Riflessione 8_Flectar non frangar

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Rifle s s i o n e 8*

* Enrico Giacopelli /// Compendio al Corso di Composizione Architettonica ////////////////////// FacoltĂ di Architettura /// Politecnico di Torino /////////////////////////////////////////////////////

Flectar non frangar



Riflessione 8*

Indice

Flectar non frangar. La necessaria flessibilitĂ degli alloggi

Enrico Giacopelli

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g r a f i c a e c o n t ro c a n t o a c u r a d i Andrea Cassi


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Fl e c t a r non frangar

I. “Frangar non flectar!” (“mi spezzerò ma non mi piegherò”). Riflettendo sulla natura del progetto di un alloggio torna alla mente il roboante e – visto come sono andate le cose – presuntuoso motto di Casa Savoia, proprio per la sua capacità di esprimere icasticamente un atteggiamento del tutto speculare a quello che occorre adottare nel progetto di una casa. Come sappiamo infatti, la natura di una casa (di un alloggio) dev’essere intrinsecamente flessibile, antieroica, disponibile a piegarsi – come giunco al vento – alle esigenze ed alle sollecitazioni degli abitanti, in un atteggiamento tutt’altro che rigido e sordo alle istanze dei suoi destinatari. “Flectar non frangar!”, perciò. Sempre. Come abbiamo già avuto modo di verificare, molte condizioni proprie al concetto di abitare e legate all’uso che gli abitanti concretamente fanno (o vorrebbero poter fare) delle proprie case, impongono agli spazi domestici doti più o meno elevate di flessibilità e di aleatorietà. Potremmo persino sostenere che l’argomento principale dell’edilizia residenziale sia rappresentato proprio dalla possibilità di adattare con semplici mezzi l’abitazione alle esigenze dei singoli abitanti e del nucleo familiare. Il principio di flessibilità dovrebbe quindi essere sempre preso in carico nel progetto della residenza come mezzo attraverso cui arrivare al cuore del problema e come strumento con cui realizzare nuovi modelli di organizzazione spaziale. Per quanto sussistano concrete difficoltà tecniche e pratiche all’applicazione diffusa del principio, è possibile verificarne la messa in pratica in molti esempi concreti caratterizzati da progettazioni accurate e attente alle esigenze dell’utenza. Possiamo infatti identificare almeno otto strategie progettuali basate sul tentativo di garantire margini di flessibilità agli spazi domestici ovvero sulla ricerca di una maggiore adesione fra la struttura distributiva dell’alloggio e i comportamenti tipici dei modelli abitativi contemporanei: - la “strategia dell’adattamento preventivo” volta ad adattare il progetto iniziale per garantire un migliore

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adattamento degli spazi domestici alle caratteristiche del primo nucleo familiare che utilizza la casa - la “strategia dell’adattabilità differita” volta a rendere facilmente adattabili gli spazi domestici alle variazioni di uso che possono verificarsi all’interno dello stesso nucleo familiare o dei diversi nuclei che utilizzeranno la casa nel tempo

Weissenhof, Stoccarda: due simboli della modernità.

- la “strategia della ridondanza” consistente nel rendere disponibili riserve di spazio all’interno dell’alloggio per assorbire le variazioni delle esigenze spaziali momentanee o definitive - di alcune attività residenziali - la “strategia della collettivizzazione” consistente nel rendere disponibili riserve di spazi collettivi all’esterno dell’alloggio da condividere fra più unità abitative - la “strategia della barca a vela” volta a rendere modificabili gli arredi per consentire lo svolgimento di diverse funzioni all’interno dello stesso spazio ridotto - la “strategia della geometria variabile degli spazi” volta a rendere modificabile la geometria e la superficie degli ambienti con vari accorgimenti - la “strategia della struttura portante modulare” basata sull’idea di determinare in modo irreversibile solo la posizione degli elementi “duri ed immodificabili” lasciando libera l’organizzazione dello spazio abitativo rimanente - la “strategia evolutiva” basata sul principio di crescita per stadi successivi della cellula edilizia originale.

“Noi dobbiamo inventare e rifabbricare la città futurista simile a un immenso cantiere tumultuante, agile, mobile, dinamico in ogni sua parte, e la casa futurista simile a una macchina gigantesca.” Antonio Sant’Elia

La strategia dell’adattamento preventivo e quella evolutiva si collocano ai due poli estremi del percorso tra minima e massima applicazione del principio di flessibilità; tra i due, si collocano le altre strategie che qui vengono descritte in un ordine corrispondente al crescente grado di flessibilità ad essi connesso.


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1. Non sempre è possibile sopportare l’onere aggiuntivo che deriva dall’applicazione di forme spinte di flessibilità, e non tutti sono disponibili a considerare pratiche le soluzioni che prevedono muri a geometria variabile. Per questo, per ottenere una sufficiente coerenza fra struttura dell’alloggio e necessità degli abitanti, nella pratica si preferisce spesso ricorrere alla “strategia dell’adattamento preventivo” che consiste nel predisporre in fase di progetto un ampio repertorio di soluzioni distributive in grado di soddisfare una vasta gamma di esigenze dei futuri abitanti. Ciò può essere effettuato in autonomia dai progettisti o coinvolgendo nella fase progettuale i futuri abitanti a cui sono concessi gradi diversi di libertà decisionale a seconda che ci si trovi in ambito di edilizia libera, cooperativa o di co-housing. Un modo semplice ed efficace di applicare questa strategia anche in assenza di un rapporto con i futuri utenti – che dovrebbe trovare regolare applicazione nella prassi progettuale - consiste nel definire soluzioni spaziali che consentano disposizioni alternative dell’arredo di ciascun ambiente. 2. La “strategia dell’adattabilità differita” è forse la più facile da applicare in quanto richiede solo di concepire gli alloggi garantendo loro una minima possibilità teorica di aggregazione degli spazi in futuro. E’ dunque applicabile anche agli impianti planimetrici più tradizionali a patto che siano basati su uno schema compositivo semplice e chiaro, meglio se regolato da un reticolo modulare che governi le ipotesi di riaggregazione e redistribuzione spaziale. L’utilità di questa strategia consiste nel permettere il cambiamento dell’uso di alcuni locali senza penalizzare la distribuzione generale dell’alloggio e l’accorpamento e lo scorporo di due o più spazi con opere di minimo impatto. Troviamo applicato questo principio negli alloggi per famiglie operaie progettate da Annibale Fiocchi e Marcello Nizzoli a Canton Vesco (Ivrea, 1953) dove bastano poche opere edilizie per riorganizzare la zona giorno e la zona notte senza stravolgere l’insieme, sia nel caso in cui sia necessario ricavare una nuova camera da letto quando il nucleo familiare cresce, sia quando occorra allargare la zona di soggiorno nel caso opposto. Un’altra applicazione interessante del principio è offerta dal progetto di residenze a Francoforte dell’architetto Kramm (1995) in cui gli

L’Orgasmatron, macchina del piacere ne Il dormiglione di Woody Allen

Annibale Fiocchi e Marcello Nizzoli, Case a Canton Vexco, Ivrea, 1948-53

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alloggi contigui possono essere uniti per dare origine a nuove unità immobiliari disponibili – come nel caso qui illustrato – a usi anche non convenzionali, adatti a nuclei familiari particolari. Queste modifiche sono invece concesse raramente dalla maggior parte degli alloggi che il mercato immobiliare offre in questi anni che in genere non possono essere modificati se non a costo di rimettere in discussione l’intero assetto distributivo. In questi casi dunque, la totale mancanza di flessibilità, fa si che il concetto di l’adattabilità differita coincida con quello di ristrutturazione generale dell’alloggio.

Gualtiero Casalegno, Casa in c.so Massimo D’Azeglio, 1957-58

Hans Scharoun

3. La “strategia della ridondanza” trova naturale applicazione nel “loft”, una particolare tipologia edilizia in cui la dissoluzione dei tradizionali schemi compositivi e la flessibilità degli spazi possono raggiungere la loro massima espressione. Derivata originariamente dalla trasformazione di ambienti industriali ed oggi proposta dagli operatori immobiliari anche in versioni create ex-novo, questa tipologia residenziale è caratterizzata da una superficie normalmente molto ampia e priva di suddivisioni e di funzioni confinate che la rendono adatta alle ambizioni e ai modi di vita di abitanti con stili di vita non convenzionali e una elevata capacità di spesa. Troviamo lo stesso principio applicato, sebbene in un modo del tutto diverso, nella produzione degli alloggi di alto standard realizzata a Torino negli anni ’1950-60 dall’architetto Gualtiero Casalegno. In questi casi, la flessibilità (ma forse qui sarebbe più corretto utilizzare il concetto di “aleatorietà funzionale” degli spazi) è resa possibile grazie ad una distribuzione spaziale fondata su principi razionali (qui applicati nonostante il contesto abbia ben poco a che fare con le istanze dell’existenzminimum) che sfrutta intelligentemente le notevoli opportunità offerte dalla superficie disponibile per creare situazioni spaziali fluide e potenzialmente multifunzionali. Un’elegante e duplice applicazione del principio è offerta da Hans Scharoun negli appartamenti realizzati in Siemensstadt a Berlino (1956), dotati da un lato di ambiti periferici di piccola dimensione abitabili indipendentemente o come prolungamento degli spazi di cui sono appendice e caratterizzati da una tipologia “simbiotica” che unisce in un’unica unità immobiliare un appartamento da quattro stanze e un monolocale dotati di ingressi autonomi che possono all’occorrenza


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essere separati realizzando una modesta parete. Un’interpretazione non consueta della strategia della ridondanza è ipotizzata da Monteyes e Fuertes che, rivalutando la soluzione delle “camere passanti”, propongono di dotare tutte le stanze di un alloggio di almeno tre porte: due verso le stanze attigue ed una verso il corridoio,1 al fine di garantire una totale permeabilità degli usi senza compromettere la facilità di isolare i singoli ambienti semplicemente chiudendo a chiave alcune porte. In pratica ciò che Rietvelt aveva realizzato quasi un secolo fa nella Casa Schröder a Utrecht. 4. Anche quando vincoli economici obbligano a contenere le superfici degli alloggi non è affatto automatico che ciò debba penalizzare l’offerta abitativa di un edificio. In questi casi è possibile infatti ovviare alle carenze dei singoli alloggi applicando la “strategia della collettivizzazione”, ovvero predisponendo spazi di riserva di uso collettivo da destinare a rotazione o in uso comune a tutti gli abitanti di un complesso edilizio o di un quartiere a complemento della dotazione di spazi e servizi offerti dai singoli alloggi la cui superficie in tal modo può essere contenuta. Applicato nell’edilizia pubblica, in alcune sperimentazioni cooperative e, più recentemente, nelle esperienze di co-housing, tale strategia si adatta ad essere utilizzata anche al di fuori di questo ambito, come dimostra l’applicazione ad un’abitazione a Zurigo dell’architetto Adrien Streich dove sono presenti spazi collettivi ad uso continuo destinati ad accogliere le lavatrici comuni e spazi a rotazione destinati a foresteria e agli incontri condominiali. Non stupisca l’applicazione di un principio di stampo “socialista” nella capitalistica Svizzera né, specularmente, la sua rara applicazione in Italia. Questo modello per essere adottato, richiede infatti più che l’adesione ad un’ideologia politica, una predisposizione alla condivisione delle decisioni ed alla gestione comune degli spazi pubblici e residenziali; dote di cui gli svizzeri si sono nel tempo dotati al contrario di noi.

Adrian Streich, Bandlìstrasse 22-34, Zurich, 2004-07

5. La “strategia della barca a vela” è certamente quella con maggiori limitazioni di applicabilità, risultando effettivamente adatta solo agli alloggi di taglio piccolo i cui pochi abitanti (1-2-3 al massimo) ne 9


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possono tollerare le non semplici implicazioni organizzative. Si tratta inoltre di una strategia che comporta di norma un aumento dei costi a parità di superficie, a causa della necessaria dotazione di arredi mobili che ne garantisce la concreta applicazione. Per tutte queste ragioni la flessibilità – salvo che nelle barche a vela e nei camper che però presuppongono un loro uso saltuario - ha cessato da tempo di essere associata al tipo di risparmio economico ottenibile riducendo lo spazio abitabile attraverso l’adozione di una doppia configurazione spaziale “notte-giorno” ottenuta con arredi mobili e trasformabili, così come immaginato da Le Corbusier con la “Maison Locheur”2 (1929) in cui la strategia della barca a vela era coraggiosamente proposta per la realizzazione alloggi popolari in serie.

Le Corbusier, Maison Locheur, 1929

Mies van der Rohe, Weissenhofesiedlung, Stoccarda, 1927

6 L’idea sviluppata agli inizi degli anni 1920 da Mies van der Rohe di una “Struttura portante modulare” sembra offrire una modalità concreta per soddisfare le esigenze di un variegato scenario di nuclei familiari. Basata sulla constatazione che la continua differenziazione delle esigenze residenziali richiede una grande flessibilità nell’utilizzo, l’idea consiste nel considerare fissi all’interno dell’edificio e dell’alloggio - a causa della loro intrinseca “rigidità” strutturale o impiantistica¬ – il blocco scale, la cucina e il bagno e liberamente organizzabili le suddivisioni degli altri spazi della casa. Mies van der Rohe trovò modo di sviluppare concretamente e con un certo successo questo approccio nel 1927 in occasione della realizzazione a Stoccarda, nel quartiere sperimentale “Weisenhofsiedlungen”3, di un edificio in linea di cui si limitò a progettare l’involucro e le zone “dure” lasciando ad altri architetti la progettazione della suddivisione interna e dell’allestimento dei 29 appartamenti destinati a tipologie diverse di inquilini (famiglie numerose, single e persino donne professionalmente impegnate) individuate per simulare i possibili esiti di un’evoluzione del modello familiare futuristica per l’epoca, ma assolutamente reale per noi oggi. Con la memoria al blocco residenziale del Weisenhof, alcuni architetti contemporanei hanno proposto soluzioni centrate sul tema della flessibilità che forniscono interpretazioni innovative della struttura di un alloggio.4


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L’edificio Verdemonte di Luigi Snozzi a Bellinzona (1974-1976) propone un’applicazione semplice ma allo stesso tempo estrema del principio. Una serie di stanze identiche sono allineate all’interno di una manica contenuta tra corpi di fabbrica posti trasversalmente che contengono una cucina e un soggiorno. Non esistono elementi duri e parti “molli”. Tutta la struttura è dura e molle allo stesso tempo. La dimensione dell’alloggio dipende solo dal numero di stanze che vengono aggregate a ciascun blocco principale. Nijirc & Nijirc applicano in modo semplice ma efficace il principio nelle residenze a Den Bosch. Fink&Jocher, nel complesso Kronesberg di Hannover, hanno disegnato una struttura neutra che si presta ad essere suddivisa in varie zone. La maglia modulare con un interasse di 6 metri permette la realizzazione di un’ampia variazione planimetrica, dall’appartamento tradizionale con corridoio centrale e stanze separate al concetto di open-living fino al cosiddetto “loft”. La profondità di manica maggiore rispetto agli alloggi del Weissenhof e la possibilità di collocare i servizi igienici in posizione centrale, genera una disponibilità di spazio che Mies va der Rohe non poté sperimentare. Gli stessi architetti a Berna allargano il concetto di flessibilità anche alla terza dimensione in un edificio destinato a contenere abitazioni, uffici, laboratori e atelier. Il progetto definisce a priori solo la posizione del vano scala e delle colonne degli impianti, mentre il resto degli spazi può essere allestito secondo i desideri e le capacità economiche degli inquilini. Il piano terra – alto 3,5 metri – è destinato ad accogliere ambienti di lavoro. Oltre agli appartamenti disposti nei pressi del blocco scala principale, un ballatoio esterno crea al secondo piano il collegamento con gli appartamenti duplex che dispongono di ampie coperture terrazzate. Il ballatoio inoltre permette l’accesso agli appartamenti atelier, alcuni dei quali si congiungono con gli spazi di lavoro al piano terreno. In questo caso quindi la risposta alle varie esigenze abitative e alla richiesta di alloggi di diversa grandezza è stata ottenuta con il differente e variabile collegamento interno dei piani.

Fink & Jocher, Complesso residenziale, Hannover, 1999

7. Alla “strategia della geometria variabile” hanno fatto recentemente riferimento architetti di diversa estrazione: a Vienna Herbert Wimmer ha tradotto le esigenze di flessibilità in un piccolo edificio proponendo 15


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una pianta a che contiene due stanze da 16,5 mq affacciate sui due lati della casa che possono comunicare attraverso una parete mobile composta da tre elementi. Altre porte larghe 1,6 metri possono poi essere aperte trasversalmente. Una delle stanze prevede l’allestimento della cucina abitabile, le altre tre non hanno un uso definito.

Steven Holl, Fukuoka Housing

In un altro edificio lo stesso architetto ha suddiviso la superficie dell’alloggio in tre parti, ognuna poco più larga di 3 metri che offre la possibilità di una vasta gamma di combinazioni spaziali con la semplice apertura e chiusura delle porte scorrevoli. Steven Holl nelle sue residenze a Fukuoka e Boudon, Michel, Monnot nelle residenze per Impiegati delle Poste a Parigi ne hanno proposto due applicazioni non convenzionali.

Riken Yanamoto, Shinonome

Il principio viene applicato con soluzioni distributive innovative da Riken Yamamoto per dare corpo ai principi del programma edilizio del complesso Shinonome a Tokyo, rivolto a soddisfare le esigenze abitative di cittadini con esigenze di forte contiguità tra spazi di abitazione e di lavoro. Le cellule edilizie concepite in modo flessibile, sebbene di modesta dimensione, possiedono una discreta capacità di adattamento alle diverse esigenze lavorative dei propri abitanti consentendo sempre la possibilità di ricavare sul fronte affacciato sul disimpegno comune, uno spazio di dimensione variabile da destinare ad ufficio. Andreguen e Gallegos, nelle residenze a Carabanchel (Madrid) realizzano una sintesi tra la strategia della “barca a vela” e quella della “geometria variabile” realizzando un’articolata proposta tipologica basata su spazi neutri e pareti scorrevoli che prevedono la scomparsa dei letti sotto il pavimento sopraelevato del corridoio, in modo da garantire la disponibilità di alcuni spazi destinati alle attività diurne - private e collettive - anche per le funzioni notturne.

Patricia Zacek, Residenza nella Siccardsburggasse, Vienna, 2003

L’uso cauto di aperture scorrevoli attuato da Patricia Zacek in un edificio a Vienna mette in luce i limiti di applicabilità di questo approccio alle tipologie destinate a nuclei familiari più grandi. Negli alloggi a due stanze (destinati a nuclei familiari ridotti) rivolti a sud, grazie all’orientamento della cucina componibile verso un lato e della porta del servizio igienico verso l’altro, entrambe le stanze sono ben


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definite: una come camera da letto, l’altra come soggiorno. In caso di necessità possono essere unite nella parte terminale dell’alloggio verso le aperture sul fronte cosicché la netta divisione funzionale viene ridotta (ma non eliminata come nei casi precedenti) da questa sovrapposizione spaziale. Nelle unità immobiliari più grandi, disposte nell’ala est-ovest del complesso, l’architetto ha invece preferito rinunciare completamente ai pannelli scorrevoli, limitandosi a definire una spazialità meno convenzionale e più spigliata con la collocazione di un nucleo centrale di disimpegno e servizio che separa le camere da letto a est dalla zona soggiorno-cucina affacciata a est, attraverso una loggia, sull’interno dell’isolato. 8. L’applicazione più radicale del principio di flessibilità è realizzata – limitatamente alle abitazioni unifamiliari – dagli edifici evolutivi, la cui superficie si incrementa seguendo l’evolvere delle necessità della famiglia e della sua disponibilità di risorse finanziarie. Tre diversi modalità di applicazione della strategia evolutiva sono illustrati da progetti di Klein, Hertzberger e Piano.5 Come evidente dagli esempi qui riportati, esistono tre livelli diversi di flessibilità:6 - la flessibilità iniziale: che riguarda la possibilità di scelta dell’utenza fra soluzioni diverse (strategia dell’adattamento preventivo) - la flessibilità d’uso: che riguarda l’adattabilità dei singoli spazi ad usi diversi (strategie della ridondanza, collettivizzazione, barca a vela, geometria variabile, struttura portante modulare ) - la flessibilità nel tempo: che riguarda la capacità dell’alloggio di adattarsi all’evoluzione delle esigenze del nucleo familiare (strategie dell’adattabilità differita, evolutiva) Livelli che, in concreto, possono essere garantiti, nel primo caso, attraverso la messa in pratica di particolari attenzioni progettuali che devono riguardare la:

“(...) the center of the composition is not a building, but an empty space.” Renzo Piano


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geometria dei singoli ambienti (talvolta – come il caso di Piano

insegna – relativa anche alla sezione e non solo alla pianta) - - -

distribuzione degli ambienti posizionamento e caratteristica di porte e passaggi interni reti degli impianti

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dimensione e collocazione dei serramenti esterni

e, negli altri due casi, anche attraverso l’intervento su alcuni aspetti tecnici dell’alloggio e dell’edificio come:

La tripolina, flessibilità e praticità dal deserto libico al giardino di casa

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caratteristiche degli elementi di separazione

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modularità della struttura portante caratteristiche tecniche e geometriche delle pareti esterne

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tipo e posizione dei blocchi di servizio posizione degli elementi connettivi dell’edificio

Anche il principio di Flessibilità presenta però limiti applicativi, pratici e concettuali. In primo luogo perché si tratta di una condizione il cui raggiungimento induce sempre un aumento dei costi standard a causa della predisposizione di elementi speciali, del necessario sovradimensionamento degli impianti e della necessità di futuri interventi. In secondo luogo perché si tratta di un principio non applicabile in modo estensivo e con la stessa intensità in ogni caso. La sua massima espressione – rappresentata dalla piante completamente flessibili e “aperte” - appare infatti adatta solo a unità abitative destinate a nuclei familiari piccoli, mentre la sua applicazione a quelli di maggiore dimensione, laddove una totale flessibilità si scontra con le dinamiche dello stile di vita familiare, appare più problematica. L’assenza dei corridoi e della separazione tra i singoli ambienti ottenuta Archizoom, Superonda

con le pareti mobili, comporta infatti una significativa riduzione sia dell’isolamento acustico interno, sia delle superfici arredabili; condizioni poco adatte a tipologie destinate a nuclei familiari grandi. Come qualcuno sostiene infatti “(...) la pace della famiglia dipende dallo status-quo e ciò presuppone la presenza delle pareti. Il mantenimento delle condizioni di armistizio (..)fra i componenti del nucleo familiare(..) richiede anche una continuità nell’arredamento interno dell’abitazione: indipendente da quanto siano mobili le pareti.”7


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Meglio dunque in questi casi tentare un’applicazione del “principio di ridondanza” predisponendo “(…) un ambiente non specializzato immediatamente collegato con l’ingresso che potrebbe fungere alternativamente da studio o camera per gli ospiti, da spazio personale per un figlio o da zona di soggiorno per i componenti anziani della famiglia.”8 Pur escludendo perciò la possibilità di introdurre gradi elevati di flessibilità a tutte le tipologie di alloggi, un’applicazione diffusa di tale principio è assolutamente auspicabile e peraltro anche teoricamente probabile nel prossimo futuro quando anche il mercato dovrà rispondere più adeguatamente alle esigenze abitative delle famiglie orientandosi maggiormente proprio verso quelle tipologie di taglio medio e piccolo per le quali le considerazioni sviluppate in questa riflessione e le strategie qui illustrate risultano particolarmente adatte.

“(...) In New Babylon, where the nature and structure of space changes frequently, one will make much more intensive use of global space.” Costant, New Babylon, 1974


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Note

1. X. Monteyes, P. Fuertes, op. cit., pag. 76 2. Vedi: www.afewthoughts.co.uk/flexiblehousing/index.php 3. Vedi: www.weissenhofsiedlung.de 4. Gli esempi sono tratti da: E. Wurst “Interno ed esterno…” in: “Alta densità abitativa. Idee. Progetti. Realizzazioni” a cura di C. Schittich, Ed. Detail, Monaco di Baviera, 2005 - Studi sulla casa urbana, a cura di Milena Farina, Gangemi, Roma, 2007 - LOTUS International n. 120/2004 - X. Monteyes, P. Fuertes, Casa collage. Un esayo sobre la arquitectura de la casa, Ed. Gustavo Gili, Barcelona, 2001 – O. Heckmann, F. Schneider, Floor plan manual housing, Birkhäuser, Basel, 2011 5. Per Piano si veda: www.facebook.com/video/video.php?v=1459561254237&ref=mf Per Hertzberger: www.flickr.com/photos/krokorr/5473864475/lightbox/ 6. M. Grecchi “La flessibilità abitativa. Casi di studio europei” in: Ri-pensare l’abitare. Politiche, progetti e tecnologie verso l’housing sociale, a cura di A. Dellera, Hoepli, Milano, 2009, pag.99 7. L. Burckhardt, “Die kinder fressen hire Revolution”, in: «arch+» n.100/101 (Cit. in: E. Wurst, 2009) 8. C. Schittich “La sfida dell’architettura residenziale ad alta densità” in: “Alta densità abitativa. Idee. Progetti. Realizzazioni” 2005, pag.11


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Rifle s s i o n i * Enrico Giacopelli /// Compendio al Corso di Composizione Architettonica ////////////////////// Facoltà di Architettura /// Politecnico di Torino //////////////////////////////////////////////////////

* Enrico Giacopelli (1959), architetto, parallelamente all’attività professionale svolge attività di ricerca e di docenza in campo universitario ed extrauniversitario, contribuendo ad orientare la propria attività professionale verso temi che comportano un approfondimento metodologico e una riflessione sui riferimenti storici dell’agire professionale. Ha sviluppato attorno al tema della conoscenza, della salvaguardia e della valorizzazione del patrimonio architettonico moderno parte della propria attività professionale attraverso progetti di restauro e recupero, approfondimenti scientifici, consulenze e attività di animazione culturale.Tra gli esiti di tale azione: la catalogazione del patrimonio dell’architettura moderna di Ivrea / la redazione delle Normative di Salvaguardia dell’architettura Moderna di Ivrea / la consulenza al Nuovo PRG di Ivrea relativa al tema dell’architettura moderna / la progettazione del MaAM / la consulenza per il restauro del Quartiere Canton Vesco / il restauro delle Officine ICO di Figini e Pollini / la consulenza per la conservazione del Centro Congressi La serra di Cappai e Mainardis. Al restauro delle Officine ICO sono stati assegnati nel 2009 la Menzione d’Onore “Medaglia d’oro all’architettura italiana” della Triennale di Milano e il “Premio In-Arch”. È professore a contratto di Composizione Architettonica presso la II Facoltà di Architettura di Torino ed è coordinatore e docente della “International Summer School of Ivrea”.


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