Mille e io

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YORICK GOLDEWIJK

TRADUZIONE DI VALENTINA FRESCHI ROMANZO

Ripenso spesso alle parole di Evi: Un’esistenza sensata al servizio degli animati sarà il tuo futuro . E tento spesso di immaginarla, quell’esistenza. So che gli animati ci assomigliano. Che vivono in città simili a Surdus. Che parlano e si guardano. E ridono e piangono e litigano. Che si lasciano guidare dalle emozioni. Che questa è la loro forza, ma soprattutto la loro debolezza. Che Evi tenta di toglierci questo vizio. Ma so anche che con me non ha molto successo.

YOUNG

Yorick Goldewijk

Mille e io

disegni di Yvonne Lacet

traduzione dal nederlandese di Valentina Freschi

dello stesso autore:

Il cinema dei film mai girati È tutto da scoprire

ISBN 979-12-221-0849-0

Prima edizione italiana aprile 2025

ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0

anno 2029 2028 2027 2026 2025

© 2025 Carlo Gallucci editore srl - Roma

Titolo dell’edizione originale nederlandese:

Duizend & ik

Uitgeverij Ploegsma, 2023

Testo © Yorick Goldewijk 2023

Illustrazioni © Yvonne Lacet 2023

This publication has been made possible with financial support from the Dutch Foundation for Literature. Opera pubblicata con il sostegno della Fondazione Nederlandese per la Letteratura.

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Yorick Goldewijk Mille e io

disegni di Yvonne Lacet

traduzione dal nederlandese di Valentina Freschi

Per te, e per le sere come quelle di un tempo,

sul predellino di un vagone abbandonato in un mondo in cui esistevamo solo noi e i nostri sogni

Diversa

Quando guardo dalla finestra e i miei occhi scivolano sui grattacieli bianchissimi di Surdus, penso sempre a scappare. E quel pensiero mi spaventa ogni volta.

Cerco di scacciarlo, per paura che se ne accorgano. Ma non riesco mai a mandarlo via del tutto, qualche residuo rimane sempre, assopito in un angolo della mia testa.

Il Muro si scorge appena tra i grattacieli più lontani, un anello bianco che circonda la città. Il mare dall’altro lato non lo riesco a vedere dalla mia finestra e in fondo è meglio così, penso. Però ne sento l’odore. E a volte il rumore.

In lontananza riecheggia il secondo rintocco. Il suono resta sospeso tra i palazzi, come nebbia.

Dall’altoparlante sopra il mio letto fuoriesce la

voce di Evi: Secondo rintocco, 8. Calibrazione al Terminal.

«Grazie» dico.

Chi sei?, continua Evi.

Non voglio essere diversa, quindi rispondo: «Sono un’inanimata. Non ho alcun valore. La mia esistenza è volta a servire gli animati. Io non sono niente».

Assoggettiamoci ai nostri padroni animati, conclude Evi.

Annuisco rivolta alla parete e cerco di provare gratitudine. Evi fa in modo che io continui a seguire il Sentiero e non diventi un’errante. So cosa succede alle erranti, l’ho visto spesso. L’ultima volta appena un paio di giorni fa. Le erranti vengono terminate.

«Grazie» ripeto.

A volte, però, quando non faccio attenzione, le mani iniziano a esplorarmi il viso. I polpastrelli percorrono quell’insieme di ossa e pelle. Seguono la forma degli zigomi, del naso, delle labbra: una massa inafferrabile di materia viva. È come se fossi in comunicazione diretta con ogni cellula del mio corpo, come se potessi seguire l’elettricità che schizza attraverso i miei fasci nervosi. A volte

rimango immobile a fissare la parete bianca davanti a me e provo più forte che mai la sensazione di esserci. Non è vero che non sono niente, penso allora. E quel pensiero da errante mi spaventa e giuro di non toccarmi mai più il viso.

Poi, però, lo faccio ancora.

Il terzo rintocco. Mi volto ed esco dalla mia cella, percorro il corridoio scuro e prendo le scale. Il rumore dei miei passi sui gradini di cemento rimbomba contro i muri. Scendo trenta rampe, fino all’ingresso, apro la porta di ferro ed esco sul Viale.

La voce di Evi mi raggiunge immediatamente dalle centinaia di altoparlanti installati sui piloni che costeggiano il Viale:

Ascolta, ubbidisci, segui.

Non dubitare, non esitare, non questionare.

Sii servizievole e sottomessa.

Assoggettati al volere degli animati.

I Principi. Ripetuti all’infinito, giorno e notte.

Per un istante sento il vento accarezzarmi la punta delle dita. Poi quella sensazione svanisce e non sento più niente, esattamente come dev’essere, esattamente come voglio che sia. Con lo sguardo fisso a terra, inizio a seguire il Viale in dire-

zione della stazione. Mi accorgo che qualcosa si muove accanto a me e mi rendo conto che sto già camminando tra le altre, tutte identiche a me, tutte con lo sguardo a terra, tutte con lo stesso passo. Sopra di noi riverbera minaccioso il ronzio degli osservatori. Li registro con la coda dell’occhio: la loro forma affilata, squadrata, il colore nero come la pece, la spaventosa destrezza, in barba a qualsiasi legge della fisica. E quell’occhio lucente, esattamente al centro, il cui sguardo sembra trapassarmi il cranio da parte a parte mentre cerca qualche anomalia dentro di me.

So che niente sfugge all’attenzione degli osservatori, ma mi sollevo comunque sulle punte dei piedi e lascio scivolare lo sguardo sulle migliaia di nuche identiche. Ogni volta spero che qualcun’altra alzi la testa e che il suo sguardo incroci il mio… ma non succede mai. Neanche adesso. Le nuche ondeggiano allo stesso ritmo lungo il Viale, ogni giorno. Come un denso mare morto.

Dal mio grattacielo sono venti minuti fino alla stazione e ogni volta spero di non provare niente, di riuscire a percorrere quel tratto imperturbabile come le altre, con lo sguardo a terra, senza

errare. Ma non ci riesco quasi mai. Basta che un raggio di sole si faccia strada tra i palazzi e mi sfiori il viso ed ecco che parto. Chiudo gli occhi e mi sembra di fluttuare sulla luce come se non avessi alcun peso. A volte mi sembra di sentire l’odore del mare e allora è come se i miei pensieri venissero risucchiati attraverso il cemento oltre il Muro, dove rimangono ad aleggiare sopra le onde, e io non riesco a riportarli indietro in nessun modo. A volte vengo assalita dalla sensazione di trovarmi da tutt’altra parte, come se vagassi da sola in qualche luogo fuori dal tempo e dallo spazio mentre qui, sul Viale, il mio involucro continua a camminare assente in mezzo a mille altre.

«Non errare, stupida!» borbotto rivolta a me stessa. E sento il ronzio degli osservatori sopra di me.

Perché non posso essere semplicemente come le altre? Essere come devo essere? Perché a volte faccio così fatica a non fare le cose? A farle ok, ma a non farle? Non sarà mica tanto difficile!

Ai lati del Viale ci sono decine di grattacieli, bianchi e scintillanti alla luce del sole, tutti identici al mio. Da quei palazzi escono le altre per unirsi a

noi. Senza spingere, senza esitare, allo stesso passo. Ci sono sempre state, come i grattacieli, come il Muro. A migliaia, ognuna nella sua cella, tutte identiche a me, lo stesso viso, gli stessi capelli, gli stessi vestiti bianchi. Nessuna di loro dice mai una parola. Non a me, non a qualcuna delle altre. Nessuna che alza lo sguardo, che guarda qualcun’altra. Che guarda me.

Quando scorgo la stazione, in lontananza, con la sua enorme volta, mi viene sempre in mente la cassa toracica di una balena gigante e mi chiedo: “Una balena, Otto? Come fai a saperlo? L’hai mai vista, tu, una balena?”

No, non mi pare. Eppure lo so. Mi chiedo da dove venga quell’immagine, come molte altre nella mia testa. Immagini incredibilmente reali e dettagliate. Ma se scavo più a fondo nei miei pensieri alla ricerca della loro origine, mi imbatto in… niente, vuoto. E vengo presa da una paura che mi toglie il respiro e mi fa smettere immediatamente di scavare.

Sotto alla cassa toracica della balena c’è una rete di scale metalliche e piattaforme che conduce a vari binari. Mi faccio strada tra la folla senza

esitare per raggiungere il mio, salgo e scendo scale senza mai sfiorare anche solo per un secondo una delle altre. Si sente il rumore di treni che partono e che frenano, il sibilo di porte che si aprono e che si chiudono, il rimbombare di migliaia di passi, in sincrono, sulla pietra e sul metallo. Ma non si sente parlare, tossire, ridere. Rimangono tutte in silenzio.

Sul binario c’è il mio treno in attesa. Le porte si aprono, salgo e mi siedo su uno dei sedili di plastica vicino al finestrino. Il treno si mette in movimento e con lui i miei pensieri.

Le altre tengono lo sguardo fisso sulle ginocchia e io seguo il loro esempio, ma non riesco a ignorare la città che mi sfila accanto, sotto un cielo azzurro e un sole splendente. Credo di essere l’unica a non riuscirci e so che non è mai bene essere l’unica, perché se sei l’unica, allora sei qualcosa. E se sei qualcosa, vorrai delle cose, e poi inizierai a sognare, a pensare, a dubitare.

Dagli altoparlanti sul soffitto esce la voce di Evi che recita i Principi, ancora e ancora e ancora.

Ascolta, ubbidisci, segui.

Non dubitare, non esitare, non questionare.

Sii servizievole e sottomessa.

Assoggettati al volere degli animati.

Sono grata, le parole mi guidano. Mi trattengono dal voltarmi verso il finestrino. Quando il treno inizia a salire, so esattamente dove sono. Il sole è ancora basso e lampeggia tra i grattacieli come se pulsasse. E poi li vedo con la coda dell’occhio, se sto ben attenta (che è proprio quello che cerco di non fare). A ogni palpito compaiono in un lampo dietro gli edifici, poco sopra il Muro: frammenti grigioblu di mare.

Ascolta, ubbidisci, segui.

Non dubitare, non esitare, non questionare.

Sii servizievole e sottomessa.

Assoggettati al volere degli animati, risuona sempre, senza sosta.

«Evi, stordiscimi» sussurro. Ma non riesco a spegnere il sorriso sognante sul mio volto.

YORICK GOLDEWIJK (1979) è un apprezzato musicista e scrittore nederlandese per ragazzi. Lavora spesso in collaborazione con la moglie Yvonne Lacet, che ha realizzato i disegni di questo libro. Con Gallucci ha pubblicato anche l’albo illustrato È tutto da scoprire e il romanzo Il cinema dei film mai girat i.

In copertina

Foto dell'autore: © Yvonne Lacet

Art director: Francesca Leoneschi

Graphic designer: Pietro Piscitelli / theWorldofDOT

Ascolta, ubbidisci, segui. Non dubitare, non esitare, non questionare.

Sii servizievole e sottomessa. Assoggettati al volere degli animati.

Otto è sempre vissuta a Surdus, una città di grattacieli bianchi circondata da un Muro altissimo. Ogni giorno, insieme a migliaia di ragazze identiche a lei, si addestra per compiere il proprio destino: diventare una serva perfetta. Ma Otto non è come le altre, che non fiatano e non alzano mai la testa. Lei si sente diversa, si sente qualcuno. E le basta incrociare lo sguardo di Mille per capire di non essere sola. Insieme, le due ragazze progettano di scappare attraverso il mare al di là del Muro. E di essere finalmente libere. Prima però devono trovare il modo di evadere da Surdus. E tutto fa pensare che sia impossibile.

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