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CN/CONV/0969/2010

Free Service srl Edizioni - Falconara M. (AN) - Supplemento n. 5 al n.7/8 Luglio-Agosto 2011 di Regioni&Ambiente

M A G A Z I N E

SPECIALE ISCHIA n. 15 - Ottobre 2011 3° Forum Internazionale PolieCo: L’Economia dei Rifiuti


EDITORIALE

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A poco più di un mese dalla chiusura del III Forum Internazionale PolieCo sull’Economia dei Rifiuti (Ischia 23 e 24 settembre), ancora una volta si è ritenuto doveroso, investire in un servizio di informazione puntuale per quanti, impossibilitati a venire, hanno perso la possibilità di partecipare ad un evento di alta formazione e rilevanza internazionale per la diffusione di una sana cultura ambientale nel quadro della legalità e della green economy. La ricchezza culturale dei Relatori e dei rappresentanti dei Ministeri e delle Commissioni parlamentari; la competenza tecnica di luminari del Diritto, della Magistratura, dell’Università, della Comunicazione; la presenza di esponenti dello Stato, e la voce degli imprenditori non poteva essere sottaciuta, né poteva essere sufficiente alla veicolazione delle risultanze dei lavori il pur nutrito numero di articoli apparsi sulla Stampa nazionale, locale e sui portali on-line (a questo proposito non può che renderci orgogliosi la pubblicazione sul nostro sito della corposa Rassegna Stampa a consuntiva dell’evento ischitano). Pertanto, in concomitanza con

l’appuntamento nazionale di ECOMONDO 2011 (15 Fiera Internazionale del Recupero di Materia e di Energia e dello Sviluppo Sostenibile), si è voluto dare alle stampe una sintesi ragionata del Forum cercando di fornire al Lettore il succo di tutti gli interventi nella scansione esatta in cui sono stati presentati. La stringenza delle tematiche trattate, ovvero l’internazionalizzazione del mercato dei rifiuti nella più stretta osservanza della legalità e nel quadro di una rinnovata e, per certi aspetti, preoccupante “nuova geografia dei rifiuti”, ci spinge, accanto alla necessità di rispondere positivamente alla crisi economica in atto, a ripensare le nostre strategie industriali, coinvolgendo nel dibattito nazionale tutti gli attori coinvolti al fine di conseguire risultati economici ottimali ed analoghi risultati ambientali. La necessità di realizzare

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quella green economy di cui tutti parlano ma, della quale, finora si stenta a vedere un risultato ottimale e concreto, ci pungola, altresì, a far tesoro delle suggestioni maturate in seno al Forum e a perseguire un modo nuovo di “fare rete” per potenziare il comparto del riciclo e costruire insieme l’industria verde di domani. Buona lettura. Il Presidente Enrico Bobbio

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III Forum Internazionale PolieCo sull’Economia dei Rifiuti (Ischia, 23-24 settembre)

MATERIALI PLASTICI E RICICLO: LA SFIDA ECONOMICA PROSSIMA VENTURA Dal Forum PolieCo, “pensatorio di Green Economy”, l’invito a giocare la partita del riciclo, la proposta di una Confindustriale Verde e la spinta ad una nuova “cultura del riciclo”.

Dare una forte accelerata al settore del riciclo in Italia, raccogliendo la sfida dei materiali plastici e promuovendo una nuova “cultura del riciclo” che ne rilanci l’economia. È questo il messaggio che il Consorzio PolieCo lancia dal III Forum Internazionale sull’Economia dei Rifiuti (Ischia, 23-24 settembre). Diventato ormai un appuntamento irrinunciabile nel panorama convegnistico internazionale, il Forum, qualificato come la “Cernobbio dei Rifiuti”, per l’importanza e l’autorevolezza delle partecipazioni, oltre che per il loro ampio respiro internazionale, torna per il terzo anno consecutivo a parlare di riciclo con tutta la sua carica propositiva e dirompente, oltre che con il suo peso autorevole. Dopo aver sviscerato il tema dell’Etica associata all’impresa del riciclo durante la prima edizione, dopo aver approfondito il tema della Legalità nella seconda edizione, la due giorni ischitana targata 2011 guarda in avanti, si declina in chiave industriale e si proietta nel futuro, concentrandosi sulle prospettive offerte dal binomio “Industria - Green Economy”, un binomio che lungi dall’essere mera opportunità per l’impresa, oggi è un vero e proprio must, l’unica formula vincente per uscire dalla crisi. Di qui l’invito di PolieCo a “muoversi” nella “direzione giusta” e a iniziare la rincorsa dei Paesi emergenti; di qui l’invito a giocare la partita del riciclo: la capacità di produrre beni in maniera ambientalmente sostenibile è la nuova sfida competitiva con cui deve misurarsi il comparto industriale nazionale. Dalla mappa globale dei flussi dei rifiuti riciclabili, alla fotografia dei trend in corso a livello internazionale, delle prospettive e degli interessi economici in gioco, passando per l’analisi delle attuali criticità e dei vincoli che a livello normativo, politico ed industriale gravano sull’economia nostrana del riciclo, impedendone il decollo, fino alla pre-

sentazione di casi e modelli di successo a cui guardare con interesse, il Forum 2011 segna la rotta da seguire, oltre che l’agenda delle priorità di medio termine per il comparto del riciclo dei materiali plastici. Inviti, moniti, sollecitazioni, richieste, ma anche esempi pratici, idee concrete e modelli di successo. Sono questi gli ingredienti del successo della III edizione del Forum targato PolieCo, una formula che ogni anno raduna numerose personalità di spicco del panorama nazionale ed internazionale della politica, dell’economia, dell’industria, della cultura, della ricerca e della magistratura, in platea o al tavolo dei relatori, a discutere e a confrontarsi sul riciclo e sulle sue prospettive future. Molto più che un semplice osservatorio privilegiato sull’economia del riciclo, il Forum ischitano si conferma anche per l’edizione 2011 un vero e proprio “pensatoio di Green Economy”, un’occasione unica ed irrinunciabile per gli operatori del settore e per gli attori coinvolti sulla scena nazionale ed internazionale, di confronto e di approfondimento, in grado di produrre e stimolare una riflessione alternativa sul tema, volta ad inaugurare nel nostro Paese una nuova “stagione del riciclo” fondata su una “nuova cultura del riciclo”. Ecco allora che la “Cernobbio dei Rifiuti, oltre a presentare esempi virtuosi di buone pratiche industriali a livello nazionale ed internazionale, non ha mancato di lanciare idee, proposte, inziative concrete, come quella di una “Confindustria Verde”, volta a raggruppare tutti quei soggetti in grado di garantire il futuro sostenibile dell’economia del Paese. La corsa alla Green Economy non si gioca a suon di slogan. Per essere sostenibili e competitivi non basta apporre il prefisso “eco” o “bio” o proclamarsi semplicemente “green”. “Oggi perseguire la green economy non è più solo un fatto di moda, bensì una scelta obbligata per le imprese” - ha dichia-

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rato in apertura del Forum, Enrico Bobbio, Presidente del Consorzio PolieCo - Occorre fare rete se si vuole raccogliere e vincere la sfida che ci si presenta”. Ma non solo. “Per uscire dall’empasse ci vuole la cultura” ha continuato il Presidente Bobbio - Occorre un cambio di rotta. In questo momento di recessione, la Green Economy è l’unico vera economia con un fatturato in crescita. Eppure, la sfida della Green Economy non si gioca solo sul piano ambientale, ma anche su quello industriale, economico, sociale, politico, normative e culturale. La Green Economy è infatti allo stesso tempo un problema e un’opportunità ambientale, industriale e sociale. È pertanto impensabile tentare di governare la Green Economy con il vecchio sistema. Occorre un cambio di registro e di paradigma. Senza, ad esempio, regole certe, facilmente applicabili ed univocamente interpretabili, la Green Economy rischia di essere un terreno scivoloso, oltre che un boomerang che torna indietro. Frode e contraffazione sono solo alcune delle minacce che rischiano di frenare il suo decollo. Di qui la necessità di regole certe, controlli a pieno campo e sanzioni, altrimenti il sistema rischia di fallire e la new economy rischia di essere un flop. Senza regole, controlli e sanzioni la green economy non ha futuro e senza Green Economy non avrà futuro nemmeno l’industria”. Di qui l’accorato appello del Presidente a fare rete e a riunirsi sotto il “cappello” di una Confindustria Verde: “senza una Confindustria Verde non si va nessuna parte - ha dichiarato il Presidente PolieCo a conclusione del suo intervento di apertura al Forum. Lo riportiamo di seguito nella sua completezza.

Prolusione del Presidente PolieCo, Enrico Bobbio Onorevoli Ospiti, stimati Relatori, e voi tutti che avete raccolto l’invito a partecipare a questa III Edizione del Forum Internazionale PolieCo sull’Economia dei Rifiuti, come d’uopo, in queste occasioni, corre l’obbligo istituzionale di dedicare del tempo per meglio veicolare le ragioni che hanno spinto la struttura consortile che mi onoro di presiedere ad investire nuovamente in un evento che sia di notevole indirizzo ed interesse per tutti i soggetti coinvolti e quindi, soprattutto a tutela dell’ambiente. La volontà è quella di perseguire e stimolare un deciso rilancio del comparto industriale, in generale, del PE collegato al riciclo dei rifiuti, in particolare, in chiave di green economy, ovvero, quel nuovo modello di sviluppo che consenta la coniugazione dei tre fattori: economia, ambiente e società. La capacità dell’industria di corrispondere alle esigenze ambientali è infatti diventata il vero fattore competitivo con cui misurarsi all’interno del mercato globale, e sul miglioramento di tale capacità si gioca lo sviluppo economico dei Paesi. Si tenga presente, al fine di questo ragionamento, che oggi, una parte considerevole dell’industria trainante è rappresentata dalle aziende che hanno saputo rinnovarsi in chiave green conseguendo profitti senza pesare sulle risorse non rinnovabili del Pianeta. Secondo il Rapporto Italia 2010 edito dall’Eurispes, infatti, l’economia mossa dalle “aziende verdi” vale 810 miliardi di euro nel Mondo, 122 miliardi di euro in Europa e 10 miliardi di euro in Italia, con un’incidenza sul consumo mondiale ed europeo, rispettivamente, dell’1,2% e dell’8,2%. Il Forum di Ischia e il ruolo del PolieCo nel quadro della Strategia tematica europea sui rifiuti Leggendo tra le righe della nuova Strategia tematica europea sui rifiuti, salta subito

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all’occhio come il futuro della gestione dei rifiuti imponga, ai soggetti coinvolti, creatività, fantasia e ingegno nell’ottica dell’innovazione e della ricerca in chiave “eco”. Altro tema particolarmente caro agli amministratori di Strasburgo e di Bruxelles è quello legato al contenimento dell’inquinamento (ed al relativo risparmio energetico), che impone al settore dei rifiuti una politica che veda nel riciclaggio non un modo per prevenire il solo spreco di materiali, bensì un percorso organico mirato alla riduzione del consumo delle materie prime sempre più scarse e all’ottimizzazione dei consumi energetici. Appare chiaro, quindi, come in Europa non si punti più nella semplice differenziazione dei materiale “di scarto e risulta” per renderne meno onerosa la riutilizzazione, ma si spinge per attuare un riciclaggio dei materiali con metodi sempre più originali incrementando uno sviluppo tecnologico che condizioni la produzione dei beni affinché questi siano poi meglio gestibili allorquando diventeranno rifiuti (ottimizzazione del Life Cycle Assessment). Tale percorso dovrebbe necessariamente attuarsi anche in Italia, non solo perché è meglio in termini di sostenibilità, ma perché conviene alle imprese e alla società tutta, considerando che la Legge beneficerà coloro che produrranno con riciclato e ciò avrà anche effetti positivi sulla ripresa dei prodotti immessi sul mercato. Il Forum di Ischia, si pone, quindi, come occasione di riflessione ed approfondimento, oltre che come territorio di confronto sui punti nodali della discussione che, a questo punto giova sintetizzare brevemente: • esigenza di rispondere puntualmente e positivamente alla crescente richiesta di beni e servizi caratterizzati ambientalmente; • rinnovare la politica di gestione dei rifiuti; • coinvolgere tutti i mercati e i players per ogni tipologia di materiale;

• interrogarsi sulle “regole del gioco”, soppesando come le varie norme a tutela della legalità nei traffici dei materiali stessi, possano, in casi estremi, porre barriere ai fini della creazione di un mercato efficiente del recupero e del riciclo. Si sottolinea, poi, che è ancora molto attuale il problema relativo a come e con quali regole dovrebbe essere definito un mercato che opera nella gestione dei rifiuti. Tale questione è stata ben illustrata dall’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato che ha sottolineano situazioni possibilmente lesive della libera concorrenza in presenza di rifiuti che “di fatto” hanno un valore commerciale e quindi sono “prodotti” vendibili; inoltre, l’eccessiva polverizzazione dei players operanti in un mercato che, pur dovendo garantire la libera concorrenza, non può rischiare di indebolire le possibilità di controllo e di aumentare le probabilità di concorrenza sleale. Da tempo è riconosciuta, al PolieCo, una posizione di predominanza all’interno del sistema di gestione consortile in Italia, rappresentando la punta più avanzata ed organizzata di compatibilità tra la concorrenza ed il controllo. È infatti un sottosistema che funziona e che a proposito di Green economy - in oltre dieci anni ha fatto tra l’altro risparmiare risorse alla collettività per la mancata emissione di gas serra, consentendo anche tagli nei costi dello smaltimento dei rifiuti. Tutto ciò a dimostrazione che una intelligente gestione dei rifiuti (applicata anche in funzione della nuova stabilita gerarchia) dà vantaggi ecologici ed economici, costituendo un forte incentivo per lo sviluppo economico sostenibile e quindi per la Green Economy anche del settore rifiuti.

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Le passate edizioni del Forum e la III Dopo aver sviscerato il tema dell’Etica associata all’impresa del riciclo grazie al contributo dei tanti Relatori che si sono avvicendati durante la prima edizione del Forum; prose-

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guendo con la riflessione dello scorso anno sul tema della Legalità, argomenti comunque che troverete nel Volume redatto dal Consorzio PolieCo e che raccoglie tutti i lavori delle passate edizioni. Quest’anno, il Forum ischitano, si incentra sul binomio: industria e green economy. La capacità di produrre beni in maniera ambientalmente sostenibile è la nuova sfida competitiva con cui deve misurarsi il comparto industriale nazionale, nella consapevolezza che altrove questa sfida è già stata raccolta (si pensi, ad esempio al caso emblematico del Brasile che ha saputo affrancarsi dai vettori energetici tradizionali investendo sulla chimica verde e sui derivati dell’etanolo in luogo di quelli scaturiti dalla tradizionale sintesi del petrolio) e portata avanti da molte imprese, basti citare il caso nazionale delle strategie perseguite in questi ultimi anni dai colossi Novamont ed ENI. Questa sfida può essere coniugata in molti modi: dalla produzione energetica da fonti rinnovabili, alla sintesi dei biopolimeri, sino al settore che, in maniera aggregata, possiamo far afferire ai rifiuti ed al loro riciclo.

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Le sfide del comparto industriale La competizione, in questo settore, si concretizza in diversi modi, perseguendo, ad esempio, la realizzazione di beni più facilmente riutilizzabili o riciclabili, implementando processi di gestione che permettano ai produttori di beni di rientrare in possesso dei beni stessi quando questi raggiungono il loro fine vita, producendo e utilizzando materiali riciclati piuttosto che materia prima vergine. Certamente è necessario che a sostegno della affermazione di questi nuovi modelli produttivi si muova anche la legislazione, facendo in modo di premiare coloro che tali modelli adottano (ad esempio mediante meccanismi di detassazione) ovvero cercando di sostenere il mercato dei prodotti

mediante l’attivazione reale di meccanismi di green public procurement (GPP Acquisti Verdi). Né occorre dimenticare che nella corsa alla ricerca a tutti i costi del “suffisso bio”, non si può non tener conto delle implicazioni in termini di risorse colturali alimentari. Inoltre, urge che istituzioni e soggetti deputati alla formazione ed informazione, operino nella direzione di costruire un cultura condivisa basata sulla strategia della valorizzazione dei materiali di scarto che, per un paese povero di materie prime come l’Italia, rappresenta l’unica possibilità per conseguire la riduzione dei problemi ambientali che pure ci contraddistinguono ma anche, e direi soprattutto, la disponibilità di risorse che altrimenti saremmo costretti ad acquisire all’interno di un mercato i cui costi sono via via crescenti. Cosa chiedono le imprese È evidente il raggiungimento di questi obiettivi passa attraverso vari step che coinvolgono tutti i soggetti della vita pubblica del Paese né, possono essere rubricati solo in capo alle singole imprese o raggruppamenti di queste, e d’altra parte è altrettanto indubitabile che in questa partita ogni parte deve mettersi in gioco, a partire dalle imprese, per giungere alla grande distribuzione, ai cittadini, alla politica. In questo senso, l’innovazione che le imprese chiedono riguarda vari aspetti: - quello tecnologico, ad esempio, per quanto attiene i nuovi materiali, le tecnologie produttive, le tecnologie per il trattamento degli scarti etc; - quello normativo, per cominciare a ragionare in termini di materiali e non più di flussi di provenienza dei rifiuti; - quello relativo ai processi, perché tutti i soggetti che intervengono a diverso titolo nella produzione e nel trattamento degli scarti (i produttori di beni, i distributori, i consumatori,

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i riciclatori) operino per generare delle sinergie in grado di produrre dei benefici (anche economici) per tutti e per ciascuno. Non dimentichiamo che l’Italia su questo terreno si gioca un patrimonio di know-how assolutamente unico; proprio per la sua cronica mancanza di materia prima essa è stata infatti la prima a sviluppare tecnologie e comparto industriale finalizzati al riciclo di materiali. Solo i più giovani possono non conoscere gli “straccivendoli” ed i “cartonari”. Eppure questo patrimonio rischia di essere perduto a favore dei Paesi emergenti perché il nostro Paese non è in grado di mettere a sistema tali competenze e di sostenerne lo sviluppo razionale. In certe nazioni con Cina, India, Brasile, Kenia (dove si concentra maggiormente la piaga del lavoro minorile), i bambini sono condannati ad un’infanzia negata ed i più vengono costretti in impieghi che mettono a rischio salute mentale e fisica sull’altare del mero profitto. Io non mi stancherò così come dimostrato in tutti questi anni con la politica adottata dal Consorzio PolieCo - di sollecitare gli operatori economici a muoversi nella direzione giusta, ed in questo il supporto che può essere fornito dalle associazioni di categoria può rivelarsi cruciale. Il Forum di Ischia come “pensatoio” di green economy Fatta la “fotografia” delle ragioni che ci hanno spinto ad investire in questa iniziativa e la cornice in cui questa si muove, mi sia permesso, di dedicare uno spazio alla presentazione degli obiettivi dell’edizione 2011. Il Forum 2011 intende dare conto delle questioni precedenti, con l’obiettivo di definire l’agenda di medio periodo per il comparto del riciclo dei materiali plastici. A questo scopo il Forum intende: • delineare, quantitativamente e funzionalmente, il quadro

relativo al mercato mondiale dei materiali plastici riciclabili e della produzione di beni riciclati. Da questo punto di vista, in particolare, il Forum vuole mettere in evidenza come la disponibilità di materiali riciclabili, con la sua capacità di sostituire l’utilizzazione delle MP, svolga un ruolo crescente nella determinazione dei modelli organizzativi/produttivi delle aziende che producono beni utilizzando tali materiali. Un aspetto di particolare rilevanza, connesso al ruolo di sostituzione svolto dai materiali riciclabili è quello relativo al rapporto petrolio/polimeri, poiché direttamente collocato all’interno della crisi energetica (e geopolitica) attuale, e che sollecita a determinare prospettive di sviluppo ed investimento nel settore del riciclo; • fare il punto sull’effettivo profilo di produttività delle aziende del riciclo dei materiali plastici in Italia, ed in particolare di quelle che operano sul mercato “libero”, cercando in tal modo di dare pienamente conto del ruolo fondamentale che esse svolgono nel settore; • fare il punto sul quadro degli interessi e delle competenze dei consorzi e delle imprese, anche in relazione al mutato quadro normativo (ad esempio: D. Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, norma sugli shopper) che in qualche modo pone l’esigenza di ridefinire gli ambiti di interesse sia delle imprese che dei consorzi stessi; • identificare in maniera strutturata gli elementi che costituiscono una barriera al miglioramento dei profili di prestazione del settore nel suo complesso; • delineare un quadro prospettico di sviluppo, affrontando le diverse questioni che rappresentano la frontiera con cui il comparto nazionale della gestione dei materiali e del riciclo deve confrontarsi. Gli aspetti che non potranno essere ignorati concernono: 1. il nuovo scenario giuridico; 2. le opportunità all’accesso al mercato internazionale;

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3. i nuovi modelli di cooperazione tra gli operatori di filiera (raccolta, riciclo e riutilizzazione del materiale riciclato) come strumenti di sistema; • documentare l’esistenza di casi di successo (sia nazionali che internazionali, e tra questi ultimi con una particolare attenzione al caso Cinese) sulla base dei quali detrarre utili indicazioni da fornire sia al mondo degli operatori economici che a quello politico e giuridico. Il Forum intende inoltre impegnare la politica in concrete azioni a favore del settore del riciclo, per quanto attiene il sostegno alla ricerca ed allo sviluppo, il sostegno alle aziende che investono in innovazione di processo, gli incentivi ai consumi eco- friendly e, infine, lo sviluppo di criteri e di politiche di Green Public Procurement. Questo ultimo aspetto, in particolare, assume particolare rilevanza se si considera che in Europa, gli acquisti degli Enti Pubblici costituiscono il 14% del PIL europeo. Infine, come ogni anno il Forum si occuperà di etica e legalità, tema centrale dell’attività di PolieCo, e sul quale lo stesso PolieCo ha prodotto importanti iniziative di promozione ed ha riscosso notevoli successi per il suo operato. Vorrei ricordare che nessun processo di rinnovamento è possibile senza tener conto che le aziende operanti nell’ambiente si muovono su un terreno molto scivoloso che abbisogna di regole certe, facilmente applicabili ed univocamente interpretabili. Al centro del dibattito del Forum 2011 sono le questioni che attengono al rapporto esistente tra l’esportazione dei materiali riciclabili, i processi di produzione di beni da materiali riciclati (in particolare quelli che hanno luogo in paesi in cui i meccanismi di controllo sono diversi da quelli europei e nazionali) ed il mercato nazionale dei beni prodotti. Quale etica governa tali rapporti? Non sono domande peregrine, né tematiche da sottovalutare,

perché senza regole e controlli sui mercati che andranno a sostituire i flussi di materia prima vergine, si rischia il fallimento dell’idea di green economy. Le cinque Sessioni di lavoro in cui è diviso il III Forum di Ischia, contribuiranno all’analisi e all’approfondimento delle tematiche succitate. Verso una “Confindustria Verde” Avviandomi alla conclusione di questo intervento, vorrei terminare ricordando come l’attuale fase industriale sia giunta ad un quarto livello della sua evoluzione: dai primordi, in cui dominava la dinamica del saper fare, allo step successivo, in cui si è sviluppata la capacità di vendere, alla fase della gestione in sicurezza (che ha introdotto il rispetto della dimensione umana), sino all’attuale, che deve privilegiare il rispetto dell’ambiente, la cui dimensione diventa conditio sine qua non per il corretto esercizio d’impresa. Concludo affermando che è necessario individuare un percorso ideale che parta dalla prospettiva della nuova gestione industriale in chiave ambientale e prosegua raggruppando sotto la denominazione di una possibile “Confindustria Verde”, tutti quei soggetti in grado di garantire il futuro sostenibile dell’economia del Paese. A questo obiettivo il PolieCo non si sottrae, dichiarando disponibilità sin d’ora a partecipare a Tavoli di concertazione e gruppi di lavoro che le Istituzioni preposte vorranno stimolare se interessate a raccogliere la sfida.

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A sottolineare l’importanza dell’impegno militante del Consorzio PolieCo nel promuovere una nuova cultura e una nuova economia del riciclo è stato il moderatore della prima giornata dei lavori del Forum, Alberto Piastrellini, giornalista della rivista di informazione e aggiornamento ambientale “Regioni&Ambiente”, media partner del Forum, che nel dare il benvenuto ai numerosi ospiti e relatori, ha ricordato ai presenti le finalità della due giorni ischitana: “creare una Cernobbio dei rifiuti, un pensatoio permanente che possa stimolare e ispirare l’attività del governo, degli enti, delle imprese e della magistratura affinché le problematiche relative al riciclo possano essere oggetto di condivisione e di una programmazione attenta e responsabile. Ricordiamo che in gioco ci sono la chiarezza delle norme, la ricerca e lo sviluppo, la promozione reale dei prodotti derivanti dal riciclo, oltre che la diminuzione di materie prime e di energia”. Numerosi gli attori in gioco, coinvolti nella partita-sfida del riciclo, intervenuti ai lavori del Forum. Tra questi anche il Governo, rappresentato dal Dott. Fabio Primiani, Consulente tecnico della Segretaria Generale del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare che ha portato il saluto e il messaggio del Ministro On. Stefania Prestigiacomo: “Il Ministero è orgoglioso di supportare i lavori del Forum. L’economia del riciclo è la strada maestra da percorrere per lo sviluppo sostenibile del nostro Paese, per le opportunità che offre sia in termini di fatturato, che in termini occupazionali, oltre che sul versante del risparmio energetico. L’Italia è stato il primo Paese in Europa ad aver messo al bando i sacchetti di plastica usa e getta non biodegradabili dal 1° gennaio scorso. Ora è la volta di promuovere la produzione di bioplastiche, parte essenziale della filiera della nuova chimica, capace di aiutare l’ambiente e non più di danneggiarlo. L’obiettivo è lo sviluppo sostenibile moderno

ed ecosotenibile del Paese”. “Il riciclo è un percorso obbligato - ha aggiunto il Dott. Primiani soprattutto in Italia, un paese che deve compensare la scarsità di materie prime con il materiale proveniente dal riciclo. Dobbiamo, inoltre, imparare a conoscere e governare le minacce provenienti dai paesi emergenti per trasformarle in opportunità. È questa la strada che il Ministero sta percorrendo e dalla quale non intende discostarsi. Per far decollare il settore del riciclo, oltre all’impegno del governo, serve tuttavia la collaborazione del mondo produttivo. Dobbiamo dare tutti insieme il nostro contributo. Di qui la necessità di un impegno congiunto tra governo e imprese”. L’impegno dell’amministrazione pubblica è stato al centro anche dell’intervento del Dott. Francesco Iacotucci, responsabile tecnico dello staff del Sindaco di Napoli, Tommaso Sodano. D’altronde a legare Ischia a Napoli non è solo la vicinanza territoriale, ma paradossalmente la “distanza culturale” in fatto di rifiuti. Significativo è il fatto che il “pensatoio delle Green Economy” nasca proprio ad Ischia, a due passi dall’emergenza rifiuti che ha travolto la città di Napoli e l’intero Paese. La nuova economia del riciclo, al centro della due giorni di Ischia, non può prescindere così dal “caso Napoli”. Tutt’altro, sceglie di partire proprio da qui. Se la location non è casuale, non lo è nemmeno la collocazione in apertura dell’intervento del Dott. Francesco Iacotucci, dirigente dell’Assessorato all’Ambiente del Comune di Napoli. Parlare di economia dei rifiuti in una città come Napoli, nella quale la diseconomia e gli sprechi hanno caratterizzato la gestione degli ultimi anni, è insieme una sfida e un auspicio. “La situazione rifiuti a Napoli è ancora complessa ha di-

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chiarato Iacotucci tuttavia l’amministrazione comunale sta lavorando seriamente per raggiungere obiettivi ambiziosi. Lo testimonia la prima Delibera della Giunta de Magistris, un atto di indirizzo in cui si delineano in modo chiaro le linee guida da perseguire in materia di rifiuti. Il primo impegno è stato quello di prevedere l’estensione della raccolta porta a porta in tutta la Città: la prima tappa di questo percorso si chiuderà a dicembre 2011, quando si passerà dai 140.000 a 325.000 abitanti serviti dal porta a porta”. Ma gli obiettivi dell’amministrazione sono ancora più ambiziosi - ha concluso Iacotucci - Contiamo infatti di raggiungere i 500.000 abitanti serviti dal sistema di raccolta differenziata integrale domicialiare nel 2012 e il 68% di rifiuti effettivamente recuperati. Numeri questi che puntano a recuperare la fiducia dei cittadini in materia di gestione dei rifiuti, oltre che a fare di Napoli il centro di innovazione sul recupero di materia”. Ecco allora che il “caso Napoli” fa scuola e allo stesso tempo fa da monito: “La testimonianza dell’emergenza rifiuti di Napoli - ha sottolineato il Presidente PolieCo Enrico Bobbio - è la testimonianza di come un problema apparentemente marginale come quello dei rifiuti possa invece arrivare a coinvolgere e a travolgere tutti gli ambiti della società, dalla salute pubblica, alle prospettive turistiche, economiche e industriali. Ma non solo. Il ‘caso Napoli’ insegna come una non corretta gestione dei rifiuti possa arrivare a bloccare l’economia di una città, di una regione e di addirittura una nazione, con ripercussioni a cascata sull’intero Paese”.

Venerdì 23 settembre I Sessione “Il ruolo dei materiali riciclabili e del riciclo nello sviluppo delle economie nazionali e globali” Ad aprire la I sessione dedicata all’analisi del ruolo dei materiali riciclabili nelle sviluppo delle economie a livello nazionale ed internazionale è stata la Prof.ssa Maria Ioannilli, dell’Università di “Tor Vergata” che ha presentato lo studio commissionato dal Consorzio PolieCo e realizzato dall’Università di Tor Vergata, in collaborazione con In - TIME S.r.l, spin-off della stessa Università, dal titolo “Il mercato dei rifiuti plastici: la nuova geografia industriale e globale del riciclo”, volto a fotografare la mappa dei flussi del rifiuti plastici riciclabili nel mondo e ad individuare le dinamiche, in continuo mutamento, che orientano i flussi di materiali plastici verso specifiche aree del mondo. “Lo studio - ha sottolineato la Prof.ssa Ioannilli - nasce dall’esigenza di individuare i Paesi e le regioni dinamiche, quelle che giocano il ruolo forte nella geografia nella movimentazione transfrontaliera di rifiuti plastici riciclabili, in quanto catalizzatori di importazioni”. La miopia di alcuni Paesi, tra cui l’Italia, e la lungimiranzia di altri sono così state a messe a fuoco da un’attenta analisi basata sui dati relativi alle importazioni ed esportazioni, acquisiti dal database realizzato del servizio statistico dell’ONU, definito “Comtrade (Commodity Trade)” e rilasciati dalle autorità statistiche competenti di quasi 200 Paesi o Aree. Il risultato? “La geografia del riciclo è drammatica - ha commentato la Prof.ssa Ioannilli - Di fronte alla sfida dei paesi emergenti che considerano il rifiuto una risorsa, l’Italia nella partita del riciclo delle materie plastiche gioca un ruolo rinunciatario. La vera svolta si è registrata nel 2008. Da grande importatore di materie plastiche il Bel Paese ha in-

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vertito la ‘rotta’ dei rifiuti: ora la ‘miope’ Italia non importa più, ma tende ad esportare rifiuti plastici, a differenza di tanti altri Paesi emergenti, ad esempio il Marocco che, invece, importa una grande quantità di rifiuti plastici, senza esportarli”. Oltre alla miopia dell’Italia, lo studio ha fotografato anche la “schizofrenia dell’Europa” che compra rifiuti e li rivende al proprio mercato interno: “l’Europa si conferma un’area di tutto rilievo nel settore della commercializzazione di rifiuti plastici ha dichiarato la Prof.ssa Ioannilli - con dei profili però del tutto peculiari, identificabili con i flussi di movimentazione interna dei rifiuti e la successiva esportazione verso l’Est asiatico. I Paesi dell’Est Europa, benché da poco entrati nel mercato, stanno competendo come nuove destinazioni per i flussi di importazione da altre Regioni europee e a loro volta fungono da punti di reindirizzamento dei flussi verso l’Asia”. Nella partita del riciclo dei rifiuti plastici ogni Paese gioca un ruolo diverso: ci sono paesi “riciclatori”, che competono sul mercato dell’acquisizione di rifiuti plastici con lo scopo di dotarsi di risorse utilizzate all’interno del proprio territorio; paesi “intermediari” che operano con intensità crescente per assicurarsi la disponibilità di una risorsa non posseduta al proprio interno, con lo scopo di ricollocarla sui mercati orientati all’uso di quella risorsa; paesi “rinunciatari”, per i quali i flussi commerciali di rifiuti sono sostanzialmente visti come meccanismi per l’allontanamento di questi materiali dal loro territorio; paesi “indifferenti” al mercato, che tendono ad esaurire al proprio interno la produzione ed il trattamento dei rifiuti plastici. “Tra i grandi riciclatori a livello globale ha precisato la Ioannilli - spicca così l’Asia, (in particolare la Cina) che si è affermata come grande catalizzatore dei flussi di importazione dei rifiuti plastici, mentre Hong Kong, che compra

rifiuti e li rivende alla Cina, gioca il ruolo di intermediario. Ma tra le nuove tendenze in atto da segnalare è la rilevante progressione dell’India che tende a competere direttamente con la Cina. Un’area in cui si nota una certa dinamicità è quella Africana in cui, benché i valori di riferimento siano ancora molto modesti, le tendenze all’acquisizione di rifiuti plastici è diffusamente in crescita. L’Africa del Nord in particolare si sta affermando come uno dei paesi riciclatori emergenti, così come il Marocco”. E l’Italia? A differenza di altri Paesi in corsa verso il riciclo, la “miope” Italia è “rinunciataria”: “l’Italia, piuttosto, rinuncia a giocare la partita - ha concluso la Ioannilli. Di qui l’invito e la sollecitazione all’impresa di “casa nostra” che rischia di perdere il treno e di rimanere al palo, rimanendo così ai margini dell’economia globale del riciclo, svendendo materiali a Paesi in via di sviluppo e contribuendo, altresì, ad una pericolosa circuitazione dei rifiuti e ad una concorrenza sleale. L’invito all’accelerata del sistema impresa in campo di materie plastiche è arrivato anche da Andrea Di Stefano, Responsabile marketing strategico Novamont, azienda oggi leader in Italia nel settore delle bioplastiche. “Oggi l’Italia detiene una leadership nel settore delle bioplastiche, anche grazie a Novamont - ha dichiarato Di Stefano - ma ricordiamoci che la leadership non dura per sempre. Se non acceleriamo lo sviluppo rischiamo di perderla. È una finestra aperta, ma rimane tuttavia poca cosa se paragonata ai grandi colossi dell’industria chimica mondiale. Se non lavoriamo per rafforzarla, la nostra leadership è destinata ad esaurirsi”. Sul tavolo dei relatori, Novamont, modello di azienda virtuosa che meglio incarna il passaggio dalla “chimica del petrolio” alla “chimica verde”, fa scuola: “La fase attuale

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che stiamo vivendo ha sottolineato Di Stefano nel suo intervento - è un quarto step della rivoluzione industriale: l’evoluzione della chimica dal petrolio ai materiali rinnovabili genera un forte impulso al mercato e all’industria. Eppure, l’industria delle materie plastiche in Italia si trova in una situazione molto difficile. Abbiamo una produzione di plastica che è scesa del 7% della produzione europea, una crescita dell’importazione del 19%. A livello globale assistiamo a una crescente concentrazione degli impianti di produzione (quelli della cosiddetta chimica di base) attorno ai pozzi petroliferi, soprattutto in Medio Oriente. In Italia si registra la presenza di siti chimici nazionali in forte crisi, una sorta di deserto di dinosauri che sono a segnare uno sviluppo veloce e una riconversione che non è stata ancora delineata, a parte qualche rara presenza”. Dopo aver disegnato il quadro stagnante di un’economia in via di esaurimento sempre Novamont ha lanciato la ricetta per uscire dallo stallo: “fonti rinnovabili, tecnologia a basso impatto e gestione dei rifiuti sono spunti per una nuova politica industriale e per uno sviluppo sostenibile. Non sono solo slogan di ecomarketing o elementi di un’operazione di immagine”, ha dichiarato Di Stefano. “Le materie prime rinnovabili possono avere un ruolo determinante nello sviluppo dell’economia e avere ampi campi di applicazione ha continuato il responsabile marketing di Novamont Tra i mercati di riferimento per l’espansione futura dell’Europa in termini di economia sostenibile, delineati dall’UE nella ‘Lead Marketing Iniziative’, ci sono infatti anche le bioplastiche, polimeri da fonti rinnovabili, biodegradabili e compostabili”. Ma l’esperienza di Novamont fa scuola non solo per aver fatto della “Chimica verde” il suo core-business. Novamont insegna anche come la riconversione della chimica industria-

le possa interagire anche con il territorio. Ne è l’esempio il progetto lanciato da Novamont in collaborazione con ENI della prima bioraffineria al mondo integrata nel territorio: “si tratta di un’operazione nuova di riconversione di un polo industriale, quello di Porto Torres, in un polo avanzato di chimica verde integrato al territorio, in grado di offrire nuove prospettive occupazionali , ha spiegato Andrea Di Stefano. Si tratta di un progetto ambizioso, oltre che all’avanguardia, che rappresenta un nuovo modello di economia di sistema che coinvolge industria, agricoltura, ambiente ed economia locale. Un fondamentale elemento di innovazione del progetto sarà, infatti, l’integrazione di filiera con lo sviluppo di colture locali: “Novamont punta a progettare l’intera filiera di approvvigionamento con la stessa Regione Sardegna. Inizieremo a breve la sperimentazione delle colture che possono essere funzionali a produrre gli oli e le biomasse per gli impianti, per avviare in loco la produzione di monomeri, il primo passo per la produzione di bioplastiche”. In questo senso Novamont insegna: la chimica verde è un’opportunità per l’impresa, l’ambiente e il territorio. “Parlare di bioplastiche significa parlare di una nuova industria e di una nuova concezione economica del territorio”, ha concluso Di Stefano. “La previsione del mercato delle bioplastiche è una previsione di crescita: dai bassi livelli di oggi contiamo che le prospettive e le opportunità di guadagno possano triplicare entro il 2020”. A testimoniare le ricadute positive dell’economia verde sul territorio è stato proprio Beniamino Scarpa, primo cittadino di Porto Torres, da poco più di un anno alla guida della nota cittadina sarda, famosa sin dagli anni ‘60 per il polo petrolchimico SIR, che ha creduto fortemente nella riconversione del

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polo petrolchimico dalla chimica tradizionale a quella “verde” progettato dalla società Matrica di Novamont ed Eni. “Si tratta di un progetto importante per il nostro territorio spiega il Sindaco Scarpa perché non solo consente di riassorbire 300 lavoratori grazie all’ENI, ma anche i 600 dell’indotto. È un progetto che avrà effetti positivi su tutto il territorio e sulla popolazione, sia in termini ambientali, che in termini di sviluppo economico spiega il Sindaco - del resto, oggi, non si può non gestire la politica del territorio senza considerare i fattori ambiente, società, economia, dalla cui intersezione nasce la sostenibilità”. Il progetto della Chimica Verde punta a modificare radicalmente il sistema produttivo del polo chimico di Porto Torres. I rappresentanti di Eni e Novamont, le due Società promotrici, l’hanno condiviso con tutti gli enti locali. È stata valutata positivamente la volontà da parte di Eni di avviare una nuova stagione di rapporti con il Comune di Porto Torres e con le amministrazioni della Sardegna. Il progetto prevede la produzione di monomeri-bio, bio-plastiche, biolubrificanti, additivi per gomme ed elastomeri, nonché di cogenerazione da biomasse, attraverso l’utilizzo di materie prime provenienti dall’agricoltura. Nell’accordo sottoscritto è prevista l’attuazione di forme di tutela e di reimpiego delle risorse umane di Eni ed è stato messo nero su bianco anche un impegno a individuare una soluzione per gli operai dell’indotto, che erano legati agli impianti di chimica tradizionale, e per il sistema delle imprese locali. Se ingenti sono gli investimenti sul territorio (450 milioni di euro in 6 anni per la costruzione degli impianti di “Chimica Verde”; 230 milioni di euro per la costruzione di una centrale a biomasse; 530 milioni di euro per le operazioni di bonifica), ingenti saranno anche i vantaggi sull’ambiente e sul territorio: “Questo progetto è fortemente radicato e integrato

sul territorio ha precisato il primo cittadino - Proprio sul territorio, infatti, tende sviluppare una filiera a monte delle produzione agricole per creare la materia prima per queste produzioni e una filiera a valle per realizzare prodotti finiti con questa materia prima”. Ma quando si guarda ai benefici della chimica verde e ai vantaggi della Green Economy, dal locale, lo sguardo non può che allargarsi al globale. Di qui l’impossibilità di prescindere dagli scenari e dalle strategie europee. In quest’ottica si inquadra l’intervento della Dott.ssa Pia Bucella, Direttrice Natura, Biodiversità e uso del suolo, Commissione Europea - Direzione Generale Ambiente. Nel corso del XX secolo, il mondo ha incrementato l’utilizzo di combustibili fossili di 12 volte e l’estrazione di risorse materiali è cresciuta di 34 volte, ma i dati mostrano che l’era delle risorse abbondanti e a buon mercato è finita. “Il Pianeta rimane lo stesso, non è estendile, eppure noi continuiamo a sfruttare le risorse in maniera superiore alla capacità del Pianeta di riprodurle”- ha dichiarato la Dott.ssa Bucella in apertura del suo intervento - “Se continuiamo a utilizzare le risorse al ritmo attuale, entro il 2050 avremo bisogno dell’equivalente di più di due pianeti per il nostro sostentamento. E pensare che la nostra economia non ha ancora recepito questa esigenza”. Di qui la necessità e l’urgenza di un cambio di rotta, di una trasformazione radicale. Da qui al 2050 occorre migliorare la nostra efficienza nell’uso delle risorse, disincentivare l’uso insostenibile delle risorse e promuovere la riutilizzazione dei rifiuti. C’è bisogno di un quadro normativo e politico che crei un mercato dove l’innovazione e l’efficienza delle risorse vengano premiati, creando opportunità economiche e maggiore sicurezza negli approvvigionamenti da un accresciuto riciclaggio, dalla

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riprogettazione dei prodotti, dalla gestione sostenibile delle risorse naturali, dalla sostituzione dei materiali più dannosi e dal risparmio delle risorse. La Commissione europea punta a questa trasformazione ed è già in marcia su questa strada. Sono infatti tre le linee di azione della road map europea, presentate dalla Dott.ssa Bucella nel corso del suo intervento: trasformare i rifiuti in risorse, modificare i modelli di consumo di acquirenti privati e pubblici (ad esempio con cosiddetti “bandi verdi”) e stimolare una produzione efficiente e sostenibile. Sono queste le direttrici su cui la Commissione sta lavorando, gli assi portanti della sua tabella di marcia: “occorre creare un mercato interno europeo con tasse e incentivi che determinino il futuro dei prodotti ecologici e dei rifiuti ha concluso la Dott.ssa Bucella - In questo contesto si inserisce la ‘Lead Market Initiative’, l’iniziativa europea volta ad identificare un primo insieme di mercati che possiedono un alto livello di innovazione, la capacità di rispondere ai bisogni della clientele e una solida base economica e industriale”. La centralità strategica della Green Economy come volano per lo sviluppo economico è stata sottolineata anche dal senatore Francesco Ferrante, membro della XIII Commissione Ambiente, Territorio, Beni ambientali del Senato della Repubblica, oltre che membro della Commissione di inchiesta sull’uranio impoverito: “La strada per rilanciare l’economia, per avviare un nuovo sviluppo e costruire nuova occupazione passa per la Green Economy”. Ce lo dicono i risultati concreti che stanno ottenendo le ricerche sui nuovi materiali: le bioplastiche e la “Chimica Verde”, che sono la bandiera di un processo di riconversione di processi produttivi altrimenti condannati dal mercato e destinati ad essere spazzati via dalla globalizzazione. Di fronte alla necessità di una riconversione della chimica in

“Chimica Verde”, Ferrante ha sottolineato anche la necessità di una “Confindustria Verde”: “si tratta di una proposta vista con sospetto dal sistema di rappresentanza industriale perché destabilizzerebbe gli equilibri esistenti, oltre a posizioni di potere già consolidate. In questo senso l’idea di una ‘Confindustria Verde’ è una proposta di rottura e Bobbio stesso un ‘rivoluzionario’. Non dimentichiamo, infatti, che tra le tante crisi di rappresentanza, oltre a quella della classe politica, stiamo vivendo anche quella che coinvolge il mondo industriale: le iniziative più moderne oggi non riescono a trovare un’adeguata rappresentanza nel sistema industriale”. Oltre che per il mondo industriale, la frecciata arriva anche per quello politico: “Occorrono regole e certezze. Il Sistri è solo un caso del clima di incertezza che aleggia nel settore”. Venerdì 23 settembre II sessione “Il posizionamento dell’Italia nel quadro internazionale: punti di forza e criticità” A farsi portavoce delle richieste degli operatori del settore è stato l’On. Alfonso Pecoraro Scanio, Presidente della Fondazione Univerde che ha presentato nel corso del suo intervento i risultati della ricerca condotta da Ipr Marketing e Fondazione UniVerde per conto di PolieCo, un’indagine volta a fotografare la realtà del riciclo oggi in Italia dal punto di vista degli operatori del settore. Che cosa pensano le aziende produttrici della realtà del riciclo, delle norme e delle leggi che lo regolano? Quali aspettative hanno? E soprattutto quali sono le loro necessità e le loro richieste? Sono queste le domande a cui la ricerca della Fondazione Univerde ha tentato di dare una risposta, offrendo al Consorzio una traccia delle priorità e delle direttrici di azione su cui lavorare. L’obiettivo? Ridare centralità al settore del riciclo e conferirgli

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“una dignità di impresa e di lavoro, una dignità industriale a tutti gli effetti, soprattutto in un paese come l’Italia, povero di materie prime, che vanta però una lunga tradizione di recupero e di riciclo, spesso considerate marginali”, ha dichiarato l’On. Pecoraro Scanio. “Recuperare non è sinonimo di povertà, tutt’altro, il rilancio economico passa per il riciclo, il vero settore del domani ha aggiunto il Presidente della Fondazione Univerde - Occorre pertanto sviluppare e accumulare know how per essere poi in grado di esportare conoscenza e tecnologia su questo versante. L’Italia da questo punto di vista vanta molte eccellenze nel settore. Il suo più grande limite è però la mancanza di una rete della green economy, una sorta di collante tra mondo politico ed economico che faccia da sostegno e da supporto al suo decollo. Si prosegue con inerzia per non destabilizzare gli equilibri e le innovazioni arrancano. Per questo non possiamo aspettarci che la ‘Confindustria Verde’ nasca in seno a Confindustria. A farla nascere dovranno essere gli operatori del settore. È il settore della green economy che deve trascinare la politica”. Di qui l’importanza dell’opinione delle aziende produttrici, delle loro proposte e delle loro richieste. Un sistema legislativo e burocratico più snello e una maggiore attenzione alle proprie esigenze sono le richieste più gettonate che il mondo della produzione, sempre più sensibile e attento alle tematiche del riciclo, rivolge allo Stato e al Governo. Ai Consorzi, invece, è chiesto soprattutto di lavorare sulla promozione della “cultura del riciclo” o dell’informazione, oltre che mediare tra i bisogni delle aziende e quelli dei riciclatori. Ed è proprio agli operatori del settore che è poi passato il testimone. Esperienze, testimonianze ed eccellenze, ma

anche criticità, idee e proposte sono emerse nel corso della tavola rotonda che ha visto rappresentati dei Consorzi e dell’Associazionismo confrontarsi sul loro futuro ruolo di fronte alle sfide poste dalla Green Economy. “Territori e reti di imprese: il ruolo dei Consorzi e delle Associazioni di categoria nel disegno di una nuova strategia di sistema”: è questo il titolo dell’importante momento di incontro-confronto, offerto dal Forum, da cui sono scaturiti importanti spunti di riflessione e discussione. Tra gli operatori chiamati a rappresentare le buone pratiche virtuose, l’AMA Roma, il più grande operatore in Italia nella gestione integrata dei servizi ambientali che con 7.500 dipendenti serve un bacino di utenza di quasi 3.300.000 persone. A rappresentare l’AMA Roma Marco Casonato, Dirigente responsabile raccolta differenziata, che non ha mancato di mettere in luce le problematiche della raccolta differenziata dal punto di vista degli operatori incaricati di raccogliere ciò che viene riversato nei cassonetti. “Spesso noi operatori del settore ha dichiarato Casonato - ci troviamo di fronte a materiali che hanno difficoltà ad essere recuperati. Sono un esempio i biberon monouso degli ospedali pediatrici. Di qui la necessità che gli operatori di igiene urbana dispongano di circuiti su cui canalizzare tali materiali”.

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Nella carrellata di idee, proposte e richieste avanzate dal mondo dell’impresa e dell’associazionismo non sono poi mancati esempi virtuosi e casi di successo esemplari, come quello di Jcoplastic Iberica 2000 di Battipaglia (SA) che ha saputo integrare il ciclo dei rifiuti all’interno del proprio core-business. “Il caso Jcoplastic ha sottolineato Ciro Maucione Presidente

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di Jcoplastic Iberica 2000 è l’esempio calzante di un’azienda in linea gli obiettivi di PolieCo. La nostra storia inizia nel 1964 quando abbiamo iniziato a produrre le prime cassette. Fin da subito ci siamo resi conto dell’esigenza di integrare il ciclo della nostra attività produttiva soddisfacendo una domanda, all’ora implicita e insoddisfatta dei nostri clienti: la raccolta dei rifiuti. Nel settore agricolo abbiamo realizzato il virtuosismo del circuito chiuso produttore-recuperatore: i cassoni ritirati dal mercato tornano ad essere materia prima seconda, pronta ad essere riutilizzata dalla stessa azienda produttrice che recupera i suoi stessi prodotti. L’azienda ha messo in piedi così una sorta di circuito interno del recupero. Abbiamo così accompagnato la nostra clientela a capire che il rifiuto non è un problema di gestione, ma una risorsa, un bene con un valore economico che noi stessi ci siamo impegnati a riconoscere”.

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La riflessione sul legame impresa-riciclo è stata poi approfondita da Ivan Malavasi, Presidente CNA - RETE Imprese Italia, l’associazione che in Italia raggruppa 2 milioni e mezzo di imprese dell’artigianato e del commercio, che non ha mancato di sottolineare una delle lacune più grandi del tessuto imprenditoriale nostrano: la scarsità di investimenti in ricerca. “Dal 2008 ad oggi, in Italia, nel mondo del riciclo sono nate 50mila nuove piccolo-medie imprese (dai 2 a 50 addetti) che hanno occupato più di 200 mila persone. Si tratta di un settore in crescita l’unico che riporti dati positivi ha precisato Malavasi - Eppure, la relazione tra queste aziende e ricerca, l’Università, la tecnologia è scarsissima. La qualità e l’ecosostenibilità hanno bisogno di investimenti rilevanti. La politica si assuma le sue responsabilità, poiché per effettuare investimenti servono scelte politiche chiare. La ricerca e la tecnologia in questo settore hanno ampi margini di vantaggi

e prospettive di crescita, ma non devono pesare solo sulle spalle delle imprese. Se il mondo della Green Economy non incontra quello della ricerca e il sostegno della politica, per gli imprenditori la vita sarà sempre più difficile”. Oltre alle voci dell’impresa e dell’industria, largo anche a quelle dell’agricoltura, un altro settore strategico per lo sviluppo della Green Economy e soprattutto per la sua integrazione con il territorio. “L’agricoltura ha un ruolo chiave nella Green Economy - ha precisato Donato Rotundo, Responsabile Area Ambiente e Qualità di Confagricoltura - L’agricoltura la sponsorizza, in quanto costituisce un’opportunità per mantenere l’agricoltura sul territorio. Dietro alla maggior parte delle iniziative presentate c’è spesso un’azienda agricola e un progetto di filiera. Di qui il ruolo importante delle associazioni che hanno il compito di riconoscere queste filiere, di attivarle e di promuoverle”. A farsi portavoce della necessaria collaborazione del mondo agricolo con il Consorzio PolieCo è stato Michele Falagiani, Direttore generale Consorzio Agrario della Maremma Toscana: “L’attuale situazione dell’agricoltura ci spinge a cercare di ottenere il massimo dell’efficienza e dell’efficacia nel nostro lavoro per offrire agli agricoltori le migliori condizioni e le migliori opportunità al fine di incrementare i loro redditi ormai purtroppo molto ridotti. Tra i mezzi tecnici che forniamo agli agricoltori ci sono molti prodotti a base di polietilene per i quali dobbiamo garantire anche la gestione dei residui dopo la loro funzione. Crediamo proprio che, grazie alla nostra natura cooperativa, alla nostra grande presenza sul territorio e all’importanza che hanno nel nostro settore i prodotti a base di polietilene, la collaborazione con il Consorzio PolieCo sia di notevole importanza strategica, oltre che

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un punto di forza. Offrire all’agricoltura specializzata che necessita di mezzi tecnici a base di polietilene, una certezza nel conferimento dei rifiuti è un utilissimo servizio al settore agricolo, già in difficoltà”. Attenzione all’interlocutore-consumatore è stata, invece, posta da Stefano Masini, Capo Area Ambiente e territorio di Coldiretti: “Nell’analisi spesso si trascura il primo nostro vero interlocutore, il consumatore che oggi è sempre più sensibile alle tematiche ambientali e che presta sempre più attenzione, oltre che alla qualità dei prodotti che nasce dai campi, anche agli impatti degli imballaggi sull’ambiente”. Di qui la necessità, secondo Masini, di porre maggiore attenzione all’aspetto culturale: “È l’idea che da valore ai prodotti. Prima ancora di lavorare sulla filiera, occorre lavorare sulla cultura e sui comportamenti di acquisto dei consumatori, indirizzandoli verso una maggiore sostenibilità. Sono proprio i consumatori a chiederlo. È quanto emerge dalla ricerca effettuata dalla Fondazione Univerde: sarebbero i consumatori a chiedere ai Consorzi di lavorare sulla promozione della cultura del riciclo”. La riflessione sull’importanza della cultura è anche l’occasione per ribadire l’importanza delle associazioni. “Dalla necessità di cultura deriva la necessità di associazioni che fanno cultura ha sottolineato Masini. Coldiretti è in questo senso un caso esemplare, citato anche dall’importante sociologo Aldo Bonomi che nel suo ultimo libro “Sotto la pelle dello Stato”, nell’affrontare il problema della crisi delle rappresentanze in un paese affollato di sigle, elogia la “storica potente federazione degli piccolo agricoltori” che “si è avviata verso una vera rappresentanza, facendosi promotrice della modernizzazione culturale della propria base sociale”. “Insomma ha concluso Masini - per fare crescere l’econo-

mia e il paese bisogna partire dalla cultura delle imprese in collegamento con i cittadini. È questa la rete più forte e più solida che possiamo costruire”. Dalla cultura alla cooperazione. La tavola rotonda tra Associazioni e Consorzi non ha mancato di ribadire un altro importante ingrediente del fare impresa: la cooperazione. “Non è questione solo di cultura - ha precisato Massimo Stronati, Presidente Federlavoro e Servizi Confcooperative che ad oggi conta 20 mila imprese e 3 milioni di soci - La cultura, certo è importante, ma occorrono altri valori fondamentali, come la partecipazione, la cooperazione, la solidarietà, il fare impresa in maniera condivisa. Il lavoro attraverso le reti di impresa deve essere il ‘Vangelo’ attuale”. A sottolineare invece le problematiche e le criticità del settore del riciclo di materie plastiche è stato Corrado Dentis, Presidente Assorimap, l’Associazione Nazionale Riciclatori e Rigeneratori Materie Plastiche che raduna le imprese del preconsumo e del post-consumo, ovvero quelle che operano a valle e a monte delle raccolte differenziate. “Quello che registriamo quotidianamente - ha dichiarato Dentis - è il forte scollamento tra chi raccoglie e chi ricicla, ovvero tra le imprese che effettuano la raccolta differenziata sul territorio e quelle del riciclo. Fino al 2008 l’industria del riciclo italiana eccelleva con importazioni di rifiuti plastici importanti. Dal 2008, invece, siamo in una fase discendente. Importare rifiuti plastici di qualità è l’unico modo che abbiamo in Italia per competere. Quotidianamente, infatti, ci troviamo alle prese con la cattiva qualità delle raccolte differenziate che contemperano al loro interno plastiche composite, piuttosto che materiali di imballaggio frutto di diverse dinamiche. È questa una delle problematiche più gravi con cui il settore del ‘fine vita’ si

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trova a fare i conti. La soluzione? Basterebbero regole chiare in grado di disciplinare in maniera univoca la costruzione dell’imballaggio, regole che siamo volte ad ottimizzare la fase del fine vita”. A ribadire, infine, l’importanza di una “cultura del riciclo”, oltre che l’importanza degli investimenti in ricerca e tecnologia è stato lo stesso Presidente del Consorzio PolieCo, Enrico Bobbio: “Da tempo PolieCo batte sul chiodo della cultura del riciclo e lavora con impegno per una sua adeguata promozione. Dove non c’è cultura, infatti, non c’è processo di impresa. Eppure, pur essendo un comparto prettamente tecnico, quello del riciclo è un comparto completamente avulso dalla ricerca e dal sistema universitario. Occorre quindi premere il pedale dell’acceleratore su questo versante e spingere verso la cultura e la ricerca, una cultura e una ricerca che se da un lato devono essere supportate, dall’altro devono essere fermamente volute, richieste e cercate. Di qui la necessità di un sistema industriale nuovo ed alternativo che sappia guardare al domani. Il rischio, altrimenti è di rimanere fermi a ieri e ieri è già passato”.

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Sabato 24 settembre III Sessione “Il quadro prospettico: punti di forza e di debolezza” Legalità come opportunità per lo sviluppo e come volano per la green economy. Questo è il messaggio che il Consorzio PolieCo lancia nella seconda giornata dei lavori del III Forum Internazionale sull’Economia dei Rifiuti, moderata da Enrico Fontana, Responsabile Osservatorio Ambiente e Legalità Legambiente. “Da Nord a Sud, l’obiettivo è superare l’emergenza e sconfiggere le ecomafie - ha dichiarato nel suo intervento l’On. Alessandro Bratti, membro della VIII Commissione Am-

biente Territorio e LL.PP. Camera dei Deputati e della Commissione bicamerale di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti A partire dall’emergenza mai finite in Campania, passando per il disastro degli ATO e la mafia degli inceneritori in Sicilia, fino alle bonifiche come business illegale in Lombardia”. Oltre a quello ambientale, l’emergenza ha un costo anche economico, ha sottolineato Bratti: “Le inefficienze nella gestione dei rifiuti hanno determinato un costo a carico della bilancia dei pagamenti italiana di almeno 60 milioni di euro e mancati introiti per le casse dello Stato per circa 15 milioni di euro”. “Non si tratta certo di scaricare sulla criminalità organizzata la responsabilità dei ritardi e delle inefficienze. Ci sono responsabilità politiche gravi ammette l’On. Bratti - Occorre un coinvolgimento delle tante realtà sane e importanti presenti nel nostro Paese che potrebbero dare un contributo determinante per risolvere una volta per tutte l’emergenza dei rifiuti in Italia”. La politica dunque faccia “mea culpa”: “La produzione legislativa in materia di rifiuti è ridondante, aggrovigliata e spesso inapplicabile - ha continuato Bratti - La semplificazione è amica delle buone pratiche, perciò si deve rapidamente revisionare il complesso delle norme ed estrarne un compendio finalmente efficace, chiaro e gestibile”. Dalla necessità di regole, deriva anche la necessità del loro rispetto. Sul versante dei controlli e della legalità “occorre un cambio di paradigma ha dichiarato Bratti - i controlli ambientali non devono essere visti come un freno o un ostacolo allo sviluppo, ma come garanzia di qualità per le imprese e come opportunità per lo sviluppo di nuove nicchie di mercato. La sfida? Fare del controllo ambientale il volano per la green economy”. Dall’On. Bratti anche la ricetta per il cambio di rotta: una

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maggior produzione legislativa, coordinamento con le forze dell’ordine, rispetto delle regole, controlli e legalità. Sono questi gli ingredienti per raccogliere la sfida della green economy e per inaugurare quella che, in apertura dei lavori, l’On. Paolo Russo, Presidente della XIII Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati e membro della Commissione Bicamerale di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, ha chiamato “una nuova stagione della raccolta di materiali, una stagione moderna, in grado di confrontarsi con il mercato e di valorizzare non la quantità, ma la qualità dei materiali”. La qualità come opportunità di difesa contro l’aggressione dalla contraffazione sul mercato globale è stata al centro dell’intervento del Dott. Giuseppe Vadalà, Direttore Div. 2a NAF del Corpo Forestale dello Stato: “Nel mercato globale delle merci, la qualità diventa, oltre che un valore aggiunto, un requisito fondamentale di difesa, così come ‘l’origine’, a sua volta, un connotato importante per la qualità dei beni e delle merci”. A livello mondiale il fenomeno della globalizzazione ha inciso negativamente, per alcuni aspetti, sull’integrità ambientale e sulla qualità e quantità di alimenti disponibili. In tale contesto globalizzato in cui la frode alimentare e la contraffazione sono una minaccia sempre più frequente sul mercato dell’agroalimentare, occorre puntare sull’identità, la riconoscibilità, la provenienza e l’origine dell’alimento, requisiti indispensabili per consentire ai consumatori globali di potere acquistare con sicurezza. Di qui l’impegno del Corpo Forestale dello Stato nella lotta contro la contraffazione alimentare, a tutela della sicurezza agroambientale e agroalimentare. Numerose le indagini avviate nell’ultimo biennio. A snocciolare i dati e ad elencare i successi messi a segno

dal Corpo Forestale dello Stato tra il 2008 e il 2010 è stato lo stesso Dott. Vadalà: 10.653 controlli effettuati, 206 reati accertati, 226 persone denunciate all’autorità giudiziaria, 1.292 illeciti amministrativi. “Le indagini effettuate rappresentano l’indispensabile barriera agli illeciti commessi in danno della collettività” ha dichiarato Vadalà. Le proposte? Dal Corpo Forestale dello Stato la ricetta “antifrode”: 1) Estensione del meccanismo normativo di cui all’art. 517-quater c.p. anche per i prodotti “non dop o non certificati” per la fattispecie di illecita etichettatura dei prodotti, attraverso la modifica dell’art. 515 c.p. (frode in commercio) e estensione delle previsioni del 121/2011 in tema di responsabilità penale delle persone giuridiche. 2) Realizzazione di una banca dati per i prodotti certificati che consenta di individuare le provenienze dei prodotti o della materia prima attraverso l’autenticazione dell’origine. 3) Istituzione del comparto di specializzazione del Corpo Forestale dello Stato in materia di sicurezza agroambientale ed agroalimentare sulla base della legge 6 febbraio 2004, n. 36, recante “Nuovo ordinamento del Corpo forestale dello Stato” e come espressamente previsto dal D.M. 28 aprile 2006 (Riassetto dei comparti di specialità delle Forze di polizia). 4) Istituzione di una Direzione Nazionale di Sicurezza Agroalimentare Interforze con compiti di coordinamento info-investigativo delle attività dei Comandi e degli Uffici territoriali delle diverse Forze di Polizia, di analisi dei dati, di indirizzo nella materia specialistica, di cooperazione internazionale con analoghi organismi esterni.

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Dalla legalità, la riflessione offerta dalla Terza Sessione del Forum si è spostata sul tema della Legge e del Diritto. “Non esiste un mercato che sia senza regole”. È iniziata con una citazione tratta da un libro di un famoso giurista, Natalino Irti, “L’ordine giuridico del mercato”, la riflessione del Prof. Franco Silvano Toni di Cigoli docente dell’Università degli Studi di Padova - Consorzio Pisa Ricerche - British Institute of International and Comparative Law. Una citazione, quella del Prof. Di Cigoli, che è stata allo stesso tempo una provocazione. Nell’era della globalizzazione del mercato, il diritto funziona ancora come “punto di ordine” del mercato? Affatto. In questo senso la citazione dell’illustre giurista finisce per essere completamente superata. Il motivo? “A fronte di un mercato globale, non abbiamo un diritto globale ha commentato il Prof. Di Cigoli - Sul tema ambiente, un tema di natura sempre più globale, non esiste un diritto dell’ambiente che possa essere considerato globale”. Di qui lo scollamento tra il diritto e il mercato nel settore ambientale: “C’è una sorta di debolezza che rende incapace il diritto di dare ordine a questo mercato dell’ambiente ha precisato Di Cigoli - Il mercato che riguarda l’ambiente non ha regole compiute”. Il diritto domestico non basta a coprire dal punto di vista normativo la geografia dei flussi dei rifiuti, sempre più globale e transnazionale. “La debolezza dell’economia dei rifiuti risiede proprio nello scarto tra la globalità delle tematiche ambientali e la dimensione domestica del diritto. È un dato di fatto - ha dichiarato Di Cigoli - L’isola felice che disegnava Natalino Irti poco tempo fa, ovvero un mercato dove ci siano regole, invece, non è più una realtà”. Ma dopo la “pars destruens”, la “pars construens”. Di fronte alle carenze e alle debolezze normative del Diritto

in materia ambientale, il Prof. Di Cigoli non si è sottratto dal citare due elementi di ottimismo nel campo normativo, ovvero “due direttrici su cui ci si sta orientando a livello internazionale: la rivisitazione della Convenzione di Basilea che si occupa del mercato internazionale dei rifiuti e la sua estensione dai rifiuti pericolosi ai rifiuti speciali; l’inclusione del problema dell’ambiente, per quanto riguardai rifiuti, nel capitolo del protocollo di Kyoto”. “L’ottimismo a livello normativo giunge quindi dall’Europa, già pronta a sostenere con il suo impianto normativo un’economia green, sensibile al mercato globale. Il Diritto dell’Ambiente è parte integrante degli obiettivi dell’Unione Europea al fine di stabilire un mercato unico. L’aggancio tra dimensione ambientale e industriale è possibile. C’è un Diritto debole e flebile e gli strumenti vanno potenziati. E a livello domestico? A livello domestico, l’Italia è avvantaggiata perché gode dell’impianto normativo europeo, ma soprattutto perché può usufruire dello strumento dei Consorzi, uno strumento sconosciuto in molti altri paesi d’Europa, che lungi dall’essere meri ‘ferri vecchi’ o relitti degli anni ’30, è tornato in auge per rispondere ai problemi aperti dalle sfide di una nuova economia e di un nuovo mercato. I Consorzi possono coniugare mercato e tutela dell’ambiente. Sulla scia dell’intervento del Prof. Di Cigoli, a sottolineare l’importanza del ruolo dei Consorzi è stato anche l’On. Giovanni Fava, Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale che non ha mancato di rimarcare il coraggio della scelta di PolieCo nell’affrontare tematiche come quelle della contraffazione e della frode alimentare, non strettamente pertinenti al problema dei rifiuti, un problema verso cui il nostro Paese dimostra grande sensibilità, diversamente dagli altri Pae-

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si dell’Unione Europea: “In Europa si registra una scarsa sensibilità, soprattutto da parte dei Paesi del nord Europa relativamente al problema della movimentazione dei rifiuti. L’ho potuto constatare personalmente. Passando alla Commissione di inchiesta sul ciclo dei rifiuti alla Commissione sui fenomeni della contraffazione e della pirateria ho riscontrato un unico comune denominatore: il totale disinteresse da parte di alcuni paesi dell’Unione, che hanno però un peso politico di una certa rilevanza, relativamente a questi due problemi, che pure sono problemi globali, dal valore di oltre 400 miliardi di euro. Lotta alla contraffazione e difesa del made in Italy sono, invece, direttrici su cui il Parlamento si impegna a lavorare”. Sabato 24 settembre IV Sessione “Modelli operativi internazionali” Dalle criticità e dalle problematiche che si affacciano sulla scena globale ai modelli operativi a cui guardare con interesse a livello internazionale. Nella sua quarta sessione il Forum, dopo aver allargato la focale alla scena internazionale, mettendo in luce le minacce provenienti dalla globalizzazione, la restringe sulle proposte e i modelli cinesi. È, infatti la Cina, al centro della riflessione della Direttrice del Consorzio, la Dott.ssa Claudia Salvestrini che riportiamo nel seguente box.

Novità normative in tema di traffico internazionale di rifiuti e salvaguardia ambientale: Il ruolo propulsivo del PolieCo Di Claudia Salvestrini Le relazioni fra Italia e Cina datano start up molto lontani nel tempo e, malgrado la diversa dislocazione geografica sembri giocare a sfavore di tali rapporti, oggi, i due Paesi sono sicuramente sempre più vicini, tanto più in un momento contingentale come questo, quando, checché se ne possa dire in termini di vulgata, proprio la Cina sembra regalare al Bel Paese, segnali di luce e speranza economica. Tuttavia, non si può sottacere il fatto che, per troppo tempo, fra i due Paesi si siano intrecciati percorsi, per quanto limitati, ma comunque impattanti, legati a fenomeni di esportazione ed importazione di rifiuti che hanno avuto effetti perniciosi tanto sull’ambiente, quanto sulla salute dei cittadini e dei mercati dei rispettivi territori L’interesse di PolieCo nel far luce sui detti fenomeni di illegalità a partire da esportazioni illecite, nasce dalle varie denunce raccolte dalle aziende dei riciclatori italiani che non riuscivano più a reperire rifiuti da riciclare sul territorio nazionale. Cosa piuttosto strana vista la produzione di beni in Italia. Nell’approfondire la questione ci siamo resi conto che i rifiuti partivano per varie destinazioni estere, la più gettonata fra le quali era proprio la Cina (a seguire l’India, il Vietnam, la Malesia). Tutti i rifiuti oggetto delle indagini che abbiamo supportato, lasciano l’Italia identificati come merce e mai come rifiuti; le varie diciture, nel tempo, andavano dalla qualifica di Materia Prima, sino a Materie Prime seconde… Prime e seconde scelte (per i rifiuti industriali) fino ad arrivare ad oggi quando la normativa consente che tutto venga indicato come sottoprodotto (come se essere un rifiuto sia

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un’eccezione), ma sia ben chiaro che la qualifica di sottoprodotto deve essere dimostrata, tanto da chi esporta, quanto da chi importa. Nel traffico internazionale di rifiuti sempre più spesso si ignorano le norme Comunitarie che pur esistono e sono chiare: si esporta rifiuti e questo non è illegale purché si sappia esattamente dove viene portato il rifiuto, quale impianto lo lavora e se quest’ultimo è nelle condizioni tecniche corrette (e quindi a tutela dell’ambiente e della salute) per riciclare quella particolarità di rifiuto. Ad esempio: se si dovesse inviare una partita di rifiuti plastici derivanti dal settore agricolo in impianti che non hanno l’impianto di lavaggio è ovvio che tali strutture non possono trattare quella tipologia di rifiuto che pertanto non può essere inviato tal quale se non precedentemente lavato e ridotto in scaglie più o meno grandi. Se invece trattasi di Pet questo deve essere inviato o ad un impianto che fa fiocco oppure in un impianto che sia nelle condizioni di rigradare il Pet e questo è un impianto talmente tecnologicamente avanzato e costoso da sussistere in pochissimi esemplari, anche in Occidente. Parlare di traffico di rifiuti significa anche parlare di “strani meccanismi” di guadagno e di una materia molto vasta ed altrettanto remunerativa specie se nell’attività si mescolano iniziative poco chiare e delinquenziali: mescolare rifiuti pericolosi con non pericolosi, ad esempio, significa inviare un materiale che se anche solo apparentemente sembra buono, porta ad un riciclato contaminato e quindi alla produzione di prodotti o semilavorati inquinati ed anche pericolosi per la salute. Si consideri che in un momento congiunturale come l’attuale dove la contraffazione e la truffa alimentare vanno di pari passo con le esportazioni di rifiuti e dove i guadagni illeciti di tali traffici si equiparano ai mercati della droga e delle armi, rischiando anche poco in termini di giustizia,

l’attenzione verso questo tipo di fenomeni deve restare alta e richiamare ogni nostra energia per tamponare quanto più possibile il fenomeno, la criminalità organizzata e la possibilità che questa si inserisca nel mercato del riciclato al di fuori di ogni dinamica di corretta concorrenza. A questo punto non possiamo che salutare con entusiasmo quanto le istituzioni della Repubblica Popolare Cinese hanno fatto e stanno facendo per contribuire ad una definizione di regole condivise in grado di salvaguardare gli interessi di esportatori ed importatori che operano nella legalità e con un fine prettamente ambientale. Si deve ribadire, infatti, che per la Cina la normativa sull’ingresso dei rifiuti non è mai stata troppo permissiva. Ci sono norme datate 2008 che fanno divieto di importazione per i rifiuti derivanti dal comparto agricolo e per quelli provenienti dalla raccolta differenziata di RSU, fino ad arrivare all’ultima norma 2011 in vigore dal 1 Agosto, dove si fa espressamente divieto di importazione di rifiuti solidi pericolosi, di rifiuti solidi destinati al recupero energetico così come di prestare, vendere o affittare le varie certificazioni e/o licenze per importare o esportare in Cina. [NdR. “Legge della Repubblica Popolare Cinese per la prevenzione dell’inquinamento ambientale da rifiuti solidi” e leggi e regolamenti amministrativi ad essa collegati ove si stabiliscono le “misure organizzative per l’importazione di rifiuti solidi”, promulgata in data 8 aprile 2011 ed in vigore dal 1° agosto 2011]. Come mai nonostante questi divieti si è riscontrato e si riscontra che rifiuti proibiti partono per la Cina da non ben precisate Società che sono risultate poi essere semplici trading o intermediari? Questo è quello che combatte e denuncia da tempo il PolieCo: la totale inapplicabilità della norma e della legalità. Nei vari viaggi si è potuto verificare e le norme messe in

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atto dimostrano che le istituzioni cinesi sono preoccupate quanto noi del fenomeno e sono estremamente ricettive sulle regole da applicare per arginare quanto più possibile il fenomeno dell’ingresso di rifiuti non previsti e vietati, e quindi dell’illegalità. Ci inorgoglisce molto il fatto che molti dei passi della nuova legge cinese sono una diretta conseguenza delle discussioni intercorse fra l’ente AQSIQ di Pechino ed il nostro staff PolieCo che, in questa fase è stato visto come un vero e proprio organismo consultivo da cui estrarre conoscenze e proposte finalizzate alle realizzazione di regole precise, condivisibili ed applicabili nell’ottica della sostenibilità e della green economy. Non nascondo che alcuni passaggi molto delicati hanno riguardato, ad esempio, il malcostume legato alla scappatoia di esibire certificazioni e autorizzazioni per esportare che venivano passate di mano in mano tra le varie aziende (molte aziende italiane hanno esportato con licenze tedesche o olandesi); troppo spesso si ignorava la destinazione degli impianti finali (condizione indispensabile per la norma Comunitaria sull’esportazione di rifiuti e che restava di difficile comprensione per la parte cinese). La nuova norma redatta dalle Istituzioni della RPC non risolve la questione in maniera definitiva, ma ponendo dei limiti alle quantità da importare in Cina inevitabilmente costringe l’esportatore a fare riferimento ad un parametro che è quello della capacità complessiva dell’impianto finale e quindi, in qualche modo, si deve conoscere l’impianto finale. La volontà sottesa a questa rinnovata produzione normativa cinese in chiave green è quella di promuovere seriamente il rilancio dell’economia verde e della collaborazione fra portatori di interesse internazionali. Questa volontà deve essere vista, ancor più, come una favolosa apertura che serva ad avviare un Tavolo di lavoro congiunto fra il Ministero

dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e quello degli Esteri affinché si addivenga ad un Protocollo di intesa che miri al controllo dei rifiuti sia in uscita dall’Italia che in ingresso in Cina così come all’attivazione di controlli mirati ed efficaci in grado di verificare l’idoneità dei prodotti fatti in Cina ed importati in Italia In questo torno di tempo e nel futuro prossimo venturo, il PolieCo ribadisce la volontà di farsi parte attiva per la buona riuscita di questo Tavolo e si propone agli enti preposti in qualità di primo interlocutore con i partner riciclatori cinesi per la realizzazione della vera economia sostenibile.

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Nella seconda giornata dei lavori del Forum, la Cina, un Paese in corsa verso l’economia del riciclo, impegnato a giocare da protagonista la partita del riciclo, diventa, così, un “caso” da studiare e da guardare con interesse. Di qui la presenza al tavolo dei relatori del Primo Consigliere dell’Ambasciata Cinese in Italia, Zhang Junfang: “Il settore del riciclo è un settore che negli ultimi anni ha registrato una forte crescita in Cina, ma che per lungo tempo è stato trascurato e che per questo necessita di essere ordinato e regolato. Abbiamo scoperto questo settore anche grazie a PolieCo e solo ora abbiamo iniziato a studiarlo. Anche il governo cinese ha recentemente cominciato ad interessarsi di questo mercato. Infatti, dal 1° agosto scorso il nostro governo ha emanato una legge sull’importazione dei rifiuti. Si tratta di un primo passo che punta a ordinare in maniera compiuta il complesso mercato dei rifiuti”. La collaborazione istituzionale e la partnership commerciale Italia-Cina è un altro tema su cui il governo cinese sta lavorando. “Solo lo scorso anno abbiamo firmato più di 10 accordi bilaterali e 20 accordi commerciali di collaborazione tra Cina e Italia ha continuato Zhang Junfang - Contiamo che entro il 2015 lo scambio commerciale tra i due paesi raggiunga gli 80 miliardi di dollari. Attualmente siamo arrivati a quota 45 miliardi. L’Italia per la Cina è il quarto partner europeo per scambi commerciali. Dal 2005 al 2010 lo scambio tra Cina ed Europa è cresciuto del 17%, quello tra Cina e Italia del 19%. L’obiettivo è quello di incentivare gli investimenti, non solo quelli degli imprenditori italiani in Cina, ma anche quelli degli imprenditori cinesi in Italia. Il capitale italiano attualmente in Cina ammonta a 4, 834 miliardi. D’altra parte anche la Cina ha fatto molti sforzi per aumentare gli investimenti cinesi in Italia che ad oggi superano i 680 milioni di dollari. Fino all’anno scorso potevamo contare ben 151 imprese cinesi che avevano un

ufficio di rappresentanza anche in Italia. Ma l’obiettivo della Cina, non è solo quello di collaborare con il governo italiano o con gli imprenditori italiani. Puntiamo a collaborare in primis con gli italiani. Per questo nelle nostre imprese abbiamo assunto per l’80% dipendenti italiani. Vantiamo addirittura società in cui il personale è interamente italiano. Contare sui lavoratori del posto, collaborare con gli enti e le organizzazioni del posto e rispettare le leggi del posto. È questa la filosofia che vogliamo trasmettere alle imprese cinesi che guardano con interesse all’Italia. Dall’altro lato siamo pronti ad accogliere e a supportare tutti coloro che intendono investire nel nostro paese”. Dopo il governo e le istituzioni cinesi a parlare è direttamente l’impresa cinese, quella virutosa, perché ambientalmente sostenibile e allo stesso competitiva, che ha saputo fare del riciclo delle materie plastiche il suo core-business e il motivo del suo successo. Ad illustrare la mission aziendale della Shanghai Intco Industries, azienda specializzata nella produzione di cornici fotografiche e di materiali plastici per rivestimenti e pavimentazioni da EPS è stato Liu Zhenzhong, Vice-Presidente dell’azienda: “Ogni anno produciamo prodotti a partire da materiale riciclato per un valore di 120 milioni. Di qui il nostro forte interesse all’acquisto di materiali riciclati per aumentare la scala della nostra produzione. Generalmente acquistiamo da Paesi in via di sviluppo e già industrializzati, come Stati Uniti, Corea, Svezia, Germania, Polonia e Spagna. L’Italia, sotto questo aspetto, è per noi un Paese di grande interesse. 100 mila tonnellate: è questa la quantità di rifiuti plastici che ci interessa acquistare dall’Italia. La nostra speranza è quella di trovare qui partner commerciali da cui poter acquistare rifiuti. La nostra attività merita tutta la vostra fiducia dal punto di vista ambientale. Siamo ecologici,

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sostenibili e sensibili alle problematiche ambientali. I nostri quattro stabilimenti possono contare tutti su certificazioni rilasciate dalle agenzie per l’autorità ambientale. Tutto quello che viene prodotto è perfettamente in linea con le normative per la protezione dell’ambiente. L’appello a collaborare con noi è anche un augurio perché possiate iniziare a considerare i rifiuti un tesoro e una risorsa da riciclare, piuttosto che come un problema da smaltire”. Dal modello cinese che guarda all’Italia come opportunità di sviluppo a quello italiano che guarda ai paesi in via di sviluppo per poter decollare. Nella sua edizione 2011 il Forum pullula di “best practice” volte ad “illuminare” gli imprenditori di casa nostra sulla strada da intraprendere. Una di queste è proprio quella del giovane imprenditore, amministratore unico della Mildak Sarl, Patrizio Pasquariello, partito alla volta del Senegal per esportare tecnologia e know how per “colonizzare” un territorio “vergine” in materia di riciclo di rifiuti plastici e far decollare un’impresa che oggi ricicla due tonnellate di PET all’ora. Una storia la sua che racconta il successo di un’intuizione e la forza dell’intraprendenza “made in Italy”: “in molti dei miei viaggi per lavoro - ha spiegato il giovane Pasquariello chiamato a raccontare la sua esperienza al tavolo dei relatori - sono rimasto colpito dall’enorme quantità di materie plastiche che si ricicla in Cina. Così tornado in Italia ho iniziato a cercare materie plastiche da portare in Cina, ma non ce l’ho fatta. Colpa dei troppi intermediari che viziano il mercato. Tramite conoscenze personali con la FAO sono arrivato in Africa, una vera e propria discarica a cielo aperto di plastica, spesso trasportata illegalmente. Qui la plastica è una vera e propria piaga sociale e il riciclo un problema da trasformare in opportunità. Ho così iniziato a lavorare su una discarica in Senegal, ben 30 chilometri quadrati di bottiglie di plastica. Da una prova, il riciclo è

oggi entrato a pieno regime ed è diventato business. Così dai macchinari rudimentali africani utilizzati per fare dei test siamo passati a macchinari più tecnologici acquistati dalla Cina. Tra questi anche dei compattatori, perché nel caso di materiali plastici gli enormi volume pesano sui trasporti e quindi anche sul prezzo finale del prodotto. Per far fronte ai continui tagli di corrente che in Africa coprono cicli giornalieri di 6-10 ore, abbiamo pensato di alimentare tali compattatori con pannelli fotovoltaici. Abbiamo iniziato con cicli di lavorazione di 10 ore, l’obiettivo è di arrivare a breve a cicli di 20 ore con una produzione di 50 tonnellate giornalierie e 15.000 tonnellate annue”. L’esempio del giovane italiano, sbarcato in Senegal a caccia di un’opportunità, forte del proprio bagaglio di know how e tecnologia, insegna. Di qui il monito e l’invito del Presidente PolieCo, Enrico Bobbio: “Imprenditori sveglia! Bisogna andare dove c’è il problema, non aspettare che il problema venga a casa nostra! Muoviamoci! Abbiamo capacità, tecnologie, saper fare, abbiamo tutte le carte in regola per esportare la nostra cultura e il nostro spirito imprenditoriale in questi paesi via di sviluppo, come il Senegal e farne il nostro core business”. Ma dal giovane imprenditore della Mildak Sarl, oltre che una lezione “economica”, anche una lezione “morale”. Al di la’ del virtuosismo imprenditoriale la sua azienda è un chiaro esempio di virtuosismo etico che ha saputo coniugare gli interessi economici con la solidarietà: “Grazie alla collaborazione della FAO, abbiamo creato un fondo, il Fondo Mildak, per la costruzione di scuole in Africa - ha spiegato Pasquariello - Il nostro obiettivo è quello di sensibilizzare i giovani ed educarli fin da piccoli al problema del riciclo in Africa”.

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Il tema dello smaltimento illecito dei rifiuti sulla scena internazionale è stato invece il tema dell’intervento del Dott. Francesco Cappè, funzionario dell’UNICRI, l’Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di ricerca sul crimine e sulla giustizia che recentemente ha deciso di lanciare un programma di ricerca e di raccolta dati proprio nel settore dei reati ambientali, focalizzandosi nello specifico sullo smaltimento illegale dei materiali pericolosi. Il 2012 vedrà l’inizio di questa attività che verrà effettuata in piena sinergia con le esperienze esistenti di controllo e monitoraggio in campo internazionale (es. INTERPOL) andando a colmarne le lagune e i deficit. “Sono tre le fasi azione del progetto ha spiegato Francesco Cappè - partiremo da una ricerca e da un database multimediale per l’analisi dei dati raccolti, passando per una conferenza internazionale per portare tutto all’attenzione delle Nazioni Unite, fino ad arrivare a mettere in piedi una piattaforma continua di monitoraggio dell’illecito in campo internazionale”. “L’obiettivo è quello avere una fotografia chiara del fenomeno a livello internazionale dello smaltimento illegale di rifiuti tossici ed elettronici ha precisato il funzionario dell’UNICRI - Ci interesse conoscere i trend, ovvero le tendenze in atto su scala globale, circoscrivere i gruppi criminali coinvolti e contestualizzare a livello socio-politico l’azione criminale per individuare le vulnerabilità e le zone di rischio regionali e globali”. “In questo senso - ha precisato il Dott. Cappè - sottolineo l’importante funzione del Consorzio PolieCo, ormai da tempo impegnato a coniugare mercato e riciclaggio, nello stimolare organismi esistenti a livello nazionale ad attivarsi e a consolidarsi anche sul fronte internazionale, perché è qui che si gioca la partita del riciclo. Considero pertanto l’impegno del Consorzio nella sensibilizzazione su tali tematiche una vera e propria best practice da prendere a modello”.

Sabato 24 settembre V Sessione “Profili di legalità ed etica del riciclo nelle economie globalizzate” Alla legalità e al suo inscindibile legame con l’etica è stata dedicate l’ultima sessione del Forum che ha visto protagonista la magistratura. Ad aprire la sessione sulla legalità l’On. Gaetano Pecorella, Presidente della Commissione bicamerale di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti che ha posto l’accento sulla dimensione internazionale del problema illegalità nel settore rifiuti, evidenziando limiti e lacune dell’apparato volto a contrastarla: “Il mercato dei rifiuti, soprattutto quelli destinati al riciclo ha dichiarato l’On. Pecorella - è un mercato ormai globalizzato, ma privo di regole omogenee e di adeguati controlli, un mercato che si connota per la presenza di ampie maglie attraverso cui è molto facile per i trafficanti di rifiuti operare liberamente, creando situazioni di disastro ambientale o di danno alla salute umana. I reati ambientali, d’altronde, hanno una forte vocazione transnazionale. Gli organi investigativi si trovano quindi costantemente alle prese con la necessità di superare i confini nazionali nel tentativo di instaurare collegamenti e reti di indagine con le autorità e le polizie giudiziarie di vari Paesi. Eppure, la Commissione che presiedo ha potuto constatare che l’Europol, che dovrebbe svolgere la funzione di canale informativo tra le polizie dei diversi Paesi, è in realtà in possesso di un numero limitatissimo di notizie in merito al traffico transfrontaliero di rifiuti. Inoltre, l’Eurojust, che dovrebbe coordinare le autorità giudiziarie nei procedimenti che interessano due o più stati membri, in realtà, in tema di rifiuti, sembra svolgere attività di scarso rilievo. Si pensi che nel 2004 sono stati aperti solo 20 casi, nulla a paragone dei migliaia di casi che riguardano altri settori di competenza

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di Eurojust. In sostanza, ad oggi non risulta alcun tipo di coordinamento investigativo o alcun dato significativo su indagini relative al traffico transfrontaliero di rifiuti”. Dalla fotografia dei gap e delle lacune, scaturisce inevitabile la proposta, quella di un coordinamento urgente tra le forze di polizia a livello internazionale: “Ci si deve rendere conto che la terra oggi è sempre più simile al corpo umano ha precisato Pecorella Oggi è sempre più facile che l’infezione in una parte malata del Pianeta si diffonda anche nelle parti sane, provocandone addirittura la morte. Non è perciò più ammissibile che la gestione dei rifiuti sia lasciata ad ogni singolo stato, al di fuori di un controllo internazionale, né che vi sia tanta disparità di normative, o addirittura, come ha sottolineato il Prof. Di Cigoli, l’assenza di un Diritto globale. È impensabile che un mercato globale non sia regolamentato a livello internazionale. La comunità internazionale ha bisogno di enti di controllo sovranazionali, sia per tutelare quelle nazioni più arretrate che sono oggi la pattumiera di quelle più avanzate, sia per impedire che la cattiva gestione dei rifiuti in alcuni Paesi si traduca in un danno per altri Stati o per l’intero pianeta. Penso ad una sorta di task force in grado di intervenire nei paesi a rischio, denunciandone le violazioni ad organismi internazionali a cui, a loro volta, sia riconosciuto anche il potere di erogare sanzioni. Forse si tratta di un’utopia, ma le utopie sono un piccolo seme gettato, da cui a lungo può nascere qualcosa. La mancanza di un approccio normativo unitario a livello europeo ed internazionale, sia dal punto di vista preventivo, che repressivo, nei confronti dei crimini connessi al traffico illecito dei rifiuti, oltre che la mancanza di un’efficace e sistematica attività di coordinamento tra le autorità giudiziarie dei vari paesi, sono un limite gravissimo allo svolgimento di indagini che necessiterebbero, invece, di un approccio unitario e dell’impiego di forze comuni, dal punto di vista informativo, normativo

e operativo. Sta agli uomini, agli imprenditori, agli Stati di buona volontà realizzare tutto questo”. La cause dell’illegalità a livello internazionale, le sue dinamiche e le proposte per contrastarla sono state al centro dell’intervento socio-economico di Loretta Napoleoni, giornalista e consulente UNICRI. “Il traffico dei rifiuti è una delle entrate più importanti della criminalità organizzata nostrana ha sottolineato la Napoleoni che cresce approfittandosi della crisi di liquidità che avvelena il mercato internazionale. La crisi economica ha pertanto dato nuovo slancio e nuovo impulso all’economia illegale e criminale, proprio perché queste hanno grande abbondanza di contante. Il riciclaggio è diventato così una fonte importante della liquidità del nostro paese. Il crimine organizzato che opera esclusivamente in contante ha così approfittando della crisi per riciclare la propria liquidità all’interno dello stesso sistema a corto di contante. L’esempio della Campania è illuminante sotto questo punto di vista: il gettito fiscale della regione non corrisponde ai livelli di reddito, più bassi di quelli riscontrati dalle entrate del fisco. La regione è la ‘lavatrice’ del paese. In Campania si riciclano non solo i profitti illeciti prodotti in Campania, ma anche quelli prodotti fuori Italia. Esiste un’economia occulta e illecita all’interno del nostro sistema, legata a doppio filo e interdipendente con l’altra economia, quella visibile e legale. Alla radice di queste anomalie pericolose c’é l’indifferenza della classe politica nei confronti della contaminazione dell’economia legittima che trae sostentamento proprio da quella illegittima”. “Ma questo non è un problema solamente italiano ha dichiarato la Napoleoni - Basta guardare al Messico, o meglio alle connivenze tra Ciudad Juares ed el Paso, due città al confine tra Mexico e Stati Uniti, separate soltanto da un ponte e unite da un

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commercio illegale interdipendente (quello della droga e delle armi) che assicura il sostentamento di entrambe le realtà. Merito di una cinghia di industrie illegali che corrono lungo il confine, nate dal riciclaggio di denaro sporco, prodotto dal commercio di armi e droga, ovvero di una sorta di ‘polmone economico’ che fa girare l’economia legale, oltre a quella illegale. Il caso del Messico è solo un esempio limite dell’istituzionalizzazione economica del crimine e ci conferma che la tentazione di incamerare i profitti dell’illegalità nell’economia tradizionale è, specie nei momenti di recessione, forte d’ovunque”. L’analisi dell’illegalità nazionale ed internazionale offerta dalla Napoleoni, non è però sfuggita alle proposte, né si è sottratta dal lanciare soluzioni: “Una partecipazione più diretta ed attiva della società civile alla cosa pubblica è l’unica via di uscita. Un esempio interessante è offerto dalla città di Medellín, la cittadina colombiana sfuggita dal monopolio del traffico di droga grazie alla cultura, o meglio grazie alla politica illuminata di alcuni amministratori che hanno aperto biblioteche, ludoteche e scuole per creare punti di aggregazione della popolazione. Si tratta di una delle storie più incredibili degli ultimi dieci anni, oltre che un modello a cui guardare con ottimismo”.

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Dopo aver fatto luce sulle cause dell’illegalità internazionale tramite l’originale e brillante analisi di Loretta Napoleoni e aver analizzato le proposte ideali dell’On. Gaetano Pecorella, volte a contrastare il problema illegalità, la riflessione del Forum si è spostata agli strumenti della legalità, ovvero l’apparato normativo, la cui inadeguatezza è stata sottolineata da Gianfranco Amendola della Procura della Repubblica di Civitavecchia: “In Italia ha sottolineato Amendola - abbiamo la peggior legge ambientale che ci sia mai stata propinata. Quando nel 1970 ho iniziato ad occuparmi di ambiente non c’era una normativa ambientale. Applicavamo, piuttosto, il codice penale.

Oggi, invece, abbiamo una normativa ambientale che sarebbe meglio non avere, per come è strutturata, per come non viene applicata e soprattutto per come non viene controllata. Quando ero deputato europeo, in qualità di vicepresidente della Commissione Ambiente, facemmo un’ indagine sulla cosiddetta ‘illegalità istituzionale’ per comprendere come in tutti i paesi europei nascessero leggi ambientali destinate a non essere applicate. Dall’indagine emersero ben otto espedientiescamotage per creare leggi destinate a rimanere sulla carta, perché difficili da applicare e da controllare. L’aspetto più eclatante era costituito dal fatto che l’Italia faceva il pieno: in Italia venivano applicati tutti ed otto gli espedienti. È questo uno dei motivi per cui da due anni a questa parte la polizia giudiziaria non fa più controlli sul traffico e sul trasporto dei rifiuti: non si sa più che legge applicare. Siamo passati ad un tipo di normative che è ‘criminogena’. Piuttosto, facciamo poche leggi, chiare e applicabili”. Dopo il duro attacco all’impianto normativo di riferimento in tema di ambiente e di rifiuti, dal procuratore Amendola è arrivato, tuttavia, l’invito a rispettarlo: “Certo, non esiste una via giudiziaria all’ecologia. La via all’ecologia passa, infatti, attraverso la cultura e la sensibilizzazione. Però, nel frattempo le leggi vanno applicate, anche se fatte male. Un po’ di sana repressione penale non fa male. Parola di magistrato”. A difesa delle imprese e contro la pubblica amministrazione si è schierata Viviana Del Tedesco della Procura della Repubblica di Udine. “La colpa è della pubblica amministrazione, che non fa bene il suo mestiere e che non viene punita per questo ha dichiarato la Del Tedesco Il privato, invece, si trova costretto a trasgredire di fronte a tale sistema vessatorio e percussorio, non ha alternative. Ecco allora che tra legalità e illegalità il passo è breve. Capita così che anche l’imprenditore onesto possa essere

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risucchiato dalla criminalità vera, quella organizzata che ha il monopolio e che costringe il privato a smaltire in un maniera illegale. Ricordiamoci che è l’impresa che muove l’economia e che nel momento in cui un imprenditore viene iscritto nel registro degli indagati ha una perdita drammatica di chance sul mercato. Ne basta una per mandarlo in fallimento”. Le difficoltà della Magistratura di fronte all’illecito ambientale a causa di un apparato normativo inadeguato sono state al centro dell’intervento del Sostituto Procuratore Direzione Nazionale Antimafia, Roberto Pennisi: “La realtà della norma in materia ambientale in Italia oggi è costituita da un lato da imprese virtuose che la applicano e dall’altro dalla repressione. In mezzo però c’è il vuoto. Si finisce così per scaricare sull’apparato repressivo dello Stato (magistratura e polizia giudiziaria), quella che in realtà dovrebbe essere l’ultima ruota del carro, responsabilità che non sono di sua competenza. Invece noi magistrati rischiamo di essere la prima ruota del carro e non vogliamo esserlo. Alla fine tutto si scarica sulla magistratura che invece non è attrezzata per affrontare questo problema”. Di fronte alle difficoltà della magistratura, il Dott. Pennisi non ha mancato di sottolineare il virtuosismo del Consorzio: “Se ci fosse una condanna per aver fatto bene, PolieCo dovrebbe patire la massima pena, proprio per via della sua lungimiranza. La stessa costruzione del programma di questo Forum che ha lasciato gli interventi dell’apparato repressivo alla fine è un segno che la soluzione al problema dell’illecito non va ricerca nella magistratura, ma nell’impresa e nell’amministrazione. Pur in assenza di una strutturata normativa penale contro i crimini ambientali, richiesta a gran voce dagli addetti ai lavori e dalla comunità internazionale, l’intelligente uso da parte degli organi repressivi dello Stato degli strumenti esistenti ha consentito di ottenere risultati di grande pregio

nel contrasto di tali fenomeni delittuosi, resi ancor più devastanti dalla presenza del crimine organizzato”. Il riferimento va alla scarsa produzione legislativa nell’individuazione di figure di reato in materia ambientale: “L’art. 260 dlgs.152/06 è come Cenerentola ha commentato Pennisi - unica norma penale in una marea di fattispecie che danno luogo a violazioni amministrative o a contravvenzioni”. Di qui, dopo il monito, l’invito: “L’augurio - ha continuato Pennisi - è che il legislatore faccia in modo che Cenerentola trovi la scarpetta, ma l’invito è a non lasciare sola Cenerentola. Il legislatore, piuttosto, si ricordi di inserire nel codice penale il delitto ambientale per evitare che l’autorità giudiziaria sia costretta a pericolose torsioni delle norme del diritto ambientale. In un’epoca di globalizzazione del crimine occorre che le sfide che attendono la comunità nazionale sullo scenario dei crimini ambientali possano essere affrontate disponendo di una articolata normativa penale che non costringa l’apparato repressivo dello Stato a “forzare”, oltre il naturale limite, le norme del diritto penale, col rischio di pericolose torsioni che possono compromettere il principio di legalità. L’invito va al legislatore affinché metta a disposizione dell’apparato repressivo dello Stato degli strumenti. Recentemente qualcosa si è mosso. Occorre continuare su questa via”. A sottolineare la necessità di un apparato normativo e compiuto è stato anche Roberto Rossi, Consigliere del Consiglio Superiore della Magistratura, il cui intervento ha preso spunto dal dibattito sul rapporto tra Diritto ed economia. “Le regole vengono prima dell’attività economica - ha dichiarato Rossi - Ecco perché sulle spalle dei giuristi pesa un’enorme responsabilità. Sono loro che devono ricordarsi in prima persona che le economie sono sane solo se seguono regole precise e che le regole servono a favorire l’economia e non ad ingabbiarla. Senza regole serie non ci sarà mai uno sviluppo economico serio.

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Occorrono norme penali adatte e dissuasive contro le violazioni a danno dell’ambiente”. Dalla necessità delle norme, alla necessità del loro rispetto. La riflessione di Rossi non risparmia l’allergia alle regole tipica del tessuto imprenditoriale italiano. Di qui il riferimento all’estensione della responsabilità delle imprese agli illeciti commessi in violazione delle norme a protezione dell’ambiente: “A pagare ora non sarà solo il singolo, ma anche la società - ha precisato Rossi - Questo è solo un esempio di come una cultura imprenditoriale allergica all’applicazione delle norme produca poi, quasi per una sorta di punizione divina, degli effetti devastanti per le regole. Ecco allora che un tipo di sanzione è diventata un allargamento sterminato e poco serio di responsabilità nei confronti delle imprese”. “Riportare l’impresa al centro della riflessione sulla repressione penale”. È questo l’invito dell’On. Francesco Paolo Sisto, membro della II Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, della Commissione Bicamerale di inchiesta Antimafia e del Comitato Parlamentare per i Procedimenti di accusa: “Ci troviamo nel bel mezzo di un delicato periodo storico in cui l’impresa va aiutata, non vessata - ha dichiarato Sisto - Se andassimo ulteriormente a martellare le imprese in maniera formale, dando al diritto penale una funzione repressivo, commetteremmo un crimine ulteriore rispetto a quelli che puntiamo a perseguire. Il diritto penale non è la medicina che serve per ‘raddrizzare’ l’impresa. Al contrario. In questa particolare fase congiunturale, occorre fare dell’impresa il punto centrale, di partenza e di arrivo, di qualsiasi intervento. L’Italia ha bisogno di un mutamento di rotta, ma non di ulteriore repressione penale”. Di qui il riferimento al Decreto Legislativo che modifica il D. Lgs. 231/2001, “una sorta di mostro ha commentato Sisto - che approfittando di un disegno europeo, si trasforma nel nostro paese in un ulteriore strumento di percussione per l’impresa che per tutelarsi avrà

soltanto un’ancora di salvezza, ovvero un apparato burocratico in grado di reggere formalmente l’impatto aggressivo della norma su violazioni formali. Piuttosto che perseguire l’impresa, la repressione oggi deve prendere le mosse da regole che penalizzino quello che merita di essere penalizzato, che escludano la violazione formale lieve dal range del penalmente rilevante e che diano certezza alle imprese. È questo l’unico mondo per dare respiro all’impresa corretta e virtuosa, quella attenta, ligia, rispettosa e credibile”. Dall’analisi delle criticità dell’economia del riciclo alle proposte per un suo rilancio a partire dalla promozione di un’adeguata “cultura del riciclo”, la due giorni ischitana ha passato in rassegna lacune, punti di debolezze, ma anche opportunità e “best practice” legate allo scenario del riciclo in Italia e nel mondo, dal punto di vista normativo, economico, culturale e politico. Merito del contributo dei numerosi relatori intervenuti ad arricchire con i loro interventi la riflessione sul riciclo e sulle sue prospettive future. “Per far fronte alle sfide della globalizzazione e uscire dall’empasse della crisi ci vuole cultura - ha commentato il Presidente di PolieCo, Enrico Bobbio, a chiusura del Forum - La promozione di un’adeguata cultura del riciclo è la chiave per uscire dalla crisi, oltre che l’obiettivo di PolieCo. Il nostro Paese ha tutte le carte in regola per far decollare la Green Economy, ma abbiamo la demagogia che ci blocca. Dobbiamo lavorare perché la barriera demagogica crolli e perché l’imprenditore italiano possa competere al pari di altri imprenditori del mondo. È impensabile poter esportare in tutto il mondo la tecnologia di trattamento di rifiuti ed essere penalizzati proprio in casa nostra. È un problema culturale. Abbiamo riportato l’esempio di un giovane imprenditore alla volta del Senegal affinché possa essere un modello e allo stesso tempo uno stimolo. Noi abbiamo le tecnologia, la capacità e l’esperienza per trasformare sfide e problemi in risorse”.

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Nella serata di venerdì 23, il PolieCo ha inteso omaggiare con la consegna degli Attestati di benemerenza 2011 le personalità che si sono distinte durante l’anno per l’alto impegno professionale a favore dell’ambiente e della promozione della cultura della legalità ambientale. Di seguito diamo conto della premiazione e delle relative motivazioni.

GIUSEPPE MARCOTRIGIANO, Comandante della Stazione di Bari del Corpo Forestale dello Stato per l’importante lavoro svolto dal suo insediamento ad oggi, anche in relazione ai meriti conseguiti nella sua carriera, a tutela dell’ambiente e della legalità; per l’importante contributo volto a stroncare il traffico illecito dei rifiuti, oltre che per il sostegno e la disponibilità da sempre dimostrati verso le attività del Consorzio, con il quale condivide ideali e valori.

LUIGI BENIAMINO SCARPA, Sindaco di Porto Torres per il suo coraggioso impegno in difesa dell’ambiente della sua città. Impegnato a valorizzare e a tutelare il patrimonio paesaggistico locale, pur in condizioni di estrema difficoltà, ha fatto della green economy un punto cardine del governo della sua città, oltre che una delle priorità del suo mandato, dimostrando coerenza e condivisione con gli ideali del Consorzio.

JCOPLASTIC S.p.A. perché l’azienda in questione, leader nel settore della progettazione e produzione industriale di contenitori in materiale plastico, all’avanguardia per competitività, tecnologia, innovazione e qualità, ha saputo integrare i valori del rispetto dell’ambiente nel suo core business, divenendo un esempio

nel tessuto imprenditoriale nazionale ed internazionale, oltre che testimonial d’eccellenza della mission PolieCo.

GIORGIO MOTTOLA, giornalista di Terra per la coraggiosa denuncia e la puntuale informazione fornita sui temi ambientali, in grado di contribuire alla diffusione di una nuova cultura dell’ambiente e della legalità tra i media e l’opinione pubblica, oltre che per la competenza e la professionalità dimostrata nel sostegno alle attività del Consorzio ed il coraggio dimostrato in molte indagini.

GIAN CARLO BIANCHI, amministratore della G.L.M. Import Export perché con la sua attività imprenditoriale ha saputo coniugare, con professionalità e competenza, valori d’impresa e salvaguardia dell’ambiente, facendo della responsabilità ambientale e sociale uno dei capisaldi di una strategia aziendale “vicina all’ambiente”, attenta a modelli di sviluppo alternativi e sensibile agli ideali del Consorzio.

RAFFAELLO FOTERNI perché da sempre, ancor prima della costituzione del Consorzio e successivamente con la sua immediata adesione infatti risulta essere stato il primo iscritto, ha sostenuto le attività a tutela della legalità e dell’ambiente. Per aver creduto fin da subito nei valori e nella missione del Consorzio e per aver apportato il suo importante contributo, come consorziato e come imprenditore, lo ringraziamo e lo ricordiamo con grande affetto e stima.

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