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notiziario dei Volontari di Roma anno IV – numero 3 - giugno/settembre 2019

1° tevere day

27 ottobre 2019

Giugno/Settembre 2019, notiziario 3 u1


tevere day Varie attività culturali, sportive e di intrattenimento saranno organizzate per tutta la giornata del

Alla manifestazione, organizzata dal Museo del Tevere, hanno aderito molte istituzioni e organizzazioni culturali, sportive e ambientali Citiamo alcune delle più importanti: - Comune di Roma Ufficio Speciale Tevere - 1° e 2° Municipio - Regione Lazio - Soprintendenza Archeologica di Stato - Autorità distrettuale Bacino Centrale - Circolo Tevere Remo - Circolo Canottieri Roma - Circolo Canottieri Lazio - Federazione italiana Canoa e Kayak - Touring Club Italiano - A.S. Roma - Agenda Tevere - Feet Walking - Nordic Walking - FIGC - Federazione Italiana Tennis - Marevivo - Tevereterno - Associazione Mura Latine - Associazione Isola Tiberina - Associazione Testacciointesta - Orchestra di Musica Tradizionale di Testaccio

tevere 27 ottobre Il clou sarà il

ROMA CANOE MARATHON Pagaiando per l’Ambiente organizzato dalla Federazione italiana Kayak Una manifestazione che ha come obiettivo quello di sviluppare una maggiore consapevolezza per il rispetto dell’ambiente e delle acque. Un evento con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, oltre che del partner Marevivo. La gara prenderà il via da Castel Giubileo (partenza agonisti dal Circolo della Guardia di Finanza di Villa Spada) per concludersi, dopo un percorso di 14 chilometri, a Castel

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day, 2019 Aderite come Volontari! Il vostro compito sarà quello di supportare gli organizzatori dell’evento , accogliere il pubblico, informarlo delle tante iniziative previste ed indirizzarlo verso le varie attività. Per dare la disponibilità, inviate una email a tevereday@volontaritouring.it; seguirà una convocazione a un incontro in cui vi verranno spiegate le modalità di coinvolgimento all’iniziativa.

I Volontari del Club di territorio di Roma del TCI partecipano al grande evento sul Tevere che si svolgerà domenica 27 ottobre con una serie di percorsi lungo il fiume. L’iniziativa vuole contribuire alla riscoperta e alla valorizzazione del fiume Tevere oggi relegato ad una cintura acquatica che attraversa la città senza quasi alcun rapporto con essa. Cosa è stato e cos’è il Tevere per la nostra città? Con le nostre passeggiate risponderemo a queste domande, ricordando quanto scritto dall’illustre studiosa M.M. Segarra Lagunes, nel suo volume “Il Tevere e Roma - Storia di una simbiosi”,

Sant’Angelo, attraversando gran parte del tratto urbano del fiume e passando sotto ben 11 ponti comprese le rapide di Ponte Milvio, per poi concludersi con una grande festa di sport. Per gli amatori invece partenza prevista da Ponte Milvio. Alle ore 18.00 incontro finale e festa collettiva alla spiaggia TIBERIS, a Ponte Marconi

“Simbolo stesso della città, il bacino fluviale assolve il compito di collegare tra loro vicende remote e vicende attuali. Case, templi, chiese, palazzi e strade bordano il Tevere, condizionando lo sviluppo urbano di Roma, suggerendone linee evolutive, intessendo trame sulle quali vengono a collocarsi strategicamente i ponti e i porti, che generano, a loro volta, piazze, scalinate, quinte prospettiche.

Lungo le sue rive sorgono e scompaiono piazze, s’innalzano e si demoliscono edifici, mentre la realizzazione dei ponti contribuisce decisamente a spostare attività sociali ed economiche da una zona all’altra, consolidando di volta in volta la maglia viaria e determinando i percorsi urbani e le direttrici stradali primarie”. Ci vediamo lungo il fiume! Questi i 4 itinerari culturali, da noi organizzati, che si svolgeranno lungo il Tevere, ordinati da monte a valle: A/ Passeggiata da Ponte Milvio al Ponte della Musica. Appuntamento: Ponte Milvio all’Arco della Torre / ore 10 Dal ponte più antico a quello più moderno attraverso una zona che è cambiata molto e molto rapidamente nel XX secolo. Le aree limitrofe, notiziario 3, Giugno/Settembre 2019 u3

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fino ai primi del secolo pura campagna, sono state trasformate in quartieri che denunciano con il loro stile la cronologia delle costruzioni. Una passeggiata fra storia e architettura con particolare attenzione agli anni ‘30 e ‘40, segnati dai grandi progetti del Foro Mussolini ma con escursioni indietro, nei primi anni del ‘900, e avanti, nel secondo dopoguerra. B/ Passeggiata da “Porto Leonino” al “Porto di Ripetta”. Appuntamento: Lungotevere Gianicolense angolo Ponte Principe Amedeo Savoia Aosta mattina / ore 10.30 pomeriggio / ore 15 Dalla zona ove sorgeva il “Porto Leonino”, costruito nella prima metà dell’‘800, arriveremo fino al sito ove era stato realizzato, agli inizi del ‘700, il “Porto di Ripetta”, entrambi scomparsi con la costruzione dei muraglioni, raccontando anche dei tanti approdi presenti sul Tevere nei tempi passati e dell’importanza della navigazione per la vita della città. Durante l’itinerario ricorderemo, inoltre, antichi ponti ormai scomparsi, come il “Ponte Neroniano” e il “Ponte dei Fiorentini”, mulini, ville e palazzi che si affacciavano sul fiume,

spiagge e barconi frequentati negli anni ’50, senza tralasciare quanto ancora oggi possiamo ammirare. Sarà una passeggiata nella storia del fiume dall’epoca romana a quella dei Papi fino a giungere ai giorni nostri. C/ Passeggiata da Ponte Palatino a Ponte Sisto. Appuntamento: Piazza della Bocca della Verità davanti alla fontana mattina / ore 10.30 pomeriggio / ore 15 Sarà rivissuta ed illustrata la storia dei vari ponti che si incontrano lungo il percorso, sia di quelli risalenti a periodi lontani, come il Ponte Cestio o il Ponte Fabricio, sia di quelli risalenti a periodi più vicini a noi, come il ponte Palatino, edificato in sostituzione del cosiddetto “Ponte rotto”, crollato definitivamente per una piena rovinosa alla fine del ’500 o il Ponte Garibaldi, evocativo delle vicende della Repubblica Romana di metà ‘800. Basterà però scendere lungo le banchine per dimenticare il frastuono del traffico dei lungotevere, per immergersi in una dimensione che ci indurrà a rivivere ed immaginare l’importanza che il fiume rivestiva fino a non molto tempo fa, come fonte di sostentamento, di traf-

fici, di commerci e di attività artigianali. Rivivere sia pure con la fantasia le varie attività che si svolgevano lungo il fiume riporterà a visioni che ormai possiamo altrimenti apprezzare solo nei dipinti dei vari pittori e acquarellisti che hanno immortalato il grande fiume. D/ Passeggiata dall’antico “Portus Tiberinus” all’“Emporium”. Appuntamento: Lungotevere Ripa, 3 mattina / ore 10.00 pomeriggio / ore 15 La passeggiata inizia con la visita della ChiesadiS.MariainCappella,dell’Ospidale di Santa Francesca Romana e del Giardino delle Delizie di Donna Olimpia Pamphili e prosegue lungo la banchina del Tevere fino all’Emporium, illustrando la storia degli antichi Porti. Vogliono mostrare quale è stato il legame tra i romani ed il fiume Tevere da un punto di vista storico, economico e sociale dall’epoca Romana ai giorni nostri. Prenotabili dal 17 ottobre al 25 ottobre 2019 indicando: - la passeggiata e l’orario scelto - il nome, cognome e recapito telefonico dei partecipanti all’indirizzo mail: roma@volontaritouring.it Foto di Massimo Romano

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A partire da questo numero del Notiziario vi proporremo, a puntate, un’interessante storia del nostro fiume curata dal nostro volontario Vittorio Gamba

ROMA ED IL TEVERE

NELL’ANTICHITà

Topografia dell’area dove sorse Roma con i confini della Roma Quadrata, i colli originari e le paludi del Tevere. Sopra, statua del Tevere in Piazza del Campidoglio, dalle Terme di Costantino, originariamente raffigurante il fiume Tigri

Capitolo primo

I nomi del Tevere In principio il suo nome era Albula, perché era messo in rapporto con la città di Alba. Si dice anche che tale nome potesse derivare da “albus” per indicare “il fiume dalle acque bianche” ma il colore delle sue acque è sempre stato giallo, tanto che già fin dalla antichità veniva chiamato il biondo Tevere. Il nome successivo, Thybris, sarebbe stato assegnato in onore di Tiberino, nono re di Alba (che regnò dal 924 al 916 a.C.), mitico sovrano dal corpo di gigante che avrebbe trovato la morte proprio in riva al fiume o annegando nello stesso. Da qui anche il nome successivo, Tiber. Ma c’è chi parla anche del brigante Tybris (dal greco ubris=ingiuria) che spadroneggiava con violenza sulle rive del fiume. Ma il Tevere ebbe anche altri nomi: Rumon o Rumen, nel senso di ruminante, di divoratore (delle rive)

o dalla radice greca ruo (scorro) da cui sarebbe derivato anche, per Mario Onorato Servo (V sec.), il nome di Roma come “città del fiume’” ed il nome di Romolo come “uomo salvato dal Rumon”; Serra (sega) o Tarentum (raspa) perché il fiume sega e corrode le rive; Coluber (serpente) per la tortuosità notiziario 3, Giugno/Settembre 2019 u5

del suo corso. Lo ricorda Servio, che dice però, nel Libro degli Auguri, che il Tevere è chiamato Serpente, nel senso di fiume collegato alla salute (il veleno dei serpenti serviva come rimedio salutare); Tuscus amnis, fiume etrusco; Thyrrenum flumen (fiume del Tirreno); Auysonius Thybris (Tebro Ausonio). Ma i romani lo chiamavano fiume e basta, per antonomasia. Capitolo secondo

Le origini di Roma e il Tevere “…e il Tevere a cui è riservato il dominio del mondo”. (Ovidio, Metamorfosi, II, 259) Roma deve al Tevere la propria esistenza.

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quadro della zona ove sorse Roma comprendeva, infatti, due elementi fondamentali: i colli ed il fiume. In epoca protostorica il corso del fiume in questa zona si impaludava per le particolari condizioni morfologiche, rendendone possibile l’attraversamento a guado e incrementando, di fatto, la possibilità di contatti commerciali o di scontri militari con le popolazioni vicine. Il possesso della zona significava, quindi, l’essersi assicurato il controllo delle vie commerciali da nord a sud grazie anche al baluardo naturale costituito dal sistema Gianicolo – Vaticano, senza dimenticare il controllo della foce del fiume. Il suo corso, comunque era più stretto e profondo di quello di oggi e meglio navigabile. In realtà, il Tevere non meritava alcuna cattiva reputazione per la sua sorprendente regolarità; il fatto che non fosse mai a secco permetteva alle barche di risalirlo dalla foce a Perugia. Da ottobre a marzo il terreno sulle rive del Tevere era tutto paludoso ma nei restanti mesi, grazie al guado, servì inizialmente come centro di raccolta del bestiame. Il Tevere non aveva guadi, né a monte né a valle di Roma. A nord, in realtà, c’erano alcuni villaggi (Fidene, Antenne, Ficana, ecc.) sorti per il suo attraversamento, ma in barca. Roma sorse, quindi, nel punto più stretto del fiume. La zona era paludosa anche perché qui il fiume riceveva numerosi torrenti minori: Petronia, che scorreva fra Pincio e Quirinale; Spinon, che raccoglieva piccoli corsi che scorrevano fra Quirinale, Viminale, Cispio e Oppio; Nodinus, fra Celio ed Aventino. In questi fossi l’acqua scorreva a fatica per il poco dislivello e si formavano, quindi, delle paludi (Palus Caprae nel caso del Petronia, le paludi del Velabro per gli altri due).

Ma a Roma la colata di lava arrivava molto vicino al fiume e quindi la zona alluvionale da superare era minima. Roma nacque per diventare solo una piccola città: i quartieri bassi, infatti erano soggetti alle inondazioni mentre quelli alti stavano su colli, che però erano estremamente accidentati.

e per questo motivo non venne sfruttata per agevolare l’attraversamento del fiume. Il punto di attraversamento era quindi subito a valle, nel guado dove alcune colline (Palatino, Campidoglio e Aventino) garantivano un miglior passaggio, con meno paludi.

Fin dai tempi più remoti la piccola pianura fra Campidoglio, Palatino ed Aventino divenne luogo di mercato perché vi confluivano i tracciati di molte strade. Era il luogo obbligato di passaggio di persone a di greggi fra nord e sud essendo l’unico guado, nonché punto fondamentale di scambio del commercio del sale; qui, infatti, alle pendici dell’Aventino, sorgevano i depositi del sale che arrivava dalle saline di Ostia lungo la Via Campana (sulla riva destra del Tevere). Il guado nacque sotto la tutela di Ercole. La grande rotta Cerveteri - Capua transitava proprio qui; l’alternativa era passare dal territorio di Veio, guadare il Tevere a Fidene e poi imboccare la valle del Sacco. Per questo motivo, essenzialmente, Veio, che controllava Fidene, verrà distrutta.

Il Tevere, alle origini, è una vera e propria frontiera fra etruschi da un lato, umbri, sabini e latini dall’altro. Qui si scontrarono le tre culture: etrusca, latina e greca, e si fusero. In realtà il fiume non era un confine netto, come dimostra il fatto che il ponte Sublicio venne costruito solo dai Romani. Ma l’interesse del passaggio attirò subito gli Etruschi che si impadronirono della città con la dinastia dei Tarquini. è importante notare che in epoca antica, e per lungo tempo, il Tevere non attraversava la città e nemmeno la costeggiava; era invece, al pari del mare, un abisso che la separava da un altro universo, la riva etrusca. Passare il fiume voleva dire staccarsi dalla città. Per questo, fino alla fine della Repubblica, nessun romano volle stabilirsi al di là del fiume, ma vi andava solo per lavorare nei campi ed orti. A conferma di ciò, secondo le XII Tavole, per vendere i debitori insolventi bisognava farlo al di là del Tevere

Ci sono molti dubbi sul fatto che l’isola Tiberina aiutasse ad attraversare il guado del Tevere. Non si è neppure certi che l’isola esistesse già all’epoca. Le opinioni, su questo punto, sono contrastanti. L’isola, infatti, è di tufo vulcanico (e quindi all’epoca già c’era) od alluvionale (ed allora potrebbe essere posteriore). Gli ultimi studi conciliano le due teorie: la base dell’isola è in tufo, e quindi sicuramente già era presente all’epoca della nascita di Roma, ma era troppo piccola, instabile, paludosa ed inondabile 6 unotiziario 3, Giugno/Settembre 2019


Modello ricostruttivo ipotetico del Ponte Sublicio. In basso, la lupa Capitolina (Musei Capitolini)

perché un cittadino di Roma non poteva essere venduto in città. Quando, poi, bisognò esiliare i Campani che avevano tradito nel corso della prima guerra punica, non si trovò niente di meglio che riportarli a Roma dall’Italia Meridionale, per farli stabilire al di là del Tevere (Plutarco, Vite Parallele, Fabio Massimo II 430). è poi interessante confrontare due diverse leggende sul mito di Romolo e Remo e la nascita di Roma: la più celebre, quella di Tito Livio, ed un’altra, molto meno conosciuta, di Promathion, scrittore greco che la scrisse nel V sec. a.C. Tito Livio: “Per un caso provvidenziale il Tevere aveva tracimato e aveva formato dei larghi stagni, sicché non era possibile raggiungere il normale corso della corrente. Coloro che eseguirono l’ordine avevano tuttavia fondate probabilità che i bambini annegassero nonostante le acque ristagnanti. E dunque, convinti di eseguire al meglio l’incarico ricevuto dal re, espongono i fanciulli nella pozza più facilmente raggiungibile proprio nel luogo (chiamato Romulare) in cui oggi si trova il Fico Ruminale. Quelli erano luoghi allora del tutto abbandonati. Sopravvive ancor oggi la credenza che le acque basse abbandonassero su una secca il cesto in cui erano stati esposti i bambini e che aveva preso a galleggiare sulla corrente, Una lupa assetata si diresse, dai colli vicini, verso il luogo da cui veniva un vagito. Si abbassò e porse ai due fan-

ciulli le proprie mammelle con tanta mitezza che un pastore che custodiva il gregge del re (se ne tramanda ancora il nome: Faustolo) la trovò mentre lambiva con la lingua i due gemelli. Faustolo li portò alle sue stalle dove si trovava sua moglie Larenzia perché li allevasse. Non manca chi crede che Larenzia, poiché si prostituiva, fosse chiamata lupa fra i pastori”. Promathion: “Nella reggia di Tarchezio, re di Alba particolarmente ingiusto e crudele, un giorno avvenne un’apparizione misteriosa: dal focolare uscì la figura di un membro virile che vi rimase per parecchi giorni. Il re corse a interrogare un indovino per capire cosa volesse indicare quel prodigio mai visto prima ed ebbe il seguente responso: una vergine doveva unirsi a quel fallo e da lei sarebbe nato un bambino molto famoso, che si sarebbe distinto per valore, fortuna e forza. Il re allora parlò dell’oracolo ad una delle sue figlie e le ordinò di accoppiarsi con quel prodigioso membro virile. Ma la ragazza non ne aveva alcuna intenzione e così, di nascosto, mandò al suo posto una schiava. Appena venne a conoscenza dell’inganno, il re, adiratosi, le condannò entrambe a morte, ma l’esecuzione fu scongiurata dall’intervento della dea romana del focolare, Vesta in persona, che, apparsa in sogno a Tarchezio, gli proibì di uccidere la figlia e la serva. E così Tarchezio si recò dalle due donne, tenute in prigione, e disse loro che le avrebbe fatte sposare, notiziario 3, Giugno/Settembre 2019 u7

ma solo dopo che avessero terminato di tessere una tela. Le ragazze passavano il giorno al telaio, ma di notte altre schiave disfacevano tutto, per ordine del crudele re. Quando infine la serva diede alla luce due gemelli generati dal fallo divino, Tarchezio li consegnò ad un certo Terazio perché li uccidesse. I due bambini, tuttavia, abbandonati in riva al fiume, furono allattati da una lupa, mentre uccelli di ogni tipo portavano briciole e imbeccavano i neonati, finché un pastore, dopo averli visti ed essersi meravigliato, si avvicinò coraggiosamente e prese con sé i bambini che, divenuti grandi, assalirono Tarchezio e lo vinsero”.

L’età monarchica Poiché, come abbiamo visto, alle origini il maggior ostacolo per l’espansione edilizia della città erano le grandi paludi, continuamente alimentate dalle sorgenti e dalle alluvioni del Tevere, si affrontò quindi fin dall’età monarchica il problema del drenaggio e della regolamentazione del flusso delle acque con la costruzione di canali e cloache che in origine avevano solo questo scopo; solo successivamente iniziarono a raccogliere le acque di scarico degli edifici ed a divenire ipogee. Ciò determinò l’attestazione lungo il Tevere delle componenti mercantili, specie forestiere, e si attrezzò un porto fluviale nell’ansa del fiume, cui seguì la costruzione del primo ponte della città, il Sublicio.


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Le “barchette�

e i barcaioli del Tevere

La vita economica attraverso e lungo il Tevere si svolgeva anche grazie a una flottiglia di barchette che davano un contributo determinante allo spostamento di persone e di merci

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Pianta del Falda 1676

Di Elisa Bucci Console TCI

Nei tempi passati per poter attraversare il Tevere venivano utilizzate piccole barche che traghettavano i romani, tra le due sponde, visti i pochi

ponti esistenti almeno fino alla seconda metà dell’Ottocento. Infatti, quando i piemontesi entrarono a Roma nel 1870 bastava quasi una mano per elencarli. Già dal Medioevo per attraversare il fiume nelle aree più frequentate ma sprovviste di ponti erano in funzione barconi che per pochi soldi facevano la spola fra le due sponde. Questi furono rimpiazzati nella prima metà del cinquecento da un sistema più funzionale, che sembra sia stato escogitato addirittura da Leonardo da Vinci. Si trattava di un canapo teso fra una sponda e l’altra a cui veniva assicurata un’imbarcazione. Questi traghetti venivano chiamati dai ro-

mani “barchette”. Ne resta memoria oggi nel toponimo di una delle antiche strade del Rione Regola, via della Barchetta, oggi tra via di Monserrato e Via Giulia, che prima della costruzione dei muraglioni si affacciava direttamente sul fiume. E’ qui che c’era uno dei tanti approdi ove era pronta l’imbarcazione che faceva la spola con la Lungara all’altezza dell’antica Chiesa di S. Giacomo., un tragitto che ebbe per primo il canapo fisso, tirato da una riva all’altra dai “barcaroli”. Questo primo traghetto fu istallato da un mercante di lane fiorentine Francesco Del Nero che poi ottenne da papa Leone X l’appalto di quel primo servizio e di diversi altri nei decenni successivi. Un altro canopo esistente sulla sponda sinistra collegava la Chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini alla sponda destra, leggermente più a monte dell’area ove nell’800 sarebbe stato costruito il Porto Leonino. Altro importante traghetto era quello che collegava la sponda di Ripetta notiziario 3, Giugno/Settembre 2019 u9

alla zona di Prati, allora interamente piena di vigne e orti e luogo di scampagnate per i romani. Le più importanti Piante di Roma, come quella di Matthaus Merien (stampata nel 1642, copia di quella del Tempesta del 1593), del Falda del 1676 o quella del Nolli del 1748 riportano la collocazione degli approdi con il disegno delle “barchette”. Nel seicento questa attività era così remunerativa che i banchieri genovesi Spinola chiesero ed ottennero l’appalto di tutte le barchette, versando alla Camera apostolica 1367 scudi l’anno! I Barcaioli si riunivano in una piccola corporazione, ma più che altro, era consueto per loro ritrovarsi in qualche osteria. Nella Chiesa di S. Rocco (costruita a partire dal 1499, anno in cui Alessandro VI aveva approvato gli statuti dell’omonima Confraternita) i “Barcaroli” avevano contribuito alla costruzione della terza cappella a destra uu


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(mentre i carrettieri, i vignaioli, e gli osti avevano contribuito alla costruzione di altre cappelle). Un famoso barcaiolo “Er Ricotta” (perché in tempi di piena, quando era impossibile traghettare, vendeva ricotte) aveva progettato un suo sistema per evitare ogni fatica nel traghettare. Secondo lui, si dovevano tenere sulle due rive due coppie di buoi aggiogati ad una lunghissima corda, saldamente ancorata sia a prua che a poppa. Quando era il momento di traghettare, i buoi avrebbero dovuto iniziare una lenta marcia sempre dritto davanti a loro, fino a portare la barca a toccare la riva opposta. Cosa forse realizzabile nella riva verso i Prati di Castello, ma come far camminare dritto i buoi nell’opposta riva già piena di costruzioni? Non se ne fece mai nulla ma continuò a parlarne anche quando i Ponti cominciavano ad essere sufficienti e le barchette erano scomparse. Un altro famoso Barcaiolo, a Ripetta,

fu “Toto er Bigio”. La barca di Toto, piatta sul fondo e con prua e poppa uguali, faceva avanti e indietro, assicurata ad una fune tesa fra le due sponde e spinta da una pertica. Il natante era coperto da un tendone per riparare i passeggeri dal sole e dalla pioggia. Il barcaiolo lo muoveva lungo il suo percorso obbligato aiu-

tandosi con il timone o con un lungo remo come i gondolieri veneziani. Più tardi al tendone si sostituì una vera e propria cabina in legno con tetto a duplice spiovente. Proprio questa Barchetta è ricordata da G. G. Belli nel sonetto “Er diluvio universale” paragonandola all’arca di Noè.

Iddio disse a Nnovè: «Ssenti, Patriarca: Tu cco li fijji tui pijja l’accetta, E ssur diseggno mio frabbica un’arca Tant’arta, tanto longa, e ttanto stretta. Poi fa’ un tettino, e ccròpisce la bbarca Com’e cquella der Porto de Ripetta; E ccom’ hai incatramato la bbarchetta, Curri p’ er monno, acchiappa bbestie, e imbarca. Vierà allora un diluvio univerzale, C’appett’a a llui la cascata de Tivoli Parerà una pissciata d’urinale. Cuanno poi vederai l’arco-bbaleno, Cuell’è er tempo, Novè, cche tte la sscivoli, Scopi la fanga, e ssemini er terreno». Roma, 25 febbraio 1833

Barcaioli sul Tevere, 1860 circa 10 unotiziario 3, Giugno/Settembre 2019


Tracce di un mondo che non c’è più

a ridosso di Lungotevere Ripa

Ripa Grande, quando Trastevere era il porto di Roma

Presentiamo uno dei luoghi che si affacciano Mentre le auto sfrecciano sul Tevere e che potranno essere visitati a tutta velocità sul Lungo- nel corso di una delle passeggiate condotte tevere Ripa , dopo che si è dai volontari del Club di Territorio Di Massimo Marzano

accesso il verde al semaforo presso il ponte Cestio e dopo che hanno affrontato l’ampia curva a destra,

prima del rettilineo, che porta a Porta Portese, se ti fermi e ti inoltri nel groviglio di vicoli e vicoletti, tra case in mattoni, delle volte fatiscenti, e chiesette semplici ed austere, dalla profonda impronta mistica, ti vieni a trovare in una zona persa nel tempo, tranquilla, dove puoi vedere gioielli di un mondo che non c’è più, come la Chiesa di S. Maria in Cappella, un antico ospizio per anziani, il giardino pensile sul Tevere di Olimpia Dora Pamphili, il vicolo detto “dell’Atleta”, dove nel luogo di un moderno ristorante sorse, proba-

bilmente intorno all’anno mille, la prima sinagoga di Roma, la chiesa di San Benedetto in Piscinula con campaniletto medievale, la chiesa di S. Maria dell’Orto. Sono luoghi suggestivi del rione Trastevere accomunati da una storia antica e dalla costante presenza dell’acqua. Infatti la chiesa di San Benedetto in Piscinula dell’ XI secolo ricorda nel suo toponimo l’antica presenza dei bagni pubblici presso la casa degli Anicii. La chiesa di S. Maria dell’Orto porta il ricordo, i segni e le offerte di tutti i lavoratori che operavano in questa zona a ridosso del porto di Ripa Grande. notiziario 3, Giugno/Settembre 2019 u11

Poco lontano da qui sorge Santa Maria in Cappella, edificata nel 1090, una delle poche chiese superstiti delle tante sparite in occasione della costruzione dei “muraglioni” lungo il Tevere. Il suo nome deriva dalla confraternita dei fabbricanti di “cuppelle” (barili), che qui si riunivano. Ancora di proprietà della famiglia Doria Pamphilj, la chiesa è stata restaurata e riaperta al pubblico nel 2016. Qui, nell’attuale Ospizio, l’onnipotente cognata del papa Innocenzo X, Donna Olimpia, fece costruire il suo casino di delizie dove veniva a passeggiare e a fare bagni nel fiume in tutta riservatezza. uu


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luogo dell'attuale chiesa. Planimetria generale della Chiesa, rielaborata da M. Docci, 1975 1. Ingresso nella Chiesa. Protiro con “Madonna con Bambino fra due pini”, inquadra il portale di accesso. 2. L’epigrafe di fondazione della Chiesa di S. Maria 11 in Cappella, composta da una iscrizione disposta su sette righe, con il testo allineato a sinistra e a lettere in capitale maiuscolo. L’epigrafe ricorda la dedicazione della Chiesa ad opera dei vescovi Ubaldo della diocesi di della Sabina e Giovanni di quella di Tuscolo, per volontà di un personaggio 7 non meglio conosciuto di nome Damaso, sotto il 10 pontificato di Urbano II (25 marzo 1090) 3. Croce a mosaico di Francesco Borromini (1625) 12 4. Vetrina con olle dei martiri e resti archeologici 9 5. Acquasantiera, capitello e leone stiloforo 8 13 6. Navata Meridionale con murature in laterizio del IV-V sec. e dell’XI-XII sec. (6a) 7. Dipinti medievali 5 13 8. Frammento di lastra marmorea 6a con decorazione cosmatesca 14 6 9. Colonna tortile in marmo 10. Balaustra in marmo con disegni cosmateschi 11. Abside con altare a blocco in marmo bianco 12. Navata di sinistra 7 13. Chiesa a tre navate, separate 4 16 da due file di cinque colonne con trabeazione continua ed una sola abside 3 14. Cielo stellato 15. Ricostruzione dell’antico ospedale 2 1 16. Accesso al matroneo e all’ospedale, dove è 15 conservata la cappella, una ricostruzione della corsia, la sagrestia con la croce di Alessandro Algardi (1595-1654) e vari documenti. Planimetria generale della Chiesa, rielaborata da M. Docci, 1975 uu

1. Ingresso nella Chiesa. Protiro con “Madonna con Bambino fra due pini", inquadra il port

accesso. Circa alla metà del ‘600, Donna se è persona accorta / corre da don- “Oh, Pasquino, vieni dal Vaticano? Olimpia Pamphili, soprannominata 2. L’epigrafe di fondazione della Chiesa di S. Maria in Cappella, composta da una iscrizione na Olimpia a mani piene / e ciò che Si – Hai visto il Papa? - No, era inutisu sette righe, con il testo allineato a sinistra e a lettere in capitale maiuscolo. L’epigra “la Pimpaccia”, era potente e spre- vuole ottiene), perché alla domanda le! Ho veduto la signora Olimpia”). la dedicazione della Chiesa ad opera dei vescovi Ubaldo della diocesi di della Sabina e giudicata, tanto da comparire in di come si facesse a trovare la porta Alla fine dell’epoca romana il più anquella di Tuscolo, per volontà di un personaggio non meglio conosciuto di nome Damas tante rime di Pasquino (Per chi vuol di Donna Olimpia, c’era una sola ri- tico nucleo abitativo di Trastevere, pontificato di Urbano II (25 marzo 1090) qualche grazia dal sovrano / aspra 3. Croce a mosaico di Francesco Borromini (1625) sposta: “Chi porta trova la porta, chi raccolto intorno a piazza in Piscinula, e lunga è la via del Vaticano / ma 4. Vetrina con olle dei martiri e resti archeologici non porta non trova la porta”, oppure utilizzava il fiume come fonte prima5. Acquasantiera, capitello e leone stiloforo 12 unotiziario 3, Giugno/Settembre 2019 6. Navata Meridionale con murature in laterizio del IV-V sec. e dell’XI-XII sec. (6a) 7. Dipinti medievali 8. Frammento di lastra marmorea con decorazione cosmatesca


Tracce di un mondo che non c’è più

Santa Maria in Cappella, la facciata della chiesa in un acquerello di Achille Pinelli del 1834. A dx, l’interno della chiesa. Qui sotto, l’epigrafe di fondazione della Chiesa

barilai aveva in questa chiesa la sua sede o che una cappella sorgeva nel punto dove poi fu costruita la chiesa; la soluzione più semplice invece riconduce tale denominazione ad una preesistente cappella o oratorio sul luogo dell’attuale chiesa.

“Nell’anno del Signore 1090, indicazione XIII, mese di marzo, giorno 25, è dedicata questa chiesa a Santa Maria che viene detta presso la pigna, dai vescovi Ubaldo Sabino e Giovanni da Tuscolo al tempo del Signor papa Urbano II, ove sono le reliquie degli abiti di Santa Maria Vergine, le reliquie di San Pietro apostolo di papa Cornelio di papa Callisto di papa Felice di Ippolito martire Anastasio martire Melix Marmenia martire O Cristo Redentore dai a Damaso la vita dopo la morte”

ria di attività economiche e commerciali e c’era un frenetico andirivieni di merci, di artigiani, di manovali, di persone e di pellegrini che arrivavano e partivano dal porto. Esamineremo a poco a poco in modo più dettagliato questi gioielli architettonici, artistici e storici. Iniziamo questo nostro viaggio nella zona dalla chiesa di S. Maria in Cappella. Da stradine e vicoli si entra in un cortile davanti la Chiesa. In un acquerello di Achille Pinelli del 1834 la facciata della chiesa appare divisa da quattro paraste entro le quali vi sono gli affreschi dello stesso autore raffiguranti “S.Francesca Romana” e

“S.Gregorio Magno”, mentre il portale è sovrastato da una “Madonna con Bambino”. Nel mezzo del frontone vi è un finestrone decorato con stucchi. L’attuale appellativo ha un’origine incerta, e diverse sono le sue interpretazioni: la più complessa, e anche la meno probabile, fa riferimento proprio alla lapide d’entrata, il cui quarto stico recita: “que appell(atur) ad pinea(m) per ep(iscop)os Ubaldu”; l’espressione que appell ad, divenne nel gergo popolare cappella; altri (Nibby, Hulsen) credono che il nominativo cappella derivi dal latino cupella (un piccolo recipiente da 5 litri), ossia barile; anche perché nel XV secolo la Compagnia dei notiziario 3, Giugno/Settembre 2019 u13

L’epigrafe di fondazione della Chiesa di S. Maria in Cappella è composta da una iscrizione disposta su sette righe, con il testo allineato a sinistra e a lettere in capitale maiuscolo. L’epigrafe ricorda la dedicazione della Chiesa ad opera dei vescovi Ubaldo della diocesi di della Sabina e Giovanni di quella di Tuscolo, per volontà di un personaggio non meglio conosciuto di nome Damaso, sotto il pontificato di Urbano II, il 25 marzo dell’anno 1090. Papa Urbano II, il quale, subendo la presenza in Laterano di un Antipapa, viveva fortificato sull’Isola Tiberina e riuniva qui il Collegio Cardinalizio. Da ciò deriva forse l’appellativo “in Cappella”, che sostituì l’originale “ad Pineam” (presso la pigna). La presenza di alcune reliquie di San Pietro e dei primi Papi confermano la sua importanza nel Medioevo, riconducibile alla sua collocazione geografica. La chiesa, infatti, si trovava sul Tevere e cioè sulla via diretta che collegava Roma al mare, posizione decisamente strategica in un momento storico in cui il Papa Urbano II aveva intrapreso una for-

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te azione di recupero del peso politico della Chiesa di Roma nell’area del Mediterraneo. La croce a mosaico di Francesco Borromini è la sua prima opera, ma l’artista ticinese dimostra un estro creativo eccezionale in questo micro mosaico raffinatissimo. Nell’Archivio della Fabbrica di S. Pietro fu trovato un documento secondo cui nel 1625 Urbano VIII affidò i lavori di sistemazione della Porta Santa al giovane Borromini (1599-1667). L’artista aveva progettato la decorazione della porta e la croce esterna che ne doveva suggellare la chiusura, in marmo giallo, con al centro una piccola croce rossa, profilo rosso, listelli bianchi, decorata con 5 api (simbolo dei Barberini), un sole in cima e due rami di ulivo ai piedi. Dall’alto in senso orario, alcune reliquie di San Pietro e dei Papi; la croce a mosaico di Francesco Borromini; I documenti dicono primi l’Acquasantiera con capitello e leone stiloforo; il frammento che le parti marmoree di lastra marmorea con decorazione cosmatesca della montatura e della piccola croce nel centro sono di restauro ottocentesco. Dalla plaFrancesco Borromini (1599-1667), nimetria si comprende che ci sono i mosaici sono di Giovanni Battista vari oggetti di scavo. Di notevole Calandra (1586-1644). Per ritrovare importanza storica ed artistica sono la croce fu inviata alle famiglie no- l’Acquasantiera con capitello e leobili romane una lettera chiedendo ne stiloforo, il frammento di lastra se avessero nelle loro proprietà e marmorea con decorazione cosmacappelle private oggetti e decori in tesca, la colonna tortile in marmo, mosaico minuto. Rispose la fami- l’altare a blocco unico in marmo glia Pamphilj segnalando che nella bianco, probabilmente lunense vechiesina di S. Maria in Cappella di nato, composta da quattro facce loro proprietà vi era una croce simi- quadrangolari, con l’immagine in le. Risultò essere quella della chiu- rilievo dell’Agnus Dei con croce gresura del Giubileo del 1625. La sua ca astile retrostante alla figura. presenza in S. Maria in Cappella si Suggestivi nella navata destra lo scalega a Donna Olimpia: quando In- vo del pavimento con resti visibili ed nocenzo X riaprì la porta santa per il soffitto stellato e la ricostruzione il giubileo del 1649, ruppe il sigillo del vecchio ospedale nella navata e donò la croce al Card. Francesco sinistra. Il tutto è inserito in tre naMaidalchini, nipote di Olimpia. vate, separate da due file di cinque L’interno della chiesa è a tre nava- colonne con trabeazione continua ed te divise da cinque colonne; le de- una sola abside. Nel 1391 la chiesa fu corazioni appartengono all’ultimo restaurata da Andreozzo Ponziani, 14 unotiziario 3, Giugno/Settembre 2019

suocero di Francesca Romana, che nel 1391, nella navata destra (attualmente è stato ricostruita una piccola corsia di letti nella navata di sinistra, ma è solo una deroga, in quanto nella navata destra vi sono gli scavi), fondò l’Ospedale del SS. Salvatore; alla sua morte (1401) Francesca si prese cura dell’ospedale. Dopo la morte di Francesca (1440), il complesso passò in eredità alle monache di Tor de’ Specchi, che nel 1450 lo concessero alla Confraternita dei Barillari. Il complesso decadde fino a quando Innocenzo X (1653) ne affidò le cure ad Olimpia Maidalchini, sua cognata; Donna Olimpia, devota di Francesca Romana, acquistò case, torri, granai e luoghi di pesca attorno all’edificio, ottenendo dal cognato Innocenzo X pieni poteri sulla chiesetta. Fu costruito un casino belvedere con un giardino di delizie con essenze rare, viti e piante da frutto, specie agrumi: fu chiamato il parco dei Bagni di Donna Olimpia. Nel prossimo articolo parleremo delle vicende che riguardano il complesso dell’ospizio e del Giardino di Donna Olimpia. Notizie-informazioni, tratte da “Versus mare, una chiesa sulla via del Mediterraneo, Santa Maria in Cappella da Urbano II ai Doria Pamphili”, Silvana editore, 2015); da Roma segreta.it; dalla brochure edita a cura del Trust Floridi Doria Pamphili, la fondazione S. Francesca Romana, ass. cult. Artesia


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di b u l C territorio a cura di Elisa bucci

Console TCI Coordinatrice del Club di territorio

Mario Camerini, Il Ghetto di Roma ieri, 2007.

Vi presentiamo i resoconti dell’ultima passeggiata del 2018 del Progetto “Roma, Regina Aquarum”

PASSEGGIATA DEL 2 DICEMBRE 2018

Il Ghetto di Roma: una comunità sulle rive del Tevere DI SIMONETTA MARIANI E MASSIMO PRATELLI Il 2 dicembre 2018, nell’ambito del nostro progetto “Roma Regina Aquarum”, si è svolta la passeggiata nei luoghi che una volta costituivano il “Ghetto”. La passeggiata si è svolta ponendo un’attenzione particolare al rapporto della Comunità Ebraica di Roma sia con il Tevere, che storicamente lambisce ed in passato talvolta sommergeva questa area, sia con il significato particolare che l’acqua ha sempre rappresentato nella storia e nella religione di questo antico Popolo, attraverso le abluzioni rituali ebraiche o le purificazioni con l’acqua. L’area, del rione Sant’Angelo, denominata “Ghetto” fu istituita nel 1555 da uu notiziario 3, Giugno/Settembre 2019 u15

“Se si cercano dei romani “de Roma” è più facile trovarli tra i discendenti degli ebrei”.


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di b u l C territorio uu Papa

Targa dello Storione a Palazzo dei Conservatori

Paolo IV che volle separare le abitazioni degli ebrei da quelle dei cristiani, circoscrivendo la zona con un muro e tre porte, che venivano chiuse dal tramonto all’alba. Le leggi che chiudevano gli Ebrei nel ghetto furono abolite dalla Repubblica Romana nel 1848, gli edifici in prossimità del Tevere, il muro di delimitazione ed i portoni furono demoliti nel 1888. In questa area si sovrappongono testimonianze che dall’antica Roma, attraverso il medioevo, giungono fino ai tempi più recenti, con le drammatiche vicende del 16 ottobre del 1943. L’itinerario è iniziato davanti al Museo ebraico per illustrare la trasformazione subita dall’area a seguito della costruzione dei muraglioni e del risanamento del territorio con conseguente demolizione di gran parte delle costruzioni presenti tra l’argine e il Portico d’Ottavia. Il recinto del ghetto delimitava un’area ristretta di soli 3 ettari, internamente attraversata da 3 strade principali: la via Rua (attuale via del Portico di Ottavia), una via centrale (l’attuale via Catalana), e la via Fiumara (distrutta per il risanamento della zona nella fine dell’800). Nella via Rua c’erano i negozi più importanti, mentre nella parte centrale erano moltissime viuzze e vicoletti, come via delle Azzimelle, con i forni per il pane azzimo, la piazzetta dei Macelli, dove veniva mattato ritualmente il bestiame, e così via. Davanti alla Chiesa di San Gregorio abbiamo ricordato le cosidette “prediche coatte” che gli Ebrei erano costretti ascoltare la domenica; questo era, infatti, uno dei luoghi dove si svolgevano. Ci siamo spostati poi verso una zona “archeologica” venuta alla luce durante una campagna di scavi iniziata nel 1999 e ultimata nel 2003. Dalle ricerche effettuate nell’archivio storico della Comunità Ebraica di Roma si può affermare che questa area è il “Gettarello” o “Macelletto” e tra i resti possiamo vedere un forno, i resti di una colonna di epoca romana, gli abbeveratoi delle stalle e locali adibiti a magazzino; è stata individuata, anche, la sesta “scola” o “scola di Portaleone”, menzionata nei testi antichi e di cui si era persa la traccia. Abbiamo raggiunto Largo 16 ottobre 1943, sia per ricordare dove sostarono i camion tedeschi nei quali furono ammassati e quindi deportati in Germania gli ebrei romani del Ghetto, sia per fare un salto nella storia ammirando gli imponenti resti del Portico d’Ottavia che dal Medioevo alla fine dell’Ottocento, divenne un importante mercato del pesce sfruttando la vicinanza al fiume Tevere. Sempre nel Portico d’Ottavia, precisamente nel porticato, fu eretta nel 770 la chiesa di S. Angelo in Pescheria con l’Oratorio dei Pescivendoli. Il mercato era chiamato “Forum piscium” o di “Pescheria Vecchia”; il pesce era esposto su tavole marmoree affittate a caro prezzo dalle famiglie nobili romane. Sul muro, vicino al Portico, è ancora oggi visibile la copia di una lastra marmorea (l’originale può essere visto nei Musei Capitolini), la cui lunghezza dà la dimensione massima dei pesci che potevano essere venduti interi. A quelli che erano più lunghi bisognava tagliare la testa, la quale doveva essere data ai Conservatori (I consiglieri comunali della Roma papale), che la usavano per preparare una zuppa di pesce. La passeggiata è continuata tra i vicoli alla ricer16 unotiziario 3, Giugno/Settembre 2019


ca della vita che si svolgeva all’interno del ghetto, alle attività economiche a loro concesse, alle tradizioni culinarie e agli stratagemmi che avevano messo in atto per sopravvivere in un’area così limitata (stratificazione delle abitazioni). Con gli occhi fissi a terra abbiamo cercato le “Pietre d’Inciampo” a ricordo di coloro che subirono la deportazione, e abbiamo ricordato la familia Costaguti che aiutò alcune famiglie a salvarsi dal rastrellamento tanto da ricevere, dalla comunità ebraica, un’attestato e una medaglia di ‘Giusto fra le Nazioni’. Giunti allo slargo in Via Portico D’Ottavia abbiamo osservato nel pavè, evidenziato con del travertino bianco, la sagoma della fontana del Pianto che, prima dei lavori di trasformazione della zona, era al centro di “Piazza Giudea”. La fontana fu fatta costruire nel 1593 da Clemente VIII affinché, secondo il rescritto papale, “anche gli Ebrei avessero refrigerio dell’acqua e abbellimento”, veniva originariamente alimentata dall’acquedotto Vergine e successivamente dall’acqua Paola, ora la fontana è collocata nella vicina piazza delle Cinque Scole. Raggiunta via S. Maria de’ Calderari ci fermiamo davanti ad una Targa del 1598 che testimonia la più disastrosa innondazione del Tevere; la piena raggiunse ca. m. 19,56 di altezza a Ripetta, mentre in questa zona raggiunse ca. 1,30 m. di altezza. Nella storia recente, il 28 dicembre 1870, Roma subì una grande inondazione da 17,22 metri. A seguito di tale evento eccezionale si radunò un’apposita Commissione, nominata dal Ministero per i Lavori Pubblici, che si occupò della scelta dell’intervento da adottare. Il 1º gennaio 1871 fu istituita una commissione tecnica, che però rimase sostanzialmente inoperosa per mancanza di finanziamenti. La situazione si sbloccò grazie a Giuseppe Garibaldi, che nel 1875 spinse il Parlamento a dichiarare l’urgenza dell’opera. La commissione esaminò i progetti proposti e scelse quella dell’Ingegner Canevari che consisteva nell’allargare il tronco urbano del Tevere dandogli una larghezza uniforme ed eliminando gran parte degli ingombri esistenti (tra cui l’isola Tiberina attraverso la chiusura di uno dei rami ai lati della stessa), e basato sul principio di contenere le acque del fiume tra due muri di sponda continui, alti tanto da superare di 1,20 m. il livello della piena del 1870 (17,22 m. a Ripetta), la maggiore degli ultimi due secoli. Del progetto iniziale del Canevari furono comunque escluse molte opere, comprese quelle che avrebbero eliminato l’Isola Tiberina, e portare l’alveo alla larghezza di 100 m. fra le sommità dei muri. L’intervento fu realizzato nel tratto che andava sulla riva destra da Ponte Sublicio a Ponte Margherita mentre sulla riva sinistra da Ponte Sublicio all’attuale Ponte Matteotti. Lo sviluppo di tale opera ha comportato uno sventramento edilizio nelle aree di Campo Marzio, Ponte, Regola, S. Angelo, Ripa, Borgo e Trastevere. Tornati in Piazza delle Cinque Scole, così denominata per ricordare la bolla “Cum nimis absurdum” che papa Paolo IV nel 1555 emise per impedire agli ebrei di avere più di una sinagoga. La prescrizione fu aggirata incorporando in un unico edificio cinque diverse congregazioni. Infatti nella zona del “Getto” demolita era presente una “piazza delle scole” in cui, in un edificio, erano presenti le cinque scole ebraiche: tre di rito sefardita (catalana, castigliana e siciliana), due di rito italiano (scola Nova e scola Tempio). Anche il cinema ha utilizzato questa zona di Roma come scenario per tanti uu notiziario 3, Giugno/Settembre 2019 u17

Ettore R. Franz, Inondazione in via della Fiumara nel ghetto, 1878


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di b u l C territorio bellissimi film, uno su tutti “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”, fu scelto il palazzo in Via del Tempio angolo Lungotevere Cenci come “il palazzo dove abita Augusta Terzi (interpretata dalla Bolkan)”. Per completare la conoscenza del rapporto della Comunità Ebraica di Roma con il Tevere e con l’acqua, abbiamo visitato il Museo ebraico, il Tempio Spagnolo e il Tempio Maggiore accompagnati dagli autorevoli rappresentanti della Comunità. Abbiamo, così, avuto la possibilità di comprendere ed apprezzare la cultura, la storia e le tradizioni Ebraiche attraverso un percorso che si snoda all’interno del Museo, ammirando la Galleria dei Marmi Antichi (risalenti ai secoli XVI-XIX), la galleria dei tessuti decorati con pregevoli filati, la sala dedicata agli avvenimenti che scandiscono il tempo dell’ebraismo (la preghiera, il Sabato, le feste ebraiche annuali e Il ciclo della vita), la sala con oggetti e documenti della vita quotidiana e, per finire, la sala del tesoro. Una storia che risale dal II sec. a.C. ai giorni nostri e che fa della Comunità Ebraica forse la più antica comunità di Roma Un particolare ringraziamento al Dott. Giacomo Moscati, al Dott. Claudio Procaccia ed a Giancarlo di Castro, componenti della Comunità ebraica che ci hanno accompagnato durante la passeggiata. Alla realizzazione della stessa hanno collaborato i nostri volontari Auro di Falco, che ha curato i rapporti con la comunità ebraica, Simonetta Mariani e Massimo Pratelli che hanno accompagnato i soci nella passeggiata, Massimo Marzano e Guido Morganti per le foto. I due gruppi

Questa pubblicazione on-line, riservata ai volontari del Touring Club Italiano, è nata e vive esclusivamente con il contributo dei volontari stessi che, liberamente e a titolo gratuito, condividono con la redazione il frutto delle loro conoscenze. Volontari sono anche coloro che svolgendo tutte quelle attività “tecniche” come il coordinamento redazionale e l’impaginazione decidono la stesura finale del Notiziario.

In Redazione: Elisa Bucci, Alessia De Fabiani, Alberto Castagnoli, Massimo Marzano, Massimo Romano Coordinamento editoriale: Massimo Romano Grafica e impaginazione: Gianluca Rivolta Hanno collaborato a questo numero: Vittorio Gamba, Elisa Bucci, Massimo Marzano, Simonetta Mariani e Massimo Pratelli SEGRETERIA ORGANIZZATIVA APERTI PER VOI ROMA: Piazza Santi Apostoli, 62/65 Apertura dedicata ai volontari dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 13.00. Tel. 06.36005281-3” apertipervoi.roma@volontaritouring.it

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