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I grandi cuochi della Penisola
Alle cene e ai passatempi ciascuno dei dodici componenti della Compagnia, tra cui Filippo Lippi e Andrea del Sarto, poteva condurre fino a quattro persone, ma ognuno aveva l’obbligo di portarsi una cena di sua invenzione, sancendo così il connubio tra arte e cucina, ma anche certificando ancora una volta la tavola come luogo per eccellenza della convivialità. Lo storico Emilio Faccioli disse che le corti rinascimentali elaborarono “una propria teoria e prassi del convitare, come momento culminante del costume di corte”. Ogni singolo gesto era pensato per rientrare negli ingranaggi del macchinoso sistema destinato a garantire l’obiettivo politico di esaltare l’immagine del principe attraverso l’institutio della magnificenza. È chiaro che nello stesso periodo, ma in contesti socio-economici diversi, gli appuntamenti dei 12 artisti al suono di “Gli artigliati del Paiolo/voglion questo e questo solo: chi ha l’ingegno lo riveli/e chi è bischero si celi”, costituivano un pretesto per celebrare a tavola certamente lo stravizio e il gozzoviglio, ma anche l’estetica e la magnificenza, in virtù del paiolo.
I GRANDI CUOCHI DELLA PENISOLA
Possiamo ricordare Maestro Martino da Como, Cristoforo da Messisbugo, Domenico Romoli, Giovanni Battista Rossetti e Bartolomeo Scappi che apportarono migliorie tecniche e concettuali alla cucina umanista e rinascimentale; furono loro ad apportare per esempio il dosaggio delle spezie e delle erbe o ad acquisire il concetto di stagionalità, salubrità e qualità degli alimenti, ma furono anche i primi a redigere dei manuali di cucina contenenti strumenti specifici per la cottura dei cibi. Nelle pagine dei loro ricettari si ritrova spesso l’indicazione di una patella, di una pignatta o di un paiolo per la realizzazione di una preparazione specifica. Così, mentre le preparazioni si impregnavano di contaminazioni ungheresi, francesi, inglesi, tedesche e spagnole, la tavola si compose di grandi pezzi montati del valore spesso simbolico e allegorico e di innumerevoli suppellettili. Il cuoco si impadronì della dimensione del gusto, ma al contempo generò una domanda di mercato inerente una serie di strumenti di cottura, di mille forme e di diverso materiale, per riuscire a manipolare la materia per mezzo della sua arte: la varietà degli strumenti di cottura divenne pertanto indispensabile.
BARTOLOMEO SCAPPI
L’opera che meglio ci regala un ventaglio di utensili per la cottura è la maestosa Opera di Bartolomeo Scappi, mastro dell’arte del cucinare, divisa in sei libri. Al suo interno, si trovano 27 tavole con la spiegazione del funzionamento della cucina e del servizio e l’autore descrive dettagliatamente 57 strumenti di cucina in ferro e 67 recipienti realizzati in rame stagnato. La tavola di apertura presenta i caldari di diversa capacità, indispensabili per le lunghe bolliture, segue una rassegna di spedi, copi fochi, molinelli, stamegne di rame e ottone, tegami e tortiere in ferro e rame stagnato e padelle per far ova frittolate.
Nelle tavole denominate Diversi vasi, Diversi instrumenti e instrumenti diversi vengono riportati in maniera precisa anche i metalli con cui sono forgiati i contenitori così da classificarli in masseritie di ferro e masseritie di rame stagnato. L’utilizzo preciso di tali strumenti è definito nelle ricette dell’Opera, dove l’indicazione della padella o del materiale è direttamente funzionale al tipo di cottura o di prodotto che si intende trattare. Per il biancomangiare si consiglia la cazzuola di rame stagnata e per le cotture lente di carni rosse si indica lo stufatorio di terra da chiudere con un coperchio e sigillare con la pasta intorno in modo che non possa fiatare, per friggere si consiglia la padella in ferro e per fare frittate è meglio usare una padella in rame stagnato a sponda bassa e bombata. Bartolomeo Scappi venne definito il Michelangelo della cucina per l’apporto tecnico-concettuale alla cucina del suo tempo, ma è lecito immaginare che il compendio di immagini e le spiegazioni dettagliate di ciascuna ricetta ci ricordino per volume d’informazioni l’immenso apparato iconografico della Cappella Sistina.
CRISTOFORO DA MESSISBUGO
Nel suo Libro novo nel qual si insegna a far d’ogni sorte di vivanda, pubblicato a Venezia nel 1557 e anche in Banchetti, composizioni di vivande et apparecchio generale, pubblicato a Ferrara nel 1549, un anno dopo la sua scomparsa, tratta in maniera precisa e competente le attrezzature essenziali per la composizione e preparazione delle pietanze. Si trovano così riportate: caldaia e catinelle piccole, catino da mangiar bianco, caldari grandi, pentolini, stagnatelli con i coperchi, cazza per friggere, padelle grandi, mezzane e piccole, testi in rame o in pietra, spediere e gratelle grandi e piccole.
GIOVANNI BATTISTA ROSSETTI
È l’autore del volume Dello scalco, pubblicato a Ferrara nel 1584, nel terzo libro testimonia con puntualità e precisione gli strumenti necessari per cucinare alla corte Estense e i servizi indispensabili per i viaggi del gran Principe. Le massaricie di cucina saran secondo le facende, che pensi di fare: fiamme col coperchio grande e piccole, marmette grande, marmette piccole, tiele grande, e piccole da torta, un padellon grande, e più piccolo da frigere, cascie da sapor di più sorte, pignate con il suo coperchio, caccie da minestrare, caladuri, padelle da friggere, che vadino l’una nell’altra, caccie grande, ghiotte grande, piccole e forate, spediere grande da campo fatte in modo, che di ciascuno para se ne puol far duo para, bastoni de ferro per traversare spediere, spiedi di più sorte, e interi, e che si storzino, e busciati nel mezzo, e fatti à vite, tripiedi grandi e piccoli, gradelle grandi, e piccole, palle da fuoco, capifochi, trepiedi tondi per caldari, trepiedi tondi per sostenere padelle da frigere, catene da fuoco piccole e grandi […], cocchiare forate, e non forate, con manichi longhi, caldari grandi con li coperti, caldari mezzani al simile, caldari poccoli, bastardelle grande e piccole, foratori grandi e piccoli, navicelle con coperti, et anime forate, mastelli, ò conche grandi per lavar carne […].


TERMINI ANCORA ATTUALI
La studiosa Marina Scopel nel suo saggio Pentole e dintorni: fonti per una catalogazione,
apparso su Appunti di Gastronomia n° LXVI - celebre rivista curata dallo storico della
gastronomia Claudio Benporat - ricorda che queste codifiche linguistiche e iconografiche eseguite nel passato, e in parte ad opera dei sopracitati cuochi, ci permettono di usare ancora oggi in maniera invariata diversi nomi di strumenti in uso: marmitte, caldaie, padelle, graticole e spiedi, forme per torte e stampi per pasticci. Così dal calidarium usato per scaldare l’acqua alla caldajola con becco sporgente, all’ahenum (marmitta) di forma quasi sferica e con coperchio, al cocabus (pajolo) di forma sferica e manico, dalle pignatte alle padelle e oviere, i manufatti per la cottura degli alimenti delineano un continuum culturale straordinario che pone in relazione necessità del passato con esigenze del presente. Lo strumentarium domesticum dei patrizi romani, trascritto sul finire dell’Ottocento da Carlo Ceci, primo custode della collezione di bronzi e utensili del Real Museo Borbonico di Napoli, sopravvive ancora oggi con una precisa e immutabile terminologia, che troviamo espressa nella nomenclatura di ben 419 utensili. Nel corso del Settecento le opere enciclopediche promosse dall’illuminismo propongono tavole classificatorie di ogni genere, basti pensare all’immenso lavoro realizzato nell’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert. Queste summe complessive e sistematiche delle conoscenze di un’intera cultura, che incarnavano perfettamente l’obiettivo analitico della società dei lumi, costituiscono un’altra importante fonte per la comprensione del mondo delle pentole, delle stoviglie e degli utensili di cucina. La formula preferita per la classificazione prevedeva tre moduli distinti: l’ambiente di lavoro, gli strumenti necessari e la loro spiegazione. Un esempio adeguato di questa volontà classificatoria è la Polyanthea technica di Giovanni Pietro Pinaroli. Attivo a Roma nella prima metà del Settecento, l’autore compila una raccolta enciclopedica delle arti e dei mestieri, che offre tavole in cui compaiono gli stigli del fornaro, le trafile della pasta del vermicellaro, ma anche una sezione di strumenti per la cucina con coltelli e utensili, ma anche spiedi, cazzole, vasi e vasetti, navicella da pescie allesso con la sua anima forata, tielle e bastardelle. Il progresso delle tecniche di cottura che verrà nei secoli a seguire, il rinnovamento delle cucine e la scoperta di nuove fonti di calore e nuovi materiali conduttori, permetteranno una innovazione delle trasformazioni gastronomiche, ma i nomi e le forme codificate dal Rinascimento in avanti costituiranno la solida base terminologica e iconografica che accompagnerà il cammino della civiltà della cucina. Mettendo da parte pentole a pressione e beefsteakiere, ancora oggi ricordiamo con piacere che tra i numerosi strumenti, ve ne sono alcuni che campeggiano nelle cucine da oltre mille anni senza aver perso né funzione né identità: caldaro, pignatta, paiolo,
