FEBBRAIO 1930
Se c’era una cosa che Georges Bartholomoy detestava, era venire disturbato mentre fumava il sigaro.
Piazzato in una poltrona con braccioli resi lucidi da anni di vivaci discussioni, aveva appena acceso un corposo Avana.
Era un gioiellino confortante e delicato, con note di caramello e cuoio, scovato dal suo fornitore di rue SaintHonoré. L’unico difetto era il prezzo, che Georges era stato costretto a pagare di tasca propria, dato che le finanze della Federazione non consentivano più di coprire quel tipo di piccoli piaceri.
La porta si aprì proprio mentre Georges Bartholomoy tirava la seconda delle tre boccate destinate ad accendere il sigaro. Preso alla sprovvista, ne inghiottì il fumo e fu colto da un accesso di tosse quantomeno sgradevole. A dirla tutta, aveva la gola in fiamme.
Davanti a lui c’era Maurice Seguin, amico di lunga data e segretario generale della Federazione francese degli ex coloniali, o FFAC1. Con gli occhi spalancati, sudato e in maniche di camicia, sembrava miracolosamente liberato dal suo tipico torpore.
«I canachi!» gridò Seguin, puntando verso il soffitto un indice trionfante.
Bartholomoy si era alzato, non tanto per dare il benvenuto al suo amico, quanto per cercare di riprendere fiato. Gli bruciavano gli occhi e gli prudeva il naso. Un sigaro così caro, accidenti!
«In che senso i canachi?» tossì Bartholomoy in un fazzoletto estratto dalla tasca. «Che io sappia, mica sono alle porte di Parigi!»
Seguin si avvicinò all’amico e lo prese per le braccia.
«Eccola, la soluzione ai nostri problemi di liquidità. I canachi! I canachi a Parigi!»
Bartholomoy si liberò dalla stretta di Seguin per posare il suo sigaro spento in un posacenere di madreperla portato dal Tonchino o dalla Cocincina, non se lo ricordava più: con il passare degli anni e lo sviluppo dell’Impero coloniale, la Federazione era diventata una vera e propria camera delle meraviglie.
1 La FFAC era un’organizzazione che raggruppava funzionari e militari che avevano servito nelle colonie francesi. (N.d.A.)
«Allora, spiegati! Non ci ho capito un bel niente».
Seguin si diresse verso il divano e si lasciò cadere al solito posto, sul lato destro, il più lontano possibile dal camino (sudava sempre così tanto da evitare ogni fonte di calore superflua).
«Bene. Di certo saprai che l’anno prossimo si terrà l’Esposizione coloniale, al Bois de Vincennes».
Bartholomoy non si prese nemmeno la briga di rispondere. Ovvio. L’Esposizione coloniale del 1931 era già sulla bocca di tutti. Completamente dedicata a glorificare la missione civilizzatrice della Terza Repubblica, si preannunciava grandiosa. L’evento del decennio. Vi avrebbero partecipato duecento colonie, dal Gabon alla Guyana, passando dal protettorato del Marocco o dalle Indie. Ognuna avrebbe occupato un padiglione fedele all’architettura del suo territorio. Secondo le ultime notizie, si sarebbero noleggiati una miniferrovia e 46 battelli per l’immensa gioia dei visitatori, senza contare i ristoranti, le feste e le sfilate per le strade. I parigini avrebbero vissuto un’esperienza unica: fare il giro del mondo in un giorno, imparando cose nuove e scoprendo l’umanità. Un’ulteriore prova che i vantaggi della colonizzazione si estendevano ben oltre i confini dei territori interessati.
Seguin riprese:
«Ho saputo da fonte certa che non sarà mandato nessun canaco. La sola costruzione del padiglione della Nuova Ca-
ledonia costerà più di 375mila franchi, e i consiglieri generali dell’isola non possono sborsare un centesimo di più».
Si concesse una pausa misteriosa, che impiegò per arricciare all’insù la punta dei baffi, stile primo Novecento.
«È la nostra occasione, Georges. Approfittiamo di questa mancanza per farne arrivare una comitiva!»
«Ma per fare cosa?» sghignazzò Bartholomoy.
«Come, per fare cosa? Per esporli, no? I canachi hanno sempre riscosso molto successo, lo sai bene».
Bartholomoy annuì. Lui stesso conservava un vivido ricordo dell’ultima Esposizione di canachi, nel 1889, quando aveva otto o nove anni. In seguito aveva trascorso diverse settimane a “giocare ai canachi” con i fratelli, e tutti si erano divertiti molto a terrorizzare la cameriera a forza di smorfie e urla.
«Offriremo uno spettacolo ben più emozionante di quello degli indigeni che si limitano a presentare il loro artigianato» continuò Seguin. «Dei canachi! Dei canachi assetati di sangue!»
Divertito, Bartholomoy affondò i pollici nelle tasche del panciotto.
«Dei canachi assetati di sangue? Mi sa che trascuri un dettaglio. È stato proprio il maresciallo Lyautey a dire “nessuna mostruosità indigena indegna della Repubblica” sarà tollerata all’interno dell’Esposi…»
Con un gesto della mano, Seguin interruppe l’amico.
«Aspetta, non ho finito».
Piegò il busto in avanti, offrendo a Bartholomoy il poco attraente spettacolo della sua fronte lucida di sudore:
«Ascolta, perché è qui che sta tutta la sottigliezza della faccenda. Per tenere sotto controllo il contenuto della mostra, esibiremo i canachi a margine dell’Esposizione coloniale. Al Jardin d’Acclimatation, accanto ai coccodrilli. Ho appena ottenuto la conferma: è possibile affittare un recinto a un prezzo davvero ragionevole».
Seguin si gonfiò come un pavone. Bartholomoy si alzò per avvicinarsi alla finestra, orlata di tende con motivi geometrici scelti dalla moglie che, sempre in linea con le tendenze, aveva un gusto molto deciso, anche se un po’ costoso. Ma le due cose non andavano forse di pari passo?
Bartholomoy lanciò uno sguardo distratto alla strada. Far venire i canachi sarebbe costato parecchio. E non c’era la minima garanzia di recuperare l’investimento. Le casse della Federazione non erano abbastanza ricche per realizzare tali progetti su due piedi. Quindi, visto che il presidente della Federazione era proprio lui, Bartholomoy doveva agire con circospezione. Equilibrio. Giudizio.
Di conseguenza, chiese:
«E perché non giraffe o iene? Sarebbe altrettanto esotico. E più sensato, sotto ogni punto di vista»
«Ma per il brivido, amico mio! Il brivido!» esclamò Seguin alzando le braccia al cielo.
Strizzò l’occhio sinistro, e la voce si fece più densa:
«Sai che sono sempre molto ben introdotto nei salotti. Ho appreso che André-Paul Antoine e Robert Lugeon stanno per presentare un cortometraggio girato nelle Nuove Ebridi. Nuove Ebridi o Nuova Caledonia, per l’uomo della strada, se non è zuppa è pan bagnato»
«Sicuro»
«Il film si intitolerà Gli ultimi cannibali. Promette scene… croccanti. Proprio quel che serve per rilanciare la moda degli oceaniani! E preparare il terreno per la nostra Esposizione».
Bartholomoy si avvicinò al divano per rimbrottare l’amico.
«Suvvia, Seguin, sappiamo benissimo entrambi che, grazie ai benefici della nostra presenza accanto a loro, i canachi hanno finito per liberarsi di quella spiacevole fissazione per l’antropofagia».
Seguin inarcò un sopracciglio con aria scaltra:
«Certo, però il pubblico non lo sa».
Bartholomoy annuì, pensieroso. Tutto sommato, era una faccenda curiosa: nonostante il loro impegno (forzato, ovviamente) a fianco della Patria durante la Grande Guerra, la gente continuava a considerare i canachi come i peggiori
selvaggi mai visti sulla faccia della terra. E alla fin fine sembrava trarne un certo piacere. O un piacere certo.
Seguin si alzò ansimando per piazzarsi di fronte al presidente.
«Il pubblico vuole il brivido, il pubblico vuole spaventarsi, il pubblico vuole vedere…»
Fece una pausa:
«…delle bestie».
Poi gli mise un braccio intorno alle spalle, come per trascinarlo meglio nei suoi pensieri.
«E noi offriamogli tutto questo. Offriamogli un viaggio nelle viscere dell’umanità. I cannibali della Nuova Caledonia. Non vedi già la folla che si accalca alle cancellate, le mogli che fremono al braccio dei mariti, i bambini cui si promettono coccodrilli, selvaggi e cartocci di leccornie?»
Bartholomoy immaginava la scena alla perfezione. Gli indigeni avrebbero potuto ballare il pilu-pilu e ingozzarsi di carne con le mani.
«Potremmo fare un prezzo speciale» si entusiasmò Seguin. «Coccodrilli e canachi: otto franchi per le due visite. O anche un abbonamento, per poter andare tutte le domeniche. Farò dei calcoli accurati. Ma sono convinto che con un po’ di abilità è possibile realizzare un buon profitto. Che ci consentirebbe di ripagare i nostri debiti e di finanziare le
prossime iniziative. È da un pezzo che annunciamo la costruzione di un orfanotrofio a Tolosa!»
Il presidente Bartholomoy nascose il disagio andando a recuperare il sigaro. Insediare la Federazione in quel nuovo appartamento di duecento metri quadrati forse non era stata la sua decisione migliore.
«Perché no» borbottò. «Valutiamo»
«Ma che sia una valutazione rapida! Un’iniziativa del genere richiede largo anticipo. Ci vogliono più di due mesi per raggiungere la Francia dalla Nuova Caledonia. Senza contare che dobbiamo ottenere il consenso di Guyon».
A tali parole Bartholomoy parve rinfrancarsi. Sotto quell’aspetto, si trattava di una pura formalità, poiché il governatore della Nuova Caledonia, Joseph Guyon, era un amico. Se ne sarebbe occupato lui.
«Allora dammi delle cifre. Oltre al viaggio, bisognerà trovare loro un alloggio, vestirli, nutrirli. Gli ignami non crescono sullo Champ-de-Mars».
Afferrò un fiammifero nel pirogeno di bronzo e lo sfregò contro la parte ruvida per accendere la punta del sigaro, dal quale si sprigionò subito un aroma confortante.
I canachi.
Perché no.
E soprattutto, cosa c’era di più concreto per sostenere la missione civilizzatrice della colonizzazione, proprio quando
certi invasati osavano sollevare proteste? Mostrare al popolo parigino in quale stato primitivo erano state trovate quelle popolazioni sarebbe stato l’argomento più convincente.
Bartholomoy tirò una lunga boccata dal sigaro.
Senza contare che ai canachi non sarebbe sicuramente parso vero di venire a Parigi.
Sì, da quel punto di vista, era quasi una buona azione.