In viaggio con Barlaam numero 02

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G.A.L. BaTiR - via Torrione, 96 - 89125 Reggio Calabria - tel. e fax 0965 897939 - www.galbatir.it

Barlaam IN vIaggIo CoN

tra mare, montagna, miti e leggende

Misura 313

Rubbettino

Rivista trimestrale su cultura, storia, tradizioni, arte, paesaggio e ambiente a cura del Gruppo di Azione Locale del Basso Tirreno Reggino

N 2/2015




Indice 3

IN VIAGGIO… PER ESSERE PROTAGONISTI DEI PROCESSI DECISIONALI

31 DOVE LA STORIA NON

SUGGESTIONI ED EMOZIONI DI UN TERRITORIO STRAORDINARIO

36 “TYRRENICO”:

PASSÒ MAI IN FRETTA

Seminara

di Santo Gioffrè

di Antonio Alvaro - Presidente G.A.L. BaTiR

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UN’AREA E UN MARCHIO

di Rosario Previtera

di Fortunato Cozzupoli - Direttore G.A.L. BaTiR

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I SUONI A COLORI DELLA CHITARRA BATTENTE In viaggio con Francesco Loccisano… di Filippo Teramo

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COLORI E SAPORI DELLA COSTA VIOLA di Tiziana Galluso

13 LA NUOVA FRONTIERA

DELL’ATTIVITÀ TURISTICA

Pescaturimo e Ittiturismo di Federica Morabito

16 TRA I MITI DELL’AREA

DELLO STRETTO

di Tonino Perna

18 CON IL VERDE NEGLI OCCHI Itinerario tra gli ulivi secolari di Eleonora Uccellini

22 VIAGGIO IN CORRIERA di Mimmo Gangemi

25 SAN ROCCO, IL SANTO

D’ESTATE

di Santino Salerno

40 IL MENU “TYRRENICO” di Enzo Cannatà

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La memoria e il racconto...

UN INCREDIBILE DUELLO di Domenico Zappone Direttore responsabile Santino Salerno Coordinatore editoriale Filippo Teramo Coordinatore redazionale Federica Morabito Cura redazionale Maria Teresa D’Agostino hanno collaborato a questo numero: Enzo Cannatà, Tiziana Galluso, Mimmo Gangemi, Santo Gioffrè, Federica Morabito, Tonino Perna, Giampiero Pirrò, Rosario Previtera, Santino Salerno, Filippo Teramo, Eleonora Uccellini Traduzioni abstract Sebastiano Iaria Foto di: pag. 4 Archivio Loccisano, pagg. 5-7 Giuseppe Tarsitano, pag. 6 Pino Passarelli, pagg. 7-8-25-26-30 Rocky Caratozzolo, pagg. 1-9-12-13-14 Daniele Riefolo, pag. 10 Antonia Di Lauro, pagg. 11-15 Giuseppe Sobrio, pagg. 15-16 Filippo Teramo, pag. 18-20 Enzo Galluccio, pag. 20 Paolo Greco, pagg. 2228-44 Enrico e Franco Caruso, pagg. 23-45-46 collezione Pro Loco Bagnara, pagg. 27-29 Enzo Barone, pag. 30 Giuseppe Calvo, pagg. 31-33-34-35 Santo Gioffrè, pagg. 36-38-39 Rosario Previtera, pag. 48 Stefano Mileto

Copyright Rubbettino Editore S.r.l. Direttore Editoriale - Luigi Franco Redazione - Giuseppe D’Arrò Progetto grafico - Inrete Impaginazione - Tiziana Chirillo Stampa Rubbettino print per conto di Rubbettino Editore S.r.l. 88049 Soveria Mannelli (Catanzaro) Numero 2 in attesa di registrazione Finito di stampare nel mese di giugno 2015

RICICLATO


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IN VIAGGIO… PER ESSERE PROTAGONISTI DEI PROCESSI DECISIONALI

SUGGESTIONI ED EMOZIONI DI UN TERRITORIO STRAORDINARIO

di Antonio Alvaro - Presidente G.A.L. BaTiR

di Fortunato Cozzupoli - Direttore G.A.L. BaTiR

Un vero e proprio viaggio attraverso usi, costumi, cultura e tradizione di un popolo e di un territorio ricchi di storia e dalle molteplici sfaccettature ambientali. È questo l’obiettivo che la nostra rivista si propone, offrendo al lettore una visione d’insieme dell’area del Basso Tirreno Reggino senza trascurare le specificità dei vari centri che ne fanno parte. In viaggio con Barlaam, descrive dunque le peculiarità culturali, antropologiche e naturalistiche del Gal BaTiR, senza trascurare il complesso delle risorse, le diverse potenzialità di sviluppo, gli aspetti economici e la valorizzazione turistica dell’intera area. In questo numero, il percorso disegnato si snoda attraverso un insieme di contributi tematici che offrono suggestive immagini di momenti di vita d’altri tempi, ma raccontano anche la realtà di oggi: dalle attività produttive di tipo aziendale a quelle artigianali, dalle spettacolari manifestazioni di pietà popolare, alle descrizioni di paesaggi straordinari dove l’uomo convive da sempre con una natura bella ma indocile, in un equilibrio che richiede continui adattamenti; e di piccoli centri, dall’affascinante linguaggio urbanistico, ricchi di reperti di notevole interesse storico e artistico; di luoghi silenziosi e discreti dove i muri delle case modeste, e quelli degli antichi palazzi, raccontano come un libro aperto vicende lontane, storie di uomini, di povertà e di ricchezze, di abbandoni e ritorni. È così, dunque, che questo Viaggio riserva delle sorprese, diventa quasi un’avventura dove all’emozione che nasce alla vista della montagna più intrigante e selvaggia, come il massiccio dell’Aspromonte, si alterna, senza soluzione di continuità, lo stupore incantato per la fascinosa suggestione del mare della Costa Viola; lo scenario in cui ogni anno, nella stagione degli amori, da maggio ad agosto, si pratica, con modalità uniche al mondo, la caccia al pescespada che rinnova suggestioni che hanno lo stesso potere evocativo del mito e dell’eterna lotta dell’uomo per la sopravvivenza. Se questo è vero com’è vero, In viaggio con Barlaam, ha anche un valore aggiunto: quello di costituirsi come un piccolo ma significativo strumento di conoscenza della realtà dell’area del Gal BaTiR e del Gac dello Stretto che, come tutte le realtà territoriali, hanno straordinari punti di forza ma anche immancabili punti di debolezza. La nostra fondamentale aspirazione, allora, è di rendere gli abitanti della vasta area, attenti, partecipi e protagonisti dei processi decisionali. Abbiamo chiara consapevolezza che soltanto attraverso la cooperazione, la sinergia, l’interazione tra i tanti soggetti privati, le istituzioni territoriali e l’indispensabile apporto d’idee provenienti dalla società civile, è possibile pensare, e pensando operare con senso della realtà per il conseguimento di quei risultati che tutti ci attendiamo e soprattutto quelli di una migliore vivibilità del territorio, di una migliore qualità della vita e di un concreto sviluppo produttivo e occupazionale.

La scelta di avvalersi di una rivista dedicata, qual è In Viaggio con Barlaam, rientra pienamente nella filosofia che guida il nostro operare come Gruppo d’Azione Locale sul territorio del Basso Tirreno Reggino. La tutela, la promozione e la valorizzazione del meraviglioso patrimonio di cui godiamo sono, da sempre, le fondamenta del nostro agire: è la nostra ragion d’essere; è l’obiettivo generale, cui convergono tutte le iniziative proposte negli anni; è il miglioramento generale della qualità di vita delle popolazioni locali. E perché questo si realizzi è necessario avviare quelle strategie di rilancio economico attentamente calibrate, funzionali, condivise ed efficaci ma, anche, potenziare il livello d’informazione e di conoscenza. La comunicazione quindi gioca un ruolo fondamentale ed ai tanti strumenti, tradizionali e tecnologici, cui facciamo abitualmente ricorso, oggi, si aggiunge questa importante rivista, dal carattere strategico e grazie alla quale presentare le numerose iniziative avviate, in itinere e quelle concluse. Uno strumento volto a offrire una visione globale e interconnessa dell’area del Basso Tirreno Reggino, delle sue peculiarità turistiche, culturali, antropologiche e naturalistiche. Una vetrina sulle grandi potenzialità dell’area, quelle consolidate e quelle ancora inespresse o poco conosciute. In viaggio con Barlaam, vuole soddisfare l’esigenza del lettore/turista interessato ad intraprendere con noi un cammino ideale, stimolandone la curiosità su usi, costumi, cultura e tradizione di un popolo ricco di storia e dalle molteplici sfaccettature. Un percorso da sviluppare attraverso la pubblicazione di un insieme di articoli tematici in grado di offrire, dalla prima all’ultima pagina, una panoramica completa del comprensorio, dai suggestivi paesaggi della montagna, quella più vera e selvaggia dell’Aspromonte, al fascino sublime della stupenda Costa Viola, senza costringere il lettore/turista ad una scelta obbligata. L’obiettivo è di descrivere tutti gli aspetti caratterizzanti i comuni che ricadono nel territorio del Gal BaTiR come quelli che fanno parte del GAC dello Stretto e, al tempo stesso, presentarli come un unicum attraverso un viaggio affascinante e coinvolgente, tale da far comprendere al lettore che il senso di collettività presente in ogni comune e l’impegno attivo della popolazione alla crescita del proprio territorio, rappresentano la base su cui costruire il destino di una grande comunità dalle radici uniche, profonde e di antichissima origine. L’auspicio è che tutto ciò possa tradursi, sul piano pratico, in coscienza e conoscenza collettiva sulle possibili azioni di sviluppo locale da intraprendere in maniera partecipata e condivisa, nell’ottica della sostenibilità ambientale, economica e socio-culturale.


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In viaggio con Francesco Loccisano…

I SUONI A COLORI DELLA CHITARRA BATTENTE di Filippo Teramo

In viaggio con il musicista

Francesco Loccisano e la sua chitarra battente. Seguiamo i suoni, i colori, i profumi della nostra terra. Vibrazioni del mondo contadino, della campagna, del mare che gorgheggia negli anfratti delle coste precipiti. Suoni a colori che la sua battente attinge da uno spartito che si trasforma quasi in tavolozza. Note musicali dove le tonalità variano come i colori che Francesco ammira nei tramonti dello Stretto con

le isole Eolie all’orizzonte, nelle suggestive albe e nel mare cristallino della Costa Viola.

L

a cultura di un territorio vive, si conserva e si perpetua attraverso il rispetto delle proprie origini, della propria lingua, della propria musica e del loro valore; la civiltà di un popolo non può prescindere dal recupero e dalla trasmissione delle sue tradizioni, e non può ignorare che solo dalla consapevolezza della propria identità culturale può trarre i riferimenti utili anche nel campo della creatività, dell’arte in genere e della musica in specie. Francesco Loccisano, musicista, è portatore di tale consapevolezza e fin da bambino ha imparato a seguire l’istinto delle proprie origini. Ne trovo conferma chiacchierando con lui, mio compagno di viaggio nelle terre del basso Tirreno reggino, lungo la Costa Viola, terra privilegiata


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Francesco Loccisano con Bob Brozman

per le sue ispirazioni. A nove anni inizia a studiare chitarra classica, ed è il tempo in cui i suoni, i colori, i profumi della propria terra si radicano dentro di lui e Loccisano li porta dentro di sé, custoditi come in uno scrigno, per riscoprirli, con rinnovato entusiasmo, negli anni della giovinezza. “È a quattordici anni che decido di fare il musicista e da allora non mi sono più fermato”, mi confessa con un sorriso sornione e disarmate. La sua passione musicale, nel tempo, diventa travolgente: forma il suo primo gruppo e si cimenta nei primi concerti in tutto il Sud d’Italia, studia la chitarra flamenca a Siviglia, frequenta scuole e musicisti dell’Andalusia. Ma è l’istinto delle origini, delle radici, che l’accompagna e lo spinge nella sua intensa attività di ricerca e composizione. Frequenta così i più noti artisti del panorama musicale popolare calabrese come Mimmo Cavallaro e gruppi come i Quartaumentata, gli Arlesiana Chorus e i Tarankhan. Ma a Francesco non basta, il talento innato e l’originalità di esecuzione si arricchiscono di una competenza che lo portano a compiere un intenso tour in svariati paesi del Mondo, prima al

seguito di Eugenio Bennato con i Taranta Power, poi, in sempre più apprezzati concerti da solista. L’istinto per le origini, si diceva, prende il sopravvento ed ecco l’approccio agli strumenti tradizionali, il tamburello e la chitarra battente; sono gli anni della formazione. E la sua particolare attenzione si concentra proprio nello studio della chitarra battente, ne nasce una passione viscerale con un continuo lavoro di ricerca che gli consente di trarre da questo splendido strumento un potenziale finora inespresso e di sviluppare uno stile personale di composizione, denominato “il metodo Loccisano”. La “battente” diventa non solo strumento sostenitore del canto ma strumento solista, ed è questa l’originale innovazione in grado di affermare una personale unicità. E Francesco quando suona è un unicum con lo strumento, percuote le corde della sua battente su tutta la loro lunghezza, corde rigorosamente di metallo, e ne fa venire fuori un suono contemporaneo che richiama gli echi sonori della sua terra. Vibrazioni del mondo contadino, della campagna, del mare che gorgheggia negli anfratti delle coste precipiti. Suoni a colori che la sua battente attinge da uno spartito che si trasforma quasi in tavolozza. Note musicali dove le tonalità variano come i colori che Francesco ammira nei tramonti dello Stretto di Scilla e Cariddi con le isole Eolie all’orizzonte, nelle suggestive albe e nel mare cristallino della Costa Viola. “La mia ispirazione nasce da ciò che vivo - mi confida ancora - se non componi, non crei quello che hai dentro, non sono un musicista commerciale che rincorre il mercato. Cerco l’ispirazione in tutto ciò che mi piace, poi il resto viene da sé”. Lo studio e la continua ricerca sono a fondamento delle sua attività artistica. “In tutte le mie creazioni ho cercato sempre l’originalità e volevo Sergio Pugliesi, liutaio in arte Oliver


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Francesco Loccisano

uno strumento che mi permettesse di impormi, a mio modo, come un interprete unico. L’ho trovato nella chitarra battente, uno strumento della mia terra – racconta ancora entusiasmandosi – l’ho scovata nella provincia cosentina presso la famiglia De Bonis, liutai costruttori di Bisignano sin dalla fine del ’700. Con Costantino e Rosalba De Bonis, che costruiscono le mie prime chitarre battenti, ha inizio anche una collaborazione che avrà ulteriori sviluppi”. Per migliorare un progetto occorre studio ed impegno, e Francesco ne è consapevole. “Le notizie

sulla chitarra battente ci arrivano a partire dal ’500; nasce in Spagna ed è strumento di origine colta, deriva dalla chitarra barocca. Dapprima si diffonde nel Nord Italia ma è grazie alle popolazioni del Sud che questo strumento riesce a conservarsi nel tempo, tanto da diventare popolare. In passato fu principalmente utilizzata dai contadini come strumento per accompagnare il canto tradizionale”. E la tradizione vuole che le chitarre battenti nascano ancora oggi al Sud. Un giorno un giovane e promettente liutaio di Scilla “riesce a contattarmi poiché voleva assolutamente costruire una chitar-


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ra battente per me. Sergio Pugliesi, in arte Oliver. Nella sua bottega fa della trasformazione del legno il proprio lavoro e la propria passione, un giovane liutaio tanto preparato quanto testardo – Francesco sorride nel raccontare Sergio – Si susseguono così tanti incontri e tutti con la ferma volontà e convinzione di questo liutaio scillese, fino allora per me sconosciuto, di costruire una battente, come mai nessuno prima, con tecniche moderne, pur nel rispetto della tradizione e con la selezione di legni pregiati”. L’attesa comincia a incuriosire anche Francesco, finalmente arriva il giorno della consegna, e mi confida che provare un nuovo strumento è come provare un vestito nuovo cucito su misura dal tuo sarto di fiducia; “nel vedere la chitarra battente costruita da Oliver l’ho subito impugnata iniziando a battere le corde di metallo. Senza accorgermene ho eseguito un intero pezzo. Ero quasi caduto in trans, emozionato, trasportato nei tanti ricordi e nei suoni della mia terra.” Chitarra battente modello Loccisano

Scilla, da "Calabria in pillole", Francesco Loccisano e Mimmo Cavallaro

Già, quei suoni a colori ispirati dalla tavolozza che è il territorio della Costa Viola. Sorride sornione Francesco. La collaborazione con il liutaio di Scilla permette ad entrambi di presentare la chitarra battente “modello Loccisano” in una demo song al “Cremona Mondo Musica” ed è subito successo: “presentiamo la chitarra battente nello spazio dedicato alla liuteria, siamo nel tempio dei violini; mentre eseguo dei miei pezzi, nell’alzare lo sguardo, non posso non notare quello compiaciuto di Sergio. Chitarristi provenienti da tutto il mondo cominciano ad incuriosirsi, sono affascinati dalla brillantezza dei suoni, sono stuzzicati dal mio metodo di battere e pizzicare le corde”. Un metodo che vuole ricordare le origini, e così il suo primo album lo intitola “Battente Italiana” per rimarcare che lo strumento è italiano, mentre il successivo disco lo chiama “Mastrìa” nella volontà di lasciare la testimonianza e le emozioni della propria terra, la Calabria. Prima di salutarci, chiedo a Francesco di eseguire La tarantella di zio Nicola; le note ci accompagnano ancora nel nostro viaggio ma ho un’ultima domanda, diretta questa volta. Cos’è per te la chitarra battente? “Il vestito perfetto per le mie giornate”. Travelling with Francesco Loccisano, a musician, and his “chitarra battente”. Following the sound, colours and scents of our land. Vibrations of the rural world, of the countryside, of the sea warbling in the coastal ravines. Sound and colours that its “chitarra battente” draws from a score that turns into a palette. Musical notes which keys change like the colours that Francesco admires in sunsets of the Strait with Aeolian islands on the horizon, in the violet dawn and in the crystalline sea of the Costa Viola.


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COLORI E SAPORI DELLA COSTA VIOLA di Tiziana Galluso

Scilla, Chianalea, la piccola Venezia


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Un viaggio mistico tra mito

e realtà. Un mare color porpora di un rosso intenso che tende al viola. Da Porticello di Villa San Giovanni a Palmi, passando da Scilla, Bagnara Calabra e Seminara. Un cammino che si snoda lungo la costa tirrenica, tra montagne e borghi incantati, lunghe distese di sabbia e spiagge ambrate. Un mare incontaminato, cristallino e profondo i cui fondali rappresentano una vera e propria ricchezza ambientale.

A mystical journey between myth and reality. A purple sea, a deep red tending toward bright violet. From Porticello of Villa San Giovanni to Palmi, by way of Scilla, Bagnara Calabra and Seminara. Our path leads through Tyrrhenian coast, among mountains and charming villages, long stretches of sand and beaches with an amber color. All surrounded by a pristine and crystal clear sea. The sea depths are an extraordinary environmental richness, representing pristine marine views.

Palmi

È

un mistico viaggio tra mito e realtà. Un cammino tra le bellezze dei territori della Costa Viola, con i suoi siti di straordinario interesse storico ed architettonico, i prodotti tipici e la gastronomia locale. La Costa Viola è un’area che copre una parte della Provincia di Reggio Calabria: si affaccia sullo Stretto di Messina e sul Mar Tirreno, coprendo anche una buona porzione di entroterra dominata da una serie di alte e discontinue costiere. Deve il suo nome alla descrizione del filosofo Platone che, navigando lungo questo tratto di mare, rimase colpito dalle svariate tonalità che assumono, nell’ora dei tramonti, il mar Tirreno, l’Aspromonte e tutto il paesaggio circostante. Un mare di color porpora, un rosso intenso che tende al viola. Ci troviamo nella parte finale della punta dello stivale, da Porticello di Villa San Giovanni a Palmi, passando da Scilla, Bagnara Calabra e Seminara. Un percorso che si snoda, tra montagne e borghi incantati, lunghe distese di sabbia e spiagge ambrate. Un mare incontaminato, cristallino e profondo i cui fondali rappresentano una ricchezza ambientale primaria. È il luogo ideale per ogni tipo di vacanza all’insegna del relax e del piacere

assoluto. Numerose sono le attività praticabili sia d’estate che d’inverno, tra mare e monti, passeggiate e camminate, trekking ed escursioni. Qui la natura è sempre protagonista. Panorami che lasciano senza fiato, millenni di storia, arte, cultura, tradizioni, natura incontaminata e svago si coniugano con la naturale ospitalità e una moderna ed efficiente organizzazione, servizi di accoglienza, guida e assistenza gratuita. Iniziamo il nostro tour da Villa San Giovanni, principale punto di traghettamento per la dirimpettaia Sicilia. Il territorio si estende prevalentemente lungo una fascia pianeggiante che costeggia lo Stretto. Dal lungomare raggiungiamo Cannitello, dove le acque dello Stretto sono incessantemente agitate e dal colore variabile per effetto delle correnti. Ed è arrivando a Scilla che si comincia a respirare la suggestione della mitologia. Incantevole luogo ricco di storia e cultura marinara, definita “Perla della Costa Viola”. Scilla dal mare si inerpica fino alle pendici aspromontane, da cui attinge tradizioni artigianali, coltivazioni tipiche e gastronomia. Importante località turistica e balneare, è considerata uno tra i borghi più belli d’Italia, ambìta meta di artisti oggi come in


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tempi antichi. Da un lato la Marina Grande con la sua lunga Spiaggia delle Sirene, dall’altro il rione Chianalea, antico borgo scillese denominato “la piccola Venezia”. Sullo “scaro di alaggio”, che offre l’approdo alle barche dei pescatori, si impone il Palazzo Scategna. Inoltrandoci per le viuzze di Chianalea si possono osservare antiche fontane e chiese. Dall’alto di una grande roccia, vigila imponente il Castello dei Ruffo, oggi sede di convegni e importanti mostre d’arte e dove, dalla sua panoramica vista, si possono contemplare le isole Eolie e la costa siciliana. I fondali rocciosi, ricchi di vegetazione sono interessati da importanti studi geologici. A circa 3 km da Scilla, proseguendo il cammino, ecco Favazzina con i suoi strettissimi e caratteristici vicoli e con la sua piazzetta dominata dalla Chiesa di Santa Croce. Le coltivazioni del pregiato “Sfusato”, tipico limone, e dello “Zibibbo” caratterizzano parte della produzione di questa piccola frazione scillese. Posta in fondo ad un’ampia insenatura, tra le colline a strapiombo sul mare, incastonata splendidamente come un antico anfiteatro tra i vigneti, Bagnara Calabra si specchia sulle acque del basso Tirreno. Il colle Marturano divide in due la spiaggia che si estende per oltre un chilometro, dal Monte Cucuzzo alla Torre Ruggiero. Dotata di un porticciolo con le tipiche “passerelle”, imbarcazioni per la caccia del pescespada, il paesaggio è dominato dalle sporgenze e dalle rientranze dei monti che scendono verso il mare. Ad esercitare una forte attrattiva sui turisti è soprattutto il Monte S’Elia, che offre un panorama strabiliante per bellezza e vastità del paesaggio, e dal quale si possono ammirare le isole Eolie ed i due vulcani attivi: l’Etna e lo Stromboli. Altro centro di grande interesse è Seminara, piccolo comune collinare, noto soprattutto per le sue artistiche ceramiche. Nel cui ambito

Panorama di Bagnara

territoriale ricade la piccola e solitaria spiaggia di Cala Janculla, accessibile solo via mare; tuttavia gli amanti del trekking possono raggiungere il sito percorrendo l’unica via d’accesso lungo il sentiero del Tracciolino, lungo la fiancata ovest del Sant’Elia. Le escursioni organizzate in barca da Scilla, da Bagnara e da Palmi sono tra le più apprezzate dai visitatori. Su un fianco di Cala Janculla si può ammirare la “Grotta delle rondini” e nelle immediate vicinanze anche quella delle “Sirene” e la “Grotta perciata”, anch’esse raggiungibili via mare. Il nostro viaggio, che procede tra lunghe scogliere e terrazzamenti coltivati a strapiombo sul mare, si conclude a Palmi. Adagiata sopra un altopiano digradante verso il mare e riparato a sud dal Sant’Elia, Palmi trae benefici effetti sia dal suo mare che dalla sua montagna. Oltre alle spiagge dorate della “Tonnara”, “Pietrenere” e “Scinà”, all’estesa costa granitica disseminata di incantevoli insenature e meravigliosi fondali, Palmi offre al visitatore anche il refrigerio delle sue pinete, indescrivibili e suggestivi panorami delle sue alture, tanto da essere stata definita da scrittori e poeti “Terrazza dello Stretto”. Emozionanti sono le esplorazioni delle grotte neolitiche del grandioso insediamento rupestre monastico-bizantino di Tarditi, su cui aleggiano miti e leggende. Con le vicine spiagge della “Marina” e del lido di Palmi, la città è un’importante tappa balneare. Tra i punti panoramici del lido vi è la rada della “Tonnara”, dove si trova “lo Scoglio dell’Ulivo”, un faraglione a pochi metri dalla costa, sulla cui sommità è cresciuto nei secoli un ulivo. Fa parte di questo scenario un piccolo porto, dominato dal terrazzamento su cui sorge Taureana di Palmi con la sua Torre saracena. Il luogo migliore per godere di tale scenario è la via del Mare, arteria che collega la spiaggia di “Marinella” con “Taureana”. Il mare, ricchissimo


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Aspromonte, ruscello

di pesci, è ambita meta anche per gli amanti dello snorkeling. Il passaggio dal mare alla montagna è veramente breve; incamminandoci verso l’entroterra, passando per Sant’Eufemia, raggiungiamo Gambarie, nel territorio di Santo Stefano d’Aspromonte, importante località sciistica del meridione. A rendere più allettante il viaggio la gastronomia tipica dei luoghi: prodotti dalla forte impronta mediterranea, che spaziano dalle pie-

tanze di mare ai piatti provenienti dalla tradizione montanara. Una cucina semplice ma molto saporita, soprattutto grazie all’uso delle spezie e, in particolare, del peperoncino: un intreccio di varie tradizioni culinarie. Tra salumi, verdure e pesce sottolio, non poteva mancare il torrone di Bagnara. La particolare tostatura delle mandorle e il metodo di cottura realizzati con il miele lo rendono un prodotto unico al mondo.


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Costa Viola, fondali cristallini


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Pescaturimo e Ittiturismo

LA NUOVA FRONTIERA DELL’ATTIVITÀ TURISTICA di Federica Morabito

Cala della Costa Viola raggiungibile dal mare

P escaturismo e Ittiturismo rappresentano una grande occasione per i turisti, che potranno conoscere a fondo il territorio, con tutte le sue peculiarità; e per i pescatori, che diversificano l’attività integrando il proprio reddito. Il paesaggio sottomarino completa le intense suggestioni.

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aratteristiche abitazioni incastonate in antichi borghi marinari, scorci di mare cristallino da vivere immersi in un’atmosfera unica, quella che solo le coste meridionali della Calabria possono offrire. Uno scenario tanto magico da apparire quasi surreale, che diventa lo sfondo di fantastici soggiorni per i turisti, con una nuova formula: trascorrere una vacanza immersi tra mare, tradizione popolare, attività ricreative e culturali, incantevoli paesaggi, cucina tipica e prodotti ittici provenienti dalla pesca della giornata. Tutto questo, in una sola parola, è l’ittiturismo della Costa Viola. Un progetto ambizioso realizzato con successo grazie al Gac dello Stretto che ha messo in campo tutto l’impegno necessario per dare vita all’idea di un turismo alternativo, costruito sulla conoscenza


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e sulla fruizione del territorio a trecentosessanta contatto umano: vera essenza della conoscenza. gradi, e su tutto ciò che di buono e caratteristico E l’ittiturismo ben si accompagna ad un’altra inteesso può offrire. ressante opportunità, la possibilità di praticare la Ed è proprio grazie al Gac che si aprono nuove pescatuismo. opportunità per la provincia Un’esperienza di pesca sulle Ichthyic and fishing tourism rereggina che si affaccia sul Tirreno, tipiche imbarcazioni artigianali al in termini di ricaduta economica, present a great opportunity for fianco di equipaggi di pescatori tourists which have the possirilancio del turismo e diversificability to explore the territory del luogo. Un modo alternativo zione dei mestieri. Nascono infatti and its peculiarities. Fishermen per vivere il mare calabrese con i primi quattro ittiturismo della have also the opportunity to gli occhi dei pescatori e scoprire diversify their business by sup- scorci, ed esperienze inimmagiCalabria, tre concentrati in una plementing their personal inco- nabili dalla terraferma e fruibili delle zone più suggestive della me. The underwater landscape regione: Scilla, una perla incada appassionati di pesca, come offers a complete perception anche da semplici curiosi. Un stonata negli scenari unici dello of these intense sensations. pranzo direttamente in barca, Stretto, perfetto mix di tradizione degustando pesce appena pee modernità, storia e mitologia. Ed uno a Palmi, splendida e rinomata cittadina scato, sulle scintillanti acque cristalline; questo lo scenario che si prospetta grazie all’iniziativa della tirrenica divisa tra mare e montagna che, proprio pescaturismo del Gac dello Stretto. grazie a questa caratteristica, riesce a coniugare la richiesta di chi vive l’amore per il mare con quella Nuove opportunità per i turisti, dunque, e per i di chi ha la passione per le alture. pescatori che hanno la possibilità di diversificare l’attività ed integrare il reddito, offrendo la propria Attraverso l’ittiturismo sarà possibile regalare ai esperienza, legata ai mestieri e alle tradizioni mariviaggiatori momenti di autentica cultura popolare, di relax e scoperta, con un’offerta completa che nare, diffondendo la cultura del mare anche oltre tale può definirsi solo se vissuta a stretto contatto gli stretti confini regionali. con usi e tradizioni. Ogni territorio va vissuto giorMa le bellezze che la Costa Viola può offrire vanno oltre ciò che l’occhio può scorgere, e non si limitano per giorno attraverso panorami, cibi, musiche,

Profondità marine della Costa Viola


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no alla terraferma o alla superficie marina, seppur cariche di cultura, tradizione e suggestione. Parte della bellezza della zona è racchiusa nelle acque del Tirreno che, come uno scrigno si apre agli occhi dei sub, rivelando tesori nascosti. Lo Stretto di Messina rappresenta un unicum al mondo, cuore pulsante del Mediterraneo, punto di confine, o come preferiamo definirlo trait d’union, tra Calabria e Sicilia… culla della mitologia. Qui vivono specie marine affascinanti che, sì, sono presenti in tutto il Mediterraneo, inabissate a oltre 150 metri, ma che solo in queste acque possono essere ammirate dai sub a pochi metri di profondità, come il pesce trombetta per esempio. Esperti diver guidano gli appassionati nelle profondità marine, tra la silenziosa fauna che popola le acque. La forza delle correnti è la vera peculiarità di questi abissi, come già noto a fine ’800, periodo Scilla, ingresso dell’Ittiturismo a Chianalea in cui queste profondità sono state oggetto di interessantissimi studi. Correnti che consentono notturni fuoriescono dalla sabbia apparendo la sopravvivenza di numerose specie di pesci traslucidi e semitrasparenti. attraverso lo spostamento di masse d’acqua e di Un miscuglio di habitat tra Calabria e Sicilia che plancton, base della catena alimentare, che garacchiude un monrantisce l’esistenza di do a sé. Un tesoro tantissime varietà di sommerso tutto animali marini, come da scoprire, che le Gorgonie, delle completa ed imprequali troviamo una ziosisce l’offerta di vera e propria foresta ittiturismo e pescatra Cannitello, Portiturismo. cello e Scilla. Parliamo di foresta anche se, E si riparte proprio quelle che sembrano da qui: pescaturidelle piante, in realtà smo e ittiturismo sono animali, al pari rappresentano la dei coralli. Un vero nuova frontiera e proprio patrimodell’attività turistica, nio naturalistico che che in una moderna cambia volto man concezione risulta mano che ci si sposta, fondata in modo imseguendo la costa prescindibile sulla calabra, verso sud. fruizione totale del Qui, prima di arrivare territorio, attraverso nelle acque antistanla valorizzazione ti la città di Reggio di tutti gli aspetti Calabria, le rocce e socioculturali che i colori scintillanti si vedono, nel nopresentano con fonstro caso, perno e dali mobili e sabbiosi struttura portante il che vengono spostati mondo dei pescatodalle correnti, come ri e della ristoraziovento nel deserto. ne a base di speciaLa Passerella per la caccia al pescespada Animali invertebrati lità tipiche locali.


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TRA I MITI DELL’AREA DELLO STRETTO di Tonino Perna

Veduta dello Stetto di Messina, Scilla e Cariddi

È dalle terre e dalle acque

dello Stretto di Messina che trae ispirazione parte della mitologia di Omero, che racconta del canto delle sirene, quello che stregò i marinai di Ulisse; di Scilla, mostro marino a nove teste, e Cariddi, un vortice ancora oggi visibile al largo di capo Peloro, sulla sponda siciliana. Ed ancora, di Eolo, dio dei venti, e di mostri marini che troviamo raffigurati nei vasi di ceramica.

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uando, percorrendo l’autostrada SalernoReggio Calabria, si arriva nei pressi della Costa Viola, i viaggiatori non riescono a trattenere un’esclamazione di stupore e meraviglia: è la visione dello Stretto di Messina. Parimenti chi arriva dall’autostrada Palermo-Messina, dopo aver varcato i Peloritani, la macchia verde di pini marittimi, si trova all’improvviso davanti lo stesso magnifico spettacolo. Ci sono molti luoghi affascinanti nel Bel Paese, luoghi ricchi di storia, paesaggi mozzafiato, ma lo spettacolo dello Stretto, tra Scilla e Cariddi, è unico al mondo e racchiude in questo piccolo angolo miti e leggende, paesaggi di grande fascino e poesia, una straordinaria biodiversità agricola e una incredibile varietà di luoghi. Geograficamente è difficile definire che cos’è lo Stretto: è ciò che lo sguardo ti permette di cogliere. Nelle limpide giornate d’inverno, salendo verso Gambarie d’Aspromonte, se fermi l’auto in una delle terrazze che si affacciano sullo Stretto puoi vedere insieme, con un solo scatto, l’arcipelago delle isole Eolie, i Peloritani, i contrafforti di Taormina e Forza d’Agrò, l’Etna fumante con il cappello bianco


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di neve, fino alla piana di Catania. Dall’altra sponda, con sé i pesci abissali che finiscono per spiaggiare ti basta salire a Forte Sa’ Jachiddu, sulle colline della sulle due sponde. Nel Parco Letterario Horcynus Orca, a Ganzirri, è possibile vedere una collezione città di Messina, per aprire il tuo grandangolo su di questi mostruosi pesci degli abissi, così come Reggio Calabria, Villa San Giovanni, Scilla con il suo altre meraviglie dello Stretto. E puoi antico castello sul mare, Bagnara A part of the Homer mythoancora oggi sentire, nelle serate e Palmi, e il magnifico, superbo, capo del Sant’Elia. Senza dimen- logy is inspired by the lands estive, il grido delle sirene, quello and waters of the Straits of che stregò i marinai che viaggiavano ticare di fermarti a guardare il Messina and it tells Sirens’ con Ulisse e costrinse lo stesso a transito continuo delle navi che fanno la spola sullo Stretto, come Song that bewitched Ulysses’ legarsi all’albero maestro della barca sailors. It tells the myth of per sfuggire al loro richiamo. Basta dame bianche che danzano lenScilla, sea monster with nine andare a Cannitello e chiedere di estamente sull’acqua. Per goderti questo spettacolo hai heads, and Cariddi, a vortex sere accompagnato a capo Pezzo, di bisogno di tempo, di trovare uno that is still visible off Capo Pe- fronte a Ganzirri, dove la montagna loro, on the shore of Sicily. It che vive sott’acqua scende improvspazio interiore per la contemalso tells the myth of Aeolus, visamente emanando un suono plazione di questa natura meravia god of the winds, and sea profondo, ritmico, simile appunto ad gliosa che non finisce di stupirti: monsters that are depicted in un grido o canto di creature marine. il mondo misterioso dello Stretto ceramic pots. Se arrivi nel periodo che va da si svela solo a chi ama veramente maggio a ottobre puoi osservare la natura ed entra in armonia con lo svolgimento della caccia al pescespada che si i suoi ritmi. Così, se sei fortunato, puoi imbatterti pratica ancora oggi su barche simili alle vecchie nel mitico spettacolo della Fata Morgana, quando feluche fenicie (il famoso luntre), magari seduto dalla costa calabra vedi la città di Messina, rovesciain una delle terrazze sul mare a Chianalea (Scilla), ta, avvicinarsi a te come un miraggio nel deserto. l’antico villaggio dei pescatori, o a Bagnara, dove Furono i Normanni di Ruggero I che, arrivando nei puoi gustare una grande varietà del pescato dello pressi dell’attuale Cannitello (Villa S.G.), pensarono Stretto, senza dimenticare i rinomati torroni. Se di attraversare con i cavalli lo Stretto, ingannati da oltre la natura vuoi capire la cultura di questo questo incredibile fenomeno ottico. Naturalmente popolo, devi entrare nel cuore della sua montafinirono in acqua, ma pensarono che ad organizzare gna, l’Aspromonte, dove puoi arrivare facilmente questo “scherzo” fosse stata la Fata Morgana, la fata a duemila metri d’altezza, sciare guardando il che secondo la mitologia celtica vive nel fondo del mare, e magari, per i buongustai, mangiando il lago di Avalon in un castello di cristallo dove curerà pesce stocco (a Cittanova), o i funghi con le patate Re Artù. Miti celtici che s’intrecciano con quelli che aspromontane, il capicollo ed il caprino (in tutti i gli antichi greci arrivando nel VII secolo a.C. trovaropaesi dell’Aspromonte). no tra queste sponde. Tutti conoscono il passaggio Naturalmente, prima di lasciare la costa calabrese di Ulisse tra Scilla, mostro marino a nove teste (di dello Stretto, non puoi dimenticarti di passare a fare fatto un grande scoglio), e Cariddi, un vortice che una visita di cortesia ai Bronzi di Riace ed alla loro ancora oggi è visibile al largo di capo Peloro sulla stupenda casa, ricca di tesori inestimabili: il Museo sponda siciliana. Eolo, il dio dei venti, nasce qui, della Magna Grecia di Reggio Calabria. come i mostri marini che troviamo raffigurati nei vasi di ceramica e che i greci scoprirono solo arrivando in questi luoghi. I miti, va ricordato, non nascono mai dal nulla, ma dalla elaborazione fantastica di una realtà fattuale, di fenomeni fisici inspiegabili per le conoscenze scientifiche del tempo. Infatti, i mostri marini sono visibili ancor oggi: sono i pesci abissali, dalle forme mostruose, che spiaggiano sulla riva di Cannitello quando c’è la luna piena. Il fenomeno è dovuto al fatto che nei fondali dello Stretto, da Taormina a Scilla/Cariddi, si passa da una profondità di duemila metri a soli ottanta, nel punto in cui le due sponde sono più vicine, grazie alla presenza di una montagna che diventa, alla sommità, un canyon che Ulisse e le sirene, vaso greco porta l’acqua fredda degli abissi a risalire portando


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CON IL VERDE NEGLI OCCHI di Eleonora Uccellini

Oppido vecchia, l’antica Mella

L’itinerario proposto ci porta

in un territorio ricco di fascino e di storia, immerso in un suggestivo paesaggio di verdi ulivi secolari. Numerose le tracce materiali di una storia millenaria, cancellata a tratti dalle calamità naturali, ma ben viva e presente agli occhi di chi la sa cercare nei centri storici che si ritrovano lungo l’itinerario: peculiarità urbane e architettoniche, importanti siti archeologici, tradizionali sapienze artigiane.

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ungo la tortuosa Strada Statale 112 che ci porta alla scoperta di un territorio affascinante e ricco di storia, il più delle volte dimenticata e nascosta, ma che è ancora possibile leggere nelle tracce architettoniche che caratterizzano i vari centri storici, sono proprio gli ulivi i nostri compagni di viaggio. Gli ulivi secolari, che troviamo ad ogni svolta, sono presenze costanti e rassicuranti che, con le reti per la raccolta delle olive distese da ramo a ramo, sembrano quasi tenersi per mano in una danza immobile e immutata nel tempo. Il territorio dell’intero comprensorio venne completamente stravolto dal “Grande Flagello”, il terremoto del 1783 che distrusse la gran parte dei centri abitati, causando gravi perdite umane e cancellando la memoria storica e fisica dei luoghi: città distrutte e ricostruite in siti diversi con piante urbane regolari e simmetriche, porzioni di pendii rovinosamente franati, pianure sprofondate sostituite da specchi d’acqua. Uno scenario apocalittico, dunque, da cui le popolazioni si risollevarono


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con estremi sacrifici e in seguito a un lungo e lento delle berline, tra i modelli che ebbero maggiore processo di ricostruzione. diffusione, un landau, vettura decappottabile, e Il nostro viaggio inizia dal centro storico di Cosomodelli di calesse usati per le attività di lavoro in leto, che venne riedificato nel campagna. sito attuale secondo il progetto This itinerary leads to a land Proseguendo l’itinerario si indi Giuseppe Oliverio di Sant’Eu- full of history and charm, sur- contra il centro di Delianuova, rounded by green secular olive- nato dalla fusione nel 1878 dei femia, dopo il sisma del 1783 trees. There are numerous traces due nuclei di Pedavoli, originato, che distrusse completamente of its ancient history, sometimes l’abitato originario, posto a circa destroyed by natural disasters, sembra, da alcuni abitanti di Tau2 km verso nord. Il vecchio which are still alive and clearly riana (Palmi) e Paracorio, fondato nucleo era dotato di un castello present in the eyes of people dagli abitanti di Delia, antica città who know how to find them in della valle dell’Amendolea posta di cui sono visibili pochissimi resti delle mura e di alcune sale. the historical centres such as sul versante ionico nei pressi di urban and architectural peculia- Bova. Gli edifici del centro sono L’impianto urbano longitudirities, important archaeological nale, lungo la linea di crinale, sites, and traditional craftsman caratterizzati dall’uso della “pietra lascia intravedere un disegno verde” locale, per la realizzazione knowledge. che doveva essere all’origine di portali, balconi e fontane, un rigorosamente squadrato e si unicum cromatico suggestivo con il paesaggio circostante dei grandi uliveti. Nella caratterizza per un’edilizia minuta che dà il senso seconda metà del XVIII secolo arrivarono dalla del centro storico compatto, pur senza particolarità architettoniche e decorative. Una visita merita Sicilia gli scalpellini per realizzare le ruote delle certamente il Museo delle Carrozze “Marchesi macine per la molitura delle olive, sfruttando la Taccone di Sitizano”, inaugurato nel 2010, uno tenera ma resistente “pietra verde” estratta dalla dei pochi musei tematici presenti in Italia e secava di località Cotripa. La lavorazione della pietra condo in ordine di importanza per la qualità delle è ancora viva oggi grazie alla presenza di artisti carrozze che vi sono esposte. Le otto vetture, che interpretano in chiave moderna la tradizione donate dai Marchesi Taccone, risalgono ai secoli scultorea locale. Il percorso ideale, per apprezzare XIX e XX e sono state restaurate dal signor Antoal meglio la varietà espressiva delle realizzazioni in “pietra verde”, parte dalla chiesa di San Nicola nio Mezzatesta, artigiano locale, e poi collocate Vescovo (Pedavoli) con la bellissima e imponente presso le vecchie stalle ristrutturate e adiacenti al palazzo dei marchesi. Della collezione fanno parte scalinata e il portale di ingresso ad arco mistilineo Cosoleto, il Museo delle carrozze

Delianuova, la Chiesa San Nicola Vescovo


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Santa Cristina

Scido, Palazzo Ruffo, sede della Biblioteca Comunale

e fregi laterali curvilinei; si prosegue lungo le vie Roma e Umberto I, che collegano i due centri, in cui si scoprono i portali, ben quindici, in stile neoclassico e caratterizzati da chiavi di volta a voluta, bugnato sui piedritti, elementi decorativi floreali o antropomorfi, mascheroni apotropaici. La visita può terminare con la chiesa di Santa Maria Assunta (Paracorio) con il suo prezioso portone in legno, opera di maestranze locali ed esempio tangibile di un altro settore di artigianato di grande rilievo. Anche Scido venne distrutta dal terremoto del 1783 e ricostruita lungo un asse principale (via Vittorio Emanuele) in cui è possibile trovare palazzi nobiliari quali palazzo Romeo e palazzo Zampogna. Di grande interesse culturale, per la ricchezza di testi antichi (a partire dal XVI secolo) e relativi alla storia della Calabria che vi sono conservati, è la Biblioteca comunale, ospitata nel Palazzo Ruffo e che nasce da una raccolta privata, poi donata al Comune di Scido. Le sale del piano terra ospitano alcuni reperti archeologici rinvenuti nei dintorni dell’abitato e la collezione di pipe (circa 200 esemplari) realizzate con grande fantasia e inventiva dal maestro Rocco De Giglio che raffigurano soggetti storici, politici, mitologici. Di fianco al palazzo si trova il Museo della Civiltà Contadina in cui è possibile osservare un frantoio in pietra con ruota porziana a trazione idraulica (dei primi del ‘900 e ancora funzionante) e numerosi utensili e oggetti

di uso quotidiano e di lavoro, testimonianza della radicata cultura contadina. Santa Cristina d’Aspromonte, una targa posta su un palazzo racchiude e sintetizza nel suo scritto il senso di questi luoghi, vittime di un lento, ma inesorabile, spopolamento: “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti” (Cesare Pavese, La luna e i falò, 1949). Il piccolo centro presenta una ricchezza tipologica difficilmente riscontrabile altrove e, accanto agli edifici di edilizia comune, si trova un numero rilevante di palazzi caratterizzati da stili diversi. Il vecchio centro distrutto dal terremoto del 1783, poco lontano dall’attuale, era circondato da mura e dotato di un castello che le fonti storiche ci tramandano essere stato in grado di sostenere, insieme a quello di Bovalino, che apparteneva allo stesso feudatario Falcone Ruffo, l’assedio prolungato dell’esercito di Manfredi alla conquista della Calabria (12551256). Il castello, inoltre, è citato nel bios di S. Elia il giovane (825 circa-903) che sembra vi sia stato ospitato insieme al compagno Daniele di ritorno

Lavorazione artigianale delle pipe


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Oppido vecchia, ruderi dell’antico abitato

da Reggio Calabria. Suggestiva è la visita ai ruderi del castello e del vecchio abitato per i quali, tempo fa, era stato avanzato un progetto di riqualificazione e valorizzazione del sito. L’itinerario di viaggio si conclude a Oppido Mamertina, che fu importante centro anche perché sede vescovile fondata nel 1044. In periodo bizantino fu anche capoluogo politico della Tourma delle Saline, suddivisione amministrativa territoriale che si rendeva necessaria per il controllo capillare del grande territorio soggetto al governo bizantino. Importantissimi i siti archeologici che testimoniano gli insediamenti dell’area in diverse epoche. In contrada Mella, poco distante dal paese, insiste un vasto e complesso sito che alcuni hanno identificato come i resti della mitica Mamerto, citata da Strabone; numerosi sono stati i ritrovamenti, sia di strutture urbane che di reperti mobili quali statuette in bronzo, tegole, testine di terracotta, monili,

anfore; molto altro potrà ancora emergere dal prosieguo degli scavi, visto che non tutto il sito è stato portato alla luce. Poco distante si trovano i resti del vecchio abitato di Oppido, distrutto dal terremoto del 1783. Sono ancora visibili porzioni delle mura con le porte urbiche, è ben leggibile la struttura urbana medievale e sono notevoli i resti di alcuni importanti edifici quali il castello. La città ricostruita secondo una pianta urbana che diventerà un modello tipologico per la ricostruzione delle altre città, è caratterizzata da numerosi palazzi nobiliari che nascono da una griglia ortogonale di isolati e che si affacciano su grandiose piazze. Oltre alla Cattedrale dell’Assunta, è possibile visitare il Museo Diocesano di Arte Sacra, che testimonia la storia della Diocesi prima e dopo il terremoto del 1783, e il Museo della Civiltà Contadina e Artigiana con l’esposizione di oggetti di artigianato locale e legati alle attività contadine.

INFORMAZIONI UTILI Museo delle Carrozze “Marchesi Taccone di Sitizano”, Piazza Nicola Taccone, Sitizano di Cosoleto - Tel. 0966.962003 Laboratorio di scultura in pietra verde di Delianuova di Domenico Papalia, via Roma 141, Delianuova Biblioteca Comunale “Paolo Greco”, Museo delle Pipe, Museo della Civiltà Contadina, Palazzo Ruffo via Roma, Scido - Tel. 0966.964048 Museo Diocesano di Arte Sacra, Piazza Duomo, Oppido Mamertina - Tel. 0966.86513 Museo della Civiltà Contadina ed Artigiana, presso Scuola Primaria, Oppido Mamertina - Tel. 0966.86006


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VIAGGIO IN CORRIERA di Mimmo Gangemi

Palmi, la stazione delle corriere

Lungo la Statale 18, bor-

deggiando il mare dalle tinte viola…la corriera stentava. Nel tratto in salita, alle prime case di Scilla, più andava su, più il motore tossiva fumo e fatica, si inceppava in colpi a vuoto. A Bagnara saliva una donna, bassa e tozza, con una lunga “saia” variopinta,

ampia e dalle molte pieghe. Nel traversare i paesi, la corriera perdeva passeggeri e altri ne raccoglieva.

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uando la guerra era ancora molto più che un ricordo, la corriera partiva baldanzosa da Reggio, alle ore più giovani del mattino. E baldanzosa si manteneva per tutto il tragitto in piano, lungo la Statale 18, bordeggiando il mare dalle tinte viola. Che sottraeva al torpore gli occhi dei passeggeri, sia che fosse infuriato di onde addosso alla riva


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e agli scogli, sia che carezzasse la battigia, schiuciare pendenze da vertigini e realizzando muri a mando appena. secco da risalire attraverso pietre a sbalzo da altre La corriera stentava poi nel tratto in salita, alle pietre. Nel suo giro, ’onna Rosuzza teneva la cesta prime case di Scilla. Più andava in perfetto equilibrio sulla testa The coach ploded along the road senza mai aiutarsi con le mani. E su, più il motore tossiva fumo e fatica, si inceppava in colpi a vuo- 18, running along the sea with sempre porgeva pochi chicchi ai violet shades. to. Nella curva a gomito pareva On the stretch uphill, at the first ragazzi che incontrava. dovesse esalare gli ultimi rombi. houses of Scilla, the more the co- Sulla corriera, ignorava un’altra Continuava a gemere nel rettifilo ach went up hill the more smoke bagnarota che saliva alle ultime successivo, costeggiante il castel- emitted and it spluttered. In Ba- case. E che vendeva lupini, tenuti lo dei Ruffo, in cima alla rupe nei gnara a little and stocky woman, in un’uguale cesta di vimini – per wearing a long and coloured cui meandri se ne sta acquattato pleated skirt, got on the coach. insaporirli, li innaffiava negli angoli il mostro dalle sei teste latranti. In Going through the villages, some deserti delle viuzze, stando in pieaffanno, ma ce la faceva a scalare passengers were getting off and di e tenendo la cesta tra le gambe, the others getting on. la strada fino al piazzale. Dopo, sotto la saia. ’Onna Rosuzza stimava invece amia scendere, liberava un borbotcizia con Barbanera, commerciante a tio allegro. Che durava poco: di nuovo in sofferenza nelle salite e nei tornanti di sua volta, lui con la mercanzia – il libro del destino di Bagnara, cresciuta per lungo. Barbanera, da cui il soprannome, e roba per il cucito: A Bagnara saliva una donna già anziana, bassa aghi, elastici, filo, bottoni – stipata in una cassetta e tozza, con una lunga saia variopinta, ampia e nera e luccicante che, nel vendere, teneva appesa a dalle molte pieghe. Riponeva una grande e rotontracolla e aperta all’altezza della pancia. Barbanera da cesta di vimini, colma di zibibbo, e curava di era di lingua buona. E un po’ furfantello: confondeva con la parlantina le donne, per distrarle e non farle sedere il più lontano possibile da Montebello – lui accorgere che, nel misurare un metro, l’elastico lo montato a Reggio. Per distinguersi, per distanziare la sua arte di commerciante, benché di miseria, stirava, frodando una diecina di centimetri. La corriera entrava di nuovo in sofferenza nell’adalla questua di quel vecchio accattone, curvo e scesa fino a Pellegrina e nel tratto dopo, dove ombroso, dalla lingua incomprensibile – le grugniva le parole – e armato di un nodoso bastone che principiava la contorta Statale 112 tra il Tirreno e lo Ionio, nell’attraversare l’abitato di Ceramida, sempre agitava minaccioso per aria, senza però mai abbatterlo. ch’era ancora Bagnara. Nei punti più in pendenza Lei era Rosa per i paesani sembrava arrendersi; che che le rivolgevano una voce. l’unica fosse scendere tutti e Diventava Rosuzza per i aiutarla a spinta, era capitato. passeggeri. E ’onna Rosuzza Giungeva allo stremo ai Piani nei sette paesi dell’interno della Corona. Da lì in poi, pedove scendeva, a turno, uno netrava arzilla l’Aspromonte, al giorno, per l’esagerato per il percorso senza grandi rispetto di cui sempre venasperità – sebbene con un gono contornati i forestieri. continuo susseguirsi di curve Ma se lo meritava, se l’era e di secchi tornanti – a mezza conquistato con i modi gentili costa a ferire la natura, ulivi e sorridenti, perché aveva di sotto e ulivi di sopra, alti una parola di garbo per tutti e maestosi, e donne a culo quando traversava le viuzze a ponte per raccogliere per vendere lo zibibbo coltile quattro misure di olive vato nei burroni impossibili, a pattuite con il padrone, con mani leste, a sbrigarsi prima picco sul mare e inchiodati dal sole, che si sollevavano nel possibile e avere ore di luce tratto più faticoso del tragitto da dedicare al minuscolo della corriera – alla fame era podere di proprietà. riuscito di renderli produttivi Nel traversare i paesi, la Donne di Bagnara fino al cucuzzolo, spianando corriera perdeva passeggeri stretti terrazzamenti a trane altri ne raccoglieva. In ogni


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fermata, al bigliettaio, un uomo mite e gentile, toccava arrampicarsi nella scaletta verticale posta sul retro, salire nel portapacchi sul tetto e allocarvi i bagagli o portarli giù. Lungo quella strada, più che la corriera, soffrivano i passeggeri. A molti, abituati a muli e asini e nuovi a quel tipo di trasporto, si guastavano le viscere, nonostante la guida sicura e senza strappi dell’autista, pure lui un brav’uomo. Sentendo venire su, tradimentoso, il vomito, sporgevano la mano dal finestrino, perché si prendesse d’aria. Se non bastava, la testa, talvolta l’intero busto. Spesso senza risolvere nulla, ché si ritrovavano a restituire al mondo, per via di bocca, la parca cena consumata la sera precedente, con i vetri e le fiancate che s’imbrattavano di scie grumose. Intanto, scorrevano i paesi: Sant’Eufemia, Sinopoli con pochi rimasugli della storia millenaria – case nobiliari, qualche portale ad arco, e la chiesa seicentesca di San Giovanni di Dio, un gioiellino nella facciata ricca di fregi, da dove però giungevano lo starnazzare delle galline e i grugniti dei maiali lì custoditi. Poi San Procopio, Acquaro con il santuario di San Rocco che pretendeva il segno di Croce nonostante don Umberto affermasse, dissacrandolo, che il Santo era così così, di quelli scarsi, se faceva un solo miracolo all’anno, e sempre al Vescovo, alle sue

tasche, il 16 agosto, quando, finiti i pellegrinaggi e i festeggiamenti, andava a riempirsele delle generose offerte dei fedeli. Quindi, Cosoleto, Delianova, Scido, il bivio di Santa Giorgia, sempre annunciandosi con un lungo e musicale colpo di clacson. Santa Cristina infine, il capolinea. Passeggeri ne erano rimasti pochi: paesani, ’onna Rosuzza o l’altra bagnarota – mai scendevano nello stesso posto, per non doversi disturbare gli occhi e lo stomaco anche lì – due volte al mese Barbanera, più di rado Montebello, ché alla pietà occorre frapporre un tempo lungo per avere speranze d’essere replicata. La prima fermata era alla Piazzetta. Lì, ragazzini malvestiti – e con l’eterno canale di muco verdastro che faceva capolino dalle narici e che loro erano lesti a risucchiare su – salivano sul predellino dell’entrata posteriore e si facevano condurre cento metri più in là, nella seconda fermata, a ridosso della piazza, dove il bigliettaio consegnava il sacco marrone con la posta. Piccola cronaca di viaggi che si tingevano d’avventura, in un tempo che fu, distante più di mezzo secolo, spensierato e felice per i ragazzi del predellino, ma senza che se ne rendessero conto allora, vi posero la mente solo quando il cumulo degli anni e gli scossoni della vita indussero a voltarsi indietro.

Santuario di San Rocco Acquaro di Cosoleto


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SAN ROCCO, IL SANTO D’ESTATE di Santino Salerno

Scilla, fuochi della notte di San Rocco

Tra i numerosi e miracolo-

si santi che si venerano nei centri della Costa Viola e in quelli dell’entroterra preaspromontano che si affacciano sulla Piana di Palmi, San Rocco, il santo venuto dalla Francia e che ha sconfitto la peste, è sicuramente quello che conta il maggior seguito di fedeli. Supplici e penitenti accorrono tra agosto e settembre, a Scilla, a Palmi, ad Acquaro di Cosoleto,

per implorare o ringraziare, compiendo atti di devozione e plateali manifestazioni di penitenza in cui il confine tra fede e folclore è indistinguibile, fusi in un unicum che assomma spettacolarità e pietas religiosa.

E

mozionante e suggestiva è la processione di San Rocco, che si svolge a Scilla, stupendo borgo della Costa Viola, cui fa da sfondo il mare da dove nascono i miti. È un paesaggio incantato che, con la sua anima leggendaria, fa sì che le preghiere scaturiscano dal cuore con fede smisurata, con


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Scilla, il trionfino di San Rocco

maggiore forza, e più intensa speranza. La devozione verso San Rocco che si perpetua ormai da secoli – le fonti storiche fanno risalire il culto tra fine del ’400 e non più tardi dei primi del ’500 – costituisce per gli scillesi un punto di riferimento spirituale e, ad un tempo, un elemento identitario della comunità civile. La processione si svolge in due giorni, il primo sabato e la prima domenica dopo il 16 agosto. Nei due giorni di festa la statua lignea del Santo si fa pellegrina, portata a spalla tra vicoli e stradine con la folla dei fedeli e dei tanti emigrati che ritornano per l’occasione. Connotato distintivo è il corteo delle portatrici dei ceri votivi, i ‘ntorci, che aprono e illuminano la via al Santo durante il lungo percorso, e che ardono come simbolo della fede e come segno di speranza o di grazia ricevuta. Canti votivi imploranti intercessioni accompagnano la statua nel lento e solenne procedere: “Santu Rroccu è ‘na gran potenza/ siti rriccu di santità/ la grazzia chi ieu vi cercu/ facitimmilla pe’ carità/ Facitimmilla santu Rroccu/ facitimmilla pe’ carità/ Pe’ lu dunu chi arricivistu/ di la Santissima Trinità”.

Tra la testa e la coda del corteo le voci i canti e le preghiere si accavallano si fondono e si confondono; il Santo ora viene invocato con un rispettoso “Voi” ora con il “Tu” confidenziale: “Vi salutu Santu Rroccu/ Pe’ ‘ssa piaga ch’avìti ‘o ginocchiu/ comu Ddiu ti sana a ttia / sana la piaga dill’anima mia”. Nel pomeriggio del sabato, la statua percorre il caratteristico borgo della Chianalea, prosegue verso il rione di Marina Grande, per poi risalire verso il quartiere di San Giorgio. Di grande effetto è la chiusura della festa, la domenica sera, quando la statua, giunta nella grande piazza antistante la chiesa, si apre la via tra due ali di folla e i portatori si apprestano all’ultima fatica: il “Trionfino di San Rocco” ovvero la corsa, con il Santo in spalla, dalla piazza fino al sagrato, passando attraverso il tunnel delle “roteddhi”, le girandole dei fuochi artificiali che balenano vorticando impazzite. Una prova emozionante che simboleggia il trionfo del Santo sul male della peste che divampò in tutta Europa e da cui Scilla fu preservata. I “Fuochi di Mezzanotte”, concludono la festa sotto lo sguardo incantato di migliaia di scillesi,


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fatta scivolare fino a terra lungo un piano inclinato di devoti e di turisti, nello splendido scenario che per essere poi collocata sul fercolo di legno, i fedeli offre il mare dello Stretto, così unico e speciale da le si accalcano attorno, fanno ressa, si sbracciano sembrare un miraggio. per toccarla. Alcuni riescono apDire Acquaro è dire San Rocco. Il binomio è inscindibile ed è Among the numerous and mira- pena a sfiorarla, e portano le mani l’elemento identitario del piccolo culous Saints that are venerated alle labbra; altri seduti sulle pane silenzioso borgo che, arroccato in the villages of the Costa Viola che già da ore, si percuotono il and in those ones of the hinter- petto col pugno chiuso e cantano sul versante occidentale dell’Aland overlooking the Piana of Palspromonte conta poco più, poco mi, Saint Roch, who come from implorando fino allo sfinimento: meno, di un centinaio di anime e French and defeated the Plague, “Supr’a ‘ssa vara dispostu vui siti/ domina dall’alto il mare verde di has the greatest number of belie- oh Santu Roccu la grazzia facìti”. ulivi che si estende senza soluzio- vers. In August and September, Nell’immaginario, ma anche ne di continuità fino alla costa e fa supplicants and penitents flock nell’esperienza collettiva il Santo Scilla , Palmi, Acquaro di Coda controcanto alle azzurre acque to d’Acquaro è il San Rocco magsoleto to implore or thank the del Tirreno. Saint performing acts of devo- giormente propenso all’ascolto, Qui, dove per l’intero anno il tion and blatant expressions of alla concessione di grazie e all’inpenance in which the line betwe- tercessione. La statua dà l’idea tempo sembra immobile, a metà en faith and folklore is unnotice- di un Santo modesto e bonario, settembre, nella ricorrenza della festività, tutto lentamente prende able and they are merged into an qualcosa che lo avvicina di più unicum which combines spectaalla fragilità degli uomini che non vita e movimento e respiro; i vicoli cle and religious piety . alla perfezione dei santi e quindi si rianimano e la bella chiesa è lo si sente più disposto a capire le presa d’assalto da migliaia di peldebolezze, le sofferenze, i bisogni, le paure di chi legrini. Giungono a piedi dai paesi della Piana ma prega e pregando coltiva una speranza. anche dal versante ionico, attraverso piste e senDal fondo della chiesa arrivano echi di altri canti tieri appena accennati lungo i crinali, tra i boschi, mentre fuori si uccidono capre e si accendono o salendo e scendendo lungo vallate e forre arse. fuochi. Nella notte mangiano e bevono i pelleCantano tutti le lodi del Santo lungo il loro cammigrini e danzano al suono di organetti e tamburelli no, e quando giungono ad Acquaro verso sera o a e zampogne fino allo spuntare dell’alba. Il viavai notte inoltrata, al cospetto del Santo compiono gli nella chiesa non cessa fin quando nel pomerigatti devozionali. Intorno alla mezzanotte quando la gio, con accompagnamento di bande e spari di statua, dalla nicchia alta sull’altare maggiore, vien

Palmi, i Giganti Mata e Grifone


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mortaretti, la statua non verrà agilmente portata a spalla per stradine e viuzze scoscese, per casolari diroccati. A sera i fuochi d’artificio chiuderanno la festa, ma allora gran parte dei fedeli sono già sulla via del ritorno; ne sentiranno solo il rimbombo e vedranno il lampeggiare che rischiara la notte, mentre Acquaro di Cosoleto lentamente si svuota e presto il tempo tornerà a fermarsi di nuovo. A Palmi, la festa di San Rocco si celebra il 16 di agosto con una partecipazione popolare unanime. I palmesi si affidano speranzosi al santo di Montpellier ai cui piedi, ogni anno, depongono centinaia di ex voto di cera: teste, cuori, polmoni, reni e arti e altro e anche oggetti d’oro e d’argento e offerte in denaro. La chiesa già nei giorni che precedono la festa è meta continua di fedeli e il giorno della vigilia sono tanti, donne soprattutto, che per l’intera giornata, senza toccare né cibo né acqua, invocano il Santo “protetturi”e “avvocatu”; ne tessono le lodi, inneggiano alla bellezza che è

pari a quella di Gesù bambino, lo vezzeggiano: “Santu Rroccuzzu meu chi siti bellu/ aviti la facci di lu Bambinellu/ e vi l’ha data la matri di Ddeu/ facitimi la grazzia santu Roccuzzu meu”. Il giorno della festa, i mortaretti danno la sveglia alla città; e le bande paesane percorrono le vie cittadine con i suonatori in divisa sudaticci sotto il sole d’agosto. E poi ci sono i “Giganti”, enormi fantocci di cartapesta, Grifone il principe moro invasore, e Mata la bella principessa indigena dalla pelle rosata. Girano per le strade, e al suono cadenzato, fortemente sincopato dei tamburi simulando una danza di corteggiamento; e quando i portatori caracollando li avvicinano l’uno all’altra, fino a sfiorarsi, il suono dei tamburi si fa più serrato e più alto. Elemento distintivo della processione che inizia nel tardo pomeriggio, e si protrae per quattro ore, sono gli “spinati”, uomini e donne di ogni età, appartenenti a tutte le classi sociali, che per aver ottenuto una grazia o perché devono ancora

Palmi, Processione San Rocco


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Palmi, un devoto con la cappa di spine


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ottenerla, indossano per voto una pesante cappa di arbusti spinosi. Sono centinaia e, disposti su due file parallele, precedono la statua del Santo. Gli uomini camminano scalzi e silenziosi tenendo tra le braccia incrociate sul petto nudo un’immagine del Santo, mentre la cappa irta di spini grava sul capo e sul tronco trafiggendo loro le carni; le donne pregano e cantano, alcune portano la cappa, ma per lo più la corona di spini e un grosso cero in mano. Questa processione offre l’opportunità di osservare inusitati aspetti dell’animo umano, nel momento in cui ciascun devoto, individuo e massa nel contempo, liberatosi da ogni pudore, è disposto, penitente o grato, a mostrarsi in tutta la sua scoperta fragilità. La festa si conclude a sera inoltrata con l’arrivo della statua, nella piazza grande. Poi, a tarda notte, quando i fuochi, illumineranno a giorno il cielo d’agosto, il monte Sant’Elia e il mare sottostante, davanti alla chiesa giaceranno abbandonate le cappe, le corone di spine e i ceri. San Rocco è ormai in chiesa da un pezzo e guarda verso l’uscio aperto da dove fa capolino l’ultimo dei pellegrini con occhi ingenui e imploranti.

San Rocco, Acquaro di Cosoleto

Scilla, i ‘ntorci aprono e illuminano la via a San Rocco


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Seminara

DOVE LA STORIA NON PASSÒ MAI IN FRETTA di Santo Gioffrè

Madonna Nera dei Poveri secolo XII, particolare


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Fondata nel 951 a.C. da pro-

quando la città magno-greca di Taureana, di stirpe achea, viene distrutta col fuoco e lo spargimento di sale sulle sue rovine da parte dei Saraceni Agareni dell’Emiro di Palermo. Lo studioso Francesco Negri Arnoldi, nella sua opera principale Sculture del Cinquecento nell’Italia meridionale, la indica come la cittadina più ricca di sculture cinquecentesche di tutta la Calabria. Il capolavoro di Antonello Gagini, “Santa Maria degli Angeli”, realizzato nel secondo Seminara was founded in 951 a.C. decennio del ’500, e la pala marmoby refugees escaped from the rea della “Natività”, effigiata in un devastation of the Magno-Greek francobollo nel 1998, sono consercity of Taureana which became one the most important political, vati nella Chiesa di San Marco, e military and religious centres of stanno a testimoniare l’importanza the Southern Italy. Seminara was che la roccaforte di Seminara, cinta the political and historical scena- con poderose mura fin dall’epoca rio of events that modelled Eu- normanna, assunse per sei secoli rope such as the birth of Humanism, the wars between French a salvaguardia di potenti interessi and Spanish. The city still con- politici, economici e religiosi. tains the richest concentration of Di ciò fanno fede, inoltre, preziomarble works of the XVI century sissimi bassorilievi conservati nel in Calabria and the oldest sacred Palazzo municipale e scolpiti, dopo wooden statue of the Southern Italy, the black Madonna of the il 1568, da Andrea Calamech. QuePoor (XII century). Of the Greek ste opere raffigurano le battaglie heritage, the city keeps intact combattute tra francesi e spagnoli and alive a high quality craft pot- durante le cosiddette “Guerre d’Itatery using the age-old techniques lia”, in territorio di Seminara: quella of preparation and firing. del 1495, dove per l’ultima volta si consumò un cruento combattimento con il solo uso di armi da taglio, e quella del 1503, quando per la prima volta in Europa furono introdotte le armi da fuoco dagli squadroni spagnoli detti “coronelias”. Nella chiesa di Sant’Antonio, dove si conserva il capolavoro di Giovanbattista Mazzolo, “Santa Maria degli Uccelli”, vi si trova anche l’unico stemma marmoreo presente in Italia, simbolo visivo della conquista del Regno di Napoli, lasciato dal Gran Capitano, Consalvo Fernandez da Cordova, quando, nel 1504, egli stesso fu insignito del titolo di Vicerè. Lo stemma, di una bellezza incomparabile, racconta di un Regno di Napoli ormai dominato dall’aquila degli Aragona di Spagna. Ma altre preziosissime opere d’arte sono conservate nella Chiesa Madre, come la “Madonna degli Uccellai” di Martino Montanini e la “Maddalena” di Rinaldo Bonanno, mentre alla Scuola del Gagini sono attribuite le statue di San Pietro e San Paolo che ornano l’altare della Madonna Nera dei Poveri. Quando, nel 2010, durante i lavori di un rigoroso a storia e l’epopea di quella che, fino al terribirestauro, e dopo una serie di indagini diagnostiche, le terremoto del 5 febbraio 1783, fu una delle più apparve il rinnovato volto della Madonna Nera dei importanti città dell’Italia meridionale, potrebbe racchiudersi tutta nel misterioso culto per la MadonPoveri, la novità s’impadronì della scena, raccontanna Nera dei Poveri. Seminara sorge nel 951 d. C., doci della storia della Calabria.

fughi sfuggiti alla distruzione della città magno-greca di Taureana, Seminara divenne un centro politico, militare e religioso tra i più importanti dell’Italia Meridionale. Scenario di avvenimenti culturali e storici che formarono l’Europa, la nascita dell’Umanesimo, le guerre tra Francesi e Spagnoli, la città possiede, tutt’ora, la più ricca concentrazione di opere marmoree del ’500 della Calabria e la più importante ed antica Icona lignea sacra dell’Italia Meridionale, la Madonna Nera dei Poveri (sec. XII). Del Mondo Greco, la Città conserva vivo ed intatto un artigianato fatto di ceramiche artistiche di altissimo pregio, realizzate secondo tecniche antichissime di lavorazione e di cottura.

L


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Entrata di Carlo V a Seminara, bassorilievo

Seminara, pala d’altare


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Seminara, Santa Maria


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Seminara, Madonna Nera dei Poveri (secolo XII)

Le indagini, infatti, ci consegnarono la certezza che Seminara possiede e conserva, nella Basilica minore, la più antica icona sacra lignea di tutta l’Italia meridionale, la cui fattura romanica, con influssi tardo bizantini, è databile intorno alla metà del XII sec. La statua, intagliata su pioppo bianco, come la Moreneta del Monteserrat, era il simulacro sacro più venerato nel Regno di Napoli, insieme a San Gennaro, e possedeva fino al 1785, anno in cui la Cassa Sacra depredò il Santuario, il più consistente tesoro aureo ed argenteo votivo di Calabria, Basilicata e Puglia; oggi, solo pochi reperti, seppur preziosissimi, possono essere ammirati nell’importantissimo Museo della Basilica minore della Chiesa Madre. Le cinque chiese superstiti di Seminara sono scrigni di tesori artistici e sacri di altissimo pregio e tuttavia non bastano a rendere il senso della grandezza

dell’antica città che, prima del terremoto del 1783, contava trentatré chiese, otto conventi, sedici istituti finanziari erogatori di prestiti che sostenevano una potente economia. Del resto, come testimoniano i preziosissimi libri contabili conservati nel Comune di Seminara, la città fu sede della Borsa della Seta e dell’Olio per tutta la Calabria. Il rito greco in uso nei monasteri basiliani, perdurò a lungo a Seminara, e proprio in questa città ebbero i natali due monaci che unanimemente sono considerati i padri dell’Umanesimo italiano: Barlaam e Leonzio Pilato che furono maestri di greco di Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio e che diffusero la lingua di Omero con le loro traduzioni di antichi testi e che oggi, custoditi nelle maggiori biblioteche, sono ritenuti patrimonio inestimabile dell’umanità. Forse per ricordare quel mondo, o per andare incontro al nuovo, fatto di emigrazione dai paesi ortodossi dell’Est Europa, a Seminara è sorta la più bella e affrescata chiesa ortodossa dell’Italia centromeridionale, intitolata ai santi Elia e Filarete. La coltivazione degli ulivi secolari giganti, che insistono estensivamente sul territorio seminarese, la produzione di olio di alta qualità che ha origine in un tempo lontanissimo, fanno parte del passato e dell’identità di questo glorioso territorio. Passato che ritorna e si ripropone in un artigianato di grande pregio, e che costituisce una tradizione tuttora viva, riscontrabile in Calabria solo in pochissimi centri: stiamo parlando della lavorazione della terracotta e della produzione di ceramiche artistiche prodotte secondo tecniche della tradizione magno-greca. Ultimi epigoni della grande tradizione artigianale calabrese, i ceramisti di Seminara, creano una variegata gamma di oggetti vivamente colorati che vanno dalle fantasiose ceramiche antropomorfe dove dominano il giallo, l’oro e l’azzurro, alle elaborate e pregevoli maschere apotropaiche.

Seminara, Chiesa Ortodossa dei Santi Elia e Filarete


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“TYRRENICO”: UN’AREA E UN MARCHIO di Rosario Previtera*

Taglieri con i prodotti tipici del marchio

Il Mare Tirreno è stato prota-

gonista nei millenni di quel versante della penisola italiana che *Coordinatore del progetto di marchio d’area “TYRRENICO”.

da esso ha tratto prosperità, conoscenza, innovazione. Le leggendarie imprese di naviganti, venturieri, armatori di feluche che dal ’700 in poi stabilirono rotte commerciali importanti, crearono veri e propri imperi della navigazione a partire proprio da Scilla, Bagnara, Palmi e da quei porti, piccoli e grandi, del basso Tirreno reggino.


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I

zazione, la ristorazione e la ricettività, la distribul versante tirrenico reggino caratterizza il terzione. L’obiettivo infatti è quello di completare le ritorio del GAL BaTiR: paesaggi diversi che esprimicrofiliere esistenti affinché le mono identità territoriali variegaproduzioni rientranti nel “Paniere te, annoverabili nell’ambito di un Over the past thousand years, dei prodotti Tyrrenico” possano the Tyrrhenian Sea has been the unico marchio d’area: “Tyrreniprotagonist of the Italian pe- essere regolarmente presenti co”. Un marchio che si identifica ninsula side which has brought sul mercato e possano essere con un’area vasta ma anche con prosperity, knowledge and inno- opportunamente promosse in un paniere di prodotti completo vation. The legendary feats of ambito turistico e tramite le azioni (e finalizzato alla costituzione sailors, adventurers and Felucperfino di uno o più “menu Tyrre- cas’ shipowner, which establi- divulgative del GAL BaTiR. Il proshed important trading routes getto ha riscontrato sin da subito nico”) che sia emblema di antica tradizione e cultura enogastrono- from 18th century onwards, cre- grande interesse se si pensa che ated out-and-out Empires of the in pochi mesi si è riusciti a far mica, rappresentativo delle aree navigation starting from Scilla, emergere il marchio “Tyrrenico” omogenee da cui prende vita: Bagnara, Palmi, from small and l’area dello Stretto, le vallate pre- large ports of the Lower Tyrrhe- e i prodotti da esso rappresentati anche oltre i confini regionali. nian Reggino. aspromontane e la Costa Viola, Un percorso di sviluppo che è i contrafforti aspromontani e la diventato vero e proprio modelPiana di Gioia Tauro-Rosarno. Più lo di “best practices” per numerosi enti locali ed di quaranta comuni costieri, collinari, montani, che agenzie di sviluppo operanti in tutta Italia. oggi come un tempo offrono interessanti peculiarità produttive, culinarie, artigianali da valorizzare proprio grazie ad un marchio identificativo come Le fasi di attuazione “Tyrrenico”. Volorizziamo: una parola semplice, carica di A partire dagli ultimi mesi del 2014 e fino ad oggi significato, sempre più spesso utilizzata ma è stato un crescendo di iniziative che procedono a generalmente poco concretizzata. Fondamentalspron battutto e costituiscono, allo stesso temmente “valorizzare” significa: dare valore. Ecco po, azioni propedeutiche per quanto previsto in l’obiettivo di qualunque progetto di sviluppo programma per i prossimi mesi ed anni. La crealocale: conferire maggiore valore a prodotti, terzione del logo per il marchio “Tyrrenico” ha visto ritori e paesaggi tramite azioni reali, sostenibili, la sinergia tra il GAL BaTiR e l’Accademia di Belle sinergiche ed integrate. Tale processo di valorizArti di Reggio Calabria. Un concorso rivolto agli zazione reale si deve ripercuotere positivamente studenti dell’Accademia ha voluto coinvolgere sull’economia locale, sull’ambiente, sul territorio singoli e gruppi di lavoro desiderosi di sperimenin genere. Un marchio d’area come “Tyrrenico”, tare concretamente l’attività di realizzazione di un che rappresenta un insieme di prodotti e di terrilogo per un marchio d’area. Ne è venuta fuori una tori ha come scopo quello di stimolare l’interesse interessante produzione grafica orientata a rapdella popolazione locale ed orientarne l’acquisto, presentare il territorio di riferimento ed il paniere ma anche quello di attrarre flussi turistici, invedei prodotti del GAL BaTiR a marchio “Tyrrenico”. stimenti e quindi di incrementare la vendita del Contestualmente è iniziata l’adesione tramite sistema “paesaggio-territorio-prodotto”. Ecco manifestazione di interesse al progetto “Tyrreperché “Tyrrenico” sin dall’inizio del suo lancio nico” da parte delle imprese. Più di cinquanta da parte del GAL BaTiR, ha avuto come caratteriaziende hanno aderito e sottoscritto il Disciplinare stica principale l’inclusività e il coinvolgimento su “Tyrrenico” e tante altre continuano ad aderire: larga scala del territorio e delle filiere produttive si è ottenuto così un “paniere” completo e in in esso presenti. continua crescita (salumi, formaggi, conserve e confetture, succhi e liquori, miele, pasta, dolci e prodotti da forno, caffè, vino, olio, ortofrutta) e Un vero processo di crescita “dal basso” sono stati selezionati i siti di esposizione e vendita dei prodotti (ristoranti, degusterie e gastronomie, Il progetto di valorizzazione e marketing territoriale tramite la diffusione del marchio d’area “TyrreB&B, hotel, ecc.), alcuni in punti strategici del nico” ha interessato le amministrazioni comunali, transito e del turismo. È diventato a questo punto l’ambito accademico e soprattutto le imprese di fondamentale da parte del GAL BaTiR continuare produzione, di trasformazione e commercializnell’impiego di risorse volte alla realizzazione di


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I prodotti protagonisti del cooking show ad EATALY

concrete ed efficaci azioni di diffusione e promozione; tutto ciò affinché il marchio d’area non rimanga (come spesso è accaduto in Calabria) un bel progetto “virtuale”. Pertanto il marchio “Tyrrenico” è rientrato, per mezzo di un protocollo d’intesa sottoscritto dal GAL BaTiR, nel progetto nazionale di Conflavoro PMI inerente la certificazione del vero Made in Italy tramite il “Marchio Unico Nazionale – IT”. Contemporaneamente si è proceduto con una massiccia campagna di comunicazione collegata alle attività tematiche svoltesi in continuo. Dalla presentazione ufficiale del logo presso l’Accademia di Belle Arti, alla valorizzazione di alcune produzioni identitarie (come l’Arancia di San Giuseppe De.c.o., il limone “Sfusato di Favazzina”, le connesse filiere produttive) fino alla presentazione di due iniziative di grande spessore: la partecipazione al “Salone di Origine”, presso la “Fiera di Vita in Campagna” a Montichiari - Brescia che ha visto la partecipazione di circa 50.000 visitatori e la presenza per un mese ad EATALY ROMA di un apposito spazio del GAL BaTiR per la promozione e commercializzazione dei prodotti a marchio “Tyrrenico” e del territorio provinciale.

Due iniziative di alto livello, che hanno consentito alle aziende partecipanti di farsi conoscere (oltre che di commercializzare direttamente con buoni risultati) e che hanno previsto anche la realizzazione di specifici Cooking Show tematici ad opera dello chef Enzo Cannatà, i quali hanno catalizzato ulteriormente l’attenzione dei media e dei giornalisti di settore, di esperti gastronomi ed appassionati e soprattutto di ristoratori, distributori e buyer importanti, interessati ad ottenere i prodotti del paniere “Tyrrenico”. Un obiettivo importante questo che va perseguito e che si può raggiungere mantenendo vivo l’interesse e l’attenzione, in maniera costante così come insegna la scienza del marketing. Ecco perché il GAL BaTiR ha già in programma lo svolgimento di una Carovana del Gusto “Tyrrenico”, di un concorso di cucina con Menu Tyrrenico per gli allievi degli istituti alberghieri, di attività rivolte all’internazionalizzazione. Il tutto con un occhio rivolto naturalmente ad EXPO 2015 ed orientato a far emergere, una volta per tutte, quanto di bello e di buono esiste nell’estremo lembo d’Italia.


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Una selezione di prodotti a marchio Tyrrenico

Salone di Origine, stand GAL BaTiR


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IL MENU “TYRRENICO” di Enzo Cannatà

Prodotti tipici del GAL BaTiR

Lo chef Enzo Cannatà si oc-

cupa di valorizzazione delle produzioni locali, caratteristiche e De.c.o. esaltandone le proprietà organolettiche. Propone ricette moderne con

prodotti della tradizione. Presta consulenza a ristoranti, hotel, associazioni di settore ed enti pubblici. Ha dato vita al progetto “CookInMed” oggi in pieno sviluppo.


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ANTIPASTO

Condire con l’olio extra vergine di oliva, salare quanto basta, aggiungere una spolverata di origano e infine aggiungere le foglie di basilico. Mescolare il tutto. Lasciare riposare a temperatura ambiente per qualche minuto, rimescolare nuovamente il tutto e servire in tavola.

Insalata di Stocco alla Cittanovese Ingredienti per 4 persone Tempo di esecuzione 15 min.

PRIMO PIATTO DI CARNE Medaglioni d’agnello aspromontano con schiacciatina di Patate di S. Eufemia De.c.o. e vellutata di uve della Costa Viola

Filetto di Stocco di Cittanova De.c.o. ammollato Olio extra vergine di oliva da cv. Ottobratica Spicchi di aglio Peperoncino fresco piccante Pomodorini Prezzemolo Cipolla rossa di Tropea Foglie di basilico fresco “Olive ammodu” di Cittanova De.c.o. Foglie di origano aspromontano Sale

gr. 500 gr 150 n. 2 n. 2 gr. 300 gr. 50 gr. 100 n. 6 gr. 100 q.b. q.b.

Preparazione Cuocere al vapore il pezzo di stocco per circa 8/10 min., per consentire l’ammorbidimento. Nel frattempo tagliare l’aglio e la cipolla in fettine sottilissime e collocarle in una bacinella con acqua e ghiaccio. Tagliare i pomodorini a filetti, tritare il prezzemolo e infine denocciolare le olive. Dopo la cottura dello stocco, pulirlo sia esternamente sia da eventuali lische, sfaldarlo e porlo in un’insalatiera. Scolare dall’acqua la cipolla e l’aglio e versarli nell’insalatiera con lo stocco; subito dopo aggiungere i pomodorini, il prezzemolo, le olive e il peperoncino.

Lombata d’agnello aspromontano Erbe aromatiche, radice di liquirizia, sale, olio extra vergine di oliva sedano, carota e cipolla Vino IGT Costa Viola rosso

kg. 1 q.b. gr. 200 1 dl.

Contorno: Patate di S. Eufemia De.c.o. burro carciofi porro o cipollotto fresco

gr. 600 gr. 50 gr. 200 gr. 50

Preparazione Agnello Pulire l’agnello e recuperare la lombata, tritare finemente tutte le erbe aromatiche con sale e olio. Con il trito di erbe massaggiare per 5 minuti la carne. Porre la lombata dentro un sacchetto sottovuoto e sigillarlo al massimo della spinta. Lasciare riposare la carne all’interno del sacchetto per 5/6 ore in frigo a 3˚ C.


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Togliere la busta dal frigo 30 minuti prima della cottura. Avendo la disponibilità di un forno con sonda si effettuerà una cottura delicata in sottovuoto con 55°C al cuore del prodotto; in alternativa estrarre la carne dalla busta e cuocere a forno misto vapore con il 60% di umidità in camera con 55˚ C di cottura al cuore del prodotto. Con parte di ritagli di carne e ossa recuperati in precedenza preparare un sottofondo. Con delle erbette rosolare il tutto, sfumare con il vino rosso, lasciare evaporare, unire dell’acqua e fare ridurre. Filtrare il composto, inserire le radici di liquirizia e versare il tutto in una busta di sottovuoto, sigillarla e lasciarla immersa in acqua calda. Contorno Portare a cottura le patate con tutta la buccia, pelarle e con l’aiuto di una forchetta schiacciarle grossolanamente. Pulire i carciofi, tagliarli sottili e saltarli in padella con del burro e porro, unire le patate, completare il composto con il sale. Con l’aiuto di un coppa pasta conferire una forma a medaglione, passare in padella unta di olio e burro, fino a formare una crosta dorata. PRIMO PIATTO DI PESCE Risotto con gamberetto del Mediterraneo al profumo di Bergamotto di Reggio Calabria Ingredienti per 4 persone Tempo di esecuzione 30 min.

Spicchio d’aglio in camicia Formaggio vaccino aspromontano morbido Bergamotto fresco Per il brodo: Olio extravergine di oliva Cipolla Sedano Carote Teste e gusci di gamberetti

gr. 320 gr. 500 gr. 50

gr. 100 n. 1

gr. 100 gr. 100 gr. 100

Preparazione Per il brodo: Pulire i gamberi privandoli della testa e del guscio; conservare la polpa. All’interno di una pentola, versare gli scarti dei gamberi, l’olio extravergine di oliva, le verdure e fare rosolare tutto; aggiungere un litro di acqua e lasciare cuocere a fuoco lento. Dopo 10 minuti scolare e tenere in caldo. In un tegame basso tostare il riso con il burro e l’aglio, aggiungere il fumetto caldo e portarlo a cottura; ultimata la cottura mantecare con il formaggio vaccino aspromontano e completare con una grattugiata del bergamotto. SECONDO PIATTO Filetto di cernia dello Stretto arrostito su letto di patata aspromontana con caponatina di verdure e note di Bergamotto Ingredienti per 4 persone Tempo di Preparazione: min. 20

Riso Carnaroli di Sibari Gamberetto fresco Burro

n.°1


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Filetto di cernia dello Stretto Patate aspromontane Pomodorino Melanzana violetta Cipolla rossa Olive nere cv. Sinopolese Pinoli Olio extra vergine di oliva Prezzemolo Buccia di bergamotto Sale

gr. 800 gr. 400 gr. 200 gr. 200 gr. 80 gr. 80 gr. 25 gr. 150

Guarnizione: buccia di melanzana, pomodorino, patata. Preparazione Tagliare il filetto di cernia a porzioni e adagiarlo sulla griglia ben calda, cuocerlo prima dalla parte esterna per poi girarlo. Tagliare le patate aspromontane a rondelle e friggerle in padella con poco olio. Preparare la caponatina: tritare la cipolla, tagliare a dadini la melanzana e i pomodorini e denocciolare le olive; versare tutto in padella e cuocere con un po’ di olio extra vergine di oliva. Salare e aggiungere la buccia grattugiata di un bergamotto Comporre il piatto a proprio piacimento.

Uova fresche Zucchero Acqua Succo di limone Sfusato di Favazzina Panna fresca Buccia grattugiata di 1 limone

n. 3 gr. 150 gr. 20 gr. 60 gr. 150

Preparazione In un tegame montare la panna e conservarla in frigo. Montare le uova con lo zucchero fino a che la massa risulti ben ferma, aggiungere delicatamente la panna, aggiungere la buccia e il succo del limone e amalgamare il tutto. I limoni, precedentemente scavati, lavati e asciugati vengono riempiti con la massa cremosa. Il tutto rimane in congelatore per 24 ore.

Enzo Cannatà

SEMIFREDDO AL LIMONE SFUSATO DI FAVAZZINA Ingredienti per 4 persone Tempo di Preparazione: min. 20

Enzo Cannatà is the “chef of the traditional products”: his task is to promote local and De.c.o. (Municipal Designation of Origin) products, enhancing their organoleptic properties. The chef prepares modern dishes with typical products. He cooperates with restaurants, hotels, industry associations and Public Authorities. He started the “CookInMed” project which is in its full development.


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La memoria e il racconto...

UN INCREDIBILE DUELLO1 di Domenico Zappone

Il Luntre, caccia al pescespada

S

aro Naca, soprannominato Tamburo, da quando s’era ritirato dal mare, da quando cioè aveva deciso fulmineamente di rinunziare al suo primato di arpionatore di pescispada, giurando di mai più rimettere piede su una barca, tutti i giorni, diluviasse o folgorasse, amava ubriacarsi fino a cadere secco dietro una barca. Con Saro Naca io ho trascorsa tutta la vita; andavamo per l’arenile assieme agli altri ragazzetti delle Roccenere2, affamati, laceri, violenti. […] A cinque anni egli giurava che da grande sarebbe divenuto il più famoso arpionatore di pescispada di tutti i tempi, tanto da oscurare la fama dei campioni di Calabria e Sicilia, morti, vivi, o da venire. «Guardare qui» faceva, e, lanciato un grosso sughero a mare, con una canna che aveva in cima infissa una forchetta, te l’inchiodava da dieci metri di distanza.

Sarebbe stato doveroso da parte nostra battergli le mani e portarlo come un eroe a spalla, e invece no; invece lo subissavamo di fischi e urli: «Bella guapperia, bella prodezza!», gli ridevamo in faccia, mentre lui, fattosi scuro e cattivo, minacciava di bucarci le pance col suo arpioncino di canna: «A mare si misura la tua abilità e non stando a terra!». Allora mollavamo una barca, ci mettevamo ai remi e al largo lanciavamo in mare una pala di ficondindia legata a uno spago per farla spostare a nostro piacere. Intanto lui s’era messo a prua, s’era alzato sulla prua. Com’era ben fatto, Saro!, e com’era bello, nudo, impeciato, sdutto, tutto muscoli e volontà. Brandiva la precaria fiocina, mentre noi urlavamo «Tutto a terra!» o «Fuori, vai fuori!», o le altre parole dei banditori di pescispada che stanno sulla collina, e, all’apparire del


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pesce, prendono a riempire il mare delle loro voci strozzate e agitano, come segnali disperati, le bianche bandiere. La barca volava sul mare, era leggera e nuova, e Saro era lì, inchiodato sulle tavole della prua, finché, al momento giusto, vibrava l’asta forchettuta anche a dieci o dodici metri e, al centimetro, infilzava il bersaglio sbattuto di qua e di là dalla nostra sorda invidia. Il primo pescespada, Saro lo arpionò a dodici anni, un giorno che era sulla barca col padre e, di colpo, gli zompò davanti un pescespadino di quelli che al massimo hanno tre mesi di vita e da noi passano al ritorno della Sardegna, a settembre, per inabissarsi nella fossa dello Stretto che – dicono – porta direttamente al mar d’Africa. Bene. A quella vista il padre restò paralizzato, ma Sarino, come morsicato da un’ape, schizzò a prua col tridente e, prima ch’io ve lo racconti, l’incauto era già trafitto. Da allora Saro fu il re dei fiocinatori, il più grande che ci sia stato o che si sia visto da che mondo è mondo. […] Nessuno può dire quanti ne arpionò. Ecco perché quando i pescatori di Roccenere se ne stavano in cantina a mangiare lupini e a intripparsi di vino, essendo il mare alto alle stelle, Saro Naca soprannominato Tamburo, spesso prendeva a ingiuriarli e a svillaneggiarli senza risparmio, giurando che presto i pescispada, offesi per la loro slealtà, avrebbero cambiato rotta, e lui, i pescatori, li avrebbe visti morire di fame con figli e tutti, in tal modo che se ne sarebbe estinta la razza maledetta. «Canta, canta, Tamburo, perché è il vino che te lo fa fare – gli rispondevano –. Non vedi piuttosto che non sei buono più a niente, che ti tremano le mani, che non ci vedi, che sei una carogna da buttare ai pescicani, che a te nemmeno ti fiuterebbero tanto sei gonfio di vino?». Era proprio allora, quando lo pungevano a morte, che Saro prometteva di compiere un’impresa che mai nessuno s’era sognata «Vedrete che farà Tamburo!» ammoniva. «E che farai, Tamburo? Ti svuoterai del vino che hai in corpo? O insegnerai ai delfini a sbronzarsi?». Lui, come una cantilena, ciondolando da tutte le parti, continuava a farfugliare: «Vedrete, vedrete...». Ma cosa c’era da vedere? E che avrebbe potuto più fare un rottame come Tamburo? Il quale ora nemme-

Bagnara, la pesa del pescespada

no coi ragazzini parlava più, né con altri, ma solo coi cani, che, dalle nostre parti, arrivano sulla spiaggia affamati e carichi di disperazione. Ah, che pena vedere uno come lui andare per il bagnasciuga seguito da quella torma famelica, finché, a tradimento, non la scacciava a sassate e proseguiva solo, farneticante, irriconoscibile. Perciò, quella volta che venne a chiamarmi prima di giorno e mi disse di seguirlo perché era venuto il tempo dell’impresa, l’impresa tante volte promessa e mai attuata, della quale ridevano tutti i pescatori da Capo Vaticano a Milazzo, giuro che Tamburo era serio, calmo e padrone del suo intelletto. Voglio dire che non aveva in corpo nemmeno una goccia di vino, e dovete credermi. Dirò anzi che s’era anche ripulito, sbarbato e tirato su. Era un altro uomo, era insomma lo stesso di dieci anni prima, il campione eccelso di tutti gli arpionatori del mondo. Tuttavia, lo confesso, m’urtai. «Ma che vuoi, Tamburo? – gli dissi – Te ne vieni a rompere l’anima prima di giorno; ancora non t’è passata la sbronza di iersera?». Come tutta risposta, lui m’afferrò per un braccio, me lo strinse così forte da farmi male. Così lo seguii in silenzio. Prendemmo posto su una barca, ma di quelle comuni. Lui si mise ai remi e cominciò a menarli come un motore. «Date sotto, voi» urlava ogni momento a me e al tonto che c’eravamo portato appresso perché buon rematore. […] In un amen fummo al largo. «Ma dove andiamo, Saro? – gli feci a un certo momento – Lo sai bene che di qui pesci non ne passa, passano sottocosta, dove il mare è caldo, a meno che tu non voglia arpionare un delfino o uno squalo».


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Saro non mi rispose, forse nemmeno m’udì. Per cui allora continuando gli dissi: «E chi ti indicherà il pesce? Noi non abbiamo banditore e la nostra barca è senz’antenna!». Poi mi rigirai a guardare e: «Mio Dio! – urlai – Ma che cosa vuoi prendere se nemmeno la fiocina hai portata con te? Con le mani lo vuoi prendere il tuo pescespada? O con le parole, con la magia, col diavolo che ti strozzi, imbecille che sono stato a seguirti fin qui?». E chi sa cos’altro avrei aggiunto se Saro in quel momento non fosse scattato in piedi, come se avesse percepito un misterioso segnale, e non si fosse messo dritto sulla prua, come una statua. E, infatti, quasi che lui l’avesse chiamato per nome, un pescespada s’annunziò davanti a noi; un esemplare giovane ma gagliardo. Issò lo spadone e trasse fuori dall’acqua l’occhio grande e attonito. Saro non fece parola. Lo vidi solo slanciarsi addosso al pesce e agguantarlo proprio all’attaccatura dello spadone col cranio. Il mare subito spumeggiò, ma fu un attimo, perché i due andarono sott’acqua, e io li credei perduti. Invece no. Presto riemersero, avvinghiato ancora il mio amico alla bestia infuriata. Lo vidi sanguinante, ma bello, regale. «Ma che fai, Saro?» ebbi appena il tempo di urlargli. E lui mi rispose: «Devo ucciderlo». «Pazzo, pazzo, lascialo...». continuai a gridare. Ma Saro era di nuovo sott’acqua, c’era come uno schianto, un sottomarino sconvolgimento.. Certo tenterà di spezzargli con le mani la spada all’attaccatura del cranio, dov’è il punto più fragile e mortale, – pensai – ma come, san Rocco mio, come?.... Quando venne fuori per l’ultima volta in un gorgo di rosse spume, io lo vidi atrocemente infilzato dalla spada, trafitto

dal petto alle spalle. Vidi il mio amico arpionato dal pesce, ma altresì vidi che il pesce era quasi esanime, già morente: e, infatti, la spada non stava più dritta in cima alla testa, terribile e nera, ma ciondoloni, appena trattenuta da qualche cartilagine o Domenico Zappone nervo; c’era, anzi, al sommo della testa, un grumo di sangue che per un istante arrossò il mare. Ma anche dal petto lacerato e trafitto del mio amico il sangue veniva fuori a sbavature, ed anche lui ormai stava per morire. Lo lessi nel suo occhio ormai spento e in quel suo amarissimo sorriso, come una smorfia, che voleva dirmi tante cose e soprattutto la sua vittoria. Serrai d’istinto gli occhi, sconvolto fin nelle viscere, mentre il muto, alla vista, mugolava e batteva le mani. Poi, vidi daccapo il mare ed era pulito, innocente, come se nulla fosse accaduto. Note 1. [Il Tempo, 24 aprile 1966, pag. 3. Ora in, Domenico Zappone, Le maschere del Saracino, a cura di Santino Salerno, Rubbettino, 2014]. 2. È la denominazione camuffata di “Pietrenere”, località marina del comune di Palmi.

Bagnarote tirano ’u sciabbacheddu


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FOCUS

LANDSARE - LANDSCAPE ARCHITECTURES IN EUROPEAN RURAL AREAS (Architetture di paesaggio nelle aree rurali europee: un nuovo approccio al disegno dello sviluppo locale) Nell’ambito delle attività e delle azioni di sostegno allo sviluppo locale che sta realizzando nel proprio territorio di riferimento, attraverso l’attuazione del Piano di Sviluppo Locale Aulinas ha preso parte in qualità di partner al progetto di cooperazione transnazionale “LANDsARE”. Il progetto,trova la sua ragion d’essere nella necessità di salvaguardare dal degrado il patrimonio culturale ed ambientale. Attraverso efficaci ed adeguate azioni di valorizzazione, gestione e promozione di tale patrimonio, i paesaggi rurali possono diventare leva per la crescita socio-economica dei territori. L’approccio che ha contraddistinto il progetto è stato quello della partecipazione attiva degli attori locali. I paesaggi sono, infatti, frutto dell’interazione nel tempo tra le attività antropiche e la natura dei luoghi. La finalità principale risiede nella possibilità di offrire alle comunità, agli operatori ed ai potenziali turisti, luoghi di qualità, frutto di interventi integrati e sostenibili, fruibili attraverso modelli comportamentali responsabili che possano incentivare il miglioramento della qualità della vita nelle aree rurali. Il “LANDsARE” è stato articolato in un progetto complessivo, che ha coinvolto tutti i componenti del partenariato transnazionale e da diversi progetti locali di cui ogni GAL partner è stato responsabile. I partner coinvolti nel progetto sono stati: - tedeschi, GAL Flechtinger Höhenzug, rappresentato dal KULTUR-Landschaft Haldensleben-Hundisburg; - scozzesi, GAL Highland Leader rappresentato dal West Highland College; - italiani, GAL Valle Camonica e Val di Scarve, GAL Oltrepo’ Mantovano, GAL Gardavalsabbia, GAL BaTiR e GAL Oglio Po; - partner “no gal”, Province di Cremona, Mantova e Brescia, la Comunità Montana di Valle Camonica-Parco Adamello, il Distretto Vivaistico “Planta Regina” srl.

UP&DOWN - SU E GIù PER IL BASSO TIRRENO REGGINO Nuove Visioni di Paesaggio e Cultura Il Gal BaTiR, nell’ambito del progetto di cooperazione interterritoriale “Insieme non per C.A.SO. - Cooperare e Accogliere SOcialmente” (mis. 421 Asse IV PSR Calabria 2007/2013), ha avviato UP&DOWN, un progetto innovativo promosso in partnership con l’Associazione Italiana Persone Down (AIPD) e la Comunità S. Arsenio, entrambe di Reggio Calabria. Finalità del progetto è la creazione di itinerari di scoperta delle risorse ambientali e storico-culturali che questo territorio cela, arricchiti dalle nuove visioni di paesaggio e cultura fornite dai ragazzi dell’AIPD. L’obiettivo generale cui si vuole pervenire è garantire la più ampia e democratica fruibilità del patrimonio presente, avulsa da qualsivoglia barriera: architettonica, mentale, sociale.

a cura di Giampiero Pirrò

TERRAZZE SUL MITO È un percorso di promozione del turismo rurale presente nel Basso Tirreno Reggino che, attraverso la valorizzazione delle uve zibibbo e dei luoghi tradizionali di produzione, si sostanzia in un cammino che, risalendo dal mare, si addentra nel mondo agricolo di questo territorio unico. L’itinerario, si snoda lungo i comuni della Costa Viola e si inerpica su per le armacie (terrazze di muretti a secco). Il nome scelto per l’itinerario – Le Terrazze sul Mito – è quanto di più evocativo e pregnante potesse esserci per descrivere e promuovere questa realtà meravigliosa, unica e di assoluto valore, vanto per il Basso Tirreno Reggino come per l’intero territorio calabrese. Le armacie, diventano oggi, osservatorio naturale di un’antropizzazione che l’ingegno dell’uomo ha saputo coniugare con l’asperità dei luoghi e i loro miti (Scilla), preservandoli gli uni dall’abbandono, gli altri dall’oblio. Le “Terrazze sul mito”, fa parte del progetto di cooperazione interterritoriale “La Strada delle Colture e Culture di Calabria”, finanziato dalla misura 421 Asse IV PSR Calabria 2007/2013.

S.H.A.D.E.S. SUSTAINABLE AND HOLISTIC APPROACHES TO DEVELOPMENT IN EUROPEAN SEABORDS (Approcci Olistici e Sostenibili per lo sviluppo delle aree costiere europee) È un progetto di cooperazione transnazionale, gestito dal Gruppo di Azione Costiera “dello Stretto” in qualità di capofila e rientra nell’ambito del Piano di Sviluppo Locale finanziato dal Fondo Europeo per la Pesca (FEP) 2007-2013 - Asse IV “Sviluppo sostenibile delle zone di pesca”. Al fine di rafforzare i processi di sviluppo locale sostenibile, il GAC dello Stretto ha ritenuto fondamentale intraprendere un percorso di cooperazione con altri GAC per lo scambio di know-how e buone prassi, e per realizzare azioni congiunte. Il GAC “dello Stretto” ha, infatti, scelto di attivare la Misura 4.4 (Regione Calabria, 2011) del bando regionale di attuazione dell’Asse prioritario IV, con l’obiettivo di permettere ai territori costieri interessati ed agli attori locali di acquisire nuove idee e metodologie per migliorare lo sviluppo integrato dei propri territori, ampliare gli orizzonti e mettere a fuoco nuove soluzioni e metodi, condividere competenze e risorse, facilitare la circolazione delle informazioni e conoscenze, ottenendo quindi benefici materiali ed immateriali a livello economico, sociale ed ambientale. La scelta della Gestione Integrata delle Zone Costiere (GIZC) quale tema del progetto, nasce dalla diffusa consapevolezza, sia a livello europeo che globale, del fabbisogno delle aree costiere in termini di gestione, integrazione e di strumenti di pianificazione ad hoc. Obiettivo generale del progetto di cooperazione SHADES è di mettere in evidenza il contributo dei GAC europei al mainstreaming della gestione integrata delle zone costiere.




G.A.L. BaTiR - via Torrione, 96 - 89125 Reggio Calabria - tel. e fax 0965 897939 - www.galbatir.it

Barlaam IN vIaggIo CoN

tra mare, montagna, miti e leggende

Misura 313

Rubbettino

Rivista trimestrale su cultura, storia, tradizioni, arte, paesaggio e ambiente a cura del Gruppo di Azione Locale del Basso Tirreno Reggino

N 2/2015


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