Voce per la Comunità

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UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI“ PARROCCHIE DI BOTTICINO

VOCE per la COMUNITA´ NOTIZIARIO PASTORALE

NATALE 2011 1


RECAPITO DEI SACERDOTI E ISTITUTI

Presentazione

In occasione del Natale il Notiziario per le famiglie delle tre ParLicini don Raffaele, parroco rocchie di Botticino. cell. 3283108944 notiziario-documento e-mail parrocchia:parrocchiasera@alice.it perchèE’nonunsi limita a dare notizie, rafaellic@tin.it ma presenta pagine di formazione fax segreteria: 0302193343 nei vari ambiti della pastorale. Le prime pagine raccontano Segreteria tel. 0302692094 della pastorale nell’intervento del Mussinelli don Fausto tel. 3287322176 vescovo, nelle testimonianze di ale-mail : donmussi80@gmail.com cuni giovani genitori, nell’approfonZini don Giovanni tel. 3355379014 dimento dei temi dell’educazione Loda don Bruno tel. 0302199768 nella comunità ecclesiale, nella prePietro Oprandi, diacono tel 0302199881 sentazione del documento conciliare sulla Parola di Dio e nel cammino Scuola don Orione tel. 0302691141 in preparazione al Sinodo diocesano sito web : www.parrocchiebotticino.it Unità Patorali. Alcune pagine Suore Operaie abit. villaggio 0302693689 sulle dicono del tempo liturgico “per anSuore Operaie Casa Madre tel. 0302691138 num” che inizia dopo il Natale i segni della fede. BATTESIMI BOTTICINO SERA Non mancano temi di formaDomenica 19 febbraio 2012 zione socio-politica, le pagine sul Sabato 7 aprile alla Veglia Pasquale Natale, lo scritto di Isidoro, prossiDomenica 15 aprile ore 9,30 mo diacono e presto sacerdote. Le pagine di pastorale famiBATTESIMI BOTTICINO MATTINA liare oltre ad alcuni articoli sulla Domenica 19 febbraio 2012 famiglia, continuano la riflessione Sabato 7 aprile alla Veglia Pasquale sulla ritualità in famiglia riguardo Domenica 15 aprile ore 11,00 al “tempo” e “il bacio”. E poi le pagine rigurdanti la BATTESIMI SAN GALLO Caritas, l’oratorio, la scuola don Sabato 7 aprile alla Veglia Pasquale Orione e altre iniziative in programma. I genitori che intendono chiedere il Battesimo per i Conclude con il programma lifigli sono invitati a contattare, per tempo, per accor- darsi sulla preparazione e sulla data della celebrazio- turgico delle festività Natalizie. ne, il parroco personalmente o tel.3283108944

La busta per l’offerta in occasione del Natale

Da tradizione, in occasione del Natale, viene rivolto ad ogni famiglia l’invito a contribuire ai bisogni della parrocchia mediante un offerta strordinaria. Anche questo è un modo per esprimere la propria appartenenza alla comunità parrocchiale. Gli impegni economici non sono pochi. I Sacerdoti e i Consigli Parrocchiali delle tre parrocchie colgono l’occasione per ringraziare anticipatamente quanti vorranno cogliere questo appello e per esprimere l’augurio per le prossime festività.

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Ecco: Vi annuncio... Ecco noi siamo adesso di fronte a questo annuncio. C’è uno stretto rapporto tra l’Incarnazione e l’EvanVi annuncio una grande gioia! gelizzazione, perchè il Natale sia ogni giorno. Ed è proprio per voi. «Il Verbo si fece carne» (Gv 1,14). Non è detto che È per il mondo intero. la Parola si fece Gesù di Nazaret; non è detto neppure che Per i continenti ghiacciati la Parola si fece uomo; no, molto di più: il Verbo si fece care per quelli assolati, ne, questa carne fragile, irruente e torbida che è la nostra. per i paesi in guerra Da qui l’urgenza della “Nuova Evangelizzazione”: e per i paesi in pace. il coraggioso proposito a intraprendere sentieri nuovi di Questa gioia, che vi annuncio, fronte alle mutate situazioni in cui oggi la Chiesa si trova è capace di far fiorire a vivere. Sono emersi infatti fenomeni epocali di cambiaanche i deserti più antichi. mento nella società e nelle culture: dalla secolarizzazione Ve l’annuncio, questa grande gioia, che induce una atrofia spirituale e crea un vuoto nel cuore ma non tenetevela per voi. dell’uomo, al grande fenomeno migratorio, col rimescolaPassatevela l’uno all’altro mento di culture che rende più deboli le grandi tradizioni perché la tristezza se ne vada dalla faccia della terra! religiose; la sfida dei mezzi di comunicazione che diventa Vi annuncio questa felice sorpresa il “luogo” della vita pubblica; l’incidenza dello sviluppo della che risveglia una gioia eterna: ricerca scientifica e tecnologica che mira a proporsi come Dio è nato sulla terra degli uomini! il nuovo idolo della modernità e l’inquieto scenario politico Ve l’annuncio! con le ferite della violenza e della crisi economica. Gesù Cristo Di fronte a uno scenario che sembra lasciarci smarviene nel presepio degli uomini riti il cristiano è sostenuto dalla speranza e la Nuova Evanper essere avvolto gelizzazione si propone di portare le domande su Dio all’innelle stesse gioie e nelle stesse sofferenze terno di questi problemi, insieme ad una chiara e forte degli abitanti della terra, testimonianza di vita ispirata al Vangelo. per essere simile a loro è tanto compito di singole persone particolarcome un fratello della stessa famiglia. mente Non qualificate o carismatiche, ma un evento comunitaVe l’annuncio! rio che riguarda la Chiesa con la capacità di configurarsi Gesù, il Figlio di Dio come fraternità, comunità accogliente, amica degli uomini, viene nella notte degli uomini che sta in mezzo alla gente cercando di rifare il tessuto per rischiarare con la sua Parola della società umana, come propone la scelta pastorale dei e sostenere i deboli, Vescovi “educare alla vita buona del Vangelo”. Il contesto per portare i pesanti fardelli in cui viviamo chiede alla Chiesa uno slancio nuovo, una rinche fanno curvare novata fiducia nello Spirito Santo per tornare ad assumere gli abitanti della terra con gioia il compito fondamentale per il quale Gesù invia i e per lottare insieme a loro suoi discepoli: l’annuncio del Vangelo. Un compito cui sono contro il male interpellati tutti i cristiani di buona volontà, lasciandosi lungo i sentieri quotidiani. guidare dallo Spirito secondo la propria vocazione. Ve l’annuncio! Il Verbo allora si incarna continuamente: come Gesù, il Signore viene nella vita degli uomini luce nelle tenebre, come lievito nella pasta, come il pizzico per donare il suo amore illimitato di sale che da sapore a tutto il piatto, come amore in ogni e per prendere tutto su di sé, amore. E non si distingue più il lievito dal pane. i rifiutati e gli infelici, Si fa carne, e si sente come forza di attrazione per donare il regalo meraviglioso verso l’alto, forza di gravità verso il cielo, che sospinge in dell’incrollabile tenerezza di Dio! avanti, energia verticale che urge verso l’alto. Ve l’annuncio! Incarnazione significa salvezza. La salvezza è Gesù venuGesù Cristo, nostro fratello, to dentro la carne, come lievito mite e possente di ogni viene nella nostra morte esistenza, come pezzo di ognuno di noi, non come aggiunta per cambiarla in vita. estranea. Cristo è in me e in tutte le creature come forza Accogliete il Signore nel Natale, ascensionale verso più luminosa vita. fategli posto! Bisogna che Dio torni ad essere nell’ orizzonte di Viene per aumentare la vostra felicità. ogni uomo perché - come diceva Caterina da Siena - “l’uoViene per la vostra gioia. mo è infinito essere e non si sazia mai se non si congiunge Viene per salvarvi! all’infinito”. Buon Natale a tutti.

don Raffaele

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parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in ca

« Oltre le parrocchie; la Chiesa è comunità» Monsignor Luciano Monari risponde alle domande sul sinodo e le unità pastorali «Una società multiculturale. Il ruolo dei sacerdoti e dei laici. Il Vangelo e le nuove sfide» le 473 parrocchie sparse sul territorio. A quando il sinodo? «Spero possa essere nel 2012, dipende dal cammino di consultazioni che stiamo compiendo. Quando penso al sinodo mi interessa naturalmente il risultato, ma mi interessa molto di più il modo in cui ci arriviamo. Per questa ragione abbiamo fatto il giro di tutte le zone pastorali e delle macroaree, stiamo impegnandoci in consultazioni a tappeto per ascoltare, spiegare, coinvolgere. «È vero che la causa immediata è la Perché non si alimentino paure inutili». diminuzione del numero dei preti, ma Ma quali sono le sollecitazioni alle il cammino di passaggio dalle singole quali oggi la Chiesa bresciana è chiaparrocchie alle future unità pastorali mata a rispondere? «La società è di non va letto esclusivamente come un fronte ad una crisi che chiede immaaccorpamento di strutture: è piuttosto ginazione e prospettive nuove. Per la volontà di rispondere alle domande la Chiesa questo è un tempo affascidella società di oggi seconnante e difficilissimo. do una prospettiva più ric- L’OBIETTIVO Basti pensare che noi ca. Quella della comunità «Le unità pastorali proveniamo da una cristiana, della comunione». non sono solo terra nella quale la Il vescovo monsignor Lu- una aggregazione matrice cattolica era ciano Monari interviene al di strutture, connaturata ai fonforum promosso dal Gior- ma la volontà damenti della vita nale di Brescia e risponde di rispondere sociale, mentre oggi alle domande dei giornali- ad esigenze nuove» viviamo dentro una sti sul sinodo che chiamerà pluralità di culture nella quale la stesa raccolta gli 850 sacerdoti bresciani, sa dimensione religiosa appare come impegnati tra le strutture diocesane e un optional. Questo cambia anche il I SACERDOTI BRESCIANI

«Preti gran lavoratori, a volte individualisti»

«I preti bresciani sono grandi lavoratori, hanno un foltissimo senso della responsabilità e sono molto individualisti. Tanto, a volte, da esser troppo soli» II vescovo Luciano Monari confessa di avere tra le proprie preoccupazioni «la condizione del presbiterio». Spiega. «Credo che fra i tratti che caratterizzano i sacerdoti bresciani vi sia il forte individualismo. Capita spesso che pur nella stessa parròcchia preferiscano abitare da soli piuttosto che condividere la canonica». Questo cosa comporta? «Molti aspetti sicuramente positivi, tra i quali riconosco la forte propensione all’impegno e l’alto senso di responsabilità. Il lato negativo risiede invece nel rischio di un’eccessiva solitudine. Tanto che ad un sacerdote anziano può accadere, una volta lasciata la comunità parrocchiale dove ha svolto il proprio impegno, di scoprirsi povero di relazioni personali». Perché? «Anzitutto perché è saltato il sistema degli ordinamenti che i preti della mia generazione hanno appreso in seminario. La società di oggi ci pone nuove sollecitazioni in termini di tempi, problemi, responsabilità. Il rischio, oggi, per un sacerdote è di trovarsi solo e schiacciato dal peso di compiti che arrivino a togliergli la gioia di vivere». 4

DIOCESI IN CIFRE

GLI ABITANTI Sono un milione e 137mila, 205mila dei quali residenti nella zona urbana. LE PARROCCHIE: Sono 473, comprese tre delegazioni vescovili. Sono 59 le parrocchie urbane, 414 le extraurbane, 12 quelle affidate a ordini religiosi. I SACERDOTI I presbiteri diocesani sono 860, compresi quattro vescovi. Sono 250 i religiosi che risiedono in diocesi in 39 comunità (197 sacerdoti, 53 non sacerdoti) e 1.545 le religiose in 192 comunità. UNITÀ PASTORALI Le future unità pastorali - annuncia il Vescovo - «potranno essere un centinaio».

compito del vescovo e del prete, che un tempo si sentivano naturalmente necessari mentre oggi devono trovare nuovi strumenti per raggiungere il fine ultimo del proprio mandato. Che non è il mantenimento del proprio ruolo, ma far sì che l’energia spirituale e il messaggio del Vangelo si incarnino nella vita cristiana della comunità». Dentro una società multiculturale si apre quindi per la Chiesa un nuovo compito missionario nella nostra stessa terra? «Certamente, ma con una precisazione. E cioè che la nascita storica dei grandi movimenti missionari dei secoli scorsi era dettata anzitutto dalla spinta ad ottenere la salvezza delle anime in altri popoli. Oggi invece è più diffusa la consapevolezza che la salvezza è aperta a chiunque operi nella sua vita secondo coscienza e dentro una sincera dimensione di ricerca. È un’intera prospettiva che va ridefinita». Cambia anche la pastorale? «Certamente non ci si può più appoggiare alla pastorale standardizzata che ha accompagnato tanto a lungo le nostre comunità. E soprattutto non si può più chiedere al singolo prete di essere il referente unico di un ruolo ormai tanto complesso. La pastorale stessa sarà il


ammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie LA SFIDA EDUCATIVA

Fare incontrare ricerca culturale e vissuto quotidiano «Dove stiamo andando? Da 50 anni siamo in una permanete trasformazione. Dal sapere cosa significava formare una persona, renderla strutturata a distinguere il bene dal male, viviamo una continua precarietà di riferimenti. Da qui la centralità del progetto educativo e della attività culturale». Non stupisce che mons. Monari, uomo di cultura, richiami l’urgenza del leggere i tempi e saperli interpretare ed orientare. Spontaneo chiedergli se l’Accademia Cattolica di Brescia nasca per colmare una lacuna ed esprimere un indirizzo. Chiara la risposta: «A Brescia, ed è una sua forza, esistono tante occasioni e strumenti di ricerca culturale. L’Accademia è un’iniziativa laica, senza uno specifico man-

dato diocesano ed episcopale. Un’iniziativa che va apprezzata per lo sforzo meritorio che va compiendo». La cultura può essere il veicolo per l’incontro tra le religioni? Mons. Monari fa una disamina articolata delle diverse culture che esprimono il Cristianesimo e l’Islam e conclude che ritiene impossibile, a livello diocesano, un dialogo sui contenuti religiosi, che appartiene a più alti livelli di approfondimento, mentre considera non solo possibile ma auspicabile, da perseguire con convinzione e costanza, un confronto sugli effetti delle religioni rispetto al vissuto. Saremo anche un laboratorio, ma dobbiamo avere percezione dei limiti del nostro raggio d’azione.

compito di un’intera équipe chiamata a valorizzare le risorse di ogni singolo sacerdote (chi si impegnerà in oratorio, chi si dedicherà al sacramento delle confessioni, chi all’animazione di gruppi di adulti...) e che richiederà funzioni e responsabilità piene ai laici. La cui vita cristiana continua ad essere l’obiettivo ultimo della Chiesa, della quale i sacerdoti sono uno strumento». Le parrocchie, insomma, spariranno? «La parrocchia non scompare né da un punto di vista istituzionale, visto che è lo stesso diritto canonico a prevederla, né come presenza sul territorio. Dovrà piuttosto immaginare di costituire non più una comunità chiusa ma di mettersi in comunione con altre realtà vicine dentro una più ampia unità pastorale. L’esperienza della parrocchia è fortemente radicata nel nostro territorio ed ha spesso giocato un ruolo fondamentale: i preti che hanno speso la propria vita per la loro comunità hanno lasciato il segno. Il lato negativo della medaglia è che talvolta quando il parroco se ne va per la parrocchia è un disastro, perde del tutto la propria identità. Ma io non dimentico mai quel che il cardinal Biffi soleva ripetere ai propri sacerdoti: guardate che in parrocchia il prete è sempre l’ultimo arrivato. Un modo simpatico per ricordare che dentro una comunità cristiana i protagonisti sono i laici e l’obiettivo è l’incarnazione del messaggio del Vangelo nella loro vita quotidiana. I sacerdoti sono solo lo strumento di questa missione, e oggi devono esserlo in modo nuovo».

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ORARI S.MESSE

Festive del sabato e vigilia festivita’

Festive della domenica e festivita’

LUNEDI’

MARTEDI’

GLI ORATORI

«I giovani, oggi più desiderosi e mobili»

«La mia sensazione è che oggi i giovani siano più desiderosi rispetto a quanto mostravano i loro coetanei dieci anni fa. Forse anche perché sono più in difficoltà. E poi hanno una crescente disposizione alla mobilità: per loro la comunità di origine rappresenta certo il porto di casa cui fare ritorno, ma forte è la predisposizione a navigare. Anche per questo la prospettiva di un’unità pastorale che superi i limiti territoriali dell’oratorio della singola parrocchia può incontrare un loro naturale modo d’essere». Il vescovo Monari parla degli oratori e della necessità «di introdurre personale che li faccia vivere sul piano dell’animazione ed educativo. L’obiettivo è che l’oratorio abbia una sorta di progetto formativo che sia in grado di rendere i giovani persone più attenti alla realtà e più responsabili». 5

MERCOLEDI’

GIOVEDI’

VENERDI


parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi

VERSO IL SINODO DEI VESCOVI Tra un anno circa, nell'ottobre 2012, si riunirà il Sinodo ordinario dei Vescovi. Tema: la nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede. Quali gli intenti? La convinzione secondo cui il termine evangelizzazione riguarderebbe non soltanto i popoli che non hanno mai conosciuto Gesù Cristo, ma anche quelli di tradizione cristiana che si sono allontanati dalla Chiesa, è sempre più diffusa. Il fenomeno, che abbraccia tutto il mondo occidentale, comprende anche i paesi in cui la Buona Notizia è stata annunciata, ma non accolta; in cui nessun insegnamento, dunque, è stato in grado di trasformare la vita personale, familiare e sociale dei cristiani. È questo il motivo che ha spinto Benedetto XVI a convocare, nell'ottobre del 2012, la XIII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema: "La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede". Tale appuntamento rappresenterà, per la Chiesa intera, un'occasione per esaminare, in termini di evangelizzazione, la situazione attuale delle Chiese particolari e di tracciare, in comunione con il Papa, pastore universale, nuovi modi ed espressioni dell'annuncio evangelico da trasmettere all'uomo contemporaneo. Si tratta, come si legge nella prefazione dei Lineamenta elaborati per la preparazione del Sinodo, di: una sfida a trarre, come lo scriba diventato discepolo del Regno dei cieli, cose nuove e cose antiche dal prezioso tesoro della Tradizione. Il Sinodo sarà un'ulteriore occasione per capire se la Chiesa ha saputo e sa operare quel particolare discernimento che le permetta di mettere in atto le scelte e i processi che la portano a non isolarsi dal resto del mondo. È importante capire che solo traducendo con parole comprensibili il messaggio del Vangelo è possibile avvicinarsi a quelle generazioni che ormai non si pongono semplicemente contro Dio e contro la Chiesa, ma che stanno imparando a vivere senza Dio e senza la Chiesa.

È questa la nuova realtà in cui noi tutti siamo immersi ed in cui la comunità cristiana è chiamata a operare un duplice ascolto: ● da una parte essa deve saper ascoltare attentamente il mondo, sia per comprendere le problematiche che affliggono l'uomo, sia per cogliere ciò che c'è di bello e di buono e quindi ciò che già è presenza di Dio; ● dall'altra, deve saper ascoltare la voce dello Spirito. La Chiesa, infatti, consapevole di essere anzitutto discepola del Signore, sempre bisognosa di conversione, sa bene che la regia dell'annuncio evangelico non è nelle sue mani, ma in quelle di Dio. I cambiamenti che hanno riguardato il mondo toccano in modo diretto la Chiesa. La obbligano a confrontarsi con interrogativi e fenomeni da comprendere, pratiche da correggere, cammini e realtà a cui comunicare in modo nuovo la speranza evangelica. I Lineamenta evidenziano, inoltre, come la nuova evangelizzazione riguardi prima di tutto i cristiani che hanno già compiuto un cammino di fede. Sono proprio questi cristiani adulti, con il loro comportamento, il loro modo di vivere la relazione con il Signore e con la Chiesa, ad essere chiamati a rivestire il ruolo di evangelizzatori verso coloro che non hanno ancora conosciuto Gesù e sono lontani dall'esperienza ecclesiale. D'altro canto coloro che non credono sono di stimolo per rendere ancor più salda la fede dei credenti. È così che la missionarietà ad intra diventa segno credibile e stimolo per quella ad extra, e viceversa. Come dire che la qualità della vita cristiana e la fede di una parrocchia, di un gruppo, di un singolo, si misurano dalla capacità di offrirla agli altri. Saper tradurre la speranza del Vangelo in termini praticabili, prospettare la possibilità di una vita bella, buona e giusta, rendere plausibile e gioioso un cammino di vita cristiana dentro ad una comunità: è questa la sfida che la Chiesa è ancora chiamata ad affrontare. Se l'obiettivo vuol essere perseguito, la Chiesa dovrà anche compiere con coraggio scelte precise sulle strategie, sulle pratiche, sui metodi e sugli strumenti educativi, in particolare sulle proposte che iniziano alla vita cristiana. Dovrà altresì operare una verifica sui soggetti che sono chiamati a trasmettere la fede (catechisti, educatori…) e dovrà investire maggiormente su di essi, affinché siano veri evangelizzatori della Buona Novella, nella fedeltà a Dio e alla storia.

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basilica s.maria assunta santuario s.arcangelo tadini

anno giubilare 20 maggio 2011 / 21 maggio 2012

Continuano gli incontri e le inziative in questo anno giubilare che ricorsano i 100 anni della morte di S.Arcangelo Tadini. Gruppi, famiglie e perone si trovano in Santuario per la preghiera e per intercedere grazie al Signore tramite il Santo. Oltre a gruppi parrocchiali sono in programma iniziative diocesane e zonali:

Incontri e celebrazioni diocesane:

domenica 15 gennaio incontro GRUPPI VOCAZIONALI SICAR e EMMAUS fine gennaio incontro EDUCATORI ORATORIO 19 marzo Convegno diocesano “Famiglia e lavoro” mercoledì 18 aprile ANIMATORI VOCAZIONALI fine aprile INCONTRO SACERDOTI DELLA DIOCESI - 1 maggio SEMINARIO DIOCESANO 1 maggio PELLEGRINAGGIO FAMIGLIE DIOCESI - 4 maggio VEGLIA DIOCESANA VOCAZIONI con il Vescovo sabato 16 giugno SANTIFICAZIONE DEL CLERO con il Vescovo

Incontri e celebrazioni zonali:

i martedì di spiritualità per i giovani della zona

Incontri e celebrazioni parrocchie di Botticino:

- ogni MARTEDÌ sera ore 17,30 S.Messa, segue esposizione e Adorazione Eucaristica fino alle ore 22,00 (dalle ore 20,30 alle ore 21,00 preghiera guidata) - primo martedì del mese in preghiera con il gruppo famiglie Tadini - terzo martedì del mese in preghiera “cammino sentieri di stelle” - ultimo martedì del mese particolare preghiera di intercessione alle ore 20,30

- CELEBRAZIONI GIUBILARI 11 febbraio GIUBILEO AMMALATI E OPERATORI SANITARI 11-12 aprile GIUBILEO ADOLESCENTI-GIOVANI 29 aprile GIUBILEO ASS.VOLONTARIATO 1 maggio GIUBILEO DELLE FAMIGLIE In data da definire: GIUBILEO ANIMATORI PASTORALE -VEDOVE- ANZIANI- MAMME-LAVORATORI

LA RELIQUIA DEL SANTO NELLA PARROCCHIA DI CELLATICA “A nome della comunità di Cellatica, portiamo il nostro grazie alla comunità di Botticino per averci dato l’opportunità di avere con noi le reliquie di Sant’Arcangelo Tadini, volendo cogliere l’occasione per farvi partecipi delle motivazioni per la presenza delle stesse nella nostra parrocchia. Cellatica ha vissuto questa settimana un’iniziativa chiamata “ritorno di missione” momento forte che ci ha visto impegnati nell’incontro personale con le famiglie in celebrazioni solenni e centri di ascolto della parola che hanno avuto come tema centrale la famiglia. la presenza delle reliquie del Santo, apostolo della famiglia, ha reso più incisiva e profonda questa esperienza. Le reliquie sono state collocate nella chiesa/santuario di Fantasina, che è dedicata alla Santa Famiglia di Nazareth, e lì sono state venerate con momenti di preghiera e di adorazione eucaristica.”

S. Natale 2011 “Appena nella capanna di Betlemme si udì un vagito, era il vagito di Dio, che, pazzo d’amore per l’umanità, volle assumerla, farla sua. In quel presepio germogliarono due fiori, che sono due amori sublimi: l’amore per Dio e l’amore per l’umanità”. S. Arcangelo Tadini 7


Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita bu

A S P E T T O E C C L E S I O L O G I C O - P A S T ORALE

Opera corale di tutta la Chiesa

L’ecclesiologia di comunione del Vaticano II ha permesso di riscoprire la pastorale come l’agire di tutta la Chiesa. È alla Chiesa tutta, dunque, che spetta il compito di educare. Ad essa la responsabilità di aiutare ciascuno a costruire la propria identità come vocazione, indicando Cristo come colui che svela pienamente all’uomo se stesso. La parrocchia, in particolare, è l’epicentro della sfida educativa. Essa deve trovare un paradigma educativo che consenta il pieno sviluppo della persona, cogliendo nella parabola della trasmissione della vita un possibile modello da imitare. La questione dell’urgenza educativa - al centro del documento dei vescovi italiani «Educare alla vita buona del Vangelo» - tocca lo stesso modo di intendere e vivere l’agire della Chiesa nella storia e nel mondo di oggi. Approfondiamo il tema dell’educazione cogliendo la natura, i dinamismi, le forme e le modalità propriamente pastorali, con riferimenti alla realtà della parrocchia, luogo singolare di educazione alla vita buona del Vangelo. Il Vaticano II: un concilio «pastorale» Il termine «pastorale» si è molto diffuso nel postconcilio. È lo stesso Papa Giovanni XXIII che nel Discorso di apertura del Vaticano II, Gaudet Mater ecclesia, con tale espressione volle indicare lo spirito e il senso del magistero conciliare, appunto «a carattere prevalentemente pastorale». Questo il testo: «Al presente bisogna che in questi

nostri tempi l’intero insegnamento cristiano sia sottoposto da tutti a nuovo esame ... ; occorre che questa dottrina certa e immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita e esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi. Altra è la sostanza dell’antica dottrina del depositimi fidei, ed altra è la formulazione del suo rivestimento: ed è di questo che devesi - con pazienza se occorre tener gran conto, tutto misurando nelle forme e proporzioni di un magistero a carattere prevalentemente pastorale». Il merito dell’intervento del Papa è stato quello di aver voluto sdoganare il messaggio cristiano e il suo annuncio nel mondo contemporaneo da una visione concettualista della verità cristiana. Sta di fatto che dopo il Concilio il termine «pastorale» dilaga. La pastorale è l’agire della Chiesa II termine «pastorale» non indica solo un problema di metodo: dire la fede di sempre nelle forme nuove della cultura, appunto il programma conciliare di «aggiornamento». Suggerisce anche una questione di contenuto: riguarda la missione della Chiesa. Vale a dire, il fatto che l’agire storico della Chiesa, appunto la sua «missione pastorale», non consiste più nell’applicazione di verità immutabili sapute a monte delle forme pratiche con cui la Chiesa edifica se stessa nel mondo contemporaneo. Prima del Concilio, la figura più diffusa del rapporto tra teologia e pastorale è stata prevalentemente «applicativa». La dogmatica, la morale, la spiritualità e il diritto stabilivano la costellazione valoriale per la missione della Chiesa, mentre la pastorale non era che il luogo di «attuazione» mediante l’agire 8

storico della Chiesa. Nel momento successivo al Concilio, l’immagine «applicativa» della pastorale è andata rapidamente in crisi e con essa la funzione «direttiva» del ministero pastorale. Si è aperto nell’agire storico della Chiesa, cioè nelle forme della sua missione, un ampio spazio di «opzionalità», di «discernimento» del funzionamento sociale dell’azione pastorale della chiesa. Di qui le nuove parole d’ordine della pastorale del postconcilio: «discernimento comunitario», «conversione missionaria», «pastorale intergrata». Il nuovo mutamento dell’agire pastorale della Chiesa riguarda il soggetto e il fine dell’agire della Chiesa. Fino al Concilio, «pastorale» significava anzitutto l’azione del pastore per la cura delle anime. L’ecclesiologia di comunione del Vaticano II invece afferma che l’azione pastorale ha come obiettivo l’edificazione della Chiesa come segno reale del Vangelo accolto nella vita del mondo. L’agire pastorale non ha più come soggetto solo il pastore e i «collaboratori dell’apostolato gerarchico», ma tutto il popolo di Dio. L’agire ecclesiale è il modo con cui il popolo di Dio si edifica, lasciandosi plasmare dalla Parola e dall’Eucaristia come corpo di Cristo. Da ciò deriva anche la forma e il modo della missione della Chiesa nel mondo, un nuovo stile della «pastorale». Il senso dell’educare II secondo aspetto riguarda il tema della educazione, lo ha introdotto menzionando il n. 22 di Gaudium et spes, citato espressamente negli Orientamenti pastorali dei Vescovi. Dal brano emerge che la ricerca di sé dell’uomo, che il compito dell’educazione deve favorire, «risplende di luce vera» nell’incontro con Cristo. Egli rivela il mistero del Padre e del suo amore, ma svela anche pienamente l’uomo a se stesso manifestandogli la sua altissima vocazione. L’identità dell’uomo ha la forma di una vocazione,


uona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo il cui raggiungimento è possibile da una parte grazie all’aiuto di Dio, dall’altro mediante la stessa libertà dell’uomo. L’educazione è quel rapporto che aiuta ciascuno a costruire la propria identità come vocazione e come scelta di libertà. Guardando a tale dialettica tra vocazione e libertà che trova in Gesù Cristo il suo paradigma identitario, la riflessione sull’educazione si sviluppa in alcuni passaggi. «In un mondo che cambia»: la questione attuale Occorre fare un discernimento storico delle attuali difficoltà dell’educazione nel mondo indicate nelle due radici dell’odierna sfida educativa. La prima radice è una concezione dell’educazione come «autosviluppo», fondata su un concetto di autonomia dell’uomo che non ha bisogno di nessuno per il suo essere e divenire persona; la seconda è il «naturalismo» antropologico (scetticismo e relativismo) a cui corrisponde una concezione dell’educazione carente di ogni dimensione etica: educare significherebbe soltanto e-ducere, tirar-fuori le virtualità iscritte nell’uomo concepito come natura meccanicamente intesa. La natura umana è vista come una «cosa di natura» che si può trasformare a proprio piacimento. Educare diventa, allora, abilitare a conoscere i meccanismi naturali e i funzionamenti sociali. In tal modo ciascuno può diventare un self made man (uno che si fa da solo) senza alcun apporto esterno. Queste due concezioni escludono alcune caratteristiche essenziali dell’educazione: il carattere relazionale, la dimensione etica e la distensione temporale del processo educativo. Tre componenti che appartengono alla dimensione antropologica dell’educare, la cui negazione rende impossibile ogni determinazione della differenza cristiana dell’opera educativa. Se educare significa autosviluppo, autoeducazione, e se comporta semplicemente vivere secondo una natura «plasmabile» a piacere, tutto il percorso educativo resta abbandonato a se stesso: in realtà è soggiogato dal flusso inarrestabile delle emozioni, degli affetti, del sentire, del prova e riprova, dello sperimentalismo, ma non raggiunge mai la forma matura dell’esperienza. Ne soffrono soprattutto le esperienze umane fondamentali: il rapporto uomo e donna, la relazione genitori e figli, le pratiche dell’amicizia e

della fraternità, il senso del convivere civile, le forme della solidarietà sociale. «Identità, generazione, cammino»: il paradigma educativo In tale contesto storico occorre trovare un paradigma educativo che riesca ad aiutare pienamente lo sviluppo dell’autentica identità della persona. Uno è iscritto nella vita stessa dell’uomo: è l’evento della generazione, il senso e il modo con cui la vita viene trasmessa e ricevuta. Il rapporto educativo rimanda originariamente alla generazione, al rapporto padre/madre - figlio. I genitori trasmettono la vita con tutto il suo corredo in dotazione e devono lasciare lo spazio e soprattutto il tempo perché la vita trasmessa sia ricevuta come un dono e non solo come una cosa di natura. Questo spazio e tempo sono l’atmosfera della libertà, e diventar grandi non è nient’altro che il cammino con cui riconoscere in modo grato il debito alla vita che ci è stata trasmessa. La mancanza di riferimenti, invece, condanna il figlio a navigare sotto un cielo senza stelle e a desertificare la sua coscienza, lasciata come una tabula rasa su cui scrivere continuamente sensazioni passeggere. Il percorso dell’identità da parte del figlio diventa così interminabile, aggravato anche da fattori socioeconomici che impongono al giovane di rinviare sempre più la data di assunzione delle responsabilità. Il cammino dell’esistenza diventa un’impresa che non ha più il sapore della sfida di fronte alla vita, ma deve corrispondere al desiderio di chi ci ha voluti, con tutti gli alti e bassi del caso. «Educare alla vita buona»; l’identità transitiva e drammatica La sfida dell’identità si snoda tra promessa e ricerca della terra in cui entrare. È un’identità transitiva, passa cioè attraverso il tu dei genitori, degli educatori, del noi sociale. Il Papa così spiega il senso transitivo della ricerca dell’identità e dell’educare: «In realtà, è essenziale per la persona umana il fatto che diventa se stessa solo dall’altro, l’”io” diventa se stesso solo dal “tu” e dal “voi”, è creato per il dialogo, per la comunione sincronica e diacronica. Solo l’incontro con il “tu” e con il “noi” 9

apre l’”io” a se stesso». Educare è un fatto di relazione, l’io trova se stesso passando attraverso l’altro, ma l’incontro con l’altro apre l’io alla propria interiorità, dischiude in essa una promessa e un appello perché l’uomo si avventuri nel cammino della vita. Il cammino dell’identità ha anche un carattere drammatico, la persona è chiamata a decidere di sé di fronte alla vita e alle forme con cui è stata trasmessa. La «relazione» educativa (io-tu-noi) si assoggetta alla prova del tempo disteso e la promessa dell’inizio deve passare attraverso il prezzo della fedeltà. Da qui la metafora del cammino, anzi dell’esodo di Israele, ricordata al n. 19 degli Orientamenti dei Vescovi. Il carattere «drammatico» dell’educazione crea lo spazio perché il giovane giochi la sua libertà. Diventare liberi non è solo un fatto di relazione, ma esige un’inevitabile determinazione etico-religiosa, implica una scelta e una capacità di rispondere. Racconti di vangelo: come venire a Gesù La comprensione del mistero di Cristo, che svela all’uomo la sua identità di uomo, non è questione di illuminazione, ma d’incontro, di un avvenimento disteso nel tempo, in cui uomini e donne «vanno da» Gesù. È il Vangelo che ricrea questo incontro. L’educazione trova nei rac-


Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita bu conti di Vangelo una costellazione di segni di vita buona che assume, purifica e trasforma la vita ferita e divisa. La narrazione evangelica contiene la trama di infiniti incontri con Gesù, di molte porte d’accesso a lui, di identità negate e ritrovate, ferite e risanate, malate e trasformate, marginalizzate e riaccolte, perdute e ritrovate. Ritrovare le relazioni: maestri perché testimoni L’azione educativa come luogo e cammino per realizzare questo meraviglioso e drammatico incontro è un’azione che prevede molti attori, anzi molti educatori. La figura felice dell’educatore è quella del «maestro di vita». Gesù si presenta egli stesso come maestro di vita nuova e buona che, mentre parla e interviene con le folle, non smette mai di educare i suoi discepoli. L’educatore allora diventa un testimone, uno che attesta quel carattere buono e vero dell’esistenza, che è stato decisivo prima per lui stesso. Egli non deve temere di dire le proprie convinzioni, di attestare i propri valori, di offrire le proprie ragioni, perché egli sa che potrà trasmetterli solo se susciterà la cordiale comprensione e l’adesione personale da parte dell’altro. La parrocchia, epicentro della sfida educativa In conclusione, l’educazione oggi è un compito della pastorale nei luoghi in cui essa ordinariamente si realizza. Tra questi, la parrocchia appare essere l’«epicentro» della sfida educativa. Essa ne assume il carico in quel dinamismo pastorale speso tra l’annuncio del vangelo e il servizio nel territorio, tra l’eucaristia celebrata e la testimonianza donata, nella piena corresponsabilità delle vocazioni e nell’intreccio dei molti soggetti educativi. La focalizzazione del cammino ecclesiale sul tema dell’educazione ci farà prendere coscienza che noi trasmettiamo sempre vangelo (e valori) dentro forme pratiche di vita, non annunciando noi stessi o i nostri modi di vivere, ma il vangelo di Gesù. Esso non s’incontra allo stato puro, ma dentro un volto e una storia, a condizione che questi volti e queste storie di vita dicano Lui e non essi stessi. La Chiesa deve custodire il cammino di una buona educazione, come momento necessario dell’evangelizzazione, deve sapere che senza questa l’evangelizzazione resta consegnata all’illusione delle grandi parole, ma all’insignificanza per l’esistenza pratica. Per questo l’educazione deve tornare al centro: come l’opera corale di tutta la Chiesa.

A S P E T T O S O C I O - C U LT U R A L E

Quale Chiesa siamo?

Da un'analisi lucida e per nulla indulgente dei malesseri sociali ed ecclesiali, scaturisce l'interrogativo di fondo: come la parrocchia può divenire soggetto educante se non è essa stessa testimone appassionata della Parola che annuncia? Solo superando il dualismo tra fede e vita, recuperando lo stile del discernimento comunitario, combattendo battaglie profetiche, dilatando l'anima a grandi desideri, la Chiesa potrà essere credibile e rispondere ai problemi della società contemporanea. La pastorale stenta a decollare verso orizzonti dal sapore autenticamente socio-culturale. Uno dei nodi più difficili della nostra pastorale e che rappresenta una possibile risposta alla grande domanda che forse tutti ci poniamo è questo: viviamo in un paese in cui il cattolicesimo è ancora vivo, in cui in molte parti ci sono ancora chiese piene, in cui ancora a scuola si insegna religione; viviamo in una società in cui i bambini per la grande maggioranza fanno la prima comunione, sono battezzati, una società in cui ancora ci si sposa in chiesa, allora come mai questa società risente così poco dell'influsso di una visione cristiana delle cose quando si tratta del suo stile concreto, quotidiano di vita e più a monte quando si tratta della sua visione culturale? Ciò che, in ultima analisi, si può facilmente constatare è la strana, paradossale e dolorosissima divaricazione tra gli stili di vita degli italiani e il loro riconoscersi nel discorso cristiano. Di fronte a questa constatazione non possiamo limitarci a una sterile analisi di denuncia, quanto piuttosto compiere il tentativo di mostrare perché questa influenza non c'è e, al tempo stesso, quali possibilità invece ci sono perché questa influenza si determini; il tentativo cioè di mostrare - a partire dai problemi che la nostra società soffre dolorosamente sulla sua carne - quale potrebbe essere, e an10

cora non è il ruolo della Chiesa. Tre le possibili piste : la prospettiva della fede, la prospettiva della speranza, la prospettiva della carità. Lo spunto in tutti e tre i casi viene fornito da situazioni in cui chiunque, credente o non credente, può riconoscersi, e quindi non alla luce di una adesione di fede, ma soltanto di un'attenzione umana vigile sulla realtà in cui viviamo.

1. La prospettiva della fede II punto di partenza di questa prima prospettiva è la perdita di unità delle persone che rappresenta un fenomeno diffuso capillarmente nella nostra società: viviamo in una società in cui la frammentazione dei soggetti, della persona, dell'io, è sotto i nostri occhi; assistiamo oggi all'avverarsi della triste profezia contenuta nell'affermazione di Nietzsche che scrive: l'io non esìste, l'io è una finzione, una favola, un gioco di parole. In effetti, non realmente, ma culturalmente noi assistiamo a una disgregazione dell'io, una disgregazione dei soggetti che sotto la piena di un consumismo invasivo che propone mille esperienze, mille canali televisivi, mille possibilità, mille progetti, mille prospettive, mille scelte possibili, finisce col disseminarsi in una molteplicità che alla fine è anche il nulla. È una disgregazione che colpisce innanzitutto i giovani, ma che in realtà, più a monte, rappresenta il problema anche degli adulti, anzi


uona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo forse soprattutto degli adulti. Ebbene, di fronte a questa crisi profonda che cosa risponde la nostra pastorale concretamente? Quale modello di fede propone? Qui si verifica un segno della impotenza della nostra pastorale: non riuscire a proporre un modello di fede unificante. Perché la nostra pastorale vive ancora il dramma della scissione che caratterizza le società arcaiche dove c'è un sacro e c'è un profano. Il sacro e il profano sono caratteristiche delle grandi religioni dove si presume che il profano sia l'esistenza irrilevante da un punto di vista religioso e che il sacro sia l'ambito dove ci sono dei luoghi, dei tempi, delle attività, delle persone che invece sono depositari della presenza del divino. Coloro che abitano il profano, quindi, possono entrare in contatto col divino solo attraverso un contato col sacro, ma la scissione tra i due ambiti è radicale. Il cristianesimo rompe e supera questo rigido dualismo. La grande novità del cristianesimo è nell'evidenziare che sono molteplici i luoghi in cui Dio è presente e in cui è possibile adorarlo: la chiesa ma anche l'officina, la scuola, anche se ovviamente in modo del tutto diverso. Così si apre lo spazio per una varietà di presenze del divino nel cuore del profano. E questo profano non è più profano. Ovunque c'è la santità di Dio che è presente. Il dualismo sacro-profano salta radicalmente. Il dualismo sacroprofano non ha più motivo di essere. Invece la nostra pastorale ostinatamente rimane ancorata, anzi riproduce in modo evidente questo dualismo. Quando il laico varca le soglie del tempio diventa rilevante soltanto nella misura in cui diventa un accolito, un lettore, un distributore dell'eucaristia, un ministro straordinario della comunione, uno che fa il catechismo, nella misura in cui diventa un sostituto del presbitero, diventa un vice-prete. Ed è rilevante, è importante la sua funzione nella comunità ecclesiale, in quanto fa queste cose. La sua vita professionale, familiare, la sua esperienza umana, i suoi problemi, le sue difficoltà, tutta la sua cultura, la sua vicenda umana, vengono messe drasticamente tra parentesi, perché non hanno più nessuna importanza, e il risultato è infatti che nella comunità tutte queste cose non riescono normalmente a entrare. Ne deriva una unanimità fittizia, basata sul silenzio, sul mutismo. Nelle nostre comunità regna un grande silenzio, non si discute perché probabilmente si temono le divisioni che

nascerebbero da confronti per esempio sul terreno politico, per esempio sul terreno sociale, sul terreno etico, e allora si tace, e allora si parla soltanto di quello di cui si può parlare in chiesa, cioè di niente perché sui dogmi siamo tutti d'accordo, sulle verità morali proposte dalla Chiesa non siamo affatto d'accordo, ma in chiesa non lo diciamo mai. E escluso il dissenso, ma è escluso il conflitto in generale. In realtà, forse, il vero problema è che abbiamo paura della vita reale con i suoi problemi, le sue contraddizioni, le sue differenze. Tutto ciò comporta che dentro la comunità non c'è un dibattito, non c'è una discussione vera, non c'è quello che da tempo viene raccomandato caldamente: il discernimento comunitario. Davanti a questo clima ingessato molti si allontanano in punta di piedi, altri lo fanno sbattendo la porta, perché capiscono che non sarebbe di buon gusto dire la propria idea, suonerebbe dissonante con quello che è il clima generale. Invece il triplice munus (sacerdotale, regale e profetico) ricevuto col battesimo, da a tutti la libertà di dire il proprio parere, di esprimere le proprie idee e il proprio spirito critico, naturalmente sempre nel rispetto dell'autorità. Il dissenso, la discussione sono importanti perché rappresentano la base su cui fondare un vero discorso culturale. Al di là di una discussione reale, al di là di una concreta «intercettazione» delle domande, dei problemi, delle difficoltà che circolano nel mondo 11

di oggi, non è possibile elaborare alcun discorso culturale: come si possono elaborare delle risposte, se non sono chiare le domande? Se le domande vengono censurate ancor prima di essere espresse? Il contrappasso di questo è che come il laico che entra nel mondo non riesce a entrare nel cuore della Chiesa, il cristiano che è dentro la Chiesa non riesce a entrare nel cuore del mondo. Perché? Perché quando il laico varca la soglia del tempio, entrando si lascia alle spalle la sua vita laicale con le domande, le difficoltà, i problemi, le incertezze, i dubbi, i dissensi che aveva respirato nel suo mondo, e quando varca la soglia in senso inverso, uscendo dal tempio, si lascia alle spalle questa fede aerea, questa fede astratta, senza domande, senza dubbi che aveva dentro il tempio e torna a essere il professionista che si fa pagare parcelle paurose senza rilasciare fattura, l'amministratore infingardo che non cura abbastanza seriamente le pratiche che gli sono affidate, perché aspetta la raccomandazione, il politico che disinvoltamente cerca prima di tutto le clientele. Cioè noi abbiamo una situazione speculare: dentro un clericalismo soffocante e asfittico, fuori un laicismo disinvolto per cui ci si comporta come tutti. Questo è evidentemente un contributo che diamo a una società di scissione, dove la scissione della gente trova un riscontro nella nostra scissione. Noi siamo frammentati quanto gli altri, perché alla fin fine noi viviamo una


Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita b doppia vita, la vita del dentro e la vita del fuori; rispettando tutte le eccezioni che ci sono, questo è lo stile dominante della pastorale. E chiaro che una pastorale che concepisce così le cose non può educare a superare la frammentazione delle persone, è in realtà una educazione antieducativa che favorisce la frammentazione, la divisione, la contraddittorietà dell'esistenza in una società ammalata di questa contraddittorietà a tutti i livelli.

2. La prospettiva della speranza La nostra è una società che avrebbe molto bisogno di speranza perché è una società che non vede più la prospettiva del futuro, la fiducia nella storia. Oggi l'idea fondamentale è che il progresso sia in realtà un veleno mortale per la nostra specie e che sia destinato in realtà a ucciderci. Cioè il futuro non è guardato con serenità, meno che meno con speranza. Il futuro fa paura, il futuro è un'incognita angosciosa per la nostra società e comunque non vale più la pena di morire per esso. Noi oggi abbiamo ragazzi che nemmeno più leggono il giornale, che appena si parla di politica reagiscono con fastidio e irritazione. Oggi i nostri giovani cosa si chiedono, cosa vogliono? Il loro problema principale non è di cambiare il mondo, cambiare il sistema, ma riuscire ad entrarci perché è il sistema che lascia fuori loro, non sono loro che possono distruggere il sistema. Di fronte a questo scenario la Chiesa avrebbe molto da offrire, avrebbe un grande messaggio da proporre. E quanto ha ricordato con lucidità e chiarezza il Papa nella Spe salvi sottolineando che un tempo la speranza era nella comunità cristia-

na qualche cosa di fondamentale, oggi invece non lo è più, e non lo è più a vari livelli. Manca, infatti una tensione verso il futuro, nella predicazione, nell'attenzione culturale, un po' in ogni settore della vita: si vive solo il presente. Ma non solo. Il Papa molto giustamente denunzia una crisi molto più profonda ancora forse della speranza, che non riguarda tanto la speranza religiosa in sé, ma riguarda il suo modo dì impostarla. Ormai se speranza rimane è quella strettamente individualistica, di chi si fa le sue devozioni, le sue preghiere, ma non si chiede come potere sperare a nome di tutta la società, a nome della storia. Noi viviamo oggi una speranza fortemente sterilizzata, liofilizzata, che anche là dove presenta temi strettamente religiosi, esclude drasticamente la dimensione della storia, intendendo per storia sia quella degli uomini, sia quella del cosmo. Poca speranza e incapacità di costruire questo futuro. È impressionante che noi ci troviamo di fronte a uno scenario politico in cui noi cristiani non siamo più in grado praticamente di indicare nessuna meta. Quella attuale sembra essere, cioè una situazione in cui i cattolici si siano ammutoliti. Quello che noi percepiamo con sofferenza è la loro assenza, il loro silenzio. Un silenzio assordante in cui non si riesce più a capire che cosa ci stiano a fare. Ma questo, probabilmente ha radici più profonde. Ha radici nel fatto che l'intera comunità cristiana non ha una voce oggi. La Chiesa tace, per esempio, di fronte a provvedimenti come quello dei respingimenti che viola i più elementari diritti umani o di fronte alla legge infame sui "medici spia", proposta e passata al senato con larga maggioranza. Se si vuole parlare di vera speranza, l'importante non è combattere perché le dighe non crollino. Invece spesso l'azione dei cattolici sembra rivolta a rafforzare le dighe per non fare passare questo o quell'altro, nel portare avanti cioè 12

battaglie in sé giuste ma che non sono profetiche nella misura in cui non corrispondono a una crescita di una coscienza civile dei cattolici. Dov'è, allora, la speranza nella nostra pastorale? Che tipo di speranza produciamo? C'è da stupirsi poi che nelle nostre comunità non emergano figure di persone consapevolmente impegnate in politica? Fa meraviglia che siamo ancora in una situazione in cui i politici militanti, in definitiva, si trovano ammutoliti perché non hanno dietro le spalle una comunità che li sostenga, anzi si ritrovano in comunità che li tengono a distanza perché hanno paura di compromettersi? Da questo punto di vista, dobbiamo avere il coraggio di chiedere che veramente si realizzi una nuova classe di politici cattolici. Ma non di gente scelta dall'alto che viene a fare il portavoce della gerarchia ecclesiastica, ma di gente formata. Il problema è quello di fare emergere delle persone da un ambiente pensoso, da un ambiente che discute, da un ambiente consapevole, formato. Questo può dare speranza al paese in un momento in cui non ce n'è proprio, in un momento in cui di prospettive per il futuro se ne vedono veramente poche. Ma è la Chiesa come comunità - non dico come gerarchia ecclesiastica - che deve dare forma a questa speranza. Noi abbiamo gli strumenti per farlo.

3. La prospettiva della carità Viviamo in una società dove l'amore è la cosa più esaltata, ma l'amore di cui si parla è l'eros, cioè il desiderio. Più precisamente il desiderio sessua¬le. Cioè è come se l'amore nella nostra società fosse stato inscatolato ormai in un modello consumistico di sessualità che suscita infondo l'immagine dì un appaiamento più o meno illusorio di tutti i nostri desideri concentrandoli sul corpo, solitamente quello femminile. È un tipo di amore estremamente povero. Ebbene da parte della Chiesa ci sarebbe la grande risposta dell'amore. Perché il cristianesimo in fatto dì amore potrebbe essere veramente la risposta a questa crisi culturale. Educare all'amore dovrebbe essere il nostro pane quotidiano. Ma quando noi andiamo a vedere che cos'è questo amore, ci accorgiamo che questo amore spesso si riduce a un'astrazione. Il riferimento, anche in questo caso è anzitutto al magistero pontificio e alle chiarificazioni del Papa nell'en-


buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo ciclica Deus caritas est, ma sempre con la lucidità e la passione del laico cristiano che contestualizza, approfondisce, cerca delle strade nuove da percorrere precisando che noi l'amore cristiano come dono lo possiamo ricevere, ma non c'è dubbio che noi come uomini non possiamo nemmeno fare a meno dell'eros, intendendo per eros non solo la sfera sessuale, ma anche il desiderio che a partire dai desideri più immediati porta l'anima a dilatarsi. Ma le nostre comunità invece sono l'emblema della mancanza di eros. Che eros c'è nelle nostre comunità? Quali sono i grandi desideri che agitano la nostra vita cristiana, che trascinano le nostre comunità? Il disinteresse per quasi tutto regna sovrano. Nelle nostre comunità avete mai sentito parlare di un grande desiderio di giustizia, di un grande ardente desiderio di bellezza? Di un grande ardente desiderio dì verità? Nelle nostre comunità si brucia di desiderio per qualche cosa? Il Papa dice: senza eros anche l'agape rischia di non esserci più. Questo perché il nostro Dio non è solo agape, è pure eros, anche se ovviamente in modo del tutto diverso da noi creature umane. Però, dice il Papa, nella Bibbia si vede chiaramente che Dio è pazzamente innamorato degli uomini. Allora anche noi non possiamo immaginarci una vita che sia veramente conforme alla sua che non sia piena di eros, che non sia piena di passione. Ma nelle nostre comunità a queste passioni non si educa mai. Occorre pertanto riscoprire in merito una pastorale capace di suscitare le energie profonde degli uomini e delle donne, capace di far emergere la loro profonda esigenza di pienezza di vita. Ma che amore possiamo proporre al mondo se noi proponiamo un amore sterilizzato, un amore da santini, un amore da statue di terracotta, quando invece basta vedere l'estasi della Santa Teresa del Bernini per rendersi conto che lì l'eros c'era eccome. Questa è la visione cristiana, un corpo e un'anima unite nella sintesi di una passione completa per Dio. Solo a queste condizioni - dice il Papa — può nascere una vera agape, perché l'eros spinto al suo dinamismo più alto cessa di essere autocentrato e diventa considerazione dell'amato per se stesso e allora diventa agape, diventa dono, diventa rinunzia al proprio appagamento, si sublima e raggiunge le vette più alte. Se invece si fa piovere il messaggio dell'agape, della carità,

su un terreno privo di slancio, privo di interesse, privo di stupore, privo di grandi passioni, privo di grandezza, un amore mediocre, borghese, che si accontenta delle sue piccole cose ... allora di che amore stiamo parlando? Allora la carità diventa quello che noi l'abbiamo fatta diventare: l'elemosina. Fare la carità significa dare con un gesto puramente esteriore qualche cosa a un poveraccio.

Conclusioni

La parola comunità è una parola abusata, noi parliamo sempre di comunità, ma sono vere comunità le nostre? Sono comunità cartacee, di cartapesta, ma senza la capacità di vivere insieme le cose, perché non c'è una reale comunicazione non solo tra i fedeli, ma nemmeno tra i fedeli e il parroco e non c'è tra i parroci. È una malattia di isolazionismo. Anche tra i vescovi è la stessa cosa. Manca la comunicazione, e la comunione senza la comunicazione è uno slogati. Possiamo parlare di comunione quanto vogliamo: è una finzione, è un'ipocrisìa. Altro che risposta ai problemi socio¬culturali della nostra società! Questo è il modo per perpetuare questi problemi e per fare dire alla gente: ma che c'è di diverso tra la Chiesa e qualunque altra realtà terrena? Perché dovremmo credere in questa Chiesa come la continuazione in questa terra della vita di Gesù Cristo? Nasce il famoso slogan Cristo sì e Chiesa no. Ma ricordiamoci che quando noi diciamo «non è possibile scindere Cristo dalla Chiesa» dobbiamo assumerci la responsabilità di chiederci quale Chiesa siamo noi. Un cammino pastorale non può mai fermarsi al «già acquisito», ciascun cristiano e ciascuna comunità ecclesiale possa essere, sempre e per tutti, ancora oggi, testimonianza autentica del messaggio evangelico.

Altri due spunti di riflessione perché la pastorale possa veramente educare a dare risposta ai problemi dell'uomo d'oggi. Siamo in una società che è una società di individualismo di massa, una società in cui non c'è più la comunità perché non ci sono più le persone che dovrebbero creare queste comunità. Allora la prima cosa che oggi la società anela a ritrovare è la purezza dei volti, l'originalità dei volti. Un indice molto preoccupante in merito è il passaggio nelle nostre comunità da una pastorale che dava una notevole importanza ai rapporti personali, nella riconciliazione, nella guida spirituale, nell'accompagnamento spirituale, a una pastorale che invece sul piano dei rapporti personali è debolissima, poverissima e che invece passa il tempo a organizzare cose. Questo corrisponde al fatto che le persone si sentono sempre meno in grado di vedersi riconosciute da qualcuno. È quanto mai urgente allora riscoprire la vocazione originaria sia del presbitero, sia del laico maturo, quella vocazione all'ascolto che trasmette all'altro il messaggio di un ascolto attento e vigile, che sa mercoledì 25 gennaio 2012 il nostro Veaccogliere, valutare e scovo incontra le parrocchie di Botticino su questo tema alle ore 20,30 presso rendere liberi. SALA TEATRO L'ascolto guarisce, l'ascolto aiuta la persoORATORIO BOTTICINO MATTINA na a crescere, a riscoprirsi, l'aiuta a ritrovarsi con se stessa e con Dio. Tutto ciò nelle nostre comunità non succede più. Invece tutto questo è fondamentale per ritrovare i volti delle persone. Altrimenti abbiamo masse di persone che non sono però col loro volto: invece è questo che può fare nascere la vera comunità. 13


COMUNITA’ PARROCCHIALI IN CAMMINO - COMUNITA’ PARROCCHIALI IN CAMMINO - C

GIOVANI GENITORI nelle parrocchie e la nuova evangelizzazione

Spesso le nostre comunità cristiane hanno il sapore di stantio, il terrono è arido e duro , difficile ad accogliere la “nuova evangelizzazione” con tutte le novità che comporta l’adesione alla fede cristiana non per tradizione, per obbligo o per paura delle minacce divine... Non tutto è così: molti sono i genitori che coinvolti per il battesimo dei propri figli e nel nuovo canmmino di Iniziazione Cristiana sono dei semi che, nonostante la terra dura, stanno dando germogli nuovi e freschi.

Tutto è iniziato con la nascita di Martina e, quando abbiamo chiesto per lei il Santo Battesimo, siamo venuti a sapere che avremmo dovuto partecipare ad alcuni incontri per prepararci al cammino di fede con la nostra bambina. “Ma noi già frequentiamo la Chiesa” ci siamo detti, “Conosciamo le “regole” e i “doveri del cristiano” e poi…..non abbiamo tempo…con tutte le cose che già dobbiamo fare….!!” Così, con qualche perplessità, ma animati dall’entusiasmo che ci accompagna da quando è arrivata Martina, cominciamo questo cammino la prima sera, all’Oratorio con tutti gli altri genitori. Continuiamo poi con gli incontri individuali, a casa, seguiti da Chiara, la quale ci ha subito saputi coinvolgere con la sua competenza e passione nel spiegare le letture. Arriviamo poi all’ultimo Botticino Sera 13 novembre 2011 appuntamento, ancora una volta tutti insieme all’Oratorio, con Don Raffaele che, con il suo modo di fare, ha catturato la nostra attenzione, nonostante i piagnucolii di Martina. Alla fine di questa esperienza, nonostante qualche incertezza iniziale, ci siamo trovati a dire “Però, ci voleva una rinfrescata di Cristianesimo …..e poi, in questo mese non abbiamo perso del tempo, ma abbiamo guadagnato ancora un po’ di fede”. Simona e Dario

Carissimo don Raffaele, Abbiamo partecipato con gioia agli incontri pre-battesimali, sia in parrocchia che a casa, e siamo felici di essere parte attiva della Comunità. Tramite la nostra catechista Chiara abbiamo potuto riscoprire ed apprezzare il messaggio del Signore, che porteremo ai nostri figli e cercheremo di attuare nella vita quotidiana. La ringraziamo per averci offerto questa opportunità e questo percorso, perché troppe volte ci si dimentica delle cose importanti e vere della vita. Il tempo è sempre tiranno, specialmente quando si deve lavorare tanto per riuscire a mantenere tutti gli impegni presi, sacrificando cose, a volte molto importanti, che neanche ci si ricorda che esistano. La più importante e considerevole è sicuramente la famiglia, i figli e il loro insieme e nulla, per quanto ci riguarda, può alterare quest’ordine primario. Sappiamo di poter contare su di Lei, se ce ne fosse la necessità e questo è motivo di tranquillità per noi anche se la nostra presenza è talvolta latente e non considerevole. Ci sarà sicuramente modo e tempo di poterci confrontare in un futuro sempre più incerto, per certi versi e bisognoso sempre più della presenza del Signore Con stima La salutiamo Nives Gorni e Paolo Rolfi Gent.mo don Raffaele, Chiara ci ha chiesto un pensiero sul percorso battesimale, che Le inviamo. Il percorso battesimale ci ha permesso di godere ancora di più e con maggior consapevolezza il dono che 14


COMUNITA’ PARROCCHIALI IN CAMMINO - COMUNITA’ PARROCCHIALI IN CAMMINO il Signore ci ha voluto fare: Cecilia! Dono che rafforza il cammino della nostra famiglia iniziato con la promessa del matrimonio. Ringraziamo la nostra catechista Chiara che ci ha seguito per preparare la festa d’ingresso nella comunità cristiana di nostra figlia. La ringraziamo, Chiara e Loris , Emma e Marta Ci è stato chiesto di scrivere qualche parola circa la nostra esperienza di preparazione al Battesimo, così, visto che ne abbiamo fatti due negli ultimi tre anni, non potevamo proprio tirarci indietro... Ricordo che poco più di due anni fa, in occasioBotticino Mattina 6 novembre 2011 ne del Battesimo della nostra primogenita Sara Andrea, abbiamo appreso con sorpresa che per ottenere il Battesimo (e più avanti gli altri sacramenti) era cambiato l’approccio... Non era più sufficiente “chiedere” per i propri figli il Battesimo, bensì era necessario che i genitori andassero nuovamente a “catechismo”!!! Dopo un primo istante di sorpresa abbiamo convenuto che era giusto, addirittura ovvio, che i genitori si “rinfrescassero” un po’ la memoria sul significato e sulle implicazioni della richiesta del Battesimo per i propri figli. Negli incontri abbiamo letto insieme alcuni brani tratti dal Vangelo, cercando di coglierne i messaggi principali. Ovviamente i brani sono stati scelti affinché offrissero i giusti spunti di riflessione relativamente al sacramento del Battesimo. In questi incontri, grazie soprattutto all’impegno degli “educatori/animatori” si è creato proprio un bel clima. Innanzi tutto abbiamo avuto la possibilità di conoscerci reciprocamente e di sentirci più “vicini” alla nostra parrocchia, che ci è letteralmente entrata in casa, inoltre ci siamo sentiti concretamente coinvolti, più consapevoli e ancora più partecipi al Battesimo dei nostri bambini. Nella mia esperienza ho trovato anche molto piacevole ritrovarsi in piccoli gruppi di amici, con i rispettivi padrini e madrine, perché in questo modo c’è stata la possibilità di rompere il ghiaccio più facilmente e scambiarci le rispettive idee e riflessioni sulle letture fatte, aiutandoci a vicenda ad approfondire i concetti ed i messaggi che le letture ci proponevano. Un grande ringraziamento è dovuto a tutti gli educatori, oltre ovviamente a Don Raffaele, che con passione, impegno e disponibilità ci hanno accompagnato nella preparazione al Battesimo dei nostri bambini. Fausto e Milena Il Battesimo di Giovanni è stato per noi un giorno molto importante ed emozionante, un giorno di festa. C’eravamo tutti, parenti, amici, conoscenti, tutti presenti ad accogliere Giovanni nella grande famiglia di Dio, la Chiesa. Prima del Battesimo, con Chiara, abbiamo tenuto degli incontri in famiglia, molto utili e interessanti,dove ci siamo confrontati e abbiamo avuto modo di riflettere sull’importanza del sacramento del Battesimo a partire dalla Parola di Dio. Purtroppo non siamo riusciti a partecipare a entrambi gli incontri comunitari. Non avendo i nonni, le uscite serali sono un problema. E’ andato solo Bruno ad un incontro, in cui partecipavano anche i padrini. Per il percorso di Iniziazione Cristiana che stiamo facendo con Cristian, sinceramente all’inizio pensavamo potesse essere una cosa un po’ “pesante” una domenica al mese, invece ho scoperto che non mi dispiace per niente, anzi vado io (perché Bruno resta a casa con Giovanni), molto volentieri. Questi incontri sono piacevoli, si ascolta la parola del Signore e proviamo a portare il suo messaggio nella nostra vita quotidiana, ci confrontiamo, scambiamo idee, e parliamo dell’educazione dei nostri figli, cosa tutt’altro che facile. Come genitori credo che l’esempio che diamo ai nostri figli sia una cosa fondamentale, seguire il percorso di Iniziazione Cristiana con Cristian non per “forza” ma con piacere e interesse; è secondo noi molto positivo. Silvia e Bruno 15


L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA- IL TEMPO ORDINARIO - SEGUIRE E IMITARE GESU’ -

Le feste della fede. L’anno liturgico riscoperto in famiglia

SEGUIRE E IMITARE GESU’

il tempo ordinario

COME UN FIUME CARSICO

La fase dell’anno liturgico denominata Tempo ordinario, ha queste caratteristiche: · Inizia con il lunedì dopo la solennità del Battesimo di Gesù; termina con la festa di Cristo Re. · Si estende per 33 (o 34) domeniche. · Esprime simbolicamente il percorso dei discepoli. · Offre figure, parabole, esperienze, indicazioni di rotta. · Mostra come si possa seguire, qui e ora, davvero e adesso il Signore Gesù.

Presi nella rete da Cristo

Una delle scene della predella, sul lato posteriore della Maestà di Duccio, raffigura, con una capacità sintetica ancora molto bizantina, la scena della pesca miracolosa. L’obbiettivo visivo di Duccio si stringe sulle figure di Simone e Andrea che, a bordo di una piccola barca che sembra un guscio di noce, reggono, apparentemente senza sforzo, una rete da pesce semivuota. Le loro figure si stagliano sullo sfondo di un cielo dorato che ricorda ancora le atmosfere trascendenti dell’icona. Sulle rive di un lago verdognolo Gesù, in tutta la sua placida sovranità, stende la mano verso i due pescatori. L’invito proclamato dalla muta eloquenza dell’immagine è quello di gettare le Duccio di Buoninsegna, Vocazione di Pietro e Andrea, reti dalla parte destra della barca. particolare della Maestà, 1308-1311, La mano di Simone, che di lì a poco Washington, National Gallery Of Art. verrà chiamato Pietro, si alza in segno di timida e temporanea obiezione. Come si sa, questa prima moltiplicazione dei pesci si sviluppa in realtà come una scena di vocazione. Il prodigio di una pesca inaspettatamente abbondante è la scintilla da cui nasce l’amicizia fra i due pescatori e Gesù che li invita a seguirlo. Comincerà per i due fratelli un addestramento traboccante di incognite e di stupore, ma nel quale saranno lentamente presi nella rete della fascinosa rivelazione di Gesù come Figlio di Dio.

La scoperta del Tempo Ordinario

Lungo il corso dell’anno liturgico, ci sono trentatrè domeniche che non celebrano nessun particolare evento cristologico, ma formano una sorta di racconto lineare della cosiddetta «vita pubblica» di Gesù. In essa vengono messi in luce la sua particolare forma annuncio, il suo modo di rendere autorevole testiIl Tempo Ordinario scorre lungo una sequenza di monianza di Dio. Questa lunga sequenza di domenidi 33 domeniche. Offre ai discepoli la possibi- che, che come un fiume carsico scorre scomparendo

lità di seguire Gesù davvero e adesso.

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- L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA - IL TEMPO ORDINARIO- SEGUIRE E IMITARE GESU’ e ricomparendo fra i vari spazi dei tempi forti, viene chiamata «Tempo Ordinario». Questo filo rosso di domeniche ordinarie si può ritenere in qualche modo una «scoperta» della riforma liturgica del Vaticano II, la quale aveva sentito il bisogno di rimediare alla colonizzazione agiografica dell’anno liturgico. Le celebrazioni dei santi avevano in gran parte invaso la struttura liturgica annuale. Con questa grande esaltazione del culto dei santi, la vita cristiana aveva subito, senza accorgersi, il ritorno di una religiosità di impronta più arcaica, un senso più generico del sacro, capace di occupare uno spazio assai contiguo a quello del magico e del paranormale. La cosiddetta «pietà popolare» è stata spesso il territorio di frontiera di quel confronto, mediante il quale il cristianesimo ha sempre cercato di addomesticare un residuo di paganesimo sempre pronto a rianimarsi, ma anche ad improntare di sè ogni aspetto della pratica cristiana. Qualche volta questa religiosità magico-arcaica ha di fatto prevalso sulla genuina celebrazione del mistero pasquale. Per tutte queste ragioni la riforma conciliare ha riaffermato, come centro dell’anno liturgico, la Pasqua di Gesù e la celebrazione domenicale, subordinando la devozione alla liturgia e le feste dei santi alla Pasqua domenicale. In questo programma di pulizia liturgica, la riforma ha restituito la giusta e opportuna dignità al ciclo del Tempo Ordinario.

Seguire Gesù davvero e adesso Questo ciclo di domeniche, che sono una specie di collante invisibile dell’intera struttura dell’anno liturgico, rappresenta il tempo del discepolato quotidiano, nella memoria costante della Pasqua e in ascolto paziente della Parola. Rende possibile per il discepolo di oggi un vero cammino di sequela e imitazione nella vita ordinaria. La funzione specifica della liturgia cristiana infatti, come si è già avuto modo di dire a proposito del senso dell’Eucaristia, non è semplicemente quella di produrre semplici atti di commemorazione, emotivamente ricchi fin che si vuole, ma in fondo semplicemente ricordi, magari animati dal rammarico della distanza temporale. Al contrario, il dispositivo della liturgia cristiana ha tutta la pretesa di far valere la potente funzione del «memoriale», una forma di ritorno al passato capace di agire nel presente. La fede del discepolo, del resto, è atto realmente libero e umano solo se pronunciata in proprio nell’attualità del presente. Perciò è assolutamente necessario che il cammino di sequela e di imitazione permanga una possibilità del presente per ogni discepolo della storia. La Rivelazione cristiana è proprio questo: la destinazione universale, rivolta cioè a tutti, dell’invito con cui Gesù attrae ogni uomo nello spazio personale della sua relazione con Dio. Questa possibilità non può restare il privilegio di una generazione fortunata. Al contrario, la testimonianza offerta da quella generazione, tradotta nel potente strumento simbolico della Tradizione (la Scrittura, la Liturgia, la Comunità), si trasforma nel principio attivo attraverso cui ciascun discepolo, di ogni tempo e di ogni luogo, può ripercorrere lo stesso itinerario in modo reale e attuale: davvero e adesso.

Umili imitatori di Gesù Liturgia, Scrittura e Comunità sono principi messi a sintesi in ogni celebrazione domenicale. La liturgia nel suo complesso mette in azione questo efficace dispositivo. Le domeniche del Tempo Ordinario però segnano più esplicitamente il tracciato di un itinerario di discepolato sempre a disposizione di chiunque. Lo strumento più importante, che permette di qualificare una serie di liturgie domenicali come itinerario di sequela cristiana, è l’idea della «lectio continua» del racconto evangelico. Del resto la prima conclusione dell’Evangelo di Giovanni si ferma precisamente su questa istruzione: «molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (Gv 20,30-31). Nella logica della testimonianza evangelica, il testo non è il documento di ieri, ma il sentiero aperto per oggi. Attraverso quindi la proclamazione liturgica del racconto evangelico, è il Signore stesso che nuovamente guida coloro che lo vogliono in un cammino di sequela. Ma poiché la testimonianza evangelica si presenta con quattro volti, la liturgia si organizza su un ciclo di tre anni, chiamati molto comodamente «anno A», «anno B», «anno C». Durante l’anno A la liturgia attraversa il Vangelo di Matteo, durante l’anno B quello di Marco; durante l’anno C quello di Luca. Questi tre testi evangelici, che come molti sanno sono chiamati «sinottici» perché si assomigliano fra di loro, tratteggiano ogni anno un percorso molto simile. Il quarto Vangelo, quello di Giovanni, a motivo dei testi del tutto propri che contiene, completa ogni anno il percorso dettato dagli altri Vangeli. Il risultato è sempre la possibilità di stare al passo di Gesù, e di domenica in domenica essere, come i discepoli di un tempo, attenti ascoltatori della sua parola, perspicaci ammiratori dei suoi gesti, umili imitatori del suo stile. 17


L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA- IL TEMPO ORDINARIO - SEGUIRE E IMITARE GESU’ -

Sulle tracce della storia umana di Gesù

Duccio di Buoninsegna, La Maestà, 1308-1311 Museo dell’opera della metropolitana, Siena

Fra il 1308 e il 1311 Duccio di Buoninsegna realizzare, per l’altar maggiore del Duomo di Siena, questa incredibile pala che sarebbe diventata famosa col titolo di Maestà. Dipinta su entrambi i fronti della tavola, portava sul fronte una possente Madonna con in braccio un Gesù bambino dai tratti così ieratici da sembrare un imperatore dell’antica Roma. Sul retro della tavola invece, Duccio costruiva un complesso sistema di ordini nei quali illustrava, si può dire, una sorta di esposizione sintetica del racconto evangelico. Nei ventisei scomparti principali, veniva raccontata la Storia della Passione, nella predella le Storie dell’infanzia e della vita pubblica di Gesù, mentre nel coronamento gotico sovrastante la pala trovavano posto sedici pannelli con le Vicende della Vergine e del Cristo Risorto. L’intero spartito della testimonianza evangelica veniva esposto nel centro focale della celebrazione liturgica. La concezione soggiacente a questo vero e proprio strumento liturgico, come a molti altri diffusi nelle chiese di questo tempo, era l’impossibilità di entrare nelle profondità del mistero cristiano senza transitare pazientemente lungo il sentiero della vita del Maestro. Un altro modo di suggerire la necessità di stare, anche nel presente, sulle tracce della storia umana di Gesù.

Le folle e i discepoli

Nel Tempo Ordinario, anche a noi oggi, il Signore chiede di uscire dalla folla. Ci separa, ci fa entrare nell’intimità dei suoi pensieri.

Accade anche a noi di sperimentare il modo differente con il quale Gesù si occupava delle persone che lo seguivano. Gesù difatti, proprio perché ama ciascuno, non tratta tutti allo stesso modo. Egli ha un modo di occuparsi di quella massa generica di simpatizzanti che gli evangelisti chiamano «folle», e un modo di prendersi quotidianamente cura di quelli che egli stesso chiama «discepoli». Di fronte alle folle, Gesù è capace di intima commozione, in esse vede la rappresentazione dell’umanità in attesa di riscatto, per esse trova parole di una sapienza traboccante di commozione, davanti ad esse si lascia andare a segni prodigiosi con l’intenzione di annunciare un compimento destinato a tutti. Gesù sfama sempre le folle: di qualsiasi natura sia il pane di cui esse hanno fame. Ma delle folle Gesù conosce anche la volubilità, l’inconsapevolezza di molti di coloro che le compongono, l’incerta emotività della loro presenza. Alle folle Gesù non chiede nulla di speciale: si accontenta di amarle. Al contrario, Gesù si sceglie qualcuno a cui destinare un insegnamento esigente e quotidiano. Ai discepoli chiede di superare il fragile stadio dell’entusiasmo

per entrare profondamente in sintonia con la logica della sua testimonianza. Per fare questo, Gesù li separa dalla folla, li prende a vivere con sè, li gratifica di un’istruzione negata alle folle, li fa entrare nell’intimità dei suoi pensieri, li addestra alla difficile assimilazione del suo stile di vita. Li porta sulla soglia della professione di fede. Li introduce nello spazio della sua rivelazione come Figlio di Dio. Saranno loro, dopo, a ritornare dalle folle, rinnovando, a titolo di testimonianza personale, la pienezza umana possibile nella vita evangelica. Il Tempo Ordinario, nel quale la liturgia ci rimette alla sequela di Gesù, ci prende per mano conducendoci sulla linea di questo salto di qualità. Siamo chiamati a uscire dal grande perimetro dei simpatizzanti per imboccare la strada di una scelta 18


L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA - IL TEMPO ORDINARIO - SEGUIRE E IMITARE GESU consapevole. La fede nel Cristo Risorto richiede questo grado di coscienza. Uscire dalla folla dei generici devoti della religione, per entrare nel numero di coloro che hanno occhi per riconoscere «la parte migliore». La liturgia ha nel Tempo Ordinario uno degli strumenti più precisi per rendere possibile questo itinerario. Ogni anno il tirocinio ricomincia. Per chi ha perduto buone occasioni. Ma anche per chi, avendole colte, ne vuole rinnovare l’incanto.

I frutti della fedeltà

Questo ciclo di domeniche, compreso in questo modo, non ci può più apparire una catena di celebrazioni estemporanee e intercambiabili. Molti credenti immaginano ancora la liturgia domenicale come una prestazione devozionale chiusa in sé stessa. Le domeniche del Tempo Ordinario ricordano invece che l’insieme delle liturgie forma un itinerario coerente i cui passi costruiscono un cammino efficace soltanto se percorso con fedeltà. D’altra parte la coerenza dell’itinerario può essere un cammino attraente soltanto se essa viene messa in luce da un modo sapiente di celebrare. Per esempio evitando il più possibile il moltiplicarsi, nella Messa della domenica, di invadenti intenzioni d’occasione (la domenica dello sportivo, quella dei caduti, la giornata della scuola, quella dell’infanzia). La liturgia domenicale non può trasformarsi

nel contenitore di cause che possono e devono essere accudite altrove. Piuttosto la sapienza celebrativa dovrebbe saper dare un’effettiva natura di itinerario a partire da una predicazione capace di mostrare la logica di continuità nella Parola proposta di domenica in domenica. I brani della Scrittura, letti nella liturgia, non sono adorabili citazioni momentanee. La forma di lettura continua, specialmente nel caso del Vangelo, invita anche a porre ogni ascolto domenicale nell’incremento progressivo di un percorso più generale. L’ascolto di questa domenica è lo sviluppo di quello della domenica precedente e prepara al senso di quella successiva. Qui, predicatori e ascoltatori, sono chiamati da appassionati discepoli ad una comune fedeltà, attraverso la quale poter confessare con la prontezza di Pietro «Tu sei il Cristo»

creativa-mente per attivarsi in famiglia genitori e figli Il cammino dei discepoli

1. Apriamo gli occhi Possiamo simulare due situazioni: a) Un viaggio disorganizzato, senza una guida. b) Un viaggio pensato, gestito, con una meta e con tappe prestabilite. Ci chiediamo: a) Quali sono le differenze tra il primo viaggio e il secondo? 2. Attingiamo alle fonti · Leggiamo un brano di chiamata (Mt 4,18-22; Mc 1,16-20; Mc 3,13-19…); ci chiediamo? a) Quale attività stavano svolgendo i discepoli? b) Che cosa dice loro Gesù? c) Che cosa muta nella loro vita? dopo aver letto il conntenuto di queste pagine ci chiediamo: che cosa può voler dire, per noi oggi, seguire Gesù adesso e davvero? 3. Celebriamo · Come famiglia facciamo percepire la differenza tra giorni feriali e festivi. · Precediamo i nostri figli a Messa. Invitiamoli ad individuare quale è il regalo che, di domenica in domenica, il Padre ci fa. 4. Ci attiviamo · Rappresentiamo con oggetti i vari momenti della giornata (il letto, il banco di scuola, la tavola, il luogo di lavoro). Proviamo a mescolarli. Poi facciamo il gioco di ricomporli. · Rappresentiamo le varie stagioni dell’anno. Proviamo ad inserirvi i frutti caratteristici ed i simboli delle varie feste. · Osserviamo insieme le immagini evangeliche che ci sono nella Pala di Duccio di Boninsegna. Notiamo che si compongono in forma di storia. · Creiamo un album. Mettiamo un titolo: “Il tempo in compagnia di Dio”. Nei vari fogli in cellophane, di domenica in domenica inseriamo: a) Un’immagine presa dal Vangelo. b) La figura che predomina c) Gli eventuali personaggi delle parabole. d) Inseriamo poi, lungo la settimana, i fatti salienti.· Creiamo un album. Mettiamo un titolo: “Il tempo in compagnia di Dio”. Nei vari fogli in cellophane, di domenica in domenica inseriamo: a) Un’immagine presa dal Vangelo. b) La figura che predomina c) Gli eventuali personaggi delle parabole. d) Inseriamo poi, lungo la settimana, i fatti salienti. e) Di domenica in domenica spostiamo in avanti una bandierina. Valorizziamo, come preghiera, l’invocazione che compare nel Vangelo. 19


I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Recarsi al tempio- I GESTI DELLA FEDE riscoperti

LA FEDE HA I SUOI GESTI La fede ha le sue feste. Lo abbiamo visto nel percorso presentato nei notiziari precedenti. La fede ha i suoi gesti. Attraversano tutta la sua esistenza anche feriale. Nelle prossime pagine li enumeriamo e li mettiamo in fila: recarsi al tempio, entrare, fare il segno della croce, battersi il petto, accogliere la Parola, stare in piedi, inginocchiarsi, adorare, benedire, spezzare il Pane, invocare il Signore. Di ognuno di questi esprimeremo la valenza antropologica, biblica, liturgica.

I gesti della fede

RECARSI AL TEMPIO

Gentile da Fabriano, Adorazione dei Magi, 1423 Olio su tela, Firenze, Galleria degli Uffizi

MA IL TEMPIO DOV È?

Ai suoi tempi, quest’opera era il capolavoro. Ci potevi stare davanti anche due ore e venir via con la sensazione di non aver visto tutto: uomini, cavalli e un campionario di bestie esotiche che vanno dalle scimmie al dromedario e al leopardo. Senza dimenticare il falco, la ghiandaia e tutte le bestie domestiche. E se le stoffe e i ricami sono la tua passione, ti potresti divertire un mondo a scoprirli e a ricercare il complicato e genialissimo modo con cui il pittore è riuscito a renderli: impasti di colle e gessi lasciati in rilievo, foglie d‘oro e d’ argento, graffiature di pennino, velature traslucide, date a più riprese con il pennello. E proprio al chiudersi dello stile medievale, nel cosiddetto Gotico fiorito, il pittore è riuscito a trattenere tutto quello che di fiabesco quello stile era riuscito a conquistare, soprattutto la capacità di narrare una storia come in un film; nel nostro caso: l’apparizione della stella ai Magi, il loro mettersi in marcia, vari momenti del loro cammino e, finalmente, il loro arrivare alla grotta. Ma anche: la curiosità quasi scientifica di descrivere animali rari, la pace o la lotta tra loro, certe visioni dall alto che vanno al di là di ogni prospettiva, il tono fiabesco che lascia al cielo il colore dell’oro. Ma la grotta? Dov’è il tempio santo a cui tutto il corteo è diretto? A parte l’architettura che sa di puro dettaglio descrittivo, se tu con una mano riesci a proteggere il primo piano da tutto il resto, la cosa si fa commovente. Saranno anche vanitosi quei tre Magi (dei vestiti così sono il massimo della ricchezza), ma ora il loro volto si fa concentrato. Uno è già in ginocchio. E non lo fa per scherzo. Gli altri sono semplicemente commossi. Maria e Giuseppe sono stupiti e accoglienti. Il piccolo Gesù ha trovato divertente la testa calva del primo degli offerenti. Ma non sta scherzando. Ha già pensieri più grandi di lui. Anche tu ora, sempre protetto dalla mano che ti isola dal traffico e dalla curiosità (fatta comunque di tanto splendore), puoi portarti sull essenziale, anche tu puoi entrare in raccoglimento. 20


in famiglia - Recarsi al tempio- I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Recarsi al tempio-

Percorso biblico

LA PARABOLA DEI CERCATORI DI DIO Con la sua opera Adorazione dei Magi Gentile da Fabriano ci racconta una storia precisa, il viaggio dei Magi. Lo seguiamo passo passo, scoprendone la valenza simbolica. Gentile da Fabriano, con la sua opera Adorazione dei Magi, ci racconta un viaggio (cf Mt 2,1-11). Lo fa con le modalità di un film. Possiamo agevolmente seguire le varie fasi. Lì dentro c’è un esperienza particolare (quella dei Magi) ma, contemporaneamente, c’è il percorso dei cercatori di Dio. Raccontandolo, noi siamo in grado di

rimarcare tanti gesti della fede. I Magi vedono la stella Il percorso dei Magi (e dei cercatori di Dio) comincia con qualcosa di magmatico. Da una parte, in negativo, c è l’insoddisfazione di sé, del provvisorio, del normale. In positivo si vive una ricerca profonda, insaziabile.Nel cuore dell’uomo c’è la nostalgia di Dio. Lo Spirito Santo l’ ha collocata in questo sacrario che è la coscienza. Si hanno i beni, ma si cerca il bene. Si vede la morte, ma non ci si arrende. Si vivono tanti incontri, ma si vuol vedere il Totalmente Altro. Una luce appare in cielo. Forse è un fenomeno astrale. Forse è un evento. Forse è un contatto con una tradizione religiosa. Si alzano gli occhi al cielo, si supera il risaputo. Si decide di partire. Ci si erge, ci si incammina. Lungo la via si incontrano altri. Si forma una vera e propria processione. Possiamo darle un nome: religione. È il tentativo di interpretare globalmente la realtà. È un insieme strutturato di credenze, riti, osservanze etiche. I Magi arrivano a Gerusalemme I tre decidono, per aver risposta alle loro domande interiori, di rivolgersi ad una tradizione precisa, quella di Israele. A questo punto la religione può diventare fede. Viene loro aperto un libro, il Primo Testamento. Esso è memoria delle meraviglie del Dio

HA TROVATO CASA

vivente. I Magi giungono a Betlemme I Magi non si fermano a Gerusalemme. Non entrano nel tempio. Resta per loro aperta la domanda: Dov’è il re dei giudei? Ecco la sorpresa. Gentile da Fabriano ce la mette sotto gli occhi. Il grande serpentone di persone, animali e bagagli ha un terminale preciso: il bambino Gesù. È lui la stella che orientava già dall’inizio il percorso. Ecco dei gesti molto espliciti compiuti dai Magi (e da noi cristiani): inginocchiarsi, adorare, offrire doni. Come si vede dal dipinto di Gentile da Fabriano, il percorso non va verso l’alto (un monte, un tempio), ma verso il basso. Raggiunge il Dio piccolo piccolo. Alla fine non c’è un edificio: c’è Maria che presenta suo figlio. Ci sembra di vedere tante facciate delle nostre chiese in cui c’è la Vergine che tiene in braccio Gesù e quasi lo porge a chi arriva. Ci pare di sentire l’annuncio dell’angelo alle donne: Voi cercate Gesù di Nazareth; non è qui; è risorto. Andate dai fratelli, là lo vedrete! (cf Mc 16,7; Mt 28,7). Per la fede cristiana è una comunità a funzionare da luogo dell’appuntamento. I Magi trovano una casa, una grotta, ma, soprattutto, una famiglia (Maria, Giuseppe, altre donne).

Lorenzo Lotto (1480-1556) Presentazione al tempio Loreto, delegazione Pontificia per la Casa

NEL SANTUARIO

Con questa tela, Lorenzo Lotto ci saluta alla vigilia della sua partenza da questo mondo. L’ultima opera di un grande artista ne è anche il testamento. C’è tutto di lui e c’è anche molto di quello che verrà. Chi non la direbbe infatti un quadro del Goya (1746- 1828), di quel Goya ancora insuperato nel dar corpo ai sogni e agli incubi, che solo la nostra generazione contemporanea saprà riconoscere? Ebbene, il finissimo lettore dell’anima, il pittore capace di captare la zona misteriosa in cui la presenza demoniaca insidia l’irruzione della grazia, l’inventore di luci estreme e di colori tersi, assordanti e insieme dissonanti, l’uomo capace di anticipare ogni modernità con deformazioni e allungamenti che i contemporanei non possono capire è capace di ripresentare una grande scena strutturata su un impianto volutamente ancora medievale, ebbene questo Lorenzo Lotto ha trovato la pace dell anima alla Santa Casa di Loreto, dove si è fatto oblato. Dipinge anche i letti degli ammalati. Ha trovato casa in tutti i sensi. Le sue inquietudini, le incom21


I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Recarsi al tempio- I GESTI DELLA FEDE riscoperti prensioni che non l’hanno mai voluto fra i grandi di Venezia, la povertà, forse dovuta alla poca capacità di gestirsi, ora tacciono. Lui va avanti e indietro dal tempio, passando dalla porta privata degli oblati. Quante volte ha visto spalancarsi il portone laggiù in fondo ed entrare i primi pellegrini! Oggi egli si immagina di aver visto entrare Maria e Giuseppe con il Bambino. E allora fa suo il canto di Simeone che lo sta intonando giù sotto: Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace . Lorenzo, con il vestito dell oblato (di colui che ormai si è consegnato per sempre) e con l’umile cappuccio in testa, ci saluta da lassù, da quel sopralzo dove le pareti sono ornate con tele ancora tutte da pitturare. Ma resteranno vuote, resteranno così come sono, perché la realtà ultima gli sta per apparire sostituendosi alle figure che nella sua vita di pittore gliel’avevano preannunciata. E per dire ciò gli bastano pochi tocchi, poca materia, poco tutto perché sta arrivando il grande tutto.

IL TEMPIO IN PIETRA

Vademecum liturgico

Anche nella religione cristiana ci sono i templi. Come si caratterizzano? Quale funzione svolgono? Casa di Dio? Il tempio dei cristiani non è lo spazio della divinità. Così era per le religioni di Atene e di Roma. Il Dio vivente soffre la claustrofobia. È in perenne cammino con il suo popolo (2 Sam 7,6). Il suo spazio è il cosmo, il suo ambito è la storia (cf 1Re 8,27). Il tempio dei cristiani è lo spazio della comunità. Permette ad essa di essere Ecclesia, convocazione. In questo senso è nella linea della sinagoga. Permette ai discepoli di incontrarsi, vedersi bene, sintonizzare voci e gesti, udire contemporaneamente la Parola, spezzare lo stesso Pane, condividere lo stesso Vino. Luogo dell incontro Il tempio ha uno sguardo sul passato. Aprendo il lezionario, udendo la Scrittura, i discepoli fanno memoria di altri luoghi o spazi di incontro tra il Dio vivente ed i credenti: il roveto ardente (Es 3), la tenda nel deserto (Es 26,36), l’arca (1 Sam 4-6), Betel (Gdc 20,27), Silo (1 Sam 3,3), il tempio di Salomone (cf 1 Re 8) Simbolo del Risorto e della Chiesa Il tempio ha un insistenza sul presente. In questo senso è Epifania del Risorto. Ogni oggetto, ogni elemento lo rivela: la mensa, il crocifisso, pane e vino, l’ambone, la sede del presidente dell’assemblea. Tutto celebra la sua personale presenza (SC 7). Non si va al tempio per scongiurare una divinità assente. Ci si reca lì in risposta all’invito: Venite in disparte e riposatevi un pò (Mc 6,31). O, meglio ancora: Prendete e mangiate; questo è il mio corpo; prendete e bevete questo è il mio sangue . Il tempio è epifania della Chiesa. La manifesta in tutto il suo splendore: terrestre, ma destinata al cielo, una e molteplice nei ministeri, visibile, ma simbolo di realtà invisibili (cf SC 2). Figura della Gerusalemme del cielo Il tempio ha uno sguardo sul futuro. Non ci sarà nell’aldilà. Fa sentire la nostalgia del cielo, ove Gesù sarà la luce per tutti, pane per ogni popolo, acqua per ogni sete, albero della vita. Nel tempio si conosce il Risorto come in uno specchio. I riti, con la loro ripetitività, educano i nostri occhi a vedere Dio faccia a faccia (2Cor 5,1- 10). Il tempio è dimora provvisoria. Dà proprio l’idea della vita come pellegrinaggio. Nel cuore, una mensa Il tempio dei cristiani ha, nel suo cuore, una mensa. In questo senso rappresenta una novità assoluta rispetto alla sinagoga. C’è quindi una progressione tra i vari elementi: la facciata fa intravvedere una storia, 22


in famiglia - Recarsi al tempio- I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Recarsi al tempiola porta introduce, il fonte battesimale è prima esperienza della Pasqua, l’ambone apre le orecchie ed il cuore, la Mensa eucaristica rende partecipi del Corpo e Sangue del Signore. Pietre vive costruite dallo Spirito Il tempio dei cristiani non è né sacro, né santo. La sua efficacia non dipende dai marmi, dal disegno architettonico, ma dallo Spirito Santo. Funziona nella misura in cui i discepoli sentono diretta a sé la frase di Paolo: il tempio di Dio siete voi (1Cor 3,16). Nelle persone credenti lo Spirito è di casa (cf 1Cor 6,19). La stessa accentuazione ci viene dalla catechesi ai neofiti contenuta in 1Pt: Pietre vive siete voi, costruiti come un edificio spirituale (1Pt 2,4). Questo porta con sé un altra affermazione. Tutti i gesti che ivi si compiono (fare il segno della croce, congiungere le mani, inginocchiarsi, adorare, condividere pane e vino) sono funzionali al glorificare Dio nel corpo (1Cor 6,20), offrire se stessi nell’oblazione della carità (Rom 12,1), cingere il grembiule, servire Dio nei fratelli (Gv 13).

Celebrare

NOSTALGIA DEL TEMPIO Come la cerva anela ai corsi d acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. L’ anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio? Le lacrime sono il mio pane giorno e notte, mentre mi dicono sempre: «Dov’ è il tuo Dio?». Questo io ricordo e l’anima mia si strugge: avanzavo tra la folla, la precedevo fino alla casa di Dio, fra canti di gioia e di lode di una moltitudine in festa. Perché ti rattristi, anima mia, perché ti agiti in me? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio. [Sal 42,2-6].

TRAMATE CON NOI - per attivarsi in famiglia genitori e figli FACENDO SI IMPARA

Attività Da svolgere preferibilmente con i bambini: Guardiamo insieme in famiglia l’ immagine l’Adorazione dei Magi. Ci chiediamo: Quali sono le tappe del viaggio? Dove si fermano? Dove arrivano? Che cosa fanno appena giungono a destinazione? Rispondiamo sulla modalità del diario di bordo. Infine disegnamo il percorso. Guardiamo l’ immagine Presentazione al tempio di Lorenzo Lotto. Contemporaneamente leggiamo Lc 2,22-40. Ci chiediamo: Quali i personaggi del quadro? Come è rappresentato il pittore? Che ci vanno a fare al tempio Maria e Giuseppe? Chi incontrano? Che cosa dice loro Simeone? Come vive, al tempio, la profetessa Anna? Ci sono spazi vuoti, tele bianche: che cosa potrebbero rappresentare ? La pedagogia dei segni I gesti sono più eloquenti di ogni discorso. Danno un approccio vitale, globale: Prima di partire, preghiamo anche noi con il salmo 42,2-7. Vestiamoci a festa. È il modo di esprimere tutto ciò che di bello Dio prepara per noi. Arrivati al tempio (chiesa), puntiamo direttamente verso il segnale che ci manda la lampada del Santissimo. Facciamo una profonda genuflessione. Invitiamo i bimbi ad inviare un bacino a Gesù. Poi facciamo il giro della chiesa. Non perdiamoci in lunghe spiegazioni. Gli occhi dei bimbi siano la nostra guida. Rispondiamo brevemente alle loro domande. ● Collochiamo le immagini dei santi sul cruscotto della macchina o sul comodino dei nostri figli. ● Sul calendario appeso al muro segniamo, giorno dopo giorno, il nome del santo. ● Componiamo una corona: poniamo Cristo al centro. Attorno, in forma di girotondo, collochiamo Maria, gli angeli, i santi. 23


I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Entrare- I GESTI DELLA FEDE riscop

I gesti della fede

La missione degli apostoli, 1120 ca Vezelay, Sainte-Madeleine, Portale Ovest, timpano

ENTRARE

PORTA APERTA CUORE SPALANCATO VERSO LA LUCE DELLA NAVATA Un abbraccio così te lo sognavi da sempre. Dalle mani aperte di questo allungatissimo Cristo seduto in gloria, partono dodici raggi che vanno a po-sarsi sugli Apostoli, innescando, con l’aiuto della circolarità del timpano, un movimento rotatorio che va a distendersi sull’architrave lungo la quale tutta l’umanità è in processione verso l’unico ovile. È la visione che riguarda la fine dei tempi. Quelli erano i tempi delle crociate (qui nel 1146 Bernardo di Chiaravalle predicò la seconda crociata). Era il tempo del grande pellegrinaggio a Santiago di Compostela (e Vezelay ne era una tappa importante). Ma qui siamo alla fine di tutto, quando tutto sarà di Cristo e Cristo consegnerà tutto al Padre. Te lo garantisce Pietro il Venerabile che, essendo priore al tempo della costruzione del portale, ne è stato anche l’ideatore, prima di passare come abate a Cluny. Lui è riuscito a sintetizzare mille anni di annuncio della fede cristiana, senza nascondere le lotte della luce contro le tenebre. Senza nessun trionfalismo. Lo sapeva anche Bernardo che, per far ripartire il mondo, bisognava riattingere alla forza dello Spirito. Lui la crociata la pensava così: come un grande movimento di conversione al Cristo. Hanno prevalso altre logiche. Ma qui è rimasta la grande visione della fine, detta in quello stile romanico che più di tutti sa unire il più ardito misticismo ieratico con il più drammatico dei realismi. I popoli ci sono tutti, anche gli Sciti, che, per sentito dire da fantasiosi narratori, avevano le orecchie grandi. E qui ci siamo anche noi. Qui, davanti a questo timpano, protetti dal grande porticato (il nartece) che ci fa da camera oscura, veniamo proiettati, attraverso il filtro di questa scultura, verso la luce della navata e del presbiterio, la luce più chiara che si sia mai vista in una chiesa. Fuori può esserci il sole o potrebbe anche piovere. Qui comunque ti trovi nel bianco assoluto, che è la somma perfetta di tutti i colori. Non riesci a entrare in questo spazio senza trattenere il fiato. Per fortuna senti che stanno celebrando. Per fortuna puoi riprendere a respirare. Altrimenti diresti: ma come ho fatto a trovarmi di colpo in Paradiso? E quand’è che sono morto? Troppo bello per non volerci ritornare. ******

ENTRARE, NON ENTRARE: QUESTO È IL PROBLEMA!

Percorso biblico

La porta unisce il “dentro” e il “fuori”. La porta separa. L’ entrare è un’opportunità; l’attraversare la soglia è un rischio. Il nostro percorso biblico, stavolta, non è lineare. Procede per flash, individuando alcune situazioni presenti nel NT. Così intende porre in rilievo ciò che si gioca in questo “attraversamento”. Entrare, cioè rischiare Ci mettiamo anzitutto nei panni di Simon Pietro, secondo quanto ci narra Atti 10. Egli è stato indotto (suo malgrado) a recarsi a Cesarea al Mare. Ora è davanti alla porta della casa del centurione Cornelio. L’ interrogativo è: entrare? Non entrare? Da una parte sente il fascino di un’avventura. Si tratta di una soglia nuova per l’Evangelo, per la Parola. D’altra parte, dentro di lui, ci sono pesi, resistenze, paure. Quello è uno spazio impuro. Entrando viola una legge. Se lo verranno a sapere altri, che succederà? Si decide ad entrare. Con sua enorme sorpresa scopre che lo Spirito è già all’opera. Ha preceduto l’istituzione. Simone sigilla tutto questo battezzando Cornelio e la sua famiglia. Entrare è compromettersi; è voler condividere ciò che lo Spirito vuole compiere. Si tratta di una vera e propria emigrazione. Dentro o fuori? La porta non è un qualsiasi elemento di un edificio. Lo vediamo bene mettendoci nei panni delle dieci vergini (Mt 25,111). Tutte arrivano con le fiaccole; tutte aspettano fuori; tutte si assopiscono. Alcune non hanno sufficiente riserva di olio. Vanno a comprarne. Lo sposo arriva. Le 5 sagge entrano. Giungono poi le altre. Bus-sano con insistenza. La risposta 24


perti in famiglia - Entrare- I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Entrare è una delle frasi più dure del NT: “Non vi conosco”. Dentro c’è la luce, la festa, lo sposo. Fuori c’è tenebra, pianto. L’intero capitolo ci dice con Gesù che il “dentro” o il “fuori” non sono né di tipo spaziale, né di tipo cultuale. Sono esclusi anche quelli che hanno mangiato e bevuto con Gesù o hanno profetato nel nome del Signore. Il criterio è “Mi avete riconosciuto nell’indigente; vi riconosco. Venite con me dal Padre. Non mi avete riconosciuto; via da me nel fuoco eterno” (cf Mt 25,31-46). Accettare il vero Dio, accettare il fratello Un altro nodo ci viene presentato nella parabola del padre (Lc 15,1-2.11-32). Il figlio minore se ne va. Sbatte la porta. Cerca la vita altrove. Percorre una via di progressivo decadimento. Arriva alla constatazione: “Io qui muoio di fame!”. Prende la decisione: “Mi alzerò, tornerò da mio padre”. Ripercorre la via a ritroso. Il padre lo vede, si commuove, gli corre incontro, lo bacia, lo abbraccia. Per lui dà una festa. Il figlio maggiore è fuori, nei campi. Si vedrà dal seguito che l’annotazione non è di tipo spaziale. Considera Dio come capo (ho eseguito ogni tuo ordine), come padrone (ti servo da tanti anni). A lui si è legato in termini contrattuali (tu non mi hai dato…). “Uccide” suo fratello, lo inchioda al suo passato. Il padre lo invita ad entrare in modo che accolga il suo orizzonte: lui è padre per tutti e due; stare con lui è vivere. La parabola si chiude al versetto 32: sarà entrato il fratello maggiore? Se a bussare è Dio Nell’ultimo libro della Bibbia, la posizione è rovesciata. È Dio che, in Gesù risorto, visita la casa dell’uomo. Si arresta rispettoso di fronte alla porta. Noi abbiamo la maniglia. Il Risorto mostra il massimo rispetto delle scelte dell’uomo. Se gli apriamo, egli entra, cena con noi, ci fa partecipi della gioia del Padre (Apoc 3,21).

UNA STORIA IN 10 PUNTATE

La porta di casa è un vero e proprio biglietto da visita. Questo avviene soprattutto per le chiese che sono “la casa” per eccellenza. Tutto quello che avviene dentro la Chiesa, tutta la Storia santa, tutti i misteri celebrati, tutti i santi di cui si conserva particolare memoria, tutto vorrebbe essere anticipato su quei due battenti che, aprendosi, ti immettono nello spazio e nel tempo della liturgia e, restando chiusi, restano un richiamo visivo che si presta all’istruzione delle nuove generazioni. A Santa Sabina in Roma è proprio su una formella della porta d’ingresso che troviamo uno dei primissimi Crocifissi, segno chiaro di confutazione di ogni teologia che metteva tra parentesi l’umanità di Cristo. Tra le tante porte, abbiamo scelto quella del “Paradiso”. Si tratta della porta est del Battistero di Firenze. Quando, nel 1401, l’Arte di Calimaia, che aveva il patronato sul Battistero, bandì un concorso per la seconda porta (la prima, la porta nord, era già stata realizzata da Andrea Pisano), ci fu una gara da urlo: Filippo Brunelleschi, Jacopo della Quercia, Donatello (ma aveva solo 15 anni e quindi…) e Lorenzo Ghiberti furono tra i partecipanti. Vinse quest’ultimo, il meno moderno. Lavorò con tanta passione che, finita quella porta (21 anni di lavoro), si vide assegnare anche la porta est. Ormai aveva assimilato anche lui le novità del prepotente umanesimo che si era andato affermando con grande entusiasmo a Firenze. Lo stesso Michelangelo definirà questa porta come la Porta del Paradiso. È detta così ancora oggi per la sua bellezza e per il suo affacciarsi sulla Cattedrale, che è S.Maria del Fiore. Le formelle sono 10: Adamo e Eva; Caino e Abele; Noè; Abramo; Isacco, Esaù e Giacobbe; Giuseppe; Mosè; Giosuè; Davide; Salomone e la Regina di Saba. Evidentemente un teologo aveva scelto i temi e aveva tenuto presente che la vita di Gesù era già stata svolta sulle altre due porte. Come dire: tutta la Bibbia in sintesi. Tanto piacque la Porta del Paradiso (27 anni di lavoro) che al settantasettenne Ghiberti si chiese di rifare la Porta di Andrea Pisano. Ci pensò la morte a porre termine a questo progetto, accettato con entusiasmo dall’artista.

(Lorenzo Ghiberti, La Porta del Paradiso, Battistero di Firenze) Vademecum liturgico

IL PASSO DECISIVO

Tutte le porte hanno una loro precisa valenza simbolica. Quella dell’edificio chiesa che cosa esprime? Ecco un itinerario per varcare quella soglia. Questa storia è la tua! Prima del tuo “sì” al culto, ci vuole il tuo “sì” alla fede. Prima del precetto (vai in Chiesa!) ci vuole la scoperta lucida, adulta che ci sia per te qualcosa di grande da celebrare. Occorre che qualcuno (un nonno, un genitore, un catechista, un prete, una comunità) ti racconti una Storia. È quella che Lorenzo Ghiberti ha scandito in 10 formelle nella Porta del paradiso. È la graduale discesa di Dio tra

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I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Entrare- I GESTI DELLA FEDE gli uomini. L’abbraccio avviene in Gesù crocifisso e risorto. Varcando la soglia del tempio, sentirai che quella storia ti raggiunge, illumina i tuoi giorni. Ti apparirà come trama di tanti fili che ti collegano con altri uomini. Quella storia ti verrà raccontata nelle Letture con la stessa cadenza: - progetto, realizzazione - promesse, adempimento - prima e seconda alleanza - vaghi bagliori e luce piena in Cristo. Darai la tua adesione ad essa nel Credo. Poi quella stessa vicenda ti

apparirà condensata in un Pane da spezzare e in un Vino da condividere, nella seconda parte della Messa. Deciditi per Cristo! Sei tra i cercatori di Dio. Assomigli ai Magi (cf prima scheda). Cogli i mille segnali dell’Altissimo (il creato, l’uomo, l’arte…). Forse procedi a tentoni (At 17,27). In quella Storia che ti è stata raccontata, ti è stato dipinto dal vivo Gesù (Gal 3,1). Egli non solo ti parla di Dio, ma ti introduce da lui. Egli è la via (Gv 14,6). Lui è la porta (Gv 10,7). Se lo attraversi, raggiungi il Padre. In quel passo dall’esterno all’interno esprimi il tuo schierarti con lui. Quante volte puoi farlo in vita? - Quando ti portano in braccio per il Battesimo, ti danno un nome nuovo e vieni inserito in Cristo come un tralcio alla vite; - quando il vescovo sigilla la tua fronte, ti conferma mediante l’unzione dello Spirito, ti colloca in una Chiesa precisa; - quando partecipi alla mensa del Corpo e Sangue di Cristo; - quando ti sposi o vieni ordinato sacerdote o fai la professione dei voti; - quando i fratelli nella fede ti consegnano a Cristo per varcare l’estrema soglia ed essere introdotto nella

casa del Padre. Sotto il segno del pastore Ogni volta varchi quella porta con timore e tremore. Entrando ti senti sotto il giudizio del Figlio dell’uomo, pastore universale (cf Porta di Vezelay). Se ti lasci guardare da lui, dai suoi angeli, ricevi la luce, viene la verità sulla tua vita. Come Simon Pietro a Cesarea (At 10), lasciati sorprendere. Quel passaggio non ti lascia indenne! - Entri uomo ed esci fatto partecipe della natura divina. - Sei figlio di Giona, sei giudeo. Lo Spirito ti spalanca gli orizzonti del Padre. Ti fa sentire dentro l’abbraccio universale. Entra nella gioia del tuo Signore! Se guardi la porta spalancata del duomo di Vezelay, forse ti risuonano queste frasi del Vangelo: “Tutto è pronto, venite alla festa” (Mt 22,4). O, in modo più esplicito, “Prendete il mio corpo, bevete il mio sangue”. Si riferiscono tutte al tempo presente, alla stagione della fatica, del peccato. Sono sempre espressioni del Dio che vuole che i figli siano tutti “dentro”. Entrando tu ricevi tutto. Ma la stessa porta spalancata, ti fa memoria di altre frasi che si riferiscono alla sera della vita: “Prendi parte alla gioia del tuo Signore” (Mt 25,21.23). Alle porte della morte, che il Risorto ha reso penetrabili, ci sarà lui a prenderti per mano e consegnarti a Dio (Apoc 1,17).

Tramate con noi

L’INGRESSO COME RITO Attività da realizzare in famiglia Simuliamo situazioni tra loro opposte: -Trovare una porta aperta, oppure trovarla sbarrata; - Avere chi ti accoglie; non trovare nessuno quando arrivi. Che cosa succede nei due casi? Che cosa cambia? Giochiamo ad - Arrivare ad una porta - Oltrepassarla - Bussare e trovare chi ci accoglie - Bussare ed essere respinti Guardiamo la prima immagine e leggiamo il commento. Proviamo a scrivere le frasi che ci suggerisce la porta di Vezelay (Vieni, sei atteso…) -Proviamo a mettere queste frasi in bocca a Dio e alla Chiesa.

-Organizziamoci per l’accoglienza alla porta della Chiesa. La pedagogia dei segni C’è un galateo dell’ingresso. Ecco alcune modalità: ● Non diciamo mai ai figli “Andate a Messa”: precediamoli! ● Vestiamo i bimbi a festa. È così che Dio li vede. ● Arriviamo per tempo. ● Procuriamoci il libretto dei canti.. ● Segnamoci con il segno della croce, immergendo la mano nell’acquasantiera. ● Valorizziamo il tempo del silenzio dopo l’invito all’esame di coscienza e prima di pregare. ● In questa pausa esprimiamo il perdono a chi ci ha offeso.

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II - DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II -

CONOSCIAMO I DOCUMENTI DEL VATICANO II ‘ALLA BREVE’

La Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione DEI VERBUM (DV) La DV (Dei Verbum) ha in comune con la LG (Lumen Gentium) la vicenda iniziale, perché anche qui lo schema preconciliare De fontibus revelationis è stato respinto nel primo periodo del Concilio e se ne è chiesta una redazione diversa con una Commissione rinnovata e con finalità analoga a quella del rifacimento del De Ecclesia: che si riducesse lo scontro in atto da 4 secoli con il mondo protestante. Siccome questa costituzione sembrava meno urgente di quella sulla Chiesa, essa è stata approvata l’anno seguente, nell’ultimo mese del quarto periodo conciliare. Si concludeva in tal modo quel movimento biblico-patristico-scolastico che per un secolo aveva caratterizzato, a volte in modo burrascoso, il mondo cattolico. Siccome i sei capitoli che la compongono rivelano uno stile essenziale e ben connesso, se ne può riassumere facilmente l’esposizione. Dopo d’aver ricordato i concili Tridentino e Vaticano I (1), il cap.I si dedica al tema della Rivelazione, desunta dalla creazione in senso lato e dalla rivelazione in senso stretto (2-6), che con ‘eventi e parole’ si propone di integrare le nozioni piuttosto intellettualistiche di rivelazione e di fede fornite dalla Dei Filius nel Vaticano I: in tal modo è messa in chiaro la complementarietà fra i due concili e il progresso evidente nella comprensione ecclesiale del dogma. Per spiegare la ‘trasmissione della divina rivelazione’ il cap. II passa a trattare della Tradizione (7-10), cominciando da quella apostolica, che continua nelle successive generazioni per mezzo del Magistero vivo, interprete autoritativo della Sacra tradizione e della Sacra scrittura: la connessione stretta di queste tre realtà garantisce l’autenticità della Parola di Dio. 27

Il cap. III spiega (11-3) perché esiste un’intima relazione fra l’Ispirazione divina e l’interpretazione della Sacra scrittura: il fatto che Dio abbia ispirato la Scrittura non deve far dimenticare che gli agiografi sono dei veri autori, con quanto ne consegue per gli studi storico-critici, da non opporre sistematicamente alla lettura fatta con il carisma della fede, anche se possono esserci a volte serie difficoltà nel ricercare l’armonia fra scienza e fede. Il cap. IV (14-6) è dedicato all’Antico Testamento, che con i 21 libri storici e i 25 didattici mantiene un alto valore di contenuto e ‘pedagogico’ per gli stessi cristiani, se questi si persuadono con i santi Padri che “Novum Testamentum in Vetere latet, Vetus in Novo patet”. L’ eccellenza del Nuovo Testamento è provata nel cap. V (17-20) con il riferimento al mistero di Cristo, culmine della Rivelazione divina. Lo schema di lettura dei suoi 27 libri è suggerito, mettendo in primo luogo i 4 Vangeli, e prendendo i restanti scritti apostolici come una conferma di quanto vi si afferma sull’esistenza storica di Cristo. In tutte le epoche la Chiesa ha sempre insistito sul fatto che l’atto di fede si fonda su fatti comprovati, e non su miti e leggende. L’ultimo capitolo, La Sacra Scrittura nella vita della Chiesa (21-5), porta verso le conclusioni pastorali più ovvie: raccomanda le traduzioni, che sin dall’antichità (Settanta, Peshitta, Vulgata) hanno caratterizzato la diffusione della Bibbia, gli studi biblici e patristici che devono permeare la stessa teologia e soprattutto la lettura spirituale delle Scritture, dal momento che il ‘tesoro della rivelazione’ in esse contenuto è equiparabile soltanto a quello ‘eucaristico’.


-DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II - DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II In conclusione, questa Costituzione, dettata da ragioni ecumeniche vòlte ad attutire il secolare dissenso con i Protestanti circa i rapporti fra Tradizione e Scrittura, e soprattutto, la loro interpretazione, mostra quali siano i princìpi cattolici irrinunciabili al riguardo, che si riassumono in un profondo ‘senso della Chiesa’. Se vogliamo essere autentici ‘uditori della Parola che salva’, non possiamo prescindere dalla Chiesa, che con la sua autorità ha stabilito il Canone delle Scritture, e ne ha conservato il testo con una cura e con una venerazione che non si riscontrano per nessuna delle opere classiche, da Omero a Virgilio, trasmesseci dal passato. Quanto ai documenti conciliari che hanno a che vedere con la DV, ne menzioniamo soprattutto tre: Ad gentes, Nostra aetate e Inter mirifica. Il ‘Decreto sull’attività missionaria della Chiesa’ mostra come essa comincia l’evangelizzazione dei popoli che ancora non le appartengono mediante la promozione dei valori umani e la germinazione dei ‘semi del Verbo’ esistenti in tutte le culture (1-18): tale realtà ecclesiale incipiente è destinata, grazie al profondo lavoro missionario, a trasformarsi in un’autentica ‘chiesa particolare’, con ministri propri e con tutta l’organizzazione indispensabile (19-27). Fin qui il discorso, suddiviso in 4 capitoli, è stato prevalentemente da ‘costituzione’, mentre negli altri due capitoli si assume un tono da ‘decreto’ per attuare con norme pratiche l’interessante schema ecclesiogenetico proposto (28-42): ciò ricorda anche a coloro che sono nati in ambienti cristianizzati come sia avvenuta in origine la loro evangelizzazione. Anche la ‘Dichiarazione sulle religioni non cristiane’ serve per ricordare i princìpi di fondo che guidano il dialogo con le religioni e le culture orientali (1-2), con l’Islam (3) e con l’Ebraismo (4), riprendendo alla fine l’invito alla fraternità universale dell’inizio (5). Il ‘Decreto sui mezzi di comunicazione sociale’ ne specifica in un primo tempo il retto uso (1-12) e in un secondo tempo (13-23) raccomanda la spiritualità che deve guidare il comunicatore cattolico nell’uso di questi mezzi che possono rivelarsi utili per una rievangelizzazione degli ambienti secolarizzati attuali. Infine, giova ricordare che il XII Sinodo per l’attuazione del Concilio, sintetizzato nell’Esortazione apostolica Verbum Domini del 12.09.2010, ha riproposto in tre parti la Dei Verbum alla luce del prologo del IV Vangelo e del suo incipit tanto caro a Benedetto XVI: “In principio era il Lógos”.

I 16 DOCUMENTI CONCILIARI (in ordine cronologico)

Le 4 Costituzioni 1. Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium (SC) 2. “ dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium (LG) 3. “ dogmatica sulla Divina Rivelazione Dei Verbum (DV) 4. “ pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes (GS) I 9 Decreti 1. Decreto sui Mezzi di Comunicazione sociale Inter mirifica (IM) 2. “ sulle Chiese Orientali Cattoliche Orientalium Ecclesiarum (OE) 3. “ sull’Ecumenismo Unitatis redintegratio (UR) 4. “ sull’Ufficio pastorale dei Vescovi Christus Dominus (CD) 5. “ sul rinnovamento della Vita Religiosa Perfectae Caritatis (PC) 6. “ sulla Formazione sacerdotale Optatam totius (OT) 7. “ sull’Apostolato dei Laici Apostolicam actuositatem (AA) 8. “ sull’Attività missionaria della Chiesa Ad Gentes (AG) 9. “ sul ministero e la vita dei Presbiteri Presbyterorum Ordinis (PO) Le 3 Dichiarazioni 1. Dichiarazione sull’Educazione cristiana Gravissimum educationis (GE) 2. “ sulle relazioni della Chiesa Cattolica con le Religioni non-cristiane Nostra aetate (NAe) 3. “ sulla Libertà religiosa Dignitatis humanae (DH)

“Se un giorno fra le trincee fosse passato un bambino, chi avrebbe osato sparare? Tra le trincee costruite dalla nostra cattiveria è passato e passa, non soltanto nel giorno di Natale, Gesù , che ha il volto , gli occhi, la grazia incantevole dei nostri bambini. chi oserà sparargli contro?”

don Primo Mazzolari, Natale 1931 28


COMUNITA’ IN CAMMINO - SINODO SIOCESANO SULLE “UNITÀ PASTORALI”

DISCERNERE I SEGNI DEI TEMPI Approfondimento dei vari segni dei tempi, indicati nel testo Comunità in cammino. Sinodo sulle unità pastorali. Strumento per la riflessione e la consultazione diocesana, Brescia 2011, pp. 33-44.

1. MOBILITÀ TERRITORIALE ED ESIGENZA DI UNA “CASA” Nella nostra diocesi, tra le più ampie a livello territoriale, esistono forti differenze e pluralità culturali, economiche, sociali ed ambientali, tra le valli, la città col suo hinterland e la pianura. L’approccio al tema delle unità pastorali, quindi, deve necessariamente tenerne conto, per non correre il rischio di leggere le diverse situazioni con lo stesso criterio e soprattutto di calare dall’alto soluzioni preconfezionate, senza una riflessione locale adeguata. Inoltre, la forte presenza di immigrati stranieri, specie in città, ha ulteriormente complicato la lettura delle trasformazioni in atto, sia a livello civile che ecclesiale. Si avverte sempre più in tutti, uno scarso senso di appartenenza territoriale, con conseguente difficoltà a radicarsi in forma stabile in un luogo. La parrocchia non è più da tempo “la fontana del villaggio” né tanto meno una “casa comune” in un contesto plurietnico, multiculturale e multireligioso. Da un lato c’è dunque il rischio di vivere una pastorale, per forza di cose, occasionale, che deve però evolvere in una possibilità di incontro, per seminare spunti di grazia, che germoglieranno se e come il Signore vorrà. Occorrerà farsi viandanti sulle strade del mondo per percorrere insieme alle persone tratti di strada e condividere complesse situazioni di vita. Questo richiede che accanto all’impegno dei presbiteri, sempre di più, vengano valorizzati i ministeri, i carismi, le competenze culturali e professionali dei laici, affinché offrano strumenti preziosi nella lettura dei segni dei tempi e nella risoluzione dei problemi del territorio. Esistono fortunatamente in diocesi esperienze positive (accoglienza alle persone e alle famiglie, agli immigrati e ai giovani) , che possono diventare patrimonio ecclesiale comune.

PER COMPRENDERE Mentre in un passato non tanto lontano la maggior parte delle persone trascorreva la propria esistenza nell'ambito di un territorio circoscritto (spesso il proprio paese natale), ora la estende nella mobilità personale (non solo viaggi, ma riferimenti quotidiani) e nella mobilità della comunicazione, che porta il mondo in casa (televisione-internet). Un fatto emblematico: oggi - soprattutto, ma non solo, nelle grandi città - per molte persone è più familiare il volto del Papa che non quello del proprio parroco. A questo fenomeno di dilatazione (spesso solo virtuale, con tutto ciò che ne segue), si aggiunge la frammentazione dei sistemi di riferimento. Il paese/quartiere non era solo un’unità territoriale, ma anche riferimento psico-sociale: vero luogo di vita. Oggi, questa unitarietà - rappresentata quasi sempre dall’istituzione parrocchiale - si è frantumata. Le persone stabiliscono relazioni diversificate e non comunicanti, secondo i diversi «luoghi» della loro giornata o settimana (il lavoro, la palestra, la chiesa, lo svago, il fine settimana). Relazioni sepa29


COMUNITA’ IN CAMMINO - SINODO SIOCESANO SULLE “UNITÀ PASTORALI” rate, senza un centro di riferimento unitario. Questa situazione di mobilità rende non più proponibile una pastorale centrata su unità territoriali staticamente intese. Una difficile prossimità è quella verso i giovani. I giovani dopo i sacramenti dell’iniziazione cristiana faticano a frequentare le nostre parrocchie, e spesso senza loro malizia. La scuola superiore o l’università li porta altrove, le amicizie sono altrove, il futuro lavorativo è altrove. I contatti passano dal cellulare o da internet. La mancanza di lavoro adeguato crea grossi ostacoli nel progettare la propria affettività, nel farsi una famiglia, favorendo di controcampo la convivenza e la non apertura alla procreazione. La crisi economica accentua la crisi del lavoro, che tra i fenomeni collegati presenta la necessità di trasferimenti improvvisi con distacco spesso traumatico dall’ambiente di origine e un radicamento molto problematico sociale e religioso nella nuova realtà lavorativa. E’ evidente la difficoltà anche per la casa, per cui a fianco di sovrabbondanza di offerta (che genera tra l’altro eccesivo consumo di suolo, a scapito di spazi verdi e socialmente vivibili) non corrispondono politiche sociali e bancarie, che permettano l’acquisto o l’affitto a prezzi adeguati. Il fenomeno tocca le famiglie in crisi di lavoro, le giovani coppie e i coniugi separati. E si genera la crescita degli sfratti per morosità. Un problema pastorale è il coinvolgimento delle famiglie nella iniziazione cristiana dei figli. Spesso le famiglie vivono situazioni di tensione a causa dei ritmi di vita lavorativi. Il lavoro è lontano dal luogo di vita. Gli orari di lavoro e i tempi di spostamento costituiscono un peso fisico e psicologico notevoli. Il tempo libero è ormai quasi solo quello domenicale, vissuto spesso come unico spazio personale e familiare, che porta a legittime esperienze di riposo “altrove”. I genitori si sentono disorientati, quando pensano al futuro dei figli, inadeguati come genitori, alle volte lontani essi stessi da una serena pratica religiosa. Un problema pastorale ancora irrisolto è quello della crisi dei matrimoni, che non risparmia neppure i praticanti. Le cause della crisi delle coppie non trovano nelle nostre parrocchie una riflessione empatica e propositiva. Le separazioni causano estraneazione dalla vita religiosa, trasferimento abitativo, crisi e povertà materiali in non pochi casi. La parrocchia è diventata oggi “associativa” per i frequentanti e burocratica per gli occasionali. Forse l'ideale per la società parrocchiale sarebbe diventare di tipo comunitario ma le ricerche empiriche dimostrano chiaramente che nella parrocchia prevale la dimensione associativa. Associazione di associazioni. Risulta vanificato l'elemento di valore proprio della territorialità. E nasce, in non pochi casi, il nomadismo religioso: si nota una “fede” senza appartenenza.

Altro segno di “mobilità” è la pluralità di proposte e esperienze culturali, di visioni di vita contrapposte, di fedi diverse, un relativismo accentuato. La diversità arricchisce, ma crea anche disagio e paura. Comunità ampie facilitano i rapporti e gli scambi. Non così in ambiti più piccoli. Un ulteriore motivo di estraneazione è la mobilità in alcuni momenti estremamente particolari della vita: la malattia, l’età avanzata, la morte. I luoghi e i modi con cui si vivono queste esperienze sono così diversi tra loro, così distanti dalla realtà di vita, vissuti negli ospedali, nei cronicari o nella solitudine anche nella propria abitazione. Mobilità e immobilità, solitudine e estraneazione dalla vita che segnano e invocano una casa, un incontro, la condivisione di una comunità più partecipe. Questa riflessione, come suggerisce il pensiero della Chiesa (cfr. “Educare alla vita buona del vangelo – CEI 2010/2020), può favorire una dimensione più missionaria delle comunità ecclesiali. Anche questo nostro tempo è occasione buona per l’annuncio del Vangelo.

PER APPROFONDIRE 1-Un mondo che cambia. Come si evidenziano questi fenomeni nel vostro territorio? Vi sono reazioni contro i fenomeni della mobilità, sono in atto alcune esperienze significative? 2-Educare alla vita buona del Vangelo: Evidenziati i fenomeni, come sopra suggerito, quali cambiamenti ne derivano, nelle modalità di fare parrocchia, di impostare l’annuncio del vangelo, di accostare famiglie e giovani, ecc…? Quali indicazioni potreste offrire? Quali urgenze sentite importanti? 3-Le unità pastorali. Come pensate possano le unità pastorali vivere la dimensione di evangelizzazione e di accoglienza di fronte a questi problemi? Quali esperienze promuovere? Quali percorsi formativi proporre?

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2. IMMIGRAZIONE E CITTADINANZA Così inizia la lettera del Vescovo Luciano Immigrati, ospiti, concittadini: “L’immigrazione in Italia è uno dei fenomeni più rilevanti degli ultimi anni, un fenomeno che è destinato a segnare in modo significativo il futuro del nostro paese come, d’altra parte, il futuro dell’intera Europa occidentale. Come è inevitabile, questo fenomeno produce una serie di problemi che è compito della politica affrontare e risolvere nel modo migliore. Ma il problema non è solo politico; è anzitutto un problema umano, quello dell’incontro, del confronto e dell’integrazione di persone che provengono da paesi diversi, parlano lingue diverse e sono portatrici di culture diverse”. E così si conclude la lettera medesima: “Ho voluto scrivere questa lettera per aiutare le comunità cristiane a prendere in considerazione e affrontare con serenità un fenomeno oggettivamente complesso.... Ogni situazione che viviamo è per noi una domanda alla quale dobbiamo cercare di rispondere alla luce del vangelo. Quanto ho scritto è solo un piccolo capitolo del racconto che dobbiamo scrivere insieme, mossi dallo Spirito del Signore.” Il passaggio alle unità pastorali implicherà una considerazione del fatto immigrazione relativo a un territorio molto più ampio e, quindi, con risorse e problemi molto più estesi, e renderà sempre più attuale quanto il Vescovo segnala e quanto invita a

studiare nel n.5 della lettera: “I cristiani sono chiamati a partecipare alla vita politica che definisce i parametri della convivenza delle persone; e debbono fare questo in un modo che sia coerente con la loro fede.” Altri documenti importanti : CEI, “Rigenerati per una speranza viva”: testimoni del grande sì di Dio all’uomo, nr. 9, 12,20, 23 e 25. CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, in particolare il n. 58.

Domande o piste per la riflessione

a) Partiamo sempre dalla lettera del Vescovo: “La prima domanda riguarda le comunità cristiane: diocesi, parrocchie, gruppi ecclesiali; come debbono interpretare il fenomeno dell’immigrazione? Quale atteggiamento debbono tenere nei confronti degli immigrati? b) Che cosa ci domanda il Signore attraverso questo imponente fenomeno”? c)Qual è la situazione immigratoria del territorio cui si riferisce l’UP? d)Come creare linee di pensiero che si riferiscono alle persone del migrante e quindi condivisibili da ogni cristiano a prescindere dall’appartenenza partitica? e) Quali strumenti, magari già in atto nelle singole Parrocchie, oppure progettabili ex novo, possono essere adottati in un contesto di Unità Pastorale?

3. INDIVIDUALISMO E NUOVE FORME DI AGGREGAZIONE E COMUNICAZIONE In questa sezione dello strumento di lavoro in preparazione al Sinodo diocesano vengono messe a fuoco tre problematiche fondamentali collegate al segno dei tempi “individualismo e nuove forme di aggregazione”: 1.il rapporto fra comunicazione e cultura; 2.le relazioni della rete telematica; 3.la costruzione dell’identità nella società della comunicazione. Di seguito vogliamo offrire dei brevi passi antologici che aiutino a riflettere su tali problematiche evitando di scadere o in una sterile critica o in una frettolosa apologia.

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COMUNITA’ IN CAMMINO - SINODO SIOCESANO SULLE “UNITÀ PASTORALI” 1. Il rapporto fra comunicazione e cultura:

Del resto, le dinamiche proprie dei social network mostraa. «Il termine cultura possiede due significati. Nella sua ac- no che la persona è sempre coinvolta in ciò che comunica. cezione antropologico-sociologica sta per dire che qualsiasi Quando le persone si scambiano informazioni, stanno già essere umano vive nella sfera della cultura. Se l’uomo è, condividendo se stesse, la loro visione del mondo, le loro come è, un animale simbolico, ne deriva eo ipso che vive in speranze, i loro ideali». un contesto collettivo di valori, credenze, concezioni e, in- (Dal messaggio di Benedetto XVI per la 45a Giornata monsomma, di simbolizzazioni che ne costituiscono la cultura. diale delle Comunicazioni Sociali) In questa accezione generica, quindi, anche il primitivo o l’analfabeta possiedono cultura… Ed è in questa accezione b. «L’ambiente digitale si presenta, dunque, come luogo che oggi parliamo di cultura dello svago, di cultura dell’im- della possibilità di riconciliare l’essere con l’apparire: non nel senso che l’essere viene ridotto e assorbito dall’appamagine e di una cultura giovanile. Ma cultura è anche sinonimo di sapere: una persona colta è rire, ma nel senso che l’apparire rinvia [sempre] ad un esuna persona che sa, fa buone letture o, comunque, è bene sere» informata. In questa accezione stretta la cultura è dei colti, (C. GIACCARDI, Abitanti della rete. Giovani, relazioni e afnon degli ignoranti. E questa è l’accezzione che ci consente fetti nell’epoca digitale, Vita e Pensiero, Mi, 2010, p. 9) di parlare (senza contraddizioni) di una cultura dell’incultura e così di atrofia e di povertà culturale… Il messaggio 3. La costruzione dell’identità individuale con il quale la nuova cultura audio-visuale si raccomanda e dentro le reti digitali. si auto-elogia è che la cultura del libro è dei pochi, mentre quella audio-visiva è dei molti. Ma il numero dei fruitori, «La riflessione sulle trasformazioni culturali che caratterizpochi o molti, non modifica la natura e il valore di una cul- zano la contemporaneità ha ampiamente messo in luce tura. E se il costo di una cultura di tutti è il declassamento l’emergere di una dimensione narrativa e processuale nei in una sottocultura che è poi, qualitativamente, incultura o processi di costruzione identitaria». ignoranza culturale, allora l’operazione è soltanto in perdi- (C. GIACCARDI, Abitanti della rete. Giovani, relazioni e afta. Tutti incolti è forse meglio di pochi colti? Vogliamo una fetti nell’epoca digitale, Vita e Pensiero, Mi, 2010, p. 38) cultura in cui nessuno sa nulla? Insomma, se il maestro sa più dell’allievo, allora dobbiamo ammazzare il maestro; e «Giovanni Paolo II, nella sua enciclica Redemptor hominis chi non ragiona così è un elitista. Ma questa è una logica di si chiedeva "se l'uomo, come uomo, nel contesto di questo progresso, diventi veramente migliore, cioè più maturo spichi non ha logica». (G. SARTORI, Homo videns, Laterza, Bari, 1999, pp. 16-17) ritualmente, più cosciente della dignità della sua umanità, più responsabile, più aperto agli altri, in particolare verso i b. «Si pone da una parte la cultura d’élite e dall’altra quella più bisognosi e più deboli, più disponibile a dare e portare di massa; tra le due non c’è possibilità di comunicazione aiuto a tutti" (n. 15). (di linguaggi, temi, obiettivi), sia che sia abbiamo come In questo senso, la Chiesa è chiamata a dare il suo contririferimento ideale la cultura della tradizione, sia quella buto al world wide web. E in ultima analisi, solo lei può riprogressista-illuminista. Si potrebbe sostenere che siamo spondere in maniera soddisfacente agli interrogativi che si di fronte ad un tipico snobismo culturale di una società celano dietro ogni ricerca e riflessione umana: "Chi sono ancora provinciale, e che il fastidio, ad esempio, per la te- io?". "Dopo la morte, che cosa c'è?" e ancora: "E io, da levisione – strumento per eccellenza di massificazione di dove provengo?". "Cos'è l'uomo?". E anche oggi - come da ogni messaggio – sia il tipico modo di pensare di chi ha bi- oltre 2000 anni - può continuare a fornire la risposta semsogno di apparire elegante e alla moda, affezionato ad un pre valida e liberatoria enunciata nella costituzione pastogergo dell’autenticità con cui può rendere oscura anche la rale Gaudium et spes sull'attualità della Chiesa nel mondo questione più semplice o quella che meriterebbe la massi- contemporaneo: "Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio ma chiarezza. In realtà, la televisione è soltanto l’ultimo (in rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche ordine di tempo) anello di una lunga catena di pregiudizi pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione" (n. 22). della cosiddetta cultura alta». (S. ZECCHI, L’uomo è ciò che guarda, Mondatori, Milano, (Articolo di G.L. Müller, dall’Osservatore Romano del 13 nov. 2010). 2005, pp. 22-23)

2. Le relazioni nella rete telematica (internet, facebook, ecc.) a. «Vorrei invitare i cristiani ad unirsi con fiducia e con consapevole e responsabile creatività nella rete di rapporti che l’era digitale ha reso possibile. Non semplicemente per soddisfare il desiderio di essere presenti, ma perché questa rete è parte integrante della vita umana. Il web sta contribuendo allo sviluppo di nuove e più complesse forme di coscienza intellettuale e spirituale, di consapevolezza condivisa. […] Anche nell’era digitale, ciascuno è posto di fronte alla necessità di essere persona autentica e riflessiva. 32


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4. VITA SACRAMENTALE E DIVERSE MODALITÀ DI APPARTENENZA ECCLESIALE E RELIGIOSA Cristiani non si nasce, si diventa. Questo slogan è di un grande cristiano del terzo secolo: Tertulliano. Allora la frase esprimeva il dato di fatto: diventare cristiani era una scelta personale, spesso anche rischiosa, perché uno doveva mettere in conto la possibilità del martirio. Oggi nei paesi di lunga tradizione cristiana non è più così. La maggior parte “sono” cristiani perché battezzati da bambini, ma molti non lo diventano, perché non vivono da cristiani. Nel mondo le comunità cristiane sono chiamate ad un grande impegno di evangelizzazione e di catechesi perché il dono dei sacramenti non sia ridotto ad un seme che non si svilupperà mai. D’altra parte sono evidenti due fenomeni: da un lato la diminuzione della partecipazione ai sacramenti, specie dell’Eucaristia e della penitenza, dall’altro una partecipazione più libera, consapevole e convinta. Nello stesso tempo nascono nuove forme di appartenza ecclesiale, che spesso non coincidono con la pratica sacramentale. Da ultimo assistiamo oggi all’avanzamento di fedi senza più la ragione, tutte mito e sentimento, in una nebulosa indistinta, per passare attraverso il documento della Santa Sede del 1986; Il fenomeno delle sette o nuovi movimenti religiosi: sfida pastorale, alla convocazione del Concistoro straordinario del 1991 sulla sfida delle sette; al documento della Santa Sede del 2003: Gesù Cristo portatore dell’acqua viva. Una riflessione cristiana sul “New Age”; ai numerosi interventi di episcopati locali e di dicasteri vaticani sulle sette, la religiosità alternativa, le diverse spiritualità, la magia, la superstizione; per concludere con l’omelia dell’allora Card. Joseph Ratzinger in occasione della Missa pro eligendo Pontifice del 18 aprile 2005, in cui affermava: «Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde - gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore (cf Ef 4, 14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. All’interno di questa nebbia relativistica che avvolge la nostra società è possibile scorgere alcune tendenze come il fenomeno della diffusione dei movimenti religiosi alternativi (sette) che ha avuto, in questi anni recenti, un significativo incremento sia riguardo alla tipologia sia riguardo alla cospicuità numerica tanto da fornire materiale di studio per quello che oramai è un nuovo settore della sociologia religiosa e, che per i cattolici, ma non solo, si presenta anche come emergenza pastorale. Tale situazione è caratterizzata da un forte "nomadismo spirituale". Gli adepti migrano da un culto all'altro, cercando pascoli fecondi per la loro fame interiore. Una sorte di "turismo dell'anima" caratterizza la nuova spiritualità, già di per sé sincretica ed eteroclita"». La realtà delle nuove esperienze religiose è un mondo con una storia non soltanto recente ma anche in continua e costante evoluzione, configurando problematiche sempre nuove, alle quali su invito del Sommo Pontefice e delle Conferenze Episcopali, alcuni Vescovi hanno deciso di rispondere favorendo iniziative e istituendo Servizi diocesani di attenzione pastorale per i movimenti religiosi alternativi e le spiritualità alternative. Ciò significa che non è sufficiente fissare alcuni parametri generali e orientativi, ma è necessario, perché imposto da quest’incontrollabile sviluppo, un attento e avveduto rinnovamento dei programmi e degli obiettivi pastorali. E’ necessario, inoltre, comprendere che nella categoria dei movimenti religiosi alternativi è contenuto un ampio spettro di modelli di spiritualità e religiosità non convenzionali di difficile individuazione come ad esempio il New Age, l’esoterismo, la magia, il satanismo, il cattolicesimo marginale o di frangia, il devozionismo, ecc. La traiettoria sulla quale la attività della diocesi affronta questa ampia fenomenologia, tiene conto dei seguenti aspetti: 33


COMUNITA’ IN CAMMINO - SINODO SIOCESANO SULLE “UNITÀ PASTORALI” Conoscere le dinamiche personali. Per studiare e analizzare il fenomeno dei movimenti religiosi alternativi è sempre basilare cercare di capire, da ogni punto di vista, le ragioni profonde che spingono un individuo ad affidarsi ad una nuova forma di religiosità. La conoscenza non è fine a se stessa, ma porta a discernere il vero dal falso alla luce della Parola di Dio e sotto l'azione dello Spirito. Denunciare profeticamente l’errore. Pur nel rispetto della libertà religiosa, questo accostamento pastorale offre l’occasione di una nuova evangelizzazione e di una più efficace catechesi del popolo cristiano nella consapevolezza che non vi è altro Vangelo diverso da quello predicato dagli Apostoli (Gal 1,9 ). Operare nella verità e nella carità. E’ tensione primaria della sollecitudine pastorale che deve portare ad un’amorevole preoccupazione di quei fratelli che per diversi motivi hanno abbandonato la Chiesa Cattolica. Essere rigorosi nei confronti delle dottrine, pratiche o persone che si contrappongono al Vangelo di Cristo o professano un sincretismo o relativismo religioso, non implica utilizzare metodi diversi da quelli della carità, segno distintivo dell'agire cristiano. E' la sfida del millennio? Ogni ipotesi ha un margine di errore più o meno elevato e può essere "falsificata", come insegna Popper. A volte si presentano svolte improvvise che fanno piazza pulita delle teorie più probabili. E crediamo sarà proprio la Bibbia a darci la risposta più provocatoria e "popperiana" che sfida, scherzando, le ipotesi più serie dei sociologi della religione: "Lo spirito spira dove vuole" (Gv. 3,8). E la Sapienza afferma scherzando: "Alla presenza di Dio mi divertivo di continuo, giocavo sul globo terrestre la mia gioia era vivere con gli uomini" (Proverbi 8,30-31). Il che è favolosamente bello

anche per l'uomo del terzo millennio, facile preda della solitudine.

5. DIMINUZIONE DEL CLERO E NUOVE MINISTERIALITÀ «Rispetto ad anni in cui il clero della nostra diocesi aveva “altri numeri”, possiamo fare la scelta del servo della parabola evangelica (Mt 25,14-30), che si ritrova un solo talento e lo nasconde sotto terra. È la scelta di chi rinuncia a vivere la propria vocazione battesimale, perché i cristiani appaiono numericamente ridotti rispetto al passato. Oppure possiamo scegliere, indipendentemente dal numero di “talenti” affidati alle nostre mani, di trafficarli: di esplicitare la vocazione battesimale nella vocazione personale e nei ministeri che le sono propri. Essere più deboli, non è un alibi per rinunciare ad esistere. E, soprattutto, non è un alibi per rinunciare alla comunione, né per rinunciare alla missione. La parrocchia – Chiesa che vive tra le case degli uomini – continua a essere il luogo fondamentale per la comunicazione del Vangelo e la formazione della coscienza credente. Essa è animata dal contributo di educatori, animatori e catechisti, autentici testimoni di gratuità, accoglienza e servizio. La formazione di tali figure costituisce un impegno prioritario per la comunità parrocchiale, attenta a curarne, insieme alla crescita umana e spirituale, la competenza teologica, culturale e pedagogica. Questo obiettivo resterà disatteso se non si riuscirà a dar vita a una “pastorale integrata” secondo modalità adatte ai territori e alle circostanze, come già avviene in talune sperimentazioni avviate a livello diocesano» (CEI, Educare alla vita buona del vangelo. Orientamenti pastorali 2010-2020, n. 41) «Costruire cultura vocazionale è la migliore risposta alla frustrazione vocazionale tipica dei giorni nostri, perché è risposta modesta e discreta, ma volonterosa e fattiva, che lavora sui tempi lunghi ma giunge al cuore, soprattutto perché è risposta possibile all’uomo, ma tutta costruita sulla logica dell’impossibile possibilità di Dio». (Amedeo Cencini, Non contano i numeri. Costruire cultura vocazionale, Paoline, Milano 2011) “Essere fragile non è un ostacolo, ma una opportunità, non un impedimento alla comunione, ma una chance. La fragilità è l’origine in me della voglia di legame, della voglia di comprensione e di amore; per la fragilità l’uomo cerca aiuto, cerca sostegno e appoggiando una fragilità sull’altra si sorregge il mondo, come due semiarchi di pietra o di mattoni. L’immagine è presa da Leonardo da Vinci. Dice: “Un semiarco da solo è instabile, non regge; ma appoggiandosi ad un altro semiarco crea la più solida tra le forme architettoniche, l’arco”. Questi archi solidissimi da cui siamo circondati, sono fatti appoggiando una fragilità sull’altra. Così noi sosteniamo il mondo”. (Ermes Ronchi, Duomo Vecchio, Agorà 4 settembre 2010) Domande per il confronto e la consultazione: a) Quali vocazioni e ministeri sono presenti nella nostra parrocchia? b) In che modo ogni vocazione, ogni ministero potrebbe essere maggiormente “trafficata, investita” nella nostra parrocchia? c) E nell’Unità Pastorale? 34


formazione socio-politica

La responsabilità: luoghi, vie per educarla

Responsabilità è una bella parola. Ma - ahi noi! - non è magica: il citarla, soprattutto nelle situazioni di crisi, non risolve automaticamente i tanti problemi presenti nella Chiesa come nel mondo. La lunga storia del termine responsabilità ci porta ad affermare che essa è la consapevolezza di un impegno assunto davanti a qualcuno. Evidentemente i soggetti a cui rispondiamo nella nostra vita sono diversi e diversi tra loro. Ogni persona, intesa come unità fisico-cognitivo-emotiva è un essere in relazione; nasce da una relazione - l'amore generante tra madre e padre - e si esprime in relazioni fondamentali con se stesso, con Dio, con gli altri e con la natura. Essere responsabili significa saper rispondere a Dio, se stessi, gli altri e la natura. Consegue che l'esercizio della propria responsabilità fa riferimento sempre ad uno di questi quattro interlocutori e/o a più di essi. Luoghi di ascolto Alla luce di ciò, credo che, per far maturare atteggiamenti responsabili, sia importante che i luoghi educativi siano sempre più luoghi di ascolto. Volendo declinare l'atteggiamento direi che vada riferito, in particolare, all'ascolto di se stessi, quello degli altri e quello di Dio. ● L'ascolto di se stessi. La ricerca personale, fatta col cuore e con la mente, della verità è opera di ascolto. Sant'Agostino ci insegna quanto da una parte il ritornare in se stessi è motivo di tante domande: «ero diventato per me un grosso problema» (Confessioni). Dall'altra parte esso è via per scoprire la forza della verità seminata in noi da Dio: «o verità, in te io rivivo, parlami, ammaestrami» (Confessioni). Nell'ascolto di sé, nella presa di coscienza dei propri doni si radica una sana autostima che costituisce il terreno solido su cui fondare la propria responsabilità. Gli itinerari formativi, parrocchiali e associativi, che riescono a favorire percorsi di ascolto di se stessi, anche con l'aiuto della psicologia e delle altre scienze umane, svolgono un grande servizio alle persone, le quali si sentono aiutate in uno dei passaggi fondamentali della vita quotidiana attuale, spesso fatta di fretta e superficialità, non sempre volute, ma spesso determinanti. Inoltre lo "star bene con se stessi" è via regale per far del bene agli altri: l'amare il prossimo dipende sempre da come si ama se stessi (cfr. Lc. 10, 27). ● L'ascolto di Dio. Per i credenti Dio parla non solo nella Sua parola, ma anche nei "segni dei tempi" (Gaudium et Spes, 4) che vanno sottoposti a discernimento per scoprire se il Signore ci sta indicando nuove responsabilità nella costruzione del suo Regno di giustizia e di pace. Mi riferisco, prima di tutto, ai momenti ordinari di ascolto del Signore - liturgie e catechesi - per verificare quanto siano ascolto autentico e non solo annuncio dogmatico e morale, che alla lunga portano ad una formazione di fede ideologica, cioè ideale, teorica, che non cambia molto la vita, in tutti i suoi ambiti. Ma il riferimento va fatto anche a momenti straordinari: farebbe piacere sapere - per quanto mi risulta lo hanno fatto pochissime comunità - che alcune realtà cattoliche italiane si siano interrogate sulla corruzione politica e del mondo economico, sul berlusconismo, sulla crisi etica degli italiani, senza fare proclami e indire nuove crociate, ma semplicemente chiedendosi: che cosa ci dice, che cosa vuole il buon Dio da noi, dalle nostre comunità, in questo particolare frangente storico? O come si direbbe ai bambini: Gesù è contento dei cattolici italiani e del loro agire nella Chiesa e nel mondo? ● L'ascolto degli altri. Nel confronto interpersonale e nella condivisione in gruppo abbiamo occasione di ascoltare gli altri e di scoprire la loro ricchezza, le loro attese e le loro aspettative nei nostri confronti. L'atteggiamento di ascolto serio e continuo ci permette di evidenziare quale è la nostra chiamata e quale la conseguente risposta e relativa responsabilità. La comunità è tenuta ad offrire luoghi e tempi di ascolto; lo stesso giorno del Signore potrebbe essere rivalutato anche per itinerari di educazione all'ascolto e di esperienze forti di esso. L'esperienza di Samuele (1 Sam 3) ci mostra come, oltre all'ascolto, è necessario l'aiuto di un maestro per discernere la volontà di Dio e assumere responsabilmente gli impegni nella Chiesa e nel mondo. Basandosi sulla rivelazione biblica è opportuno ribadire il bisogno di farsi guidare nella crescita cristiana perché abbiamo bisogno che qualcuno, più saggio di noi, ci aiuti a discernere la voce di Dio. Qualcuno che sia, ad un tempo, maestro e testimone di umanità e di fede (Paolo VI). Il modello è quello di Cristo Buon Pa35


formazione socio-politica store che dimostra il suo amore conoscendo la voce delle pecore, istruendole e guidandole e donando loro la vita (Gv. 10). Spesso giovani e fanciulli lamentano la mancanza di figure adulte serie e competenti, sagge e coerenti, capaci di insegnare e testimoniare principi forti, di farsi compagni dei più piccoli per guidarli nella difficile via dell'individuare e assumere responsabilità. Si pensi, per esempio, a che cosa i diversi educatori insegnano e a come si comportano in due momenti cruciali della gioventù: la scelta affettiva e quella del lavoro. C'è da chiedersi: molta della irresponsabilità che attribuiamo ai giovani, in materia di amore e lavoro, non dipende anche dalla mancanza di autentici maestri- testimoni? L'esempio Emerge qui la valenza dell'exemplum. Uno sguardo attento alla realtà sociale e politica italiana ci porta a constatare quanto sia povero il tessuto umano della nostra classe dirigente, scarsa la formazione etica e, inoltre, scarse le qualità tecniche necessarie per l'esercizio di ogni responsabilità. I cattivi esempi, spesso, sembrano superare quelli buoni. Per quanto i riferimenti più ovvi e immediati possano essere quelli politici, si deve precisare e ricordare che la crisi supera i confini politici e investe le istituzioni nella loro interezza. All'interno di una famiglia per il ruolo di responsabilità genitoriale, come in diversi ambienti di lavoro, associazioni culturali e sportive, comunità di fede religiosa, amministrazioni pubbliche, organizzazioni nazionali e internazionali si ritrovano con sempre più frequenza persone che esercitano un potere senza la formazione e i mezzi necessari per una buona e giusta conduzione. Non solo a livello educativo, ma anche sociale e politico, coloro che hanno responsabilità e la usano per accrescere immoralmente il proprio potere e/o per arricchirsi ingiustamente, offrono un cattivo esempio che incrementa mentalità e prassi irresponsabili e ingiuste. Per questo motivo molte volte, soprattutto in situazioni di crisi, la responsabilità non è ascrivibile ai soli cittadini, specie giovani, perché chi ha responsabilità in termini di bene comune, giustizia e pace ha spesso taciuto, abdicato o dato testimonianza contraria. Le cause di questa crisi sono da ricercarsi in molteplici fattori, che evidenziano come non si tratti della crisi di alcuni ruoli specifici di potere, ma di una situazione problematica dal punto di vista etico e culturale. Ci auguriamo che come educatori possiamo sempre dire, nella difficile arte del formare alla responsabilità, quanto don Milani diceva di sé: «io non sono un sognatore sociale e politico: io sono un educatore di ragazzi vivi, e educo i miei ragazzi vivi a essere buoni figlioli, responsabili delle loro azioni, cittadini sovrani».

Per un’umile e sincera compagnia con gli uomini

In questo nostro universo assai complesso, non abbiamo bisogno di crociate o sentenze sommarie. Siamo chiamati ad una compagnia umile e sincera con uomini e donne del nostro tempo Quello del “mondo” è un tema ricorrente nei nostri discorsi ecclesiali: omelie, catechesi, scritti pastorali, pubblicazioni. Ma parlare del mondo non è assolutamente facile. Forse la prima difficoltà sta nel ricordarci costantemente che il mondo contemporaneo è complesso e, spesso, anche complicato. Complessa è ogni realtà che, per essere letta e compresa, ha bisogno di più parametri interpretativi. Diciamolo con un esempio: in una cultura monolitica bastavano uno o due paia di “occhiali” per “vedere” la realtà; in una realtà complessa ne servono cinque, sei o più. Quindi affermare che “il mondo di oggi è nero…” o “è bianco” vuol dire incorrere in una generalizzazione banale e forse stupida. Ma di quale mondo parliamo? Il mondo di oggi, la gente, la mentalità contemporanea sono categorie troppo generiche e sarebbe saggio evitarle: dicono tutto e non dicono niente. In una società che non è più monolitica le posizioni sono tantissime e diversissime.

Superare le generalizzazioni

La crisi delle grande ideologie di destra e sinistra, insieme al processo di globalizzazione, ha determinato il frantumarsi delle culture monolitiche. Per cultura monolitica si intende una cultura considerata come un blocco unico, in cui gli elementi uniformi e simili sono più ricorrenti di quelli diversi. Per esempio, è monolitica la cultura del cattolicesimo come religione della maggioranza degli italiani; erano monolitiche le culture politiche della DC e del PCI. Come risentiva di monolitismo la cultura teologica di stampo apologetico, dove l’intento di difendere il contenuto di fede ad ogni costo, frustrava ogni tentativo di rispetto dei ritmi e delle esigenze personali e di dialogo con il mondo. Così il tutto genera categorie come noi e gli 36


formazione socio-politica altri, la Chiesa e il mondo, i buoni e i cattivi, gli atei e credenti e così via. Un insieme, cioè, di generalizzazioni sul mondo, che, concretamente, non portano conoscenze nuove e non aiutano a crescere chi ci ascolta. Emerge ancor più il ruolo prezioso degli intellettuali cattolici che dovrebbero aiutarci a trovare un metodo per leggere sapientemente questo mondo frammentato.

Incrociare le competenze

Ogni fenomeno umano, credo, vada studiato incrociando le competenze, cioè usando strumenti culturali che attingano ai diversi saperi: l’antropologia, l’etica, la teologia, la sociologia, la psicologia, la scienza politica, il diritto, l’economia. Pertanto, soprattutto educatori ed intellettuali, non sono chiamati ad avere tutte le competenze - pretesa inconsistente e sciocca - ma una capacità di sintesi per aiutare l’interlocutore, specie se educando, a dotarsi di una mappa per districarsi nei vari labirinti di questo mondo e su cui, se vuole, costruire la propria personale competenza, concepita sempre in funzione del vivere bene, come persona e come credente. In termini molto semplici sarebbe molto meglio - nelle nostre catechesi, omelie e interventi pastorali - avere approcci sintetici come sembrerebbe che, il mondo pare avere tendenze del tipo…, è facile riscontrare atteggiamenti comuni come… e così via. La complessità odierna, infatti, impone rispetto e prudenza nel comprendere la realtà da parte di pastori, educatori, genitori, catechisti. Forse mai come oggigiorno ci vuole cura per le persone e amore per lo studio, insieme a tanta calma, pazienza, coraggio

e lungimiranza nello studiare quanto succede dentro e fuori di noi. Posizioni integraliste, reazionarie, arroccate nella difesa, a qualsiasi costo, del proprio orticello hanno poco rispetto della complessità e poca attenzione alla gradualità del ricercare, sapere e trasmettere. Inoltre diventano spesso gesti di piuttosto di rifiuto che tradiscono l’evangelico invito a non condannare il mondo ma a salvarlo. La testimonianza cristiana deve anche fare i conti col fatto che il cattolicesimo, in quasi tutti i Paesi, non è religione di Stato, né religione della maggioranza dei cittadini, situazione accentuata in diversi paesi europei. È una realtà difficile da accettare, che può portare a rimpiangere i tempi passati, senza interrogarsi sufficientemente sulle responsabilità personali ed ecclesiali, che hanno portato alla scristianizzazione, cioè sulle colpe e sulle mancate testimonianze della comunità cattolica. Non di crociate integraliste abbiamo bisogno, ma di compagnia umile e sincera con le donne e gli uomini di questo tempo.

Condividere gioie e speranze

È tempo di ricordare la lezione sul piccolo resto d’Israele: popolo che non cerca grandezza e potere, né monopolio culturale e legislativo, ma vive e cresce solo in Dio. Di un Dio, come scrive Italo Mancini, più presente nell’invocazione che nella dimostrazione. Ciò non significa confinarsi tra mura sicure - tentazione molto frequente ma recuperare la memoria della storia biblica, cioè di un popolo che confida solo in Dio e non nei mezzi umani. E imparando, come cattolici, ad essere minoranza in un mondo secolarizzato, contraddittorio, che presenta segni positivi e negativi, ed anche ambigui, riprendiamo seriamente la lezione conciliare delle gioie e delle speranze, delle tristezze e delle ango37

sce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, che diventano le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo (Gaudium et Spes, 1). Certo quando si evangelizza, nell’educazione come nella predicazione, si devono prendere delle posizioni, ma ciò non autorizza i credenti ad assumere atteggiamenti arroganti e offensivi nei confronti di chi professa idee diverse. Il rispondere, a chiunque domandi ragione della speranza cristiana, va fatto con dolcezza e rispetto (1 Pt 3,15). Il mondo - così come viene a volte descritto da qualche pastore e catechista: cattivo, ateo, miscredente, immorale, diabolico - non esiste. Esistono invece le persone, con tutto il loro carico positivo e negativo, di grazia e di peccato. Esistiamo noi, esisto io: tra e con le persone di questo mondo. Solo un’analisi superficiale e faziosa potrebbe portare a pensare che il mondo possa essere diviso in buoni, tutti da una parte e cattivi tutti dall’altra. La frattura è ben più complessa e variegata di una divisione pura e semplice tra buoni e cattivi, in steccati rigidi e invalicabili tra loro; senza dimenticare, che per noi cristiani, la divisione tra bene e male passa prima di tutto in ognuno di noi, come insegnano le Scritture. “Io so infatti - scrive Paolo - che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Dunque io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra. Me infelice!” (Rom 7, 18-24). E’ questo il mondo, quello della mia carne, quello della mia e altrui infelicità, quello della mia e altrui debolezza. Quello che Gesù ama e salva, senza condannare, tanto da poterci far affermare con Paolo: “Chi mi libererà da questo corpo di morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!” (Rom 7,25).


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Un percorso per educare alla giustizia

li che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati» (Mt 5, 6). Il tema classico della vita felice e buona (eu zen) riceve qui una trattazione estremamente originale: la felicità prima ancora di essere frutto della virtù, è essenzialmente frutto della comunione personale e costante con Dio Padre. Nella misura in cui si vive questa relazione profonda si potrà essere beati (makàrios), anche se le situazioni sono umanamente avverse. In termini di giustizia, prima ancora di evidenziare la pratica e il pagare per essa, si sottolinea l’aver fame e sete di essa. Esiste questa fame nelle nostre comunità, specie in quelli che le guidano? Si compie un discernimento in termini di fede e giustizia su problemi seri quali il sistema dell’Otto per Mille, i contributi statali ed europei alle strutture e attività ecclesiali, gli sgravi fiscali? Fame e sete I collegamenti alla vita biologica - fame e sete - non sono da intendersi tanto come l’affermazione di un bisogno spontaneo e universale, nel senso che tutti e senza difficoltà si sentono orientati all’impegno per la giustizia, quanto piuttosto che coloro che lo vivono ne sono seLa giustizia è pane di cui bisogna aver fame; è acqua di gnati in maniera radicale. Per loro la giustizia è un pane cui occorre aver sete. Induce ognuno di noi a farsi carico e un’acqua di cui non possono fare a meno. La loro beatitudine consiste nella tensione verso questa virtù, prima dell’esistenza e della vita dei fratelli. ancora che nella pratica di essa, nella persecuzione relaViaggiavo in treno verso nord, erano i tempi dell’inchiesta tiva e nella ricompensa del Regno di Dio (cfr. Mt 5, 10). milanese Mani Pulite. Un distinto signore, di confidenza Evangelicamente non esiste impegno per la giustizia che in confidenza, mi raccontò della sua esperienza in una non sia passione per essa. Valga l’esempio del Battista, grande azienda, in cui non si era piegato a una logica di come di tutti i giusti della Scrittura. Questo impegno non corruzione e affari sporchi. Per tutta risposta, il suo capo può essere portato avanti da coloro che non sono capaci lo aveva licenziato e, a più di quarant’anni, si ritrovava a di impadronirsi del Regno (Mt 11, 12), né dai tiepidi (Ap cercar lavoro. Alla fine del suo sofferto racconto, mi disse: 3, 16). Nella Chiesa e nel mondo, la virtù della giustizia, “Sa, padre, io e mia moglie siamo cristiani e un giorno, perché cardine di essi, va amata e perseguita con tutti se tra le lacrime della rabbia e del dolore, lei mi ha detto: I stessi. In ciò sta la beatitudine, la felicità. primi cristiani andavano al martirio per problemi di fede Alla fame e sete di giustizia si oppone, come sua negazio- non idolatrare l’imperatore ma testimoniare il Dio di ne radicale, la fame e sete di guadagno, in termini classici Gesù Cristo - i cristiani di oggi subiscono il martirio per l’avidità (pleonexìa). È Aristotele a precisare con chiarezza questioni di giustizia”. Non dimenticherò mai questa profonda e veritiera testimonianza. Essa mi ritorna in mente che l’uomo ingiusto è anche un avido. Con presupposti e sia quando incontro o so di cristiani che si offrono per finalità diverse, simile è l’insegnamento biblico: il giusto la causa della giustizia, sia quando mi accorgo di come, è colui che confida nel Signore e non nei beni materiali, diverse volte, pastori e fedeli laici trascurino così tanto il evangelicamente personificati in mammona e opposti a Dio in maniera radicale. Gesù ricorda: «Nessun servo può tema della giustizia. servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppuLa felicità figlia della comunione con Dio re si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete Nel brano delle Beatitudini Gesù proclama: «Beati quel- servire a Dio e a mammona» (Mt 6, 24). 38


formazione socio-politica to. Sotto gli esami avevo voglia di mandare al diavolo i piccoli e studiare per me. Ero un ragazzo come i vostri, ma lassù non lo potevo confessare né agli altri né a me stesso. Mi toccava essere generoso anche quando non ero. A voi vi parrà poco [cara signora, ndr]. Ma con i vostri ragazzi fate meno. Non gli chiedete nulla. Li invitate soltanto a farsi strada».

Chi si consacra all’avidità e all’avarizia è autore di ingiustizia profonda e si esclude dal Regno, come dalla comunità cristiana (Cfr. Mt 19, 23-26; 1Cor 5, 11 e 6, 10). In termini moderni, alla luce degli insegnamenti classici e cristiani, diremmo che non può esistere giustizia se essa è guidata da un principio di massimizzazione delle utilità, con ogni mezzo e ad ogni costo. Anzi tutto ciò che mira ad accrescere solamente le proprie utilità è pura ingiustizia. È ovvio che non mi riferisco al conseguimento del giusto profitto, ricompensa o salario (tutelato dalla giustizia commutativa), ma a vere forme di avidità, che spesso sono anche falsamente giustificate come eque. La letteratura, la filosofia e la religione abbondano di pagine che descrivono piccole e grandi istituzioni, corrotte da ricchi invidiosi, avidi e avari, che determinano conseguenze nefaste sui poveri e generano squilibri, disordini e guerre. Un esempio per tutti: l’Italia degli ultimi vent’anni. Politica e avarizia Il bene e la giustizia sono di tutti e per tutti, sono il cardine di ogni comunità civile e di fede religiosa; l’avidità e l’avarizia sono, ad ogni livello, la negazione del vivere insieme e la sua distruzione. È quanto testimoniava Lorenzo Milani ai ragazzi della Scuola di Barbiana nella Lettera ad una professoressa: «Poi insegnando imparavo tante cose. Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia. Dall’avarizia non ero mica vaccina-

È importante notare come la scuola di Barbiana distingueva due modelli di persona: chi ha cura degli altri e dei loro problemi - il famoso I care milaniano - e chi vive per farsi i fatti propri. Come dire, da una parte c’è la politica e dall’altra l’avarizia. L’indicazione, dal punto di vista antropologico ed etico, conserva tutta la sua validità ancora oggi. Non a caso oggi la profezia ecclesiale sull’avarizia di questo mondo, sulle sue logiche affaristiche e grette, è una delle profezie più rare e la stessa politica è spesso schiava dell’avarizia più sfrenata. Il rilievo fatto alla professoressa potrebbe essere esteso a diverse agenzie culturali che fanno ancor meno, educando solo al materialismo consumista, alla competitività sfrenata, al raggiungimento dei propri obiettivi a prescindere dalle esigenze degli altri e spesso contro di queste. Se questa è l’energia morale di cui sono investiti gli educandi, non ci si deve affatto sorprendere della loro propensione all’individualismo e all’illegalità. Non ci si deve nemmeno sorprendere dell’assuefazione all’ingiustizia e del rifiuto a combatterla e a pagare di persona per essa. Tre maniere per reagire Primo Mazzolari scriveva che di fronte all’ingiustizia ci sono tre maniere di reagire: «a) accettarla per vigliaccheria, subirla - uno che non è santo rischia d’accettarla per viltà; b) chi l’accetta per vigliaccheria, se è un colto o un furbo finisce per giustificarsi col pessimismo - già è fatale - è sempre stato così; c) accettarla alla maniera dei santi, che è l’unica maniera di non subirla». Con i martiri cristiani è doveroso ricordare anche tutti gli uomini e le donne, di ogni credo e non, che in famiglia, negli ambienti di lavoro, nelle associazioni, nelle comunità di fede religiosa, nelle strutture amministrative e politiche come nelle organizzazioni internazionali, hanno pagato in tanti modi la loro fame e sete di giustizia. Come il mio compagno di viaggio in treno.

“L’ amore mette le sue radici nella povertà (...di qualsiasi genere). Noi non sappiamo più amarci perchè o siamo stanchi di fare il povero o abbiamo paura di diventare poveri, mentre solo il povero è nelle condizioni d’amore affermate da Cristo nel Natale”

don Primo Mazzolari, Natale 1937 39


LETTERA ALLE FAMIGLIE L’attuale crisi finanziario - economica sta avanzando come un minaccioso uragano. Come ne usciremo? Non mancano campanelli d’allarme, ma si fatica a prenderne adeguata coscienza. Si spera ad oltranza che si tratti di un brutto sogno, e che la vita possa concedersi ancora di essere spensierata e spendacciona, perché sarà difficile retrocedere da uno stile di vita nel quale ci si poteva, fino a ieri, permettere di tutto, dando soddisfazione anche ai più bizzarri capricci. Di fronte alla stretta in atto, e prima che le cose precipitino, occorre allenarci a discernere ciò che è essenziale, necessario, conveniente, utile o superfluo. E non ci sarà facile, dato il tenore di vita standardizzato, spinto ben oltre il livello del buon senso e delle reali possibilità. Per anni si è vissuti trastullandosi nei paradisi fittizi. Ora bisogna cominciar a farne a meno e misurarsi con la realtà. Meglio quindi essere drastici e tagliare subito, poiché tutto ciò che nel frattempo sarà sprecato in futilità, sarà rimpianto quando si dovrà attraversare il guado della crisi. Sarà arduo risalire l’erta che richiede di stringere i denti e di avere ben allenati i muscoli della volontà, atrofizzati nei panteon del consumismo. Non solo da parte dei giovani, ma anche degli adulti, almeno per quelli che si sono lasciati ammaliare da un benessere che pareva a crescita esponenziale. Fatte queste premesse, ecco qualche suggerimento che ci aiuti a crescere nel segno della saggezza e ci apra ad una motivata speranza. Anzitutto occorre mostrare sangue freddo, evitando di lasciarsi prendere dal panico, che, in ogni caso, è un pessimo consigliere. Proprio come un chirurgo davanti ad un caso grave. Nello stesso tempo occorre far leva su quella genialità e forza di volontà nell’affrontare prove e difficoltà che hanno caratterizzato l’agire dei nostri nonni e dei nostri genitori, in tempi non meno travagliati del presente.

NINA. NANA DE LA MADONA Dorma, dorma,fa ninì dorma, dorma bel Bambì, gò ne braghe ne camisì per scaldàt on puninì. Dorma, dorma, fa la nana, sopia '1 vent de tramontana; canta i-angèi so 'n dèl ciel: gh'è nasìt èl nòs Signur, l'è nasìt èn dé n'a baraca tra on asèn e n'a aca. Dorma dorma che 'l vé sera, rìa i pastur col lat dé pera;

dorma dorma èn de la triìs Re de la tera e del paradìs. Ve che Giiosep èn zinuciù dizom so dò orassiù. So 'n del ciel gh'è on grant lizùr gh'é nasìt èl nòs Signur; sensa braghe e sensa maia èn mess al fé e on pò de paia, dorma dorma Giusì bel; t'à scalda 'l fiàt de l'asinel. Tone, Tone... para le cavre è té Piero parale so; 40

taca so sté poca minestra, taca so sté ris e fazoi. Dorma dorma, fa la nana, s'è calmàt la tramontana canta i-Angei so ‘n del ciel rìa n'à fila de pastur... ardì 'nso che grant lizùr; Gh'è NASIT EL NOSS SIGNUR !! Avelino Busi ..... antivigilia di Natale 2010


El ciel en moement

Facendo appello agli esempi ereditati da chi ci ha preceduto, in momenti nei quali forse doEn chèsto periodo invernal vremmo, per un certo tempo, far uso della barca e ndoè ghè le feste piò bèle de l'an non dei motoscafi, occorre che ognuno si prenda in tòc corom per èl regal mano il proprio remo e contribuisca, con le risorse e pensom poch al vero Nedàl. di cui dispone, a rendere più agevole il percorso di Fermomes e ardom el ciel tutti. Dalla crisi si esce solo insieme, con un che l'è tòt en moement. forte senso di corresponsabilità, singoli cittadini e Sa èt la luna che fa i birulù istituzioni. Non è questo il tempo delle furbate. Chi e le stèle le gà bala en turen. speculasse persino sulla crisi sarebbe indegno di En on cantù dei picoi nigoi una società civile. i sta a comentà I nostri cari ci hanno insegnato poi che protache sò la tèra argot de grant gonista delle più ardite e colossali imprese, rimane le dre a rià. la famiglia. Unita, audace, solidale. Anzi, le famiglie alleate tra di loro. Famiglie che si riappropriano del On ventesèl dols èl còr per ulì anuncià loro compito pedagogico, rispondendo in tal modo a che l'è nasit en ona stala quella emergenza educativa cui fa frequente rifeel s'è fat bambinel rimento papa Benedetto: educare ad una qualità di e l'è riscaldat dal bò e l'asinel vita che si specifica per le belle relazioni, a comine con la so bela famiò de Giuseppe e ciare appunto da quelle con i familiari. Maria Educare al senso del dovere e non solo dei l'è ignit per ulì el mont salva diritti; alla solidarietà; all’uso sapienziale dei beni e la pace e la gioia en ogni còr portà. di consumo senza divenirne prede, con particolare Toc garèsem de ringrasià riferimento alla moda, alla smania del gioco, ai celper chèsto vero e grant regal lulari, al digitale, ad internet. del Sant Nedàl Educare ad un forte il senso del dovere professionale e sociale; ad assicurare il rispetto di Pietro Stefana tutti e di tutto aiutare i giovani ad essere formidabili protagonisti del loro futuro insieme agli adulti; a rendere viva e convinta una fede lasciata sotto la cenere. Alle famiglie alleate tra di loro si affianchino le istituzioni per favorirne il buon esito di tutti gli sforzi congiunti, operando in rete. Nessuna famiglia bisognosa sia lasciata in balia di se stessa. Probabilmente, quando si prenderà chiara coscienza della crisi in atto, sarà come una doccia fredda nel rigore invernale. Un effetto shock che comunque può produrre il risultato di risvegliare dal torpore morale, la vera causa di mali di cui stiamo soffrendo. E si capirà più facilmente che la vera questione non è quella economica e finanziaria. A monte sta inflessibile la questione etico morale: quando si snobbano i principi del bene e del male, in nome del relativismo etico, il benessere economico, retto solo sulle regole del mercato speculativo, diventa un boomerang. Siamo ormai a Natale! Sarà forse una festa sottotono? Potrebbe essere invece un Natale più autentico degli anni passati, ricuperato sotto la coltre dei Babbo Natale e delle Befane, emblema di un consumismo che non s’arresta neppure di fronte a valori intramontabili come il Natale cristiano. Il credente cristiano che conosce e vive liturgicamente il Mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio, facendone propria la logica e la sensibilità, dovrà trovarsi in prima fila nell’affrontare l’uragano che pare stia abbattendosi sull’orizzonte planetario. La sua sarà la forza dell’amore per l’uomo e quella della Grazia di Dio, ancor più sovrabbondante in questo tempo di sofferto travaglio.

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Letterina a Gesù che nasce Ispira in noi le freschezze del mattino

+ Don Tonino Bello Vescovo (18/03/1935 - 20/04/1993 Caro Gesù, voglio scrivere a te, per tanti motivi. Prima di tutto, perché so che tu mi leggerai di sicuro e la mia lettera non rischierà di finire come le tue. Ce ne hai scritte tante, e sono tutte lettere d'amore, ma noi non le abbiamo neppure aperte. Nel migliore dei casi, le abbiamo scorse frettolosamente e con aria annoiata. Poi, perché so che tu non ti fermi a fare l'analisi estetica di ciò che ti dico. Tu vai sempre al nocciolo, o alla radice, e sei imbattibile a leggere sotto le righe. E anche stavolta, ne sono certo, sotto le righe sai scorgere il mio cuore gonfio di paure e di speranze, di preoccupazioni e di tenerezze. Poi, perché tu rispondi sempre, e non passi mai nulla sotto silenzio. Non c'è volta che tu ti rifiuti di ricambiare il saluto o di accusare ricevuta. Con gli altri, lo sai, non sempre è così. Più che la ricevuta, sembra che accusino il colpo. Ma, soprattutto, scrivo direttamente a te, perché so che a Natale ti incontrerai con tantissime persone che verranno a salutarti. Tu le conosci a una a una. Beato te, che le puoi chiamare tutte per nome. Io non ci riesco. Dal momento, però, che passeranno a trovarti, se non nell'eucaristia e nei sacramenti almeno nel presepe, perché non suggerisci loro, discretamente, che non te ne andrai più dalla terra e che, pur trovandoti altrove per i tuoi affari, hai un recapito fisso nella tua Chiesa, dove ti potranno incontrare ogni volta che lo vorranno? E, a proposito di recapito, non pensi che la tua Chiesa, il cui grembo hai deciso di abitare per sempre dopo aver

LA SACRA FAMIGLIA SAN GIOSEP ÈL MARINGU

Ghera on zuen puro e bel chel laoraa con rasegò e martel e con raspa lima e scarpel Èl fao col legn èl laorà pò bel Èn de èl conos Maria casta e bèlà che po’ la deènta la marna pò bela semper vergine e modèla de mader èsèmplare so la tèra Spus e spusa i sa ama tant e quant che rià l’anunciasiù la catieria la èntra èn asiù Ma Giosèp umile e sagio no èl cet ala tentasiù con amur e dèosiù èl afronta e l’vens la situasiù èl fàò èl bubà con bènèdisiù volere di DIO l’è la condisiù Bubà esèmplare con moer idealè ènsèma a GESÙ figura regale I l’à adorat pèr miglia e miglia el gà format la SACRA FAMIGLIA Ilario

abitato per nove mesi quello di tua Madre, abbia bisogno di qualche restauro? Si tratterà, caro Signore, di restauri costosi, perché da ricca deve diventare povera, da superba deve divenire umile, da troppo sicura deve imparare a condividere le ansie e le incertezze degli uomini, da riserva per aristocratici deve divenire fontana del villaggio. Chi è profano in certe faccende pensa che sia un restauro quasi senza spese, sottocosto, perché si tratta di ridurre invece che di accrescere. Invece io so che occorre uno di quegli stanziamenti fortissimi della tua grazia, perché, se no, non se ne farà nulla. Visto che mi sono messo sulla strada delle raccomandazioni, posso approfittare dell'amicizia per fartene qualche altra? Aiuta me e tutti i miei fratelli sacerdoti a lasciarci condurre dallo Spirito. che è Spirito di libertà e non di soggezione. Spirito di giustizia e non di dominio. Spirito di comunione e non di rivalità. Spirito di servizio e non di potere. Spirito di fratellanza e non di parte. Dona ai laici della nostra Chiesa la gioia di Te, che fai nuove tutte le cose. Ispira in essi i brividi dei cominciamenti, le freschezze del mattino, l'intuito del futuro. Esorcizza nelle nostre comunità la paura del vuoto, l'impressione che si campi solo sulle parole, il sospetto che, di ardito, amiamo solo le metafore. Metti nel cuore di chi sta lontano una profonda nostalgia di Te. Asciuga le lacrime segrete di tanta gente, che non ha il coraggio di piangere davanti agli altri. Entra nelle case di chi è solo, di chi non attende nessuno, di chi a Natale non riceverà neppure una cartolina e, a mezzogiorno,non avrà commensali. Gonfia di speranze il cuore degli uomini, piatto come un otre disseccato dal sole. Ricordati dei ragazzi dell’ Istituto *** che non andranno a casa perché nessuno li vuole. Ricordati della famiglia che abita a ..., e sono otto in una stanza senza luce. Ricordati dei quattro vecchietti che dormono nelle celle di un ex convento a ..., con il cartone al posto dei vetri della finestra. Ricordati di Giovanni che si droga e ogni tanto mi telefona di notte per dirmi che sta male. Ricordati di Antonella lasciata dal marito. Ricordati di tutti i poveri e gli infelici, i cui nomi hanno trovato accoglienza sterile solo sulla mia agenda, ma non ancora nel mio impegno di vescovo, chiamato a presiedere alla carità. Ricordati, Signore, di chi ha tutto, e non sa che farsene: perché gli manchi Tu. Buon Natale, fratello mio Gesù, che oltre a vivere e regnare per tutti i secoli dei secoli, muori e sei disprezzato, minuto per minuto, su tutta la faccia della terra, nella vita sfigurata degli ultimi. 42


Auguri scomodi Carissimi, non obbedirei al mio dovere di vescovo se vi dicessi “Buon Natale” senza darvi disturbo. Io, invece, vi voglio infastidire. Non sopporto infatti l’idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla routine di calendario. Mi lusinga addirittura l’ipotesi che qualcuno li respinga al mittente come indesiderati. Tanti auguri scomodi, allora, miei cari fratelli! Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali e vi conceda di inventarvi una vita carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio. Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio. Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la vostra carriera diventa idolo della vostra vita, il sorpasso, il progetto dei vostri giorni, la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate. Maria, che trova solo nello sterco degli animali la culla dove deporre con tenerezza il frutto del suo grembo, vi costringa con i suoi occhi feriti a sospendere lo struggimento di tutte le nenie natalizie, finché la vostra coscienza ipocrita accetterà che il bidone della spazzatura, l’inceneritore di una clinica diventino tomba senza croce di una vita soppressa. Giuseppe, che nell’affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne, disturbi le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i tepori delle vostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle vostre luminarie, fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro. Gli angeli che annunciano la pace portino ancora guerra alla vostra sonnolenta tranquillità incapace di vedere che poco più lontano di una spanna, con l’aggravante del vostro complice silenzio, si consumano ingiustizie, si sfratta la gente, si fabbricano armi, si militarizza la terra degli umili, si condannano popoli allo sterminio della fame. 43

Andiamo fino a Betlemme, come i pastori.

I Poveri che L’importante è muoversi. accorrono E se invece di un Dio glorioso, alla grotci imbattiamo nella fragilità ta, mentre di un bambino, i potenti non ci venga il dubbio di aver tramano sbagliato il percorso. nell’oscuriIl volto spurito degli oppressi, tà e la citla solitudine degli infelici, tà dorme l’amarezza di tutti gli nell’indifuomini della Terra, ferenza, vi sono il luogo dove Egli continua facciano a vivere in clandestinità. capire che, A noi il compito di cercarlo. se anche Mettiamoci in cammino voi volesenza paura. te vedere (don Tonino Bello) “una gran luce” dovete partire dagli ultimi. Che le elemosine di chi gioca sulla pelle della gente sono tranquillanti inutili. Che le pellicce comprate con le tredicesime di stipendi multipli fanno bella figura, ma non scaldano. Che i ritardi dell’edilizia popolare sono atti di sacrilegio, se provocati da speculazioni corporative. I pastori che vegliano nella notte, “facendo la guardia al gregge ”, e scrutano l’aurora, vi diano il senso della storia, l’ebbrezza delle attese, il gaudio dell’abbandono in Dio. E vi ispirino il desiderio profondo di vivere poveri che è poi l’unico modo per morire ricchi. Buon Natale! Sul nostro vecchio mondo che muore, nasca la speranza.


Cinque donne alla culla di Gesù Nella lunga catena genealogica con la quale Matteo apre il suo Vangelo (Mt 1,1-17) viene tracciato il percorso della Storia della salvezza, che da Abramo culmina in Gesù di Nàzaret. È una storia che inizia nel segno dell’Alleanza, prosegue nella fedeltà indefettibile di Dio e culmina in Gesù, pure lui figlio del patto, circonciso come ogni maschio ebreo l’ottavo giorno. Da Abramo a Gesù sono ben quarantadue generazioni, un numero simbolico. Secondo la tradizione ebraica quarantadue sono le tappe del cammino di liberazione di Israele dall’Egitto fino alla pianura di Gerico. Matteo vuole così indicare che la vera terra promessa è Gesù. Non sfugge però come questa storia sia pure contrassegnata, a causa del peccato umano, da irregolarità e vergogna. C’è inoltre il martellante verbo «generare», che accompagna la scansione dei tempi dei vari protagonisti. Ma, come notava lo scrittore Luigi Santucci, «all’estuario di tanta fecondità, di tanti concepimenti, succede un uomo che non feconda, che non concepisce: un uomo asciutto, la cui pelle coincide con il proprio pudore». È Giuseppe, lo sposo di Maria. Chi è Giuseppe? Il suo nome, dal verbo ebraico yasof, significa «aumentare». Yasof è poi costruito sulla radice sof («limite»). La fecondità e la crescita passano attraverso il limite. E qui vediamo già profilarsi il mistero dell’Incarnazione: Dio, che «cieli e cieli dei cieli non possono contenere» (1 Re 8,27), si fa carne nel grembo di una donna. Dio assume il limite e appare l’immensità. L’irruzione di Dio nella vita di Giuseppe ha portato certamente un «aumento»: di fede, anzitutto. Giuseppe ha creduto alla versione inverosimile della gravidanza di Maria. Ha detto «sì» all’angelo, che gli parlava nel sonno, ha poi sposato Maria, sottraendola così ai sassi della lapidazione, e, infine, ha iscritto Gesù nella discendenza di Davide. Ma nella genealogia, Matteo inserisce anche quattro

donne. Questo è sorprendente, perché le donne non compaiono mai nelle liste genealogiche. Inoltre, queste quattro donne, a titolo diverso, sono peccatrici. Abbiamo Tamar, che si finge prostituta pur di avere un figlio. Troviamo poi Raab, prostituta di mestiere, che giunge a tradire il suo popolo. C’è Betsabea, la moglie adultera di Uria. Conclude Rut, la moabita, che si fa sposare da un ricco vedovo. Ma c’è una quinta donna, quella determinante per la nascita del Messia, Maria, che resta incinta di un figlio prima della nozze. Sul perché di queste donne nella genealogia di Cristo le inter-pretazioni sono state varie. Noi ora ci concentreremo sulla singolarità e sul ruolo di ognuna nel disegno della salvezza. Tamar: quando la giustizia «trasgredisce Tamar era una donna molto bella, se ci atteniamo al significato del suo nome «palma» (cf Ct 7,8). Stando a Gen 38 appare anche una donna inquieta nei confronti del Dio degli Ebrei. Vuole infatti introdursi nell’albo di Israele. Ha però solo una possibilità: il grembo. Tamar è pure una donna frustrata a causa di una maternità sempre contraddetta. Dai primi due figli di Giuda, infatti, non è riuscita ad avere prole, data la morte troppo precoce di entrambi. Ci sarebbe un terzo figlio, Sela, ma Giuda, temendo per la sua vita, adduce il pretesto della giovane età del ragazzo e rimanda a casa sua Tamar senza assicurarle una discendenza, come avrebbe previsto invece la legge del levirato. Tamar non si scoraggia, attende pazientemente la situazione propizia. E questa pare verificarsi quando Giuda, rimasto vedovo, si reca a Timna per la tosatura delle pecore. Tamar viene a saperlo e si fa trovare sulla strada vestita da prostituta. A quel tempo queste donne non andavano scoperte ma velate. Tamar è ben consapevole del suo gesto e della trasgressione della Legge del Dio degli Ebrei ma vuoi far valere un suo diritto, a tutti i costi. Giuda si fa tentare e cede alla passione. Al termine, promette un capretto come ricompensa a quel genere di amore che va pagato subito. Tamar allora, furbescamente, chiede come pegno il sigillo, il nastro dell’abito e il bastone di Giuda. Questi acconsente. Il giorno dopo Giuda manda il pattuito ma non trova più la prostituta. Dopo tre mesi, viene a sapere che la nuora è rimasta incinta di uno sconosciuto; esce allora con una espressione sdegnata e 44


allo stesso istante ipocrita: «Conducetela fuori e sia bruciata!» (Gen 38,24). Tamar lascia fare, ma mentre viene condotta via manda i pegni al suocero dicendogli di essere incinta del proprietario. Giuda comprende ed esclama: «Lei è più giusta di me: infatti, io non l’ho data al mio figlio Sela» (Gen 38,26). L’adultera è riconosciuta giusta. Passaggio davvero notevole! Scrive Erri de Luca: «Tamar inaugura la breve lista di donne entrate nell’elenco del Messia, che con il loro corpo infrangono la Legge per dare una più giusta e misteriosa applicazione». Nascono due gemelli, Peres e Zerach, lottatori fin dal grembo materno. Il primogenito sarebbe Zerach, a cui viene attaccato alla mano un filo rosso dalla levatrice. Ma poi questi ritira la mano e viene alla luce Peres. È interessante il simbolo del filo rosso che troveremo cordicella, dopo molto tempo, nella storia di Raab, la prostituta di Gerico. Per lei questa cordicella significherà la salvezza. Dentro la matassa sovente arruffata della storia c’è un filo rosso, quello di Dio; è certamente un filo esile ma che traccia il cammino della salvezza, la quale passa attraverso i calcoli umanissimi e le grandi debolezze del vecchio Giuda, la morte improvvisa di Er, l’egoismo di Onan e, non da ultimo, attraverso la furbizia e la caparbietà di Tamar.

da Dio. Raab, pur dentro le sue contraddizioni, crede; è una donna di fede e diremmo anche una donna sapiente perché sa discernere la presenza di Dio nella storia. Il Nuovo Testamento lo riconosce, tanto che l’autore della Lettera agli Ebrei la introduce tra i padri e le madri di Israele: «Per fede, Raab, la prostituta, non perì con gli increduli, perché aveva accolto con benevolenza gli esploratori» (11,31). Anche nella vicenda di Raab troviamo il simbolo del filo rosso; per lei costituirà il ricordo del giuramento fatto dai due esploratori (cf Gs 2,17-21). Davvero, la salvezza di Dio passa attraverso incontri imprevisti, segni umili e magari insignificanti, secondo una nostra logica. Ma è lo stile di un Dio che accompagna la storia non tra prodigi clamorosi ed evidenti ma dentro la trama del quotidiano. Sono proprio questi spaccati di realtà «minore» (cosa sarà mai una cordicella scarlatta?) a guarire il nostro cuore dall’incredulità e aprire lo sguardo nella fede alla mano provvidente di Dio. Una tradizione vuole che Raab sia andata in sposa a Giosuè, il condottiero di Israele. Sembra che la storia biblica abbia meno pregiudizi della storia profana.

Raab: il coraggio della fede

II libro di Rut ha dei collegamenti con la storia di Tamar: in 4,12 si parla di Peres, figlio di Tamar e Giuda e, in 4,18-22, Peres è tra gli antenati di Davide. Un altro aspetto da evidenziare è che i dieci nomi della genealogia con i quali si chiude il libro si trovano anche in Mt 1,3-6. Rut era la nuora di Noemi, una donna la cui esistenza fu tutta una discesa, almeno inizialmente. A causa di una grave carestia lascia Betlemme e con il marito e i due figli emigra in terra straniera. È strano, ma Noemi e la sua famiglia devono lasciare la «casa del pane» (tale è il significato del nome Betlemme), la terra promessa da Dio per poter vivere. Nel nuovo paese poi muore Elimèlec, il marito, e dopo dieci anni i due figli Maclon e Chilion, che nel frattempo si erano sposati con Orpa e Rut. Al colmo delle sventura, entrambi muoiono senza lasciare discendenza.

Raab (Racab in Mt 1,15) era una prostituta, una di quelle donne che vendono il proprio corpo al piacere maschile. Viveva ai margini di Gerico (cf Gs 2,15); la sua professione l’aveva relegata, un po’ per scelta, un po’ perché costretta dalla morale dei ben pensanti, ai margini della sua città. Raab era una donna facile al tradimento e alla menzogna. Non siamo davanti ad una figura esemplare, eppure nell’episodio che la vede protagonista emergono anche delle indubbie qualità: anzitutto, anche se appare strano, la sua fede nel Dio di Israele. Alle spie degli ebrei, da lei accolte, dice: «So che il Signore vi ha consegnato la terra. Ci è piombato addosso il terrore di voi e davanti a voi tremano tutti gli abitanti della regione, poiché udimmo che il Signore ha prosciugato le acque del Mar Rosso davanti a voi, quando usciste dall’Egitto» (Gs 2,9-10). Queste parole sono una vera e propria confessione di fede nel Dio liberatore. Ma non è tutto! Raab professa la sua fede anche nel Dio creatore: «II Signore, vostro Dio, è Dio lassù in cielo e quaggiù sulla terra» (Gs 2,11). È chiaro che alla fede Raab è giunta mediante una tradizione orale a lei pervenuta. Questa non l’ha lasciata indifferente. Ora che ha davanti degli Israeliti è ben cosciente della forza di questo popolo, e riconosce come gli eventi della storia sono condotti

Rut: pietà e fedeltà

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Noemi si trova nello stato più miserevole: vedova, con due nuore, vedove a loro volta, senza prole e in terra pagana. Che fare? Noemi decide di ritornare a Betlemme, nella terra santa. E qui subentra una svolta importante. Al momento della separazione dalle due nuore, Rut, con grande coraggio, ma anche sincero affetto, decide di non abbandonare la suocera, ma si seguirla: non teme di entrare a far parte di un popolo notoriamente ostile al suo. Giunta a Betlemme nel tempo della mietitura, senza perdersi d’animo Rut va a spigolare nel campo di Booz, un lontano parente di Noemi. Abbiamo poi il famoso episodio notturno sull’aia, dove Rut va ad accovacciarsi ai piedi di Booz. Rut si offre a Booz permettendogli di unirsi a lei: questo farà sì che egli la riscatti. L’episodio si conclude con le nozze, e la nascita dopo poco di Obed, il nonno di Davide. Si chiedeva Teodoreto di Ciro: «Perché la storia di Rut è stata scritta? Prima di tutto a causa del Signore Gesù Cristo che è disceso da lei secondo la carne... Ella poi si distinse perché era piena di pietà e ricevette dal Signore una ricompensa così grande che divenne l’antenata di colui che è la Benedizione delle genti». Betsabea: la bellezza al servizio del potere «A fianco di Davide ci fu una donna che, benché modesta di nascita, gli fu pari nel bene e nel male e, proprio in questo, non meno contraddittoria del suo consorte: Betsabea, la madre di Salomone, che ella mise sul trono come successore di Davide, passando sopra i cadaveri di tutti i suoi possibili concorrenti nelle successione». Così E. Drewermann descrive Betsabea, una donna che non solo tradì il marito ma lo fece uccidere dal suo amante, il re Davide. La storia di Betsabea è narrata nel secondo libro di Samuele (11,1-12,23) e nel primo libro dei Re (1,11-53). Qualche autore, leggendo tra le righe e interrogar!-^ dosi sul racconto, si è chiesto se non fosse stata proprio Betsabea a voler sedurre il re secondo un piano ben preciso, più che Davide ad aver ceduto alla concupiscenza. Con il fascino della sua bellezza, più che vittima della passione di Davide ne sarebbe stata allora l’artefice. Sono supposizioni che il testo non conferma né smentisce. È certo però che quando vedrà in pericolo la successione regale, forte del suo ascendente sul vecchio re, Betsabea farà sì che non Adonia ma Sa-

lomone sia designato ufficialmente a succedere a Davide. La sua bellezza è al servizio del potere. Ciò che sconcerta in questa storia, difficile da accettare, è che Mikal, la prima moglie di Davide, era stata ripudiata da Dio a causa del suo atteggiamento sprezzante verso il re (cf 2 Sam 6,1-23), mentre Betsabea, la pec-catrice, sulla cui coscienza grava un grande peccato, viene scelta per dare al re un successore, Salomone. Questo figlio, che esce da viscere contorte dal peccato, sarà amato da Dio ed edificherà il tempio, luogo della presenza di JHWH tra il suo popolo. Il disegno di Dio si compie all’interno di una storia attraversata dal sangue, procede tra purificazioni e pentimenti. Betsabea, donna della colpa, certamente, ma anche donna riscattata tramite il pentimento di Davide, che la inserisce nientemeno che nell’albero genealogico di Gesù Cristo. Maria: la nuova Eva Maria è l’ultima donna dell’elenco di Matteo. Con lei la storia delle attese si compie. La nascita di Gesù è descritta in modo molto sobrio, quasi al limite della pura cronaca (cf Lc. 2,67). Maria compie tre gesti, i gesti di ogni donna divenuta madre: «diede alla luce», «avvolse in fasce», «pose in una mangiatoia». Il tutto in un p ro fo n d o silenzio. C’è silenzio alla culla di Cristo: Maria è là in modo adorante e allo stesso tempo attivo. Mai come in lei Dio e l’umanità si incontrano. Ad una donna era stata promessa la salvezza (Èva), dalle donne, lungo il fiume delle generazioni, era stata «cullata» nella speranza (Sara, Rebecca, Rachele...), in una donna si è formata fino a prendere corpo (Maria), ancora ad una donna, quella dell’Apocalisse (la Chiesa), è assicurata la vittoria finale sul dragone. A Natale, nella gioia dell’Emmanuele, noi ammiriamo in Maria di Nàzaret l’icona della donna nuova. Davanti a questo segno, Dio vuole assicurarci, ancora una volta, sul nostro futuro. Sul travaglio della nostra nascita, nella fatica per un mondo più giusto, nella lotta tra il bene e le tante dominanti mondane, veglia Maria, che come vergine ci custodisce e come madre ci dona Gesù Cristo, nostro Salvatore.

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Energia dal sui nostri Oratori Si è concretizzata una nuova iniziativa nelle scorse settimane a Botticino in tema di attenzione all’ambiente ed ecosostenibilità: presso due dei tre oratori facenti capo all’Unità Pastorale vengono realizzati ed attivati due impianti di produzione di energia elettrica da fonte solare (i cosiddetti fotovoltaici). Si tratta di due impianti identici da 20 kwp l’uno che sono posizionati rispettivamente sui tetti dell’Oratorio di Botticino Sera e di San Gallo, realizzati dalla Beghelli di Bologna ed installati dalle squadre di specialisti della Cooperativa sociale NEOS di Brescia, che si occupa di risparmio energetico e produzione di energia da fonti rinnovabili. Anche per l’Oratorio di Botticino Mattina si stanno facendo le opportune valutazioni e lo studio di fattibilità; i tempi però in questo caso sono più lunghi, alla luce di tetti che risultano in condizioni peggiori e di impianti elettrici da razionalizzare preventivamente Dopo attenta analisi e previa verifica con gli uffici preposti della Curia, le Parrocchie di Santa Maria Assunta e di San Bartolomeo apostolo hanno effettuato una scelta che consentirà, attraverso l’accesso agli incentivi del quarto Conto energia, di autofinanziare gli impianti stessi, producendo una media di 22.000 kilovattora ogni anno per ognuno dei due oratori. In particolare gli incentivi, che verranno erogati per 20 anni, serviranno per pagare i mutui attivati per acquistare gli impianti e per generare anche delle ulteriori entrate, utilizzabili ad esempio per effettuare interventi di manutenzione agli edifici, come nel caso di San Gallo, dove, proprio in virtù di questi incentivi, si è potuto procedere con il rifacimento di un tetto piuttosto malandato e bisognoso di sistemazione. In aggiunta agli incentivi poi , gli Oratori avranno la disponibilità dei suddetti kilowattora di energia elettrica, nella modalità del cosiddetto “scambio sul posto”, con conseguente significativo risparmio sulle bollette elettriche. Ma, oltre alle motivazioni ed alle convenienze di tipo ECOnomico, che pure ci sono e che giustificano ampiamente il progetto, ci preme sottolineare le motivazioni ECOlogiche, che ci consentiranno ad esempio, per ognuno dei due impianti, di evitare la dispersione in atmosfera di circa 12.600 kg di CO2 (anidride carbonica) e altri gas nocivi, pari alla quantità assorbita ogni anno da 1.750 alberi. E’ un piccolo contributo nella direzione di una maggiore attenzione alla salvaguardia del Creato, per tradurre anche un po’ nei fatti il nostro impegno a conservare con responsabilità le risorse che ci sono state donate; può essere anche una testimonianza ed un incoraggiamento alle famiglie che possono scegliere di intraprendere un analogo percorso di attenzione all’ambiente attraverso le energie rinnovabili e attraverso il risparmio energetico. Giacomo Mantelli

“I credenti, quelli veri, sono sognatori, visionari impenitenti, uomini e donne abitati dalla promessa, ma paradossalmente sono anche uomini e donne legati a filo stretto a questa terra, abitata per sempre dalla nascita di Gesù, il figlio di Dio”.

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Isidoro,prete a ‘60 anni’

Dentro

‘La’ Festa Un po’ tutti ci stiamo abituando, e anche specializzando, a fare le feste. Ogni motivo è buono per organizzarne. Festa è una parola ormai così inflazionata che il suo vero senso ci sfugge.

Il 3 marzo 2012 ISIDORO verrà ordinato DIACONO dal Vescovo Abraham Desta nella chiesa parrocchiale di Zway,

a 160 km dalla capitale dell’Etiopia, Addis Abeba. Prima di ricevere l’Ordinazione Presbiterale (sacerdote) Isidoro viene ordinato Diacono.. La preghiera di consacrazione definisce l’identità propria: “Dio onnipotente, sorgente di grazia, dispensatore di ogni ordine e ministero, assistici con il tuo aiuto. Tu vivi in eterno e tutto disponi e rinnovi con la tua provvidenza di Padre. Per mezzo del Verbo tuo Figlio, Gesù Cristo nostro Signore, tua potenza e sapienza, compi nel tempo l’eterno disegno del tuo amore. Per opera dello Spirito Santo tu hai formato la Chiesa, corpo del Cristo, varia e molteplice nei suoi carismi, articolata e compatta nelle sue membra; così hai disposto che mediante i tre gradi del ministero da te istituito cresca e si edifichi il nuovo tempio, come in antico scegliesti i figli di Levi a servizio del tabernacolo santo. Agli inizi della tua Chiesa gli apostoli del tuo Figlio, guidati dallo Spirito Santo, scelsero sette uomini stimati dal popolo, come collaboratori nel ministero. Con la preghiera e con l’imposizione delle mani affidarono loro il servizio della carità, per potersi dedicare pienamente all’orazione e all’annunzio della parola. Ora, o Padre, ascolta la nostra preghiera: guarda con bontà questo tuo figlio che noi consacriamo come diacono perché serva al tuo altare nella santa Chiesa. Ti supplichiamo, o Signore, effondi in lui lo Spirito Santo, che lo fortifichi con i sette doni della tua grazia, perché compia fedelmente l’opera del ministero. Sia pieno di ogni virtù: sincero nella carità, premuroso verso i poveri e i deboli, umile nel suo servizio, retto e puro di cuore, vigilante e fedele nello spirito. L’esempio della sua vita, generosa e casta, sia un richiamo costante al vangelo e susciti imitatori nel tuo popolo santo. Sostenuto dalla coscienza del bene compiuto, forte e perseverante nella fede sia immagine del tuo Figlio, che non è venuto per essere servito ma per servire, e giunga con lui alla gloria del tuo regno. Egli è Dio e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.”

Ma cosa è davvero una festa? E quando possiamo dire che stiamo proprio facendo festa? Ci sono delle condizioni che la identificano come tale? E dobbiamo fare festa sempre? Se sì, perché? Se no, perché? E’ Natale! Festeggiamolo, ci mancherebbe! Nel nostro mondo alcuni ne hanno perso il senso e il motivo, ma noi no. E’ fresco qui, in testa. Nel cuore, di più. Nasce Gesù, diciamo ai nostri bambini. Gesù era… bla, bla…; sua mamma era… bla ,bla…; è nato a Betlemme in una grotta… bla, bla…; probabilmente faceva freddo e allora il bue e l’asinello… e ancora bla bla; e poi i pastori e il gloria degli angeli ecc. ecc. Bella la Storia, ma anche la Cultura col suo albero, col presepio, con la pastorella della banda, col panettone e i regali, con le luci per le strade, con i saluti e con lo stare in casa insieme, al calduccio. Un’ottima ricetta! Tutto l’insieme dice di una gran festa. Penso ne goda anche il Padre Eterno. E’ un modo il nostro per dirgli che l’ha combinata talmente bella che non riusciamo a togliercela di dosso. A pensarci però… ma non ha mandato Lui quel bambino, preparandogli a distanza una strada lunga e ‘fantastica’? Si racconta, e noi lo annunciamo, che fin dall’eternità avesse progettato un’Uscita da sé straordinaria. Voleva a tutti i costi farsi conoscere e riversare su qualcun altro che non fosse all’interno della sua famiglia quella energia stratosferica d’amore che non ce la fa proprio a stare nella sua pelle, per costituzione, per struttura interna. Certo non avrebbe potuto baloccarsi e provare gratificazione con cosucce tipo stelle e comete e universi con buchi neri e galassie collocate su distanze siderali ridicole per le sue doti di spostamento; o con vulcani e deserti e calure da arrostircisi

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e depressioni; o con montagne spettacolari e freddi polari e abissi oceanici, … Ci voleva qualcuno che in qualche modo gli assomigliasse e potesse metterglisi di fronte, come un Tu a cui rivolgere la parola e da cui essere riconosciuto e, possibilmente, ricambiato. Capace anche lui poi, questo qualcuno, di divertirsi alla grande con tecnologie futuriste, viaggetti spaziali e nuotate nell’aria e nell’acqua; cavalcando animali, facendo magie d’ogni sorta, diventando signore di quel po’ po’ di ben di dio e… giocando pure a nascondino. Anzi, tutta quella roba avrebbe avuto senso solo per uno come lui e con lui. Ha deciso allora che suo Figlio diventasse la sua Uscita, per essere sicuro che ci sarebbe stato un successo pieno e un rientro trionfale con una serie infinita di Tu con cui farsi compagnia poi per le eternità. A un Tu così serviva una carta di identità divina. “Se non ci assomigliamo che ci diciamo?”, avrà detto. “E se lo costringo a ricambiarmi che gusto c’è? Un’alleanza dev’essere in qualche modo paritaria. Chi ci sta, ci sta liberamente. Il Figlio, di lui sono sicuro, lo mando dopo, quando è l’ora. Con Tu spero vada bene.” E all’inizio ha funzionato, ma solo per un po’. Troppo presto sono terminate quelle passeggiate nel giardino e le chiacchierate confidenziali. Qualcuno ci si è messo di traverso e gli ha inoculato uno stupido sospetto sul Suo conto. E così il primo Tu, in coppia, ha avuto la pensata di credersi bello senza la sorgente e di potersi fare lui il suo mondo. Non poteva starci né in cielo né in terra una assurdità simile: vivere a piacimento senza conoscere il programma né il carica-batterie. Infatti noi… ci stiamo ancora arrabattando mica male per sistemare i cocci, che – tra l’altro – non sappiamo come mettere insieme da soli. Bella eredità! Tant’è! Allora Quello lassù, il progettatore dell’Uscita, tenendoci troppo al disegno di partenza che era il migliore possibile (si sa che è un perfezionista!), ha pensato a un’operazione di salvataggio, a un aggiustamento in corsa, incredibilmente più strabiliante, per convincere il Tu che Lui faceva sul serio e che Ci voleva tutti comunque, a qualsiasi prezzo, ‘figli’ in casa come e con suo Figlio. L’operazione di recupero è stata più difficile del previsto. La libertà cocciuta del Tu ne inventava una più di Bertoldo nel mettere i paletti tra le ruote. Tutto si doveva fare con suo Figlio, e quello era d’accordo a metterci tutto quello che occorreva per dimostrare l’assunto di partenza: “Ci voglia-

mo bene. Che bello se altri partecipassero a questo nostro amore e si innamorassero liberamente! Mio Figlio diventa il primo, gli insegna come fare ed è fatta.” Tutto predisposto: esempi di buon affetto a iosa, segni, alleanza con regole precise perché Tu non si butti la zappa sui piedi, pedagogie veterotestamentarie con giudici, re e profeti per tutte le tribù. E poi il Figlio… “Voglio proprio vedere se non capiscono che gli vogliamo bene!... Solo che ci hanno costretto a dare il sangue.” Eccoci qua. Alla Pasqua di Morte e Resurrezione, dove il top del progetto si è svelato. E il Natale è orientato lì, dove si spiega tutto. Il prototipo della festa è la Pasqua, e la domenica con l’Eucarestia che la celebra facendone memoria per noi. E’ lì l’inizio della nuova vita e dell’alleanza finalmente riuscita, della risposta libera e possibile per tutti, l’inizio della festa. Pienamente realizzata nel Figlio e pronta per tutti quelli che vogliono, con i sostegni e le chiarificazioni necessarie. Chi ci sta, sta già seminando. Qualcosa cresce anche se non si vede bene. Basta togliere il velo e la festa è perfetta. Crederci. Senza accorgerci più di tanto siamo andati alle radici della festa, che c’è già ma è anche una promessa a cui affidarci, a cui credere. San Paolo dice alla grande di quel progetto nella lettera agli Efesini 1,3-10. E dovrebbe annunciarlo ogni discepolo di quel Gesù che è nato a Betlemme, Figlio di Dio, fattosi come noi, adesso alla destra di suo Padre, presso cui ci chiama. Il posto c’è. Impossibile non avere almeno il cuore in festa. Buon Natale! … suona meglio adesso. Isidoro

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ANNO PASTORALE 2011-2012

La scelta pastorale delle relazioni. Una scelta pastorale che certamente troverà rinnovato vigore all’interno del cammino sinodale verso le unità pastorali, forme di capillarità che nascono da un bisogno sentito, quello della prossimità: “in una comunità cristiana ci si deve sentire prossimi gli uni degli altri; non ci possono essere persone o famiglie che nessuno ha in nota; bisogna che ogni battezzato si senta parte viva della comunità. E tutto questo si può ottenere solo con uno sforzo di prossimità”. Così il nostro Vescovo, al convegno delle caritas parrocchiali “Chiesa, profumo di relazioni”, rispondendo a una domanda sul rapporto caritas e unità pastorali: “L’efficacia dell’attività pastorale dipende molto dalla presenza sul territorio: se sguarniamo il territorio, raccògliendo semplicemente tutto in un centro, la vicinanza alle persone, inevitabilmente, diminuisce e, quindi, diminuisce anche l’efficacia del servizio pastorale. Bisogna centralizzare la programmazione, non il servizio, che invece deve rimanere il più ampio e diffuso possibile”. E' in questo tempo propizio di discernimento comunitario che anche le Caritas sono chiamate a contribuire all'armonizzazione del tessuto pastorale, rinnovando il loro essere "presenze di comunione" nella capillarità del "farsi progetto" accanto agli "ultimi, forza della comunione".

un centesimo per aiutare i poveri

Promosso dalla Caritas, dalla Congrega della carità apostolica e dalla Fondazione Opera San Martino. Donare una piccola cifra per ogni operazione bancaria effettuata. La campagna di microbenefìcenza “Supercent” rientra a pieno titolo fra gli eventi impoilanti della Chiesa bresciana. Promossa dalla Carilas diocesana di Broscia, grazie al supporto operativo di Congrega della carità apostolica e Fondazione Opera Caritas San Martino, la campagna è una di quelle piccole cose “in grado di cambiare il mondo”, come ha sottolineato lo stesso Vescovo in conclusione del suo intervento. La straordinarietà di una iniziativa che si sostanzia di piccoli gesti (perché piccolo è il dono di 1 centesinio) sta proprio nella capacità di coinvolgere un numero sempre maggiore di persone perché la cifra raccolta alla fine diventi significativa e possa aiutare tante famiglie che si trovano in difficoltà in seguito alla crisi economica che sta coinvolgendo il Paese. Semplice è il meccanismo su cui si fonda “Supercent”: spingere i brescia-

ni titolari di conto corrente presso gli istituti di credito che hanno aderito all’iniziativa (Ubi Banca di Vallecamonica e Banco di Brescia, Banche di credito cooperativo della provincia, Credito bergamasco, Monte dei Paschi e Intesa San Paolo, oltre 650 sportelli su tutto il territorio provinciale che garantiscono di effettuare l’operazione a costo zero) a devolvere almeno un centesimo di euro per ognuna delle operazioni bancarie che svolgono durante l’anno. Una nuova sfida alla poIl vescovo di Brescia, monsignori, Luciano Monari, ha sottolinealo come l’iniziativa avrà successo «se tutti si attivano: è una beneficenza in rete, che ci aiuta a sentirci insieme». Proprio la coralità rafforza l’intervento, considerato che «la nostra è una società che offre moltissime possibilità, ma, allo stesso tempo, rischia di lasciare indietro chi non 50

sta al passo. - ha aggiunto monsignor Monari - Lo sforzo deve essere quello di non lasciare che nessuno rimanga emarginato». AIUTAMI AD AIUTARE Rivolgiti alla tua banca e chiedi allo sportello il modulo di adesione: ti sarà indicato il numero di operazioni di conto corrente che mediamente svolgi in un mese; disponi con un bonifico una donazione mensile corrispondente almeno a tanti centesimi quante sono le operazioni. In poche parole: per ogni operazione di conto corrente doni un centesimo, ma se vuoi... puoi versare anche qualcosa di più. Sono pochi spiccioli, semplici briciole, che però una volta raccolte diverranno un aiuto prezioso per chi è nel bisogno. PER SAPERNE DI PIÙ Vieni a trovarmi sul sito: www.supercent.it: troverai news, video, progetti e tante altre informazioni per conoscermi meglio.


"L'Italia sono anch'io" è una Campagna nazionale promossa, nel 150° anniversario dell’unità d’Italia, da 19 organizzazioni della società civile (Acli, Arci, Asgi, Caritas Italiana, Centro Astalli, Cgil, Cnca, Comitato 1° Marzo, Coordinamento nazionale degli Enti locali per la pace e i diritti umani, Emmaus Italia, Federazione Chiese Evangeliche In Italia, Fondazione Migrantes, Libera, Lunaria, Il Razzismo Brutta Storia, Rete G2, Sei Ugl, Tavola della Pace, Terra del Fuoco) e dall’editore Carlo Feltrinelli. Presidente del Comitato promotore è il Sindaco di Reggio Emilia, Graziano Delrio. L'iniziativa si propone di riportare all’attenzione dell’opinione pubblica e del dibattito politico il tema dei diritti di cittadinanza e la possibilità per chiunque nasca o viva in Italia di partecipare alle scelte della comunità di cui fa parte. Oggi nel nostro Paese vivono oltre 5 milioni di persone di origine straniera. Molti di loro sono bambini e ragazzi nati o cresciuti qui, che tuttavia solo al compimento del 18° anno di età si vedono riconosciuta la possibilità di ottenere la cittadinanza, iniziando nella maggior parte dei casi un lungo percorso burocratico. Questo genera disuguaglianze e ingiustizie, limita la possibilità di una piena integrazione, disattende il dettato costituzionale (art. 3) che stabilisce l’uguaglianza tra le persone e impegna lo Stato a rimuovere gli ostacoli che ne impediscono il pieno raggiungimento. I promotori della campagna si propongono di contribuire a rimuovere questi ostacoli, attraverso un’azione di sensibilizzazione che inizia ora, ma soprattutto attraverso la modifica dell’attuale legislazione che codifica le disuguaglianze. Per questo, dall’autunno 2011 promuoveranno la raccolta di firme per due leggi di iniziativa popolare, una di riforma dell’attuale normativa sulla cittadinanza, l’altra sul diritto di voto alle elezioni amministrative. Oggi vi racconto la mia piccola storia: mi chiamo Lamiaa ho 11anni, sono nata a Reggio Emilia e faccio la prima media. A scuola va tutto bene, stavo benissimo, vivevo felice e serena fino a due anni fa circa, quando un giorno ricevo un 10 in grammatica, ero cosi felice perché non succedeva tutti i giorni, ma il commento della maestra mi lasciò un po’ perplessa; le sue parole mi fecero riflettere sulla mia identità. Lei mi disse : “Lamiaa sei stata bravissima hai superato gli italiani!” “Che cosa?”, dicevo fra me e me. “Ma io sono italiana!” Quando tornai a casa, mia mamma notò la mia rabbia: era arrivato il momento della discussione di un argomento che non avevo mai aperto prima d’ora con i miei genitori. Mia mamma in quel giorno mi disse:”Ma non c’è niente di male se ti chiamano stranièra.” Perché secondo lei non è affatto un insulto. Ma il problema non era questione di insulto, ma era da verificare se io sono stranièra o meno. E io replicai: “Mamma, ma io non mi sento stranièra, sono nata e cresciuta in Italia, io non nego le mie origini, ma casa mia è in Italia e mi sento italiana. Il Marocco lo adoro, sì, però lo sento più il paese dei miei genitori che mio, non so se mi capisci.... Non lo so, io non ci ho mai pensato prima e davo per scontato che io sono italiana!” E la discussione finì, almeno in quel giorno, con un silenzio che diceva tanto. Passa un anno, e vado alle medie, emozionata e un po’ spaventata dalle novità. Siccome mia mamma durante l’estate mi aveva insegnato un po’ di francese con la pronuncia giusta, la mia insegnante fin dalla prima lezione aveva notato questo e mi disse:”Brava, hai una bella pronuncia, da dove

vieni?” E io pensai in quel momento: “Ancora? Ma cosa vuol dire da dove vengo? Da Reggio Emilia, no? Ah, forse voleva dire da dove vengono i miei genitori?”. Allora ho detto:“Cara prof, i miei genitori vengono dal Marocco, e io sono nata a Reggio Emilia.” Adesso, per favore, chiariamo la faccenda: non chiamatemi mai stranièra o immigrata, a voi la scelta, potete chiamarmi italo araba, oppure italo marocchina, ma non sono affatto stranièra; i miei genitori tanti anni fa hanno scelto di immigrare e sono venuti in Italia. Ma io non ho mai immigrato, sono nata in Italia, per cui mi sento italiana, non so con quale percentuale, però lo sono, perchè lo sento dentro e lo credo. Sento come se il Marocco fosse mio papà e l’Italia mia mamma e nessuno potrebbe mai togliermi dal cuore uno dei due. Questa non è solo la mia storia, ma è la storia di tutti i bambini e i ragazzi, figli di immigrati, che sono nati in Italia e, purtroppo, riscontrano, oltre a questi stessi miei problemi, altri problemi….. Da qua, vorrei lanciare un messaggio: concedete la cittadinanza italiana a tutti i nativi, risparmiateci tutti i problemi inutili che non finiscono mai, e smettetela di farci vivere situazioni, che ci fanno sentire quello che non siamo. Lasciateci studiare e costruire il nostro futuro con serenità, e ricordatevi che italiani lo sentiamo dentro davvero. Lamia Zilaf, 11 anni

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UNITA’ PASTORALE -PARROCCHIE BOTTICINO Commissione pastorale familiare e coppia Associazione PUNTO FAMIGLIA E DINTORNI

pagine per la famiglia e... dintorni

Segni e sogni

e se Dio sognasse con noi?

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novembre 2011

a dimensione della figliolanza è forse il segno più universale che Dio ha lasciato nell’umanità, la sua traccia evidente nella natura umana. L’essere figlio ci mette nelle condizioni di partecipare inconfutabilmente a un dono che ci precede, a legami inalienabili che ci strutturano, a un mandato di futuro carico di speranza e di responsabilità. Attraverso il sacrificio di Gesù Cristo, l’Unigenito, il Suo sogno è che tutti possano diventare eletti con una figliolanza piena ed eterna. In questo, la Chiesa si fa grembo materno e germe di una nuova umanità, di quel Regno di Dio di cui tanto parla il Vangelo e che si concretizza a partire proprio dalla famiglia cristiana, fondata sul sacramento del matrimonio, piccola chiesa domestica e culla della vita. Anche oggi, forse con nuove sfide e fragilità, le famiglie italiane mostrano gravi fatiche nell’accogliere i figli e nell’educarli alla fede. É dovere di tutta la comunità cristiana e della società civile sostenere tali sforzi, favorire la piena libertà di diventare genitori e offrire il maggior bene possibile ai minori. Dagli anni ’90, il nostro tasso di crescita è sotto lo zero, nel senso che non c’è un reale ricambio generazionale e, nonostante alcuni segnali di ripresa dati dall’immigrazione, la tendenza sostanzialmente non è affatto mutata. Molte sono le analisi del fenomeno del crollo della natalità e parecchie, ovviamente, sono le interpretazioni; non di meno, però, un dato di fondo sembra essere costante: la sfiducia e la paura del futuro! Di certo pesa molto il fenomeno delle separazioni e divorzi, le difficoltà lavorative e la quasi assenza di politiche familiari, che fanno di casa – salute – istruzione una cabala indecifrabile. Inutile ripeterlo: da soli non ce la possiamo fare! Bisogna, allora, riprendere a sognare co cuore di Dio… che di paternità e di maternità se ne intende e che nel modello di Nazareth ci ha dato un nuovo segno di salvezza. Nessuno è così solo sulla terra da non avere un Padre nei cieli, recita una bella preghiera, nella speranza però che il cielo inizi davvero ai nostri giorni… Nella nostra diocesi appaiono come lumicini coraggiosi alcuni esempi di grande speranza, che chiedono di essere notati e magari un po’ sostenuti. Proviamo ad inforcare gli occhiali dell’ottimismo. Beh, nel campo educativo, espressione di genitorialità spirituale, Brescia viene da un recente passato abbastanza glorioso, che ci ha lasciato in eredità 253 Scuole dell’infanzia e una cinquantina di Istituti scolastici di altri gradi. Nuove risposte ai bisogni dei genitori, poi, sono rappresentate dal centinaio di Asili Nido affiliati all’ADASM,

organizzazione che riunisce le Scuole per la prima infanzia d’ispirazione cristiana. Anche nel mondo dell’adozione, le famiglie bresciane offrono spunti di speranza e di dimostrazione tangibile di sincera generosità. Qui, come nel mondo dell’affido, sarebbe auspicabile potersi ritrovare ogni tanto nel segno della fede e della condivisione della medesima esperienza di vita. Nel mondo associativo, ancora per fare un esempio, la grande associazione di Famiglie Numerose, di “sapore” nostrano, ma di “profumo” nazionale, si presenta come un utile strumento di aggregazione e di sostegno solidale, di rivendicazione e di promozione sociale. Con una sana lente d’ingrandimento, si può notare la Comunità Effatà di Cologne, costituita da tre nuclei familiari e da due suore Operaie. Anche le Comunità famiglia, con ragazzi in affido o con sostegno di mamme sole, sono una bella stella nel nostro panorama diocesano: le Suore delle Poverelle, con più centri d’intervento; l’Istituto Razzetti; i Padri Pavoniani; la Casa S. Elisabetta; la Casa Le dimore; il particolarissimo “Asilo” di suor Paola; per non parlare poi dei Consultori, dei Centri di Ascolto, dei Centri Aiuto alla Vita e del Movimento per la vita…Accanto a queste eccellenti istituzioni, nel segno della novità, vorrei evidenziare il sorgere di alcune case famiglia, dove un nucleo familiare apre la propria porta, nel regime dell’affido, a dei bambini e ragazzi minorenni. Esiste più di un esempio in diocesi e ogni realtà, proprio come una famiglia, porta delle specifiche originalità, sia nella storia della sua costituzione che nella struttura del menage quotidiano. Mi sembra giusto e necessario che i molti operatori di pastorale familiare possano conoscere e apprezzare questo firmamento di speranza, dove tantissimi bambini e ragazzi imparano alla scuola dell’amore caritatevole che cosa significhi essere figli! dicembre 2011

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a solitudine esistenziale è in se stessa una realtà che dice mancanza, privazione e perdita di senso. A volte, pur non essendo isolati da altre persone, magari anche ben conosciute, ci si trova ugualmente ad essere soli, senza cioè quella necessaria condivisione di vita e quei legami esistenziali che supportano ogni storia umana. Nella Rivelazione biblica, la Parola potente del Dio Creatore viene ad affermare la solitudine come contrasto peggiorativo rispetto alla bontà di tutta la sua opera. Allora, stando al racconto di Genesi 2, il progredire della creazione colma la misura di vuoto, innestando quel legame di corrispondenza e differenza tra l’uomo e la donna (Ish e Ishà), lì richiamati in Adamo ed Eva. “Non è bene che l’uomo sia solo, gli voglio fare un aiuto che gli sia simile” (Gn 2,18). Gli studiosi e i maggiori commentatori hanno sottolineato con chiarezza il significato del verbo originale, qui tradotto con “aiuto”, affermando che si tratta di un’espressione che dice riferimento alla potenza misericordiosa di Dio che salva, avvalorando questo con altri paralleli nella Bibbia. “L’ aiuto”, quindi, è “amore che salva”. Questa è la logica di tutta l’azione divina, che in 52


pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia Gesù Cristo ha trovato la sua massima e definitiva espressione efficace: Dio ci salva con l’amore misericordioso; Dio ci salva nell’amore sacrificale del dono totale della vita del Figlio! Quando vogliamo ottenere un aiuto da qualcuno, usiamo spesso dire: “Mi potresti dare una mano?”, richiamando forse il significato della concretezza e più in là nel ragionamento anche quello del patto, del legame. A ben guardare, però, seguendo quanto detto qui sopra, l’espressione potrebbe cambiare, dicendo: “Mi potresti offrire il tuo cuore?”... Il Signore ci ha plasmati a sua immagine e somiglianza, facendo emergere in noi l’essere strutturalmente relazionali e capaci di pienezza d’amore, nella libertà e nella verità. Infatti, nell’opera salvifica, solo la relazione tra noi come popolo e con Gesù come Figlio Unigenito, unico Mediatore tra Dio e gli uomini, può portare salvezza eterna. Tra le solitudini che oggi imperversano nella nostra società, della tecnologia e dell’individualismo, gridano alla Chiesa la situazione di molti fratelli e sorelle nelle situazioni di vedovanza, di coloro che non si sono mai legati stabilmente a qualcuno, oppure, dei tanti separati e divorziati. Non possiamo rimanere sordi a queste richieste di aiuto, ma con rinnovata fede dobbiamo offrire il nostro cuore, con soluzioni originali e speranzose. Troppi monolocali raccolgono le lacrime e le insoddisfazioni di molte persone sole, magari proprio quelle che ci passano accanto tutti i giorni e con cui condividiamo lavoro, vita sociale e impegno ecclesiale. La fraternità è la medicina a tanti mali e la prevenzione per evitare innumerevoli tragedie umane... Nel passato era facile trovare aggregazioni di persone e di fedeli, sia per necessità che per scelta. Alcune di queste, poi, sfociavano anche in virtuosi cammini di fede e in fruttuose strade di carità, altre, rimanevano soluzioni pratiche per affrontare meglio la vita. Il sogno di Dio di vederci sempre immersi in relazioni buone e significative dev’essere riattivato, ora cercando di rinverdire idee del passato, oppure, inventando soluzioni completamente nuove. Ad esempio, la pratica del buon vicinato, con lo scambio di parole riconoscenti e di favori supportivi, potrebbe smorzare tante tensioni e rompere pericolosi isolamenti; come pure, la bella occasione del pranzo domenicale da aprire a chi è solo, e questo sia in case private che in ambienti parrocchiali (è una pratica in voga in parecchie parti del mondo, dopo la S.Messa domenicale). Ci sono molti anziani soli in case enormi e, dall’altra parte, ci sono giovani coppie/famiglie in case piccolissime, seppur con mutui impegnativi: perché non mettere insieme leì due cose e garantire più qualità di legami e di vivibilità a tutti? Ancora, molte persone separate/divorziate si ritrovano senza la possibilità di sostenere da sole una casa e con la triste realtà di una pesante solitudine da affrontare: perché non creare si-

Appuntamento. Santa Messa per sposi coi loro figli, fidanzati e animatori della pastorale familiare. Ogni ultimo sabato del mese, alle ore 21 presso Centro Pastorale “Paolo VI” a Brescia.

tuazioni di ospitalità dignitose e riservate, abitando insieme a famiglie di supporto? Spesso capita di incontrare persone che non hanno scelto di essere sole, ma che tanti fatti hanno portato a non sposarsi o a non fare il salto della consacrazione. Il rischio è di chiudersi a riccio, di sentirsi inutili o di vivere completamente ripiegati su se stessi. Anche in questo caso, ci vorrebbe la spinta a unirsi per reciproco sostegno e per inventare una nuova fecondità di bene nella propria vita. Insomma, il motto è: “Nessuno sia solo; tutti abbiano una famiglia!”. don Giorgio Comini segretariato diocesano pastorale familiare

LA FAMIGLIA IL LAVORO LA FESTA IN PREPARAZIONE ALL’INCONTRO MONDIALE

2 - la famiglia genera la vita Questo il titolo della seconda Catechesi preparatoria all’ IMF. Brevi pensieri dopo la lettura. La famiglia nasce dalla coppia, dalla differenza sessuale voluta da Dio, anch’essa rende possibile l’essere e vivere “ad immagine e somiglianza”. La generazione umana è legata alla comunione delle persone che la differenza sessuale rende possibile, ma la generazione non è solo il momento della nascita; anche se parte dall’incontro dell’uomo con la donna, passa per la gestazione e va oltre il “lieto evento”. La generazione continua nell’alleanza, in legami stabili dove è possibile aver cura dell’altro, coniuge o figlio. La differenza sessuale è un “cosa buona”, ci scopriamo femmine di fronte a un maschio e viceversa e il nostro corpo sessuato permette la comunione, il dono della persona alla persona. Nel dono totale all’altro ad-viene la vita. Sapere che all’origine del mio esserci c’è stata la comunione di due persone, l’amore, è una radice forte che dà sicurezza e fiducia nella vita. In famiglia ci si dona la vita continuamente e nei modi più diversi. Generare l’altro, darlo alla luce, significa per esempio offrirgli speranza e futuro col perdono, significa indicargli un orizzonte di bene, significa generarlo alla fede facendo spazio a Dio tra me e lui, significa aprirlo ai bisogni degli altri, al senso del dovere, all’assunzione di responsabilità, alla fatica necessaria alla conquista. La generazione non si esaurisce con la nascita di un amore, di un figlio, di un nipote ma si estende all’arco intero della vita dell’uomo, nel suo aver cura, nell’educare, nell’aver pazienza, nell’accogliere, nell’aprirsi alla novità e soprattutto alla vita nello Spirito di Cristo, attraverso la fede praticata e vissuta. Allora anche in mezzo a fatiche e stanchezze potremo testimoniare che Lui ci ha “generati ad una speranza viva” (1 Pt 1,3). C’è bisogno di affermare questo con la vita familiare oggi più che mai.. Chiara Pedraccini 53


pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia Il Gruppo Galilea un cammino di fede per persone che vivono situazioni matrimoniali difficili o irregolari (es. divorziati-risposati). Gli incontri sono mensili, al centro la Parola di Dio, con ampi spazi di ascolto, riflessione e condivisione. Ogni primo sabato del mese. Gli incontri si tengono da calendario annuale, presso il Centro Pastorale “Paolo VI”, (situato in via Gezio Calini, 30 - Brescia) un sabato al mese, dalle ore 17.00 alle ore 19.00. Guida e accompagnatore del Gruppo è don Giorgio Comini, direttore dell’Ufficio Diocesano di Pastorale Familiare.

numero verde da numero fisso 800-123958 da cellulare 3462225896

“Retrouvaille” propone weekend per coniugi che vivono un momento di difficoltà, di grave crisi, che pensano alla separazione o sono già separati ma desiderano ritrovare se stessi e una relazione di coppia chiara e stabile. Per info: info@retrouvaille.it e www.retrouvaille.it.

Pomeriggi di spiritualità coniugale presso Chiesa della S. Famiglia di Nazaret Fantasina - Cellatica (ore 16.00 - 18.00). CALENDARIO ANNUALE: Domenica 22 gennaio - Domenica 26 febbraio - Domenica 18 marzo - Domenica 15 aprile - Domenica 27 maggio

LA FAMIGLIA IL LAVORO LA FESTA

IN PREPARAZIONE ALL’INCONTRO MONDIALE

3 - la famiglia vive la prova Questa terza Catechesi preparatoria all’ IMF propone una sosta di riflessione sulla prova. Ci è successo almeno una volta, di pensare che una vita, anche familiare, riuscita non debba contemplare l’esperienza della prova. Non è così. La prova non è il fallimento ma un’esperienza con/nella quale sveliamo a noi stessi e a Dio cosa abbiamo davvero nel cuore. Non solo quali sentimenti ed emozioni ma soprattutto su quale fondamento abbiamo costruito finora. La prova può assumere volti diversi: la difficoltà a diventare genitori, le relazioni familiari, gli insuccessi scolastici dei figli, la malattia o la perdita di una persona cara, l’amicizia tradita, il lavoro che delude nelle aspettative o che allontana dagli affetti, la perdita dello stesso, l’incapacità dei figli a superare ostacoli alla loro portata, il tradimento. Alcune prove arrivano improvvise e inaspettate, altre sono in un certo senso prevedibili perché legate al ciclo di vita familiare per esempio il non dormire mai una notte tutta intera per mesi -, oppure a situazioni già sperimentate che non possiamo cambiare. Ma una cosa le accumuna tutte: invitano a fare delle scelte, con atteggiamenti concreti, decisioni, fanno nascere in noi domande profonde, ci fanno scoprire che non possiamo controllare tutto, che i responsabili di quello che sta accadendo non sono sempre solo gli altri. La prima tentazione di fronte alla prova è il rifiuto, la paura della fatica, del cambiamento e del disorientamento. E non sempre ci affidiamo al coniuge per condividere, capire, fare discernimento insieme. Quando invece accogliamo la prova, la viviamo standoci dentro, non per forza ma perché chiediamo al Signore cosa dobbiamo fare, cosa Lui ci suggerisce e Gli offriamo anche questo momento della vita personale e familiare allora non saremo annientati, non ci sentiremo persi, senza speranza, senza futuro. Anche la grazia del sacramento della riconciliazione è un forte aiuto. La promessa che il Signore ha realizzato col suo popolo in esilio nel deserto vale anche per noi: “Il tuo mantello non ti si è logorato addosso e il tuo piede non si è gonfiato durante questi quarant’anni” (Dt 8,4). Alle prove non ci si abitua mai, però è importante fare memoria di tutte le volte che il Signore ha aperto una via inaspettata dove per noi c’era solo un vicolo cieco; di tutte le volte che di fronte a Lui abbiamo subito ridimensionato un ostacolo che ci sembrava insormontabile, di quando la nostra umiltà è stata preziosa, di quando Dio ci ha aperto gli occhi e abbiamo cambiato il modo di leggere quella situazione. Questa memoria ci aiuta nel discernimento anche del tempo presente, comprendiamo che aver affrontato un ostacolo è stato come fare il gradino di una scala in salita, ci aiuta a farci prossimo a chi è nella prova, ad accompagnarlo al Signore, che ha cura di tutti noi e che ci sostiene nel tessere la vita famigliare. 54


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Sentieri di Stelle è un cammino di preghiera per tutte le comunità cristiane della nostra diocesi. Ad esse si chiede solidarietà con le famiglie e le persone che soffrono per le situazioni di crisi relazionale, come ad esempio gravi difficoltà, separazioni, divorzio, ecc. L’immagine (Sentieri di Stelle) evoca un duplice significato: da un lato, quando i piedi camminano al buio è meglio volgere lo sguardo al tracciato celeste, che risplende con sicurezza e non delude mai; dall’altro, ciascuno ha il dovere di indicare a chi sta soffrendo strade di consolazione e modelli di santità, facendosi carico dei pesi degli altri, iniziando proprio con l’orazione. L’Ufficio Famiglia, unitamente ai Gruppi Galilea della nostra diocesi, chiede alle parrocchie/unità pastorali di ospitare questa preghiera, coinvolgendo in primis i membri del Consiglio pastorale, i catechisti. Le parrocchie dell’Unità Pastorale di Botticino aderiscono ufficialmente all’iniziativa, fissando questo incontro di pre ghiera il martedì sera durante l’Adorazione Eucaristica e in particolare il terzo martedì di ogni mese.

FAMIGLIA E RITUALITA’

Tempo che corre tempo che conta i riti che introducono al tempo liturgico Una lucida lettura di come gestiamo il tempo nel nostro tempo

II tempo è un’espressione fondamentale della vita sociale. Molte delle conversazioni quotidiane che scambiarne con le persone familiari e amiche riguardano il vissuto personale del tempo: se scorre troppo in fretta o se, invece, è interminabile; se lo si attende con trepidazione o lo si teme angosciati. Le emozioni misurano l’intensità della partecipazione soggettiva agli eventi della vita; l’educazione familiare è sempre una verifica dell’uso del tempo che è l’unico bene sottoposto interamente alla responsabilità personale. Ogni società, ogni epoca storica tende a costruire una particolare percezione della temporalità, un riferimento generalizzato che attribuisce particolari sfumature di senso all’esperienza del tempo. Prevale oggi la sensazione che il tempo sfugga alla possibilità di controllo e di comprensione delle persone. Nella vita della città, la possibilità d’incontrarsi è strettamente legata a fissare gli appuntamenti, all’indicazione di un luogo e di un’ora. Ridotto a criterio di misura, il tempo appare sempre scarso. La scoperta dell’orologio rappresentò una tappa importante della signoria sul tempo, collocando in alto, sulla torre campanaria, quasi un

vessillo del potere dei singoli cittadini di gestire il tempo, scandendolo al ritmo della comunità. Sembra, invece, imporsi oggi non la fierezza del controllo ma il dubbio e il rammarico: perché ci manca sempre il tempo? Perché capita sempre qualcosa o arriva sempre qualcuno che ci «porta via» il tempo? Chi regola il tempo? Chi ne è il padrone? La risposta esclude possa essere la famiglia; se mai il potere parrebbe risiedere nelle grandi organizzazioni del lavoro o del tempo libero, nelle istituzioni che s’impongono sulla famiglia. Adulti e bambini sanno solo che la società (il datore di lavoro, l’ufficio imposte, l’insegnante...) è spietata nel sanzionare i ritardi, nel controllare i tempi o nel punire lo «scarso rendimento» del tempo.

Il nervosismo, il torpore emozionale e l’ansia della prestazione

La svolta impressa all’evoluzione sociale dalla tecnologia avanzata ha avuto pesanti conseguenze sulla cultura tradizionale del tempo. Alcune espressioni, diventate linguaggio comune, sono anche lo specchio in cui si riflettono stili di vita e comportamenti che contraddicono, come rischiose tentazioni, conquiste importanti della nuova cultura. - «Non ho tempo». La fretta e il ritmo della prestazione corrodono il tempo della vita. Ogni volta esso è insuffi ciente. La ristrettezza del tempo rende agitati e ansiosi. Nel nervosismo si diventa impazienti e si lascia 55


pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia libero sfogo agli istinti aggressivi. Ne è un esempio evidente l’esperienza del traffico, dove l’altro appare subito come intralcio che ci «ruba» il tempo. Tutto nella città è segnato dalla concitazione ossessiva, come denunciano i comportamenti dei bambini, sensori straordinari del clima in cui sono immersi, i quali appaiono permanentemente iperattivi e chiassosi. Il baccano dei bambini è sempre più insopportabile agli adulti perché ricorda loro il caos della città e lo stress della loro vita. - «Vivi il presente», «Afferra l’attimo». Il presente dell’attimo non ha consistenza: appena avviene, già è passato. La brevità nella nuova percezione del tempo è compensata dalla sua qualità estetica. Il pluralismo degli orientamenti di vita ha ridotto i valori etici in più modesti «criteri di preferenza» e il credere in un «rito individuale» fatto a propria misura: nasce un individuo realista, relativista, aperto a ogni possibilità. La pretesa di considerare la vita come un incessante esperimento senza approdo, il desiderio di fruire dell’immediato come accumulo delle opportunità e come gratificazione istantanea, innescano il sentimento minaccioso dell’estraneità e dello sradicamento, una penosa e interminabile «assenza d’identità», tanto forte da diventare quasi costume collettivo. La difesa immediata dallo stress è ricercata inducendo un torpore emozionale costante che attenui i segnali e difenda dal «rumore». La disattenzione, la distrazione, la negligenza producono un certo distacco generalizzato nei confronti delle occupazioni e delle relazioni, per impedire l’intrusione degli altri. - «Il tempo è denaro». Quanto più il tempo è compresso e veloce, tanto più la competizione si fa serrata e il tempo diventa il metro dell’efficienza e il parametro dell’autorealizzazione. Oggi i criteri sono quelli dell’utilità: si considerano i risultati. Valore simbolico per eccellenza è, infatti, il denaro, che è un mezzo generalizzato di scambio (con il denaro si può fare «tutto»). Il tempo diventa mercé, risorsa economica preziosa perché scarsa, ed entra nei processi produttivi al pari di altre risorse. Il lavoro, che si proclama fondamento della vita comune e della democrazia, è ridotto a denaro. L’esperienza del tempo diventa ancor più fastidiosa e accresce l’ansia della prestazione. Il nervosismo, il torpore emozionale e l’ansia della prestazione accompagnano così frequentemente e fortemente la quotidianità fino a diventare stili normali di vita. Si cerca di ovviare alla scarsità del tempo attraverso una sua gestione accurata, ma proprio questo sforzo ci rende ancor più vulnerabili e fa sentire fastidiosa la sensazione della nostra dipendenza. L’organizzazione razionale del tempo comporta che, in ogni scelta, si calcoli il rapporto tra mezzo e fine: l’agire è il mezzo mediante il quale perseguiamo i fini stabiliti.

La crisi della festa

rigenerano la quotidianità del tempo feriale; il tempo libero procura il riposo e l’evasione che staccano dalla quotidianità solo per riprenderla subito dopo. In una società fondata sulla prestazione e sulla produzione, il tempo della festa sembra vuoto, improduttivo, inutile. L’esclusiva centralità del presente azzera il tempo, cancella la memoria e l’anticipazione del futuro, dimensioni essenziali della festa. Prevale la domanda esasperata di «divertimento», mentre il giorno festivo stenta ad assumere una dimensione umana: è vissuto più come un tempo individuale che come uno spazio personale e sociale. La lingua greca conosce due parole per dire il «tempo»-, chronos e kairòs. Il primo indica il tempo misurato dall’orologio, quello che sta nell’agenda dei programmi e degli appuntamenti. Il secondo segna gli incontri essenziali e vitali dell’esistenza, quando l’intenzione è di incontrare non gli individui della società ma l’«altro», colui che da senso alla vita, il prossimo che costituisce il proprio ambiente vitale, con il quale si stabiliscono i «legami» che fanno essere. Kairòs sono gli eventi che aprono all’attesa e alla sorpresa. È il «tempo pieno», l’intervallo vitale della meraviglia! Per vivere il kairòs, il tempo liberato dalla prestazione e dall’utilità in vista del denaro, è indispensabile produrre un’alternativa e una critica del tempo del lavoro. Non si può vivere di sola prestazione: è indispensabile anche la gratuità; è necessario anche ciò che appare «inutile». L’identificazione di questo tempo ha bisogno anche della cultura familiare e dei suoi simboli.

Tempo per la famiglia

II tempo familiare, infatti, non è un tempo che si aggiunge agli altri; non può essere un’ulteriore cosa da fare, né può essere inteso come pura pausa dal lavoro. L’intenzione del tempo familiare è invece di dare senso, valore e consistenza a tutti gli altri tempi della vita; di dare insieme significato e speranza. È un tempo qualitativo e non solo quantitativo. Nella gratuità familiare nascono i riti: l’accoglienza e il saluto, gli scambi affettivi e i pasti comuni... Il «dolce far niente» familiare, il tempo della vacanza, il gioco domestico, sono, infatti, tempi che sono vissuti con l’intensità del rito. Nelle società tradizionali, il kairòs aveva per sua natura qualità religiosa e rituale; definiva il presente della vita comune in riferimento ad un tempo sacro, disposto da un’iniziativa più grande rispetto a quella umana e quotidiana. Perdendo il suo riferimento religioso e l’alternanza festiva, il fare quotidiano sembra non approdare mai a una meta, come non avesse un senso. Il futuro non può partire, non riesce neppure a essere immaginato. Il bighellone senza mete o il turista, che è solo di passaggio, diventano le metafore della fine delle certezze, del tempo vissuto senza forma, fluido e informe, casuale e disordinato. Il reale è sostituito dall’immaginario, più precisamente, dal virtuale. Si alimenta così la sfera dell’immaginario e dello spettacolo: il vuoto del reale è riempito subito dalla fantasticheria. Ci s’immerge in una mitologia molto individuale, sconosciuta agli altri e alla stessa persona che la adotta, come avviene nel videogioco o nel romanzo fantastico e magico.

La razionalizzazione della vita sociale limita sempre più lo spazio della gratuità e quindi porta a un impoverimento progressivo delle ritualità familiari, civili e religiose. I riti, infatti, non si possono compiere sotto la dominanza dell’orologio. L’esperienza della festa perde così sempre più terreno, occupato invece dalle attività del «tempo libero». Ma si tratta di due esperienze diverse: il tempo della festa nasce dal valore unico delle persone ed è il terreno fertile delle ritualità e dei significati che La distrazione, il ritualismo e la fretta II nervosismo, il torpore emozionale e l’ansia della prestazione sono oggi talmente invasivi e i legami tanto fragili che, anziché essere dispersi e corretti dalle ritualità familiari e dalla cura dell’anima, rinforzano altrettanti stili di vita caratterizzati dalla distrazione (scarsa attitudine all’attenzione verso di sé, verso gli altri e verso le cose), dal ritualismo (quando il distacco emozionale trasforma i rapporti vitali in copioni senza anima), dalla fretta (l’incapacità e l’insofferenza nel vivere il tempo). Distrazione, ritualismo e fretta sono anche i principali nemici, sempre in agguato, dell’azione liturgica. I riti d’inizio (e il tempo che precede immediatamente la celebrazione) attivano le disposizioni mentali ed emozionali essenziali dell’attenzione perché si possa passare (e quale salto si tratta di compiere!) dal tempo della prestazione (chronos) al «tempo pieno» della Grazia (kairòs). Il passaggio a un altro ordine del tempo e dell’esperienza avviene attraverso le ritualità della fede (che sono simili a quelle familiari ma più potenti e quindi più difficili) che mettono a parte un luogo e un tempo 56


pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia e lo donano al Signore (lo «consacrano»). I riti religiosi (la celebrazione della fede) richiedono un linguaggio appropriato, dove le parole, pur avendo lo stesso significato della vita quotidiana, hanno un altro senso, perché alludono al Mistero, dove le azioni e gli oggetti sono tolti dal loro utilizzo pratico e sono trasformati in segni divini. Nella celebrazione eucaristica «si mangia» ma non per fame; si beve non per sete e nemmeno per «compagnia»; ci si muove e si «agisce» non in funzione di qualche scopo, ma solo per rappresentare l’invisibile Presenza del Signore risorto. Si compiono azioni, ma gli effetti ordinar! che ne derivano non sono quelli fisici. Il corpo non smette di essere essenziale, come lo è nella vita di ogni giorno, ma nella liturgia si rende quasi trasparente alla luce che proviene da Altrove. Il corpo non si sottrae alla percezione dei suoi cinque sensi, ma si trova ad abitare un territorio nuovo, quello della gratuità e della pienezza di significato (il «tempo pieno»). Durante l’Eucaristia gli occhi non si chiudono per lasciar spazio all’immaginazione, sono ben fissi all’Evangelario che avanza, all’Ostia esposta, al calice contemplato, anche se non vedono «nulla» di ciò che il fedele solo crede. Nei confronti della realtà quotidiana si crea come un «gioco», nel senso «meccanico» di distanza, intervallo, parentesi. Senza questo spazio e questo tempo altro, la celebrazione rischia di non riuscire a dire l’indicibile, a creare comunione con il Mistero inaccessibile. Dio appare solo nella fede, ed è come la Luce che tutto fa risplendere e alla quale ogni segno allude, ma in se stessa è «inguardabile» perché «abbagliante». Nella liturgia non si rinuncia ai sensi: si sospende la loro funzione usuale per percepire diversamente. La vera ascesi quindi è l’attenzione, non la rinuncia. La distrazione si combatte, infatti, attraverso la concentrazione sui gesti semplici e solenni che alludono all’azione di Gesù. Il ritualismo si contrasta quando si entra nella celebrazione con cuore libero e aperto, disposto a lasciarsi guardare e incontrare dal Signore, mentre impara a volgere lo sguardo, a orientare l’orecchio, a disporsi alla parola, a muovere il corpo, secondo le sapienti (e antiche) regole del rito. La fretta si risolve quando si accetta di uscire da sé, per considerare il mondo non più come oggetto da manipolare e dominare, ma come dimora da abitare nella consonanza della risposta corale e nella fraternità espressa dal canto dell’assemblea. I riti d’inizio della celebrazione eucaristica hanno quindi lo scopo di rendere reale l’Invisibile, con un’intensità che deve contrastare il peso della distrazione, del ritualismo e della fretta. Per questo, come vedremo, il fascio di Luce che l’assemblea appena composta raccoglie, lascia immediatamente intravedere la propria oscura miseria e subito predispone a riconoscersi peccatori.

La potenza del bacio La partecipazione è una dimensione essenziale nella preghiera liturgica. I credenti proclamano e celebrano un fatto - il Mistero cristiano - ritenuto storicamente fondato, vissuto come reale, celebrato come essenziale per la loro vita, riconosciuto come costitutivo per la loro identità. Nella liturgia i cristiani s’impegnano in una professione di fede che non interpella solo la loro ragione, ma riguarda il senso complessivo dell’esistere; coinvolge, quindi, tutta la persona e la tocca negli affetti, nei sentimenti e nelle emozioni. È indicativo, infatti, che la celebrazione eucaristica inizi con un gesto semplice e immediato di affetto umano: il bacio all’altare. Gli affetti sono ciò che da senso e gusto alla vita; sono tra le cose più belle che la quotidianità dell’esistenza riservi; riempiono di felicità così come a volte, nella mancanza, nell’indelicatezza, nel tradimento, fanno piangere fino alla disperazione. L’affetto è anche la segreta bellezza della ritualità della liturgia. Il linguaggio dei riti, infatti, non si ferma a constatare che Dio c’è o a celebrare la fede, ma genera le relazioni tra le persone. «Cristo Gesù Salvatore, tu sei Parola del Padre qui ci raduni insieme, Tu...»-, come si possono pronunciare queste parole con verità, nel canto o nella preghiera, senza sentirsi toccati dentro? In latino, infatti, «affectus» è opera del tatto, significa «essere toccato». L’affetto che si prova quando si prega (e che più propriamente è chiamato devozione) dice il modo con cui si percepisce e si vive l’invisibile Presenza di Dio. Dice anche come si considerano le persone che si hanno vicino e, a sua volta, manifesta agli altri come si sta partecipando alla celebrazione. Nella liturgia i gesti esprimono sempre il cuore e per questo diventano bellezza, tenerezza, qualità dello sguardo, del sorriso, della voce, del gesto, del movimento di tutti coloro che celebrano e non solo di chi presiede. Senza affetto tutto muore nel ritualismo che, della preghiera, è negazione totale.

Un saluto dalle grandi conseguenze

II gesto più quotidiano della comunicazione affettiva, il bacio, metafora erotica e nuziale, linguaggio dell’affetto e dell’amicizia, diventa così, atto liturgico importante. Il segno di venerazione del bacio imprime all’azione liturgica un movimento essenziale: l’altare e ciò che avverrà su quella pietra sono definiti, da subito, il centro della celebrazione, l’espressione visibile dell’amore totale di Cristo donato e ricevuto. In realtà, più in generale, è tutta l’assemblea che viene trasfigurata dal rito liturgico, in quel bacio. Subito dopo il segno della croce, colui che presiede, infatti, si rivolge all’assemblea con la parola umana più impegnativa: «Fratelli...». Si tratta di un saluto, colmo d’affetto, più vincolante di quello rivolto ad amici, a conoscenti, a simpatizzanti. Gli amici si scelgono, la fraternità è data. Finché resiste lo sguardo rapito in Cristo, fin quando si fissa ‘altare, avviene nell’assemblea un vero miracolo: quella massa multiforme ed eterogenea di conoscenti e di sconosciuti, di amici e di estranei, di simpatizzanti e di indifferenti, diventa «un cuor solo e un’anima sola», annullando ogni altro aggettivo (anche le distinzioni di genere: non è necessario, di per sé, all’appellativo «fratelli» aggiungere «sorelle»). Poste davanti al Signore, finché dura l’atto di fede, tutte le diversità sono ricondotte a unità. Le differenze bambino/ adulto, povero/ricco, servo/padrone, uomo/donna, almeno nella parentesi liturgica, non hanno più alcun valore. A essere precisi, infatti, non si potrebbe dire «Messa dei bambini», «Messa dei giovani», «Messa degli anziani»... Il segno della pace, un più tardi, simbolizzerà e realizzerà una comunione e una fraternità che «non sono di questo mondo». Prefigurerà «ciò che sarà», l’orizzonte escatologico del cielo e della terra nuova. Ogni persona partecipa all’Eucaristia in base alla propria età e condizione di vita, che però l’evento dell’altare ha il potere di relativizzare nella forma più radicale. All’assemblea liturgica possono partecipare due vicini di casa che non si parlano, due cittadini in conflitto, due compagni di lavoro (o di scuola) che non si sopportano, due parenti che si detestano, due coniugi che vivono separati... Nella misura in cui 57


pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia credono al sacramento che celebrano, almeno per quella parentesi di tempo, quegli stati di vita sono annullati. In caso contrario non sarebbe possibile celebrare: le parole del Maestro sono inequivocabili: «Lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24). Resistere all’invito potrebbe comportare di «mangiare e bere la propria condanna» (1 Cor 11,29).

Una possibilità reale

A chi celebra l’Eucaristia, almeno per un momento, è dato di sperimentare (non d’immaginare o di fantasticare) alzando gli occhi sull’assemblea che prega senza distoglierli dall’altare, che i contrasti e i conflitti possono ricomporsi, che le diversità sono ricchezze, che il Pane della vita sostiene i deboli e dona loro di non arrendersi al male, di non rassegnarsi all’ingiustizia, di superare i torti. Il sacramento realizza ciò che simbolizza: sull’altare si celebra la vittoria sulla morte. A chi prega è dato un tempo e un luogo in cui sperimentare, attraverso l’affetto divino, che la morte non è più il cupo destino dell’esistenza. La fede che riconosce il Signore lì presente attesta che la paura della morte può essere umanamente portata, annullandone il potere distruttivo. Liberati dal terrore della morte si sperimenta, così, la pace, accolta come il dono più prezioso. La pace è anche liberazione dai pregiudizi, dalle grettezze, dalle chiusure della mente e del cuore. L’analisi scientifica della realtà sociale è utile per interpretare i segni dei tempi. Per chi vive la liturgia e vuole orientarsi nella complessità del mondo, non sono d’aiuto, invece, le ideologie e le utopie. I cristiani conoscono bene il senso e il valore delle grandi parole della vita: pace, solidarietà, uguaglianza, fraternità, misericordia, perché le vivono concretamente nell’aula liturgica quando i loro occhi rimangono fissi su Cristo all’altare. Nella quotidianità della vita in famiglia, sul lavoro, nella società il cristiano sperimenterà spesso la contraddizione tra il dono vissuto nel sacramento e la condotta etica. Constaterà la presenza del peccato in lui e nel mondo. Uscito dalla chiesa, già forse sugli scalini del sagrato, sperimenterà ancora i condizionamenti del pregiudizio, l’ansia per il futuro, l’incapacità del perdono, i pensieri della vendetta. Non perderà però la speranza e non si arrenderà alla mediocrità, perché ricorderà di aver «toccato con mano» (sensibilmente) la possibilità reale di quei valori quando, nella celebrazione sacramentale, ha abitato, per un momento almeno, il confine tra ordine storico mondano e il Regno di Dio, ha realizzato la sintesi più compiuta e perfetta dell’immanenza (il qui e adesso) e della trascendenza (il futuro escatologico). La liturgia, infatti, appartiene al corpo e alla terra, ma istituisce un nuovo ordine di significati e di finalità. Senza cedere al dominio oscuro dell’emozionale e

L’esperienza più vicina all’accadere liturgico

II tempo liturgico si presenta, quindi, come un tempo altro: un diverso modo di vivere e sentire il mondo, una vera modificazione dell’esperienza di sé e della realtà. Non esistono equivalenti del miracolo della liturgia: nessun’altra esperienza umana permette di vivere ciò che i sacramenti, celebrati nella fede, operano. L’esperienza che meno si allontana e meglio riesce a darne un’immagine è, forse, l’evento della maternità. La maternità è, infatti, prima di tutto, un’intensa esperienza inferiore, un fatto reale ma, per molti versi, incomunicabile. In quanto avvenimento umano straordinario, costituisce, insieme, un fatto di natura biologica, una complessa esperienza psicologica e un evento di alto contenuto umano e spirituale. Diventare madre è un’esperienza che coinvolge integralmente il corpo, la psiche e lo spirito della donna. Le tracce della trascendenza sono lì talmente attive che si diventa madri solo con il tempo. Questa complessa esperienza inferiore comporta un’elaborazione mentale profonda, che inizia fin dal concepimento e non si chiude al momento del parto ma richiede ulteriore tempo e lavoro mentale e spirituale. Lo stesso avviene nella liturgia: solo con il tempo, attraverso un lungo percorso di catechesi e di ascesi si diventa capaci di celebrare. La maternità comporta un cambiamento sostanziale. Diventata madre non è più la donna di prima. La madre stessa è come senza parole di fronte ad un avvenimento che capita dentro il suo corpo, eppure lo supera e lo trascende, davanti ad un processo irreversibile (sarà madre per sempre, per tutta la vita e per ogni momento della vita) che da le vertigini, dentro un’avventura che la coinvolge totalmente. Vive la maternità come un’esperienza che non può essere completamente trasmessa a chi non l’ha provata: lo sembrano dire gli sguardi di complicità delle madri che si incontrano e, a volte, i silenzi (o anche le incomprensioni) verso i padri dei loro figli, che pur essendo partecipi e parte in causa non accedono certo alla medesima esperienza. L’intima gratificazione della maternità può, d’improvviso, apparire più forte del desiderio sessuale, dell’attrazione (non del significato e del valore) della vita di coppia. Anche la pace liturgica non è comunicabile agli estranei. Lo riconosceva l’antica disciplina dell’arcano. L’invisibile Presenza non è infatti data dalle emozioni e dai sentimenti (che, con un po’ di competenza, possono essere descritti), non è data neppure dal rito. Piuttosto, è il Signore che si dona attraverso il rito e tocca il corpo e l’anima di chi partecipa nella fede. Anche per la mamma il figlio è «invisibile»: non ancora nato lo sente vivo nel suo corpo, ma chi sarà questo figlio? Lo stringe tra le braccia a pochi mesi (o anni) ma che ne sarà di questo bambino? Lo accompagna adolescente ma che adulto diventerà? Ogni volta la domanda cerca l’invisibile e la risposta sta solo nella speranza e nella fiducia. Nell’anima e nel corpo della donna che diventa madre avvengono passaggi e maturazioni di notevole complessità. C’è il tempo in cui la donna intesse con la creatura che porta in grembo il primo dialogo inferiore, immaginario. Poi il momento del parto con il suo travaglio indicibile e le sue emozioni travolgenti: quasi la sensazione di essere puri strumenti della natura, di appartenere alla fertilità della terra e alla vita del mondo. Ci sono, infine, i primi giorni dalla nascita, dove la nuova madre intesse i legami d’intimità con il suo bambino e compie gesti semplici e quotidiani ma con un’intensità e uno stile che solo la mamma è capace di fare: tenerlo in braccio, accarezzare e manipolare il suo corpo, presentargli gli oggetti, orientarlo alle prime esperienze del mondo (Donald Winnicott).

Il generare della liturgia Con il bacio, l’altare e ciò che avverrà su quella «pietra» sono definiti, da subito, il centro della celebrazione.

alle illusioni dell’immediatezza, l’invisibile Presenza non allontana dalla storia e dalla terra ma mette fuori gioco le richieste e le leggi del mondo. La liturgia è azione, non fantasia; cambia la realtà, non ne modifica solo la percezione. «Nell’esperienza liturgica, l’esistenza vissuta nell’orizzonte ultimo del mondo si lascia interpretare come limite che la liturgia consente di superare. Quest’ultima, dandosi all’interno del mondo un orizzonte che non è quello del mondo, dimostra che il mondo non è intrascendibile; e, anche se essa non si appella a un al di là, senza prima sottomettersi alle condizioni dell’ai di qua, comunque prova che per essa il mondo perde la propria struttura d’orizzonte» (J.Y. LACOSTE, Esperienza e assoluto, p 68).

L’Eucaristia da sempre è la stessa ma è vissuta secondo gradi diversi di consapevolezza dai bambini, dagli adolescenti, dagli adulti e dagli anziani. È sempre la stessa ma si da in una molteplicità di forme: feriali, festive, parrocchiali, patronali, familiari, in piccolo gruppo. Incontra e trasforma gli eventi umani più distanti: la nascita e la morte, la gioia e il dolore, il fervore e la mediocrità. Il generare non appartiene solo al dominio degli eventi fisiologici. Metaforicamente può essere esteso a tutte le attività umane: alla vita lavorativa e professionale, alla produzione artistica, all’azione sociale. Lo si dice specificatamente della fede quando la catechesi spiega che la comunità cristiana genera i suoi figli alla fede, attraverso i sacramenti. La riscoperta della maternità, come dimensione essenziale della femminilità, non può avvenire fuori dalle conquiste culturali delle donne: quelle di una maggiore consapevolezza dell’essere persona e del suo spazio nella società, del riconoscimento del valore assoluto della maternità ma anche dei possibili effetti perversi del sentimento materno. Non si rinnova il rapporto madre-figlio se non 58


pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia si libera quello madre-donna, attraverso la ricerca di una corrispondenza sempre più esplicita dei valori della maternità con quelli della femminilità, con la qualità della vita personale. Il movimento di libeL’affetto razione della donna è un punto di arrivo della modernità: segno di è anche la seuna società libera, mobile, emancipata. greta bellezza Generazioni di teologi e di pastori, di catechisti e di fedeli, donne e uomini, hanno sognato il rinnovamento della liturgia con la pasdella ritualità sione degli innamorati. Hanno ricercato e ricercano una corrispondella liturgia. denza sempre più vitale e reale tra le parole della fede e i gesti del corpo, fra le verità celebrate e la qualità della vita comunitaria Senza affetto e personale. tutto muore Lo spazio materno, pur nelle sue ambivalenze, costituisce il luogo di nel ritualismo. grandi valori personali e sociali. Rappresenta il codice dell’umanizzazione, la sfida ai valori dominanti dell’utile e del vantaggio perché è vocazione alla donazione di sé, capacità di offrire, dall’infanzia alla vecchiaia, la possibilità di amare, di godere e far godere. La decisione di generare esprime inoltre la fiducia nel nuovo e nel futuro, nella possibilità di trasmettere valori positivi che i figli potranno fare propri. Lo stesso si può dire anche della liturgia, ma senza ambivalenze, nel senso più pieno, perché il soggetto che agisce è lo Spirito del Signore.

Presepio San Gallo 27° edizione

L’appuntamento con il presepio di San Gallo si rinnova anche quest’anno.

La parrocchia e il gruppo presepio oratorio San Gallo organizzano:

Il gruppo di volontari, giovani e meno giovani, dell’Orato- Diamo luce al Presepio… rio sta sistemando gli ultimi dettagli per consegnare ai visitatori piccola rassegna di presepi di San Gallo uno scenario completamente nuovo, ma sempre suggestivo e emozionante. La venuta di Gesù viene collocata, per questa edizione, in un’ambientazione naturale: nella quiete del paesaggio lacustre. Per dare un tocco di realismo in più non mancheranno i personaggi in movimento, la colonna sonora con oltre dieci punti voce e l’alternarsi del giorno e della notte, accompagnati anche da fenomeni meteorologici quali pioggia, neve e nebbia. Le giornate di festa troveranno così, in questo angolo meticolosamente ricreato, un’occasione per guardare con stupore alla nascita del Salvatore, la possibilità di ritrovare un’emozione Se credi ancora che fare il presepio nel silenzio. E l’umiltà della mangiatoia potrà essere opportunità possa essere un momento bello, di fede per concedersi una pausa in questo tempo tanto frenetico quane tradizione, non farti domande to precario per guardare la meraviglia che ogni anno si rinnova. costruisci il tuo presepe … non importa con Per quanti lo volessero, il presepio sarà visitabile, solo i che materiale, in quale stile, l’ importante che festivi, da Natale fino al 15 gennaio serva a te, ad avvicinarti al vero Natale e dalle ore 10,30 alle 12 e dalle 14,30 alle 19 e sabato 7 gennaio possa donare a chi lo vedrà dalle ore 14 alle 17 un momento di gioia e serenità Buon Natale! Anche quest’anno ti chiediamo Gruppo Presepio dell’Oratorio di San Gallo di condividere il tuo presepio con tutti noi… come? Basta segnalarlo a Egidio , Renzo o Pietro, noi passeremo a visitarlo e faremo alcune fotografie da esporre all’ ingresso del presepe dell’ oratorio… sarà un modo per condividere le tue idee con i tanti, che ci vengono a trovare… Le segnalazioni vanno fatte entro domenica 18 dicembre . Egidio 030 2199982 Renzo 030 2199863 Pietro 030 2199881 59


Scuola Parrocchiale don Orione

QUI SCUOLA

La scuola parrocchiale “Don Orione” si innesta in una storia e un territorio ricco di attenzione educativa e di formazione cristiana: la scuola è ospitata in quello che per molti parroci anziani è stato l’inizio del seminario, successivamente ha ospitato il seminario minore della famiglia religiosa degli Orionini. Da alcuni anni la scuola è gestita dalla parrocchia di Botticino Sera che vede in questo investimento un aspetto dell’attenzione educativa che caratterizza ogni cristiano. Si propone alle famiglie la possibilità di vivere in maniera costruttiva il rapporto educativo, favorendo la vicinanza tra genitori, alunni ed insegnati. L’obbiettivo è quello di aiutare i ragazzi a crescere con una personalità matura, sicura e capace nello stile di vita propriamente cristiano. Per favorire questo è parte integrante del percorso l’attenzione alla persona con un supporto particolare e individuale per alcune necessità educative particolari. La scuola secondaria di primo grado (medie) si fonda su una tradizione forte e su una certa diffusione sul territorio anche fuori dai confini parrocchiali. Cinque anni fa la scuola ha fatto la scelta di iniziare la scuola primaria per rispondere più opportunamente alle famiglie e alle loro esigenze presenti sul territorio di Botticino. La scuola primaria giunge quest’anno alla conclusione del suo primo ciclo: lo sforzo della parrocchia è stato intenso e finalmente quest’anno potremo fare domanda di estensione della parità avendo realizzato l’adeguamento delle strutture necessarie per garantire la sicurezza degli ambienti secondo la normativa ministeriale esistente. Ora lo sguardo corre al futuro...con i migliori auspici, certi che la scuola paritaria offre un servizio pubblico almeno al pari della scuola statale, pertanto la scuola della parrocchia non è antagonista, vuole piuttosto essere una delle possibili alternative.

PER…. CORSI PER CONOSCERE E FARE Da alcuni anni la Scuola Don Orione dell’Unità parrocchiale di Botticino organizza occasioni di incontro per la comunità in orario serale , con l’obiettivo di favorire momenti di crescita umana e culturale. Un’attenzione particolare viene rivolta all’aspetto della salute, secondo il vecchio adagio latino ” mens sana in corpore sano” ecco allora i corsi di ginnastica dolce e Yoga; senza trascurare il training autogeno. Per chi ama cimentarsi in nuovi percorsi gastronomici vengono proposti il corso di cucina e quello di pasticceria, sempre molto seguiti ed apprezzati. Non mancano laboratori di manualità creativa: cucito, di fotografia, arte e decoro. Completano il percorso : il corso sulla memoria per motivare i non più giovanissimi a scongiurare il rischio di perderla, uno studio sulla grafia per aiutarci a comprendere meglio il nostro carattere, attitudini, potenzialità e debolezze…. Quest’anno l’offerta “formativa” sarà potenziata con la proposta di un laboratorio di scrittura, di conoscenza dell’arte contemporanea, di iconografia. La realtà ci porta infine ad offrire un aiuto a quelle famiglie che devono affrontare il problema dell’accudimento di persone anziane , ecco allora alcuni incontri con il geriatra che può fornire indicazioni pratiche su come muoversi in presenza di tali problematiche. I corsi partiranno in due monumenti: una prima parte in autunno, la seconda in primavera, secondo un calendario che verrà distribuito e pubblicato sul sito della parrocchia: www.parrocchiebotticino.it 60

Gent.le Sig.ra Preside, nell’informarla che verremo quanto prima a ritirare il diploma di ....., volevo approfittare della presente per rinnovare a lei e a tutti gli insegnanti della scuola i miei ringraziamenti per l’anno scolastico scorso. .... nello scorso anno scolastico è molto evoluto e si è responsabilizzato, certamente maturato, anche grazie alle attenzioni degli insegnanti della Vostra scuola che hanno saputo cogliere le fragilità di mio figlio. A testimonianza di tutto ciò, ...., in questi primi giorni di scuola superiore si sta dimostrando molto volenteroso e, pur conscio che non sarà mai, per sua natura, un grande studioso, ha certamente appreso da voi metodo e responsabilità che mai nessuno prima aveva lui spiegato; anche la capacità di credere in se stesso è stato un valore aggiunto che il suo gruppo insegnati ha trasmesso a .... Spero per lui che possa anche nei prossimi anni incontrare insegnati positivi, pazienti, professionisti come tutti voi avete dimostrato di essere svolgendo con passione il vostro difficile compito. Pregandola di girare ai suoi collaboratori i miei sinceri ringraziamenti la saluto caramente. il papà


I "doveri" della scuola cattolica

Educare l'uomo, trasmettere la fede

Luogo di missione, diventa parte integrante dell'evangelizzazione La scuola cattolica di dare pienezza all'uomo, da sempre si caratterizza di renderlo capace di aveperché accanto all'istru- re fiducia in se stesso non zione pone l'educazione, perché è intelligente o ricco, nell'attenzione a formare ma perché va scoprendo di l'uomo nella sua integralità giorno in giorno il senso del e in tutte le sue dimensioni suo essere creatura divina. da quella umana a quella Solo così l'educaziospirituale, da quella cultura- ne cristiana risponde in male a quella etica. niera profonda al desiderio In questo processo di verità, bontà, bellezza e formativo felicità che la trasmis- Non si tratta di sono nel cuosione del- trasmettere soltanto re di ogni perla fede è i saperi; l'attenzione sona, coopeparte irri- costante è per la rando alla sua nunciabile pienezza della persona maturità, allo perché la umana sviluppo della persona si sua libertà e umanizza maggiormente se al desiderio di raggiungere incontra Gesù Cristo che è la somiglianza con quel Dio l'uomo perfetto. amore che ci ha creati. L'educazione vista Paolo VI in una delin quest'ottica diventa par- le sue splendide omelie a te integrante e fondamen- conclusione del Concilio tale dell'evangelizzazione e diceva: "Amare Dio signifirende così la scuola catto- ca trovare e servire l'uomo, lica luogo di missione che, l'uomo vero, l'uomo integuardando a Gesù maestro grale; amare l'uomo e fare di verità e di vita, indica la il cammino insieme con lui strada della piena promo- significa trovare Dio termizione dell'uomo. Il far cre- ne trascendente, principio e scere nel sapere delle varie ragione di ogni amore". discipline è già qualcosa di Queste parole singrande e di bello, ma la sor- tetizzino in modo straorpresa si fa ancora più pro- dinario e al tempo stesso fonda quando offriamo ai concreto quello che deve giovani, che ci sono affidati, essere il cammino educala possibilità di scoprire il tivo che siamo chiamati a senso della vita, la ricerca compiere se voghamo rilibera della verità, la bellez- dare alla nostra società un za del saper costruire delle volto nuovo, più pulito, più relazioni e la presenza di autentico, più umano e criquel germe divino che c'è stiano. in ciascuno, germe che co- E questo è compito stituisce la grandezza della di tutti, ma lo è in special persona. modo per la scuola cattoli La scuola cattolica ca che è opera della Chiesa ha proprio questo compi- e ha come suo obiettivo di to, non può accontentarsi fondo quello di sollecitare di trasmettere un sapere le risorse positive dei ragazqualunque, la sua atten- zi per aiutarli a dare voce ai zione deve essere quella loro talenti.

Mons. Crociata La scuola paritaria

Risorsa importante per la società italiana "Il momento che il nostro Paese sta attraversando ha carattere di difficoltà straordinaria, non solo nel passaggio istituzionale e politico, ma anche, e per taluni aspetti soprattutto, nelle ricadute sociali ed economiche della crisi. Di queste difficoltà siamo pienamente avvertiti e seguiamo da vicino, conviva apprensione per il bene della nostra gente, gli sviluppi al momento non definiti". Così si è espresso nei giorni scorsi, mons. Mariano Crociata, segretario generale della Cei, intervenendo a Roncade (Tv) alla seconda Conferenza sulla scuola libera paritaria e formazione professionale. In Italia la legge sulla parità 62/2000 afferma che il sistema nazionale di istruzione non si identifica con la scuola statale. Da ciò deriva, ha spiegato mons. Crociata, che "il sistema nazionale non può considerarsi tale se mancano le scuole paritarie", cui “Va attribuito un valore costitutivo". Eppure, "ad oggi è ancora avvertita una differenza di trattamento fra gli alunni delle scuole statali e quelli delle scuole paritarie, per via dell'incerta consistenza e tempestività delle pur modeste sovvenzioni". La parità scolastica è un pilastro fondamentale, assieme all'autonomia, del sistema educativo. di istruzione e di formazione, ha sostenuto ancora il Segretario generale della Cei. Se la parità assolve, infatti, un servizio pubblico dentro il sistema scolastico nazionale, sembra logico che la sua attuazione risponda alle finalità proprie della scuola in quanto tale e sia sostenuta anche sul piano economico, oltre che pedagogico e culturale". "È una risorsa - ha aggiunto - su cui la società italiana deve poter contare per l'educazione delle nuove generazioni: non un di più o un privilegio per pochi, ma una offerta formativa rivolta a tutti coloro che intendano usufruirne, con parità di doveri e diritti, secondo la logica della sussidiarietà che in questi anni si è consolidata anche sul piano costituzionale". La scuola paritaria "non vive in contrapposizione o in alternativa alla scuola statale, ma si pone accanto, come altra possibilità e garanzia di accesso all'istruzione e alla formazione, nel rispetto della ‘libertà di scelta educativa da parte delle famiglie'. Per mons. Crociata, "è necessario che il tema della parità sia adeguatamente sostenuto dalla promozione di una cultura scevra da pregiudizi ideologici e da stereotipi, che nulla hanno a che vedere con il valore educativo e culturale espresso dalla scuola paritaria. " 61


Per un’altra strada

itinerario anno oratoriano 2011-2012

2° tappa - Avvento Natale

la strada della verità AGI conti di que-I RErM c n i nei ra all’Orie

Scop gi venuti d nto di sti sag atteggiame a e di te un za, di attes entare speran ione: può div adoraz il tuo!

“Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”: sono uomini colti e sapienti quelli che intraprendono il viaggio. Uomini che hanno tutti i “dati” possibili a portata di mano. Gente con il navigatore aggiornato insomma. Eppure non sanno dov’è. Manca ancora qualcosa ed è una stella, un segno divino che li guida. Il Signore ci offre ancora una volta un’indicazione per trovare la strada giusta: guarda di fronte a te, cambia i tuoi occhi e vedrai la strada della verità. Forse tutto quello che hai intorno, informazioni, strumenti, oggetti non sono più utili: stanno diventando troppi, banali. Forse il tuo sguardo è sempre orientato a terra e non vedi una stella, sfolgorante, nel cielo.

PER LA COMUNITÀ EDUCATIVA

Superare la banalità di alcune proposte, offrire sguardi alti e impegnativi, questo lo scopo della seconda tappa che si svolge nel periodo di avvento. È l’occasione per richiamare nei nostri progetti educativi momenti dedicati alla contemplazione, alla preghiera, all’annuncio dell’importanza Cristo nella nostra vita e in quella dei nostri ragazzi. Saper vedere la stella, saperne interpretare il cammino: ritorna l’invito ad imparare a leggere la propria vita in modo vocazionale e ad aprirsi ad un accompagnamento spirituale costante. INTERROGATIVI L’invito a percorrere la strada della verità ci offre alcuni spunti di verifica: 1. Quali occasioni di spiritualità e di accompagnamento spirituale offriamo ai nostri bambini, ragazzi ed adolescenti? Sono occasioni di riflessione e verifica della propria vita? 2. Sappiamo leggere criticamente la realtà (e aiutare i ragazzi a farlo) evitando proposte superficiali ed atteggiamenti che banalizzino i rapporti tra le persone ed il consumo delle cose?

pellegrinaggio di fiducia a Berlino per l’incontro europeo

Participare al pellegrinaggio di fiducia a Berlino vuol dire... ... pregare, cantare, fare silenzio e parlare della fede con decine di migliaia di giovani europei; ... sperimentare l’ospitalità delle famiglie; ... scoprire la presenza di Dio in una città aperta alle tradizioni, culture e religioni le più diversi; ... impegnarsi per la comunione in una città divisa per molti anni, aprire un cammino di pace, di fiducia e di speranza fra gli uomini.

informazioni presso gli oratori

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NELLE PARROCCHIE DI BOTTICINO incontro settimanale alle ore 20,00 per adolescenti e giovani nelle rispettive parrocchie presso l’oratorio

cresimati Botticino Mattina il giovedì ore 20,30 Botticino Sera il venerdì ore 20,30 San Gallo il sabato ore 19,45

Celebrazioni penitenziali

sabato 31 marzo 2012 ore 17.00

proposte di qualità adolescenti e giovani

ZONA PASTORALE- Botticino Sera

LA VITA UNA BUONA NOTIZIA itinerario di spiritualità per giovani

martedì 17 gennaio e martedì 7 febbraio Giornate di spiritualità per giovani presso l’Eremo di Bienno

La vita buona del Vangelo

presso il Centro Pastorale Paolo VI presieduta da don Giovanni Milesi

meditazioni del Vescovo Luciano e animazione dell’équipe diocesana da sabato 28 aprile (ore 15.00) a martedì 1 maggio 2012 (ore 17.00)

Scuola di Preghiera in Cattedrale

SICHAR (2^ domenica del mese) gruppo vocazionale diocesano aperto alle giovani e ai giovani desiderosi di cercare luce per la propria scelta di vita, con attenzione a tutte le vocazioni (vita matrimoniale, consacrata, missionaria, diaconale, presbiterale…) Sì, per tutta la Vita GIOVANI CHE: - desiderano acquisire uno stile di preghiera e di discernimento - stanno vivendo forme di servizio in gruppi catechistici, caritativi, missionari; - stanno valutando la possibilità dell’anno civile o di volontariato; - desiderano aprirsi a forme di impegno socio-politico; - appartengono ad associazioni o a gruppi ecclesiali; - stanno approfondendo la loro ricerca vocazionale. OBIETTIVO: Aiutare a scoprire la volontà di Dio sulla propria vita attraverso un cammino di fede, di ricerca e discernimento vocazionale, aperto ad ogni tipo vocazione (matrimonio, vita consacrata, missionaria, diaconale, presbiterale…). MEZZI: Ascolto della Parola di Dio (Lectio divina) Discernimento spirituale; Silenzio - Preghiera - Eucarestia Piccolo gruppo - Equipe di animazione Confronto - Condivisione - Testimonianze

segue Veglia delle Palme

PASSIONE PER LA VITA presieduta dal Vescovo in Quaresima - ore 20.30 giovedì 1 marzo 2012 giovedì 8 marzo 2012 giovedì 15 marzo 2012 giovedì 22 marzo 2012

il Soffio della Vita Risorta

con Maria verso PENTECOSTE

soste di preghiera presso alcuni Santuari guidate dal Vescovo nel Tempo Pasquale - ore 20.30 venerdì 20 aprile Santuario della Madonna a Rovato venerdì 27 aprile Santuario della B.V. a Bovegno

venerdì 4 maggio (veglia per la 49^ GMPV e per gli ordinandi presbiteri) nella Basilica a Botticino (Santuario)

venerdì 11 maggio Santuario dell’Annunciata a Piancogno venerdì 18 maggio Santuario della Stella a Bagnolo sabato 26 maggio VEGLIA DI PENTECOSTE

Progetto Giovani & Comunità

tre mesi di esperienza per i giovani e le giovani di età compresa tra i 18 e i 28 anni che, attraverso la vita comunitaria e il servizio, si confrontano sulle proprie scelte di vita ispirate ai valori cristiani INFO: ufficio Caritas 030.3757746 ufficio Vocazioni 030.3722245 63


cosa pensano i nostri ragazzi?

Il periodo precedente ad un sinodo è sempre un’occasione: l’assemblea sinodale potrà coinvolgere un numero grande (ma limitato) di persone, mentre nel tempo preparatorio, attraverso il racconto, le domande, la riflessione, la formazione personale e la preghiera il sinodo può davvero coinvolgere molti. Addirittura sento dire, da chi è un po’ più esperto di me, che il vero sinodo è il periodo precedente: è la capacità di ascoltare, suscitare dubbi e domande, cercare insieme risposte creative e originali ai problemi che abbiamo di fronte. Detto questo: non è una forma un po’ buonista di democrazia ecclesiale quella di domandare a bambini, ragazzi e giovani qualcosa prima del sinodo? È minimamente realistico che abbiano un’opinione sul tema del proprio oratorio del contesto delle Unità Pastorali? Credo che la risposta la possiamo dare su due livelli diversi: innanzitutto credo che, se anche i nostri ragazzi non sapranno darci idee strutturali, sapranno senz’altro dirci perché per loro l’oratorio è importante e cosa e chi lo rende decisivo per la loro crescita. Saranno queste indicazioni che potranno essere tenute presenti quando si andranno ad individuare le modalità concrete di gestione degli oratori nel nuovo contesto pastorale. Ma c’è una risposta che mi interessa di più e che in qualche modo il Papa ha ricordato ancora una volta durante la sua visita nel suo paese natale: “In Germania la Chiesa è organizzata in modo ottimo. Ma, dietro le strutture, vi si trova anche la relativa forza spirituale, la forza della fede nel

mare aperto

Dio vivente? Sinceramente dobbiamo però dire che c’è un’eccedenza delle strutture rispetto allo Spirito. Aggiungo: La vera crisi della Chiesa nel mondo occidentale è una crisi di fede. Se non arriveremo ad un vero rinnovamento nella fede, tutta la riforma strutturale resterà inefficace”. Tante volte ci capita di dare ai problemi del nostro tempo una risposta in termini strutturali ed organizzativi: credo che l’ascolto dei giovani, la loro formazione, il confronto con la loro idea di Chiesa – forse meno articolata teologicamente, ma certamente molto più agganciata al suo essere fondamentalmente comunità che custodisce, vive e racconta la Buona notizia di Gesù – può essere un salutare modo per offrire al Sinodo uno spazio ulteriore per la lettura dei segni dello Spirito.

Che cos'è l'oratorio?

SPIEGARE L'ORATORIO AI BAMBINI I grandi del nostro quartiere o paese, molti anni fa, hanno pensato che i bambini avevano bisogno di un posto dove giocare, stare insieme e conoscere meglio Gesù. Così, con l’impegno di tutti, hanno realizzato le aule per il catechismo, i campetti da calcio e per giocare a pallabollata o a bandierina, il piccolo bar, magari una cappellina. Ma l’oratorio non sono i muri e le stanze, sono le persone che lo vivono, che dedicano il loro tempo al bene dei più piccoli. L’oratorio è una piccola ma vera comunità, cioè: - in oratorio ci si vuole bene, e ci si preoccupa gli uni degli altri; - l’oratorio fa parte della parrocchia, cioè il luogo dove si incontrano tutti i battezzati del nostro quartiere o paese; - l’oratorio è dedicato soprattutto ai bambini, ai ragazzi, agli adolescenti: cioè a quanti stanno diventando grandi. In oratorio si fanno molte cose all’apparenza diverse: si prega, si gioca, si impara, si sta insieme, si canta, si disegna, si conoscono gli amici del proprio gruppo, gli animatori e i catechisti.

Perché si fanno cose tanto diverse? Perché l’incontro con Gesù riguarda ognuno di noi completamente: - riguarda la nostra mente e la nostra intelligenza, per questo si impara… - riguarda il nostro cuore, per questo si prega e si cerca di diventare amici… - riguarda le nostre mani, per questo si disegna e si fanno i lavoretti - riguarda i nostri piedi, per questo si gioca e si corre… - riguarda la nostra bocca, per questo si canta… - riguarda le nostre orecchie, per questo si ascolta la parola di Dio, attraverso la voce dei catechisti, dei sacerdoti, degli animatori, degli amici… Infine: l’oratorio è un posto bello, dove ognuno deve trovarsi bene. Per questo compito di tutti è quello di non escludere nessuno e di invitare anche chi è più antipatico o poco conosciuto a vivere insieme a noi l’avventura di conoscere Gesù proprio i contenuti completi in questo posto!

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Ti sei mai accorto che l’oratorio è un posto diverso dagli altri?

SPIEGARE IL METODO DELL’ORATORIO AI BAMBINI Cerco di spiegarmi meglio: innanzitutto in oratorio le cose non hanno valore solo perché costano. Il tuo catechista, gli animatori del grest, il ping pong, l’uso del campetto: non dipendono da quanto hai pagato, ma sono lì per te, comunque. Si chiama gratuità, ed è il desiderio di voler bene, concretamente, a tutti, soprattutto ai più piccoli, così come ci ha insegnato Gesù. La seconda differenza è che in oratorio un sacco di cose si fanno in gruppo. I lavori di gruppo, il catechismo, il grest, le partite di pallone o di pallavolo: crescere insieme con l’aiuto di un bravo animatore, è l’occasione per crescere meglio, fare buone amicizie, scoprire il bello di vivere insieme agli altri. Proprio per questo in oratorio ci sono tanti gruppi: divisi per fasce d’età ma anche per interesse. Il gruppo missionario, i chierichetti, il coro, la caritas, l’Azione Cattolica, gli sportivi… quanti modi diversi per conoscere Gesù e mettere il proprio tempo a servizio della comunità! Inoltre l’oratorio vuole incontrare e dialogare con il territorio in cui è inserito: cerca di conoscere e far conoscere le varie iniziative ed è aperto a tutti; attraverso le sue iniziative cerca di costruire una buona comunità, nella quale crescano legami di rispetto e amicizia. In pratica l’oratorio: - convoca: cioè invita grandi e piccoli, a seconda delle iniziative, a partecipare a momenti di festa, incontro, riflessione, preghiera… - accoglie: cioè aspetta a braccia aperte tutti quelli che hanno accettato l’invito, offre loro un volto sorridente, rispetta tutti, offre attraverso i sacerdoti, i religiosi e gli animatori un’attenzione personale soprattutto a chi è più piccolo o è in difficoltà. - propone: non si dimentica che il grande motivo per cui esiste è far incontrare tutti con la persona di Gesù, che è vivo e presente nella chiesa. Per questo propone momenti e attività che aiutano a conoscerlo meglio.

SPIEGARE IL CAMMINO DELL’ORATORIO AI RAGAZZI Quella dell’oratorio non è una proposta banale ed estemporanea. Quando si incontra una persona per imparare ad amarla bisogna conoscerla meglio e per avere l’interesse a conoscerla, bisogna affezionarsi almeno un po’. E c’è bisogno di tempo. Per questo la proposta dell’oratorio non è fatta di grandi eventi, mega feste, appuntamenti saltuari e straordinari, ma di un cammino settimanale, che normalmente viene chiamato itinerario. Per questo è affascinante, ricco di incontri e di persone, ma anche esigente e, in qualche tratto, faticoso. Per questo non basta farsi trascinare da questo percorso, ma è necessario decidersi per affrontarlo con entusiasmo ed energia. Il cammino degli oratori ha quindi delle caratteristiche particolari: - è graduale, non offre tutto subito e considera le capacità e le attitudini di ogni età. Vuole quindi offrire le occasioni di scoperta, conoscenza e crescita giuste per ogni bambino e ragazzo; - vuole essere completo, nel senso che vuole portare all’incontro con Gesù e al sentirsi parte della chiesa attraverso la conoscenza, il desiderio dell’incontro, la capacità di vivere e celebrare ciò che si è conosciuto e apprezzato; - è aperto sulla vita e sulla storia: cioè non è un cammino standard (realizzato una volta per tutte e sempre uguale) ma vuole incontrare i fatti, le gioie e le paure dei bambini e dei ragazzi dell’oratorio e non è estraneo al mondo che stiamo vivendo, ma cerca di capire gli eventi della storia, l’attualità, le occasioni e le preoccupazioni della nostra società; - si pone delle mete globali molto chiare, ma con tanti obiettivi intermedi diversi per ogni fascia d’età. Le mete del cammino sono: a) accompagnare il bisogno di stare insieme b) incontrare Gesù c) sentirsi parte della chiesa d) testimoniare agli altri la propria fede in famiglia, nella scuola, nel mondo.

Il progetto educativo

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Perchè l’oratorio?

SPIEGARE LE FINALITÀ DELL’ORATORIO AGLI ADOLESCENTI

L’oratorio si propone di educare bambini, ragazzi, adolescenti e giovani, secondo il modello di uomo proposta da Gesù. È un’educazione che non vuole avere un risultato automatico (devi diventare così…) anzi, si compie in un rapporto di libertà: attraverso l’esperienza, il confronto con sé stessi, gli altri ed il mondo ogni ragazzo potrà costruire, con l’aiuto di chi è più grande, il proprio cammino di vita e di fede. Le iniziative dell’oratorio, quindi cercano di liberare i giovani dai condizionamenti negativi, favorire il sorgere di domande sul senso della vita, proporre il Vangelo di Gesù, attraverso le persone, i luoghi e i segni della vita della comunità cristiana. Attraversi l’oratorio, quindi, ogni ragazzo viene aiutato a conoscersiì meglio, a scoprire le proprie doti e i propri limiti, a coltivare i propri desideri, ma anche a scoprire il disegno di Dio sulla propria vita. Perché questo sia possibile l’oratorio offre una molteplicità di proposte, che riguardano tutta la persona: la catechesi, la formazione, spazi di espressività e creatività, lo sport… Ogni attività dell’oratorio quindi, dovrebbe essere proposta armonicamente rispetto alle alte, in modo da poter diventare occasione di crescita e maturazione. La proposta dell’oratorio è quindi essenzialmente globale (riguarda tutte le dimensioni della persona), di gruppo (offre sempre il confronto con gli altri), graduale. Ecco perché in oratorio spesso ci accorgiamo che ci sono proposte diverse a seconda delle diverse fasce d’età: sono vere e proprie tappe, che vogliono aiutare la comprensione e la consapevolezza dei doni ricevuti, aprendo ogni scoperta al servizio.

SPIEGARE L’ORATORIO OLTRE L’ORATORIO AI GIOVANI Da molti anni la diocesi di Brescia si è dotato di un progetto di pastorale Giovanile, un’occasione per riflettere sul modo di proporre l’incontro con Cristo vivo ai giovani, un incontro che, in molti casi, avviene oltre l’oratorio. È un progetto che prevede percorsi esigenti, che iniziano con queste tracce: 1. Accogliere, allargare e collegare le molteplici domande che un giovane si pone facendole crescere fino a diventare invocazioni. Spesso non solo è carente la domanda religiosa, ma risulta in difficoltà la stessa domanda di vita. Per questo è importante educare le domande, sviluppare il senso critico, far crescere una vita in cui la Parola fatta carne, che è Cristo, possa risuonare come salvezza, senso ritrovato. 2. Educare a un confronto anche razionale con i modelli di vita, le correnti di pensiero di oggi, le linee culturali che orientano l'esistenza umana, così come aiuta a compiere il catechismo dei giovani. Senza una seria riflessione sulla cultura del tempo in cui si vive, non è possibile aiutare i giovani a crescere nella fede. 3. Proporre in modo chiaro e appassionato la persona di Gesù come centro della vita, sostenere una decisione radicale per Lui e la sua sequela. Proposte quotidiane e straordinarie, tempi di confronto e di silenzio, catechesi approfondite e preghiera aiuteranno questo momento importante, costruiranno una spiritualità giovanile che, così caratterizzata, diventa la capacità di dare unità a tutti i fatti della vita del giovane secondo lo sguardo di Gesù, secondo il suo Spirito. Tale momento deve trovare attenti non solo catechisti o animatori o amici, ma anche una guida spirituale, che vive in mezzo ai giovani e si colloca correttamente nella vita di gruppo e della comunità, ma sa aiutare singolarmente ciascuno a rispondere allo sguardo amorevole di Cristo. 4. A questo punto, allora, diventa necessaria una attenzione vocazionale: nell'incontro tra il giovane e Cristo risuona sempre perentorio un "seguimi", che si concretizza in maniera singolarissima per ogni vita. Ogni vocazione esige di essere servita con cammini specifici. 5. Perché l'educazione alla fede non resti sforzo sterile bisogna esigere che i giovani ridicano in maniera originale al mondo e alle generazioni future, il deposito della fede loro consegnato, arricchito della propria carica vitale e della propria esperienza. 66


L’unico aiuto che io ho trovato..., l’ho trovato lì...

Credo che l’oratorio non possa e non debba competere con altre realtà come discoteche, pub, o i vari bar di Piazzale Arnaldo; la sua finalità non è la stessa e, molto spesso, l’obiettivo non è solo quello di divertire, bensì di formare i giovani. Questo può avvenire con la progettazione di esperienze forti e formative come i campeggi, la Giornata Mondiale della Gioventù, il catechismo, i centri di ascolto, i viaggi organizzati per Capodanno. Non credo manchino le proposte, anche se ovviamente è sempre meglio aumentino e migliorino.. in realtà basta coglierle, volerle cogliere. Io posso testimoniare la grande differenza che c’è tra l’uscire con gli amici, andare in montagna con gli amici, farsi magari un viaggio con gli amici. Va benissimo, ci si diverte, si impara a conoscere meglio gli altri ed è comunque una bella esperienza. Ma prima di andare a conoscere gli altri si deve conoscere sé stessi.. e al giorno d’oggi, chi ci fa guardare nel nostro intimo? Nel nostro quotidiano è difficile prendersi un attimo per sé, per pensare a qualcosa di più grande di noi. L’unico aiuto che io ho trovato in questa direzione, l’ho trovato lì, in oratorio, frequentando campeggi seguiti dal Don e dai vari animatori, facendo cose divertenti come una ciaspolata, dei giochi organizzati in oratorio, una caccia al tesoro. Mi rendo conto che tutto questo mi ha arricchita ed ha formato la persona che sono ora, piena di valori importanti, trasmessi attraverso la passione che vedevo nei miei animatori, attraverso la riflessione e l’introspezione, grazie a qualcuno che mi ha dato l’opportunità di pensare anche a qualcosa che vada oltre la scuola, la danza, gli amici, la famiglia. Ci si diverte, si sta con gli amici, si impara a relazionarsi con gli altri e, senza magari neanche accorgersene, si cresce e si matura. E sono sicura che crescere, maturare e PENSARE non siano cose noiose, né tanto meno banali. Vanno prese in considerazione, in quanto fanno parte di noi.. e vanno valorizzate. Ecco dimostrato che anche l’oratorio ha ancora molto su cui contare, tutto quello che c’è bisogno di fare è provare per credere!. Vanessa

SPIEGARE LA COMUNITÀ EDUCATIVA DELL’ORATORIO

La comunità dell'oratorio

Le “figure” impegnate negli oratori sono molte: dal catechista all'animatore di gruppo, dall'animatore sportivo al responsabile delle attività culturali o ricreative, dal sacerdote, alla religiosa, dal giovane all'adulto, ecc. Non sempre è facile percepirsi all'interno di un progetto pastorale unitario, come non sempre l’essere animatore o responsabile è percepito nella dimensione educativa che esso comporta. In una proposta comunitaria, come è quella dell’oratorio, ogni educatore o animatore è parte di una comunità. È insieme che si fa proposta e si fa animazione. L'esperienza della comunità oratoriana ha una forte accentuazione educativa: l'essere e il fare di ogni animatore cerca di realizzare questa caratterizzazione. Fare l'animatore o dare la propria disponibilità al progetto dell'oratorio comporta quindi il mettersi in un lavoro comunitario e in una passione educativa tipica. La “comunità educativa” dell'oratorio, è la comunità (insieme) di tutti coloro che si impegnano a diversi livelli e con compiti diversi a costruire e servire il progetto educativo dell'oratorio (catechesi, animatori, sacerdoti, genitori, educatori, religiose, volontari, ecc.). Compiti della comunità educativa dell’oratorio sono: -l’animazione dell’oratorio e della realtà giovanile; -favorire il protagonismo dei giovani; - allargare la corresponsabilità degli adulti; - collocare gruppi, movimenti e associazioni nella comunità educativa; -Inserire la comunità educativa dell'oratorio nella comunità parrocchiale; - Inserire la comunità educativa dell'oratorio nel territorio.

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E’ aperta la consultazione

tutti invitati a dare risposte A conclusione di queste pagine dedicate alla riflessione sull’oratorio nella prospettiva del prossimo Sinodo diocesano sulle Unità Pastorali viene rivolto l’invito ad esprimere idee, preoccupazioni, riflessioni. E in particolare: - La regia educativa degli oratori: quali scelte possiamo maturare per assicurare, nei nostri oratori, una presenza educativa costante e legata alla comunità? Come la parrocchie si possono organizzare per dare indicazioni educative e pastorali per gli oratori? Quali aspetti educativi e/o servizi operativi il nostro oratorio può donare anche agli altri? - La responsabilità di funzionamento dei singoli oratori: chi si prende le responsabilità necessarie per aprire e chiudere l’oratorio? Quali servizi educativi possiamo e dobbiamo continuare ad assicurare? - I cammini formativi: quali ambiti di formazione possono essere demandati alla collaborazione tra più parrocchie? Riusciamo a immaginare alcuni percorsi? Da quali si potrebbe già partire? -Oratori a tema: ci sono alcuni percorsi particolari di cui sentiamo la necessità e che il singolo oratorio non riesce ad organizzare? Come possiamo organizzare una pastorale per i giovani (20-30 anni) che possa offrire un reale sostegno e appartenenza a questa fascia di età?

Ci sono altre questioni che meritano attenzione? Abbiamo qualcosa da suggerire sul futuro degli oratori?

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l’ANNO che VERRÀ

Una lunga lettera per far affiorare attese, speranze, paure. Un vero e proprio percorso di maturazione. Il tutto condito di ironia. Così si presenta la canzone di Lucio Dalla “L’anno che verrà”. Il brano suona come una lunga lettera attraverso la quale fare affiorare le proprie attese, speranze, paure e dove avviene - nel suo svilupparsi - una sorta di maturazione dell’autore stesso. Emerge allora lo ‘scrivere’ non tanto come distrazione, ma come occasione per riflettere, in un contesto di intimità con l’altro e non semplicemente con se stessi. Al centro vi è la dimensione del futuro nella quale coesistono, in maniera contrastante, i nostri dubbi più profondi e le aspirazioni più vitali. L’anno che verrà è custode di speranze e sogni ambiziosi, ma trascina con sé anche un senso di inadeguatezza. Questa canzone è stata definita più volte visionaria perché descrivendo, talvolta anche in modo paradossale, uno scenario futuro, è capace di raccontare con nostalgia e amarezza l’attesa di una trasformazione auspicata, ma anche il timore che il nuovo non sia all’altezza delle nostre previsioni. In parte siamo quindi mossi dalla speranza e dall’euforia del cambiamento: si aspettano novità, situazioni sorprendenti, esperienze completamente nuove e imprevedibili. I desideri si espandono in una ricerca spasmodica dell’inedito. Si vorrebbe vivere ogni giorno come qualcosa di sorprendente, di magico, che sappia meravigliare. Talvolta ciò che cerchiamo diventa lo stupore a tutti i costi, la rottura delle regole in un vorticoso susseguirsi di colpi di scena.

“C’ero anch’io”

In un contesto fatto di timori e silenzi, la televisione assurge al ruolo di nuovo (o antico) profeta del futuro… annunciatore di novità e di cambiamenti. Ed è fondamentale essere presente al nuovo che avanza, poter dire “C’ero anche io”, accaparrare ogni esperienza, non tralasciare 68

Caro amico ti scrivo così mi distraggo un po’ e siccome sei molto lontano più forte ti scriverò. Da quando sei partito c’è una grossa novità, l’anno vecchio è finito ormai ma qualcosa ancora qui non va.

Si esce poco la sera compreso quando è festa e c’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra, e si sta senza parlare per intere settimane, e a quelli che hanno niente da dire del tempo ne rimane. Ma la televisione ha detto che il nuovo anno porterà una trasformazione e tutti quanti stiamo già aspettando


percorsi - percorsi - percorsi - percorsi - percorsi - percorsi - percorsi - percorsi nulla. E ciò che conta non è l’attesa, ma il ‘farsi presente del futuro’, da vivere subito, intensamente, senza fiato. Perché davvero tutto sembra ‘passare in un istante’. La speranza è allora fuori di noi, si appoggia su quello che verrà. Altre volte, se il futuro con cui ci confrontiamo non è rassicurante, ci pietrifica nella volontà di restare immutabili. Quando ciò accade, per reazione, mettiamo in atto una chiusura nei confronti del cambiamento, poiché confrontarsi con esso ci costringe a una rimessa in discussione di chi siamo. Ne consegue che ogni metamorfosi, sia sociale che individuale, ci appare come una minaccia, quasi fosse un’ entità astratta che ci sovrasta. Il cambiamento appartiene all’uomo, quindi alla fine ciò di cui abbiamo tanta paura siamo proprio noi, che possiamo essere autori di un rinnovamento. Il futuro diventa così il tempo delle opportunità.

vita nasce prima di tutto in noi, dallo sguardo che sappiamo dare alle cose e alle esperienze, alla profondità con la quale entriamo e stiamo nel mondo. La speranza in un futuro migliore non nasce dall’immaginazione, dall’attesa che si realizzi il desiderato; non importa che cosa avverrà, ciò che conta è stare nel futuro che ci viene incontro con vigilanza e maturità. Inoltre prepararsi al futuro implica che si abbiano gli strumenti per poterlo fare. Noi possediamo delle risorse per modificarci e guardare al futuro come un tempo reale e possibile. Reale in quanto luogo in cui realizzare un’evoluzione concreta di noi stessi, dei nostri progetti, del nostro vissuto; ma anche tempo delle possibilità ancora inespresse. È un cambio di prospettiva decisivo. Quello di chi non si pone nel mondo come spettatore passivo e iner “Mi sto preparando” me davanti agli avvenimenti, auspican Nel testo della canzone è pre- do che siano favorevoli e meno oppressente questa fase di riscatto nell’ istante sivi del passato, ma “tendendo verso” in cui affermo la mia volontà di essere il futuro col cuore, con tutta la propria nel futuro. Ma non solo. Viene espresso storia. un passaggio ulteriore: mi sto preparan- Gli uomini sono quindi protado è questa la novità. La vera novità la gonisti e testimoni della vita che camcostruiamo noi; la novità della nostra bia, dell’avvenire che diventa passato, trascinandosi dietro le proprie sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno, speranze trasformate in azioni. La fiducia nell’anno che ogni Cristo scenderà dalla croce verrà è riposta nell’uomo che anche gli uccelli faranno ritorno. verrà, un uomo che sarà capace Ci sarà da mangiare e luce tutto l’anno, di donare al tempo il significato anche i muti potranno parlare più profondo e duraturo delle proprie intenzioni, che crederà mentre i sordi già lo fanno. nella modificabilità della vita di E si farà l’amore ognuno come gli va, ciascuno. anche i preti potranno sposarsi ma soltanto a una certa età, L’autore e senza grandi disturbi qualcuno sparirà, È sempre affascinante saranno forse i troppo furbi ripercorrere la storia artistica di e i cretini di ogni età. un cantautore come Lucio. È una vicenda che sfiora i 50 anni di carVedi caro amico cosa ti scrivo e ti dico riera e che parte a Bologna, dove e come sono contento nasce il 4 marzo del 1943. Poco di essere qui in questo momento, più che adolescente si appassiona vedi, vedi, vedi, vedi, alla musica jazz, impara a suovedi caro amico cosa si deve inventare nare il clarinetto, che la madre per poterci ridere sopra, gli regala per il suo tredicesimo per continuare a sperare. compleanno, ed entra a far parte E se quest’anno poi passasse in un istante, di un gruppo: la Rheno Dixieland Band in cui suona anche un giovedi amico mio vanissimo Pupi Avati che, da lì a come diventa importante poco, deciderà di cambiare strada che in questo istante ci sia anch’io. per intraprendere quella cinemaL’anno che sta arrivando tra un anno passerà tografica. Nel 1963 Lucio Dalla io mi sto preparando è questa la novità. viene notato da Gino Paoli il qua69

le lo incoraggia ad iniziare una carriera da solista che lo porterà poi a sfociare nella canzone d’autore. Nonostante questo, non abbandonerà mai il suo amore per il jazz e l’improvvisazione musicale, che influenzeranno fortemente le sue produzioni artistiche, nella creazione di un suono aspro e ritmicamente originale, nella composizione di linee melodiche ricche di impreviste variazioni. Lucio Dalla si rivela fin da subito nella sua particolarità ed ecletticità: sperimenta numerosi generi musicali, dalla musica ritmica a quella pop fino ad arrivare alla lirica, senza restare ingabbiato in nessuna definizione artistica. In come è profondo il mare Dalla canta di un pensiero che come l’oceano, non si può bloccare né recintare e lui fa lo stesso con la sua musica. La lascia correre libera, attraverso brani più impegnati come Mela da scarto sulla delinquenza minorile, testi sofisticati come Anidride solforosa e Il giorno aveva cinque teste. Fino ad arrivare alle canzoni della sua maturità artistica, di cui egli è sia compositore che paroliere, quelle che gli conferiscono una grande popolarità e affetto del pubblico: Futura, L’ultima luna, L’anno che verrà, Anna e Marco… impossibile citarle tutte. Il suo stile è poetico, ironico, talvolta onirico. Lucio Dalla è narratore di storie irriverenti e originali. Altre volte invece parla di sé in prima persona rivelando i suoi sogni, le sue emozioni, la sua fascinazione per il mare. Tutto questo utilizzando un registro poco formale, di tutti giorni, che si delinea nelle sfumature più diverse: comico, divertente, ma anche inquietante e malinconico. Ciò che traspare di più dalla sua produzione artistica è la capacità di divertirsi, di mettere in atto ogni volta una follia musicale, con l’aria scanzonata di chi si trova casualmente a comporre al pianoforte di una stanza d’albergo di fronte al mare, una delle più belle canzoni mai scritte come Caruso.


44 ª MARCIA NAZIONALE PER LA PACE Brescia 31 dicembre 2011

Il Santo Padre Benedetto XVI ha scelto il seguente tema per la celebrazione della 45ª Giornata Mondiale della Pace del prossimo 1° gennaio 2012: «Educare i giovani alla giustizia e alla pace». Il tema entra nel vivo di una questione urgente nel mondo di oggi: ascoltare e valorizzare le nuove generazioni nella realizzazione del bene comune e nell’affermazione di un ordine sociale giusto e pacifico dove possano essere pienamente espressi e realizzati i diritti e le libertà fondamentali dell’uomo. Risulta quindi un dovere delle presenti generazioni quello di porre le future nelle condizioni di esprimere in maniera libera e responsabile l’urgenza per un “mondo nuovo”. La Chiesa accoglie i giovani e le loro istanze come il segno di una sempre promettente primavera ed indica loro Gesù come modello di amore che rende «nuove tutte le cose» (Ap 21,5). I responsabili della cosa pubblica sono chiamati ad operare affinché istituzioni, leggi e ambienti di vita siano pervasi da umanesimo trascendente che offra alle nuove generazioni opportunità di piena realizzazione e lavoro per costruire la civiltà dell’amore fraterno coerente alle più profonde esigenze di verità, di PROGRAMMA libertà, di amore e di giustizia dell’uomo. 17.00 Accoglienza di tutti i partecipanti Di qui, allora, la dimensione profetica del tema scelto nel parcheggio dell’Iveco 17.30 PREGHIERA ECUMENICA dal Santo Padre, che si inserisce ne solco della “peTema: IL LAVORO - LA PERSONA - LA PACE dagogia della pace” tracciato da Giovanni Paolo II nel Presiede S.E. Mons. Giancarlo Bregantini 1985 («La pace ed i giovani camminano insieme»), nel Presidente della Commissione Episcopale per i problemi sociali e il 1979 («Per giungere alla pace, educare alla pace») e lavoro, la giustizia e la pace nel 2004 («Un impegno sempre attuale: educare alla Testimonianze: Alfredo Bazoli Presidente di Mine Action Italy pace»). Zeggai Nighisti Coordinatrice regionale dell’associazione Donne eritree I giovani dovranno essere operatori di giustizia e di 18.30 PARTENZA DELLA MARCIA pace in un mondo complesso e globalizzato. Ciò rende 18.45 Camper Emergenza necessaria una nuova “alleanza pedagogica” di tutti i 19.00 Basilica dei Santi Faustino e Giovita soggetti responsabili. Il tema preannuncia una prezio MOMENTO DI APPROFONDIMENTO sa tappa del Magistero proposto da Benedetto XVI nei Tema: EDUCARE ALLA GIUSTIZIA E ALLA PACE Messaggi per la celebrazione della Giornata Mondiale Presiede S.E. Mons. Giovanni Giudici della Pace, iniziato nel segno della verità (2006: «Nella - Presidente di Pax Christi Italia Testimonianze: Cristiana Calabrese - (Collettivo giovani di Pax Christi) verità la pace»), proseguito con le riflessioni sulla dignità dell’uomo (2007: «Persona umana, cuore della Camilla Lombardi e Laura Zatti - (Giovani AVS – Caritas Diocesana di Brescia) pace»), sulla famiglia umana (2008: «Famiglia umana, 20.20 Piazza Loggia comunità di pace»), sulla povertà (2009: «Combatte MOMENTODISILENZIOEDEPOSIZIONEDEIFIORI te la povertà, costruire la pace»), sulla custodia del 21.00 Carceri di Canton Mombello creato (2010: «Se vuoi coltivare la pace, custodisci il MOMENTO DI SOLIDARIETÀ creato») e sulla libertà religiosa (2011: «Libertà reliTema: POVERTÀ E SOLIDARIETÀ giosa, via per la pace»), e che ora si rivolge alle menti Presiede S.E. Mons. Giuseppe Merisi e ai cuori pulsanti dei giovani: «Educare i giovani alla Presidente della Caritas Italiana giustizia e alla pace». Testimonianza:Lydia Keklikian (Volontariato Carcere)

Messaggio dei carcerati 22.30 Collegiata dei Santi Nazaro e Celso CELEBRAZIONE EUCARISTICA (Diretta su TV 2000) Presiede S.E. Mons. Luciano Monari - Vescovo di Brescia 23.30 Oratorio dei Santi Nazaro e Celso MOMENTO CONVIVIALE

Per informazioni ed iscrizioni: Diocesi di Brescia - www.diocesi.brescia.it marciaperlapace@diocesi.brescia.it Tel. 030.3722.236 - Fax 030.3722.265

Siamo tutti invitati a vivere la Marcia nel digiuno e nella preghiera e ad offrire nella S. Messa il corrispettivo della cena a favore del Vol-Ca (Volontariato Carcere). 70


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PARROCCHIE DI BOTTICINO

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 Sabato 31 dicembre 2011 - Brescia

 partenza ore 17.00 piazzale Iveco

Giovedì 12 gennaio - ore 20.30 Missionari Comboniani

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incontro con Flavio

Lotti coordinatore della Tavola della Pace

Venerdì 20 gennaio - ore 20.30 Sala Civica “I. Calvino” Rezzato

 concerto per la pace del Sermig – Arsenale della pace di Torino

Giovedì 26 gennaio - ore 20.30 Parrocchia di S. Luigi Gonzaga

 Venerdì 3 febbraio - ore 20.30 Oratorio Botticino Mattina

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NORMANDIA BRETAGNA

PARIGI

Viaggio in pullman di 8/9 giorni in Francia alla scoperta di luoghi incantevoli di interesse culturale, paesaggistico e religioso . Chiese, cattedrali, castelli sulle rive della Loira, cittadine, borghi caratteristici, la costa dell’oceano, con il bellissimo isolotto Mont St.Michel e ... Parigi (la città più visitata al mondo).

Le date (fine maggio-giugno 2012 ) con il programma e la quota di partecipazione verranno comunicate al più presto per dare inizio alle iscrizioni.

incontro con operatori e volontari dei carceri di Brescia

Domenica 12 febbraio

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Lunedì 13 febbraio - ore 17.00 Oratorio Sante Capitanio e Gerosa

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ultimo dell’anno in oratorio

Ogni parrocchia di Botticino organizza presso i locali dell’oratorio la festa dell’ultimo dell’anno

per Plee r ifamiglie nformazioni e iscrizioni:

con attività di animazione

BOTTICINO MATTINA Tecla 3404179216 - Marilisa 3406740423 Claudia 3480325970 - € 25,00 adulti €15,00 bambini SAN GALLO Silvana 0302199893 Carolina 0302199951 € 25,00 adulti (per bambini prezzo diverso) BOTTICINO SERA segreteria presso oratorio tel.0302692094 € 25,00 adulti € 15,00 bambini

Per adolescenti di 3^ media e 1^ superiore

delle tre parrocchie presso l’oratorio di Sera con possibilità di cena e animazione Quota di partecipazione € 15,00; iscrizione presso la segreteria a Sera.

visita il SITO WEB delle parrocchie di Botticino:

www.parrocchiebotticino.it 71


GIORNATA PENITENZIALE e del PERDONO SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE per riallacciare i rapporti di pace con Dio e i fratelli

mercoledì 21 a San Gallo - giovedì 22 a Botticino Mattina - venerdì 23 a Botticino Sera

***Celebrazione Comunitaria della Riconciliazione con confessioni a San Gallo, Botticino Sera e Mattina 16,30 e 20,00 (Villaggio giovedì 22 dicembre ore 9.00) Confessioni individuali sabato 24 dicembre a BOTTICINO SERA dalle 10,00 alle 11,00 e dalle 15,00 alle 18,30 a BOTTICINO MATTINA dalle 15,00 alle 18,30 a SAN GALLO 18,00-20,00

festività natalizie

***SOLENNITA'

DEL SANTO NATALE

S.Messa nella vigilia ore 17,00 chiesa Sacra Famiglia

SANTA MESSA NELLA NOTTE

ore 21,00 a San Gallo - ore 22,30 a Botticino Mattina - ore 24,00 a Botticino Sera SANTE MESSE NEL GIORNO come orario festivo. Vespro e benedizione ore 16,00 a S.Gallo e Sera - ore 17,00 a Mattina

*** lunedì 26 dicembre: S.Stefano S.Gallo ore 10,00 - Botticino Mattina ore 10,00 - Botticino Sera ore 9,00 e 11,00

*** venerdì 30 dicembre: SACRA FAMIGLIA: S.Gallo ore 17,30 - Mattina ore 18,00 - Sera ore 18,30 ***sabato 31 dicembre S.MESSA DI RINGRAZIAMENTO a San Gallo ore 18,30 - Botticino Sera ore 18,30 (ore 17,00 villaggio) a Botticino Mattina ore 19,00

***domenica 1 GENNAIO 2012

SS.MADRE DI DIO e GIORNATA DELLA PACE

A BOTTICINO SERA ore 10,30 - 16,00 - 18,45 A SAN GALLO ore 17,30 A BOTTICINO MATTINA ore 11,00 e 17,30

***venerdì 6 gennaio EPIFANIA DEL SIGNORE S.MESSE orario festivo ore 16,00 nelle tre chiese parrocchiali

Vespri - bacio a Gesù Bambino e benedizione bambini

***domenica 8 gennaio : BATTESIMO DEL SIGNORE S.MESSE orario festivo

NB: a Botticino Mattina le SS.Messe delle festività infrasettimanali sono in chiesa parrocchiale.

sabato 28 gennaio 2012

Liturgia della Parola e Cresime celebrate dal Vescovo di Brescia per le tre parrocchie di Botticino Basilica-Santuario di Botticino Sera ore 16,30

domenica 29 gennaio 2012

S.Messa di Prima Comunione

Botticino Mattina ore 9,15 - San Gallo ore 10,30 - Botticino Sera ore 11,30


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