La saga di Diana e Wolfgang

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Alberto Franchi

LA SAGA DI DIANA E WOLFGANG Il romanzo dei lupi della Lessinia I. INVERNO

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Š Il Segno dei Gabrielli editori, 2017 Via Cengia, 67 37029 San Pietro in Cariano (Verona) tel. 045 7725543 – fax 045 6858595 info@gabriellieditori.it www.gabriellieditori.it ISBN 978-88-6099-362-5 Stampa Medigraf spa (Padova), novembre 2017

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Indice

Presentazione

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Prologo

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La

saga di

Nota

Diana

e

Wolfgang

dell’autore

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Presentazione Diana, una Golden Retriever abituata agli agi riservati ad una cagna d’appartamento, viene improvvisamente abbandonata dai proprietari in pieno inverno sui dossi innevati. In una gelida giornata viene scaricata sulla neve, la porta dell’auto le si chiude sul muso, un mondo sconosciuto e ostile le si spalanca dinnanzi. Incredula, rincorre l’auto che si allontana con una corsa affannata… Nel frattempo il branco dei lupi della Lessinia sta dedicandosi al proprio sostentamento e l’esploratore Wolfgang non tarda a fiutare la presenza dell’intrusa. Un cane goffo e inetto, un lupo agile e determinato: saprà Wolfgang iniziarla alla vita selvatica e introdurla nel gruppo facendola accettare dal capobranco e dagli altri compagni? Sui colli innevati della Lessinia la saga di Diana e Wolfgang ha inizio…

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Prologo

Giugno. Pendii dell’altopiano Gli imponenti cumuli di nuvole avevano iniziato ad accrescersi già dal primo pomeriggio. Uno dei giorni più lunghi e soleggiati dell’anno volge anzitempo al crepuscolo: i raggi del sole non riescono a superare la spessa e scura coltre di nubi alzatesi dalla pianura, sospinte dalle correnti termiche estive. Un’enorme quantità d’acqua sta per rovesciarsi sulle aride praterie ondulate e sui verdi boschi. Un branco di caprioli, dopo aver vagato disorientati dall’imprevista oscurità, spaventati dal frastuono dei tuoni e accecati dalla luce delle saette, trova rifugio raccogliendosi sotto i bassi e nodosi rami di una macchia di pini mughi, radicati su un versante della montagna. La pioggia non tarda a scrosciare con un improvviso, imponente martellamento. Nell’oscurità i caprioli sentono il battere violento dell’acqua sugli alberi e sulle loro groppe e odono il fragoroso rimbombo dei tuoni. I cacciatori li seguono da tempo: li hanno braccati senza mai perderli di vista, ma ora che il buio fitto e la perturbazione ostacolano la visuale, stanno tallonando le loro prede fiutandone le tracce, malgrado il terreno intriso d’acqua. Li guida il loro eccellente esploratore, che conosce palmo a palmo il territorio. Sanno di averli raggiunti; non sentono più nessun rumore di zoccoli, nessuna vibrazione nel terreno, ma li avvertono vicini. 9


Pur non riuscendo a scorgerli, i predatori comprendono dove possono essersi rifugiati, ne hanno una precisa sensazione… e li stanno raggiungendo. Si avvicinano alla macchia di mughi, quasi contemporaneamente, di soppiatto, lentamente, sfruttando il fragore della pioggia e dei tuoni. Un lungo e sfolgorante lampo illumina l’area e permette ai caprioli di notare le loro sagome, i loro occhi, seppure per un secondo: otto sguardi diretti contro di loro, sette sagome oscure. Del cacciatore con il mantello nero non riescono a scorgere le forme. È il momento di fare scattare la fulminea aggressione, di seminare il panico fra i caprioli. Gli animali più pronti e reattivi, per istinto, si lanciano al galoppo saltando in mezzo od oltre il gruppo dei cacciatori: li invitano temerariamente a inseguirli. È il loro tentativo di proteggere i piccoli, nati solo da poche settimane, i quali, invece, si immobilizzano nella vegetazione per cercare di eludere gli assalitori. Nonostante l’invitante diversivo, gli esperti predoni non cadono nel tranello: simulano di interessarsi agli adulti, con il solo intento di farli allontanare un poco da quelle che hanno valutato essere le loro prossime prede. Serrano un ventaglio letale intorno alla macchia di pini mughi, li guida l’olfatto, li motiva la fame. Da molti giorni non si cibano, ma adesso è arrivato il momento di farlo: attaccano.

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Il mattino seguente al temporale Il sole si sta alzando sopra le cime più lontane, all’orizzonte il gioco dei chiaroscuri dona all’ambiente un che di fiabesco, quasi preistorico. Il silenzio è ancora assoluto, di profumi invece ce ne sono a profusione: ogni prato e ogni bosco ne emanano di sfumature differenti. Un violento temporale si è abbattuto su pascoli e foreste nel corso della notte, il primo della stagione. Il cielo è terso, l’aria è fresca e le fragranze della vegetazione in fiore si susseguono, rinnovandosi e mutando via via che ci si addentra nel bosco. Il silenzio, ora che il sole si è levato, è rotto dal polifonico canto degli uccelli sui rami più alti degli alberi e dai penetranti fischi delle marmotte sui verdi declivi. Uno scoiattolo fa sentire la sua presenza facendo cadere trucioli di pigna dall’alto ramo sul quale si è rifugiato per sgranocchiare il suo pasto mattutino. Una lepre, allarmata dai passi seppur silenziosi di un uomo che procede nel bosco, fugge con lunghi balzi saettando a pochi metri da lui. L’uomo la riesce a vedere mentre si allontana e svanisce nella macchia. Lui prosegue per il sentierino che da pietroso si presenta ora ricoperto da una erbetta nana, morbidissima sotto i suoi passi. In una macchia di betulle in lontananza scorge, mimetizzati dietro i delicati tronchi argentati, un gruppo di caprioli. Si arresta per ammirarli: i raggi del sole illuminano i loro mantelli bruni, facendoli apparire dorati. Inforca il binocolo, li inquadra e aziona l’ingrandimento interno dopo essersi appoggiato a una roccia sporgente per limitare il tremolio dell’immagine. Gli danno pochi istanti: percepito il suo odore, alzano le teste, lo giudicano un potenziale pericolo e fuggono, eleganti come ballerine e rapidi come fulmini. 11


L’uomo riprende la sua passeggiata inerpicandosi su sinuose ed erte tracce di sentiero che si allontanano dai percorsi più battuti. Lo accompagna il suo fedele cane, che pur compiendo lo stesso tragitto, lo moltiplica con un incessante va e vieni: il cane annusa, girovaga, scruta l’ambiente, analizza gli odori del bosco. Percepisce una presenza, ma non riesce a scorgere nessun essere vivente, non riesce a sentire nessun odore. Qualcosa o qualcuno lo sta fissando oltre la verde cortina di alberi e fitti cespugli. È un’intuizione o c’è veramente qualcuno in quel punto del bosco? Un silenzioso cacciatore li scruta, celato in una macchia di verdissime felci e di arbusti fioriti di rosa selvatica. Rimane sottovento non è uno sprovveduto: per questo il cane non lo può fiutare. È protetto da un mantello, grigio e brunastro, che lo rende facilmente mimetizzabile ovunque si venga a trovare; la sua abilità nel nascondersi lo rende invisibile; la sua esperienza nel perlustrare e nel braccare, mantenendosi sempre controvento, impedisce alle sue vittime di localizzarlo. Quando scova e analizza una possibile preda, non l’attacca subito ma, se la giudica allettante, la vittima è ugualmente spacciata. Tornerà con i suoi compagni di caccia, la rintraccerà, la tallonerà fino a esaurirne le forze, fino a tenderle un agguato dietro a una roccia, fino a farla cadere in una buca del terreno, per poi finirla. Il cane che affianca l’uomo sta lanciando profumi interessanti, il cacciatore ne è attratto, ma non per fame. Si è già nutrito a sufficienza questa notte: anche grazie al frastuono del temporale, con i suoi temibili compagni di caccia è riuscito a sfamarsi e per qualche giorno è sazio. 12


Un differente desiderio lo attrae, ma avvicinarsi al cane significherebbe impregnare il mantello con il suo odore e questo metterebbe in pericolo il proprio rientro al campo dei cacciatori. Quindi rimane immobile, si appiattisce nel sottobosco, lascia che uomo e cane procedano per il loro cammino, ignari della sua presenza. Ăˆ il suo compito di esploratore: controllare il territorio e riferire. Ogni decisione spetta al suo capo, solo dietro sua valutazione il gruppo di predoni si mette in moto e difficilmente manda a vuoto la battuta di caccia. Passati i due intrusi, la sua attenzione viene rivolta verso nuove possibili cacciagioni, si allontana fra gli alberi senza emettere alcun rumore. Procede sul terreno, sui muschi, sull’erba morbida del bosco e delle praterie, si guarda bene dal poggiare i piedi sui ciottoli, sul fogliame secco, sulla nuda roccia: ogni rumore ne potrebbe tradire la presenza. L’esploratore ha maturato una notevole esperienza, sa come perlustrare il suo territorio, osservare possibili competitori, localizzare le sue prede senza essere mai notato. In un attimo del suo passaggio non rimane che qualche traccia olfattiva.

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1 Le codine bianche sono ferme: i caprioli non sono in allerta. Dovrebbero esserlo, ma sono sopravento e stanno brucando la secca erba invernale. Il branco li sorveglia rimanendo celato dietro una selva di abeti dalle fronde che giungono fino a terra per il peso della neve che le sovrasta: un punto d’osservazione magnifico. In alta montagna la neve ha dai primi di dicembre ricoperto col suo manto bianco le vette, i dossi, le vallette, i pascoli estivi e i boschi. Di prima mattina il silenzio è totale, una gelida brezza spazza la neve mentre un tiepido sole si affaccia dietro le cime a est. La macchia di betulle dove si trovano i caprioli lascia penetrare i timidi raggi invernali sul poggio, il calore sta ammorbidendo un poco la neve che ricopre il suolo fra gli alberi dal tronco argentato. Gli zoccoli hanno scavato fino a esporre la secca e ingiallita erba, d’inverno la ricerca del cibo è sempre un’impresa ardua per tutti gli animali della montagna, lo scarso cibo è difficile da trovare e facile da perdere: la competizione è forte anche fra gli erbivori. Il gruppo di caprioli è composto da maschi, femmine e alcuni giovani nati nella tarda primavera. L’ambiente invernale è mutato totalmente dall’estate, la vita si è trasformata in sopravvivenza. Scendere a valle per cercare del facile cibo vicino alle contrade è rischioso: meglio rimanere nel bosco o ai suoi margini e accontentarsi di quel poco che si trova.

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Anche l’ambiente famigliare cittadino di Diana, una Golden Retriever di un paio d’anni, è cambiato completamente rispetto all’estate. I suoi primi anni di vita sono stati solo coccole e premure. Nata nello stimato allevamento, “Il Vischio Sacro”, situato nei pressi del lago di Nemi, sulle rive del quale in antichità era situato uno dei più frequentati templi dedicati alla dea della Luna, protettrice della caccia e delle partorienti, ha passato le prime settimane di vita con la madre e i numerosi fratellini. Essendo di buon temperamento, vivace e socievole, è stata fra le prime a essere adottata da una facoltosa famiglia. I proprietari: padre, madre e un bambino di circa dieci anni, l’hanno da subito colmata di dolcezze e leccornie, riversando su di lei ogni loro affetto. Il cucciolo nel giro di poche settimane aveva conquistato prima la camera da letto, poi lo scendiletto, per terminare la sua ascesa sociale finendo col passare le notti sul copriletto della coppia. Per quanto riguarda il cibo Diana si era orientata scrupolosamente sui croccantini, solo quelli di ottima marca s’intende, dato che rifiutava categoricamente di cibarsi se non le venivano presentati quelli di suo gusto. Tutto questo si è dileguato agli occhi della cagna in un baleno, a seguito della separazione della coppia. All’atto dello strappo, il bambino è stato assegnato alla madre, la cagna al marito. La sua famiglia, il suo gruppo sociale, come l’aveva inteso lei da quando aveva due mesi, non esiste più. Dopo questo primo trauma, la cagnotta ne deve subire un secondo. La nuova donna del proprietario, non volendone sapere di cani in casa, convince il suo compagno a sbarazzarsi di lei. 16


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