPPE PURRONE IVA LICEO CLASSICO
Dopo aver annunciato che nella seconda cantica innalzerà il tono della sua poesia, Dante indica il regno di cui tratterà, il regno che permette all’ uomo di purgarsi e di salire al cielo Invoca quindi le Muse e in particolare Calliope Il primo canto del Purgatorio è un importante momento nel viaggio dell’anima, perché esso rappresenta l’inizio del cammino di purificazione e redenzione dell’uomo peccatore
Il canto si apre con Dante, che si risveglia dal suo sonno, sulle rive dell’ isola del Purgatorio, dopo essere fuggito dall’ Inferno Questo risveglio simboleggia una nuova speranza e una nuova opportunità per il poeta, quella di purificare la sua anima e progredire verso la salvezza Dante descrive una luce brillante che illumina l’ orizzonte e che simboleggia la speranza e la guida divina che lo aiuterà nel suo viaggio di purificazione Questa luce indica la presenza di Dio e la sua misericordia che risplende sulle anime in Purgatorio. L’attenzione viene rapita quindi dalla luce di quattro stelle, simbolo delle quattro virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza) di cui gli uomini fruirono nel Paradiso terrestre. Dante si inginocchia per pregare, chiedendo la guida divina e la protezione durante il suo viaggio La preghiera riflette il desiderio di Dante di essere purificato e riconciliato con Dio. Il tema principale del primo canto del Purgatorio è la speranza nella redenzione e la possibilità di riscatto anche per coloro che hanno commesso peccati durante la loro



vita terrena Questo canto segna il passaggio dalla dannazione dell’ Inferno alla possibilità di purificazione e salvezza nel Purgatorio Dante e Virgilio vengono accolti dal custode del Purgatorio,Catone, che li esorta a intraprendere il difficile cammino di purificazione Questo rappresenta un momento di trasformazione e di nuova direzione per il viaggio di Dante, simboleggiando la presenza costante della divinità nel guidare e sorvegliare l’anima nel suo percorso di redenzione Infine, il primo canto del Purgatorio riflette anche sulla natura dell’umiltà e dell’orgoglio. Dante accetta umilmente l’ autorità di Catone e si prepara ad affrontare la sua personale purificazione, mostrando una volontà di redenzione e un desiderio di miglioramento morale e spirituale. Questo contrasta con l’arroganza e l’egoismo che hanno caratterizzato molte delle anime dannate nell’Inferno, suggerendo che solo attraverso l’umiltà e il pentimento sincero si può raggiungere la salvezza In conclusione, Virgilio spiega a Catone i motivi del loro viaggio, allude alla ricerca da parte di Dante di quella libertà per cui egli aveva preferito la morte in Utica piuttosto che cadere nelle mani di Cesare e lo prega, in nome di sua moglie Marzia, di permettere a sé e al suo compagno l’ingresso nel Purgatorio Catone concederà il passaggio ai due pellegrini perché il fatto è voluto da una donna celeste
II CANTO DEL PURGATORIO: IL RICHIAMO ALLA REDENZIONE
A CURA DI DARIA ORSINO IV A LICEO CLASSICO
Il secondo canto del Purgatorio è ricco di significati e simbolismi che contribuiscono alla comprensione del tema generale dell’opera e del suo contesto allegorico Il canto inizia con il tramonto, qui Dante e Virgilio vedono il sole, il cui meridiano sovrasta Gerusalemme, che è sorto all’orizzonte, mentre la notte spunta alle foci del Gange nel segno della Bilancia, ovvero nell’equinozio di primavera, tingendo il cielo prima di bianco e poi di giallo e determinando un momento di transizione tra la luce del giorno e l’oscurità della notte, che simboleggia il passaggio dalla vita terrena al regno dei morti Questo tema della transizione è centrale nel Purgatorio, dove le anime si purificano per ascendere verso la beatitudine divina ed in particolare ci troviamo sulla spiaggia dell’Antipurgatorio. Nel canto Dante e Virgilio, che si trovano sulla riva del mare, vedono una luce avanzare velocemente: Dante distoglie lo sguardo per chiedere al maestro cosa sia, ritrovandosela già molto vicina a lui. Si tratta di una luce di un biancore lucente tanto che il poeta è costretto ad abbassare lo sguardo: è l’angelo nocchiero, il quale porta Virgilio ad inginocchiarsi e congiungere le mani dinanzi a lui.

L’angelo avanza senza strumenti, né veli, né remi, ma soltanto con le proprie ali su una barca leggera con all’interno centinaia di anime che intonano In exitu Israel de Aegypto, salmo che celebra la liberazione degli ebrei dalla schiavitù e citando il quale Dante allude allegoricamente alla liberazione delle anime dal peccato Questo momento evidenzia il tema della comunicazione e della comprensione, sottolineando la difficoltà di interpretare i segnali della Divina Provvidenza e la necessità di una guida per comprendere il cammino verso la redenzione Un altro tema importante è quello della memoria e del pentimento, per cui le anime nel Purgatorio devono ricordare e confrontarsi con i loro peccati passati, ma anche mostrare pentimento sincero per poter progredire nel loro cammino di purificazione Esse chiedono ai due poeti di indicare loro la strada per giungere alla sommità del monte e si accendono di uno stupore notevole quando notano la presenza di Dante tanto da impallidire dalla meraviglia Improvvisamente uno di loro corre verso Dante in procinto di abbracciarlo, però invano data l’inconsistenza dell’ombra. E’ l’anima di Casella, un cantante e musicista fiorentino Si sa poco di lui, il suo nome compare in qualche antico codice, ma viene riconosciuto dal poeta già dal tono della sua voce Casella era morto qualche tempo prima, infatti Dante è sorpreso nel vederlo lì tanto da chiedere come mai fosse giunto soltanto in qualche momento Dante chiede a Casella di cantare uno dei suoi canti, ma subito giunge Catone, che rimprovera le anime e le invita a dirigersi verso il monte per liberarsi dal peccato che impedisce loro di vedere Dio, e con loro anche i due
pellegrini Il secondo canto del Purgatorio affronta temi cruciali come la transizione dalla vita terrena alla vita ultraterrena, la comunicazione con la divinità, la redenzione e il pentimento Questi temi contribuiscono alla profondità e alla complessità dell’opera di Dante, offrendo al lettore una riflessione sulla natura dell’esistenza umana e sulla ricerca della salvezza spirituale


V CANTO: LE RAGIONI PROFONDE DEL PENTIMENTO
A CURA DI GOVANNA LUPPINO IVH LICEO SCIENTIFICOIl Canto V del Purgatorio di Dante Alighieri è una tappa cruciale del viaggio dell'anima attraverso il Purgatorio, rappresentante il percorso di purificazione morale e spirituale verso la redenzione Questo canto è ricco di simbolismo e offre uno sguardo profondo nella psiche umana e nella natura del pentimento
Attraverso il suo incontro con le anime penitenti e i personaggi storici come Iacopo del Cassero e Buonconte da Montefeltro, e chiaramente anche La Pia, Dante continua il suo viaggio interiore, esplorando temi di redenzione, pentimento e perdono. Il Canto V si apre con Dante e Virgilio che arrivano al secondo girone del Purgatorio, dedicato alla purificazione dell'ira Qu incontrano le anime dei peccatori penitenti che sono costretti a portare pesanti pietre sulle spalle, simboleggianti il peso dei loro peccati Tra queste anime, Dante nota un'ombra che sembra volersi avvicinare a lui Si tratta di Iacopo del Cassero, un politico italiano del tempo di Dante, che chiede notizie della sua città, Forlì Dante risponde alla richiesta di Iacopo e continua il suo cammino. Mentre procedono, incontrano un'altra anima, Buonconte da Montefeltro, un nobile condottiero Buonconte racconta la sua tragica

fine, avvenuta durante la battaglia di Campaldino, dove perse la vita. La sua morte è stata causata da un improvviso pentimento nel momento in cui invocò il nome di Maria Buonconte confessa il suo pentimento e chiede a Dante di pregare per lui, poiché crede che solo le preghiere possano aiutarlo nella sua purificazione Infine, a farsi spazio dietro, giunge un terzo spirito, Pia de’ Tolomei, che con la delicatezza e la leggiadra che la renderà protagonista indiscussa anche se ha solo due terzine Il canto procede dalla concitata narrazione di Jacopo del Cossero e Buonconte da Montefeltro alla chiusa finale rappresentata dalla pacata e soave apparizione di Pia de' Tolomei Tre sono le anime che parlano con Dante, due guerrieri e una nobildonna senese: tutti morti di morte violenta e pentitisi all'ultimo, dimorano ancora nell'Antipurgatorio, aggrappati alla vita che hanno perduto, ma già volti verso un cammino di salvezza Jacopo del Cassero narra la sua fine insistendo sul tradimento di chi considerava amico e soffermandosi a descrivere il suo corpo impantanato nel fango Buonconte da Montefeltro racconta poi perché il suo corpo non sia mai stato trovato dopo la battaglia di Campaldino La suggestiva storia si lega immancabilmente alla vicenda del padre, Guido da Montefeltro, nel XXVII canto dell'Inferno Per Buonconte, tuttavia, la situazione è capovolta e, poiché è morto col nome di Maria sulle labbra, ponendo le braccia in croce in segno di piena confidenza in Dio, è l'angelo a vincere sul diavolo e a portare l'anima in Paradiso. Ancora una volta Dante coglie l'occasione per mettere a confronto le ragioni della salvazione eterna con quelle della dannazione Se è vero che il demonio è loico, Dio, però ha si gran braccia da riuscire a contenere chiunque s'affidi a Lui
È su questo terreno che si apre lo scontro tra il bene e male, e la fissa logicità delle forze demoniache presenta analogie con la rigidità dei comportamenti umani che offuscano l'infinita logica divina: così è accaduto che il pastor di Cosenza disseppellisse, il corpo di Manfredi, incapace di leggere in dio la sua infinita dimensione d'amore Entrambi gli episodi del canto V narrano tuttavia della violenza degli uomini e degli agenti atmosferici e su di essi si distende rossa la macchia di sangue sgorgata dai corpi trafitti dei due protagonisti Ancor più contrastante appare pertanto l'immagine diafana di Pia de' Tolomei. Evanescente, ombra nel regno delle ombre, Pia leva la sua voce flebile per chiedere a Dante di essere ricordata con una preghiera che possa abbreviare il tempo dell'espiazione. La tenerezza di Pia si fissa nella memoria con la sua materna sollecitudine e richiama il Miserere dolce e ansioso dell'inizio del canto, in cui le anime riversano tutta la sincera consapevolezza della loro colpa ma anche la riconoscenza per un perdono gratuito e gioioso, frutto della bontà divina Nelle parole di queste anime non c'è né odio né disprezzo e non ci potrebbe essere in chi ha letto in Dio il volto della misericordia. Pia, ad esempio, di suo

marito che la uccise, ricorda solo il momento in cui egli l'ha sposata con la sua gemma: rimossa l'immagine dell'assassino, resta soltanto quella dello sposo nel giorno delle nozze Procedendo a soffermarsi con ogni personaggio, Iacopo del Cassero è descritto come un'ombra desiderosa di comunicare con Dante La sua presenza sottolinea il tema dell'interconnessione umana nel Purgatorio, dove le anime cercano comunicazione e consolazione
L'incontro con Iacopo offre a Dante l'opportunità di esplorare il mondo terreno attraverso gli occhi dei peccatori penitenti. Questo evidenzia la sua capacità di compassionevole osservazione, che è un elemento cruciale del suo percorso di purificazione. Stilisticamente, Dante descrive l'aspetto di Iacopo con grande attenzione ai dettagli, evidenziando la sua abilità nell'uso delle immagini per suscitare empatia nel lettore. La scena della comunicazione tra Dante e Iacopo è costruita attraverso un dialogo vivido che rivela tanto sul personaggio quanto sulla natura umana in generale. Contenutisticamente, l'incontro con Iacopo del Cassero offre a Dante l'opportunità di riflettere sul concetto di responsabilità sociale e politica La richiesta di Iacopo riguardo alla sua città dimostra il legame indissolubile tra l'individuo e la comunità, suggerendo che il peccato individuale ha un impatto su un livello più ampio. Questo tema si ripercuote nell'intera opera di Dante, sottolineando l'importanza della giustizia sociale e della responsabilità civica Buonconte da Montefeltro è un personaggio che rappresenta il tema del pentimento e della redenzione La sua confessione della sua morte durante la battaglia

di Campaldino e il suo repentino pentimento nel momento in cui invocò il nome di Maria sottolineano la potenza del pentimento nel processo di purificazione dell'anima Stilisticamente, Dante dipinge Buonconte come un'anima tormentata, desiderosa di trovare pace attraverso le preghiere di Dante. La sua narrazione della sua morte è carica di pathos, suscitando compassione nel lettore per il suo destino tragico. La sua figura incarna il conflitto interiore dell'anima umana e l'eterna lotta tra il peccato e la redenzione L’incontro con Buonconte offre a Dante l'opportunità di esplorare la complessità della condizione umana e il ruolo della grazia divina nel processo di redenzione. Il pentimento di Buonconte suggerisce che anche i peccatori più gravi possono trovare perdono attraverso la fede e la preghiera Questo tema si collega al più ampio messaggio morale e teologico dell'opera, che promuove la speranza nella misericordia divina e la possibilità di redenzione per tutti gli individui, indipendentemente dai loro peccati passati.

Passando alla protagonista del canto, il suo racconto è legato a un evento storico realmente accaduto; il tragico destino di Pia de' Tolomei, una donna della nobiltà senese del XIII secolo, la cui vita e morte sono state oggetto di varie opere letterarie e artistiche Il racconto di Dante ha ampliato la sua fama e la sua memoria attraverso i secoli. Dante descrive Pia de Tolomei con una delicatezza e una grazia che evidenziano il suo rispetto e la sua simpatia per questa figura tragica La sua bellezza è dipinta attraverso immagini delicate e liriche, che conferiscono alla sua figura un'aura di nobiltà e purezza Dante non solo la presenta come una vittima innocente, ma anche come un'anima di grande forza interiore e dignità. Stilisticamente, la rappresentazione di Pia è intrisa di un senso di malinconia e nostalgia Le sue parole sono permeate da un'aura di tristezza e rimpianto, suggerendo una vita segnata da sofferenze e ingiustizie Dante utilizza una prosa melodica e poetica per dipingere il suo ritratto, enfatizzando la sua bellezza interiore ed esteriore. Il personaggio di Pia de’ Tolomei
aggiunge un elemento di pathos e umanità al Purgatorio di Dante. La sua storia di dolore e sacrificio riflette temi universali di oppressione, tradimento e speranza La sua morte prematura e ingiusta rappresenta la fragilità della vita umana e l'ingiustizia del mondo terreno Con il suo racconto, Pia sottolinea il tema della redenzione attraverso il perdono e la misericordia divina. Nonostante le sofferenze subite in vita, Pia mostra un cuore aperto al pentimento e alla pace spirituale La sua richiesta di preghiere dimostra la sua fiducia nella misericordia di Dio e la sua speranza di raggiungere la redenzione attraverso la purificazione del Purgatorio Inoltre, la presenza di Pia de Tolomei offre a Dante l'opportunità di esplorare il tema della memoria e della commemorazione. Il suo racconto aggiunge profondità e umanità al paesaggio del Purgatorio, trasformandolo da un luogo astratto di purificazione a un luogo abitato da individui reali con storie e destini unici. La figura di Pia de Tolomei nel Purgatorio di Dante Alighieri rappresenta un'aggiunta significativa alla narrazione, arricchendo il testo con un personaggio di grande forza emotiva e umanità Attraverso la sua storia, Dante esplora temi di dolore, perdono e speranza, offrendo al lettore una visione profonda della condizione umana e della ricerca della redenzione Confrontare il modo in cui Dante si pone nei confronti di altre donne all’interno del suo viaggio, come ad esempio Francesca da Rimini nel V canto dell'Inferno, e Piccarda Donati nel III canto del Paradiso offre un'interessante prospettiva sulle relazioni di Dante con i personaggi che incontra nel suo viaggio attraverso i tre regni dell'aldilà. Dante si avvicina a Francesca nel canto dell'Inferno con una mistura di compassione, pietà e

interesse Francesca è presentata come una figura tragica, condannata per l'adulterio con il fratello di suo marito Dante mostra empatia per la sua sofferenza e ascolta il suo racconto con compassione Tuttavia, il modo in cui Dante si pone nei confronti di Francesca è anche critico, poiché condanna il suo peccato e la sua condanna all'Inferno Nonostante la sua compassione per Francesca, Dante rimane distaccato e obiettivo nel suo giudizio, riconoscendo la giustizia divina della sua condanna. Nel canto del Paradiso, Dante si avvicina a Piccarda Donati con un senso di meraviglia e ammirazione Piccarda è rappresentata come una figura di grande saggezza e virtù, che ha accettato la sua condizione di purgazione con serenità e gratitudine Dante mostra un profondo rispetto per la sua fede e la sua dedizione alla purificazione dell'anima. Il modo in cui Dante si pone nei confronti di Piccarda è caratterizzato da un senso di reverenza e devozione Egli la onora per la sua determinazione nel perseguire la sua redenzione e la sua accettazione del volere divino Dante si avvicina a Piccarda con umiltà e gratitudine per l'opportunità di imparare da lei. Dante si pone in modo diverso nei confronti dei diversi personaggi che incontra nel suo viaggio attraverso l'Inferno, il Purgatorio e il Paradiso Mentre si avvicina a Francesca con compassione e pietà, mostra un profondo rispetto e simpatia per Pia e manifesta reverenza e ammirazione per Piccarda Questi diversi atteggiamenti riflettono la complessità delle relazioni umane e la gamma di emozioni che Dante sperimenta nel suo viaggio attraverso l'aldilà


VI CANTO: UN RICHIAMO ALLA GIUSTIZIA POLITICA
A CURA DI FRANCESCO SPAGNOLO IV H LICEO SCIENTIFICO

Nel sesto canto del Purgatorio Dante Alighieri ci offre uno sguardo penetrante sulla realtà politica del suo tempo, incanalando le sue preoccupazioni attraverso il dialogo con il poeta Sordello Questo incontro non è solo un momento di riflessione personale per Dante, ma anche un'opportunità per esplorare temi politici universali che risuonano ancora oggi Il canto si apre con una discussione sul valore della preghiera fatta dai viventi per le anime del Purgatorio Dante si chiede come facciano le preghiere ad aiutare i penitenti se, come il poeta guida disse in una delle sue opere che decreto del cielo orazion pieghi, ovvero che le preghiere non possano cambiare le decisioni divine. Virgilio lo corregge prontamente spiegandogli che le preghiere fatti per i penitenti non servono a cambiare il giudizio di Dio, bensì servono ad aiutare le anime a purificarsi più velocemente Quando Sordello, un illustre poeta dell'antichità, appare sulla scena, l'attenzione si sposta sulla questione della giustizia politica Dante, con voce impregnata di frustrazione e isillusione, interroga Sordello sull'assenza di leader autentici capaci di guidare l'Italia verso la stabilità e la prosperità. La risposta di Sordello, intrisa di saggezza e amarezza, sottolinea la necessità di una corretta disposizione morale e politica per il benessere della società Egli rimarca come le discordie e le ambizioni personali abbiano corrotto il tessuto sociale, generando una situazione di caos e disordine
Attraverso questo scambio Dante ci offre una critica acuta della classe dirigente del suo tempo, denunciando la mancanza di virtù e integrità nel governo Tuttavia, il suo messaggio va oltre la mera denuncia; è un richiamo alla responsabilità individuale e collettiva nel plasmare il destino politico di una nazione In particolare, ci sono due sezioni in cui si possono dividere le osservazioni critiche fatte da Alighieri nei confronti dell’Italia: la prima è alla frammentazione in stati e statarelli, tutti in guerra tra di loro, che porta la penisola ad essere perseguitata da morte, povertà, distruzione. La seconda è alla città di Firenze, la sua città. Ma non la critica, come aveva fatto nel canto VI dell’Inferno, parlando delle lotte intestine. Invece, utilizza una pungente ironia per evidenziare i tanti difetti della città Esordisce proprio dicendo Fiorenza mia, ben puoi esser contenta di questa digression che non ti tocca , riferendosi all’invettiva all’Italia in generale Segue poi un’ironica lode ai fiorentini e alle istituzioni fiorentine per il loro impegno civile, parlando in realtà di come i cittadini vogliano avere cariche pubbliche per interessi personali, o di come le leggi cambino continuamente a causa dell’instabilità politica e la corruzione. Anche se scritto nel XIII secolo, il Canto VI del Purgatorio risuona ancora oggi con una potente risonanza. Le considerazioni di Dante sulla leadership politica e sulla giustizia sono ancora attuali, poiché il mondo continua a lottare con problemi di corruzione,


divisioni e ingiustizie. Possiamo individuare sorprendenti parallelisi tra la situazione politica e sociale dell'Italia di Dante e quella odierna. Le divisioni politiche e le lotte di potere tra le regioni e i partiti politici continuano a essere una costante della vita italiana La mancanza di unità e di una leadership forte ha reso difficile affrontare sfide cruciali come l'instabilità economica, l'immigrazione e l'emergenza climatica Come nel tempo di Dante, anche oggi c'è bisogno di un rinnovamento morale e politico, di un impegno collettivo per superare le divisioni e costruire un futuro migliore per tutti gli italiani. Il Canto VI del Purgatorio ci ricorda che la vera grandezza di una nazione risiede nella sua capacità di superare le differenze e di lavorare insieme per il bene comune Così, mentre riflettiamo sul messaggio di Dante, possiamo cogliere l'importanza di trarre insegnamenti dal passato per affrontare le sfide del presente con saggezza e determinazione Solo allora potremo sperare di costruire un'Italia unita e prospera, in cui le divisioni del passato siano solo un lontano ricordo. In questo senso il viaggio di Dante attraverso il Purgatorio non è solo un'esplorazione della sua coscienza personale, ma anche un'esortazione alla riflessione critica sulla società e sulla politica Dante ci invita a esaminare attentamente il nostro contesto politico e sociale e a considerare il ruolo che ciascuno di noi può svolgere nel perseguire un mondo più equo e giusto
IL PARADISO

VI CANTO: LA PROSPETTIVA UNIVERSALE DELLA POLITICA
A CURA DI ALESSANDRO PIRROTTINA V H LICEO SCIENTIFICO
Dante e Beatrice, nel canto VI del Paradiso, si trovano nel secondo cielo, ovvero nel cielo di Mercurio, in cui si sono presenti gli spiriti operanti per la gloria terrena; la vicenda avviene nel pomeriggio del 13 aprile del 1300 L’intero canto è espressione della voce di Giustiniano, il quale declama un lungo discorso: l'imperatore romano, simbolo della Legge terrena che risponde ai principi della Legge eterna divina e asseconda la visione provvidenziale di Dio, tratta la questione della funzione dell'Impero e della sua storia Questo canto, come i canti sesti dell’Inferno e del Purgatorio, è dedicato ad un argomento politico: nell’Inferno, con la figura di Ciacco, Dante aveva affrontato la corruzione dilagante a Firenze e la divisione in fazioni; nel Purgatorio, allargando il campo di indagine e di critica, il poeta si lamentava della situazione dell'Italia, ormai in balia di potenze straniere e lacerata da dannosissime lotte intestine; nel Paradiso, infine, Dante tratta dell’Impero, completando il climax ascendente che va dalla scala locale (Firenze), a quella generale (l’impero), facendo proprie le riflessioni di Giustiniano Nei primi versi l’imperatore inizia il discorso narrando la propria vita: l’ascesa al trono, duecento anni dopo Costantino; la conversione al Cristianesimo; la stesura del Corpus Iuris Civilis; il consolidamento politico e militare dell’Impero Romano d'Oriente, grazie al suo comandante dell’esercito, Belisario Giustiniano inizia in seguito a ripercorrere, facendo un lungo ed approfondito excursus, la storia
dell’Impero Quest’ultimo rimase per trecento anni presso Albalonga, città fondata dal figlio di Enea, poi passò a Roma, dove giovanetti trïunfaro | Scipïone e Pompeo Ricorda le guerre civili, la disastrosa sconfitta di Antonio e Cleopatra e la vittoria di Ottaviano Augusto, il quale riportò la pace Sotto l’impero di Tiberio morì Cristo, la cui morte viene successivamente, per così dire, vendicata dalla distruzione della città di Gerusalemme ad opera di Tito nel 70 d C Infine l’aquila imperiale passò nelle mani di Carlo Magno, considerato da Dante come continuatore dell’Impero, che difese la Chiesa dall’invasione Longobarda Dante, nei versi seguenti, attraverso le parole di

Giustiniano, scaglia la propria polemica prima contro i Guelfi, sostenitori del papa e della monarchia francese, che vogliono sostituire l’aquila delle insegne con il giglio giallo, simbolo dei re francesi, e in seguito contro i Ghibellini, i quali abusano dell’aquila imperiale, usandola come simbolo di fazione, riducendone così l’importanza come punto di riferimento universale Negli ultimi versi del canto, infine, l’imperatore mostra a Dante le anime presenti nel cielo di Mercurio, tra le quali incontra quella di Romeo di Villanova, che fu consigliere del conte di Provenza Raimondo Berengario V e che, in seguito ad un’accusa infondata di
tradimento, fu costretto ad allontanarsi dalla corte e vivere in povertà. Questa figura, citata in chiusura del canto, è molto importante per Dante, il quale subisce una simile sorte, dopo il forzato e ingiusto allontanamento da Firenze: Romeo diventa infatti una sorta di "sé stesso" in cui rivedersi, e attraverso cui ritornare a riflettere sui tormenti della pena ingiusta cui il poeta si sente condannato Tale riflessione chiude il sesto canto del Paradiso, dedicato alla "politica" nella sua accezione più ampia e somma: nella visione finalistica della storia di Dante, infatti, l'Impero ha la funzione provvidenziale di unificare il regno terrestre degli uomini, assicurando loro pace e giustizia, ad esempio con l'istituzione delle leggi del Corpus Iuris giustinianeo in attesa di quello celeste venturo Per quanto riguarda i simboli e i personaggi, le due figure chiave del canto sono indubbiamente Giustiniano e l’Aquila. In primo luogo, Giustiniano (482-565) fu Imperatore Romano d’Oriente dal 527 al 565 Adottato dallo zio Giustino, noto generale e imperatore, Giustiniano venne dapprima associato al potere e poi fu proclamato imperatore: il suo longevo regno è ricordato come uno dei più felici nel passaggio dalla storia classica a quella alto-medievale, sia per l'importante attività legislativa (confluita appunto nel Corpus Iuris Civilis) che per quella militare e politica, grazie anche alle incredibili abilità strategiche del suo generale Belisario Assai significativo è il tentativo di Giustiniano di restaurare l'unità antica dell'Impero romano,

riunendo Oriente ed Occidente, Bisanzio e Roma: la "guerra gotica" (535-553) vide l'invasione dell'Italia da parte delle truppe imperiali ma, in circa vent'anni di ostilità, non raggiunse i risultati stabili nel tempo (nel 568, infatti, i Longobardi invasero la penisola ponendo fine al sogno di una nuova unità imperiale) Per quanto riguarda l’aquila, in secondo luogo, è essa a costituire il centro simbolico del ragionamento dell'imperatore L’aquila era il simbolo, inizialmente attribuito a Giove Capitolino (protettore del Campidoglio), che si impose per identificare l’esercito romano e le sue legioni sin dal periodo repubblicano L'aquila, nella prospettiva di Dante, è il simbolo della storia millenaria dell'Impero e della sua insostituibile funzione ordinatrice; questa convinzione si riflette anche nel pensiero politico dantesco Nel De Monarchia, infatti, Dante si fa portavoce della teoria dei due Soli, una concezione politica medievale, propria della Scolastica, in cui si postulava la presenza di due poteri coesistenti che avevano obiettivi differenti: il potere imperiale, che doveva curare l’aspetto politico del mondo terreno e della vita civile dei sudditi; il potere papale, che si doveva preoccupare dell’ambito spirituale e della salvezza delle anime. Questa teoria si coniugava bene con la posizione "bianca" del guelfo Dante, che riconosceva l'autorità papale ma individuava in un Impero forte e saldo il miglior elemento per controbilanciare le spinte temporali del Papato del suo tempo




















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