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occorre elevare entrambe; occorre ottenere con più selettività la prima e divulgare maggiormente la conoscenza manageriale della seconda. Nel riformare i criteri per l’assegnazione dei contributi, lo Stato ribadisce l’attenzione primaria agli aspetti artistici e progettuali. Nel linguaggio ministeriale la parola qualità viene sempre associata a indicatori come la promozione della drammaturgia contemporanea, dei giovani musicisti, etc, e la progettualità alla stabilità della direzione artistica; ma, contemporaneamente, si è introdotta una valutazione economica su base triennale con il DLgs 21.1.21998, n°492, e si è incominciato ad insinuare che l’attribuzione dei contributi tiene conto anche dell’efficienza della gestione. Insomma sembra davvero finita l’epoca in cui per le istituzioni teatrali presentarsi con disavanzi spesso abissali era più producente che godere di una perfetta salute contabile. Si tratta di un percorso che viene parallelamente confermato dalle riforme amministrative attuate dalla L. 59/1997 e seguenti integrazioni, cioè dalle citate “Bassanini”. Da queste leggi sono derivati i riferimenti generali per lo Spettacolo, che oggi sono rappresentati da due scenari normativi. Il DLgs 31.03.1998 n°112 “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del Capo I della L. 15.03.1997 n°59”; e il DLgs 20.10.1998 n°368 “Istituzione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, a norma dell’art.11 della L. 15.03.1997 n°59”. Il 112 colloca i beni e le attività culturali nel contesto dei “servizi alla persona e alla comunità”, dove stanno la sanità, i servizi sociali, l’istruzione scolastica, la formazione professionale e lo sport; pertanto torna a sottolineare il valore di “patrimonio collettivo” dello Spettacolo, che nel dopoguerra ne aveva giustificato “a priori” il finanziamento pubblico e che oggi si traduce invece nell’attenzione al suo destinatario principale: il cittadino-utente. Il 112 non manca, tuttavia, di riproporre l’isolamento dello Spettacolo, confinandolo in un Capo specifico, il VI, dove non si decentra nulla (a differenza del Capo precedente, dedicato ai beni, nel quale - come più sopra analizzato - si avviano forme di dismissione da Stato a enti territoriali). Per lo Spettacolo il 112 ribadisce che è lo Stato a stabilire indirizzi generali, anche a proposito della qualità e del valore progettuale delle attività. E’ una tendenza centralistica che ovviamente trova conferma nel 368 che, con una decisione storica, congiunge in un unico dicastero la Cultura non soltanto all'Arte ma anche allo Spettacolo. L’ambiguità subìta con il referendum abrogrativo del


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