LA CHIESA CATTOLICA IN EUROPA CENTRO-ORIENTALE DI FRONTE AL NAZIONALSOCIALISMO 1933-1945

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3 Collana Storia della Chiesa in Europa centro-orientale Diretta dal prof. Jan Mikrut


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Piano della Collana

La Chiesa cattolica e il Comunismo in Europa centro-orientale e in Unione Sovietica

(1a ed. Marzo 2016 - 2a ed. Novembre 2016 - 3a ed. Aprile 2019)

Il governo e la Chiesa in Polonia di fronte alla diplomazia Vaticana (1945-1978) (1a ed. Aprile 2016)

Testimoni della fede. Esperienze personali e collettive dei cattolici in Europa centro-orientale sotto il regime comunista (1a ed. Marzo 2017)

La Chiesa cattolica in Unione Sovietica. Dalla Rivoluzione del 1917 alla Perestrojka (1a ed. Novembre 2017)

La Chiesa cattolica in Europa centro-orientale di fronte al Nazionalsocialismo 1933-1945 (1a ed. Aprile 2019)

Perseguitati per la fede. Le vittime del Nazionalsocialismo in Europa centro-orientale (1a ed. Maggio 2019)


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La Chiesa cattolica in Europa centro-orientale di fronte al Nazionalsocialismo 1933-1945 a cura di Jan Mikrut Prefazione dell’arcivescovo Grzegorz Ryś


6 Recensione del volume: Prof. Dr. Josip Dukić Prof. Dr. Marek Inglot SJ

© Il Segno dei Gabrielli editori, 2019 Via Cengia 67 − 37029 San Pietro in Cariano (Verona) Tel. 045 7725543 − fax 045 6858595 mail info@gabriellieditori.it www.gabriellieditori.it Prima edizione, aprile 2019 ISBN 978-88-6099-386-1 ISBN (e-book) 978-88-6099-390-8 Stampa MIG srl - Moderna Industrie Grafiche (Bologna)


Indice

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INDICE

Prefazione di S.E.R. Mons. Grzegorz Ryś Arcivescovo Metropolita di Łódź

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Introduzione del curatore - Il XX secolo “l’età delle ideologie”. La Chiesa cattolica in confronto con l’ideologia nazionalsocialista in Europa centro-orientale

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Albania 1939-1944 Governi e Chiesa cattolica in Albania dall’occupazione italiana alla fine della Seconda Guerra mondiale: prodromi ed esiti Giulio Cargnello

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Austria 1938-1945 La resistenza dello Stato austriaco contro Hitler e il Terzo Reich

Ignaz Steinwender

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Dall’Anschluss fino alla liberazione sovietica. La Chiesa cattolica in Austria 1938-1945 Jan Mikrut

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Il Martirologio della Chiesa austriaca 1938-1945 Jan Mikrut

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BIELORUSSIA 1941-1944 La Chiesa cattolica in Bielorussia durante l’occupazione tedesca 1941-1944 vista attraverso gli occhi dei testimoni dell’epoca

Larysa Michajlik

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BULGARIA 1941-1944 La Chiesa cattolica e il difficile cammino del governo bulgaro nei tempi della Seconda Guerra mondiale: prodromi ed esiti Giulio Cargnello

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8 Indice REPUBBLICA CECA 1938-1945 I vescovi e la situazione pastorale nelle diocesi negli anni 1938-1945 Jitka Jonová

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Le metamorfosi nell’atteggiamento dei cattolici tedeschi provenienti dai Sudeti nel contesto degli sviluppi storici successivi all’Accordo di Monaco (1938-1945) Jaroslav Šebek

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La Chiesa cattolica e la Gestapo. Mons. Leopold Prečan, arcivescovo di Olomouc Petr Kopecký

267

JUGOSLAVIA 1941-1944 Croazia e Bosnia ed Erzegovina I rapporti del governo dello Stato Indipendente di Croazia con l’Esercito del Terzo Reich Nikica Barić

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Il Reich tedesco e le migrazioni delle popolazioni sul territorio dello Stato Indipendente di Croazia durante la Seconda guerra mondiale Marica Karakaš Obradov

287

I rapporti tra la Chiesa cattolica, i cattolici croati e l’ustascismo nello Stato Indipendente di Croazia e il suo “grande alleato tedesco” dal 1941 al 1945 Mario Jareb

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Slovenia 1941-1945 La Slovenia tra occupazione e rivoluzione 1941-1945 Tamara Griesser-Pečar

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La diocesi di Lavant (Maribor) e l’occupazione nazista Ilaria Montanar

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La Chiesa cattolica nella regione della Primorska durante la Seconda guerra mondiale Renato Podbersić

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LETTONIA 1941-1944 L’occupazione nazista e sovietica. L’alternarsi dei regimi totalitari in Lettonia e in Estonia, e la politica religiosa ivi attuata: il caso della Chiesa cattolica in Lettonia nel periodo 1940-1945 Inese Runce

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Indice

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LITUANIA 1941-1944 Lo sdoganamento della Chiesa cattolica in Lituania 1941-1944 Regina Laukaitytė

429

La Chiesa e l’Olocausto in Lituania Arūnas Streikus

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POLONIA 1939-1945 La Chiesa cattolica nei territori polacchi occupati dalla Germania (1939-1945) Zygmunt Zieliński

455

Il clero diocesano di rito latino nel periodo della guerra e dell’occupazione tedesca e sovietica (1939-1945) Jan Sziling

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L’arcidiocesi di Vilnius negli anni della Seconda guerra mondiale 1939-1945 Tadeusz Krahel

541

Il Distretto del Reich “Wartheland” come banco di prova di Arthur Greiser nell’ambito della Chiesa Kasper Sipowicz

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La separazione nazionale e razziale nella Chiesa cattolica romana nel Wartheland e nel Distretto di Katowice negli anni 1939-1945. Somiglianze e differenze Jerzy Myszor 589 La Santa Sede e i vescovi del Terzo Reich nei confronti della Chiesa nella Polonia occupata Paweł Wójcik

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Carl Maria Antonius Splett, vescovo di Danzica e amministratore apostolico della diocesi di Chełmno (Culm) nel periodo della Seconda guerra mondiale (1939-1945) Sylwia Grochowina

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Il martirologio della Chiesa polacca Dariusz Śmierzchalski-Wachocz

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Il salvataggio degli ebrei per opera della Chiesa cattolica polacca raccontata attraverso gli occhi dei sopravvissuti Richard Tyndorf

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Istituti religiosi femminili nella Polonia occupata: vita e attività Agata Mirek

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I vescovi polacchi e la salvaguardia degli ebrei Damian Bednarski

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10 Indice La metropolia greco-cattolica di Halyč-Leopoli durante l’occupazione tedesca 1941-1944 Włodzimierz Osadczy

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La Chiesa nel periodo dell’occupazione tedesca negli anni 1941-1944 Maria Dębowska

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ROMANIA 1941-1944 La Chiesa di rito latino La Chiesa cattolica di rito latino 1941-1944 Stefan Lupu

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SLOVACCHIA 1939-1945 La Chiesa cattolica di rito latino La Chiesa cattolica in Slovacchia (1939-1945) fra la fedeltà allo Stato nazionale e la resistenza contro gli influssi ideologici del Terzo Reich Emília Hrabovec

823

I vescovi slovacchi e la questione della popolazione ebraica (1939-1945) Peter Slepčan

843

La Chiesa greco-cattolica I greco-cattolici nella prima Repubblica slovacca negli anni 1939-1945 Peter Borza, Daniel Atanáz Mandzák

863

UNGHERIA 1940-1944 La Chiesa cattolica ungherese di fronte al nazismo András Fejérdy

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Indice dei collaboratori

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Le abbreviazioni più usate

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Indice dei nomi

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Indice dei luoghi

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Grzegorz Ryś - Prefazione

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Arcivescovo Grzegorz Ryś - Metropolita di Łódź

Prefazione

Egregi Lettori, tenete in mano un altro volume della monumentale collana diretta dal prof. Jan Mikrut e dedicata alla storia contemporanea della Chiesa in Europa centro-orientale. Questo nuovo tomo è intitolato La Chiesa Cattolica in Europa centro-orientale di fronte al Nazionalsocialismo 1933-1945. Il titolo stesso sembra sollevare una serie di domande intriganti: la Chiesa di fronte alla sfida del nazionalsocialismo. Di che tipo di sfida si tratta? Una sfida ideologica? Conflitto della visione del mondo? Antropologico? Politico? O piuttosto una sfida brutale del terrore e della realtà bellica che con la sua crudeltà e la sua dimensione supera qualsiasi discorso intellettuale e i precedenti concetti? È un confronto di vedute in cui il ruolo della Chiesa è innanzitutto una precisa e coraggiosa lezione dottrinale (Mit brennender Sorge), eventualmente rafforzata da punizioni ecclesiastiche? O piuttosto un atteggiamento nei confronti di azioni disumane che colpiscono non solo la Chiesa (o le Chiese), ma anche i più elementari diritti umani? Abbiamo dunque due aree di problemi: “Chiesa e nazionalsocialismo” e “Chiesa e Seconda guerra mondiale” (entrambi in qualche modo presenti in quest’opera). Le due questioni sono diverse, ma allo stesso tempo difficili, se non addirittura impossibili da separare. Dopo tutto, il nazionalsocialismo non si è accontentato “solamente” di proclamare dei punti di vista estremi e del loro successo propagandistico. A partire dall’anno 1933, di cui il titolo, è diventato una formazione politica sempre più dominante che alla fine ha portato alla Seconda guerra mondiale. Questa guerra, a sua volta, è divenuta un evento che non può essere compreso e descritto solo in termini militari. Il suo aspetto più terribile è stato il genocidio: un omicidio di massa, metodico, addirittura “industriale”, impensabile senza l’ideologia nazista. A questo punto nascono altre domande: Per descrivere le ferite della Chiesa (o delle Chiese) inflitte dal nazismo, e dal comunismo sovietico (!) sul secondo fronte della guerra, è sufficiente catalogare le perdite umane e materiali della Chiesa? Scrivere i nomi dei martiri e confrontare il numero di chiese distrutte o sequestrate? È sufficiente la conoscenza, anche la più dettagliata, delle restrizioni belliche che hanno limitato o perfino eliminato la vita religiosa ed ecclesiastica? Ammettiamo che tutto questo è importante e, di per sé, scioccante. Basti dire che nella sola parte della Polonia occupata dai tedeschi sono morte quasi 3.000 persone tra clero e consacrati; quasi un sacerdote diocesano su cinque! Tuttavia, la prospettiva rigorosamente ecclesiale, incentrata sul bene proprio


12 Grzegorz Ryś - Prefazione delle Chiese, interiormente inteso, sembra essere troppo stretta, anche meschina. Il nazismo e la Seconda guerra mondiale hanno messo in discussione molto di più del normale funzionamento delle strutture ecclesiali, non solo hanno minacciato le libertà della Chiesa in senso lato. Il male non può essere ridotto all’intolleranza, alla violenza e alla brutalità rivolte contro i cristiani e i quadri della Chiesa. Il nazismo e la guerra che ne è scaturita sono diventati una sfida non solo a ciò che è religioso o ecclesiastico, ma a tutto ciò che è universale! Hanno portato i cristiani dell’Europa a una prova drammatica non solo per il loro attaccamento alle pratiche religiose, alle tradizioni e ai diritti della Chiesa; hanno posto una domanda sulla loro determinazione a difendere i diritti umani fondamentali, indipendentemente dalla fede e dalla religione. Ed è proprio su questo livello che si è svolto l’esame più importante in Europa, un esame del grado e della qualità della sua evangelizzazione… La sua domanda principale non era la forza delle strutture ecclesiastiche, bensì la forza e la profondità delle credenze e degli atteggiamenti cristiani, e non solo delle gerarchie ecclesiastiche, ma di intere società! Ma è difficile non chiedersi: la gente di Chiesa ne era già allora consapevole o ha raggiunto questa consapevolezza solo dopo la fine della guerra? La cosa non era semplice in sé: dalla metà del XVII secolo, cioè dalla fine della guerra dei Trent’anni, la Chiesa non solo non plasmava più la realtà sociale, bensì lottava per tenere il passo con essa, fino a quando, nel XIX secolo, si è quasi completamente staccata da questa realtà. Quindi ha dovuto accontentarsi di esercitare una missione “strettamente ed esclusivamente religiosa” (prof. Z. Zieliński), essendo spesso anche in questo ambito meticolosamente controllata e regolamentata. Tale Chiesa avrebbe potuto essere improvvisamente pronta per un completo cambiamento di prospettiva e per assumersi di nuovo la responsabilità dei grandi processi sociali e delle grandi sfide di scala globale? Inoltre, va ricordato che già prima dello scoppio della guerra, le Chiese dell’Europa centrale e orientale si trovarono in circostanze molto difficili. In Oriente, nel territorio dell’Unione Sovietica, solo nel 1937 (anno in cui fu proclamata l’enciclica Divini Redemptoris che condannava l’empio comunismo come il sistema che “minava le fondamenta della civiltà cristiana”), furono chiuse 29.000 chiese ortodosse (612 furono demolite), 63 monasteri ortodossi, 240 chiese cattoliche, 61 chiese protestanti, nonché 115 sinagoghe e 110 moschee. Come si può vedere l’attacco fu diretto contro il mondo intero della religione! In Bielorussia (discussa nel nostro libro) nel 1938 fu arrestato tutto il clero e furono distrutte 2.500 chiese e 23 monasteri. Naturalmente, per quanto riguarda il territorio dell’URSS è meglio documentato il martirio ortodosso. Vale la pena citare qui alcuni dati: tra il 1917 e il 1939 furono uccisi circa 45.000 sacerdoti, monaci e suore; allo scoppio della guerra 42.000 sacerdoti erano in prigione e nei lager; solo tra i vescovi (!) ne furono uccisi 270, mentre altri 300 morirono in prigione o in esilio. Insieme alla guerra si abbatterono sulla Chiesa altre disgrazie rivolte non


Grzegorz Ryś - Prefazione

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solo contro la gerarchia o la base materiale del culto. La più tragica esperienza furono le deportazioni di massa. Solo dal territorio polacco occupato dall’Unione Sovietica, in base al Patto Ribbentrop-Molotov, fu deportato quasi un milione di persone (più di un quarto di milione fu arrestato e lo stesso numero fu arruolato forzatamente nell’esercito), per lo più appartenenti all’intellighenzia e quelle impegnate nelle attività sociali ed ecclesiastiche. D’altra parte, però, si può arrivare all’esempio estremamente opposto: la Slovacchia, governata durante la Seconda guerra mondiale dal presidente Jozef Tiso, un sacerdote cattolico, che rimase in stretta collaborazione con Hitler. È proprio su di lui che ricade la responsabilità dello sterminio degli ebrei slovacchi eseguito in due ondate (1942 e 1944): dei 130.000 sopravvisse solo il 23%. Rimarrà per sempre un capitolo drammatico della memoria cristiana ed ebraica che i trasporti di ebrei slovacchi (accanto a quelli francesi), inviati ad Auschwitz per decisione di un governo che si definiva cristiano, diedero inizio alla Endlösung der Judenfrage [Soluzione finale della questione ebraica] in questo campo di sterminio. Sì, l’onore della Chiesa slovacca può e deve essere difeso, ricordando, ad esempio, la figura del vescovo uniate Pavel Gojdič – Giusto tra le Nazioni, beatificato da San Giovanni Paolo II. In tal caso, però, sorgerà immediatamente la questione delle proporzioni dei comportamenti sociali ed ecclesiastici: quali tra questi erano la “norma” e quali devono essere considerati una lodevole, ma pur sempre, eccezione? C’è stata una vera resistenza alla politica di don Tiso o piuttosto una leggera disapprovazione? Questa domanda, posta con grande insistenza, determina il processo di “purificazione della memoria” (San Giovanni Paolo II) di quasi tutte le Chiese della regione discusse in questa pubblicazione. I numeri parlano da sé: su oltre tre milioni di ebrei polacchi, meno di 380.000 sopravvissero alla guerra; su 220.000 ebrei lituani, solo 12.000 sopravvissero alla guerra. Le otto settimane di maggio e giugno 1944 furono sufficienti per uccidere 565.000 ebrei ungheresi. Dei 757.000 ebrei che vivevano in Romania, 400.000 furono sterminati; degli 80.000 che vivevano nella Jugoslavia prebellica, 14.000 sopravvissero alla guerra. L’Olocausto si abbatté anche su 74.000 ebrei della Lettonia; l’Estonia fu descritta come Judenfrei, ancora prima della Conferenza di Wannsee. Ognuno di questi numeri suscita domande sull’atteggiamento della Chiesa (delle Chiese), sia della gerarchia che dei fedeli. Potevano permettersi di protestare? Prestare un aiuto reale? Condannare la collaborazione al crimine? E ancora: in quale percentuale? In quali proporzioni fra eroismo e indifferenza? Fra coraggio e complicità? Quando si conducono le analisi volte alla ricerca delle risposte, vale la pena mantenere l’umiltà (non solo quella scientifica…) e difendersi dalle facili e semplicistiche conclusioni. Ad esempio, quando si tratta della realtà della Polonia occupata è difficile non tener conto dei meriti di “Żegota” nel salvare in particolare i bambini ebrei dall’Olocausto. Parlando di questo fenomeno, tuttavia, non bisogna dimenticare che, sebbene l’iniziatrice di questa attività sia stata una scrittrice cattolica, Zofia Kossak-Szczucka, tra i suoi collaboratori si


14 Grzegorz Ryś - Prefazione potevano trovare persone di tutte le formazioni politiche (per nulla ispirate dal cristianesimo), così come molti attivisti ebrei, compresi quelli comunisti (come Adolf Abraham Berman). La famosa “Protesta” contro l’Olocausto formulata da Zofia Kossak-Szczucka a nome dei “cattolici polacchi”, condannava non solo ogni forma di cooperazione con i tedeschi, ma anche i crimini del silenzio “minaccioso” e “spregevole”: “Non dobbiamo rimanere passivi di fronte al crimine. Chi tace di fronte a un omicidio diventa complice dell’assassino. Chi non condanna – approva”. Tuttavia, nello stesso testo si riflettevano tutti i luoghi comuni dell’antisemitismo prebellico: “I nostri sentimenti verso gli ebrei non sono cambiati. Non smettiamo di considerarli come nemici politici, economici e ideologici della Polonia. /…/. La consapevolezza di questi sentimenti non ci libera, però, dall’obbligo di condannare il crimine”.

Chiunque legga questo testo deve ascoltare le domande che esso suscita: per descrivere il dramma dell’Olocausto fino in fondo dobbiamo prima di tutto esaminare i motivi dei suoi diretti iniziatori ed esecutori, ma anche gli atteggiamenti dei testimoni passivi e silenziosi, dei testimoni oculari o di quelli che consapevolmente volgevano lo sguardo altrove, e a maggior ragione di coloro che hanno collaborato al crimine. Tuttavia, è anche necessario studiare la storia dell’antisemitismo prebellico generato e pietrificato anche dal popolo della Chiesa sulla base degli stereotipi che spesso sono durati per secoli! È vero che è stato l’Olocausto e il trauma da esso causato a costringere la Chiesa a ripensare il suo atteggiamento nei confronti degli ebrei, sia nell’insegnamento che nei possibili rapporti. Senza la Shoah non ci sarebbe stata la dichiarazione Nostra aetate e tutti i passi successivi sulla strada verso il dialogo cristiano-ebraico. Sicuramente rimane un terribile paradosso (e un rimorso) che questo dialogo non potesse essere condotto quando c’erano intorno a noi decine e centinaia di migliaia di ebrei, come a Łódź, di cui ho l’onore di essere arcivescovo, che prima della guerra era abitata da circa 250.000 ebrei, invece può svilupparsi con successo oggi, quando la comunità ebraica conta circa un centinaio di persone. Allargando un po’ la prospettiva, va detto che probabilmente senza la Seconda guerra mondiale non ci sarebbero stati quei cambiamenti nella comprensione e nell’adempimento della missione della Chiesa nel mondo, il cui punto focale è il Concilio Vaticano II. La Chiesa ha dovuto riscoprire se stessa nella missione universale rivolta non solo ai credenti ma anche alle “persone di buona volontà”, questa volta, però, solo sulla base dell’autorità religiosa e morale. È dovuta entrare in dialogo con l’uomo, iniziando dalle parole “chiediamo perdono” (come Paolo VI alla chiusura del Concilio) e dalla richiesta di ridarle fiducia. La Chiesa, che ha riconosciuto come suoi i diritti umani fondamentali, ha fatto un lungo cammino dal Sillabo alla Pacem in terris. Questa svolta ha già avuto luogo ovunque? In ciascuna delle Chiese locali nella stessa misura? Di nuovo: è difficile rispondere a queste domande in una


Grzegorz Ryś - Prefazione

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frase, specialmente in relazione a tutte le Chiese studiate in questo libro. Soprattutto perché per la stragrande maggioranza di queste Chiese, la Seconda guerra mondiale non si è conclusa nel 1945, bensì quasi mezzo secolo dopo! Lottando contro un totalitarismo, il mondo occidentale ha deciso di abbandonare i popoli dell’Europa centrale e orientale in preda ad un altro totalitarismo. Tocchiamo qui un’altra dimensione della storia della Seconda guerra mondiale, vale a dire quella politica. La storia politica dell’ultima guerra è stata diversa da quella militare: le sue sfide e le svolte hanno avuto accenti completamente diversi e pure la partecipazione alla vittoria è stata differente. A livello politico, il destino e perfino i confini di questa parte d’Europa erano già stati determinati durante la Conferenza di Teheran, un anno e mezzo prima della fine dell’azione militare. Queste decisioni, a prescindere dall’osservanza o meno delle norme della legge internazionale, avevano anche una dimensione morale. I soldati polacchi che combattevano a Montecassino stavano morendo per la Polonia che non esisteva più; pochi mesi dopo il loro comandante, il generale Anders, non vide più alcun appiglio morale per ordinare loro di continuare la lotta. Qualcuno si chiederà: che cosa ha a che fare questo con la storia della Chiesa? Ce l’ha! La storia non accade mai in un vuoto sociale. Anzi, deve affrontare problemi e sfide generate da altre “forze”, per esempio da quelle politiche. Le decisioni politiche prese durante la Seconda guerra mondiale, da Teheran attraverso Yalta fino a Potsdam, hanno determinato il destino dei Paesi, delle società, ma anche delle Chiese dell’Europa centro-orientale per tutta la seconda metà del XX secolo, delimitando in larga misura la loro missione. Per di più, queste Chiese affrontano le conseguenze politiche della Seconda guerra mondiale fino ai nostri giorni. Tutto quello che ho appena sfiorato nella mia Prefazione mostra – spero – quanto importante possa rivelarsi il presente libro e l’intera collana di cui fa parte. Senza una conoscenza accurata della storia della Seconda guerra mondiale e senza la memoria di essa, perché si tratta di due cose diverse: “storia” e “memoria”, è impossibile comprendere e ancor più guidare la Chiesa di oggi. Sto pensando alla mia Łódź. La Seconda guerra mondiale l’ha trattata in modo terribile. Il territorio della diocesi di Łódź è stato incorporato nel Reichsgau Wartheland ed è diventato un oscuro teatro di lotta esemplare contro la Chiesa cattolica. Di tutti i numeri ne sia sufficiente solo questo: dei 357 sacerdoti della diocesi di Łódź, 155 sono stati uccisi dai tedeschi (quasi il 43%). Tutti i conventi maschili e femminili sono stati sfollati e soppressi. Il livello di saccheggio e di confisca dei beni può anche essere espresso attraverso un solo numero, che è una pars pro toto molto significativa: ancora nel 1944, solo nella città di Łódź, si conservavano 60 tonnellate di abiti liturgici sequestrati nelle chiese, spesso di grande valore storico! Questa è solo la punta dell’iceberg. La guerra ha sottratto a Łódź quasi tutto ciò che possedeva e che era prima del 1939 e da dove trae il suo orgoglio fino ai giorni nostri. Per 200 anni della sua storia moderna, Łódź si è considerata la “città di quattro culture”: è stata co-creata da cat-


16 Grzegorz Ryś - Prefazione tolici polacchi, protestanti tedeschi, russi ortodossi ed ebrei. La guerra alla fine ha bandito i tedeschi, ma prima aveva portato l’Olocausto agli ebrei (il ghetto di Łódź, il secondo più grande sul suolo polacco, è stato liquidato come l’ultimo, il 29 agosto 1944). Dopo la guerra, Łódź è divenuta uno dei punti più importanti di appoggio per i governanti comunisti della Repubblica Popolare di Polonia. I primi permessi per la costruzione di nuove chiese, che hanno consentito la creazione di condizioni pastorali relativamente normali, sono stati generalmente concessi solo dopo la svolta del 1989. Senza questa conoscenza è impossibile comprendere né la società locale né la sua situazione religiosa. Senza questa comprensione come si può costruire il futuro? Invito tutti ad un’attenta lettura.


Jan Mikrut - Introduzione

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Jan Mikrut

Il XX secolo “l’età delle ideologie”. La Chiesa cattolica in confronto con l’ideologia nazionalsocialista in Europa centro-orientale

Il volume La Chiesa cattolica in Europa centro-orientale di fronte al Nazionalsocialismo 1933-1945 è ormai il quarto libro della collana Storia della Chiesa in Europa centro-orientale dedicato ai totalitarismi del XX secolo, ma è il primo che affronta lo studio della storia della Chiesa cattolica nel tormentato periodo della dominazione politica e militare del nazionalsocialismo. Il XX secolo viene talvolta chiamato “l’età delle ideologie”. Quattro anni della sanguinosa Prima guerra mondiale 1914-1918 non rimossero le cause morali che l’avevano scatenata. Anzi, nelle ideologie che sorsero dopo la fine del conflitto l’uomo venne asservito alle nuove dottrine che ne fecero un puro oggetto, un passivo esecutore della volontà dei capi della nazione. Quelli che non vollero adattarsi, o vennero ritenuti inadatti alle esigenze del regime, furono sottoposti alla persecuzione e pure allo sterminio. Tra le ideologie sorte dopo la Prima guerra mondiale, dopo l’ideologia comunista in Russia, vi era anche il socialismo nazionale tedesco, una dottrina totalitaria caratterizzata da una visione della società nazionalista e razzista, assoggettata allo Stato, il cui programma politico fu esposto da Adolf Hitler nel suo libro Mein Kampf. Un altro ideologo del nazismo e criminale di guerra, Alfred Rosemberg, ha caratterizzato il nazionalsocialismo come “l’idea più nobile a cui un tedesco potrebbe dedicare tutta la forza che gli è stata donata”. Dopo la presa del potere in Germania da parte di Adolf Hitler nel 1933, decine di milioni di cittadini tedeschi, e presto anche delle altre comunità nazionali in Europa, dovettero inevitabilmente scontrarsi con questa disumana visione del mondo. L’ideologia nazista, che come uno dei punti del suo programma aveva stabilito la battaglia contro gli ebrei e la distruzione del cristianesimo, causò persecuzioni, mai viste prima, di massa dei popoli europei. Le prime a confrontarsi con il regime nazionalsocialista, fin dal 1933, furono le comunità cristiane della Germania: la Chiesa cattolica e le Chiese protestanti. Esse scoprirono presto, e lo sperimentarono sulla propria pelle, che lo Stato nazionalsocialista non tollerava nessun’altra autorità, né religiosa né politica, all’infuori di sé. Le Chiese in Germania, in generale, non hanno mostrato una forma di resistenza al regime. L’opposizione della Chiesa cattolica, infatti, fu limitata ai singoli casi individuali di alcuni laici o ecclesiastici che motivati dalla religione reagirono contro le mosse della dittatura. Non si può dire, tuttavia, che i cattolici non si sono accorti in tempo della minaccia di una nuova ideolo-


18 Jan Mikrut - Introduzione gia che ha guadagnato folle di sostenitori nella Germania interbellica. Benché nel 1930 il partito NSDAP ottenesse il secondo posto alle elezioni parlamentari e negli anni successivi, dominò fortemente la scena politica tedesca, il sostegno a questo partito non era comunque unanime e vi erano numerose voci dissenzienti. Lo stesso Eugenio Pacelli, prima nunzio apostolico a Monaco di Baviera e a Berlino in Germania e poi cardinale Segretario di Stato, credeva che il movimento nazista avesse un significato anticattolico e non potesse conciliarsi con la fede cristiana. Nonostante ciò, all’inizio degli anni Trenta, Pacelli prese le posizioni che avrebbe presentato in seguito in molte altre occasioni, ossia che i nazisti tedeschi non possono avvicinarsi ai comunisti, perché è dall’Est che arriva una vera minaccia per la fede. Nel 1931 i vescovi tedeschi in occasione della condanna del fascismo italiano il 29 giugno 1931 da parte del papa Pio XI nella lettera enciclica Non Abbiamo Bisogno rilasciarono un documento che condannava il partito nazista come anticristiano in linea di principio. Il 2 maggio 1931 il cardinale Pacelli parlò con Pio XI dei nazisti a seguito di una lettera di Hermann Göring, nella quale cercò di convincere la Santa Sede delle buone intenzioni del crescente partito nazionalsocialista NSDAP. In seguito agli avvertimenti sulla minaccia dell’ideologia nazista, dai pulpiti delle chiese cattoliche fu mossa la critica dell’ideologia, in conseguenza della quale il partito nazista ottenne nelle zone abitate dai cattolici dei risultati peggiori rispetto alla media tedesca. Quando all’inizio del 1933 i nazisti salirono al potere in Germania, riuscirono rapidamente a pacificare l’episcopato, che già il 28 marzo ritirò la sua dichiarazione di condanna del nazismo. Questo fu senza dubbio un successo politico di Adolf Hitler, che pochi giorni prima, parlando nella capitale tedesca al Reichstag, aveva assicurato che il suo governo considerava il cristianesimo come un fattore d’identità nazionale tedesca. Ciò convinse la Chiesa protestante e cattolica delle buone intenzioni del cancelliere del Terzo Reich. Il rapporto della Chiesa cattolica in Germania con il nazionalsocialismo fino al 23 marzo 1933 rimase piuttosto limitato. Dopo la dichiarazione del cancelliere Adolf Hitler di voler regolare le relazioni tra Chiesa e Stato, i vescovi tedeschi scorsero una possibilità di edificare insieme un nuovo Stato sul fondamento del cristianesimo. Il Concordato firmato a Roma il 20 agosto 1933 tra la Santa Sede e la Germania e ratificato il 10 settembre dello stesso anno doveva essere una conferma della buona volontà delle parti in causa e un tentativo di collaborazione tra le due istituzioni. Con il consolidarsi del potere politico del partito nazionalsocialista e la crescente pressione sulla società cristiana, incrinarono anche le relazioni dello Stato con la Chiesa. Al più tardi nel 1937 tutti dovevano ormai rendersi conto che lo Stato non era ben disposto nei confronti della Chiesa. L’ideologia totalitaria che si affermò in Germania con le libere elezioni e in opposizione al comunismo, in breve tempo, paradossalmente, imitò lo stesso comunismo che combatteva, creando una antireligione, una nuova pseudo-fede in cui la nazione e la purezza della razza erano una “divinità”, alla quale i singoli individui dovevano


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obbedire. Similmente come nel comunismo, anche per i nazisti la religione cristiana divenne un ostacolo che andava distrutto. Tuttavia, nonostante il rifiuto dei principi del nazionalsocialismo, le opinioni nell’Episcopato tedesco sul modo di rapportarsi con il regime erano ancora differenti. C’era chi propendeva per un ulteriore dialogo e dall’altra parte apparvero delle voci che chiamavano a una più decisa reazione. Anche i nazisti stessi rappresentavano strategie diverse e contraddittorie. Mentre Adolf Hitler, per motivi tattici, sosteneva una “tregua” con la Chiesa, altri proponevano di intensificare la repressione contro, ad esempio, gli ordini religiosi, i servizi e le feste cristiane. Dopo la visita dei vescovi tedeschi in Vaticano, il pontefice decise di promulgare il 14 marzo 1937 un documento con l’esplicita condanna del nazionalsocialismo. L’enciclica Mit brennender Sorge di Pio XI, che riguardava la situazione della Chiesa nel Terzo Reich e criticava gli aspetti ideologici della politica della Germania nazista, fu letta, nonostante le minacce dei funzionari del partito NSDAP, nella gran parte delle chiese durante la domenica delle Palme il 21 marzo 1937. Inoltre, ai cattolici tedeschi in alcune zone della Germania furono distribuite anche le copie stampate dell’enciclica preparate clandestinamente nelle tipografie cattoliche. L’autore principale di questa coraggiosa enciclica era il segretario di Stato Pacelli, ma un grande contributo lo diede anche il cardinale Michael Faulhaber, all’epoca arcivescovo di Monaco e Frisinga. Tra coloro che prepararono il testo dell’enciclica viene anche menzionato dagli storici il vescovo Clemens August von Galen, uno dei massimi esponenti della Chiesa cattolica tedesca che si opponeva al regime nazista. Il potere nazionalsocialista reagì all’enciclica con un’ondata di arresti, perquisizioni nelle strutture ecclesiastiche e nelle case private, con la chiusura forzata delle tipografie nelle quali fu stampata l’enciclica. Tuttavia, Mit brennender Sorge fu una pietra miliare che segnò una tappa fondamentale nella storia e nell’approccio della Chiesa al nazionalsocialismo. Grazie all’enciclica la Chiesa cattolica respinse inequivocabilmente l’ideologia nazionalsocialista nel contesto del mancato rispetto del Concordato tra la Germania e la Santa Sede, ma soprattutto come inconciliabile con i valori della religione cristiana. Questo atto fu il primo pronunciamento del papa di questo tipo ed era ovvio che le sue conseguenze si sarebbero ripercosse in qualche modo sulla Chiesa e sui credenti in forma di repressione da parte delle autorità naziste. Le nuove tensioni si verificarono con l’inizio dell’antisemitismo razzista e la persecuzione degli ebrei. Tuttavia, conformemente con la linea della Santa Sede, nella Chiesa tedesca si affermò il principio di preferire alle grandi azioni di protesta un aiuto concreto alle persone bisognose. Il fatto è che né la Chiesa evangelica né la Chiesa cattolica alzò pubblicamente la voce per protestare contro le leggi razziali promulgate nel 1935. Un’altra questione sulla quale si scontrò lo Stato nazista e la Chiesa cattolica, ancora prima dello scoppio della guerra, era quella riguardante la sterilizzazione forzata eseguita negli ospedali e l’eliminazione dei bambini deformati e affetti da malattie incurabili negli orfanotrofi, anche quelli gestiti dalla Chie-


20 Jan Mikrut - Introduzione sa cattolica. Inizialmente, furono sottoposte a sterilizzazione forzata le persone disabili o handicappate. Poi i nazisti elaborarono anche un programma di eutanasia per sopprimere le “vite indegne di essere vissute”, supponendo che ciò avrebbe influito sul mantenimento della “purezza del sangue tedesco”. La decisione di sterminare i malati derivava direttamente dalla dottrina razzista del nazionalsocialismo: persone che non rientravano nel modello “ariano”, promosso da questa ideologia, non avevano alcun diritto di esistere. Queste crudeli e disumane pratiche dovettero essere combattute con la più alta determinazione da entrambe le Chiese della Germania. La Chiesa cattolica, infatti, prese una decisa posizione per la salvaguardia dei malati e sofferenti, perciò i cattolici riuscirono ad evitare il coinvolgimento in queste azioni criminali. Le proteste della Chiesa cattolica portarono addirittura all’interruzione dell’omicidio di massa nascosto sotto l’eufemismo “eutanasia”. Clemens August von Galen, vescovo di Münster, si mostrò particolarmente coraggioso nelle sue prediche pronunciate nel 1941 nella quali condannò fermamente l’eutanasia, la sterilizzazione forzata, contribuendo così alla loro formale sospensione. Nonostante ciò, fino alla fine della guerra bambini e adulti considerati “di scarso valore” continuavano ad essere uccisi, ma senza parlarne apertamente. Nel novembre 1938 con la notte dei cristalli tra il 9 e 10 novembre 1938 in Germania, Austria e Cecoslovacchia emerse con tutta la sua forza l’antisemitismo dei nazisti. Si compì un’azione antiebraica durante la quale furono saccheggiate le proprietà della popolazione ebraica e furono commessi diversi crimini. L’episcopato non protestò esplicitamente contro questi maltrattamenti. Clemens August von Galen si dichiarò dispiaciuto che la gerarchia tedesca non avesse protestato pubblicamente. Per essere corretti bisogna dire che neppure Pio XI intervenne apertamente. Però, in quel tempo anche la Santa Sede si trovava in una situazione particolarmente delicata e difficile perché nel frattempo la scena politica aveva subito dei grandi cambiamenti da quando Benito Mussolini decise, nel 1938, di sostenere la politica dei nazisti tedeschi. Il 3 maggio 1938 il cancelliere tedesco Adolf Hitler visitò Roma e il papa Pio XI lasciò la città partendo per Castel Gandolfo. Il papa dispose che tutte le luci dei palazzi vaticani fossero spente e che le porte dei Musei vaticani e della Basilica di San Pietro rimanessero proprio in questo giorno chiuse. Un atto di chiara ostilità nei confronti di Hitler, che il cancelliere sopportò solamente a gran fatica. Il comportamento del pontefice doveva essere una sorta di manifesto antinazista: l’atto simbolico che non fu seguito da gesti più decisi. Quando il papa Pio XI morì l’11 febbraio 1939, tutto il mondo cristiano trattenne il respiro in attesa del nuovo conclave. Un mese dopo, il Collegio cardinalizio scelse il cardinale Eugenio Pacelli come nuovo pontefice che prese il nome di Pio XII, segnalando la sua intenzione di continuare la politica del suo predecessore. Questa continuità con il pontificato precedente era il motivo principale per cui la Germania nazista accolse l’elezione di Eugenio Pacelli con molta amarezza, dichiarandolo un pontefice che si era unificato “alla causa internazionale ebraica e massonica”.


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Intanto nell’estate del 1939 l’Europa si trovò ormai sull’orlo della nuova guerra mondiale. L’occupazione dell’Austria nel marzo del 1938, l’invasione da parte delle truppe tedesche dei Sudeti, in Cecoslovacchia, dopo la Conferenza di Monaco del 29-30 settembre 1938, e l’occupazione nel marzo del 1939 del resto della Boemia, in esito alla quale la Cecoslovacchia cessò di esistere, furono la prova che la Germania non esitava a impiegare la forza politica e militare sulla strada verso l’egemonia in Europa. Durante la Seconda guerra mondiale i rimanenti territori boemi fecero parte del cosiddetto Protettorato di Boemia e Moravia, governato direttamente dalla Germania. Il papa Pacelli osservava con tensione questi drammatici eventi della politica europea. Già da papa si prodigò per salvare la pace, lanciando diverse iniziative e appellandosi a tutte le potenze affinché le questioni internazionali venissero risolte con il dialogo e non con il ricorso alla violenza militare. Propose di organizzare un’altra conferenza internazionale, come se non avesse notato che gli eventi di Monaco di Baviera avevano inequivocabilmente impedito la possibilità di un accordo su larga scala e di proteggere l’Europa da ulteriori scontri. Il 24 agosto 1939 emise un appello tramite la Radio Vaticana. Il 31 agosto solo poche ore prima dell’inizio della guerra ripeté l’appello per fermare lo spargimento di sangue. Era ormai troppo tardi per i nuovi interventi diplomatici da parte dei politici europei. Le parole di Pio XII purtroppo non trovarono attenzione in Germania. Adolf Hitler non prendeva in considerazione il Vaticano e l’unico politico che Pio XII avrebbe potuto eventualmente in qualche modo influenzare era il capo dei fascisti italiani, Benito Mussolini. Per il dittatore italiano la questione del papato era una sorta di spina nel fianco che gli impediva di ripulire il proprio “cortile di casa”, perché uno scontro aperto contro il Vaticano avrebbe distrutto il resto della fiducia pubblica che il Duce aveva ottenuto tra gli italiani. Nel periodo della Seconda guerra mondiale, quando il potere politico in Germania era in modo particolare interessato a evitare gli scontri con le Chiese per poter mantenere unita la nazione, nonostante le forti tensioni, le relazioni tra la Chiesa e lo Stato non furono interrotte. Specialmente lo scoppio della guerra tedesco-sovietica nell’estate del 1941 vide lo schierarsi della società con le autorità statali. Anche i cattolici tedeschi, benché lungi dalla mentalità di crociata, accettarono l’attacco all’Unione Sovietica, scorgendo in ciò la lotta contro l’empio bolscevismo. In questi termini parlava il vescovo di Münster, Clemens August von Galen. L’arcivescovo di Paderborn, Lorenz Jäger (1892-1975), nella lettera pastorale in occasione della Quaresima del 1942, descriveva invece la Russia come l’arena di persone il cui odio per il cristianesimo le aveva portato quasi a diventare animali. La propaganda nazionalsocialista prospettava una rapida vittoria militare, mentre nella segretezza dei gabinetti del potere si pensava già ad una nuova fase dei rapporti tra lo Stato e le comunità religiose che doveva essere messa in atto dopo la vittoria finale. L’obiettivo ideologico dei nazisti che doveva essere avviato pienamente nel periodo dopo la guerra, era la totale distruzione dell’esistenza


22 Jan Mikrut - Introduzione delle Chiese cristiane in Germania. Già negli anni 1940-1941 furono soppressi e nazionalizzati 300 conventi religiosi e altre strutture ecclesiastiche. Furono anche arrestati alcuni rappresentanti della Chiesa critici verso il nazionalsocialismo, ma lo Stato non voleva ancora lo scontro aperto con i rappresentanti della Chiesa e cercava di mantenere le apparenze della pacifica coesistenza. Dal 22-23 settembre 1941 si tenne una conferenza dei responsabili del partito nazionalsocialista per le questioni ecclesiastiche. I materiali di questa conferenza utilizzano l’espressione “resoconto finale con la Chiesa”. La Gestapo aveva previsto, dopo la vittoria del Terzo Reich, di accusare la Chiesa di tradimento. Martin Bormann ha scritto il 9 giugno 1941 in una lettera circolare ai capi delle sezioni locali del NSDAP che ogni influenza che interferisce o intende interferire con la guida di una nazione da parte di un Führer con l’assistenza del NSDAP deve essere prevenuta. La nazione dovrebbe essere sempre di più allontanata dalle chiese e dai suoi organi, in modo speciale dai parroci strettamente legati con la società locale. In nessun luogo si dovrebbe permettere alle Chiese di acquisire una rinnovata influenza sulla guida di una nazione; l’influenza e in seguito l’esistenza della Chiesa doveva essere completamente spezzata. Infatti, volenti o nolenti, le Chiese tedesche facevano parte della società in tempo di guerra. Nel 1943 circa 3.400 edifici ecclesiastici furono utilizzati per scopi bellici e due terzi delle suore svolsero delle funzioni importanti per lo Stato, lavorando principalmente come infermiere. La Chiesa contribuiva alla stabilizzazione della società, batteva le campane dopo le vittorie militari sulla Polonia e sulla Francia e nell’esercito servivano circa 650 cappellani militari. In generale però non possiamo dire che i vescovi tedeschi non abbiano reagito ai crimini del sistema nazista. Non sono mancate neppure le iniziative diplomatiche del Vaticano e le proteste del papa contro i crimi di guerra. Purtroppo, non erano né forti, né esposti in un linguaggio chiaro per essere ben ascoltate. I nazisti non intendevano reagire a esse per non darle alcuna importanza nella società. La persecuzione della Chiesa in Polonia fornì ai vescovi tedeschi una prova di come il regime nazista avrebbe trattato i cattolici in Germania nel caso in cui avesse vinto la guerra. In questo contesto, in particolare il cardinale Adolf Bertram da Breslavia, presidente dell’Episcopato tedesco, evitava il rischio di uno scontro. Anzi, provocò uno scandalo in seno alla Conferenza episcopale di Fulda, inviando, il 20 aprile 1940, il suo telegramma con gli auguri al cancelliere Adolf Hitler. Il vescovo di Münster, Clemens August von Galen, e il suo collega berlinese, Konrad von Preysing Lichtenegg Moos (1880-1950), vedevano diversamente la situazione della Chiesa nel Terzo Reich e il suo futuro, ma non ebbero la possibilità di convincere gli altri ecclesiastici e tanto meno di imporre nelle riunioni dell’episcopato la loro visione del futuro della Chiesa cattolica in Germania. A questo punto va menzionato il fatto delle mancate azioni delle Chiese tedesche contro lo sterminio degli ebrei europei. Le deportazioni di massa degli ebrei organizzate con tanta precisione non trovarono un’adeguata protesta né


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da parte delle due Chiese cristiane né delle altre strutture della società. Nel novembre Pio XII ordinò al nunzio apostolico a Berlino, Cesrae Orsenigo, di trasmettere al cancelliere Hitler la sua categorica condanna degli omicidi di massa della popolazione ebraica. Solo con la lettera del 19 maggio 1943, dedicata ai Dieci Comandamenti, i vescovi protestarono contro l’uccisione degli innocenti e contro il trattamento disumano nei campi di lavoro. In questo modo l’episcopato cattolico diede prova di essere in grado di parlare con una voce contro alcuni crimini del nazismo, benché il governo nazista fosse già entrato nella sua ultima fase dell’esistenza. Il destino dei Paesi europei era dominato dalla forte economia e anzitutto dalla forza militare dell’Esercito tedesco. La situazione politica, economica e confessionale dei Paesi europei occupati dalla Germania era molto differente, dipendeva anzitutto dalla situazione dell’intero continente europeo, era diversa nel marzo 1938 quando ebbe luogo l’annessione dell’Austria e nel giugno 1941 quando iniziò la guerra contro l’Unione Sovietica. Dopo l’annessione dell’Austria nel 1938 questo piccolo Paese cattolico divenne parte della Germania hitleriana. Fin dai primi giorni il nuovo potere dimostrò precisamente il vero scopo dell’annessione: in Austria doveva essere introdotta la legislazione nazionalsocialista che la uguagliasse alle altre province della Germania. Gli oppositori politici e i sacerdoti critici verso l’ideologia del nuovo potere già nelle prime settimane dopo l’incorporamento nel Reich furono arrestati e deportati nel campo di concentramento di Dachau e poi in altri posti di detenzione. L’episcopato del Paese, inconsapevole come era del vero pericolo che conseguiva dall’unificazione dei due Stati, assunse inizialmente le posizioni favorevoli nei confronti della nuova forma dello Stato, ma in breve tempo dovette comprendere che gli accordi fatti con i politici nazisti e la pacifica coesistenza della Chiesa e dello Stato fossero un’illusione, oltre a essere incompatibili con la fede cristiana. L’escalation di aggressione colpì duramente la Chiesa in Austria. I nazisti chiusero l’Università cattolica di Salisburgo, le tre Facoltà teologiche, e tutte le scuole cattoliche, dopo di che attaccarono gli ordini religiosi, incamerando i conventi e altre proprietà ecclesiastiche. L’8 ottobre 1938, la milizia Hitlerjugend attaccò a Vienna la residenza del cardinale Theodor Innitzer. Pochi giorni dopo, il 13 ottobre, sulla piazza centrale di Vienna, il Gauleiter Josef Bürckel, parlando davanti a centinaia di migliaia di persone raccolte nella Piazza degli Eroi a Vienna organizzò uno spettacolo di odio contro la Chiesa, chiamando i partecipanti all’apostasia. La grande folla estasiata esibiva gli slogan contro gli ebrei e la Chiesa cattolica. La popolazione cattolica, in parte intimidita e in parte sopraffatta dalla propaganda nazista, non era in grado di reagire adeguatamente e opporsi agli abusi. Quei sacerdoti, i quali cercarono in diversi modi di fare almeno una protesta formale furono arrestati o estromessi dalla predicazione e dall’insegnamento. La maggioranza dei seminaristi e un importante numero dei giovani sacerdoti furono arruolati nella Wehrmacht. Con la fine della guerra nel 1945, la gran parte del territorio austriaco si trovò nella zona d’occupazione sovietica. Alcuni sacerdoti furono uccisi dai soldati


24 Jan Mikrut - Introduzione sovietici mentre cercavano di proteggere le donne dalle violenze. Dopo la fine della guerra la società austriaca dovette trovare una strada di riconciliazione tra coloro che si erano lasciati coinvolgere nella collaborazione con il regime nazista e le vittime della guerra. Il comune Stato dei cechi e slovacchi fu fondato il 28 ottobre 1918, ma fin dall’inizio il suo buon andamento era difficoltoso, tra l’altro, a causa della presenza della consistente minoranza tedesca che chiedeva l’annessione alla Germania. Un altro problema erano le tensioni tra la Chiesa cattolica e i liberali anticattolici che si richiamavano al culto di Jan Hus, bruciato sul rogo il 6 luglio 1415 durante il concilio di Costanza, e in seguito alla rivoluzione hussita. Il conflitto tra le due fazioni raggiunse il culmine con la creazione della Repubblica Cecoslovacca. Il suo presidente, Tomáš Garrigue Masaryk, che si era già espresso in modo aggressivo contro la Chiesa cattolica prima della Grande guerra, svolse un ruolo importante in questo processo. Ci furono numerosi atti di vandalismo e profanazione da parte della folla fanatizzata. Durante i due decenni dell’esistenza della Repubblica Cecoslovacca, quasi un terzo dei cechi lasciò la Chiesa. Tuttavia, tre quarti del Paese rimasero cattolici, in particolare la Moravia e la Slesia ceca. Gli slovacchi, d’altra parte, non avevano per niente ceduto all’apostasia, così come i tedeschi, il cui numero nella Repubblica ceca prima della Seconda guerra mondiale risaliva a due milioni e mezzo. Proprio dopo la presa del potere da parte di Adolf Hitler, l’insistenza della minoranza tedesca di unirsi al Reich assunse forme radicali. Per la mancata opposizione degli Stati europei, dopo gli Accordi di Monaco, il cancelliere tedesco poté realizzare gradualmente l’annessione della Cechia. Prima, nel 1938, le truppe tedesche occuparono le regioni di confine della Boemia e della Moravia, il cosiddetto territorio dei Sudeti, e nel marzo 1939 invasero il resto della Boemia. Durante l’occupazione nazista i cattolici cechi dimostrarono appieno il loro patriottismo. Quasi seicento sacerdoti e religiosi cechi (su un totale di circa 2.500) si trovarono nei campi di concentramento nazisti. Sessanta sacerdoti furono assassinati, il numero di vittime tra i cattolici laici risale a diverse migliaia. Il sacerdote cattolico ceco Jan Šrámek, esponente del Partito Popolare Cecoslovacco, fu primo ministro del governo cecoslovacco in esilio a Londra per quasi tutta la durata della guerra fino alla liberazione. La Slovacchia sotto la pressione della Germania proclamò la propria indipendenza, diventando di fatto un Paese satellite del Terzo Reich. Jozef Tiso, un sacerdote cattolico, fu eletto presidente dello Stato. Le truppe slovacche combatterono insieme alla Wehrmacht tedesca sul fronte orientale fino all’estate del 1944. Il governo e il presidente della Repubblica, sostenuti dalla Chiesa cattolica, si sforzarono di arginare l’influenza esterna tedesca e ostacolare le iniziative filonaziste interne, cercando di manovrare tra l’inevitabile collaborazione e la difesa degli spazi di sovranità e di diminuire l’impatto del nazismo sulla società. Il ruolo politico di mons. Jozef Tiso durante la dominazione nazista fu utilizzato in modo strumentale dopo la fine della guerra dai suoi oppositori, quando nacque la nuova Cecoslovacchia comunista. Allora


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la figura del primo ministro servì ai comunisti per fare la “resa dei conti” con l’intera Chiesa slovacca. L’aggressione tedesca alla Polonia del 1° settembre e poi quella sovietica del 17 settembre 1939 cambiò radicalmente la situazione dei cittadini. Il territorio della Polonia, ancor prima dello scoppio delle ostilità, era già stato diviso in virtù del trattato di non aggressione firmato il 23 agosto 1939 a Mosca dai ministri degli Esteri sovietico, Vjačeslav Molotov, e tedesco, Joachim von Ribbentrop. In base a un protocollo segreto aggiunto al Patto Ribbentrop-Molotov furono anche definite le rispettive zone di influenza: l’URSS si assicurò l’annessione della Polonia orientale, gli Stati baltici e la Bessarabia, mentre la Germania fu riconfermata nell’occupazione della parte occidentale della Polonia. L’intero territorio nazionale si trovò sotto l’occupazione: l’Unione Sovietica prese 201.000 km2, abitati da circa 13.200.000 persone. Il Terzo Reich occupò 188.700 km2, abitati da circa 22.140.000 persone. Una parte del territorio polacco fu direttamente inglobata nel Terzo Reich, formando le nuove province: Danzig-Westpreussen, Wartheland, Oberschlesien. Il territorio non incorporato nel Reich diventò, il 12 ottobre 1939, Governatorato Generale per le aree occupate della Polonia (Generalgouvernement für die besetzten polnischen Gebiete). Già nelle prime settimane le forze di polizia tedesca eseguirono gli arresti di massa rivolti soprattutto contro l’intellighenzia. Le repressioni di massa di carattere preventivo si compirono sull’intero territorio nazionale. L’obiettivo dei nazisti nei territori incorporati nel Reich fu l’eliminazione della cultura polacca. La popolazione fu utilizzata come forza lavoro, mentre la classe dirigente e l’intellighenzia furono sottoposte allo sterminio. Dopo l’aggressione sovietica del 17 settembre 1939, la Polonia, non potendo difendersi sui due fronti, fu sopraffatta e di nuovo cancellata dalle carte geografiche. Le persecuzioni sovietiche si abbatterono immediatamente sui cittadini polacchi: oltre alla prigionia e le esecuzioni, una gran parte della popolazione fu deportata in Siberia nei lager e in Kazakhstan, dove dovette iniziare una vita da esiliati, in diaspora tra numerosi altri popoli, lavorando duramente negli enti statali sovietici. Le autorità dell’URSS utilizzarono la forza lavoro polacca, applicando allo stesso tempo sanguinose repressioni. Nel 1939 la Chiesa cattolica era strutturata in 5 province ecclesiastiche, 22 arcidiocesi e diocesi; contava 23 milioni di fedeli, 10.375 sacerdoti secolari e 1.779 regolari. Inoltre, vi erano 44 ordini religiosi maschili con 6.430 religiosi e 84 congregazioni femminili, che riunivano 21.914 religiose in 2.289 case. Questi numeri sono importanti per capire la scala della persecuzione e delle perdite della Chiesa provocate dalla guerra e dall’occupazione. Alla fine del conflitto la popolazione polacca diminuì da 35 milioni, censiti nel 1939, a 24 milioni nel 1945. Questa drastica riduzione fu causata da entrambe le occupazioni: tedesca e sovietica. Il numero degli ebrei trucidati fu di circa 3.200.000. Secondo le stime eseguite dopo la guerra il numero complessivo delle vittime ammontò a 6.028.000. Sembra che questo sia il calcolo più esatto, sebbene non sia possibile raggiungere la precisione assoluta al riguardo. Negli anni dell’occupazione 1939-1945 diverse forme di repressione toccarono a 6.565 ecclesiastici. Le per-


26 Jan Mikrut - Introduzione dite personali del clero durante la guerra ammontarono a 2.812 persone, tra cui 4 vescovi, 1.863 sacerdoti diocesani, 289 sacerdoti regolari, 149 seminaristi, 205 fratelli religiosi, 289 suore. Solo a Dachau furono internati 2.801 sacerdoti, tra cui 1.773 polacchi. Molti furono resi invalidi a causa degli esperimenti pseudomedici fatti su di loro. Tra i 1.034 ecclesiastici uccisi a Dachau ve ne erano 799 tra sacerdoti, religiosi e seminaristi polacchi. I membri del clero furono uccisi anche in altri campi di sterminio: ad Auschwitz 167, a Soldau 86, a Sachsenhausen 85, a Gusen 71 e a Stutthof 40. Particolari persecuzioni del clero e della Chiesa si scatenarono nel Distretto Wartheland, che doveva fungere da campo sperimentale per l’estirpazione della Chiesa. Qui, il Reichsstatthalter Arthur Greiser, spietato nei confronti dei polacchi, ricevette mano libera dai capi nazisti per avviare il suo feroce progetto nei confronti delle comunità cristiane. Tenendo conto del rapporto tra la popolazione e il numero delle vittime di guerra, la Polonia è stata il Paese più colpito dal secondo conflitto mondiale. Dopo la Conferenza di Potsdam (17 luglio-2 agosto 1945) furono tracciati i nuovi confini della Polonia. Questi cambiamenti hanno portato alla formazione di uno Stato uniforme in termini di nazionalità. Lo Stato jugoslavo fondato nel 1918 non garantiva una pacifica convivenza di tutti i popoli che lo componevano. Nel periodo tra le due guerre mondiali, i vertici governativi dovettero sviluppare sempre nuovi modelli politici per garantire la continuazione dello Stato. La battaglia militare per la conquista della Jugoslavia finì in pochi giorni perché l’Esercito jugoslavo, composto da popoli diversi con interessi differenti, non aveva né mezzi adeguati né delle buone motivazioni per opporre una duratura resistenza ai tedeschi. La capitale jugoslava, Belgrado, fu occupata il 12 aprile 1941 e quattro giorni più tardi i comandi jugoslavi firmarono la capitolazione. Il territorio nazionale fu occupato dell’Esercito tedesco e da quello italiano. La vittoria dell’Esercito tedesco nei Balcani non pose fine alle operazioni militari su questo territorio. In breve tempo emerse una nuova forza militare e politica: il movimento dei partigiani comunisti riunito intorno alla carismatica figura di Josip Broz Tito. La Croazia prima del 1918 apparteneva all’Impero austro-ungarico. Dopo il suo crollo si unì allo Stato comune insieme ai serbi e agli sloveni e nel 1939 ottenne l’autonomia all’interno della Jugoslavia. Tale situazione politica perdurò solo fino al 1941, quando la Jugoslavia fu conquistata dalle forze congiunte tedesco-italiane e le autorità furono costrette a emigrare dal Paese. In Croazia c’erano forti sentimenti pro-fascisti, e ancor di più anti-serbi. I tedeschi decisero di approfittarne creando un governo fantoccio e dando alla Croazia l’apparenza di indipendenza. Lo Stato comprendeva la maggior parte del territorio croato e tutta la Bosnia ed Erzegovina. Il governo fu affidato ai nazionalisti del movimento denominato Ustaše guidato da Ante Pavelić. Questa forma statale croata fu soppressa alla fine della Seconda guerra mondiale e nel 1945 la Croazia divenne parte della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Un’importanza particolare nello Stato dei croati aveva la Chiesa cattolica tradizionalmente legata a questa nazione. Senza le voci critiche e l’influenza mitigante della Chiesa


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cattolica il percorso della guerra in questo Paese sarebbe stato ancora più drammatico. Nonostante ciò dopo la fine della guerra i comunisti iniziano una campagna di persecuzione contro la gerarchia e contro il clero cattolico con l’accusa di collaborazionismo con il fascismo e il nazismo. Anche in Slovenia la Chiesa cattolica era fortemente unita alla nazione. Durante la guerra il territorio della Slovenia fu diviso tra la Germania, l’Italia, l’Ungheria e la Croazia. La situazione della popolazione in tutte le zone di occupazione era difficile. Gli sloveni subirono persecuzioni sia da parte dei tedeschi sia da parte degli italiani. Un grande numero di sacerdoti fu perseguitato dai partigiani comunisti, mentre dopo la guerra il clero divenne vittima del nuovo Stato jugoslavo. Questo Stato fu fondato il 29 novembre 1945 con il sostegno delle forze alleate e in collaborazione con i partigiani comunisti e con le altre formazioni politiche. La nuova Jugoslavia era la comunità dei popoli organizzati da Josip Broz Tito sui principi dell’ideologia comunista. La comunità cattolica in Albania non era grande, ma grazie al sostegno dell’Italia era ben strutturata. Durante l’occupazione italiana e poi quella tedesca, la gerarchia cattolica fu arginata e non aveva ampi spazi di manovra. Gli italiani tradizionalmente offrirono un sostegno ai cattolici, ma erano attenti a non indispettire la maggioranza musulmana e, di conseguenza, non compromettere il loro rapporto con l’islam. La presenza dell’esercito partigiano comunista comportò alla fine della guerra una grande svolta politica in Albania. La crescente influenza del movimento organizzato dal colonello Enver Hoxha, che impiegava una politica simile a quella del maresciallo Tito nella vicina Jugoslavia, ribaltò completamente la scienza politica albanese. Dopo la guerra Hoxha prese definitamente il potere in Albania e il suo regime fece di questo Paese uno dei centri ideologici più radicali del comunismo in Europa. A differenza della Chiesa cattolica albanese e quella romena, dove i cattolici, benché in minoranza, erano tuttavia una comunità ben visibile, la diaspora cattolica in Bulgaria era molto piccola, per cui la sua influenza sulla società, nei confronti della Chiesa ortodossa, era minima o nessuna. La presenza di un delegato apostolico nella capitale bulgara, a partire dal 1931, era una novità nel Paese, così come la presenza alla corte della consorte cattolica del sovrano. Grazie alla politica dello zar Boris III, le sciagure della guerra non si abbatterono sulla Bulgaria e sulla sua capitale Sofia. Sulla base di un accordo con la Germania, la Bulgaria non fu incorporata nel Terzo Reich. Tuttavia, dopo la morte dello zar nel 1943, quando gli Alleati stavano cacciando le truppe tedesche dalla Grecia, iniziò il bombardamento della capitale bulgara da parte delle truppe americane. Il 30 marzo 1944, durante uno dei primi raid aerei, una bomba americana distrusse la chiesa cattolica di San Giuseppe a Sofia. Tuttavia, i cattolici di Sofia si ripresero rapidamente e iniziarono a raccogliere fondi per la ricostruzione della cattedrale. Nel 1944 la rivoluzione comunista scosse la Bulgaria più delle bombe americane. Quello che rimase della chiesa di San Giuseppe, nonché i fondi per la sua ricostruzione furono nazionalizzati. A proposito della Chiesa ortodossa bulgara bisogna dire che la decisa protesta del patriarca Stefan


28 Jan Mikrut - Introduzione di Sofia, del metropolita Kiril e di altri membri dell’episcopato ortodosso, con il sostegno dei fedeli, riuscì a bloccare la deportazione di 8.500 ebrei bulgari verso i campi di sterminio nazisti. Contrariamente alle aspettative, l’inizio della guerra contro l’Unione Sovietica, il 22 giugno 1941, non portò a una rapida e definitiva vittoria sul comunismo, bensì divenne la causa principale del crollo del Terzo Reich. La popolazione locale dell’Ucraina e della Bielorussia come quella dei Paesi baltici accolse amichevolmente le truppe tedesche dopo la brutta esperienza dell’occupazione sovietica. Ma ben presto la speranza di un’occupazione “umana” svanì e le forze delle SS iniziarono le loro spietate forme di repressione e le uccisioni di massa. Per numerosissimi ebrei, che da secoli abitavano questi territori, cominciarono delle persecuzioni mai viste nella storia: furono massacrati sul posto o deportati nei campi di sterminio. Nel novembre 1941 l’Esercito tedesco si trovava già nelle vicinanze di Mosca, ma non gli fu dato di festeggiare la presa della capitale sovietica. A causa del rigido inverno russo e della mancanza di un equipaggio adeguato alle condizioni climatiche, l’armata tedesca subì una grande sconfitta che influì enormemente sulla morale dei soldati finora abituati all’ininterrotta serie di vittorie. Il 2 febbraio 1943 l’Esercito tedesco capitolò a Stalingrado. Queste battaglie segnalarono l’inizio della fine della potenza militare della Germania. Il Terzo Reich concluse definitivamente la sua esistenza nel maggio 1945 con la firma della resa incondizionata. Dopo la caduta del regime nazista in Germania, i rappresentanti delle Chiese cristiane, insieme con tutta la società, dovettero valutare e riflettere profondamente su quanto era accaduto negli anni del potere nazista. Anche i cattolici dovettero interrogarsi e rispondere a proposito del proprio ruolo assunto durante il regime nazionalsocialista, soprattutto quando i terribili crimini perpetrati a nome della Germania nei Paesi occupati uscivano fuori e divenivano sempre più documentati. Eppure, il primo passo fu compiuto dalla Chiesa evangelica tedesca che, sollecitata dalle Chiese protestanti mondiali, il 19 ottobre 1945 pronunciò la sua famosa Dichiarazione di colpa di Stoccarda in cui confessò: “Noi abbiamo inflitto infinite sofferenze a molti popoli e a molte nazioni. Riconosciamo di non aver confessato con sufficiente coraggio la nostra fede, di non aver pregato con sufficiente fiducia, di non aver creduto con la necessaria gioia e di non aver amato con il necessario ardore”. Queste parole, ritenute da alcuni comunque troppo generiche e insufficienti, dovevano essere seguite da gesti concreti e soprattutto dalla giusta condanna dei colpevoli e dei responsabili per i crimini di guerra. Ad ogni modo, iniziava un lungo processo della trasformazione dell’intera società tedesca e la sua pacificazione interna, nonché il riavvicinamento della Germania al mondo nelle nuove circostanze politiche del dopoguerra. Le ferite spirituali così come i segni visibili della tragedia della guerra rimasero ancora a lungo in Germania e nei Paesi da essa occupati: le città e le fabbriche distrutte, povertà, carestia, mancanza dei posti di lavoro, milioni di persone, sia militari che civili, uccise in varie circostanze nei terribili anni della Seconda guerra mondiale.


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Dopo il 1945 i popoli dell’Europa centro-orientale sperimentarono un’altra tragedia, entrando nell’orbita della dominazione sovietica. Questo fatto fu la conseguenza diretta della Seconda guerra mondiale scatenata dalla Germania nazista. Le decisioni prese durante le Conferenze di Yalta e di Potsdam causarono una nuova divisione del continente. La politica sovietica di annessione frantumò l’antica struttura dell’Europa centrale: la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, nonché i territori orientali della Polonia inglobati nell’URSS, persero la loro indipendenza. L’antico termine Mitteleuropa sparì dalle mappe e dal linguaggio diplomatico e fu sostituito con quello di “blocco orientale”. Per la prima volta sia Praga e Budapest che Lipsia e Berlino vennero a far parte dell’Est. Tale situazione influì in modo decisivo sulla vita di milioni di cristiani e delle loro Chiese. Queste vicende le abbiamo già raccontate nei volumi precedenti. In qualità di direttore della collana Storia della Chiesa in Europa centro-orientale, desidero ringraziare tutti gli autori e i collaboratori del nostro progetto scientifico. Grazie al loro diligente lavoro possiamo presentare ai nostri lettori questo volume che è il risultato della cooperazione di molte persone e della diligente ricerca di diversi studiosi su un’epoca estremamente difficile e tragica della storia della Chiesa cattolica. Benché il periodo nazista sia un momento storico relativamente recente, la sua descrizione e percezione sembra causare molti problemi, sia a livello individuale e statale, sia nella comunità scientifica. Pertanto, lo scopo di questa pubblicazione è quello di presentare le Chiese e le comunità cristiane nei diversi Paesi dell’Europa centrale e orientale durante l’egemonia nazista, affidando l’elaborazione di singole aree geografiche e Paesi agli studiosi provenienti da una data regione. Dare voce agli storici dei Paesi direttamente interessati e colpiti dalla tragedia della persecuzione è particolarmente importante ed è stato riconosciuto e apprezzato nelle precedenti pubblicazioni della collana. Ringrazio dunque tutti gli autori per essere stati disponibili e aperti ai suggerimenti e alle proposte di modifiche, ringrazio per le loro accurate ricerche e studi, per le ricche e ben curate bibliografie e soprattutto per aver utilizzato e presentato le fonti poco o per niente conosciute nell’ambito della storiografia italiana. Vorrei rivolgere un ringraziamento del tutto particolare a Sua Eccellenza prof. Grzegorz Ryś, arcivescovo di Łódź in Polonia, per la prefazione da lui redatta. Monsignor Ryś, in quanto storico della Chiesa e vescovo di una città particolarmente colpita nel periodo dell’occupazione nazista, ha dato un preziosissimo contributo al presente volume. Ringrazio tutti i colleghi traduttori e revisori dei testi, in particolar modo la dott.ssa Maria Carmela De Marino, il dott. Giuseppe Schiena e Michał Brywczyński per la preparazione linguistica del volume. Ringrazio i traduttori: prof. Paweł Wójcik, Klara Barčić, György Domokos, Caterina Tessicini, Jerim Bogdanić Pischedda, Martina Pračkeová, Wojciech Kućko e Andrea Trenta – a loro un grande riconoscimento per il paziente e diligente lavoro. Un riconoscimento a parte, per il suo prezioso e indispensabile apporto, va al prof. Paweł Wójcik SVD, fin dall’inizio collaboratore della collana, che ha de-


30 Jan Mikrut - Introduzione dicato il suo tempo e il suo impegno alla traduzione e alla redazione scientifica dei testi polacchi. A lui vanno molti meriti per la realizzazione di questo libro, in modo particolare sono state preziose le sue osservazioni metodologiche e le proposte di miglioramenti. È stata assolutamente indispensabile la collaborazione di Michał Brywczyński che si è fatto carico con scrupolo e attenzione dell’ultima rilettura delle bozze e della preparazione dell’ampissimo indice onomastico e toponomastico: un lavoro particolarmente importante e faticoso in un’opera “multilingue”.


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