Cuore di pietra. Progetto di paesaggio per il parco urbano delle cave di Marsala.

Cuore di pietra

Progetto di paesaggio per il parco urbano delle cave di Marsala

Tesi di Laurea di

Francesco Gnoffo Relatore

Prof. Arch. Manfredi Leone Co-relatore

Prof. Arch. Ignazio Vinci

Università degli Studi di Palermo Dipartimento di Architettura Corso di Laurea Magistrale in Architettura

A mia madre

A chi combatte, sempre.

A chi perde la speranza.

Siete più forti di quel che credete.

Cuore di pietra

Progetto di paesaggio per il parco urbano delle cave di Marsala

Tesi di Laurea di

Francesco Gnoffo Relatore

Prof. Arch. Manfredi Leone Co-relatore

Prof. Arch. Ignazio Vinci

Università degli Studi di Palermo | Scuola Politecnica Dipartimento di Architettura Corso di Laurea Magistrale in Architettura

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L’Architettura è il racconto di una storia da decodificare. Una storia in cui i personaggi si muovono, la animano e la vivono. Questi sono sempre personaggi reali, perché oltre alla fascinazione poetica della costruzione giunge anche il suo aspetto più pragmatico.

Anche le persone che voglio ringraziare, per fortuna, sono tutte reali.

Grazie al Professore Manfredi Leone, che in questi anni è stato un professore, un mentore, una guida. Grazie per avermi guidato in questo percorso di tesi, per avermi insegnato più delle regole del costruire. Grazie per aver creduto in me.

Grazie al Professore Ignazio Vinci, per il supporto prezioso durante lo svolgimento della ricerca e dello svolgimento del progetto di tesi.

Grazie a mio padre, che ci credeva ma non lo diceva.

Grazie a mia madre, semplicemente per esserci sempre.

Grazie a Giovanni Pio, che mi ha fatto capire che non è la vita che sceglie, ma sei tu che scegli.

Grazie a Bianca, perché senza di lei la mia vita sarebbe meno colorata. E grazie al TEMPISMO che ci ha uniti.

Grazie a Maki, che nonostante il tempo passi, lei non passa mai.

Grazie a Valentina, che con il suo cuore di panna mi ha fatto capire quanto sia prezioso averne uno.

Grazie a Ugo, che è stato tanto, è tanto, e mi ha fatto capire tanto.

Grazie a Fabiola, che con la sua presenza costante mi ha fatto capire che, alla fine, le cose andranno sempre bene.

Grazie ai Satanassi infernali, che mi hanno fatto sentire complice di qualcosa.

Grazie ai Cavalieri dell’Apocalisse, che mi hanno fatto sentire complice di qualcosa di più grande.

Grazie a Gianfranco, per i mille caffè e le mille parole da Pedro’s, che fu Nando’s e chissà cosa diverrà.

Grazie a Giulia, che mi ha fatto vedere un mondo più grande da scoprire.

Grazie ad Emanuele, con cui sono cresciuto e condiviso gioie e dolori di questi anni.

Grazie alla Dott.ssa Luisa Borrelli, che mi ha fatto capire che l’interruttore per accendere una stanza buia c’è sempre.

Grazie a chi c’è ancora, nonostante tutto.

Grazie.

Si ringrazia il Comune di Marsala e l’Ing. A. Putaggio per il materiale fornito.

La tesi di Laurea è stata discussa nella sessione straordinaria di Marzo dell’a.a. 2018-2019.

INDICE Introduzione 1

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Paesaggio, attualità 1.1 Paesaggio, attualità 1.2 Il paesaggio delle cave 1.3 Costruire con il vuoto

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2 Marsala, paesaggio di pietra 2.1 Marsala, paesaggio di pietra 2.2 Cenni di geologia

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3 Gli strumenti urbanistici 3.1 Il Piano urbanistico comprensoriale 3.2 Il Piano Regolatore Generale 3.3 Il Piano strategico 3.4 Il Piano Territoriale Paesistico Regionale

33 35 36 37

4 La Polveriera 4.1 La Polveriera 4.2 Il racconto del luogo

43 45

5 Casi studio 5.1 5.2 5.3 5.4

Two caves, Cueva Parco urbano Citylife, Milano Riqualificazione di una cava romana, Burgerland One North park, Singapore

51 52 53 54

6 Il Progetto 6.1 Il progetto

Bibliografia Tavole

58 62

Introduzione

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Introduzione «Considera il gregge che pascola di fronte a te: non sa che cosa sia ieri, che cosa sia domani, salta di qua e di là, mangia, riposa, digerisce, salta di nuovo, e così dalla mattina alla sera, giorno dopo giorno, poco legato al suo piacere e alla sua svogliatezza, cioè al paletto dell’istante, e perciò né malinconico né annoiato. È doloroso per l’uomo vedere questo, perché egli si pavoneggia della sua umanità di fronte all’animale e, nonostante ciò, osserva con invidia la sua felicità, perché questo solo egli desidera: vivere come l’animale né annoiato né soggetto al dolore, e lo desidera vanamente, perché non lo vuole come l’animale. L’uomo si meraviglia di se stesso, di non poter imparare a dimenticare e di rimanere attaccato al passato. Allora l’uomo dice: ”Mi ricordo” e invidia l’animale che dimentica immediatamente e che vede davvero ogni attimo morire, sprofondare nella nebbia e nella notte, estinguersi per sempre. L’animale vive così in modo non storico, poiché si muove nel presente1».

L’architettura è un racconto che si affida ad una grammatica da decodificare. Muoversi attraverso i suoi spazi è come leggere tra le righe di una pagina che prima era bianca e che adesso è popolata di parole.

Ogni luogo racconta una storia.

Ogni spazio porta con sé una memoria, e preservarla è il compito che l’architettura deve perseguire.

Preservare la memoria non significa fossilizzare il luogo nella stasi di ciò che era, ma metterlo a sistema nella crescita naturale delle logiche che animano la città e di cui è esso stesso un tassello.

Un elemento continua a vivere nell’insieme in cui è immerso quando è attraversato dai flussi che animano quegli stessi sistemi altrimenti è la catarsi e la fine del ciclo, la sua stasi e, per definizione, la sua morte.

L’architettura è, tra le discipline che governano la materia, la più audace, perché permette il controllo dello spazio e del territorio tramite dei segni che, di volta in volta, sono figli delle logiche contemporanee.

La memoria come mistificazione del passato rappresenta la stasi dell’evoluzione culturale innescandone la crisi e questa frattura si rende evidente nel luogo che ne diventa, nella sua emblematica rappresentazione, una cicatrice con cui convivere.

La pietra è il materiale più antico sui cui l’architettura storicamente si

Foto di stato di fatto di una cava con i tagli delle sezioni di scavo del materiale lapideo.

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consolida.

La sua forza, la sua poetica, la sua memoria, trascende i secoli grazie ai materiali che usa per diventare elemento reale. Sarebbe impensabile oggi discernere queste due parole, pietra e architettura, proprio perché è grazie alla pietra che oggi noi riconosciamo il valore fondamentale dell’architettura nella storia dell’umanità.

La città di Marsala affonda le proprie radici storiche nella pietra. La calcarenite arenaria su cui si fonda ha rappresentato il motore della sua economia e della sua espansione nei secoli. Il paesaggio delle cave che la compone, ci permette di avere una testimonianza dei luoghi da cui il modello insediativo della città ha avuto origine e da lì le scelte sul suo futuro.

L’area oggetto di questo studio viene soprannominata dai marsalesi “la polveriera”, si tratta di un’area, oggi in disuso, di proprietà dell’aeronautica militare, usata in passato per rifornimenti ed esercitazioni. Le particolari caratteristiche orografiche fanno pensare che in passato sia stato anche un terreno interessato da attività di estrazione mineraria, connotandola come una cava a cielo aperto; un grande vuoto urbano a pochi passi dal centro storico.

Il lavoro che questa tesi propone riguarda un progetto di architettura del paesaggio che mira alla conservazione e alla valorizzazione di un luogo che racconta una storia, di cui ne prende coscienza, un piccolo brano che è un estratto della narrazione di una città territorio diffusa: la città di Marsala.

Note 1. F. Nietzsche, Considerazioni inattuali – Sull’utilità e il danno della storia per la vita, 1974, p.6.

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CAPITOLO 1

Paesaggio, attualità

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1.1

Paesaggio, attualità

«La nostra epoca è decisamente quella del paesaggio, almeno per quanto riguarda la sua riproduzione verbale e iconica. La parola e il fenomeno sono sotto gli tutti, nella stampa quotidiana e nelle pubblicazioni specializzate, sugli schermi e sui muri, nei prospetti e nelle coscienze. Oggi il paesaggio è ostentato e svelato, è discusso e ondulato, conservato e protetto, ed è ugualmente venduto e rivenduto. Popolarizzato e democratizzato, appartiene ormai a tutti, mentre nel passato aveva il ruolo di codice sociale e segno distintivo di un’élite che si riconosceva volentieri nella condivisione comune di luoghi emblematici o di rappresentazioni topiche1».

L’arte sfida la natura perché punta all’eternità. Per questo l’uomo si appoggia sempre all’arte, per superare se stesso e il suo limite ultimo: il tempo.

Tramite questo slancio vitale l’uomo ha proiettato la sua immagine nel mondo attraverso l’architettura e la progettazione trasversale dello spazio che lo circonda.

Più che in tante sue altre declinazioni, il tempo è il fattore con cui ci si confronta maggiormente quando si parla di pianificazione del paesaggio in quanto il progetto che abbiamo pensato, e che viene restituito, è espresso al suo massimo punto di splendore. Dovendo lavorare con della materia viva, che ha dei sui tempi da rispettare per assestamento, crescita e fortificazione, l’impatto iniziale del cantiere concluso sarà lontano dall’essere quello pensato dal progettista e solo l’attesa dello scorrere del tempo potrà renderlo il luogo auspicato.

Il termine “paesaggio”, nella sua accezione secolare, ha avuto un’evoluzione trasversale facilmente coniugabile in ambito estetico (attraverso il contributo dei vedutisti in ambito artistico, o di Biasutti che parla di paesaggio sensibile o visivo2 ), impregnandosi di valori storico-culturali e anche naturalistici (distinguendolo da quello antropizzato per la riuscita della sua forma ultima dovuta ai soli fattori naturali). Nell’affrontare la problematica ambientale non si può prescindere la presenza umana, alla quale occorre dare un ruolo di centralità per rendere performante il suo ruolo nella sua protezione e stabilità. Questa necessità di affrontare i problemi relativi alla conservazione, all’uso dei suoli, alla loro gestione deriva dalla nuova relazione innestatasi tra uomo e natura.

Storicamente è stata sempre la città a definire l’altro, come un pieno che definisce un vuoto intorno a sé. Storicamente è sempre stato, per lo stesso motivo, l’aumento di domanda di città a generarne il malessere e a far crescere la domanda di natura.

Viviamo in un’epoca in cui parlare di paesaggio è parlare di attualità:

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rapportarsi con esso significa regolare una pianificazione che dal secondo dopoguerra ha subìto una profonda crisi legata alla scissione delle unità fondamentali con cui interagire -città, campagna, natura e città, industria, campagna- in favore di una frammentazione che è stata lo specchio di una società che, travalicando il passato, ne rompe gli schemi tradizionali.

La divinizzazione del sistema città veniva accompagnata indissolubilmente da un desiderio, che ha radici primitive, di negarsi ad essa in favore di ciò che non è artificioso, di pittoresco, cercando di salvaguardarlo da quella modificazione profonda del territorio che il sistema stava producendo.

Tutto ciò che non è città diventa privo di storia e di identità e quindi un fondo perduto a cui attingere nel momento del bisogno. La pianificazione urbanistica, figlia di logiche e situazioni a contorno, sociali, economiche e politiche, ha spesso trascurato le relazioni dirette tra cultura e natura creando squilibri territoriali notevoli a cui oggi si risponde con pianificazioni che, per non creare ulteriori fratture, si esplicano in interventi graduali e processi lenti.

Parlare di paesaggio è anche parlare di immagini, poiché viviamo una cultura che dell’immagine ne ha fatto il proprio elemento cardine.

Viaggiamo, scegliamo percorsi, scattiamo foto, guardiamo film, ci inebriamo delle cartoline prodotte e condivise. Tutto questo perché riconosciamo dei valori in quello che ci circonda e il ruolo della pianificazione sta proprio nel perpetuare le qualità ambientali tramite azioni e strumenti che siano sempre il riflesso della società.

Aumentandone esponenzialmente i concetti di stratificazione e vita temporale, pensare al paesaggio in relazione alla scala architettonica significa rapportarsi con un elemento le cui capacità di assorbimento di tracce e vita umana comporta cambiamenti radicali e un’assoluta ricchezza delle sue nuove conformazioni, permettendone comunque la lettura dei suoi sub-strati profondi.

Attraverso numerose ed eclatanti azioni artistiche (“Testa di Toro” di Picasso, “Ruota di bicicletta” di Duchamp), è stato dimostrato che il cambio di funzione, vale a dire il passaggio dall’uso consueto ad uno desueto, è insito del pensiero umano che, ad un certo momento, riesce a cogliere nelle forme già consolidate, dei nuovi concetti e delle nuove idee. Lo stesso ragionamento può essere fatto nell’architettura del paesaggio dove, tramite la capacità di coglierne nuove idee e significati ad un substrato consolidato, si riesce a creare un nuovo paesaggio partendo dalla trasformazione di quello che già esiste e connettendosi al flusso contemporaneo della mutevolezza delle funzioni. Ma qualunque riflessione possa farsi sul paesaggio, per non ridursi ad una mera questione analitica, deve comprendere i saperi che ne hanno creato la genesi: urbanistica, architettura, filosofia, antropologia, sociologia, spostandone i campi di interesse e le realtà culturali con cui viene a contatto durante l’iter della sua creazione e il suo ciclo di vita. Questo pone la pianificazione paesaggistica, anche, come fatto culturale che si connota a partire da quanto troviamo una fetta di territorio che inizia ad essere pensata.

Si parla, quindi, sempre più diffusamente di cultura del paesaggio perché l’uomo abita territori di cui ha prodotto immagini paesaggistiche. Lungi dall’essere momento di alterazione e tradimento dell’identità dei luoghi,

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operando tramite interventi di riuso e riciclo, si restituisce in questo modo valore alle funzioni sociali dei luoghi urbani.

Note 1. M. Jakob, Il paesaggio, il Mulino, Bologna, 2009, p.7.

2. R. Biasutti, Il paesaggio terrestre, UTET, Torino, 1947.

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1.2 Il paesaggio delle cave

Tra le varie accezioni che il paesaggio ha assunto nella sua evoluzione trasversale, quella su cui questa tesi si sofferma è il paesaggio come esito dell’interazione tra uomo, natura e società: il paesaggio delle cave.

Vero e proprio punto zero del ciclo di vita di una città, in essa si legge la storia degli eventi sociali, politici, dei dialoghi e delle dinamiche che hanno creato il nuovo modello di insediamento.

La caratteristica attrattiva di questi luoghi sta nella sua capacità intrinseca di essere, alla prima lettura, il portatore visivo della sua storia, esponendosi come un microcosmo che si connota come la risultante delle azioni convergenti della natura e della volontà dell’uomo di plasmarla ai suoi voleri. In esso le opere naturali stanno accanto le opere in scavo opera della volontà umana, incorniciando un paesaggio di pietra in tutte le sue forme.

Le cave sono aree di scavo ed estrazione che fanno del vuoto la propria materia, la cui grande dimensione, la qualità del sito, la sua vicinanza con l’abitato, restituisce ambiti territoriali di interesse paesaggistico notevole soprattutto nell’’ottica in cui molte di queste aree si trovano oggi in dismissione.

La necessità di guardare questo tipo di spazi è una responsabilità verso il futuro: la volontà di creare nuovi paesaggi deve tenere conto del riequilibrio di un sistema a contorno che comprende fattori economici e sociali dove la ripresa di un sistema naturale, coadiuvato da una sua riqualificazione sostenibile, ne genera un valore aggiunto per il futuro.

La capacità che ha la cava di divenire elemento emblematico è un contrappeso perfetto per l’ordine di questioni con cui si confronta: la modifica del paesaggio nei suoi caratteri sostanziali, come scrive Plinio il vecchio “Orbene, noi uomini questi monti li tagliamo e li portiamo via per nessuna altra ragione che per il lusso; questi monti che un tempo erano mirabile impresa valicare” , e il loro ruolo nell’affermazione storica della città in quanto da esse si diparte il materiale primo per costruire, lo connotano

Foto di una cava in località di S. Padre delle Pirrere, a Marsala, estratta da “Indagine conoscitiva sulle cave della provincia di Trapani”, in I. Pinzello, I paesaggi di pietra. Le cave tra natura e pianificazione, La Medusa Editrice, Marsala, 2000, p. 154.

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come paesaggio storico a tutti gli effetti.

Pur trovandosi spesso immerso o in continuità con le reti urbani, che nei secoli hanno inglobato questi ambienti dapprima disposti ai limiti di essa, quando si parla di paesaggio di cava si parla di una parte del territorio che spesso è isolata dalla vita quotidiana: la posizione perimetrata, e spesso ribassata del piano di calpestìo, suggerisce uno spazio da vivere nell’interno, i cui confini ben visibili portano alla concezione di ragionamenti che riguardano il limite, inteso come limen (soglia, ingresso), e la sua comprensione.

La sua forza sta nella matrice evocativa di cui il luogo ancora oggi è impregnato: in quanto lascito di una tradizione secolare, da esso si generano e si esprimono tradizioni e culture tramandate e ormai solamente narrate.

Quando si parla di questi paesaggi si parla di luoghi dal carattere introverso, che non si denunciano mai all’esterno ma che fanno del viversi all’interno il quid principale della propria meraviglia. A cielo aperto, in grotta, in galleria, le tecniche di estrazione della pietra creano così dei nuovi paesaggi aridi, duri, spigolosi, per certi versi angusti, ma che fanno della scoperta e del senso di ignoto la loro principale caratteristica; è probabilmente questo il carattere più affascinante di questi luoghi: la consapevolezza di starci confrontando con uno spazio che, per sua natura storica, negato alla città, ora diventa parte di essa e dei flussi della sua vita. In esso si esplica la scoperta di uno luogo nuovo ma che c’è sempre stato. Un luogo inaccessibile a tutti e per molti talmente lontano da non poterlo neanche immaginare nella sua definizione formale.

Costruire con il vuoto vuol dire plasmare l’opposto della materia, ma tramite esso crearla. E in questo contesto il paesaggio delle cave è l’esatto negativo del territorio superficiale; è il territorio che manca, ma è proprio in questo che sta la sua essenza: i segni che la storia ha lasciato, il vuoto che ha creato, sono il negativo del pieno che ora lo circonda perché tramite esso è stato creato. Relazionarsi con le cave da cui il materiale proviene è anche uno dei punti di ricerca durante l’iter di intervento per un restauro e questo non può essere solo curiosità o rispetto per la storia, e per il valore della conservazione, ma è sinonimo della riconoscenza che questi luoghi hanno avuto nella costruzione della città e dei monumenti.

E in quest’ottica non è errato considerare il paesaggio delle cave come una vera e propria opera di architettura, risultante quindi di pensieri e azioni precisi che hanno codificato uno spazio donandogli una storia e una propria identità.

I. Pinzello, I paesaggi di pietra. Le cave tra natura e pianificazione, La Medusa Editrice, Marsala, 2000.

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1.3 Costruire con il vuoto

La relazione che lega lo spazio e chi lo vive definisce il luogo stesso attraverso l’esperienza soggettiva. Quando questa relazione è così tanto effimera da risultare inesistente allora si parla di “spazio vuoto” definendolo come accezione negativa.

Da Michelangelo a Oteiza, la storia dell’arte ci ha insegnato che non è solo il pieno a definire la forma della materia. Aggiungendo tasselli ad un tema preponderante, e tanto legato all’uomo in maniera indissolubile, ci si rapporta al vuoto tramite il più diretto dei concetti: la possibilità di levare.

Creare interruzioni, fratture, discontinuità, mentre nella materia rappresentano delle pause su cui bisogna intervenire per legarle al contesto, continuando ad aggiungere dei tasselli, nel vuoto si configurano naturalmente come occasioni per legare e dare significato profondo ad un sistema. Se la forma, con il suo fare irruento, urla al mondo la sua presenza, il vuoto, con l’eleganza del silenzio, la afferma.

Confrontarsi con il tema del vuoto significa creare delle fratture localizzate che facciano comunque leggere una continuità; significa immergersi in uno spazio che toglie alla costruzione il potere diretto nel suscitare emozioni per poterlo comunque sfruttare indirettamente tramite la messa in opera del nostro ego, nel senso più ampio del termine, per divenire in fine uno spazio che fa dell’uomo stesso la sua attrattiva principale.

Cercare di discernere il tema del vuoto alla scala urbana significa comprendere i pensieri e i mutamenti che la società sta affrontando e cercare di darne una risposta che sia lo specchio di tali desideri e di tali nature.

Oggi intendiamo il vuoto come lo spazio delle trasformazioni, inteso come luogo di passaggio dei flussi che si muovono da punto iniziale a finale. La società si muove a ritmi forsennati e gli spazi interstiziali tra i poli di un percorso quotidiano sono stati, per molti decenni durante lo sviluppo dei tessuti urbani contemporanei, solo delle occasioni di rispetto degli standard. Si creano così dei vuoti urbani che, mentre in passato erano occasione di gioco e di richiamo identitario per funzioni e connessioni specifiche (l’Agorà ateniese, piazza San Pietro, place de l’Étoile), si configurano oggi come delle risultati tra dei costruiti.

Parlare di paesaggio significa anche interagire con i vuoti, per dargli nuovi cicli di uso anche in funzione di una riattivazione dell’architettura stessa,

Disegno di progetto realizzato da Aires Mateus & Associados per la Casa Em Melides, 2012 - 2013.

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dello spazio e delle pratiche sociali a contorno. Ed è così che il vuoto torna, nell’architettura e nella concezione degli ultimi decenni, il luogo del ritmo, dello stabilirsi di rapporti, delle interazioni e delle inversioni.

Parlare di vuoto alla scala architettonica significa parlare di una storia secolare in cui, con accezioni differenti, si fa sempre riferimento ad una possibilità, o rinuncia, di creare legami. L’architettura contemporanea è un continuo richiamo al vuoto e al cercare di rendere visibile un concetto che è puramente astratto: dai fratelli Mateus, che tramite il taglio dei contenitori (come nella casa ad Alenquer) cerca di rendere visibile il vuoto tramite le bucature e lo svuotamento della massa, a Zumthor che tramite i suoi scritti parla di vuoti come connessioni con lo spazio circostante perfettamente consapevole, però, dell’interazione con solo una parte di essa.

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CAPITOLO 2

Marsala, paesaggio di pietra

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2.1 Marsala, paesaggio di pietra

A monte di qualsiasi atto di pianificazione deve essere attuato un processo di conoscenza che deve coinvolgere l’intera collettività, spesso estranea nei confronti del territorio. L’assenza di tale fattore e dei suoi valori territoriali porta ad un atteggiamento di indifferenza nei confronti di trasformazioni che sviliscono e depauperano le risorse esistenti portando ad irrecuperabili perdite di storia attraverso suo il paesaggio.

La relazione che lega il territorio marsalese e l’uso delle pietre di cava ha radici profonde e antiche che arrivano fino al IV Secolo d.C, cioè dalla costruzione del territorio del Lilibeo in seguito alla caduta della vicina città di Mothia. Da quel momento inizia a costruirsi, e consolidarsi, una tradizione secolare che vede nel rapporto con il sottosuolo una delle principali caratteristiche di questa città; ne è un esempio il fossato che delimitava i confini delle mura, duplice occasione che permise, oltre a renderne performante la difesa, la possibilità di usare la pietra cavata per costruire il nuovo impianto.

Lungo il corso dei secoli la città cresce florida dentro le mura che ha costruito per difendersi, arrivando al tramonto del XVIII Secolo ancora chiusa dentro questo sistema difensivo. Solamente dopo, a causa delle nuove esigenze agricole e con la necessità di espansione si abbattono le mura le cui pietre vengono riutilizzate per la costruzione delle abitazioni civili lungo il territorio circostante l’antica fortificazione.

Nel XIX Secolo la progressiva crescita urbana dovuta alle nuove tecniche industriali, il cui motore fu all’arrivo dei fratelli Woodhouse e l’invenzione del vino “Marsala”, favorisce l’aumento dell’impegno del settore edilizio per nuove abitazioni, l’espansione della città oltre le antiche mura e anche per la ristrutturazione del vecchio abitato.

Alla fine dell’Ottocento, nonostante la mancanza di collegamenti, il 60% della popolazione abitava le periferia e il restante 40% il centro.

Nel secondo dopoguerra la situazione cambia radicalmente: il territorio marsalese è gravemente danneggiato dagli scontri tra alleati e asse e il territorio che ne rimane è semplicemente sopravvissuto. Quello che è sempre stato un rapporto di estrazione contenuto a piccole quantità, allora, cambia radicalmente e si espleta in un processo di industrializzazione della calcarenite tramite nuovi macchinari e crescenti domande.

A questo fervore segue una fase di declino nell’ultimo decennio del Novecento dovuto all’imposizione, di natura economica e pratica, delle nuove tecniche e dei nuovi materiali da costruzione come il calcestruzzo armato.

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Aerofoto di Google Earth della città di Marsala con l’area oggetto dello studio di tesi. Google Earth, 2018.

Il rapporto che lega i marsalesi e la pietra che circonda e dà origine al territorio è di natura inscindibile: mura, chiese, palazzi, bagli e torri sono costruite con questo materiale. Questo rapporto trascende i fattori pratici delle costruzioni fino ad arrivare al sacro attraverso l’immagine della Madonna della cava, una chiesa scavata interamente nella roccia,o la Madonna della Grotta anch’essa scavata nella roccia.

L’uso di spazi ipogei non fu solamente legato all’ambito spirituale: il sottosuolo della città è ricco di gallerie e cavità, spesso e volentieri interpolate alle tracce della nuova fondazione del tessuto urbano che ne ha parzialmente corrotto l’integrità.

L’antica attività di estrazione dei conci di tufo ha origine con l’inizio della storia stessa della città stessa e arriva fino ad oggi. Le caratteristiche di porosità, leggerezza e tenerezza che definiscono il materiale stesso sono il motivo primo della formazione della città.

Oggi queste cave, la maggior parte ormai in disuso, restituiscono ai marsalesi e al mondo l’esempio di una cicatrice ancora scoperta.

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2.2 Cenni di Geologia

La nascita e lo sviluppo, secondo una particolare linea guida, di una città fa sempre riferimento alle condizioni geografiche particolari in cui essa si fonda. Non fa eccezione Marsala che, trovandosi sopra un consistente strato roccioso calcarenitico, ha potuto sfruttare le caratteristiche intrinseche del materiale per direzionare la propria storia attraverso una costante attività estrattiva.

Il PTPR parla dell’ambito 2, settore designato in cui si trova la città, come un territorio costiero ai piedi del monte S. Giuliano costituito da una bassa piattaforma calcareo-arenacea. Il territorio interessato dalla presenza di cave di calcarenite è quello che si estende a Sud-Est del centro abitato fino ai limiti comunali con Mazara del Vallo.

La calcarenite marsalese viene comunemente identificata come “tufo”; la sua denominazione è in realtà errata in quanto a questa classificazione fanno riferimento le rocce di tipo piroclastico, cioè formatesi in seguito ad eruzione vulcanica. Al contrario, le caratteristiche intrinseche del materiale, leggero, poroso, friabile, sono lo specchio della sua formazione; la roccia si forma geologicamente nel fondale marino a profondità elevate tramite la stratificazione di sabbia e inerti, identificati in ossa o gusci di molluschi e fauna marina. La compressione di questi elementi a temperatura e pressione elevate, in maniera costante, nel corso del tempo, genera questa roccia in cui, la presenza maggiore di uno o dell’altro componente, ne comporta la migliore adattabilità ai fini costruttivi.

In molti casi la presenza di falde freatiche, zone di falda presenti nel terreno permeabile la cui presenza di acqua ne occupa solo la parte inferiore, nel substrato del terreno, ha determinato la fine delle attività estrattive altrimenti raggiunto attraverso la rimozione completa del materiale utile.

Reperto di cava mostrante la natura costituiva della sua composizione morfologica.

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CAPITOLO 3

Gli strumenti urbanistici

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3.1

Il Piano Comprensoriale

Il cambiamento, nelle città, è un’azione frutto di logiche complesse e graduali.

Il cambiamento, quando è repentino, crea delle fratture.

Quando si parla di città non si parla di desideri, si parla di priorità.

La storia urbanistica di Marsala, nell’ultimo secolo, ruota intorno alle vicende dell’adozione del Piano Urbanistico Comprensoriale e della successiva redazione del Piano Regolatore, strumento generale di pianificazione e di governo del territorio che non ha mai trovato compiutezza legislativa.

Ciononostante nel frattempo si delineano altri strumenti di pianificazione sovraordinata nati nel corso del tempo per rispondere alle nuove esigenze che si andavano delineando nella società.

Dal grande terremoto che colpì la valle del Belice e le zone limitrofe, nel 1968, ha inizio la travagliata vicenda urbanistica di Marsala. Gli anni postumi questo tumultuoso evento videro il delinearsi di immediate risposte legislative per ricostruire oltre le macerie. Viene iniziata la redazione del Piano Urbanistico Comprensoriale nel 1972, approvato nel 1977.

La Regione Sicilia utilizzò questo strumento, previsto dalla legge n. 1150 del 1942, per predisporre una serie di Piani Comprensoriali per Trapani, Erice, fino alla Valle del Belice e Sciacca, e creare un piano di regolamentazione urbanistica per i comuni di Marsala, Mazara del Vallo, Salemi e Vita.

Questo strumento è tutt’ora l’unico di governo del territorio, seppur circoscritto da un naturale ciclo di vita limitato di quindici anni, il che ne restituisce oggi logiche e immagini assolutamente obsolete.

La logica regolatrice di quel piano, figlio di quegli anni, era di spostare le stazioni, di origine ottocentesca e nate fuori dalle mura cittadine ma nel frattanto inglobate nel centro storico, a causa delle naturali espansioni dei tessuti urbani nel corso del Novecento. Inoltre si prefiggeva di sfruttare le considerevoli possibilità edificatorie che il piano proponeva attraverso un cospicuo sviluppo edilizio tramite le zone di completamento B ed espansione C. Da qui si evince subito la natura conservativa del piano, tutelando gli interessi del patrimonio artistico e architettonico, ma guardando sempre alle logiche contemporanee: di fatto era un piano il cui primo obiettivo doveva essere l’espansione.

Questo piano cerca di spostare di nuovo le stazioni e le grandi infrastrutture al di fuori del centro urbano in quanto viste come dei problemi, per la presenza dei passaggi a livello e per la presenza degli ostacoli dovuti all’intersezione dei due infrastrutture con portate e velocità di percorso differenti. Cosa che fra l’altro i rivelò vera.

Altro elemento di piano era la possibilità, poi ripreso anche nella redazione

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del PRG, di scavalcare il centro tramite un intervento di by-pass del nucleo per congiungere in maniera celere l’aeroporto di Trapani-Birgi e l’autostrada verso Mazara del Vallo attraverso l’uso dello scorrimento veloce. Questo comportava una revisione dei tracciati che non doveva essere fatta solo da attori regionali ma anche tramite l’ausilio delle Ferrovie dello Stato.

Revisioni che, non trovando esplicazione pratica, rimasero tali.

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3.2

Il Piano Regolatore Generale

IIl primo incarico per la predisposizione del Piano Regolatore Generale, che è ancora oggetto di discussione, è arrivato nel 1986, meno di dieci anni dopo il Piano Comprensoriale, dimostrando l’evidente volontà di dotarsi di una strumentazione lungimirante del territorio. Si affida l’incarico della redazione agli architetti Andrea Tosi e Massimo Magri, professionisti di altissimo livello, a seguito di adozione tramite Delibere del Consiglio Comunale n. 141 e n. 148, e riadattato con Delibera del Consiglio Comunale n. 146 del 2000.

Si avviò questo lavoro sviluppato in maniera particolarmente conservativa e riduttiva delle possibilità edificatorie che c’erano state fino a quel momento con il risultato che, portato lo schema di massima e la prima versione del piano nella metà degli Anni 90, trovò l’opposizione del Consiglio Comunale, anche portatore degli interessi locali, innescando un rimpallo di competenze che ne fece scadere l’interesse attuativo tramite il Decreto dirigenziale dell’ARTA n. 754 del 2002 che prevedeva l’annullamento del PRG. Questo piano per certi versi rimarcava alcune linee guida del piano comprensoriale -come la possibilità di scavalcare il centro tramite lo scorrimento veloce- rimanendo comunque figlio di logiche differenti: il territorio largamente consolidato non permette possibilità edificatorie ramificate e profonde ma comunque permette in alcune sue parti di aggiungere parti di territorio costruito. Ci sono tanti vincoli urbanistici, ambientali, paesaggistici, imposti dal piano stesso e da direttive programmatiche sovra comunali.

In quanto rappresentate di logiche contemporanee, il piano afferma a centralità delle ferrovie per i fenomeno di pendolarismo e di connessione tra il centro e la periferia. La loro posizione deve essere strettamente correlata a quella delle persone che serve e permettere una fruizione multi nodale del territorio senza l’uso di mezzi privati.

Inoltre il nuovo piano si sofferma molto sulle potenzialità turistiche che la città, e il territorio circostante, può offrire.

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3.3

Il Piano Strategico

Il piano strategico viene redatto dal Comune di Marsala nel 2013 con il nome di “Marsala città territorio 2020”. Il suo obiettivo è il potenziamento delle caratteristiche del territorio tramite la sezione e l’analisi di esso in 4 ambiti (economico, sociale, istituzionale e ambientale), mettendone in luce criticità e possibili soluzioni.

L’ambito economico si concentra sul settore agroalimentare e turistico, facendo riferimento anche alla presenza del vino “Marsala”, risorsa trainante dell’economia locale e al fenomeno delle cantine sociali; l’ambito sociale affronta i problemi della disoccupazione giovanile e della distribuzione dei servizi nel territorio, proponendone uno stato di fatto che vede le contrade lontane da questi; nell’ambito istituzionale si auspica ad una migliore partecipazione sulle scelte fondamentali per il futuro, tra amministrazione e cittadinanza, restituendone un quadro frammentato dalla molteplicità di attori in gioco, che spesso hanno difficoltà a comunicare tra loro, e una mancata visione di lungo periodo; il quarto ambito si sofferma sul consumo di suolo, problema che nel corso degli anni ha assunto incidenza prioritaria, e su una sua risoluzione delle questioni trattate.

Nella sua storia il territorio marsalese, colpevole di aver risposto in maniera inadeguata alle richieste di una pianificazione regolamentata in linea con i tempi, si è espanso in maniera da generare una saturazione degli spazi marginali e interstiziali tra contrade, facendo perdere la lettura della configurazione storica del tessuto urbano e, mescolando ambiti urbani e rurali, portando a stretto contatto abitato e sistema produttivo.

Così facendo se ne restituisce un paesaggio rurale gravemente frammentato, problema che si riflette nelle aree naturali e nell’equilibrio eco-sistemico che ne risulta alterato.

Il piano si propone di ridurre il consumo di suolo e perseguire una maggiore qualità degli insediamenti, migliorare l’accessibilità e investire su una riqualificazione ad ampio spettro (territoriale, infrastrutturale e architettonica).

Inoltre il piano si sofferma molto sul waterfront della città, risorsa di pregio e di grande importanza e di questi elementi ne fa il punto cardine per lo sviluppo come maggiore risorsa per il futuro della città e proponendolo come industria del futuro.

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3.3

Il Piano Territoriale Paesistico Regionale

L’avvio della pianificazione paesistica inizia con la Legge 431/85. Questa legge può essere definita una risposta «provocatoria1» al paradigma cardine della pianificazione: la gestione del sistema città nel sistema territorio. Tramite questa nuova formulazione, che rilancia lo strumento di piano paesistico già previsto nella legge 1497/39, si propone la progettazione a partire dall’ambiente e non più dalla città. Progettare quindi a partire dai vuoti tramite un sistema che ne salvaguarda le condizioni e ne regola gli usi e non più vincoli puntuali nella sua gestione.

La legge elenca dei beni, ne analizza le caratteristiche, li divide in funzione della materia con cui si rapportano (sia esso storico, naturale, estetico) e in base all’ambito con cui si rapportano, per tipologia, rilevanza o integrità dei valori paesaggistici, affidandone la gestione alle Regioni se ne decretano delle azioni per tutelare riqualificare ed esaltare tali valori individuando delle linee guida per lo sviluppo urbano e territoriale. Rimangono tuttavia esclusi i beni risultanti dall’attività antropica.

Per aumentare la chiarezza con cui si intende perseguire tali obiettivi, il piano suddivide il territorio regionale in ambiti territoriali. Per ogni ambito il punto fermo, da cui parte la proposta di piano, è la stabilizzazione eco-sistemica del contesto, la protezione e la fortificazione della biodiversità, la valorizzazione dell’identità morfologica e il miglioramento della fruibilità sociale. Nei vari ambiti sono evidenziati a tal fine anche dei beni sottoposti a tutela, siano essi architettonici o paesaggistici, e le linee di sviluppo per fare sì che il proliferare del sistema urbanistico non interferisca con il pregio paesaggistico di ciascun settore in relazione ai principi di sviluppo sostenibile.

La legge inoltre estende la definizione della parola “paesaggio” includendo l’aggettivo ambientale, superando il concetto di “bellezza naturale” espresso nella precedente norma. Non contribuisce, tuttavia, nel fare chiarezza sul significato di paesaggio, avendo introdotto tematismi trasversali che afferiscono a diversi concetti di paesaggio. La politica ambientale costituisce quindi l’elemento qualificante del processo di pianificazione, cercando di unire la salvaguardia del territorio al proliferare dello sviluppo urbano.

Nonostante i limiti che questo strumento ha trovato nel radicarsi nella macchina amministrativa, il suo maggior pregio è stato quello di aver espresso la dichiarata volontà di stabilire un rapporto tra ambiente naturale e componenti socio-economiche, componendo, attraverso un legame biunivoco, uso del suolo e tutela dei beni ambientali.

Il piano individua dei settori che definisce “paesaggio locale”, definendolo come parti di territorio accomunate da specifiche relazioni ecologiche, percettive, storiche, culturali e funzionali. Nel territorio di Marsala, data la sua natura eterogenea, se ne individuano 2:lo Stagnone e la città di Marsala.

Per quanto riguarda il territorio della città gli obiettivi di qualità paesag-

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gistica mirano alla: - Valorizzazione e miglioramento della fruizione delle aree archeologiche; - Conservazione, recupero e valorizzazione di valori paesaggistici, ambientali, morfologici e percettivi dei centri urbani, dei nuclei storici e del paesaggio agrario; - Riqualificazione ambientale paesaggistica e promozione di azioni per il suo ri-equilibrio; - Conservazione del patrimonio storico-culturale; - Salvaguardia delle aree di interesse archeologico; - Potenziamento rete ecologica; - Salvaguardia e recupero degli alvei fluviali: - Salvaguardia dei SIC (Siti di Importanza Comunitaria) e delle ZPS (Zone di Protezione Speciale); - Salvaguardia della zona umida di importanza internazionale Ramsar2 ; - Salvaguardia della fascia costiera; - Salvaguardia delle aree boscate.

Note 1. I. Pinzello, I paesaggi di pietra. Le cave tra natura e pianificazione, La Medusa Editrice, Marsala, 2000, p. 21.

2. La convenzione sulle zone umide di importanza internazionale prende il nome dalla città in cui ha avuto luogo l’evento e la firma del trattato, Ramsar (Iran), nel 1971 durante la “Conferenza Internazionale sulla Conservazione delle Zone Umide e sugli Uccelli Acquatici” promossa dall’International Wetlands and Waterfowl research Bureau (Ufficio Internazionale per le Ricerche sulle Zone Umide e sigli Uccelli Acquatici.

Le zone umide sono tra gli ambienti più produttivi al mondo: conservano la biodiversità, forniscono l’acqua e la produttività primaria da cui innumerevoli specie di piante e animali dipendono. Sostengono attivamente una moltitudine di specie di uccelli, mammiferi, rettili, anfibi, pesci e invertebrati.e sono luoghi dove trovare importanti depositi di materiale genetico vegetale. L’evento rappresenta un cambio di paradigma nel modo di intendere la protezione degli Habitat, riconoscendo nelle zone umide un’importanza fondamentale nel mantenimento della rete ecologica del sistema ambientale a più ampia scala.

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CAPITOLO 4

La Polveriera

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4.1

La Polveriera

La mancanza di uno strumento di governo del territorio attuale ha favorito il proliferare di tessuti edilizi selvaggi e senza logiche schematizzate: Marsala oggi si presenta come una città diffusa in cui i nuclei degli abitati, le cui posizioni strategiche sono state dettate dall’attività agricola, inizialmente sparsi e isolati ora sono uniti e in contatto con il centro storico generando un fenomeno aggravatosi dai primi anni del 2000.

Il luogo si presenta connotato da un forte tratto di “sciare”, un caratteristico crostone calcarenitico, in passato popolato da una folta macchia vegetale di palme nane ed oggi aggredito da cave a fossa e colture, sparse, insediate sui substrati più fertili dopo la frantumazione dello strato roccioso superficiale.

“La Polveriera” è uno spazio lasciato fuori da ogni azione di riqualificazione intrapresa o intenzionale; di fatto, oggi, la sua più grande forza, ma anche la sua maggiore debolezza, è quello di essere l’ultima rappresentazione di una morfologia naturale del terreno che altrove è stata assorbita e trasformata in tessuto urbano viario e/o infrastrutturale.

La storia di questo luogo si intreccia con gli eventi riguardanti la difesa del territorio e con le storie della 135° Squadriglia Radar Remota, reparto impiegato nella difesa aerea della NATO, garantendo inoltre la continuità di funzionamento delle comunicazioni radio con la 4° Brigata Telecomunicazioni e sistemi D.A. di Borgo Piave (Latina).

La storia della squadriglia affonda le proprie radici nel già esistente Centro di Riporto e Controllo (C.R.C.), un nodo di monitoraggio del territorio situato a pochi chilometri fuori Marsala, istituito nel 1962.

La sua istituzione nasce dal fondamentale ruolo che ha ricoperto Marsala, tra le due guerre mondiali, in funzione della sua posizione: negli anni precedenti il secondo conflitto mondiale, nella seconda parte degli Anni ’30, i mezzi della Regia Aeronautica militare del Regno d’Italia circondavano e controllavano la difesa del territorio dal porto di Marsala. Lungo la circonvallazione era già stata individuata un’area la cui funzione era, fino a quel momento, l’estrazione di tufo, con cavità e scavi e per queste caratteristiche identificata idonea per la costruzione di un deposito di munizioni. In queste gallerie, chiuse con un sistema di porte blindate, fu costruito il 108° Deposito Munizioni dell’Aeronautica Militare.

Nell’ ambito della corsa agli armamenti che investì la nazione prima del

Elaborazione tridimensionale dell’area “la polveriera”. Google Earth, 2018

Foto dell’ingresso dell’area militare in stato di abbandono.

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secondo conflitto, cominciò la costruzione di un nuovo idroscalo che potesse garantire una migliore funzionalità di quello già esistente. Luogo riconosciuto come migliore per la sua posizione strategica fu quello in prossimità dello Stagnone di Marsala. All’interno della struttura vennero realizzati, nel 1935, su progetto dell’ ingegnere Pier Luigi Nervi, due aviorimesse con elementi reticolari in acciaio e calcestruzzo, due punti fermi dell’architettura dal punto di vista strutturale che ad oggi, a più di mezzo secolo di distanza, continuano ad affascinare gli studiosi per la profondità della qualità raggiunta.

Nel 1962, un anno dopo la prima installazione di un dispositivo di controllo radar in località Timpone, nasce il Centro di Riporto e Controllo (C.R.C) di Marsala che, tramite sistemi fonetico-manuali, avvistava il traffico aereo e ne comunicava la presenza agli enti superiori.

Note 1. “La Polveriera” è il nome che i marsalesi danno all’area oggetto della tesi. Il nome deriva dall’ultimo uso che l’area ha avuto, cioè un deposito di munizioni sotterraneo e spazio per addestramento dell’aeronautica militare. Ad oggi l’area è ancora di proprietà del Ministero della Difesa.

2. Tramite Delibera del Consiglio comunale n.302 del 19.10.2010 si stipula un Protocollo d’intesa con il Ministero della Difesa per la valorizzazione e alienazione degli immobili militari. In tale documento sono riportati gli immobili oggetto della riqualificazione e tra questi vi sono immobili presenti nell’area oggetto della tesi. Suddetto protocollo scade durante la successiva amministrazione che ne ha decretato la stipula, tra il 2012 e il 2014.

Vista di dettaglio dell’ingresso dei bunker sotterranei per la custodia delle munizioni. Google Earth, 2018

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4.2

Il racconto del luogo

Circondata da un abitato di bassa elevazione ma addensatosi lungo le principali vie di accesso e comunicazione stradale, l’area si presenta come un enorme vuoto incompiuto, di circa 66 ettari di estensione, a poche centinaia di metri dal centro urbano. Ad aumentarne l’interesse che gli sarebbe dovuto è proprio la sua posizione in quanto l’area è circondata da due grosse arterie di comunicazione che portano direttamente la città a collegarsi con autostrade della Sicilia Occidentale: la SS115 che congiunge con Trapani con Siracusa, passante per Agrigento, Gela e Modica, e la SS188, che intersecando la precedentemente citata statale, si snoda da Marsala per arrivare fino a Lercara Friddi, Comune della Città Metropolitana di Palermo.

L’archeologia del luogo si esplica chiaramente attraverso la sua osservazione, non lasciando alcuna possibilità interpretativa; area dal carattere eterogeneo, una prima lettura ci permette di dividerla in tre grandi settori accomunati da un crostone superficiale che li sorregge ma diversificati per situazioni sui bordi e per morfologia superficiale, presenta molti elementi che visti nel suo insieme ci permettono di interpretarne una quanto più precisa ricostruzione su quello che è stato l’uso del suolo nell’ultima parte del secolo: il carattere superficiale dell’area suggerisce chiaramente come questa sia stata un luogo adibito all’addestramento dell’aeronautica militare, che ne ha lasciato sul terreno e movimenti di terra derivati da armamenti di carattere antropico. Sparsi in prossimità dell’unica strada presente nell’area, posizionata sull’ingresso prospiciente la SS115, ci sono degli edifici oggi fatiscenti che dovevano rappresentare i luoghi dove si esplicava la vita militare al coperto.

Una lettura ulteriore che scava fin sotto la superficie ci permette di avvalorarne la funzione, e ampliarne gli usi, data la presenza di bunker sotterranei dove venivano conservati gli armamenti e i cui ingressi sono ad oggi ben visibili scendendo nelle due cave di dimensioni maggiori.

Stato di fatto di una parte di area.

Vista aerea dell’area oggetto della tesi.

Google Earth, 2018.

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Stato di fatto di una parte di area.

Continuando la lettura morfologica dell’area ci troviamo di fronte un carattere importante e peculiare che ne aumenta l’interesse: procedendo verso Est, oltre la rete metallica che delimita l’area militare, è possibile osservare il grande cambiamento orografico del territorio che perde le sue caratteristiche di cava a fossa e, in maniera continuativa, senza alcun ostacolo visivo, identifica un tratto di terra piatta in cui solo pochi movimenti di terra, in prossimità dei bordi dell’area, animano la morfologia altrimenti calma, fino a entrare in contatto direttamente con parti di territorio coltivate e con l’abitato, restituendo l’immagine di un limite costituito da bassa qualità architettonica e insediamenti sparsi. Non mancano comunque zone puntuali dove torna viva, soprattutto nel tratto finale verso Est, l’andamento differenziato dovuto a depressioni importanti della morfologia, nell’ordine di 2-3 metri, e di piccoli scavi che, in un’ottica di lettura unitaria dello spazio, restituiscono un territorio la cui forza sta nel suo carattere aspro e inadatto ad una agevole percorrenza.

Trovarsi in questo punto ci permette di vivere una sensazione anomala se si pensa che ci si trova a pochi chilometri dal centro urbano perché l’estensione dell’area, dal punto di vista umano, è talmente grande da dare lì impressione di trovarsi in un deserto, dove in fondo –quasi un miraggio- ci sono degli edifici che diventano l’unico modo per potersi orientare. Entrare e percorrere

Stato di fatto di una parte di area.

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questo spazio, senza alcun punto di riferimento “a terra” ci fa camminare in un luogo così vario, ma anche così uguale nei suoi caratteri peculiari, da restituirci un paesaggio desertico che ci estranea totalmente dal concetto di città.

Staccata rispetto questo enorme blocco, l’ultima parte dell’area, sempre con le stesse caratteristiche, si trova superando il confine creato dalla SS115, che ne divide gli usi e la connota come un vuoto urbano contornato da un fitto abitato di bassa elevazione, con poche punte di alti edifici in linea che svettano rispetto il contesto, e con una piccola apertura verso il Corso Calatafimi, a Sud-Ovest dell’area, in direzione del centro urbano e della fermata ferroviaria. Questa zona, morfologicamente simile a quella sopra descritta, era connotata dalla particolarità di essere il luogo d ingresso verso un tunnel che, in sotterranea, connetteva la zona di cave con il porto per portare la pietra tagliata verso le navi e le grandi vie di comunicazione. Una memoria che oggi è, purtroppo, andata persa a causa di frane e cedimenti strutturali.

Queste caratteristiche, e la sua storia, soprattutto la voglia di conservare questa memoria, sono il motivo principale per cui è necessario l’intervento di una pianificazione paesaggistica precisa e puntuale, per riconnettere questo vuoto al tessuto urbano, per dargli la possibilità di essere assorbito dai flussi e dalle azioni che muovono la città e che permettono così il proliferarsi di una zona che in passato è stata spettatrice dei grandi movimenti e delle azioni della storia urbana ma mai protagonista.

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CAPITOLO 5

Casi studio

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5.1

Two Caves, Cueva

Il complesso carsico di Ojo Guarena, in Spagna, con i suoi 110 km di percorrenza è il secondo per estensione in tutta la Spagna. Lo stato di conservazione a cui ci è giunto ci permette di conoscere una storia secolare attraverso numerose tracce e tecniche: incisioni, pitture rupestri, resti di ceramiche e di armi, insieme alle naturali formazioni speleologiche e naturali,restituiscono l’immagine complessiva di un ruolo dall’intenso valore multisettoriale.

In prossimità dell’accesso, viene costruita in epoca romanica la Cappella dedicata ai Santi Tirso e Bernabé. La cappella, incastrata nella roccia, è costituita da una navata unica che avvolge il visitatore sfruttando una naturale formazione della roccia che in quel punto si piega con una concavità.

L’aumento della domanda di visita da parte dei turisti ha fatto nascere la necessità di aumentarne le qualità relative alla fruizione, coinvolgendo maggiormente il visitatore e aumentando il comfort tramite la correzione di alcuni problemi relativi al suo essere rimasto un luogo con caratteristiche naturali. Tutto questo alternando il meno possibile la configurazione originale e rispettandone i punti critici.

Il progetto, ideato da Manuel Fonseca, tra il 2000 e il 2002, si configura come una passerella sopraelevata, di poche decine di centimetri, dal terreno per tutta la percorrenza interna delle grotte. La naturale bellezza di questi ambienti è esaltata da un percorso mai monotono attraverso una configurazione di passerella che si avvicina alle pareti e con elementi di risalita che ne permettono una scoperta il più possibile esaustiva e fascinosa, il tutto coadiuvato da uno studio intenso delle illuminazioni puntuali che cercano di mantenere il visitatore in un’atmosfera di semi-oscurità, per immergerlo maggiormente in un esperienza di scoperta della grotta multisensoriale.

Two caves, M. Fonseca, Ojo Guareña, Cueva, Burgos, Castilla y Léon, Spagna, 2000 - 2002

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5.2

Parco Urbano Citylife, P.R.O.A.P., Milano, Italia, 2010

Parco urbano Citylife, Milano

Nel 2010 viene indetto dal Comune di Milano il progetto di riqualificazione del quartiere Portello, usata fino a quel momento come zona fieristica prima dello spostamento nel nuovo polo Fieramilano di Rho-pero. I nuovi ediici che sono sorti nell’area avevano iniziato a delinare il nuovo volto di Milano e il suo biglietto da visita per il mondo intero. Era quindi importante dotare l’area di un parco che connettesse questi elementi e dotasse, a terra, la città di un luogo Questo progetto, arrivato secondo nel Concorso Internazione di progettazione del parco per l’ex polo fieristico urbano, sviluppato dal gruppo P.R.O.A.P., si stratifica su tre livelli, di matrice radiale: il suolo urbano, le modifiche morfologiche tramite modellazione del terreno e le fronde degli alberi. Da questo principio si sviluppa tutta la modellazione di un progetto che fa dell’articolazione spaziale, della compartimentazione e contaminazione degli spazi, i suoi principali pregi.

Per dare unità e continuità ad uno spazio così articolato e vario, dopo attente analisi dell’area e dei suoi bordi si è scelto di operare con dei livelli che, se da un lato danno continuità alla superficie orizzontale –il suolo urbano- dall’altro creano una separazione tra pubblico e privato tramite l’immissione di modifiche morfologiche del suolo. Questo permette il generarsi di una distanza dall’architettura, elemento predominante dello spazio circostante, tramite nuove quinte sceniche. L’ultimo livello, non meno importante, permette la gestione ambientale dell’area tramite la riattivazione di corridoi ecologici già presenti nella zona Nord di Milano.

L’ondulazione morfologica del terreno è l’unico elemento che consente di avere una lettura coerente e unitaria dello spazio -e di fornire una decisa risposta agli usi che potrebbe introdurre l’area- così da creare nuovi modi di vivere questo lo spazio.

Da una stratificazione orizzontale ne deriva la divisione funzionale degli ambienti, da una stratificazione verticale, distribuita sui tre livelli, una divisione morfologiche che accentua le funzionalità, una vibrazione necessaria alla vita, che ne restituisce una nuova identità spaziale: la trasformazione di questo spazio in un luogo.

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5.3

Riqualificazione di una cava romana, Burgerland

La cava di St. Margarethen nella provincia austriaca del Burgenland, è una delle più antiche cave d’Europa e dal 2001 è entrata a far parte del Patrimonio mondiale UNESCO. L’arenaria che veniva estratta da questo luogo ha permesso la costruzione di imprtanti edifici viennesi durante la “Ringstrasse”, un progetto di riqualificazione urbana che vide la costruzione di viali circolari che rimarcavano i tracciati delle mura ottocentesche attorno il nucleo storico della città di Vienna.

Fino al 1977, è stata interessata dall’attività dell’ ”European Sculptors Symposium”, avviato nel 1959 da Karl Prantl, donando ancora oggi all’area intorno alla cava il suo carattere unico tramite l’introduzione di numerose sculture e anche grazie alla sua naturale posizione che ne restituisce una vista senza eguali.

Oggi, la cava di St. Margarethen è una delle più belle e impressionanti arene all’aperto d’Europa in quanto interessata nel tempo da ampi sviluppi sensibili alla conservazione dei caratteri naturali del luogo.

Il luogo ospita un festival estivo di musica viennese che, fino a quel momento, poneva “il palco” come unico punto di fuga della scena lasciando nella quasi indifferenza il luogo in cui ci si trovava immersi. Di fatto, il percorso per il festival è sempre stato un momento di “pausa”, uno spazio funzionale al festival e non di immersione nell’atmosfera.

Da questa considerazione si sviluppa il progetto realizzato nel 2008 dallo studio di architettura AllesWirdGut Architektur che progetta una serie di percorsi e passerelle che indirizzano la vista e permettono la fruizione su più livelli di tutta l’area, tramite salti di quota all’interno della cava a fossa, a diretto contatto con il suolo. Il tutto tramite l’uso di materiali e geometrie che non entrano in conflitto con il luogo ma che si sposano con i colori locali.

Redesign of the roman quarry disposed opera festivals, AllesWirdGut Architektur, St. Margarethen, Burgenland, Austria, 2008.

Foto di Hertha Hurnaus

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5.4

One North Park, Z. Hadid, West 8, Singapore, Repubblica di Singapore, 2004.

One North Park, Singapore

Dai primi anni 2000 l’amministrazione di Singapore ha avviato un intenso programma di sviluppo della città che comprende, come grande elemento per la sua attuazione, anche la trasformazione di spazi per la città nell’ottica di una rigenerazione urbanistica. All’interno di questo programma rientra il masterplan di One North, il cui progetto principale è stato affidato allo studio di Zaha Hadid che ne ha restituito una versione complessa e densa di funzioni integrate.

Il parco, ideato dal gruppo di progettisti West 8, è concepito come un polmone verde e si configura come nodo strutturale dell’intervento con la doppia funzione di spazio pubblico di aggregazione e di collegamento delle zone verdi che, in un masterplan più grande, trasformeranno Singapore in una città-giardino.

Il parco si delinea come spazio trasversale che abbraccia le più ampie richieste e a queste cerca di dare risposta: al suo interno si trovano dagli spazi di relax a punti in cui è possibile collegarsi in wireless.

La sua forma sinuosa al centro si snoda in un percorso ininterrotto, composto da diversi materiali –terra, legno, ghiaia- , offre molte occasioni e sorprese durante la sua percorrenza. La sua forma inoltre è il risultato della logica di collegare trasversalmente diversi punti della città permettendo ai pedoni e ai ciclisti di accedere alle vie principali.

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CAPITOLO 6

Il Progetto

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6.1

Il progetto

L’iter da cui nasce un progetto, abbracciando tutti i campi a cui questa parola e il suo significato possono arrivare, oltrepassa le conoscenze storiche della letteratura di ambito o pratiche pregresse per confrontarsi direttamente con le domande relative al tempo che si sta vivendo, al luogo con cui ci si confronta e all’utenza –ma non solo- con cui ci si interfaccia.

Progettare il paesaggio ci porta oggi a confrontarci con luoghi già fortemente edificati, dove il ruolo del progettista è quello di dare un contributo che capace di restituire uno spazio fruibile dalla comunità e non soltanto attraversabile.

Su questo concetto si basa il progetto sviluppato in questa tesi che, considerati i caratteri principali dell’area già analizzati precedentemente, si connota come uno spazio polifunzionale che doti la città di un’oasi da poter percorrere in cerca di relax.

Dall’analisi del luogo è emerso come sia fondamentale per l’area la sua condizione di vuoto urbano, senza connotazione alcuna. A partire da questa constatazione si sviluppa il progetto: intenzione primaria è stata quella di dotare l’area di numerosi collegamenti che possano ricon-

Vista renderizzata della passerella.

Vista renderizzata dell’ingresso al parco.

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L’approdo. Vista renderizzata dell’ingresso secondario alla passerella.

nettere questo grande spazio ai flusso, più grandi, della città – dolci e viari- e tramite essi possa tornare a vivere attraverso le logiche che muovono lo sviluppo di un territorio urbano.

Il disegno del progetto si basa quindi sul tema dei percorsi e si divide per settorializzarne le funzioni affinchè questi possano essere sempre un elemento regolatore del sistema e non un subitaneo degli spazi; anche in relazione del fatto che la vastità del luogo esula dalla presenza di punti a cui riferirsi per orientarsi.

Si individuano dunque 3 percorsi, secondo gerarchie differenti e ciascuno di essi ha una sua presenza materica e uno sviluppo differente: il percorso principale si dirama sulle cave e sulle parti di crosta interessate da fenomeni di scavo di cava per riconnettere questi spazi portando il visitatore ad attraversare il parco e guardare la memoria conservata dal luogo, finalmente restituita a tutti e non più privata; lungo questo percorso, una passerella rialzata da terra diventa, in punti specifici, un ponte per attraversare le cave a fossa, dotare il visitatore di un punto di vista privilegiato, si dipanano vari spazi per dotare il luogo di zone di relax e di svago –playground sportivi, spazi gioco per bambini, zone di sosta sopraelevate, giardini sensoriali- che possano incentivarne l’uso e la creazione di un nuovo modo di abitare lo spazio. Inoltre, lungo il suo sviluppo, quasi con la struttura di checkpoint del percorso, ci sono elementi di risalita per connettersi con gli altri percorsi e con diverse zone di sosta coperta che si slargano per ospitare delle sedute all’ombra.

Il secondo percorso, alla quota del terreno, è il più esteso, in termini di sviluppo, e permette una fruizione radicale dello spazio in termini di attraversamento. Lungo questo percorso, che sfrutta l’orografia del territorio per attraversarlo e collegarlo, si trovano larghi viali dalla sezione varia, o punti di sosta come ampie zone di piazza. Tramite esso si possono raggiungere zone di relax con folta e colorata vegetazione che creano delle zone di oasi verde atte a mitigare il forte caldo tipico del clima siciliano in periodo primaverile-estivo.

Il terzo percorso infine è quello che ci permette di scendere dentro le cave e di recuperare la vista di un luogo storicamente limitato ai soli addetti ai lavori appartenenti all’Aeronautica militare. Tramite questo percorso ci avviciniamo agli ingressi dei bunker sotterranei

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e possiamo sostare in zone di relax adibite anche a punti di ristoro tramite l’inserimento di coperture atte alla sosta prolungata.

L’edificato presente nello spazio delle cave, adibito all’espletamento delle funzioni della vita militare, oggi in stato di abbandono e assolutamente fatiscente, viene completamente demolito perché considerato non meritevole di conservazione o rifunzionalizzazione a causa delle relative scarse qualità architettoniche.

La presenza di edificato nuovo, lungo tutto il percorso, è limitata a pochi elementi costruiti puntualmente per ospitare funzioni di ristoro o spazi funzionali ai bisogni primari degli utenti, mentre in prossimità dei giardini sensoriali sono presenti dei piccoli casolari per il deposito dei materiali e degli strumenti utili alla conservazione e alla gestione del verde.

La vegetazione presente, durante i periodi di pioggia, tipica di queste zone di territorio, è ad oggi incolta e disordinata e per questo il progetto prevede il posizionamento di puntuali oasi di verde fitto, con caratteristiche simili ai boschi e ai giardini sensoriali lungo il percorso della passerella rialzata.

Procedendo verso la parte terminale dell’area, in prossimità dell’uscita dirimpetto la SS118, nel tratto terminale dell’area, è presente un elemento di grande interesse che è stato considerato, da progetto, oggetto di riciclo del proprio uso: una struttura in calcestruzzo armato usata per il carico/scarico di materiale da costruzione, dall’altezza di 7 metri, con un tetto in leggera pendenza e con una vista panoramica del parco suggestiva; si ritiene opportuno valorizzare questo elemento tramite il riutilizzo e la riorganizzazione con sedute e un sistema di copertura per farlo diventare uno spazio di aggregazione coperto.

Collegata alla parte superiore del parco, una seconda zona a sud, separata dalla strada statale 115, presenta delle caratteristiche molto simili

Vista renderizzata piazza bassa.

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alla zona superiore, ovvero una folta vegetazione e una zona ampia in forte depressione dove di circa 6 mesi e che si apre in una vallata ricca di verde incolto. In quest’area, per rispettare il più possibile i caratteri naturali del luogo, è stata predisposto il collegamento del percorso tramite passerella rialzata che termina con una piazza sospesa in cui il tema del vuoto ritorna centrale per restituire uno spazio minimale che si prefigge di essere un luogo di sosta di dimensioni contenute. Sedute e coperture per riposare in uno spazio circondato da verde aumentano il livello di comfort, bordate tutto intorno da muri vegetali, posizionati in corrispondenza degli abitati, che veicolano la vista creando quinte sceniche.

Il disegno dei vari percorsi è formalmente differente in quanto essi sono definiti in funzione delle viste prospettiche che si è preferito privilegiare per la costruzione del percorso, veicolando la vista lungo le situazioni più interessanti che possano così esulare la vista di un contesto altrimenti disomogeneo e degradato.

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Bibliografia

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TESTI DI CONSULTAZIONE GENERALE I. L. McHargh, Progettare con la natura, Franco Muzzio Editore, padova, 1989.

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Tavole

2018 - 2019