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Screening dell’infezione congenita da Citomegalovirus in un centro di terzo livello

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Screening dell’infezione congenita da Citomegalovirus in un centro di terzo livello

Serena Salomè, Francesca Carraturo , Eleonora Capone, Pasquale Di Costanzo e Francesco Raimondi Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali Università Federico II, Napoli

INTRODUZIONE

Il Citomegalovirus (CMV) è un virus a DNA della famiglia Herpesviridae, caratterizzato da uno spettro d’ospite ristretto all’uomo, un ciclo replicativo lento e la capacità di indurre latenza clinica in differenti tipi cellulari [Mocarski ES et al, 2007] ed è la più importante causa di infezione congenita nei Paesi industrializzati [Kenneson A et al, 2007]. Durante la gravidanza un’infezione materna primaria (in una donna che non ha mai contratto l’infezione) e non primaria (reinfezione esogena con un ceppo differente o riattivazione virale endogena del virus latente in una donna che ha già contratto l’infezione in precedenza) può determinare trasmissione al feto in utero [Cannon MJ et al, 2010]. Nel primo caso il rischio è circa del 32%, mentre nel secondo caso è molto più bassa (12.2% dei casi) [Kenneson A et al, 2007; Fowler KB et al, 1992; Bodéus M et al, 2001]. Numerosi studi dimostrano che lo spettro delle manifestazioni dell’infezione congenita da CMV (cCMV) è simile sia nel caso di infezione primaria che non primaria [Giannattasio A et al]. Sebbene alcuni fattori dipendenti dal feto e dalla placenta abbiano un ruolo non secondario nel consentire la trasmissione verticale del CMV, l’epoca di gravidanza al momento dell’infezione materna è il fattore che condiziona maggiormente la probabilità di infezione del feto e la probabilità di malattia sintomatica in quest’ultimo. Infatti il tasso di trasmissione è direttamente correlato all’epoca gestazionale in cui la madre contrae l’infezione (dal 30% circa del primo trimestre al 70% circa del terzo trimestre). Al contrario l’outcome neonatale è tanto peggiore quanto più precocemente la madre contrae l’infezione: ad esempio l’incidenza di sordità neurosensoriale è pari all’80%, all’8% e assente rispettivamente in caso di infezione primaria contratta nel I, II e III trimestre di gestazione [Enders G et al, 2011]. Lo stato sierologico materno e il periodo di gestazione durante il quale viene acquisita l’infezione sono, pertanto, i fattori che condizionano la possibilità e la severità di cCMV.

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SCREENING PRENATALE

Attualmente le società scientifiche nazionali e internazionali sono concordi nel non raccomandare lo screening routinario dell’infezione da CMV durante la gravidanza per problemi di costi, kit di disomogeneo valore diagnostico, possibili difficoltà del percorso diagnostico di II livello, mancanza di evidenze conclusive per una terapia specifica in gravidanza capace di ridurre il rischio fetale. Inoltre, lo screening gravidico potrebbe avere conseguenze dannose in termini di ansia indotta, perdite fetali iatrogene e aumentata richiesta di interruzioni di gravidanza sulla base di probabilità di malattia e non di diagnosi. Pertanto lo screening sierologico deve essere offerto soltanto in condizioni di rischio, cioè alle donne che sviluppano una malattia simil-influenzale durante la gravidanza, alle lavoratrici sieronegative che hanno in custodia dei bambini, alle donne in gravidanza che hanno un bambino in asilo nido o dopo il rilevamento dei segni ecografici indicativi di infezione da CMV [linee guida sulla gravidanza fisiologica pubblicate nel novembre 2010 e revisionate a settembre 2011, Ministero della Salute]. Lo sviluppo di interventi efficaci, terapie sicure o nuovi test diagnostici potranno in futuro cambiare lo scenario e rivalutare l’utilità dello screening prenatale.

INFEZIONE CONGENITA DA CMV: QUADRO CLINICO

L’infezione congenita da CMV colpisce circa un milione di nuovi nati nel mondo, con una spesa annuale negli USA che si aggira intorno ai 4 bilioni di dollari. Nei soli Stati Uniti d’America sono affetti da infezione congenita da CMV più bambini rispetto a quanti presentino sindrome di Down o spina bifida. In Italia l’incidenza è variabile tra lo 0.57 e l’1% [Kenneson A et al, 2007], quindi tra le meno elevate d’Europa, ma ciò significa comunque che circa 3.000 bambini all’anno sui circa 450.000 nati vivi abbiano un’infezione da CMV contratta in utero. L’impatto di questa infezione sulla salute pubblica è considerevole, essendo la prima causa di sordità neurosensoriale non genetica in età pediatrica (si ritiene sia responsabile di circa 1/3 delle sordità infantili) ed un importante fattore di rischio per lo sviluppo di deficit visivi, intellettivi e motori nelle epoche successive.

I neonati affetti da cCMV possono essere distinti in sintomatici e asintomatici sulla base della presenza di sintomi e segni clinici alla nascita (Tabella 1) [Luck SE et al, 2017].

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Tabella 1. Possibili segni e sintomi di infezione congenita da CMV (mod da Luck SE et al, 2017)

Sintomi/segni rilevabili clinicamente

• Esame obiettivo Neonato SGA (PN < -2 DS per EG) generale Microcefalia (circonferenza cranica <-2 DS per EG) Petecchie o porpora (di solito si riscontrano entro qualche ora dalla nascita e persistono per diverse settimane) Rash tipo “blueberry muffin” (ematopoiesi intradermica) Ittero (può essere presente in prima giornata di vita e di solito persiste più a lungo dell’ittero fisiologico) Epatomegalia Splenomegalia • Esame obiettivo Microcefalia (circonferenza cranica <-2 DS per EG) neurologico Segni neurologici (letargia, ipotonia, convulsioni, riflesso di suzione debole)

Anomalie riscontrate in modo accidentale o attraverso indagini successive/ consulenze specialistiche

• Analisi di Anemia laboratorio Trombocitopenia (piastrine <100.000/mm3; nella prima settimana di vita con piastrine che solitamente aumentano spontaneamente dopo la seconda settimana) Leucopenia, neutropenia isolata Aumento degli enzimi epatici (ALT/AST >80 UI/L) Iperbilirubinemia coniugata (>3mg/dL) • Liquor Indici liquorali anormali, presenza di CMV-DNA • Neuroimaging Calcificazioni, cisti periventricolari, dilatazione ventricolare, pseudocisti subependimali, cisti germinolitiche, anomalie della sostanza bianca, atrofia corticale, disordini della migrazione, ipoplasia cerebellare, vasculopatia lenticulostriatale

• Valutazione audiologica • Valutazione oftalmologica Sordità neurosensoriale mono o bilaterale

Corioretinite, emorragia retinica, atrofia ottica, strabismo, cataratta

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Circa l’11-13% dei nati vivi con cCMV presenta sintomatologia evidente alla nascita e quindi sono definiti “sintomatici” [Kenneson A et al, 2007]. In Italia, quindi, almeno 300 nuovi nati all’anno presentano segni clinici compatibili con cCMV. L’ampia variabilità riflette le differenze nella definizione di “neonato sintomatico” presenti in passato e all’attuazione o meno di programmi diagnostici pre e/o neonatali e di follow up. L’infezione, inoltre, è responsabile anche di mortalità perinatale dei soggetti infetti sintomatici (circa il 10%) e costituisce la prima causa di sordità neurosensoriale infantile non dovuta a fattori genetici e tra le principali cause di danno neurologico [Johnson JM et al, 2013; Goderis J et al, 2014]. Infatti è responsabile di circa il 20% delle sordità neurosensoriali nei bambini [Hicks T et al, 1993]. Tra i pazienti che presentano sintomatologia evidente fin alla nascita le sequele permanenti sono stimate nel 40-58% dei casi. In resto degli infetti, invece, pur non presentando sintomi neonatali, potrebbe manifestare segni tardivi quali sordità, ritardo mentale e difetti motori, in una quota pari a 8-15% dei casi. Complessivamente una quota compresa tra 22 e 65% dei neonati sintomatici e tra 6 e 23% dei neonati asintomatici svilupperà ipoacusia neurosensoriale di grado variabile che può avere insorgenza tardiva, tanto da essere motivo di relativa efficacia dello screening per l’ipoacusia condotto in epoca neonatale [Bartlett AW, et al, 2017]. Tuttavia questi dati sugli esiti a distanza nei neonati asintomatici alla nascita sembrano risentire delle differenti definizioni classificative usate in passato. Studi recenti [Salomè S et al, 2020] sembrano ridimensionare tali problematiche a distanza per gli asintomatici alla nascita.

DIAGNOSI E TERAPIA

Il gold standard per la diagnosi di cCMV è la ricerca del DNA virale mediante real-time PCR in campioni di urina o saliva entro le prime 2-3 settimane di vita [Rawlinson WD et al, 2017; Luck SE et al, 2017]. In caso di risultato positivo su test salivare in neonato allattato al seno, è necessaria la conferma diagnostica su campione di urine per il rischio di falsi positivi per trasmissione orizzontale materna del virus. Quest’ultimo può rappresentare una fonte di infezione da CMV ma nella sua forma perinatale e non congenita, con un decorso e una prognosi decisamente differenti. Dopo le prime 2-3 settimane di vita, nei casi fortemente sospetti è possibile effettuare una diagnosi retrospettiva ricercando il genoma virale su campione di “Dried Blood Spot” raccolto nelle prime giornate di vita (cartoncino Guthrie) per lo screening delle malattie endocrino-metaboliche. Questo tipo di analisi ha una specificità del 100% ma bassa sensibilità (32%) in quanto nell’infezione congenita non necessariamente è rilevabile virus circolante a livello ematico. Va, inoltre, ricordato che i recenti protocolli di screening

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neonatale esteso per i neonati ricoverati prematuri, di basso peso, in nutrizione parenterale e/o che necessitino di trasfusioni di emoderivati prevedono l’esecuzione di più prelievi capillari nell’arco del primo mese di vita quindi è fondamentale utilizzare per la ricerca del CMV-DNA il campione raccolto il più precocemente possibile, sempre per non confondere un’infezione perinatale con una congenita. Infine la metodica di estrazione del genoma virale da questo tipo di campione è relativamente complessa per cui essa risulta poco adatta all’uso routinario né tantomeno adeguata come metodica di screening neonatale di infezione congenita ma soltanto di ausilio per la conferma eziologica retrospettiva in presenza di un quadro clinico fortemente sospetto di infezione congenita. Nel nato con documentata infezione congenita da CMV sono previste specifiche valutazioni cliniche, laboratoristiche e strumentali alla nascita e nelle epoche successive (figura 1).

Figura 1. Algoritmo diagnostico-assistenziale del nato con infezione congenita da CMV (Manuale di Infettivologia Neonatale, seconda edizione)

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È molto importante definire la gravità di esordio del cCMV alla nascita in quanto le forme generalizzate di malattia e con interessamento del sistema nervoso sono candidate a terapia specifica (vedi allegato 3 LG SIN), dopo adeguata informazione della famiglia, che conduca alla raccolta di un consenso informato scritto ed alla pianificazione del follow-up. Ad oggi non vi è indicazione al trattamento antivirale in caso di infezione congenita da CMV asintomatica a causa delle esigue evidenze scientifiche sul rapporto rischio/beneficio in questa categoria di pazienti [Rawlinson WD et al, 2017; Luck SE et al, 2017]. Il regime terapeutico attualmente raccomandato prevede la somministrazione

Indicazioni alla terapia antivirale in neonati con infezione congenita da citomegalovirus

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di valganciclovir, profarmaco del ganciclovir, commercializzato in formulazione per uso orale (V-GCV 16 mg/kg/dose per os ogni 12 ore). Tale farmaco, somministrato per un periodo di 6 mesi [Kimberlin DW et al, 2015], non determina vantaggi sulla funzione uditiva a breve termine (cioè a 6 mesi di età) ma un modesto miglioramento/ stabilizzazione dell’udito a 12 e 24 mesi e migliori performance nello sviluppo del linguaggio. In caso di impossibilità all’assunzione di terapia per via orale si ricorre al ganciclovir per via endovenosa (GCV 6 mg/kg/dose EV ogni 12 ore per 6 settimane) che tuttavia è gravato da necessità di un accesso venoso protratto, sede di possibili infezioni nosocomiali, e conseguente lunga ospedalizzazione. Inoltre l’uso di questo farmaco determina più frequente comparsa (63% vs 19% rispetto al V-GCV) di neutropenia grave (valore di neutrofili inferiore a 500/mmc) che richiede temporanea interruzione del trattamento. Altri effetti collaterali descritti per entrambi gli antivirali sono anemia, trombocitopenia, pancitopenia. Pertanto è necessario monitorare ogni 7-14 giorni gli eventuali effetti della terapia, mediante valutazione della funzionalità epatica, renale e della crasi ematica. Sono inoltre raccomandati trattamenti non farmacologici quali la terapia del linguaggio o gli impianti cocleari.

SCREENING NEONATALE UNIVERSALE VS MIRATO

Considerati la disponibilità sempre maggiore e a costo limitato di validate metodiche diagnostiche affidabili e poco invasive e l’elevata prevalenza ed il grave impatto clinico a lungo termine del cCMV con conseguente elevato impatto sociale ed economico, sarebbe auspicabile lo sviluppo di un programma di screening universale. In base ai criteri di Wilson e Jungner sulla validazione di una metodica di screening, il beneficio maggiore di quello neonatale per infezione congenita da CMV riguarda la diagnosi precoce di sordità neurosensoriale, i cui vantaggi sono massimi se essa viene effettuata entro 3 mesi, con impianto cocleare entro i 6 mesi di vita. Il 10% dei neonati infetti è sintomatico alla nascita ma il quadro clinico non sempre è specifico mancando elementi patognomonici ed esclusivi di questa infezione. Inoltre alcuni elementi che compongono il quadro clinico di cCMV sono relativamente comuni e possono essere facilmente sottovalutati o ascritti ad altre cause. Poiché in caso di infezione sintomatica con interessamento del SNC è disponibile una terapia che migliora la prognosi, anche se non in modo drammatico, è molto importante individuare tutti i soggetti affetti e tra questi quelli candidati al trattamento. Inoltre il trattamento, quando indicato, va iniziato entro il primo mese di vita, quindi è importante eseguire gli opportuni test diagnostici il prima possibile.

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Lo screening neonatale per infezione congenita da CMV consentirebbe di identificare 1 bambino a rischio di sordità neurosensoriale da infezione congenita da CMV ogni 1.000 nuovi nati [de Vries J et al, 2011]. Nonostante ciò, attualmente lo screening universale neonatale non è raccomandato perché considerato troppo costoso e con rapporto costo-beneficio svantaggioso, in Italia così come nel resto del mondo [LG SIN 2012, Rawlinson WD et al, 2017; Lazzarotto T et al, 2020], tranne che nell’ambito di specifici protocolli clinici mentre è presente da alcuni anni in alcuni Stati degli USA. Ciò purtroppo ha come conseguenza che neonati infetti che svilupperanno sequele neurologiche possono non ricevere una diagnosi ed un trattamento tempestivi [Uematsu M et al, 2016]. Quello che viene attuato è, invece, uno screening neonatale mirato che ha un rapporto costo-beneficio favorevole [Williams EJ et al, 2015; Gantt S et al, 2016]. Ciò vuol dire che la diagnosi di cCMV deve essere sospettata in tutti i casi di nato da madre con infezione in gravidanza (diagnosticata clinicamente per episodio simil-influenzale, con febbricola, malessere, raffreddore o esantema fugace e/o per positività delle indagini sierologiche), o in caso di anomalie ecografiche suggestive in gravidanza (ventricolomegalia, iperecogenicità cerebrale, alone ecogeno periventricolare, cisti subependimali, cisti del corno occipitale o adesione intraventricolare, calcificazioni intracraniche, lissencefalia, ipoplasia cerebellare, microcefalia, intestino iperecogeno, calcificazioni epatiche, oligoidramnios, polidramnios, epatosplenomegalia, ascite e meno frequentemente anomalie cardiache). Inoltre, devono essere controllati tutti i nati con segni e sintomi e/o alterazioni laboratoristiche e/o strumentali neonatali riferibili a cCMV, indipendentemente dalla storia gravidica [Luck SE et al, 2017]. Motivo principale per sospettare un’infezione congenita da CMV è rappresentato da uno screening audiologico patologico [Vancor E et al, 2019; Diener ML et al, 2017; Williams EJ et al, 2014; Beswick R et al, 2019; Courtmans I et al, 2015; Cannon MJ et al, 2014]. Nei reparti di terapia intensiva neonatale, che ospitano neonati con problemi clinici di varia natura, il numero dei bambini con cCMV è ovviamente più alto (superiore al 10%) ed include anche una proporzione più alta di bambini con anomalie uditive o neurologiche. Anche in questo gruppo di neonati spesso la diagnosi clinica non viene sospettata in quanto i segni e sintomi possono essere attribuiti ad altre patologie concomitanti. Nei casi di cCMV con interessamento generalizzato, esso può essere confuso con quello di una infezione batterica grave (forme “sepsis-like” caratterizzate da macchie violacee sulla pelle con difetto della coagulazione, epatosplenomegalia, convulsioni, difficoltà ad alimentarsi, insufficienza respiratoria, pallore). In presenza di un quadro così severo, il cCMV andrebbe sempre escluso.

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Inoltre i neonati ricoverati in TIN sono a maggior rischio di sviluppare ipoacusia per fattori di rischio correlati alla patologia per cui è stato necessario il ricovero (prematurità, asfissia, ecc) e per fattori di rischio legati al ricovero stesso (uso di antibiotici ototossici, ecc) [AAP, 1999]. Tale diagnosi viene solitamente effettuata al momento della dimissione o anche successivamente perché durante il ricovero è difficile eseguire gli specifici test di screening (neonato troppo piccolo, interferenza con apparecchi di ventilazione, ambiente di reparto troppo rumoroso). Questo implica che la diagnosi di ipoacusia nel neonato ricoverato in TIN spesso avvenga oltre le 3 settimane di vita. Questa tempistica è importante perché può rendere difficoltosa una diagnosi differenziale con cCMV e ritardare l’eventuale inizio del trattamento specifico, qualora indicato. Per tale motivo, in TIN ancora più che in un Nido fisiologico, è importante prestare attenzione a tutti i segni e sintomi possibilmente correlati con cCMV e, anche al minimo sospetto, eseguire una valutazione del CMV-DNA. Tutto ciò in mancanza di uno screening universale che rende ancora più importante lo screening mirato. Purtroppo, soprattutto il neonato ricoverato in TIN può presentare sintomatologia non specifica di cCMV ma piuttosto sintomatologia ascrivibile a più cause tra cui questa quindi è fondamentale escluderla o confermarla proprio per l’eventuale inizio di un trattamento specifico in tempi rapidi. Inoltre i neonati ricoverati in TIN sono spesso soggetti a trasfusioni di emoderivati e potrebbero essere più sensibili ad eventuale infezione trasmessa con il latte materno quindi è ancora più importante distinguere un’infezione congenita da una perinatale che hanno decorso e prognosi completamente diversi.

CONCLUSIONI

Il CMV è la più importante causa di infezione congenita nei Paesi industrializzati con elevata prevalenza e grave impatto clinico a lungo termine del cCMV con conseguente elevato impatto sociale ed economico. Attualmente lo screening universale prenatale e neonatale non è raccomandato perché considerato troppo costoso e con rapporto costo-beneficio svantaggioso, in Italia così come nel resto del mondo. Considerato che il test diagnostico è non invasivo e di semplice esecuzione (raccolta di urine e/o saliva), è mandatorio valutare una possibile infezione congenita da CMV al minimo sospetto in gravidanza e/o in epoca neonatale. La difficoltà di uno screening mirato è la mancanza di segni o sintomi patognomonici quindi, in caso di sospetta/ accertata infezione da CMV in gravidanza (primaria o non primaria) e/o anche minimo sospetto clinico neonatale, è necessario procedere alle indagini per la diagnosi di cCMV che, se confermata, deve dar luogo a valutazioni clinico-laboratoristico-strumentali atte

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a definire il coinvolgimento di organi ed apparati. In base a questi elementi è possibile esprimere un giudizio prognostico, avviare il follow-up e, ove indicata, iniziare terapia antivirale specifica entro il primo mese di vita. Nel caso di neonati ricoverati in TIN la diagnosi clinica può essere ancora più complessa perchè segni e sintomi possono essere attribuiti ad altre patologie concomitanti quindi è importante sospettare ed escludere/confermare una diagnosi di cCMV al minimo dubbio.

Infine, ma non meno importante, è fondamentale l’approccio multidisciplinare (microbiologo, ostetrico, neonatologo e pediatra) nell’identificare e seguire questa grave patologia virale, partendo dalla donna in gravidanza, passando per il neonato e arrivando al bambino al fine di assicurare l’appropriata cura dei piccoli pazienti con infezione congenita da CMV.

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