Un americano alla corte di Re Artù

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Mark Twain

UN AMERICANO ALLA CORTE DI RE ARTÙ

Riduzione e adattamento a cura di Stella Sacchini

Mark Twain

Un americano alla corte di Re Artù Riduzione e adattamento a cura di Stella Sacchini disegni di AntonGionata Ferrari

ISBN 979-12-221-0866-7

Prima edizione marzo 2025 ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0

anno 2029 2028 2027 2026 2025 © 2025 Gallucci editore srl - Roma

Focus a cura di Roberto Galofaro

Immagine di p. 156: AdobeStock

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Mark Twain

UN AMERICANO ALLA CORTE DI RE ARTÙ

Riduzione e adattamento a cura di Stella Sacchini

Disegni di AntonGionata Ferrari

Una parola di spiegazione

Fu nel castello di Warwick che incontrai lo straniero di cui sto per parlarvi. Mi attrasse per la sua candida semplicità, la mirabile conoscenza delle armi antiche e la compagnia riposante… visto che parlava sempre lui: mentre raccontava, era come se si staccasse dalla realtà per scivolare in un mondo parallelo, lontanissimo nello spazio e nel tempo. E così, in men che non si dica, mi ritrovai avvolto in un’atmosfera magica, popolata di spettri e ombre! Quell’uomo parlava di ser Lancillotto, di ser Galahad e degli altri grandi signori della Tavola Rotonda come io parlerei dei miei amici più cari.

A interromperci sopraggiunse la voce monotona della guida del castello, che mostrava ai visitatori un’antica cotta di maglia dei tempi di Re Artù, ritenuta di proprietà di ser Sagramor il Desioso, con un inspiegabile foro rotondo. Il mio compagno sorrise e bofonchiò: «Io ne fui testimone… anzi, è opera mia».

Prima che potessi riavermi dalla sorpresa, si era già allontanato.

Trascorsi la serata seduto vicino al camino della locanda di Warwick, leggendo di tanto in tanto qualche pagina

dell’incantevole libro di ser Thomas Malory, che abbandonai a mezzanotte passata. Sentii allora bussare alla porta e, in capo a un istante, fece il suo ingresso nella stanza il misterioso forestiero: lo invitai a sedersi accanto a me e gli offrii un whisky caldo. Al quarto bicchierino, si schiarì la voce e attaccò a raccontare.

La storia del forestiero

Sono americano, nato e cresciuto a Hartford, nel Connecticut, in campagna. Quindi sono yankee e… ecco, sono una persona pratica. Mio padre era fabbro ferraio, mio zio veterinario, io tutt’e due le cose, almeno all’inizio. Poi divenni apprendista in una grande fabbrica di armi, dove imparai a costruire di tutto. In breve fui promosso sovrintendente capo: avevo duemila uomini sotto di me.

Be’, a un uomo così non mancano le occasioni di menare le mani… Con due migliaia di omaccioni da sorvegliare, c’è di che divertirsi! O almeno io mi divertivo da matti. Un bel giorno trovai pane per i miei denti e feci una bella scorpacciata di mazzate. A darmele fu un tizio che avevamo soprannominato Ercole: mi stese con una botta in testa che mi fece scricchiolare tutti gli ossicini del cranio. Il mondo sprofondò nel buio e, per un momento, non sentii più nulla.

Quando rinvenni, ero seduto ai piedi di una quercia. Ero solo… o quasi. Poco più in là, c’era un tizio a cavallo che mi fissava: sembrava appena uscito da un libro illustrato. Indosso aveva una vecchia armatura in ferro e in testa, come elmo, un barilotto traforato, e impugnava uno scudo, una spada e una lancia prodigiosa.

«Mio bel messere, volete giostrare?» disse il tipo.

«Voglio che?»

«Volete scontrarvi a singolar tenzone…»

«Ma che vai cercando?» gli risposi. «Fila via, sennò chiamo la guardia».

In tutta risposta indietreggiò di un centinaio di metri e poi mi si slanciò addosso a gran velocità. Quando capii che faceva sul serio, mi arrampicai sull’albero con altrettanta sveltezza.

L’uomo asserì che ero prigioniero della sua lancia. Date le circostanze, pensai che fosse meglio assecondarlo. Mi promise che se fossi andato con lui non mi avrebbe fatto alcun male. Scesi dall’albero e ci avviammo, lui a cavallo e io a pie-

di. Marciammo per strade sconosciute. “Chissà” pensai “forse questo tizio viene da un manicomio”. Gli chiesi quanto mancasse per Hartford. Rispose che non l’aveva mai sentita nominare. Mi sembrava una gran frottola, ma lasciai perdere. In capo a un’ora, vedemmo in lontananza una città sonnolenta in una valle bagnata da un fiume tortuoso; oltre la città, su una collina, si ergeva un’enorme fortezza grigia.

«Bridgeport?» domandai.

«Camelot» rispose.

A quel punto il racconto si interruppe perché l’uomo si appisolò.

Quando si svegliò, disse che era troppo stanco per continuare e mi consegnò un manoscritto dove avrei potuto leggere il seguito della storia: era una pergamena ingiallita dal tempo. Osservando da vicino una pagina, mi accorsi che si trattava di un palinsesto. Sotto la vecchia scrittura sbiadita dell’americano vi erano tracce di una grafia ancora più antica e sbiadita: frasi in latino, frammenti di antiche leggende. Individui il punto della storia in cui lo straniero si era interrotto e mi misi a leggere.

Una collana di classici avvincenti e storie senza tempo con cui scoprire il piacere della lettura. Opere fondamentali, trame appassionanti, testi chiari e concisi per arricchire l’apprendimento scolastico. Collezionali tutti!

Un americano alla corte di Re Artù

Un americano del XIX secolo si risveglia misteriosamente alla corte di Camelot. Il mondo dei Cavalieri della Tavola Rotonda e di mago Merlino si rivela ai suoi occhi un luogo tutt’altro che ospitale e incantato. Ci sono i castelli, le damigelle e le grandi imprese da realizzare, ma i nobili non fanno che sfidarsi a duello e raccontare frottole, mentre il popolo vive praticamente in schiavitù. Alla magia e alla superstizione dell’Europa medievale, il protagonista opporrà il pragmatismo del Nuovo Mondo e le conoscenze scientifiche della modernità. Il risultato è uno dei romanzi satirici più spassosi di tutti i tempi.

• Focus di approfondimento sulla vita e le opere di Mark Twain

disegni di AntonGionata Ferrari

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