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Le Stanze

un utilizzo tecnologico della realtà. Immagina l’incontro di Eva pre-caduta con Eva post-peccato, come fosse un naturalissimo congiungimento di due flussi su una linea di confine. In questo incontro tra due superfici di acqua in movimento una si specchia nell’altra, in un perpetuo ricambio di sensazioni e di punti di vista, come se il flusso in continuo divenire fosse un imperturbabile moto delle reincarnazioni. Eva continuamente in un’altra Eva, per un’ulteriore altra Eva, all’infinito, sempre al limite di una linea di confine. Tra macrocosmo e microcosmo. In questa accezione, Benigni miniaturizza la donna primigenia (la traduce in un personaggio da diorama), la colloca sopra un’isola (che è un sasso), la pone in una teca da museo (in ostensione, come fosse una reliquia di un’operazione sottile, per ridimensionare l’idea del peccato conoscitivo). Benaglia, invece, agisce sulla sottrazione del segno distintivo. Asciuga il termine “originale”, disossa la soggettività, travalica la visione personale. Per realizzare i suoi video animati si affida alla “macchina impersonale”, a programmi utili a tradurre il segno individuale in tratto oggettivo, come se una distanza fosse necessaria per comprendere più in profondità i limiti dell’ego. È più interessata, quindi, a trasformare in “opere utili” ciò che viene prodotto per il mondo dell’arte. La visione della sua Eva sonda i recessi oscuri della mente, quella appena messa in azione dal demiurgo dopo la creazione degli esseri umani. Eva contro Eva, ragione contrapposta all’istinto, per comprendere il mistero di ogni dicotomia, la necessità di una duplice visione. Verso il medium del peccato, quello dei progenitori,


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