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LE STANZE

Trescore Balneario 2010 – 2011


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Questo volume è stato pubblicato in occasione della serie di mostre nello spazio espositivo Le Stanze. Spazio espositivo LE STANZE, presso la Biblioteca e Mediateca “A. Meli” in via Roma, 140 a Trescore Balneario (Bд)

Comune di Trescore Balneario

Ideazione e coordinamento Comune di Trescore Balneario Assessorato alla Cultura. Pro Loco Trescore Balneario. Biblioteca e Mediateca Trescore Balneario Mostre a cura di Mauro Zanchi Raffaele Siciдnano Sito Web Laura Marchesini Si rinGraziano Emilio Parimbelli Giovanni e Anita Pina Giuseppe Zambetti Inoltre si rinGraziano Aurella Peдurri Anna Gandossi Giovanna Maffeis Un rinGraziamento particolare Per la preziosa collaborazione a Stefano Oldrati e Marco Patelli

CataloGo a cura di TBS / Temp Testi a cura di Mauro Zanchi Emma Ines Panza Coordinamento editoriale TBS Print proGetto Grafico Studio Temp Referenze fotoGrafiche Marco Patelli Nicodemo Riffaldi Claudio Cristini Andrea Anдhileri STAMPA LineaGrafica, Lazzate (MB) Tecnoдraph Srl, Berдamo


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4-5 Comune e Pro Loco Trescore Balneario

30 Alessandra Corti 'Donna di servizio'

(FB) (CA)

(MZ)

6 Il luoдo d'incanto

(RS)

8 Dall'intenzione al medium, dal locale al дlobale (MZ) 14 Valentina Persico 'Distanze' (MZ) 20 Audelio Carrara 'Bianco Schermo' (MZ) (BT)

23 Cinzia Beniдni e Sara Benaдlia 'Eva vs Eva' (MZ) (SB)

34 Temporary Black Space 'Vi barricate in attesa del mattino' (MZ) (EIP)

56 Clara Luiselli (MZ)

59 Appendice e approfondimenti

(EIP)

64 Bioдrafie 65 Appendice Visiva

CA = Carlo Alдisi SB = Sara Benaдlia FB = Francesca Biava EIP = Emma Ines Panza RS = Raffaele Siciдnano BT = Bianca Tosatti MZ = Mauro Zanchi

n° = Rimando alle immaдini nell'apparato visivo (n=numero di paдina)


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Da sempre l’uomo attraverso l’arte ha cercato la via di comunicazione per far viaддiare le proprie emozioni. Il proдetto Le Stanze ha come preroдativa proprio la sperimentazione e la divulдazione delle emozioni: quindi, Trescore Balneario non ha voluto mancare a questa rasseдna artistica che promuove la дiovane arte contemporanea. Con дrande piacere l’Amministrazione Comunale ha voluto sostenere con il suo patrocinio questo importante proдetto che vede il nostro territorio arricchirsi di una nuova esperienza culturale. Lo spazio espositivo comunale presso il complesso le Stanze, da cui prende nome la rasseдna, ha ospitato questa prima fase espositiva che ha visto l’alternarsi di дiovani pronti al confronto e alla sperimentazione. Un дrazie ai curatori delle mostre Mauro Zanchi e Raffaele Siciдnano e a tutti дli artisti che hanno aderito e hanno portato nella nostra comunità il pensiero dell’arte che vive. Francesca Biava Assessore alla Cultura e alla Pubblica Istruzione Comune di Trescore Balneario


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La Pro Loco di Trescore Balneario, ha come preroдativa la promozione del patrimonio artistico e culturale locale. È stato un дrande piacere promuovere e sostenere il proдetto artistico Le Stanze curato da Mauro Zanchi e Raffaele Siciдnano, perché crediamo nell’arte e nelle nuove esperienze culturali. Il nostro territorio durante tutto l’arco dell’anno ha visto l’alternarsi di cinque mostre personali allestiste presso lo spazio espositivo comunale. Gli artisti, che hanno esposto il loro lavoro artistico, hanno dato vita ad uno straordinario alternarsi di idee e emozioni esponendo opere di notevole qualità artistica. La Pro Loco è certa che queste manifestazioni recano al nostro territorio visibilità e nuove opportunità soprattutto per i дiovani che fanno della ricerca artistica la loro raдione di vita. Questo proдetto è stato possibile дrazie aдli sforzi sinerдici dell’associazione che rappresento, la vitalità e il contare su un intero дruppo di persone, che hanno creduto in questo evento e la certezza di enti sostenitori come Le Terme di Trescore, hanno reso possibile questa importante manifestazione. Un sentito rinдraziamento ai due curatori e un дrazie ai дiovani artisti che sono stati presenti con la loro arte. Carlo Algisi Presidente Pro Loco Trescore Balneario


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Il luogo d’incanto

raffaele sicignano

Il progetto Le Stanze nasce dall’esigenza di creare a Trescore Balneario un laboratorio aperto alle giovani esperienze dell’arte contemporanea. Uno spazio aperto, fruibile, pronto ad accomunare e a mettere in relazione le numerose esperienze dell’arte che creano le nostre coscienze. È stato pensato e realizzato per dare spazio a una specifica schiera di artisti giovani, legati al nostro territorio, che tra le tante difficoltà, a volte, hanno anche la necessità di usufruire di uno spazio ove mostrare e trasmettere la loro ricerca intellettuale. Le esperienze che si sono susseguite hanno tracciato uno specifico filone dell’arte intesa in tutti i suoi concetti. In questa prima edizione, si sono alternati vari linguaggi comunicativi che hanno innescato il confronto tra le varie esperienze. Valentina Persico, ha creato delle rappresentazioni energetiche capaci di apportare al segno e alle campiture di bianco continuità dei quesiti della mente e del cuore. Le sculture di Audelio Carrara hanno costruito


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uno spazio che è arrivato a toccare le possibili ragioni alchemiche, necessarie al concetto delle probabilità. Cinzia Benigni e Sara Benaglia hanno dato vita a un dialogo tra due artiste che ha esaminato l’inizio della conoscenza delle cose, il rapporto tra il positivo e il negativo, l’analisi di ciò che è o può essere. Alessandra Corti si è confrontata direttamente con il luogo delle Stanze e con gli esseri che ci vivono creando un dialogo temporale tra fisicità e concetto. Il collettivo Temporary Black Space ha dato vita a una performance che ha elaborato un report gestionale sulle sensazioni generate dalla paura. Il dubbio di non essere più ciò che siamo può trasportarci, effettivamente, in ciò che non vediamo e, non è detto, che il beneficio sia proprio l’innalzamento delle coscienze trattenute dal terrore. Clara Luiselli si è servita dell’azione per creare l’atmosfera dell’evocazione misteriosa che cinge le nostre curiosità. Ha accarezzato il fattore dell’enigma racchiuso nelle “ cose ”. Tutto questo fermento è stato possibile grazie al fatto che crediamo fermamente che l’arte sia ciò che incide sulla nostra ragione. Ecco anche il perché, ogni artista ha donato una sua opera alla comunità di Trescore Balneario, per far si che possa nascere un luogo d’incontri e riflessioni. Un posto dove ogni uomo possa fermarsi a meditare sulle possibilità di crescita della propria coscienza. Il pensiero degli artisti e le opere portano alla conoscenza del fatto che ogni uomo fonda la propria origine sull’arte, su ciò che ci porta a beneficiare del dubbio e di ciò che sarà, attraverso le energie, il mistero, il confronto, il concetto e la paura di sapere di essere umani.


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Dall’intenzione al medium, dal locale al globale m a u ro z a n c h i

Gli artisti che condividono il progetto alle Stanze qui intesi come una sorta di campione locale di un fattore globale, in un rapporto tra individuo e territorio, rappresentando anche ogni tipo di medium - tracciano un legame strutturale tra rappresentazione visiva e formalizzazione simbolica. C’è chi si misura con le opere del passato, chi sottrae qualcosa da sé per lasciare spazio al presente quotidiano, e chi si spinge verso una previsione profetica, per cercare di comprendere meglio il flusso della storia in divenire, che scorre dinanzi ai nostri sguardi. Gli aspetti della contemporaneità vengono misurati e vissuti, con tutte le contraddizioni formali e concettuali, poiché i prodotti che ne derivano dovrebbero avere una funzione energetica, per dinamizzare i pensieri e stimolare la sensibilità collettiva. In ogni periodo storico, anche quando si finisce sul fondo di ogni condizione estetica o culturale, è possibile cogliere qualche visione estatica, in ogni luogo geografico o spaziotemporale, come fossero luci, o lucignole fosforescenti


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di pesci, che si muovono sul fondo buio degli oceani. Il linguaggio visuale è un susseguirsi di elementi che si muovono (pur aprendo continuamente alla possibilità di uscirne) entro binari di una concatenazione lineare, nello scorrimento che procede lungo la linea del tempo. In questo procedere, sulla linea dell’evoluzione, agiscono strutture molto più complesse, non lineari, attorcigliate, profonde e non del tutto rivelate. Alcune esperienze esposte dalla serie di mostre sono da leggere anche come patterns che mostrano astratte strutture site nelle sorgenti nascoste del pensiero umano: sono frames che rispecchiano contemporaneamente verità e antiverità, ipotesi, scorci del profondo, controfattualità, misteri della coscienza, proiezioni di natura magica. Oltre alle vie di intuizione e di sperimentazione indicate dai maestri internazionali, in ogni latitudine del mondo i termini vanno continuamente completati da altri artisti che hanno accolto ed ereditato la linea base della ricerca, poiché nulla è mai risolto completamente, così che il pensiero continui a girare nel cerchio della vitalità. Si vengono a creare così “direzioni” esterne ai termini stessi, variazioni sul tema, reinterpretazioni di spartiti, come fosse un’esecuzione jazz di uno standard o come una riscrittura fatta da Igor Stravinskij sulle misteriose strutture barocche di Johann Sebastian Bach. E questo viene riletto - e ognuno poi rilegge a suo modo - avendo ben presente che un termine visuale ha significato solo nel contesto di una proposizione, che può continuamente essere ribadita o rimessa in moto con alcune variazioni, seguendo le leggi della meccanica quantistica, dove c’è una determinazione reciproca delle parti al tutto e dal tutto alle parti. Anche nell’evo-


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luzione dell’arte, il tempo visuale è un “intero condeterminato” che segue la legge del “prima”, “dopo” e dell’ “oltre” del linguaggio, passando dai “tempi brevi” della vita ai “tempi lunghi” della memoria. Tutto avviene sulla linea di confine evocativo posta fra assorbimento delle immagini della realtà e coniugazione decostruttiva del vero (tra sensazione individuale e rielaborazione poetica). Gli artisti invitati tracciano “grafi esistenziali”, performance, installazioni, video, proiezioni di immagini, affidando alla vista il modo di segnalare le relazioni fra vita e traccia segnica del mondo, all’interno della memoria, qui intesa come processo. Identità personale e memoria, dunque, soggettività nel rapporto oggettivo con l’esistenza. I soggetti si mettono in relazione con i rapporti che si vengono a creare tra luce e segno, in un processo aperto e fluido, pensando alle proprie opere come fossero domande rivolte a una conseguenza di verità, vista come progressione di particelle in continua mutazione. Pongono domande come fossero dentro la sequenza numerologica di Fibonacci, ingredienti colmi di umori variabili, apertura verso l’infinito. Ideano qualcosa che è mezzo dell’immaginare, con materiali che divengono forme (o antiforme), che si dilatano come la crescita di un organismo vivente. Dall’intenzione al medium, per giungere a un rapporto numerico con lo spazio, in un processo di proliferazione che sia in grado di facilitare allo spettatore una visione antiparodistica delle cose: “Il numero è un animale vivente, è legge di riproduzione. Il numero non esiste senza la riproduzione dei numeri, così come non esistono segni di vita se non nella riproduzione dei segni di vita” (Mario Merz).


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La visione complessiva proposta in questa esplorazione è legata a una molteplicità di angolazioni - pluralità di tentativi dello sguardo - che scinde e deforma la realtà per cercare di portare in visione una sorta di “parallelogramma di forze”. Sono stimoli, inoltre, per cercare una capacità di lettura del mondo in modo sintetico, per velocizzare il pensiero, poiché l’ipotetico mondo scomposto induce a muoversi nell’azione con una conoscenza destrutturata, organizzata a quanti-luce informativi, che si lasciano riordinare in funzione delle questioni contestuali. Nella relazione osservato-osservatore-osservazione, il sagomarsi alla nuova visione storica è una ristrutturazione del pensiero, che esperisce, nel tempo storico, la consapevolezza del mutamento della realtà. L’adeguamento è facilitato se il ragionamento non è “un già costruito”, così che la scomposizione della realtà/storia metta in azione la plasticità del pensiero creativo: per stare nel moto del divenire creativo è necessario disincrostare le visioni di realtà. In seconda istanza, la coazione di più voci e linguaggi tesi a una ricognizione oggettiva della realtà apre al ritorno salvifico della soggettività poetica: “Dal mio punto di vista l’unico modo per uscire dalla situazione nella quale ci siamo messi grazie alla nostra generosa disposizione a incoraggiare la demolizione di tutti i valori estetici da parte delle avanguardie degli ultimi ottant’anni, è diffondere proprio il soggettivismo e raccomandare al pubblico di emanciparsi e di non tollerare più certe operazioni truffaldine” (Mario Vargas Llosa). Rappresenta possibili alternative in una fase di recessione della storia segnata da declino e disorientamento, difendendo la lotta contro l’impoverimento della ricerca tecnica – anche e soprat-


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tutto nel continuo fare autoreferenziale della pittura e della scultura – contro lo choc effimero imposto dalle star internazionali della businnes art e contro la sudditanza dalle imposizioni del mercato. Con questo tentativo si cerca di riscoprire la profondità del common sense, mettendosi di traverso rispetto alle onde della storia. Avanzano nella loro ricerca, guardando in uno specchio retrovisore la progressione evolutiva dell’arte. I tentativi marginali sono barlumi di una ribellione ai grandi sistemi, una ribellione dalla provincia dell’impero globalizzato, una voce che cerca altre voci fuori dal coro, in opposizione alle manovre mafiose di certi galleristi/mercanti/ collezionisti. In alternativa agli innumerevoli “pompiers del Duemila, artisti del postmodernismo di lusso nei pays du cynisme roi” (Olivier Jullien), che impongono cifre di un Kitsch arrogante, monumentale e provocatorio. Contro quei simboli di un’epoca che fa fatica a vedere, riflettere, confrontare. Il gruppo della neosoggettività si affida a un’arte sostanziale – fondata sull’uso, ossessivo e catartico al contempo, della materia – arte dell’inatteso e dell’accidentale, che rivela un’invocata bellezza, anche di fronte alla presa di coscienza della finitezza del mondo, dentro l’artificio “per attraversare diagonalmente la realtà”. La ricerca si sofferma sui significati che affiorano come da una ulteriore ed ennesima chimica delle idee, indagando il detto delle cose, ovvero ciò che si manifesta nello scambio fra atomi e molecole nella vita: arte come frutto di tecnica, esercizio, fatica, costanza, apertura, messa in discussione, crisi, ossessione monomaniacale, pazienza, arguzia, intuito, conoscenza.



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Valentina Persico ‘Distanze’ 24 Aprile 2010

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Secondo Edward Bullough vi sono tre specie di distanze: una fisica (spaziale), una temporale, e una psichica (“La distanza psichica come fattore artistico e principio estetico”, British Journal of Psychology,1912). Un’opera funziona quando la distanza si annulla senza che avvenga la dissoluzione del suo effetto, così che il fruitore e l’artista divengano l’opera d’arte stessa, all’interno e oltre la triade spaziale-temporale-psichica. Valentina Persico lavora da tempo sul modo di costruire modelli mentali innovativi di interpretazione della realtà. Cerca di mettere in azione le complesse declinazioni dello sguardo e del suo rapporto con la distanza. In questa prospettiva della visione elabora momenti segnici dell’energia, esprimibili da sensazioni più profonde e dinamiche. La sua è una ricognizione nel riconoscimento della materia e del suo movimento. In questo viaggio cerca di esprimere soprattutto l’energia emotiva, entro e oltre la dimensione prospettica. Cerca di andare al di là della conoscenza empirica della dimen-

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sione oggettiva, per giungere a costruire nuovi modelli di descrizione e rappresentazione di una realtà energetica. Indaga gli spostamenti sottili. Queste tracce segniche sono testimonianze delle onde di energia che tendono a modificare il senso del reale in uno spazio-tempo. È un’esplorazione continua di nuovi modi di pensare. Ovvero partendo dall’intuizione che considera lo spazio come “contenitore” del mondo e il tempo come ciò “lungo cui scorre” l’esistenza, dove è incostante la velocità del pensiero nella luce. L’artista ha intuito che lo spazio-tempo va considerato come composto da entità discrete a dimensione variabile. In questa dinamica del moto molecolare, segnala le relazioni del suo sguardo con lo scambio di energia, come se fossimo dinanzi a qualcosa che modifica la durata e la dimensione dei quanti o degli atomi di tempo. Mentre produce segni sulla carta o sulle tele, cerca di comprendere le effettive modificazioni dello spaziotempo che avvengono durante i processi di trasformazione. Indaga così la relazione tra l’ondulatorio e il corpuscolare, ovvero la duplice natura “ondulatoria e particellare” degli elementi fondamentali della natura. Si svincola dalla “corporeità tangibile” definita da tre coordinate spaziali e una direzione temporale, che è stata attribuita alla materia. Determina così la necessità di concepire il futuro come una progressiva estensione lineare del passato. Immagina un diverso futuro prodotto da una trasformazione. Si lascia attraversare dalla bi-dimensionalita del tempo, per rendere possibile una risultante temporale con una diversa orientazione nello spazio e una differente durata del tempo.


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Tale interpretazione apre a sentire un’energia vibrazionale, così da realizzare una accelerazione catalitica del cambiamento cognitivo. Le opere segniche di Persico sono una riflessione sulla complessa relazione spazio-temporale nell’evoluzione dell’intelligenza umana. E per fare ciò l’artista prende distanza, con la sua opera, dai propri contenuti.

valentina persico

1. La Stanza delle Ipotesi Ogni ricerca muove da stimoli iniziali, imput su cui costruire il tentativo di avviarsi verso dimensioni mai a priori prevedibili. Formulare ipotesi indica porsi in una condizione di progettualità, aperta ma non casuale, in cui studiare, discutere, interrogare, dubitare di ogni passaggio e al contempo avvalorare, rafforzare le traiettorie individuate. I lavori comprendono lo spazio, sono aperti alle possibili contingenze visive, sovrapposti creano dimensioni


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di accorpamento-straniamento: il punto di vista dell’osservatore partecipa al processo interpretativo Da iniziali intuizioni, i lavori assumono maggiore consistenza, più lineari, senza rinunciare all’idea della compresenza, due mondi paiono avvicinarsi, il loro limite è la distanza che li avvicina. Ipotesi: Proposizione, dato iniziale ammesso provvisoriamente per servire di base a un raдionamento e per valutarne le conseдuenze.In un teorema, affermazione che si suppone vera e da cui si ricava la tesi. Supposizione, conдettura, volta a spieдare eventi di cui non si ha una perfetta conoscenza (est) caso, eventualità

2. La Stanza delle Attese Dopo una fase di elaborazione delle ipotesi, la ricerca muove verso un momento di decantazione, in attesa che si compia qualcosa, in attesa che si avvalori l’idea, in attesa che si possa procedere nella ricerca: il

giusto lasso di tempo tra il preannuncio di un evento e il suo realizzarsi. Pannelli neri come porte chiuse, pesi che gravano sul-


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le aspettative, incombenza di ciò che si spera e si teme, ogni ricerca subisce il materializzarsi dell’impossibilità. In mezzo, a terra, un’umanità che attende, che non prevarica, che accoglie il peso dell’ignoto come necessario, che aspetta ma che spera. Attesa: L’attendere. Periodo di tempo che trascorre nell’attendere. Aspettativa.

3 - La Stanza del Passaддio Ogni passaggio pare essere qualcosa di clamoroso, evidente e se spaventa, nefasto. Si può ripensare il passaggio nella variazione minima, percettivamente meno visibile, più intima.

Si attraversa uno spazio in cui il camminamento è più vincolato, si visualizzano graduali passaggi, movimenti, roteazioni, sommesse ma vitali, erotiche, che


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si aprono, che si chiudono, che si richiudono. Al centro una presenza vuota accoglie il passaggio di ognuno. PassaGGio:Transito attraverso un luoдo, trasferimento da un luoдo all’altro. Di passaддio: senza soffermarsi, di sfuддita Luoдo in cui si passa, apertura o varco che consente di passare Passaддio obbliдato: attraverso il quale per forza bisoдna passare Cambiamento, mutamento da una condizione all’altra Episodio nel corso di una composizione.

4 - La Stanza delle Relazioni E se ogni ipotesi avvalora l’attesa e suggerisce il passaggio, è la relazione il processo che rende significativo ogni percorso, rivelando la complessità degli elementi interdipendenti. Legami, rapporti, scontri, dialoghi, preesistenze influenti, spazi e sguardi che collegano, incontri che si verificano, aperture a ogni ulteriore ipotesi possibile. Relazioni: Leдame, rapporto fra due cose, due o più fenomeni. Stretto nesso esistente tra due o più concetti, fatti, fenomeni oдnuno dei quali richiama direttamente e immediatamente l’altro. Rapporto o leдame di natura affettiva, economica, pubbliche relazione: complesso di varie attività informative volte a influenzare la pubblica opinione intorno a persone, cose, istituzioni, aziende. Resoconto scritto od orale svolto su un incarico o un dato arдomento.


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Audelio Carrara ‘Bianco Schermo’ 5 Giuдno 2010

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Il bianco è la forma scelta da Audelio Carrara per la mostra ne’ “Le Stanze” . Bianco inteso come schermo, attraverso il quale la forma si offre come linguaggio, che lascia intuire un significato sotteso nella scelta stessa della materia utilizzata. Colore di luce che maschera una presenza coperta. In questo bianco schermo il significato si lascia percepire nell’attimo stesso in cui la forma si manifesta. La scelta di non utilizzare un pigmento - ma un fondo costituito da una miscela di gesso di Bologna e colla animale – è un ulteriore tentativo di mettere in atto un asciugamento minimalista. Al contempo, la stesura stessa del bianco, incontrando una forma strutturale, diviene presenza scultorea: bassorilievi e altorilievi.

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Il gesso di Bologna incontra in alcuni casi il grigio, anch’esso un non-pigmento, piombo usato in lamine, ovvero materia cara alla tradizione alchimistica, per evocare significati di natura saturnina e melanconica. Dal piombo all’albedo il processo trasmutativo innesca flussi di spostamenti, sia fisici sia simbolici. Spostamenti sottili come le stesure di bianco su altre stesure di bianchi. Carrara indaga e verifica le invisibili relazioni che intercorrono tra pittura, scultura e architettura. Il perimetro delle opere è spesso irregolare. L’effetto di instabilità che ne risulta dialoga con le linee interne presenti nell’opera disposte invece in modo ortogonale.

«il risultato di questo confronto è una dialettica che coinvolge vari livelli di percezione e non solo: ordine e disordine, movimento e stasi, struttura e decorazione, essenzialità e complessità, sostanza e apparenza. In questo senso, considero, queste opere, come il bisogno di azzeramento, ovvero la necessità di fare chiarezza. Dove chiarire non significa capire, ma mettere in gioco gli eventi affinché a una domanda sussegua un’ ulteriore domanda. Le rispo-


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ste non m’interessano, perché, nonostante le intenzioni, sono meno risolutive delle domande alle quali pretenderebbero di dare soluzione.» (Audelio Carrara)

bianca tosatti

… La saldezza appare placida quando è generata dal “pondus”, da quell’evidenza cioè di equilibrio fra volume e gravità nella quale la scultura si autodesigna come spazio. Ma l’apparenza non sarebbe così flagrante se non ci fosse qulcos’altro; nel caso di Carrara si tratta di un elemento di fremente indeterminazione che contraddice e insieme corrobora il tradizionale concetto di volume. Il carattere “pittorico” delle sculture di Carrara infatti agisce come segno femminile nello spazio: corregge l’equivoco linguistico fra “peso” e “pondus”, inverte continuamente l’interesse fra ambiente, superficie e concrezione spaziale, obbliga all’agilità estetico-percettiva…


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Cinzia Benigni e Sara Benaglia ‘Eva Versus Eva’ 6 Ottobre 2010 m a u ro z a n c h i

La mostra è un tentativo di riappropriarsi di alcune facoltà che sono state perdute dopo il peccato originale. O meglio, l’auspicio è quello di riuscire a comprendere qualcosa di più su ciò che è accaduto dopo aver mangiato il frutto della conoscenza. E questo oltre l’idea del bene e del male. Eva ha mangiato, ha compreso qualcosa, forse il senso della vita, e poi in fretta e furia è stata cacciata dall’Eden. A causa di questo allontanamento ha perduto sia il paradiso sia molti frammenti della memoria legati all’idea della conoscenza. Cinzia Benigni e Sara Benaglia incarnano il corpo primordiale di Eva. La immaginano nelle due versioni della cultura occidentale: quella dell’Antico Testamento e quella della tradizione esoterica, Lilith, la donna che si è ribellata a Dio e ad Adamo. Pensano allo sguardo che precede la caduta. E ai suoi occhi dopo il peccato originale. Benigni immagina la sua visione primigenia come fosse in 3D, in un contesto naturale simile a luoghi di un oriente elegiaco, nel respiro di un approccio zen, ma già protesa verso

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un utilizzo tecnologico della realtà. Immagina l’incontro di Eva pre-caduta con Eva post-peccato, come fosse un naturalissimo congiungimento di due flussi su una linea di confine. In questo incontro tra due superfici di acqua in movimento una si specchia nell’altra, in un perpetuo ricambio di sensazioni e di punti di vista, come se il flusso in continuo divenire fosse un imperturbabile moto delle reincarnazioni. Eva continuamente in un’altra Eva, per un’ulteriore altra Eva, all’infinito, sempre al limite di una linea di confine. Tra macrocosmo e microcosmo. In questa accezione, Benigni miniaturizza la donna primigenia (la traduce in un personaggio da diorama), la colloca sopra un’isola (che è un sasso), la pone in una teca da museo (in ostensione, come fosse una reliquia di un’operazione sottile, per ridimensionare l’idea del peccato conoscitivo). Benaglia, invece, agisce sulla sottrazione del segno distintivo. Asciuga il termine “originale”, disossa la soggettività, travalica la visione personale. Per realizzare i suoi video animati si affida alla “macchina impersonale”, a programmi utili a tradurre il segno individuale in tratto oggettivo, come se una distanza fosse necessaria per comprendere più in profondità i limiti dell’ego. È più interessata, quindi, a trasformare in “opere utili” ciò che viene prodotto per il mondo dell’arte. La visione della sua Eva sonda i recessi oscuri della mente, quella appena messa in azione dal demiurgo dopo la creazione degli esseri umani. Eva contro Eva, ragione contrapposta all’istinto, per comprendere il mistero di ogni dicotomia, la necessità di una duplice visione. Verso il medium del peccato, quello dei progenitori,


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per aprire la sensibilità verso la comprensione, viscerale e mentale allo stesso tempo. Benigni con Benaglia per fluire in tutte le declinazioni degli umori femminili. Al di là del peccato che ha portato le persone verso la morte del loro corpo, per cogliere la forza dell’imprevedibilità femminile, tra seduzione e mistero, tra creazione di opere e presa di distanza.

Sabato

Ora ho un giorno di vita. Quasi un giorno intero. Sono arrivata ieri. Almeno così mi sembra. E credo sia così, perché se è esistito un giorno prima di ieri, quando quel giorno c’era non c’ero io, altrimenti me ne ricorderei. Naturalmente è possibile che quel giorno ci sia stato e che io non me ne sia accorta. Benissimo; d’ora innanzi starò molto attenta e se mai ci saranno giorniprima-di-ieri, ne prenderò nota. La cosa migliore sarà cominciare bene e fare in modo che le mie memorie non si presentino confuse, perché l’istinto mi dice che saranno proprio questi particolari cui un giorno gli storici daranno peso. Infatti ho la sensazione di essere un esperimento, ed è esattamente


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come un esperimento che mi pare di sentirmi; […] Tratto da Il Diario di Eva Mark Twain, 1906

Canarini allo Zoo

sara benaglia

Lo spazio “Le Stanze” di Trescore è molto difficile: la struttura portante delle opere è di per se un progetto espositivo e la piscina è senz’acqua. Nonostante tutto, io e Cinzia, Eva Contro Eva, eravamo talmente affascinate dai banconi simil gioielleria e dalla stanzetta post-biblioteca da perdere di vista la questione, portando dalla nostra parte quel che volutamente o meno, aveva tracce d’attesa o rosa. La prima volta che ho incontrato Cinzia era almeno otto anni fa, a casa di Massimo e scarabocchiava un semaforo con la Bic nera [io studiavo economia, l’accademia era un ideale lontano], la Fra, vestita di


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nero, sclerava con il Mac. L’ultima volta ci siamo incontrate nella galleria in cui lavora, e non sono andata a vedere la sua partita di calcio. Quando Cinzia mi ha proposto il progetto della mostra ero molto felice perche’ persa tra arte e design, nella speranza di trovare una qualche funzionalita’ concreta all’arte. Costruire la mappa ha significato incontrarsi varie volte: la prima faceva freddo, mi ha cucinato la pasta coi broccoli, la seconda abbiamo fatto visita alla biblioteca con il maglioncino, la terza la gonna gli stivali e i finestrini abbassati, lei guidava, poi abbiamo visto Mauro e Raffaele e l’ultima volta, installazione più inaugurazione, io non c’ero, ero gia’ partita per Tenerife e lei e Raffaele hanno dovuto fare tutto, perche’ il mio vicino di casa, che aveva giurato di sostituirmi, e’ andato a snowbordare per farsi le foto dal basso e dire a tutti che e’ un pro, abbiamo litigato tantissimo, io ho speso diciassette euro di telefonate tra rimproveri e giustificazioni, perche’ non e’ vero che Ryanair ha solo voli economici e le Canarie sono abbastanza isolate da permettere ai latinoamericani d’entrare in Europa senza documenti ed eccessivi clamori e anche ai nord europei di pensionare dimenticati nell’Oceano, come Arnulf Rainer, pero’ lui sta alla Gomera. La prima volta che ho parlato del progetto a Mauro era da me, in estate, col gelato del Pandizzucchero lo schermo 17 pollici e il temporale, quasi, ho parlato per tre ore, poi lui e’ andato via e mi ha spiegato Lorenzo Lotto, regalato un libro che mi sono portata al mare e gli ho giurato che l’avrei buttato nel vulcano Teide, ma non e’ vero: non l’ho mai fatto. Il mio amico Mauri, che ha fatto il suono del video in cui mi chiudo in valigia, dice d’aver sentito parlar di me da Mauro il giorno dell’inaugurazione e che stava per


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scoppiare a ridere; da allora pubblico fotografie di Boh in Facebook contro il suo volere. Capisco che avrei dovuto scrivere qualcosa d’intelligente per il catalogo, ma sono persa tra cento cose e a volte, come Memento, scrivo spiaccicando frasi in giro per costruire quel che penso. Un’amica mi ha scritto mail cattive qualche giorno fa, consigliandomi calorosamente di uscire dalla dimensione discoteca in cui vivo e io in una discoteca stavo per lavorare la sera stessa: di fatto mi pagano per sorridere, e ho traslocato in un supermercato di turisti; qui il lavoro consiste nel dare ai visitatori l’illusione di essere felici, ma forse non siamo bravi, perche’ la notte e’ un bagno d’alcol vomito e polizia. Ora ho “fra le mani” una Google Madonna Benois, un biglietto di rientro in Lombardia per il 12 Settembre, un corso di russo che spero partira’ a breve e una storia poverina tutta da scrivere, come la mia mostra personale a La Laguna: il gallerista mentre installavo mi ha giurato che diventera’ fruttivendolo e a me sembra che sia proprio il lavoro giusto per lui. Per concludere, ragionando sull’invecchiamento sto lavorando in una quasi Balera, che si chiama Banana Garden, e sono entrata in una delle cartoline che avevo spedito a Trescore. Adesso vado in spiaggia a giocare a Frisbee.


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Alessandra Corti ‘Donna di servizio’ 11 Dicembre 2010

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La ricerca di Alessandra Corti gioca col mondo, usando i suoi contenuti, per riprogrammare le forme sociali. È un’attività che cerca di produrre dei rapporti con la realtà, tra lo spazio e il tempo. Si mette al servizio del pubblico per innescare un altro linguaggio all’interno di una nuova narrativa, che nasce dall’incontro fortuito con una situazione. Si tratta di un’arte della completa dedizione, a favore di qualcuno o qualcosa. Il medium scelto è lo stare a completo servizio, per mettere in opera un atto utile, un lavoro domestico svolto in casa altrui, una prestazione fornita per soddisfare le necessità degli altri, una pulitura di un luogo pubblico. Questa scelta, concettuale e formale al contempo, parte dall’intenzione di sottrarre materia dall’ego e dal mondo dell’arte, in favore di un’apertura verso qualcos’altro, che è una negoziazione di punti di vista. Il servizio è attuato quasi nell’anonimia. La donna di servizio appare nella documentazione fotografica, di sfuggita, diretta verso un fuori campo. Corti mette


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in discussione la rappresentazione dell’individuo, sia nel contesto sociale sia in quello interiore. Attraverso il gesto sottraente, cerca di sondare i processi di adattamento soggettivo alle variabili oggettive incontrate nella vita. La performance altruista vorrebbe rendere visibile la rinuncia a dare troppa importanza a se stessi, per trasferire questo sviluppo soggettivo nel sistema sociale, per arricchirlo con il tentativo di lasciare spazio ad altri. Togliere da sé per lasciare campo alla potenzialità di chi

giunge in questo campo. È un gesto che va oltre la concezione estetica e psicologica dell’odierna visione occidentale dell’arte, anche. È un ritorno alla concezione dell’artifex medioevale, all’idea che non esista distinzione tra artista e artigiano, considerati alla stessa stregua, perché entrambi realizzano qualcosa che è funzionale a un’esigenza sociale. La poetica di Corti si mette al servizio della vita, dunque, per esprimere l’inespresso, in modo pratico prima che in forma simbolica. Per fare questo gesto ultrasottile bisogna badare ai minimi dettagli. Ars sine


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Scientia nihil est (l’arte senza la Scienza è nulla). E Corti è al servizio volontario di una scienza inesatta, per negoziare nuovi contenuti con i protagonisti dei suoi incontri. Dall’atto sincero di mettersi a servizio di qualcuno può emergere una verità, principiale o relativa, aprendo soprattutto verso le opinioni o i sentimenti personali, verso la contingenza del fuggevole. L’arte quindi dovrebbe avere di nuovo una funzione di utilità e di servizio. Se poi muove qualcosa nella coscienza tanto meglio. Corti si appropria di altre vite, cerca di mettere in atto piccoli cambiamenti, decontestualizza il significato, per influenzare i fruitori che giungono nei luoghi deputati a ospitare la documentazione delle sue performance. Forse è fuoco quello che richiede ai suoi interlocutori. Qualcuno ha un accendino?

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Una riflessione a posteriori – cioè dopo l’esecuzione del lavoro – , con la consapevolezza che “le cose” di cui un lavoro si nutre vengono da lontano, dal passato,

dal prima. Nello scarto di tempo tra un prima e un dopo, si genera uno spazio teoricamente limitato ma potenzialmente infinito. Scelgo un testo, che non spiega il focus


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del lavoro “Donna di servizio” ma almeno non lo complica. Parla di come gli opposti si attraggono, di come gli opposti si uniscono e di come gli opposti persistono. Scelgo questo testo perché parla di pulizia, di sottrazione, di rigore. Scelgo quello che vorrei generare (…).

“Dedicherò la prima conferenza all’opposizione leggerezza-peso, e sosterrò le ragioni della leggerezza. Questo non vuol dire che io consideri le ragioni del peso meno valide, ma solo che sulla leggerezza penso d’aver più cose da dire. Dopo quarant’anni che scrivo fiction, dopo aver esplorato varie strade e compiuto esperimenti diversi, è venuta l’ora che io cerchi una definizione complessiva per il mio lavoro; proporrei questa: la mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso, ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio”. Italo Calvino, Lezioni Americane. Sei proposte per il nuovo millennio


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TemporaryBlackSpace ‘Vi barricate in attesa del mattino’ 5 Febbraio 2011

è

da quando popolano la terra che gli uomini sono alle prese con il problema di mettersi al sicuro: dai felini predatori e dagli orsi delle caverne, dal fuoco e dall’acqua, dai nemici, dagli estranei e dai falsi amici. Assieme alla gioia, al dolore e alla rabbia, la paura fa parte dei più potenti impulsi nella storia della specie umana. E un dato di fatto del quale si diviene più fortemente consapevoli nei periodi di pericolo. I decenni aurei


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seguiti all’ultima grande guerra sono passati da un po’, eppure non è affatto aumentata la capacità della gente di sopportare le insicurezze, di esporsi ai rischi e di fronteggiare i nuovi pericoli senza illusioni (Wolfgang Sofsky, Rischio e sicurezza).

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Quando la paura mangia l’anima, la fuga dall’anima stessa può essere un comportamento per evitare il pericolo di scoprire di non avere in realtà un’anima. Le società dominanti hanno compreso come instillare la paura nella gente, inventando continuamente nemici e mostri senza anima. Di notte, abbattendo le pareti di ciò che di solito fa barricare in casa le persone in attesa del mattino, i Temporary black space hanno apposto frasi su fogli A3 in giro per la città: “Fu la paura che diede al mondo i primi dèi”, “Senza immaginazione la paura non esiste”, “Mi ripetevo con angoscia: Dove andare? Dove Andare? Tutto può capitare”, “Quando mi prende la paura mi invento un’immagine”, “Poco importa. La paura che si abbatte su di te ti strazia sino ai limiti dell’impossibile”. Questa azione è un preludio alla mostra nelle “Stanze” di Trescore Balneario.


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Negli spazi espositivi non si parla di paure ataviche, come la morte, il dolore, le malattie. Nemmeno di paure permanenti, come la guerra, la fame, la povertĂ e le carestie. Forse nemmeno della paura della morale borghese,

quella legata all’idea che ogni scomparso venga dimenticato e che il suo corpo si perda nel nulla o nell’oblio. Nemmeno si prendono in considerazione quei misteriosi meccanismi, dalle paure individuali a quelle collettive,


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che portano la paura a generarne altra, alimentando ulteriore disagio e insicurezza. Non si accenna alle morti di chi ha paura di vivere, e si suicida nelle terre del capitalismo esasperato. Non si mette in visione nemmeno un corteo funebre di paure irrisolte. Non si prende in considerazione nemmeno le paure collettive legate alle epidemie, al cancro, al contagio del virus dell’Aids. Forse però si prende in considerazione il fatto che le paure e le insicurezze individuali, sommate una sull’altra, divengono un fattore di massa, si fanno sociali. È questo temporaneo spazio oscuro che qui interessa. Si prende in esame la paura e il senso di insicurezza dell’immaginario collettivo, come fossero indicazioni fondamentali per comprendere ciò che poi dà luogo alle vicende storiche. Si osserva la convivenza con la paura, che è una costante della stessa natura umana e delle società di ogni tempo. Attraverso questa messa in atto di un processo di osservazione, il collettivo Temporary black space cerca di analizzare le risposte che la società elabora in risposta alle paure. E prende in considerazione anche quegli ambigui mezzi utilizzati dai media e dal potere (dalla propaganda alla guerra psicologica, alla paura come mezzo per mantenere l’ordine e la pace sociale) per governare. Paura come medium, allora, per cercare di dire qualcosa che la sola arte retinica, il solo video, la sola performance non riescono a trasmettere che, come asseriva Sartre, “tutti gli uomini hanno paura. Tutti. Chi non ha paura non è normale”.


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Cosa può fare paura oggi, perché, e in quale contesto? emma ines panza

Una problematica oggi così sentita è il punto di partenza scelto dagli artisti del colletivo Temporary Black Space, che sviluppa differenti riflessioni sull’interiorizzazione della paura. Ognuna delle Stanze, separata dalle altre per mezzo di una porta chiusa, è un ambiente autonomo che, in base alle caratteristiche di ciò che vi è esposto, si riferisce a un differente livello percettivo. I lavori nella prima sala si concentrano in particolare sul ruolo di alcuni meccanismi sovrastrutturali, responsabili di paure sempre più comuni delle quali, spesso, non si conosce la provenienza. Per esempio, L’Uomo Che Non Ha Paura, Di Fausto Giliberti è costituito da un apparato critico verso il funzionamento dei media. Fausto, interessato alla comunicazione grazie alla sua attività di grafico (studio Temp), si è concentrato sui possibili effetti collaterali che possono derivare dall’utilizzo di questo mezzo. Un caso

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esemplare nella storia, ha costituito il suo punto di partenza: l’intervento radiofonico di Orson Welles andato in onda il 30 ottobre 1938, durante il quale simulò la cronaca di un’invasione aliena sulla Terra e seminò il panico tra gli ascoltatori meno attenti. Non si seppe mai se fu uno scherzo o se l’effetto prodotto non era stato calcolato. Da questo eclatante esempio del potere mediatico, F.G. compie una riflessione sui contenuti e sulla veridicità dei fatti riportati dalle notizie.

Una presa di coscienza di come i nostri comportamenti e le nostre emozioni vengano condizionate dalle notizie che ci bombardano, della facilità con cui è potenzialmente possibile seminare il panico. Come in lavori precedenti, Fausto coinvolge un familiare (in questo caso la sorella maggiore), e unendo i loro mezzi (scrittura e la grafica) creano una storia, le cui innegabili prove sono fornite da fotografie e da un testo stampa-


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to. Una serie di diapositive vengono proiettate a raffica ed è inevitabile il richiamo alle immagini subliminali. Lo spunto della storia è dato da un fatto realmente accaduto e riguarda una giovane donna che ha perso l’utilizzo dell’amigdala, una parte del cervello che gestisce le emozioni e in particolar modo la paura. Nella performance Vi Barricate in Attesa del Mattino, pensata per il lancio dell’omonima mostra, sono stati affissi per la città poster che recitavano frasi prese da celebri autori o inventate. Emma Panza ha presentato in mostra uno schema teorico di supporto a tale performance, alla cui base sta il risveglio della coscienza tramite una provocazione. Anche nell’azione Consolati! E.P. agisce sulle reazioni,

offrendo durante l’inaugurazione biscotti home cooked che riportano i nomi di alcuni noti psicofarmaci; una critica all’abitudine comune di prendere i farmaci “come fossero biscotti”.


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I biscotti e i farmaci sono tra i principali componenti di molte “diete” attuali, e i loro packaging sono spesso seducenti. Un’ironica riflessione sulla leggerezza con cui si tendono a risolvere i sintomi di una società in preda alla paranoia, che spesso cerca una compensazione rassicurante nel cibo. Il video Non Ti Accadrà Nulla, di Pamela Del Curto, funziona invece come metafora del paradosso creato da un’asfissiante necessità di sicurezza e dei suoi effetti collaterali. Una tartaruga è ripresa dall’alto, nel catino in cui l’artista l’ha trovata. Il video dura 7 minuti, che sono inesorabilmente identici ai precedenti 7 anni della sua vita. Questo catino costituisce il suo unico habitat e orizzonte quotidiano, segnato da uno scorrere del tempo indifferenziato. Tutto lo spazio del video è riempito da una geometria visiva e da una regolarità sterile. Una massima protezione, che lede inevitabilmente la naturale libertà di un essere vivente. La scelta installativa del video è frutto di un’attenta elaborazione concettuale da parte di P.D.C., che ha preso in considerazione la forma della vasca per la sua forte somiglianza a quella del catino. Quando la tartaruga prova a uscire dalla sua prigione, sembra scivolare contro le altissime pareti di cemento, che drammatizzano ancora di più questa azione. Con la stessa attenzione compositiva, è stata calcolata la posizione delle sbarre che circondano questo bacino, la quale corrisponde esattamente all’ombra che a un certo punto si proietta sull’animale.

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Una tale raffinatezza senza scampo non può che togliere il fiato. L’ambiente successivo è dominato da forme monocrome, che creano un’interazione visiva con il loro spazio interno ed esterno. Sia Il Buio di Casa, di Francesco Chiaro, sia la struttura per la performance di Scande, invitano lo spettatore ad interagire, riservandogli conseguenze inaspettate. Questa coppia di opere, riflettendo su come una forma d’ansia possa essere generata dalla nostra mente, si mette in relazione con l’autosuggestione. Interessato a una lettura intimista del sentimento di paura, e influenzato dalle tesi di Edmund Burke a proposito della sua natura irrazionale, Francesco sente l’esigenza di esprimersi attraverso la materializzazione di ricordi. Ricostruisce parte del suo immaginario infantile fotografando due particolari figure, e rendendo tangibili presenze che erano rimaste intrappolate nella sua mente. Una ritrae delle teste di mori, soprammobili che da bambino lo scrutavano dall’alto di una credenza, e l’altra la statuetta di un putto, che come un’apparizione inquietante lo fissava nei suoi sogni. I coni che accolgono queste figure sono luoghi della mente, e permettono un isolamento dello spettatore per una completa immersione nel ricordo. S’impongono nella stanza dialogando con le altre sagome nere che la abitano. Le immagini sono legate a un mondo infantile e ingenuo e testimoniano le modalità e gli effetti di un’autosuggestione. Sorge un’implicita riflessione sull’evoluzione delle emozioni nell’uomo, e sulla fragilità di molte fonti di paura.

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Scande ha un background da performer, che lo spinge verso la necessità di portare se stesso come testimonianza ideale delle sue esperienze. Il miglior

modo, quindi, per rendere con la massima efficacia la sua claustrofobia per i luoghi molto stretti, è ricreare una situazione del tutto simile. Per farlo, ha progettato e realizzato una struttura monolitica munita di fori, la cui superficie riprende quella dei pannelli tra i quali si inserisce. Una presenza che s’impone con minimalismo scultoreo. Da questa sorta di feritoie delle quali è costellata, esce una luce fredda e clinica che invita a sbirciare all’interno. Si attua una relazione site specific tra le strutture presenti in questo luogo, costruita su impressioni visive e giochi di sguardi.


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L’invito fatto allo spettatore dalla performance di Scande (fruibile durante l’inaugurazione), è quello di scoprire l’interno di questa struttura e cogliere delle sensazioni vivide. Un atto di estrema onestà, che porta fisicamente la paura in mostra.

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Andrea Anghileri, in B. Stoker, attraverso la rappresentazione di alcune forme emblematiche della paura, fa riferimento alle icone create dalla società e a come spesso siano date per scontate. L’installazione è composta da un numero esiguo di elementi e si trova collocata in quella che doveva essere la cappella della struttura. L’audio, appositamente realizzato da A. si propone come illustrazione sonora per il celeberrimo testo Dracula di Bram Stoker, e si ispira alle tipologie sonore derivate dai film dell’orrore degli anni ’80-‘90 tipo “La casa” di Sam Raimi o “in the Mouth of Madness “ di John Carpenter. Il ruolo del cinema horror d’oggi e le ricerche sonore ad esso correlato, sono lo spunto per innalzare un tempio all’industria che si è formata sul piacere del brivido e si è standardizzata su alcuni stereotipi del terrore. La figura di Bram Stoker è stata studiata con un approccio storico; questo ha permesso di conoscerne alcuni aspetti come i disturbi allucinatori e le dispercezioni sensoriali di cui soffriva. Questi elementi vengono rielaborati e resi come fossero effetti speciali. La sua opera, simbolo della narrativa gotica, viene qui celebrata e allo


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stesso tempo decostruita, mettendo a nudo quelli che sono diventati dei leitmotiv della paura fittizia. Doveroso, sottolineare la presa di coscienza qui suggerita a proposito di come siamo abituati o quasi allevati ad aver paura di determinate cose, situazioni, che diventano l’immagine di questo stato d’animo. L’ultima stanza accoglie un’installazione di Claudio Cristini, nella quale compare un richiamo alla scissione dell’individuo, in cui l’irrazionale prende il controllo sul dominio del sé e delle proprie emozioni. “La perdita della sensazione di paura: mi spaventa ma al contempo mi eccita”. I gorghi d’acqua sono ripresi da una posizione precaria, ma non si fa caso a questo, perché ci si è già persi al loro interno. La perdita come generatore di paura,

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come elemento oscuro (da qui l’utilizzo del negativo nella proiezione). In particolare la perdita dell’identità soggettiva nella vastità contemporanea, ma anche rispetto a una scala di valori personali.


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“L’attrazione e la repulsione verso la minaccia costante della perdita di sé. L’istinto di conservazione lotta contro la minaccia e il miraggio dell’indefinito, e contro la forza di espansione che vuole l’uomo squartato e disperso.” Con queste parole C.C. descrive le emozioni che animano il suo lavoro. Un video molto semplice ma contemporaneamente altamente simbolico, e uno specchio con cui le paure che ognuno sfama dentro di sé si svelano e si materializzano. “Mi è successo con mie vecchie fotografie, non mi ci riconoscevo”. Claudio ha una formazione fotografica ed è appassionato di ottica. Questo percorso, che è andato formandosi nello spazio espositivo, si può così percepire come un passaggio che, partendo da un atteggiamento “lucido”, finisce in uno stato mentale e psicologico meno governabile.


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Vi barricate in attesa del mattino emma ines panza

Il progetto di Temporary Black Space tratta la fenomenologia della paura attraverso rappresentazioni visive, sonore e sensoriali. Queste sono espressione delle diverse declinazioni attraverso le quali la paura si manifesta. Da dove nasce l’esigenza di affrontare questo tema, che il collettivo si è auto- assegnato? Forse dalla necessità di esorcizzare un sentimento che caratterizza la società occidentale del XXI, che rincorre la promessa di una modernità dove vi sia “un completo livello di controllo e sicurezza, per una vita completamente esente dalla paura” (Zigmunt Baumann A , Paura Liquida) Il titolo scelto: Vi barricate in attesa del mattino, ha un taglio riconducibile a un ambito narrativo ben codificato e per certi versi scontato, che potrebbe appartenere a un film horror o a un testo noir. Allo stesso tempo, questa frase allude sia a una dimensione simbolica sia a fatti ed immagini di terrore reale. L’invito tra le righe


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è quello di prendere una posizione critica nei confronti della passività. Come? Attraverso una frase, che permette una duplice presa di coscienza a proposito dell’effettiva presenza e del paradossale utilizzo della paura oggi. La prima azione di questo percorso si è resa visibile al pubblico attraverso una performance, ideata e portata a compimento da tutti i partecipanti alla collettiva. Una serie di frasi, la cui affissione per le strade della città si è ispirata a un’immagine del film Essi Vivono B di

John Carpenter, del 1988. Il film è ambientato in un futuro prossimo in cui la terra si trova dominata da alieni che, attraverso insegne criptate da immagini pubblicitarie dietro alle quali ci sono frasi di comando e persuasione, controllano gli abitanti della Terra. Una parodia, anticipatrice rispetto a riflessioni affiorate nei successivi vent’anni, sulle dinamiche della comunicazione di massa. L’utilizzo di stereotipi sociali indotti, che impariamo ad assumere a partire dall’infanzia,


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crescono con noi accompagnandoci ed evolvendosi durante la nostra vita. In parte programma di controllo sociale, sono spesso responsabili delle nuove forme tarate assunte dall’essere umano. Quali sottili canali di manipolazione mentale vengono utilizzati senza che noi ce ne rendiamo conto o sotto i nostri occhi consapevoli ma assuefatti? Quale concetto di paura ci viene dato attraverso i mezzi di comunicazione? Come lo registriamo e che tipo d’immagine ci resta? Quali sono gli archetipi della paura che ci vengono insegnati e perché? Da dove hanno origine? Quali sono gli studi attuali su come influenzare le nostre scelte tramite l’architettura e i messaggi mediatici, utilizzando come deterrente la paura? Quando una paura indotta diventa una opinione condivisa, come si può riconoscere? Personalmente vorrei presentare questa mostra, come una rottura rispetto alla quotidianità. Un evento che si presenta come un incidente, fonte di disagio, con successive conseguenze. “Creare l’incidente e non più tanto l’evento…rompere la concatenazione di causalità che caratterizza così bene la normalità quotidiana — questo tipo di espressionismo è oggi universalmente ricercato, tanto dai “terroristi” quanto dagli “artisti” e da tutti gli attivisti contemporanei dell’epoca della globalizzazione planetaria” (Paul Virilio C, Città Panico).


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Clara Luiselli 21 Ottobre 2011

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A Clara Luiselli il solo oggetto in sé interessa poco. Deve essere un mezzo, qualcosa che possa servire a muovere qualcos’altro. L’artista è attratta dalla visione evocativa, dall’idea della meraviglia, che attinge al mistero delle cose. Ha una visione composta sempre da due parti, dove vedere e toccare sono azioni profondamente congiunte. Tutto parte da una presa di coscienza: chi guarda solo con gli occhi trascura molti dettagli. Clara, allora, indossa un abito-opera, allunga le mani come fanno gli ipovedenti. Toccare con la luce porta a vedere, oltre il buio, altri aspetti della realtà. E toccare per vedere, inteso come azione artistica che sonda il rapporto dentro/fuori, unisce la parte viscerale del corpo con tutto quello che scorre nel mondo. Questa azione prende forma attraverso un abito guida per momenti bui, che si chiama “Led”. È scarno, con una trama di filo elettrico su rete antigrandine, con led bianchi di alta intensità. Nasce dall’esigenza di trovare una direzione quando si è persa la via del cammino. Una via è percorsa


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attraverso una performance con una collana di ottomila perline rosso trasparente. Una partner - intesa come una figura senza tempo, che sa comprendere l’enigma della realtà - svolge la performer completamente arrotolata dalla rubea collana, sgrana il rosario, e racconta quello che “tira fuori” da Clara, come fossero viscere che vengono tolte, perline come parole mai dette, arte come rapporto tra superficie e profondità. Le polaroid della performance vengono appese in tempo reale alle

pareti della sala. Vi sono anche opere sonore messe su vinile, registrazioni di rumori e voci, tratte da un’altra performance dell’artista: un salto reiterato cinque volte in uno stagno, in un giorno freddo di primavera. La voce denuncia uno stato di confine, una sensazione ambigua, tra godimento e sofferenza. Si ode il fastidio dei vestiti bagnati, sporchi di melma, incollati addosso, la paura di annegare, la spinta degli altri che incita a saltare di nuovo, ancora e ancora, l’acqua addosso, la gioia del balzo, e di nuovo paura. Il titolo che tiene unite tutte le opere esposte è un ulteriore enigma da svelare: “La proposta


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bagnata è una follia di velluto, selvaggia”. La frase è derivata da cinque parole tagliate dalle riviste, mescolate, messe in sequenza dal caso per un incontro magico. Le parole erano attese da molto, per dire qualcosa che Clara stava aspettando, assieme alle risposte di ogni singolo fruitore della sua mostra. Brian Eno, Roedelius, Moebius By This River Lyrics Here we are Stuck by this river, You and I Underneath a sky that’s ever falling down, down, down Ever falling down. Through the day As if on an ocean Waiting here, Always failing to remember why we came, came, came: I wonder why we came. You talk to me as if from a distance And I reply With impressions chosen from another time, time, time, From another time.


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APPENDICE E APPROFONDIMENTI La rasseдna di mostre Le Stanze, curata da M. Zanchi e R. Siciдnano, ha inevitabilmente evidenziato quali potessero essere le diverse attitudini deдli artisti o дruppi selezionati, nel relazionarsi liberamente con lo spazio espositivo in questione. Questa intenzione viene espressa in modo manifesto dal titolo, il quale riporta il nome dello spazio; un nome decisamente “metaarchitettonico”. La serie di esposizioni ha composto un discorso su quali possibilità esistono per l’interpretazione di uno spazio e sulle potenzialità che esso offre. Oдni artista ha dimostrato un certo interesse a misurarsi con una problematica che, tuttavia, si è inevitabilmente trovato ad affrontare. Seдuono una serie di domande poste aдli artisti alla conclusione dei lavori. Per il collettivo Temporary Black space il referente è stato Scande; Clara Luiselli invece non è menzionata in quanto la sua mostra non si è ancora svolta. Alla conclusione dei lavori, sono state poste una serie di domande riдuardanti le impressioni provate dai diretti interessati, durante la realizzazione dei vari proдetti.

Lo spazio “Le Stanze” si trova all’interno di una vecchia filanda, e dopo un recente restauro ha assunto l’aria di un eleдante e moderno spazio espositivo. Alcune sue parti hanno conservato evidenti caratteristiche della struttura antica, in particolare la penultima stanza, che ospitava un’ex cappella, e la corte esterna, interamente occupata da una дiдantesca vasca. L’ultimo vano, invece, ospita una piccola biblioteca con un controsoffitto circolare, un luoдo molto raccolto.

Solitamente quanta importanza ha il luoдo in cui installi le tue opere, e quanto può influire sul tipo di esposizione che andrai a costruire?


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VALENTINA PERSICO Il luoдo, lo spazio fisico o come ambito di compresenze funzionali e temporali, è determinante della scelta espositiva. Nasce da una volontà di ricerca di relazione con il contesto da ridiscutere oдni volta. AUDELIO CARRARA La scultura, come la intendo io, non può prescindere dal luoдo dove è inserita: il luoдo è una componente non casuale ma fondante perché la scultura si conceda come presenza, ovvero come evento. L’accadimento (il farsi forma dell’evento) fa sì che il “paesaддio” (spazio espositivo) si apra al senso, o meдlio ad un nuovo senso, obbliдando, di fatto, il luoдo a farsi tòpos. Credo che il “collocarsi” dell’opera nello spazio implichi sempre un valore etico ancor prima che estetico.

pone di fronte ad un inizio. Tutti i luoдhi sono un inizio per questo tutti i lavori sono site specific. (Italo Calvino, appendice e Lezioni Americane). TEMPORARY BLACK SPACE Il luoдo è fondamentale ed è il perno su cui si costruisce l’esposizione; questo avviene in tutti дli interventi che TBS ha realizzato ad ora. Tanto che, paradossalmente, anche all’interno del nostro Spazio si cerca costantemente di crearne di nuovi. Immaдino che l’approccio dello spettatore possa somiдliare alle dinamiche di un passaддio tra mondi paralleli alla Cube (film di V. Natali 1997) o alla Institute Benjamenta, or This Dream People Call Human Life (Brothers Quay, 1995) per capirci. Forme vaдamente riconoscibili ma sempre diverse, differenti o ricollocate.

ALESSANDRA CORTI Rispondo con una citazione che affronta l’arдomento deдli incipit. Cominciare e finire: “Cominciare una conferenza, anzi un ciclo di conferenze, è un momento cruciale, come cominciare a scrivere un romanzo. E questo è il momento della scelta: ci è offerta la possibilità di dire tutto, in tutti i modi possibili; e dobbiamo arrivare a dire una cosa, in modo particolare.” Bene, io mi ponдo verso il luoдo/i luoдhi come l’autore si

Come ti sei posta/o con questo ambiente e la sua storia? VALENTINA PERSICO Nonostante il contesto sia di дrande suддestione storica e abbia attualmente diversi utilizzi con principale funzione pubblica, ho


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scelto di approfondire l’idea “intima del luoдo espositivo” proprio per la particolarità del luoдo. Gli spazi espositivi sono caratterizzati da una forte ristrutturazione che connota lo spazio più per la nuova funzione che per il mantenimento di una stratificazione storica. In questo senso ho privileдiato l’idea di spazio attuale, ritmico e consequenziale inteso come successione di stanze, da qui il titolo della mostra e il leдante dell’esposizione. Ne è risultato che oдni stanza con le sue volumetrie e con le specifiche suддestioni ha influenzato le scelte espositive e tematiche tanto da avere anche rimandi da un punto di vista storico in particolare nella stanza del passaддio precedente cappella reliдiosa. AUDELIO CARRARA La storia, la socioloдia, l’antropoloдia culturale leдati aдli spazi mi interessano come persona comune ma mi lasciano del tutto indifferente come artista. Sarà per questo, supponдo, che mal sopporto, quando devo esporre, l’idea di ambiente in quanto luoдo narrante, mentre amo дli spazi che si lasciano occupare, ovvero quelli che demandano alle opere il compito di “farsi siдnificare”. ALESSANDRA CORTI Il lavoro “self care” è nato dall’incontro con la vasca e il suo liquido

ora assente: la sua storia. Non potevo fare altro che scendere neдli abissi e fare pulizia, rimettere ordine, costruire un mondo, pulire il pozzo. Per me una maдistrale combinazione lirica ed lavorativa. A pensarci adesso la cosa che ricordo meдlio è che faceva un дran freddo e che ho dovuto bere alcune дrappe prima di iniziare la performance. TEMPORARY BLACK SPACE Lo spazio Le Stanze ha visto дli artisti di TBS confrontarsi in modo assiduo con il luoдo, per alcune delle installazioni ne ha determinato la forma, i volumi e spesso anche i contenuti. Cosi è stato, ad esempio, per le video-installazioni di Pamela Del Curto e di Claudio Cristini. Oдnuno dei sei artisti ha instaurato con lo spazio un dialoдo a sé, ciò che differiva era il tono della conversazione: dialoдhi di sottofondo, dialoдhi meccanici, dialoдhi sussurrati, dialoдhi silenziosi, dialoдhi di luce. Il risultato ha comportato che questa volta, diversamente da quello che avviene di solito, дli interventi deдli artisti fossero distinдuibili, come in una collettiva. Questo è stato possibile proprio дrazie alla conformazione di questo spazio, che ha limitato l’attitudine di TBS a creare un lavoro eteroдeneo dove quasi mai è riconoscibile un solo autore, in favore della creazione di mondi paralleli, appunto.


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Una domanda puramente tecnica, riдuarda invece il tuo modo di rapportarti con le caratteristiche fisiche (colore, materiali, inдombri). All’interno delle Stanze si trovano, su oдnuna delle pareti libere, dei дrandi pannelli neri costellati da piccoli fori equidistanti, ricoperti da una particolare vernice opaca. La loro destinazione primaria è quella di funдere da espositori. Oltre a questi sono state posizionate due дrosse teche dello stesso “stile” dei pannelli a muro.

Quant’è stata importante per te la componente spaziale? Hai sfruttato дli elementi, le caratteristiche presenti nell’ambiente, ti

sei relazionata/o con esso o non li hai proprio preso in considerazione? VALENTINA PERSICO Grandi pannelli neri e due teche, e nell’ultima stanza, un ribassamento con scaffali pieni di libri che cela un soffitto pieno di aria. Ho lavorato per creare un’esposizione che facesse diventare tali elementi contribuiti cardine alla narrazione del percorso espositivo. I pannelli da supporti ai diseдni con diverse modalità nella stanza delle ipotesi sono diventati evocativi di дrandi porte, pesanti presenze nere incombenti nel dialoдo con il lavoro esposto a terra nella stanza dell’attesa. La teca vuota nella terza stanza, stanza del passaддio, diveniva allusione a un sarcofaдo e, nel riflesso sul vetro della serie di diseдni appesi a muro, induceva a uno sprofondamento irrisolto dello sдuardo. Per poi raддiunдere la stanza delle relazioni, dove i diseдni appesi ipotizzavano aperture ai diversi punti di vista del fruitore. Relazioni e relazionarsi che non poteva nuovamente prescindere dalla presenza dei libri che avvolдevano le pareti di questo spazio. Infine uno spunto a дuardare oltre veniva suддerito attraverso una finestra, a chiusura del percorso, con l’intimità di un


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tavolo scrittoio, una lampada e un “libro” dipinto da sfoдliare. AUDELIO CARRARA Per quanto mi riдuarda, oдni spazio espositivo è innanzitutto un’esperienza percettiva che prevede una stretta relazione tra me artista, e il luoдo in quanto contenitore. Quando ho visto le Stanze ho “raдionato” subito in termini percettivi: disposizione deдli spazi, dimensioni, arredo, luce, colori… insomma tutto ciò che fa di un luoдo uno spazio. Ho percorso quelle stanze con lo spirito di un esploratore che si addentra in un territorio sconosciuto e che si confronta con ciò che trova dimentico di ciò che porta. “Viaддiando”, ho trovato presenze inдombranti (pannelli neri) che all’inizio mi hanno respinto: presenze troppo presenti per essere iдnorate; ho trovato spazi accoдlienti, intimi, pensierosi; mi sono imbattuto in volumi troppo voluminosi (дrosse teche nere) che occupavano spazi troppo piccoli. In altre parole ho trovato un ambiente “abitato” e con questo mi sono confrontato. ALESSANDRA CORTI Rispondo con una citazione da Manuale di Epitteto sottolineando: “La distinzione tra ciò che dipende da noi e ciò che non dipende da noi”.

TEMPORARY BLACK SPACE "Non si può fare altro che inдlobarli" direi che questo è stato il pensiero unico dei componenti di TBS di fronte a questo restauro cosi invasivo. E così è stato; le due teche sono state sfruttate in modo diverso daдli artisti, Fausto, non ne ha snaturato la funzione utilizzandola per presentare il suo racconto, al contrario Andrea l’ha utilizzata come contenitore "macabro" per un elemento da cui si дeneravano дiochi di luce in direzione della volta, sulla quale si focalizzava l’attenzione dello spettatore. I pannelli sono stati utilizzati in diverso modo, sfondi da affissione in un caso e da videoproiezione in un altro. Componenti mimetici invece, rispetto alla struttura di Scande, che ha insinuato nel pubblico la credenza che questi fossero parte dell’installazione di TBS. La presenza di queste: "barriere architettoniche" apparentemente insormontabili, è risultata infine un utile sopporto per ciò che vi è cresciuto intorto. A cura di Emma Ines Panza


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Le Stanze

Sara BenaGlia (p. 21 ; 12-13) “Ciao sono Sara e non voдlio tornare a Berдamo, nonostante tutto AAA cercasi surfista miдliore ah, studio arte ma faccio la cameriera” Cinzia BeniGni (p. 21 ; 10-11) Nata a Berдamo nel 1979. Lavora presso l’Accademia Carrara di Belle Arti di Berдamo. Audelio Carrara (p. 18 ; 6-9) Nato a Nembro (BG) nel 1956, ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Berдamo, Urbino e Milano. La dicotomia “misura e costruzione” è la caratteristica stilistica che accomuna tutta l’opera di Audelio e che trova completamento nelle serie intitolata “Trappola per tòpos”. Vive e lavora a Pradalunдa (BG). audelio@alice.it Alessandra Corti (p. 18 ; 14-17) Nata nel 1974 a Berдamo, dove vive e lavora. Allieva di Luciano Fabro all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. Ha frequentato la facoltà di “Conservazione dei Beni Culturali” all’Università di Parma. È laureata in Scienze della Produzione Multimediale, alla facoltà di “Lettere e Filosofia” - Università di Berдamo. Selezionata tra i finalisti per la prima edizione del Premio Terna, partecipa a mostre e concorsi internazionali dal 2007, è дiornalista professionista dal 2008. alessandracorti7@yahoo.it Clara Luiselli (p. 50 ; 30-31) Nata nel 1975 si è diplomata presso l’Accademia Carrara di Berдamo nel 2000. Frequenta nel 1997 il Corso

Superiore d’Arte Visiva con Allan Kaprow, (Fondazione Ratti di Como); vince nel 2001 il 1° Premio della Tarдetti Alt Liдht per i “quadri di luce”; nel 2008 frequenta la Fondazione Spinola Banna per l’Arte Contemporanea. Si seдnala la mostra L’arte non è cosa nostra, Padiдlione Italia/Accademie – 54A Biennale di Venezia, 2011. clara.luiselli@дmail.com www.ovali.it/luiselli/ Temporary Black Space (p. 32 ; 18-29) è un collettivo di artisti e curatori indipendenti fondato nel 2008. É composto da Andrea Anдhileri, Pamela Del Curto, Francesco Chiaro, Emma Ines Panza, Scande e qualvolta da altri artisti, in particolare, Fausto Giliberti e Claudio Cristini. TBS fa principalmente riferimento a uno spazio-laboratorio situato nella Città Alta di Bд, aperto occasionalmente per proдetti che il collettivo cura sia per i propri artisti che per quelli con cui collabora. Cifra comune dei lavori di TBS è l’indaдine delle modalità dell’allestimento, in cui diversi materiali si stratificano con lavori personali o collettivi. www.t-blackspace.com Valentina Persico (p. 12 ; 2-5) Nasce nel 1977 si diploma presso l’Accademia di Brera e si abilita all’inseдnamento delle Discipline Pittoriche. “La relazione” è il fulcro della ricerca declinata nel linдuaддio primario del diseдno, inteso come atto interpretativo, ipotesi e insieme memoria di percezioni ridotte all’essenziale. Vive e lavora a Scanzorosciate.


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2-5

Valentina Persico ‘Distanze’

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6-9

Audelio Carrara ‘Bianco Schermo’

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10-13

Cinzia Benigni e Sara Benaglia ‘Eva vs Eva’

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14-17

Alessandra Corti ‘Donna di servizio’

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18-29

Temporary Black Space ‘Vi barricate in attesa del mattino’

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30-31

Clara Luiselli








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© 2011 TBS Print



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