Vuoti urbani e innesti architettonici

Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni Corso di Laurea Magistrale in Architettura e Disegno Urbano A.A. 2019-2020

VUOTI URBANI E INNESTI ARCHITETTONICI Progetto di rigenerazione di spazi urbani residuali tra Corvetto e Rogoredo

Relatore Co-relatore

Studenti

Ilaria VALENTE Gerardo SEMPREBON

Francesca de MELO R. OSÃ’RIO Roberto PAOLO

896741 897193

00 01 01.01 01.01.01

01.01.02

01.01.03

Sommario - Abstract

II

Introduzione

IV

LETTURE

Uno sguardo morfologico

16

I tracciati

Gli assi urbani

Limiti: Il parco e la ferrovia

Il palinsesto dei piani e la trama poderale Lo spazio costruito

Il tessuto labile

I fronti solidi Lo spazio aperto

Lo spazio minerale disegnato e di risulta

Lo spazio vegetale

La mappatura del fenomeno isola di calore

Sintesi

38

01.02 01.02.01

01.02.02

01.02.03

Uno sguardo funzionale I tracciati

La ferrovia e la stazione di Rogoredo

Il trasporto pubblico

La rete ciclabile

Il nuovo raccordo autostradale e la demolizione

del cavalcavia di Corvetto Lo spazio costruito

L’impronta dello zoning e i servizi

Una tassonomia dell’abbandonato Lo spazio aperto

Lo spazio pubblico

Il patrimonio verde tra attrezzato, di pertinenza

e spontaneo

55

Sintesi

02 02.01

02.01.01 02.01.02 02.01.03

40

STRATEGIA

I Principi di rigenerazione

56

La permeabilità Il riciclo urbano Il consumo di suolo e il clima urbano

02.02

Il Sistema Urbano

64

02.03

Il Sistema Locale

68

02.03.01

02.03.02

La rigenerazione in quattro fasi

Fase uno - Cucitura Vuoti

Fase due - Coesione spaziale

Fase tre - Valorizzazione del vuoto

Fase quattro - Nuove costruzioni, innesti La forma del vuoto, i collegamenti, l’anello verde

03

PROGETTO

03.01

Le Strade

82

03.02

Il Parco

86

03.03

La Piazza

90

03.04

Gli Innesti Architettonici

94

Ex-Saponificio Gavazzi

Officina Civica Creativa

Conclusione

118

Bibliografia

120

Indice delle immagini

122

SOMMARIO

La tesi tratta delle aree residuali che si creano nei tessuti marginali a seguito della dismissione di attività produttive. La ricerca si pone l’obiettivo di delineare una strategia di rigenerazione urbana a cui segue un approfondimento progettuale alla scala architettonica.

La porzione di tessuto edificato oggetto di intervento si colloca a Sud-Est di Milano, dove il Comune ha individuato diverse aree di trasformazione destinate a grandi funzioni urbane nel caso del quartiere di Porto di Mare; a riconversione nel caso dello scalo ferroviario di Rogoredo e ad integrazione del quartiere Santa Giulia per le Olimpiadi Invernali del 2026. Assumendo come punto di partenza questo quadro in costante evoluzione, ci si è concentrati su un’area non risolta del tessuto urbano, posizionata a margine di una zona residenziale consolidata e con una buona accessibilità. L’area individuata si colloca tra piazzale Corvetto e l’ex scalo ferroviario di Rogoredo: una zona ex-industriale sottoutilizzata, con manufatti dismessi e spazi residui dati dalla demolizione di edifici obsoleti.

Il lavoro di tesi è organizzato in tre parti. La prima, che consiste nella lettura del contesto, propone una mappatura ed interpretazione critica delle realtà frammentate che caratterizzano l’area. In questa fase istruttoria, le indicazioni contenute nel PGT 2030 sono considerate come linee guida alla modificazione futura. La seconda parte definisce la strategia progettuale di rigenerazione urbana tramite la riconnessione dei tracciati interrotti e la conversione dei vuoti residuali in un sistema di spazi verdi, in ottica di costituire una continuità ecologica tra il Parco Agricolo Sud e i parchi interni alla città. La strategia, espressa attraverso l’uso di schemi e diagrammi, è basata su principi di modificazione dello spazio quali: permeabilità degli isolati, densificazione e rarefazione tramite innesti architettonici e demolizioni, e la ridefinizione degli spazi vegetali per controllo del comfort climatico urbano. La terza parte, di approfondimento progettuale, definisce azioni di densificazione e rarefazione del tessuto urbano. I frammenti compatibili a una morfologia compatta vengono saldati tra di loro tramite “ innesti” architettonici.

Questi interventi mirano a rafforzare le funzioni culturali e sportive, conservano la vocazione produttiva e instaurano una stretta relazione con lo spazio aperto. Al contrario, i frammenti isolati sono ceduti al vuoto mediante demolizione selettiva.

Il vuoto diviene così generatore di possibilità. L’esito della tesi propone una metodologia di progetto per rigenerare tessuti urbani attraverso il riciclo di spazi residuali. Questi frammenti sono ricondotti a un’identità morfologica riconoscibile, preferendo una sovrascrittura architettonica in alternativa alla tabula rasa.

ABSTRACT

The thesis deals with the residual areas created by the closure of the preceding businesses in marginal fabrics. The research aims to delineate an urban regeneration strategy and express it with an architectural project.

The area of operation is in the south-east of Milan where the municipality has identified various areas of transformation intended for: large urban functions for the Porto di Mare district, the redevelopment of the Rogoredo railway terminal and the enlargement of the Santa Giulia district for the Winter Olympics of 2026.

Assuming transformation as the starting point for all this, a weakness was found in the urban fabric - an unresolved area on the fringes of a consolidated residential zone with good accessibility. The area in question is between Piazzale Corvetto and the former Rogoredo railway yard: an under-used, former industrial area, with disused buildings and various residual spaces created by the demolition of obsolete buildings. For this purpose the work had to be planned in three parts.

The first step is reading the context to find all the fragmented situations that typify the area.

In this preliminary phase the zoning plan (PGT 2030) represented a guideline.

The second part sets out a strategy for regenerating the urban fabric, by the reconnection or the interrupted blueprint and the conversion of the various empty spaces into green zones, to create an ecological connection between Parco Agricolo Sud and the other city’s parks.

The strategy, displayed through drafting schemes and diagrams, is based on the space modification basics: block’s permeability, the compactness of buildings, green zones and a consciousness ground consume. The third part, the design, is thus divided into two actions: densification and rarefaction of the urban fabric.

The fragments compatible with a compact morphology are welded together again through architectural connections. These detailed interventions reinforce the cultural and sports functions, preserving the productive calling and setting up a close relationship with the open space. In contrast, the isolated fragments are relinquished to void through selective demolition - thus void becomes a generator of opportunities.

The outcome of this project is the indication of a method of action to regenerate urban fabrics by the recycle of urban residues. These fragments are attributable to a recognisable morphological identity, proposing architectural overwriting as an alternative to the clean slate.

II

00

INTRODUZIONE

Il PGT 2030 individua nel Sud-Est di Milano una vasta area definita di rinnovamento urbano, che interesserà il tessuto costruito, gli spazi aperti pubblici e la viabilità.

Le aree in maggior fervore di trasformazione sono comprese tra piazzale Corvetto, Porto di Mare e il nuovo quartiere di Santa Giulia. I due più importanti elementi di caratterizzazione e influenza di questo luogo sono la presenza della ferrovia e il Parco Agricolo Sud, che lo definiscono nella sua condizione di marginalità.

L’area è caratterizzata funzionalmente dalla grande prevalenza di attività produttive -alcune in fase di dismissione- e da una parte di tessuto quasi esclusivamente residenziale.

Dall’inizio del secolo scorso la zona è stata oggetto di trasformazioni più o meno profonde; delle quali solo alcune rimane traccia. In un excursus storico si ricapitolano le principali azioni urbane e infrastrutturali che caratterizzano questo palinsesto.

IERI

Il quartiere di Rogoredo non è nato grazie alla semplice presenza delle industrie, nonostante queste abbiano giocato un ruolo fondamentale per il suo sviluppo; è piuttosto la sua posizione strategica per la logistica a caratterizzare la sua storia. Agli inizi del’800, lungo l’antico tracciato della via Emilia sorgeva un piccolo borgo agricolo. Il nome Rogoredo deriva dal latino roburetum, nonché rovere, dato dalla grande presenza di zone boschive. Con il Regno d’Italia, nel 1861 la zona subì disboscamenti e diverse opere di bonifica per realizzare una delle più importanti linee ferroviarie, che permise di collegare Milano con Piacenza e Genova. (Nel XIX secolo il trasporto commerciale si era svolto prevalentemente mediante i navigli, successivamente si spostò su strada ferrata) Lo sviluppo industriale di metà Ottocento che coinvolse tutta Europa, diede il via ad una serie di progetti per dar vita ad una fitta rete ferroviaria, che collegasse le città maggiori e permettesse quindi lo scambio di merci e il fluire di persone.

Nel 1880 in quest’area, venne aggiunta una linea tramviaria a vapore che collegava Porta Romana a Lodi. Le vetture correvano lungo l’asse stradale romano su cui il borgo si affacciava, per poi allacciarsi alla ferrovia per Piacenza.

Questo nuovo ramo dell’infrastruttura portò Rogoredo a trovarsi in una posizione di privilegio. Attorno alla stazione ferroviaria iniziarono a raccogliersi diverse attività manifatturiere e piccole attività commerciali, che portarono slancio economico e la migrazione di lavoratori non solo dalle campagne circostanti, ma anche dalla città di Milano.

C’è sempre stato un rapporto di reciprocità tra la ferrovia e le industrie, difatti nel 1886 grazie all’industriale Luigi Riva s’insediò qui la Ferriera di Rogoredo. Nell’area era già presente un’antica fonderia napoleonica, che grazie alla presenza del Redefossi e di innumerevoli fontanili e rogge (come il Gerenzana e il Vettabbia), gli permettevano di funzionare a pieno regime. La Ferriera fu la prima azienda milanese a lavorare il ferro con la particolare tecnica della ribollitura dei rottami e rimase in attivo sino al 1895, quando fallì e venne messa all’asta. L’acquistarono tre famiglie per riconvertirla ad acciaieria; i Bolis, i Falck e i Redaelli, già proprietarie del Laminatoio di Malavedo a Lecco. Quello di Rogoredo divenne quindi un impianto fondamentale, destinato alla produzione dell’acciaio ma anche all’impiego di rottami e alla raffinazione della ghisa. Nel 1905 Enrico Falck abbandonò i Redaelli per fondare l’impianto siderurgico a Sesto San Giovanni.

Leggendo il libro: La strada e la porta: tracce e temi di storia intorno a Rogoredo [1], di Pietro Solera, si è appreso che il primo progetto per la realizzazione di un porto fluviale a Rogoredo risale al 1907 da parte del Genio Civile. Esisteva già un porto fluviale a Milano, ma con l’espandersi della città la Darsena di porta Ticinese era diventata ormai obsoleta.

Dopo l’approvazione del progetto nel 1917, si scelse di scavare nel Sud-Est di Milano. Non solo perché questa zona è caratterizzata dalla naturale convergenza dei cavi fluviali del fiume Lambro e del Vettabbia, ma anche per la presenza della ferrovia, che avrebbe implementato gli scambi commerciali.

Il progetto del bacino portuale prevedeva la realizzazione di sei banchine disposte a spina di pesce, che grazie ad un canale artificiale si collegava al fiume Po in prossimità della città di Cremona [2] e successivamente seguendo il corso delle acque, sfociava nell’Adriatico. I lavori subirono diverse interruzioni e i progetti si modificarono nel luogo e

1 Solera P., La strada e la porta: tracce e temi di storia intorno a Rogoredo, Cooperativa Edificatrice di Rogoredo, 2002 Milano.

2 Parte di questa opera ingegneristica è ancora visibile nelle trame della città di Cremona. Poco fuori la città, al limite tra le regioni di Lombardia e Emilia-Romagna C’è un canale artificiale di 20 km, che pesca acqua dal fiume Adda e sfocia poi nel fiume Po.

IV

nella dimensione dell’intervento. L’opera ingegneristica non venne mai realizzata visti i costi e l’evoluzione del trasporto ferroviario, nonostante fosse incluso ancora nel piano regolatore del 1953.

Nei pressi di piazzale Gabriele Rosa, tra il 1925 e il 1928 venne realizzato l’odierno quartiere Mazzini. Il complesso di edilizia residenziale pubblica, ideato dall’architetto Giovanni Broglio, doveva rispondere alla costante domanda abitativa data dalla migrazione degli operai delle fabbriche.

Negli anni ’30 si formò tra Rogoredo e Milano un distretto industriale, che modificò notevolmente il paesaggio campestre. Nel 1927 venne costruito il Cavalcavia Pontina per permettere agli operai di raggiungere la ferriera da Lodi.

La ferrovia, gli impianti produttivi, i capannoni e i magazzini man mano erosero la realtà rurale di questo luogo, per fare spazio all’industria. Nel secondo dopoguerra l’area vede un importante trasformazione urbana dovuta ai progetti INA casa e IACP in risposta alla forte richiesta abitativa.

Si realizzarono tra il 46 e il 56 il quartiere Omero, di stampo modernista, caratterizzato da diverse tipologie abitative, e il quartiere Lucania. Rogoredo continuò ad essere caratterizzata da un fervore industriale sino a metà degli anni ’60, con la crisi finale del gruppo Redaelli. Nelle zone limitrofe ci furono importanti realizzazioni tecnologico produttive; nel 1952 a San Donato venne costruita la sede della ENI, che fu motore generale di trasformazione economica e urbanistica.

Nel 1958 si aprì il primo tratto dell’autostrada del Sole, per collegare Milano a Napoli. Successivamente, con il crescere del traffico automobilistico si rese necessario gestire l’immissione di veicoli dal cavalcavia Pontina e decongestionare Piazzale Corvetto; venne così costruito nel 1960 un secondo cavalcavia, in grado di smistare un numero maggiore di automobilisti da via Cassinis all’imbocco del viale delle Regioni, in piazza Bologna.

Rogoredo è sempre stato uno dei principali ingressi nella città metropolitana, difatti è stata nominata la porta Sud, per la presenza della stazione ferroviaria di Rogoredo, l’imbocco dell’autostrada A1 e la diramazione della tangenziale Est. Bisogna, però, tener presente che per il suo passato industriale questa parte periferica di città è rimasta isolata dalla crescita di Milano poiché gli impianti della Redaelli e della Montedison, per la loro considerevole estensione, costituivano un limite fisico tra il tessuto residenziale di Rogoredo e la città.

Con l’apertura della stazione metropolitana M3, all’inizio degli anni Novanta il distretto industriale venne riallacciato al tessuto urbano. La stazione ferroviaria di Rogoredo divenne un punto d’interscambio per i pendolari, grazie a interventi di ristrutturazione avvenuti nel 1988 per predisporre l’arrivo del passante ferroviario. Per la linea dell’alta velocità però bisognerà aspettare sino al 2009 con un secondo intervento di ampliamento.

OGGI

A Sud del raccordo autostradale di via Cassinis è definita l’area di Porto di Mare (a memoria del progetto mai compiuto), nel quale si incontrano due realtà: una costituita da un tessuto irregolare a destinazione produttiva e sportiva, l’altra è un’area parco. Lo scavo mai concluso delle banchine di porto di mare è diventato poi una discarica interrata negli anni ‘90, la diffusione disordinata di baracche e capannoni e il tristemente noto “boschetto di Rogoredo” sono l’esempio del dilagare della città a discapito della campagna. Con l’istituzione del Parco Agricolo Sud è stato possibile fermare questa lenta espansione. Si è però venuta a creare una condizione di stasi perché le frange edificate senza pianificazione frapposte tra l’urbanizzazione di Milano e l’ultimo avamposto di natura agricola, sono rimaste in una situazione irrisolta.

Adiacente a queste realtà, come anticipato, si espande l’ambito rurale del parco della Vettabbia (istituito dal 2005) che racchiude diverse cascine e colture.

Nel 2005 si è dato il via ad un progetto di valorizzazione di ex-aree industriali, che avrebbe riconsegnato alla città di Milano una zona in abbandono di circa 120 ha. La regione in questione è compresa tra Rogoredo e Morsenchio, dove un tempo sorgevano gli stabilimenti della Montedison e della Redaelli.

Il progetto per il quartiere di Santa Giulia fu assegnato allo studio Foster + Partners e prevedeva la creazione di una nuova parte di città autonoma, caratterizzata da residenze di VI

pregio, alberghi, uffici, spazi per il commercio e luoghi per lo spettacolo e la cultura. Purtroppo la realizzazione è avvenuta solo in parte, con conseguente sottoutilizzo e svalutazione.

Il parziale fallimento dell’operazione è imputabile ad una mancata considerazione delle esigenze complessive del quartiere: come l’assenza di opere di bonifica dei terreni, l’insufficiente realizzazione di servizi, lo scarso servizio di trasporto pubblico e l’inadeguato collegamento viabilistico ad Ovest della ferrovia, che leghi effettivamente Santa Giulia a Milano.

Uno dei limiti al quartiere di Santa Giulia è costituito dalla stazione e dallo scalo ferroviario. Nel 2007 con l’accordo Morandi-Moretti si è iniziato a definire un iter progettuale per un piano di riqualificazione degli scali ferroviari Milanesi quali: Porta Romana, Porta Genova, San Cristoforo, Lambrate, Greco Breda, Farini e anche quello di Rogoredo. I singoli progetti non sono ancora stati definiti, ma il comune insieme alle Ferrovie dello Stato, puntano molto su questa riqualificazione, dato il poco consumo di suolo e l’intento di restituire questi vuoti urbani alla città. Gli obiettivi generali sono: la ricostruzione delle arterie viarie, così da riconnettersi al tessuto urbano consolidato; un nuova offerta abitativa per l’Housing Sociale; spazi pubblici ricchi di verde, con numerose connessioni ciclo-pedonali e la riapertura di vie d’acqua.

DOMANI

Oggi Rogoredo sta subendo un altro periodo di trasformazione: dalla dismissione dello scalo ferroviario, al progetto per le Olimpiadi invernali 2026 che coinvolgerà le città di Milano e Cortina. Nello specifico nel quartiere di Santa Giulia si realizzerà il PalaItalia, un’arena capace di ospitare 15000 spettatori, che diventerà il fulcro del progetto di riqualificazione del quartiere della periferia Sud-Est. Il villaggio Olimpico che ospiterà gli atleti durante le competizioni verrà realizzato nello scalo di Porta Romana, su una superficie di 19000 mq, che comprenderà 700 alloggi immersi nel verde.

Altri significativi interventi coinvolgeranno il cavalcavia di piazzale Corvetto e un intervento minuzioso, ma più esteso per far fluire la vegetazione all’interno della ex zona industriale e creare un corridoio ecologico dal Parco Agricolo Sud, sino al Parco Alessandrini.

La presenza di aree residuali, i grandi isolati poco accessibili, i manufatti abbandonati, e le conseguenze sociali della segregazione spaziale hanno portato a compiere riflessioni sui territori labili posizionati ai margini urbani, e a ricercare strumenti progettuali per la strutturazione di una estesa riqualificazione urbana.

Il lavoro di tesi, quindi, si pone in questo frangente di trasformazione, indagando le fragilità del tessuto da un punto di vista morfologico e funzionale.

L’obiettivo della ricerca è quello di creare le condizioni e sviluppare una strategia progettuale di rigenerazione urbana.

La sperimentazione progettuale alla scala dell’architettura tenta di dimostrare la praticabilità della strategia urbana.

Le tematiche sviluppate per la formulazione del progetto si basano principalmente sui concetti di permeabilità, riciclo e clima urbano, declinate poi nei principi di densificazione e rarefazione del tessuto e la progettazione del verde.

Questi principi hanno fornito una base metodologica attraverso cui si sono attuate le scelte strategiche di intervento sui manufatti architettonici e sullo spazio aperto.

Il progetto propone a livello strategico una riconversione delle aree residuali nell’ottica di costituire un sistema di spazi verdi pubblici. Questi sono interconnessi in una rete che mira a collegare i parchi interni della città e il Parco Agricolo a Sud. Si è poi definita un’area di intervento ridotta, caratterizzata dall’ampia dimensione dello spazio aperto, ottenuta tramite demolizioni selettive di manufatti in disuso.

La fase finale del progetto si sviluppa nel rapporto tra spazio aperto e innesti architettonici. L’intervento si inserisce nel tessuto labile con l’obiettivo di consolidare il costruito e proporre un programma funzionale che risponda alla scarsa offerta culturale e per il tempo libero nella zona.

La tesi, dunque, si struttura in tre fasi: letture del contesto, strategia, e progetto architettonico.

La fase di lettura del contesto è stata organizzata selezionando le informazioni attraverso tre macro-categorie: tracciati, spazio costruito e spazio aperto. Queste sono state interpretate secondo uno sguardo morfologico e uno sguardo funzionale. A conclusione di questa interpretazione sono state evidenziate le principali criticità riscontrate e riassunte in un paragrafo di sintesi.

La fase in cui viene proposta una strategia di rigenerazione è introdotta da un paragrafo di approfondimento teorico sugli elementi di criticità evidenziati nelle sintesi interpretative.

VIII

I principi esposti sono la selezione di alcuni strumenti metodologici rilevati in letteratura.

La declinazione dei principi nel progetto è descritta nel sistema urbano. Segue il paragrafo che riguarda il sistema locale che, attraverso uno scarto di scala, approfondisce il disegno. La definizione del progetto a scala locale è messa in atto secondo un procedimento di selezione di priorità di intervento sul tessuto, è possibile leggere questi passaggi anche come fasi temporali di realizzazione. Il progetto a scala locale è inclusivo anche della definizione delle relazioni col contesto e del sistema degli spazi aperti.

Conclusa la descrizione del processo di riqualificazione urbana, il terzo capitolo propone l’approfondimento architettonico attraverso lo studio del disegno del suolo, dell’accessibilità e la definizione di due innesti architettonici del tessuto esistente.

Il procedimento descritto in questa tesi vuole proporre una metodologia di intervento su territori urbani marginali, composti da materiali architettonici labili. Si intende stimolare la riflessione sulla riqualificazione urbana a partire da una interpretazione profonda della morfologia del tessuto; e sulla valorizzazione dell’eredità architettonica attraverso la sua reinvenzione, con un ulteriore attenzione all’uso di suolo.

X

01

LETTURE

01.01

UNO SGUARDO MORFOLOGICO

01.01.01

I TRACCIATI Si sono individuati due tipologie di tracciati nella maglia urbana: uno relativo ad un grado di rilevanza morfologica rispetto alla città, l’altro meno esplicito, di valenza storica e paesaggistica.

L’area di Rogoredo-Corvetto è l’attuale porta Sud-Est di Milano per via del raccordo dell’autostrada del sole e per la prima stazione passante d’interscambio della città, per i viaggiatori da Sud. I flussi in entrata sono smistati da Piazzale Luigi Corvetto, che si pone da cardine tra due importanti assi urbani: quello di Corso Lodi e quello del viale delle regioni.

L’asse che in Corvetto diventa Viale Lucania è il tratto del Piano Pavia-Masera che fa da spina Nord-Sud per l’espansione urbana verso oriente. Ha i caratteri del boulevard: un’ampia strada, definita da passeggiate alberate e fronti costruiti continui. Il tracciato funziona da elemento di continuità di grandi piazze tematiche, fino allo sconfinamento della città nella campagna, ai limiti del quartiere Omero.

L’asse di Corso Lodi ha un’origine diversa: nasce sul sedime della via Emilia, come collegamento tra Milano e la capitale, passando per Lodi. Il tracciato, essendosi mantenuto nella storia, viene consolidato anche dai disegni dei diversi piani. Il Beruto spinge l’espansione fino all’attuale Piazzale Lodi, mentre il Pavia-Masera a incrociarsi con la ferrovia di Rogoredo. L’asse di Porta Romana, integrandosi con le rigidità cardinali dei piani di inizio XX secolo suggerisce una sua lettura come una “diagonale” che da centro città arriva fino ai suoi limiti e impone una flessione delle direzionalità

che, nella cerchia più interna è sempre riconducibile all’arco di circonferenza, mentre nella Milano dell’ultimo secolo è razionalizzata da un ribaltamento ad angolo retto.

L’estensione scansionata nel tempo della città ha permesso di definire una sequenza nel percorso viario esprimibile nelle caratteristiche dell’impianto stradale. Due qualità si rilevano: la sezione stradale e la cortina urbana. Se infatti la cortina è l’elemento che si mantiene dall’origine in Piazza Missori fino a Piazzale Corvetto, la distanza tra i fronti urbani subisce un graduale ampiamento verso la periferia, nello specifico dopo Porta Romana (Beruto) e dopo Piazzale Lodi (Pavia-Masera).

L’eccezionalità dell’elemento del cavalcavia di Corvetto (realizzato a cavallo degli anni ‘60), insieme al giunto che questa piazza rappresenta per i due assi, influenza la costante urbana della cortina, che arretra e si frammenta nel lato del quartiere Barzoni-Montemartini. Infine arriva a dissolversi del tutto all’attestarsi dell’attuale stazione metropolitana Porto di Mare, in favore dell’apertura verso il parco. In questo tratto (Viale Cassinis) la sezione stradale è “tesa” per accogliere il raccordo autostradale, e l’unico lato urbano è irregolare, tra fronte strada e arretramenti. Una motivazione di questo è da ricercarsi nella forma degli isolati, che tagliati finemente, lasciano all’edificato spazio di espansione sui lati lunghi, quindi le traverse, piuttosto che sul lato corto verso l’arteria principale.

17

Si sono ritrovati inoltre due tracciati storici, di collegamento tra Piazzale Lodi e Chiaravalle, e il tratto finale dell’antica Paullese che si inserisce a Milano da Porta Romana. La vecchia strada per Chiaravalle inizia proprio dalla Porta Romana, coincide per il primo tratto con Corso Lodi, e al “Pilastro” (ex toponimo dell’insediamento cascinale, ora luogo dell’incontro in quota tra Corso Lodi e la ferrovia) si separa per puntare verso l’abbazia, passando per l’antico borgo Nosedo. Il tratto è ancora nitido, ma per ragioni di attraversabilità pubblica non è stato possibile integrarlo nel Cammino dei Monaci [3].

La strada è di sezione ridotta, definita da una cortina compatta composta da manufatti di 2/4 piani fuori terra. Il tratto di linea spezzata connette piccole piazze tematizzate dalla presenza di un edificio di carattere religioso che rimanda all’utilizzo storico della via.

“Lo Strettone” era come veniva chiamato il bivio finale dell’antica strada Paullese che congiunge da Ovest alla Porta Romana. La traccia lasciata è più vanescente per alcuni tratti poiché sicuramente ostacolata dall’aggiunta dello snodo ferroviario a cui si sovrappone. La sua notabilità anche in questo caso viene risaltata dal tratto spezzato che si estranea al disegno di rigorosa ortogonalità del piano Pavia-Masera, il quale si impone sul vecchio asse inglobandolo senza creare una relazione d’influenza. Coincide con le attuali vie Muratori e Tertulliano. In questo caso l’uso diverso che si faceva di questo tracciato unito alla mancanza di luoghi di culto, potrebbe spiegare l’assenza di piazze o spazi aperti lungo il tracciato. Piuttosto si rileva un patrimonio cascinale in stato più o meno di abbandono, di cui l’unica recuperata è la Cascina Cuccagna.

3 Percorso che congiunge Milano alla via Francigena, partendo dalla Basilica di S. Lorenzo e passante per Chiaravalle tramite viale Omero. È un progetto del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani (DAStU) del Politecnico di Milano, coordinato dal prof. Flavio Boscacci.

Fig. 1 Schema tracciati urbani

19

MM CORVETTO

Fig. 2 Vista livello strada con sezione di piazzale Corvetto

Fig. 3 Vista livello strada con sezione di via Marocchetti

VIA MAROCHETTI

21

VIA CASSINIS - TAMOIL

Fig. 4 Vista livello strada con sezione del cavalcavia Pontina

Fig. 5 Vista livello strada con sezione di piazza Minstral

PIAZZA MINSTRAL

23

LIMITI: IL PARCO E LA FERROVIA

4 Marina Macera; Il progetto del margine della città contemporanea; pagina 97.

Due elementi che tratteremo più approfonditamente nel seguito del lavoro d’indagine sono la ferrovia e il Parco Agricolo Sud. Questi elementi vengono letti come soggetti di definizione spaziale e creazione di relazione tra le parti.

Sono segni che marcano con forza questo luogo in quanto costituiscono entrambi dei limiti: la ferrovia come limite artificiale e il parco come limite naturale della città. Come scrive Gillés Clement, a livello ambientale “I limiti - interfacce, canopee, limitari, margini, bordure – costituiscono, in sé, spessori biologici. La loro ricchezza è spesso superiore a quella degli ambienti che separano”.

Ma questi limiti continui non accolgono le caratteristiche della soglia, intesa come “punto di passaggio da una parte a un’altra della città e che costituisce il sistema di elementi che uniscono, legano e relazionano gli spazi urbani.”[4] Per questo motivo risulta complesso evidenziare la potenziale ricchezza di questo margine.

Il Parco Agricolo Sud costituisce il limite che più di tutti dovrebbe tendere ad inglobare il concetto di soglia. Ma in questo caso il parco è allontanato dalla città per la presenza delle molteplici corsie veloci del raccordo autostradale.

Queste portano in relazione punti lontani sul loro asse, ma separano nella loro trasversale. In questo modo viene a mancare il fondamentale rapporto che dovrebbe legare la città alla campagna.

La ferrovia si impone nello stesso modo, favorendo una connessione dell’area alle diverse scale tramite la stazione di Rogoredo (che ospita alta velocità, passante ferroviario e metropolitana), ma costituendo una cesura impermeabile per le sue sponde, che ancora oggi sono in fase di trasformazione.

Il limite però non è solo quello creato dai binari, ma in questo caso, data la storia produttiva del luogo, diventa tutta la fascia non-urbanizzata che accompagna la ferrovia e che con il suo spessore allontana ancora di più i due lembi.

Viene così a delinearsi un’area che manca, su due lati, di una relazione tra spazi costituita da limiti senza soglie, che quindi rimane arginata.

Fig. 6 Schema limiti e soglie

25

IL PALINSESTO DEI PIANI E DELLA TRAMA PODERALE

Leggere il territorio in oggetto come un “palinsesto”, permette di ricercare tratti scomparsi, sbiaditi o sottolineati, “per utilizzarli come elementi, come punti d’appoggio, accenti, stimoli per la pianificazione; […] comprenderli significa darsi l’opportunità di un intervento più intelligente” 5 Mettere a paragone l’esistente con i tracciati dei piani serve a capire quanto quei segni che hanno determinato questo luogo, avendo uno sguardo necessariamente più orientato al disegno del sistema urbano nel suo complesso, abbiano portato a formalizzare un tessuto di consistente identità; se al contrario hanno portato a debolezze, o se, addirittura, possono essere una riscoperta utile al ricongiungimento di frammenti disuniti.

Il piano a cui si fa riferimento è il Pavia-Masera, che impone un indirizzo al tessuto che rimarrà invariato fino al Piano del 1953. Questo disegno di piano delinea aree per edilizia popolare (quartiere Grigioni, quartiere Omero), che adeguandosi in parte alle strade già costruite dal comune e in parte alle caratteristiche topografiche (si fa riferimento al cavo Ticinello e alla roggia Gerenziana, che verranno tombinate in stagioni successive), si svincola dagli isolati predeterminati. Questa operazione ha portato a quartieri residenziali autoreferenziali, lasciando i restanti isolati amorfi e parzialmente disgiunti dal tessuto. A tutto questo si aggiunse l’isolamento delle grandi attività industriali, nei confronti della città, rafforzando le caratteristiche di margine, che già la ferrovia paventava.

Si è reso un utile stimolo riscoprire anche la trama poderale, la quale assieme alla conoscenza dei luoghi delle cascine è necessario a comprendere l’orientamento dei tracciati stabiliti dai Piani Regolatori e i punti cardini nel territorio a cui questi facevano riferimento.

5 Corboz A., Il territorio come palinsesto, in Casabella, n.

516, 1985.

Fig. 7 Schema di palinsesti dei piani urbanistici e la trama poderale

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01.01.02 IL TESSUTO LABILE E CONSOLIDATO

LO SPAZIO COSTRUITO La prima parte di ricerca improntata sulla conoscenza dell’evoluzione storica di questa parte di città ha permesso di comprendere la successione temporale della strutturazione del quadrante così come è osservabile oggi. Questo primo passaggio è infatti propedeutico ad una più chiara comprensione del tessuto urbano da un punto di vista morfologico. È infatti ora più limpidamente riconoscibile l’identità di ogni sistema abitativo o produttivo, sia essendo questi frutto di azioni puntuali sia essendo gesti costruttivi più ampi. Eliminando la variabile dell’”uso” nella lettura del costruito, si possono individuare principalmente due caratteristiche del tessuto: consolidato e labile. Si fa riferimento per questa lettura alla “Descrizione dei caratteri morfologici del tessuto urbano milanese, a cura di I. Valente”.

Il tessuto consolidato, costituito quasi esclusivamente da corpi in linea, si compone da una parte di tessuto compatto a cortina che definisce lo spazio aperto sottoforma di corti; dall’altra un tessuto a impianto aperto che regolano in maniera più fluida lo spazio tra gli edifici. Le due diverse morfologie in questo caso compongono un tessuto consolidato dal disegno urbano riconoscibile, anche favorite dall’intento costruttivo unitario e dalla chiara regola insediativa.

A questa trama urbana consolidata si frappone un tessuto labile poiché non definito da una chiara identità morfologica omogenea. Si palesa infatti in questo tessuto una realizzazione dei manufatti per parti, distanti dal concetto di forma urbana e “derivati in gran parte da processi di saturazione di lotti edificati generati dalla definizione degli azzonamenti e degli indici dei PRG recenti”.[6] Questa parte di tessuto edificato è per lo più composta da fabbricati di grande scala di uno o due piani fuori terra, eredità di un passato industriale che ha lasciato in parte suolo consumato, grandi lotti e una scarsa permeabilità.

6 Estratto da Ambiti di ridefinizione del paesaggio urbano, in ”Contenuti paesaggistici del piano Rete Ecologica Comunale e Sistema del verde urbano e degli spazi aperti”, in PGT 2030 Milano.

Fig. 8 Schema spazio costruito

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I FRONTI SOLIDI

Il tessuto costruito urbano consolidato e quello labile hanno indistintamente differenti gestioni del rapporto con lo spazio aperto. Qui si intende evidenziare la relazione che lo spazio costruito instaura con la strada. Le due tipologie d’impianti, a cortina e aperto, definiscono in maniera netta il rapporto con la forma dell’isolato ponendosi, nel primo caso, con il manufatto che crea il fronte stesso dell’isolato, offrendo un piano terra attrezzabile. Nel secondo invece caso il manufatto si sottrae alla linea della strada generando permeabilità visiva all’interno dell’isolato, ma priva la strada dalla possibilità di un rapporto con l’edificio.

Il tessuto costruito labile gestisce in maniera irregolare ed eterogenea la relazione con la strada, ponendosi in rapporto diretto o arretrandosi a seconda delle necessità specifiche.

Fig. 9 Schema fronti solidi

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01.01.03 LO SPAZIO APERTO LO SPAZIO MINERALE DISEGNATO E DI RISULTA

Lo spazio aperto è il materiale essenziale che regola la composizione della città, stabilendo la relazione tra gli elementi. Esso viene inteso come intervallo libero che intercorre tra l’edificato.

Ai fini di leggere lo spazio aperto come metodo di strutturazione dell’isolato, è qui interpretato al netto dello spazio della strada. Filtrando in questo modo le informazioni si vuole evidenziare l’irregolarità e la frammentazione che subisce lo spazio aperto quando non è sviluppato come elemento compositivo della progettazione del lotto, e ancor di più, dell’isolato.

Quando lo spazio aperto è risultato di un disegno, è visibile nella sua misura, oltre che nella sua forma, poiché è posto in relazione dimensionale allo spazio costruito: è chiaro il rapporto tra i pieni e i vuoti.

Sono stati individuati gli spazi aperti e classificati secondo due categorie: disegnati e non disegnati. Lo spazio aperto non disegnato è quindi definito dalla particolarità di essere esito involontario dell’azione costruttiva. La parte di tessuto in cui è più presente questa caratteristica è quella in cui precedentemente è stata riscontrata la labilità del costruito; principalmente nel settore urbano di derivazione industriale.

Data proprio la sua origine funzionale è possibile immaginare come lo spazio aperto sia stato progettato proprio in relazione alle destinazione d’uso specifiche. E sempre grazie alla conoscenza della storia del luogo che si riscontra come la forma dello spazio aperto abbia subito diverse rimodulazioni puntuali a seconda delle dismissioni totali o parziali delle attività.

Si legge quindi un sistema di spazi aperti frammentati a diverse scale, talvolta di grandi dimensioni; ma sostanzialmente collegati tra di loro. La relazione di vicinanza tra di essi è dovuta non a una ragionata gestione dello spazio ma quanto a una mancata densificazione del costruito.

Fig. 10 Schema spazio aperto

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LO SPAZIO VEGETALE

È possibile fare una distinzione dello spazio aperto, inteso come vuoto tra gli edifici, per come questo si presenta nelle sue caratteristiche fisiche. È stato quindi rappresentata la morfologia dello spazio aperto vegetale, in contrapposizione allo spazio aperto minerale.

La descrizione del “verde” mira a stabilire la quantità, ma soprattutto la forma e la disposizione spaziale della componente biologica all’interno del tessuto urbano. È infatti ormai opinione condivisa che la pianificazione semplicemente quantitativa di aree “verdi” secondo standard dimensionali relativi al volume edificato, sia insufficiente a soddisfare gli obiettivi di qualità ambientale cui la città contemporanea mira a raggiungere.

Il tema della qualità e della forma del “verde” è strettamente legato alle tematiche di mitigazione del clima urbano, qualità dell’aria; ma anche inevitabilmente di vivibilità della città compatta e sostenibilità ambientale. [7] La rappresentazione dello spazio vegetale indistintamente descritto racconta chiaramente l’uso non equilibrato di questo materiale in rapporto alle diverse aree urbane.

Si osserva infatti che nei quartieri residenziali realizzati secondo i dettami del modernismo si ha un disegno più chiaro e dominante del “verde” come strumento di regolazione igienica. In totale contrapposizione, l’area di derivazione industriale rileva una completa mancanza di vegetazione, insufficientemente bilanciata dalla prossimità del Parco Agricolo Sud.

7 Valentina Dessì, Dipartimento DAStU, Politecnico di Milano, Italia, “Sostenibilità ambientale vs vivibilità della città compatta?”

Fig. 11 Schema spazio vegetale

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MAPPATURA FENOMENO ISOLA DI CALORE

8 FONTE: https:// bit.ly/2zWyqiU Costruire Mappe di vulnerabilità, “vulnerabilità urbana e cambiamento climatico: un approccio operativo per la valutazione del rischio urbano”, Nicola Colaninno, Politecnico di Milano.

Fig. 12 Schema isole di calore

Se la vegetazione è intesa come elemento di caratterizzazione dello spazio aperto in relazione all’uso che se ne fa, è altresì risaputo che sia uno dei materiali più efficaci per il controllo del clima negli spazi della città, e che se ben regolata può portare a variazioni nella temperatura fino a 4°. Le isole di calore sono il fenomeno che descrive l’innalzamento della temperatura dell’aria nelle situazioni urbane di grande densità rispetto alle zone esterne alla città. La rappresentazione grafica delle isole di calore nell’area in oggetto porta a individuare una correlazione diretta tra la temperatura (misurata alle 10:30 del 04/08/2017) e la declinazione materica del suolo.

Si riscontra una differenza nell’ordine dei 4° tra l’area del Parco Cassinis, densamente boschiva e umida, rispetto all’area dello scalo ferroviario o del mercato comunale, caratterizzate da impermeabilizzazione del suolo in un caso, e grandi fabbricati climatizzati nell’altro. [8] Per tale motivo, la piantumazione di alberi lungo le strade, i viali e all’interno di piazze, sarà un aspetto molto importante nell’intervento progettuale a scala urbana. Al fine di avere un beneficio ambientale non solo all’interno del lotto, ma per tutto il quartiere di Corvetto.

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SINTESI

Il lavoro di sintesi è utile a evidenziare informazioni selezionate dalle letture, con l’obiettivo di mostrare le emergenze riscontrate in questa parte di città.

L’area, pur avendo la vicinanza di un lembo del Parco Agricolo Sud, ne rimane esclusa poiché la caratteristica di soglia che dovrebbe intercorrere tra zone ambientali differenti viene meno perché ostacolata dalla presenza di un importante strada di raccordo autostradale. Sia il parco che il quartiere sono esclusi dal rapporto sinergico tra i due, generando criticità anche nel presidio sociale della zona.

Il tessuto costruito mostra la sua realizzazione e la dismissione effettuata senza un disegno univoco nell’irregolarità nel disegno urbano. Questa produzione per parti si rispecchia anche nella frammentazione dello spazio aperto, spesso rappresentato da aree residuali e raramente di ambito pubblico.

La gestione del suolo come descritta ha portato ad un consumo completo delle aree più urbane, e a un lenta corrosione del Parco Agricolo Sud. La completa pavimentazione e privatizzazione nella zona produttiva ha come conseguenza la creazione di impedimenti all’attraversabilità degli isolati e la generazione dell’effetto isola di calore, alterando quindi il comfort climatico urbano.

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01.03

UN APPROCCIO FUNZIONALE

01.03.01 I TRACCIATI In questa parte di ricerca si sono voluti osservare tutti gli elementi infrastrutturali della rete di trasposto che si sovrappongono e caratterizzano l’area, per leggere e capire le dinamiche di questa porzione di città che nonostante l’ampia presenza di collegamenti è rimasta parzialmente isolata rispetto a Milano.

LA FERROVIA E LA STAZIONE DI ROGOREDO

La ferrovia ha profondamente segnato il paesaggio intorno a Rogoredo, ma ha anche ampiamente favorito il suo sviluppo urbano ed economico.

La stazione passante [9] di Rogoredo fa parte della cintura ferroviaria Sud ed è il punto di diramazione da Milano per Genova e Bologna. In passato era utilizzato anche come scalo commerciale e gestiva un notevole numero di merci e convogli. Ora è un nodo strategico di quattro linee del passante ferroviario (S1, S2, S12 e S13) e si allaccia anche alla rete metropolitana, grazie alla fermata omonima della linea M3.

9 Stazione in cui i binari di circolazione corrono parallelamente al Fabbricato Viaggiatori e i treni arrivano e partono da entrambi i lati.

La stazione ha subito diversi ammodernamenti, l’ultimo nel 2009 con l’arrivo della linea dell’alta velocità. Rimane comunque una stazione ad uso principalmente dei pendolari.

Con i suoi 13 binari (8 passanti e 5 tronchi) accoglie la maggior parte dei lavoratori provenienti dalle città di Pavia, Lodi e Piacenza.

Nonostante il traffico considerevole, all’interno della stazione non ci sono spazi per i viaggiatori, come luoghi di ristoro, librerie o altre attività commerciali. Sono presenti all’esterno della stazione pochi spazi di sosta, ma difficilmente sono un’offerta valida per i viaggiatori di passaggio. Si può quindi considerare Rogoredo come una stazione frenetica, di semplice interscambio per i pendolari, che si devono immettere nella rete metropolitana e distribuirsi nella città.

Non è particolarmente adatta alla fruizione di un’utenza come quella turistica. Come sono ad esempio le stazioni di Centrale e di Garibaldi, che oltre a smistare i vari flussi di viaggiatori, ospitano spazi commerciali e di sosta.

La stazione progettata da Mangiarotti nel 1982 è costituita da una copertura in acciaio e vetro retta da pilastri e da due corpi di fabbrica che ospitano i servizi amministrativi. Uno degli obbiettivi del progetto era di costituire una continuità spaziale tra esterno e interno: tra strada e binari. Oggi però questa soluzione ha portato ad “affollare” lo spazio dell’ingresso principale, che quindi risulta manchevole di una vera e propria “piazza della stazione”. Essa si erge in testata a via Cassinis. Da questa strada arrivano a capolinea numerosi autobus. Nel caso di trasporto autonomo è presente un parcheggio custodito per 189 posti auto. Adiacente l’ingresso della stazione vi è un’ampia zona recintata che ospita l’autoparco dell’ANAS con diversi capannoni ed edifici fatiscenti, tra cui uno storico ufficio postale riconvertito a bistrò. In questo luogo era presente nel 1600 la cascina Rogorè, di cui non rimane traccia. Coinvolgendo questa zona si potrebbe creare una piazza e così dare più respiro alla stazione di Rogoredo.

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IL TRASPORTO PUBBLICO

Essendo questa zona un dedalo di strade e svincoli per l’autostrada, il comune ha voluto puntare molto sulla mobilità pubblica così da decongestionare le strade e gestire al meglio i flussi di persone. La zona difatti è molto ben collegata alla città di Milano. Nella zona sono presenti tre fermate della linea metropolitana gialla M3 (Corvetto, Porto di Mare e Rogoredo) posizionate lungo l’asse viario di via Cassinis e quattro linee di autobus (77, 84, 88, 95) che collegano non solo Rogoredo a Milano, ma anche ai quartieri limitrofi come Santa Giulia, San Donato sino arrivare al complesso abaziale di Chiaravalle. È inoltre in atto uno studio per il potenziamento della rete dei trasporti di superficie, come la modificazione delle linee degli autobus 84 e 88 e l’introduzione di una nuova linea tramviaria veloce per collegare Santa Giulia al resto della città, anche in vista delle Olimpiadi di Milano-Cortina 2026.

LA RETE CICLABILE

Approfondendo la lettura della mobilità, si è riscontrata una scarsa presenza di una rete urbana per la mobilità dolce. Diversamente, all’interno del Parco Agricolo Sud sono previsti itinerari attraverso le campagne e circuiti tematici per le mountain-bike sull’orografia artificiale dell’ex discarica di Porto di Mare. Utilizzando il servizio STRAVA [10] è possibile individuare alcune dei percorsi ideali di corridori e ciclisti tra parco e città. La dimensione delle sezioni stradali di questo tessuto permetterebbero l’inserimento di una rete di piste ciclabili. In particolare lungo via Cassinis, via Avezzana, via Sulmona e via Toffetti. Nel quartiere di Santa Giulia, in vista delle nuove opere di riqualificazione urbana per le Olimpiadi Invernali sono in progetto diversi km di piste ciclabili, che si dirameranno per il parco e il quartiere, riallacciandosi successivamente ai percorsi già esistenti.

10 STRAVA è un software impiegato per il tracciamento GPS dell’attività fisica per ciclismo, corsa e nuoto. Gli utenti possono registrare le performance della loro attività fisica e caricare i dati statistici di percorso, velocità, altitudine e battito cardiaco.

Fig. 13 Schema rete mobilitĂ pubblica

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IL PROGETTO DI DEMOLIZIONE DEL CAVALCAVIA DI CORVETTO

11 PUMS – PIANO URBANO MOBILITÀ SOSTENIBILE – Documento di piano S/06 Porta Sud.

Una parte consistente della rivisitazione della viabilità in Rogoredo consiste nella creazione di un tratto aggiuntivo della strada Paullese che, collegandosi al primo tratto della tangenziale Est, permette di creare un nuovo alternativo accesso a Milano dall’autostrada del Sole.

Un estratto del documento PUMS spiega l’intervento: “L’ultimazione del prolungamento della strada Paullese è stato reimpostato trasformandolo da elemento di cerniera tra il nuovo anello di scorrimento urbano e la tangenziale, ad elemento di ritessitura del nuovo quartiere di Santa Giulia con la viabilità urbana.”

Le simulazioni effettuate, che evidenziano flussi dell’ordine di 1800 veicoli equivalenti/ora per direzione, confermando l’efficacia della scelta di ridimensionamento geometrico– funzionale del prolungamento che procura notevolissimi benefici all’utenza ed un forte alleggerimento del traffico proveniente da Sud. L’intervento pertanto può essere quindi pienamente integrato nel più generale progetto di riqualificazione dell’accesso Sud, essendone il necessario presupposto.

L’intervento, localizzato nell’ambito Rogoredo-Corvetto, è inserito nel più generale progetto di riqualificazione di uno dei comparti urbani maggiormente compromessi (Corvetto-Porto di MarePiazzale Bologna), comparto che richiede un vasto intervento di recupero del tessuto urbanistico al fine di superare l’attuale funzione di cerniera tra la città storica (P.ta Romana/Corso Lodi) e le aree di frangia, interessate dalle trasformazioni urbane, in corso e programmate.

La soluzione indicata dal PUMS, [11] superato il fascio dei binari, porta la Paullese sulla rete stradale esistente (via Varsavia, via Sulmona, via Toffetti) evitando di gravare piazzale Corvetto e quindi di portare il traffico di provenienza autostradale sulla rete più interna. Di via Toffetti attualmente si fa un uso prettamente logistico poiché la strada taglia il distretto di aziende produttive. Queste muovono la maggior parte delle loro merci su gomma. La carreggiata è larga 20m ed è predisposta per una notevole portata di traffico, ma data la dismissione della zona industriale negli ultimi 30 anni la strada e attualmente sottoutilizzata.

Via Cassinis è l’asse viario principale che taglia diagonalmente l’area in esame e s’imposta sul sedime dell’antica via Emilia.

Separa il quartiere dal parco Agricolo Sud e allo stesso tempo collega Rogoredo direttamente a piazza Missori.

Questa arteria era il principale accesso a Milano da SudEst, prima della costruzione nella tangenziale Est nel 1973 e ancor prima della strada statale Paullese nel 1960. Gestiva tutto il traffico proveniente dall’hinterland e smistava il traffico di uscita verso Genova e Bologna.

In questo quadro il PUMS propone inoltre la modifica dell’attuale sistema viabilistico da piazza Bologna passando per Corvetto sino a Porto di Mare, proponendo la demolizione del cavalcavia Corvetto-Lucania, da piazza Mistral a piazza Bologna, consentendo di riqualificare lo spazio pubblico sottostante oggi occupato dalla struttura di sostegno del manufatto e parcheggi. È previsto il progetto di un boulevard da riconnettersi all’esistente sistema di spazi pubblici lineari presenti già nella zona. La soluzione propone la piantumazione di alberi ad alto fusto e aiuole; arredo urbano per la sosta e per il gioco, e aree cani. Predisponendo inoltre attrezzatura per la mobilità dolce si permette così di ridefinire la dimensione della strada a raso, a vantaggio dell’utenza pedonale e ciclistica.

Nel documento del PUMS si legge: “L’intervento in questione consentirebbe anche di ripristinare la continuità di via Avezzana, consentendo la svolta a sinistra da via Marocchetti verso piazzale Gabriele Rosa e sgravando ulteriormente il nodo di piazzale Corvetto, che alleggerito di una quota consistente di traffico, diventerebbe oggetto di un intervento di forte riqualificazione, parte essenziale di tutto l’intervento. Va sottolineato come la fattibilità di questo progetto dal punto di vista dell’impatto sulla circolazione sia subordinata al completamento del prolungamento della Paullese come già descritto in precedenza”.

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01.03.02 LO SPAZIO COSTRUITO L’IMPRONTA DELLO ZONING E I SERVIZI

Analizzando il tessuto in oggetto dal punto di vista dello spazio costruito, portando in risalto la destinazione funzionale dei singoli manufatti, si può in primis considerare una netta separazione tra: un edificato a destinazione principalmente produttiva, che risulta frammentato e instabile; e un tessuto invece più compatto e residenziale, costituito dai quartieri Grigioni, Omero e Mazzini, definiti da una configurazione più identitaria. Selezionando queste differenze è possibile immaginare un limite della città formato non più dall’asse di via Cassinis, ma da una linea immaginaria parallela di Viale Puglie/Viale Lucania e Viale Omero, in pratica un prolungamento di via Varsavia. Questo definisce una fascia di tessuto costruito labile, intercluso tra questo nuovo limite e l’infrastruttura ferroviaria.

Come successiva azione conoscitiva, si è andati a ricercare quali servizi fossero a disposizione del quartiere e quali funzioni ospitassero i singoli edifici. Raccogliendo queste osservazioni in una mappa è emerso che ci sono delle forti disparità. Il tessuto residenziale si raccoglie prevalentemente lungo i principali assi viari di Marochetti e viale Lucania, rivolgendosi verso la città di Milano per la maggiore accessibilità e presenza di servizi. Verso Sud invece, a conclusione del tessuto edificato e a ridosso del Parco Agricolo Sud si concentrano la maggior parte degli impianti sportivi, con campi regolamentari per calcio e tennis. Le palestre non sono numerose, ma distribuite nel tessuto urbano. Nonostante questa zona non abbia molti servizi per il quartiere, troviamo invece un grande numero di scuole e istituti.

In tutto si contano: • 3 Nidi d’infanzia e un Micronido • 3 Scuole per l’infanzia • 3 Scuole primarie • 3 Scuole secondarie inferiori • 5 Istituti professionali • 1 Liceo • 1 Perito • 1 Scuola di formazione professionale • 1 Conservatorio

Fig. 14 Schema funzioni nel quartiere

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Il terziario e il commerciale si radunano lungo via Cassinis, vicino alle fermate della metropolitane e in prossimità della stazione ferroviaria di Rogoredo.

In questo quadro generale appena descritto, esiste una parte di città che non è coinvolta. Questo frammento di città, è compreso tra via Avezzana e Rogoredo. Un cuneo nel tessuto urbano che ha mantenuto la sua destinazione produttiva, riconvertendo alcune fabbriche per altre attività manifatturiere, edili o logistiche (come il caso di Amazon).

Non mancano però le eccezioni. Alcuni manufatti, quelli più caratteristici, sono stati rilevati da enti culturali o associazioni per riconvertirli e farne studi, laboratori e spazi eventi.

Si è proseguita la lettura del contesto individuando le temporalità che le differenti funzioni impongono nell’esperienza quotidiana del quartiere. L’attenzione è posta alla ricerca di situazioni di “spegnimento” di parti del tessuto nell’arco delle ventiquattro ore, indicandole come punti di debolezza. Ciò che si è osservato è che esiste una divisione sostanziale tra tessuto residenziale, e produttivo. Le scuole, come gli uffici, sono “accesi” al mattino, durante la settimana; appena si “spengono” le scuole, si “accendono” i complessi sportivi e le altre opzioni per lo svago. Quando si “spengono” gli uffici e il commerciale si “riaccende” il tessuto residenziale.

Nelle ore notturne si “accendono” teatri, locali e discoteche.

Non c’è mai una omogeneità tra le aree attive; si “accendono” o si neutralizzano a “macchia di leopardo” perché le diverse attività sono settorializzate in aree circoscritte. È per lo più assente la qualità di mixité che permette una vitalità urbana sinergica rispetto alle differenze che attività diverse possono produrre se integrate.

Fig. 15 Diagrammi a torta che esprimono gli usi temporali del quartiere

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UNA TASSONOMIA DELL’ ABBANDONATO

Come già anticipato nello spazio costruito convivono diverse attività produttive e terziarie attive a diverse scale, ma anche residui della dismissione industriale, riconvertiti solo in parte. È proprio l’eterogeneità di questo composto che rende necessario stabilire un metodo di scomposizione e interpretazione del tessuto. Quindi è stato eseguito un minuzioso lavoro di categorizzazione dell’edificato secondo criteri riconducibili allo stato di abbandono dei manufatti e delle funzioni. Le categorie sono le seguenti: • Abbandono completo: I manufatti vertono in gravi stati di degrado o in totale disuso.

• Edificio degradato (abbandono potenziale): Quei manufatti che presentano diversi gradi di declino. Si intende declino come “una diminuzione graduale di valore o di vitalità. Il declino può portare all’abbandono, ma non necessariamente, dev’esser preceduto da esso”. [12] • Strutture temporanee: capanni, tettoie, pergolati. Tutte le strutture leggere che non costituiscono tessuto.

• Tessuto attivo: quegli edifici che mantengono, per posizione o destinazione, una vitalità produttiva, commerciale o di servizio.

• Edifici recuperati: Si intende il tessuto rigenerato, quindi quei manufatti che con interventi più o meno radicali sono stati riattivati ospitando nuovi usi. Costituiscono stratificazione e valore.

12 In Michael Southworth, Vincenzo Andriello (a cura di), Kevin Lynch. Deperire: rifiuti e spreco nella vita di uomini e città, Cuen, Napoli 1992, p. 206.

13 G. Clément, Manifesto del Terzo paesaggio, Quodlibet, Macerata 2004, p. 14

Queste categorie permettono di capire dove e in che modo è possibile intervenire, mantenendo un’inclinazione al consolidamento e alla rigenerazione, senza eliminare le tracce e la vocazione dell’area. Questo però non concerne solo i manufatti architettonici, ma anche il suolo stesso.

Lo scrittore paesaggista francese Gilles Clèment, nel suo libro Manifesto del Terzo paesaggio scrive: “La città produce tanti più residui quanto più il suo tessuto è rado. I residui sono scarsi e piccoli nel cuore della città, vasti e numerosi nella periferia.” [13] Tra le cortine di edifici o racchiusi da recinti, si sono riscontrati una serie di terreni brulli e incolti, frutto di una costruzione per parti, unita a successive demolizioni parziali di capannoni. La somma di questi residui, assieme alle rimanenze dei manufatti non più attivi, costituiscono le possibilità di intervento rigenerativo del tessuto.

Fig. 16 Schema tassonomia edificato

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01.03.03 LO SPAZIO APERTO LO SPAZIO PUBBLICO

Come accennato in precedenza lo spazio pubblico si struttura principalmente nella conformazione del boulevard, quindi lungo le arterie principali. Sono altresì presenti due aree di accentramento di flussi urbani e servizi: piazzale Corvetto e piazzale Gabriele Rosa. I boulevard sono quasi esclusivamente gli unici viali alberati nella zona e sono quello di Corso Lodi, di via Enrico Martini, di viale Omero e di via Mompiani. Ospitano nel loro spessore aree attrezzate a parco giochi per bambini, spazi per la sosta e piste ciclabili.

In questo sistema si inserisce perfettamente il piazzale Gabriele Rosa, che nonostante sia all’interno in una rotatoria ha una dimensione tale da essere attrezzato con un parco giochi, prospicente l’edificio di culto e di aggregazione San Michele e Santa Rita. Piazzale Corvetto seppur trovandosi come giunto di due importanti assi urbani, subisce questa condizione perché soffocata dai flussi che la attraversano.

Non possiede quindi le qualità spaziali necessarie per la sua determinazione come luogo di aggregazione e riferimento degli isolati vicini. Il progetto di demolizione del cavalcavia interviene proprio in direzione di inserire questo elemento urbano mancante.

IL PATRIMONIO VERDE ATTREZZATO, DI PERTIMENZA E SPONTANEO

Pur essendo questa zona ricca d’infrastrutture e lotti industriali di notevole ampiezza, riesce ad accogliere comunque una notevole percentuale di vegetazione.

Questa è formata da giardini urbani, come il giardino Nervesa, quello di Piazzale Bologna e parchi come: Parco Trapezio a Santa Giulia, Parco Gino Cassinis, il Parco Depuratore Nosedo e quello della Vettabbia. Gli ultimi due sono compresi in un organo amministrativo maggiore, il Parco Agricolo Sud. È necessario sottolineare che in questo parco esistono due realtà che vertono in condizioni di degrado: il così detto “boschetto dello spaccio” di Rogoredo e il Parco di Porto di Mare. Esse sono il risultato di quello che resta dei diversi e mai conclusi piani per il porto commerciale di inizio Novecento.

Rimaste irrisolte per molto tempo, sono diventate scenario di discariche oggi solo in parte bonificate. Si pone oggi però con urgenza il tema della recupero e del riciclo di queste aree.

Fig. 17 Schema patrimonio verde

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Portando in evidenza la sola trama del verde si osserva che oltre alla compattezza del Parco Agricolo Sud [14] esiste una consistente porzione di verde, seppur frammentata nel tessuto edilizio. Questo accade soprattutto nel quartiere Barzoni e Grigioni o attorno alla scuola primaria Martinengo.

Allo stesso modo il quartiere razionalista in fondo a viale Omero, il quale è però interdetto da cancellate.

Per quanto riguarda la piantumazione di alberi su strada, questi compaiono perlopiù all’interno di aiuole condominiali o in modo sporadico lungo via Caviglia o viale Lucania.

Come spesso accade, in presenza di grandi snodi viabilistici è anche considerevole la quantità di quel terzo paesaggio [15] costituito da verde interstiziale, dalle aiuole spartitraffico, dalle rotatorie, dagli svincoli, delle strade ad alto scorrimento.

Uno sfondo neutro della città, che anche se di minor pregio paesaggistico collaborano comunque a costruire una riconquista biologica essenziale degli spazi in disuso lasciati dall’uomo.

14 È un’area agricola protetta della regione Lombardia che comprende un’estesa area posta sotto vincolo ambientale che cinge i confini Sud, Est e Ovest dell’ara metropolitana di Milano, interessando il territorio di sessanta comuni. Il Parco Agricolo Sud, istituito il 23 aprile 1990, nasce con lo scopo di proteggere e valorizzare l’economia agricola e di tutelarne l’ambiente e il paesaggio, arrestando il violento consumo di suolo. Viene messo così a disposizione dei cittadini un’enorme polmone verde e un grande patrimonio di natura,storiaecultura.

15 G. Clément, Manifesto del Terzo paesaggio, Quodlibet, Macerata 2004

SINTESI

Portando in evidenza alcuni elementi scaturiti dalle letture secondo uno sguardo funzionale si mostrano una serie di criticità, legate principalmente al tessuto costruito e allo spazio aperto.

Nonostante la prossimità dell’ambito naturalistico e paesaggistico del Parco Agricolo Sud si è riscontrata una mancanza di attrezzature per la cosiddetta mobilità lenta, composta da percorsi ciclo-pedonali, che possano creare una continuità di tracciati tra città e parco. Questa carenza si ripercuote anche in uno scarso utilizzo delle modalità di trasporto più sostenibili.

Si mette in risalto anche una limitata differenziazione nell’offerta funzionale nel programma dei quartieri descritti, che forniscono quasi esclusivamente servizi per l’istruzione e il culto religioso. La caratteristica che però è più risaltata è quella di una forte zonizzazione tra il settore residenziale e quello ex industriale. Infatti il tessuto caratterizzato da destinazioni produttive satura la “fascia” in prossimità della stazione e della ferrovia, generando le problematiche comuni di insicurezza e scarso presidio sociale. Nel comparto produttivo inoltre si sono rilevate una serie di aree e manufatti abbandonati, sintomo del depauperamento del tessuto.

Le conseguenze della zonizzazione si riscontrano anche nella mancanza di una equilibrata quantità di spazi aperti pubblici, spesso relegati alle aree della strada o del parco, senza mai trovare luogo in spazi piazza identitari.

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02

02.01

STRATEGIA

I PRINCIPI DI RIGENERAZIONE Di seguito vengono raccolti approfondimenti tematici. I principi di rigenerazione sono enunciati in risposta alle principali criticità emerse dalle letture. Costituiscono la base teorica per il disegno della strategia urbana.

02.01.01 LA PERMEABILITÀ

Fig. 18 Assonometria Incremento della permeabilità, prima e dopo.

Dopo attente letture del contesto a diverse scale e la redazione di mappe interpretative utilizzando gli strumenti disciplinari, il passo successivo è stato quello di cambiare il punto di vista, spostandolo al livello del pedone.

La zona su cui si interviene, come precedentemente descritto, ha un’origine industriale; ritroviamo quindi un tessuto edificato formato da lotti di notevole dimensioni che precedentemente ospitavano padiglioni industriali e magazzini. Ad oggi questo isolato si connota per la presenza di spazi residuali; per lo più frange di terreno inutilizzato, alcune volte delimitato da muri di confine e in cui la vegetazione cresce spontanea. Inoltre, l’area si ritrova spesso cinta da strade carrabili di modeste dimensioni, con marciapiedi poco profondi che costeggiano gli alti muri delle vecchie fabbriche.

Esse favoriscono la mobilità automobilistica nel quartiere, ma allo stesso modo limitano invece l’accessibilità per ciclisti e pedoni.

Mobilità e accessibilità possono sembrare sinonimi, ma si differenziano nel soggetto a cui si riferiscono. La mobilità viene intesa come la possibilità di spostarsi attraverso un territorio mediante l’uso di un veicolo, quindi utilizzando la rete delle strade carrabili; l’accessibilità invece è intesa come condizione delle parti del territorio di essere raggiunte con facilità (quindi servite di una buona rete di percorsi) da pedoni. Queste due qualità nel tessuto urbano sono spesso inversamente proporzionali l’una all’altra: è possibile avere una buona mobilità a discapito di cattive condizioni di

accessibilità. Viceversa, una scarsa mobilità può generare buoni presupposti per l’accessibilità. La prima delle due casistiche presentate è riscontrata in alcune delle parti del tessuto analizzato.

Per questo motivo si è voluto ampliare il significato di mobilità e accessibilità in modo che si esplicasse non solo la quantità di collegamenti o attraversamenti del tessuto, quanto la loro qualità. Si considera infatti la situazione ottimale quella che non offre semplicemente una connessione diretta ad un punto d’interesse; se mai da quanti percorsi differenti puoi proporre al pedone per attraversare il medesimo spazio.

Come scrive Kevin Lynch: “non è facilmente una quantità da massimizzare poiché non può essere misurata dalla semplice quantità di cose che si possono raggiungere entro certi livelli prestabiliti di costo e tempo. […] L’attribuzione di valore si sposta allora sul grado di scelta offerta”. [16] A questo scopo si è voluto utilizzare un termine differente: permeabilità. In questo modo si vuole rendere possibile accogliere sotto un unico vocabolo tutti gli aspetti come: allineamenti tra i percorsi, uso dei materiali, tipi di piantumazione, qualità del suolo, scorci e snodi; da tenere in considerazione durante la progettazione, al fine di ottenere l’instaurarsi di nuove relazioni tra gli abitanti e ogni porzione del territorio. Come scrissero il gruppo di lavoro IaN+: “soltanto affiancando alla progettazione della forma fisica degli spazi una progettazione della rete di relazioni sarà possibile conferire ai territori nuova unità […] L’approccio più proficuo prevede la concentrazione dell’attività progettuale su parti strategiche degli organismi urbani e territoriali, capaci di innescare meccanismi relazionali complessi che partendo dalle singole aree di intervento arrivino a coinvolgere l’intero paesaggio abitato del quale sono parte.” [17] Il termine permeabilità include anche la proprietà della visibilità attraverso lo spazio. Si intende quindi per permeabilità visiva l’esperienza di un processo percettivo e studiato per il pedone. “Che cos’è un punto di vista? […] non è soltanto la collocazione di un occhio, ma la posizione di un soggetto all’interno di un percorso che ha una direzione, dunque un senso, un valore”. [18] Il tema della permeabilità ha messo in gioco una serie di considerazioni sulla forma dei luoghi e sul modo per arrivare alla loro definizione progettuale, si è puntato quindi al disegno di nuovi passaggi pedonali e ciclabili o alla riqualificazione di quelli già presenti nell’area, al fine di favorire le condizioni per la creazione della cosiddetta walkable community.

16 Lynch K., Progettare la città. La qualità della forma urbana, op. cit., p. 195.

17 IaN+, Interferenze con il reale, Edilstampa, Roma 2003, p. 144.

18 Marrone G., Corpi sociali. Processi comunicativi e semiotica del testo, Einaudi, Torino 2001, p. 291.

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02.01.02 IL RICICLO URBANO

19 Si preferisce utilizzare in questo lavoro di tesi la parola vacante rispetto alla più comune “vuoto urbano” che sottende l’idea di riempire, spesso con un parco o con funzioni specializzate -come suggerita da Enrico Chapel in “Il senso del vuoto, demolizioni nella città contemporanea” a cura di F. Nigrelli.

20 Il lavoro di Giulia Setti: “Oltre la dismissione. Strategie di intervento architettonico per la modificazione e il consolidamento di trame, tessuti e manufatti industriali.” È un documento che riassume lo stato dell’arte rispetto al tema della dismissione industriale, registrando anche le esperienze più significative.

Una delle criticità riscontrate nell’area studiata è quella di un tessuto costruito e di spazi aperti consumati. Si definisce questa condizione a seguito dell’uso industriale che ha caratterizzato questo territorio e nella conseguente mancanza di una pianificazione della dismissione dei manufatti produttivi. La tematica della dismissione industriale e del recupero di porzioni di città definite vacanti [19] è ampiamente trattata nella letteratura e nelle pratiche urbane da quando questo fenomeno ha avuto inizio negli anni ‘70. [20] L’eterogeneità delle presenze edilizie nell’area, così come si presenta nelle letture, impone una ragionata modulazione della strategia, che possa tenere conto delle specificità, esaltando le esemplari realtà che già oggi stanno occupando parti del tessuto. Le prerogative descritte inducono una strutturazione dell’azione progettuale secondo un principio di riciclo urbano ed architettonico. Per la definizione del termine riciclo di fa riferimento a Recycled theory: dizionario illustrato -illustrated dictionary e alla collana di quaderni Re-Cycle Italy che hanno ampiamente approfondito la tematica. [21] Con il termine “riuso” si intende la possibilità di fornire un nuovo uso, mantenendo inalterata la forma architettonica “(…) riusare un evento architettonico vuol dire convertire il suo significato alla nostra contemporanea interpretazione; che è inevitabilmente diversa da quella di chi ha esperito quell’evento nel passato.” [22] Il riciclo inteso come azione urbana prefigura una variazione nel senso dei materiali progettuali che prescindono dal loro stato di declino, consentendo una valorizzazione del patrimonio ereditato tramite la re-invenzione che attribuisce un nuovo significato. Si tratta quindi di un’azione d’invenzione di nuovo senso, tramite la selezione di alcuni elementi urbani e architettonici a discapito di altri.

Una declinazione metodologica di questo principio, all’interno del progetto di recupero di porzioni di città, è rappresentata dalle azioni di densificazione e rarefazione.

Questi due concetti presuppongono l’interpretare il tessuto mediante la lettura binomiale di pieno/vuoto. La semplificazione generata da questa operazione permette di comprendere i tessuti industriali spesso “disordinati” evidenziando le differenze tra tessuto compatto e labile. Il processo di densificazione quindi mira a consolidare i tessuti che presentano un grado di accumulazione volumetrica maggiore, mentre il processo di rarefazione induce una sottrazione puntuale delle situazioni di fragilità urbane, individuate nelle singolarità del tessuto costruito.

I due processi cosi descritti sono una delle metodologie di approccio progettuale al tessuto in dismissione a scala urbana, e vengono tradotte nelle pratiche architettoniche dell’innesto e della demolizione. Densificare un manufatto o un tessuto significa renderlo capace di durare nel tempo attraverso addizioni architettoniche mirate alla sovrascrittura o alla stratificazione che consolidano l’esistente. Rarefare significa restituire suolo libero tramite la sottrazione come atto ultimo, in modo da generare il vuoto inteso come luogo fondamentale di strutturazione dello spazio della città.

Le declinazioni architettoniche di questi due processi sono la produzione di pieno tramite l’innesto e di vuoto tramite la demolizione. Il vuoto urbano viene inteso quindi come “luogo” abitato ad alta densità di avvenimenti, di forme, significati e soprattutto catalizzatore principale delle identità urbane. [23] Il vuoto è il materiale principale della sintassi nell’architettura, ed è attraverso la dialettica tra vuoto e costruito che si struttura lo spazio.

Gli innesti sono modificazioni di parti di architetture al fine di plasmarle all’uso necessario.

Il termine innesto è stato preso in prestito dalla Botanica, ma esprime esattamente cosa significa questa operazione per la reinvenzione del costruito. Il progetto architettonico è sempre stato progetto del mutamento, che altera le condizioni e determina nuove relazioni. L’operazione architettonica è strumento di modificazione che trasforma l’esistente o ricompone le relazioni tra le sue parti, definendo gerarchie e lavorando attraverso una giustapposizione degli elementi, determinando ordine e nuove regole. Come scrisse François Jacob: La selezione naturale opera non come un ingegnere ma come un bricoleur, il quale non sa esattamente che cosa produrrà, ma che recupera tutto quello che trova in giro, le cose più strane e diverse, pezzi di spago o di legno, vecchi cartoni che potrebbero eventualmente fornirgli del materiale. [...]

L’ingegnere si mette all’opera solo dopo aver riunito i materiali e gli strumenti che servono esattamente al suo progetto. Il bricoleur, invece, si arrangia con gli scarti. [...] Per molti aspetti, questo modo di operare ricorda il processo dell’evoluzione. [...]

L’evoluzione costruisce un’ala da una zampa, o un pezzo d’orecchio con un frammento di mascella. [...] Fabbricare un polmone con un pezzo di esofago assomiglia molto alla pratica del bricolage. [...]

L’evoluzione non crea dal nulla le sue novità. Lavora su ciò che già esiste, sia trasformando un vecchio sistema per dargli una funzione nuova, sia combinando diversi sistemi per formare un altro più complesso. [24]

Fig. 19 (Nella pagina accanto) Assonometria Riciclo urbano, prima e dopo.

21 Riciclo s. m. (der. di riciclare]. I 1. nella tecnica, operazione con la quale, terminato un ciclo di lavorazione, una parte delle materie prime di partenza (o di stadi intermedi), non ancora, o solo parzialmente, trasformate, viene riimmessa nel ciclo di lavorazione nello stadio iniziale (o in uno intermedio); per es., nel processo di sintesi dell’ammoniaca, i gas (azoto e idrogeno) vengono separati, all’uscita dai reattori di sintesi, dal prodotto (ammoniaca) e riciclati nei reattori stessi.

22 In Giancarlo De Carlo, Del ribaltamento del termine “riuso” nella prassi architettonica, in Lodovico B. Belgiojoso, Riuso e riqualificazione edilizia negli anni ’80, Franco Angeli Editore, Milano 1981, p. 508.

23 Giovanni Zucchi, la densità del vuoto, dispositivi progettuali dello spazio aperto contemporaneo, Le ragioni del progetto, pag 15.

24 Jacob F., Evoluzione e Bricolage. Gli “espedienti” della selezione naturale, Nuovo Politecnico, 1997.

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Lavorare sui manufatti esistenti modificandoli vuol dire prendere coscienza delle loro condizioni passate e presenti per disegnare le trasformazioni future, che legheranno l’atto creativo ad un determinato tempo e in rapporto con il luogo in cui sorgono.

Le città sono il maggior condensatore di modificazioni, con il susseguirsi delle varie epoche gli uomini e le loro tecnologie si sono evoluti e hanno modificato le architetture per adagiarle al proprio tempo. Alcuni degli esempi più celebri di queste modificazioni, riconoscibili sino ai giorni nostri, sono: il Tempio Malatestiano, il Duomo di Siracusa e Piazza Navona.

Sono solo alcuni casi emblematici che ci permettono di comprendere come la città nel corso del tempo sia stata modificata, attraverso riscritture delle sue architetture fatte di addizioni e sottrazioni. La stessa pratica si può applicare anche ai casi specifici dei tessuti industriali, in cui il principio formale fissa una spazialità al suo contesto, pur modificandosi e accogliendo gli usi richiesti da ogni tempo e società. Alcuni esempi notevoli sono: La Fondazione Prada, Le ex-acciaierie Ansaldo, la Fabbrica del Vapore e lo spazio Luna-Lambrate.

Proprio grazie a queste modificazioni si intende inserirsi nel costruito, senza consumare ulteriore suolo, ma “macinando” l’esistente per dare un nuova vita agli edifici coinvolti.

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02.01.03 IL CONSUMO DI SUOLO E IL CLIMA URBANO

Fig. 20 Assonometria Miglioramento clima urbano, prima e dopo

25 Lynch, K. (1960), The image of the city, MIT press, Cambridge, USA. In tesi di laurea di Dessi V., Sostenibilità ambientale vs vivibilità della città compatta?, Politecnico di Milano, 2015.

26 Tesi di laurea di Beretta S., Gli effetti del verde sulla mitigazione dell’isola di calore urbana, Relatore Grazia Concilio, PolitecnicodiMilano,2012.

La forma e le caratteristiche dei tessuti “minerali” e vegetali, la condizione dell’area di Porto di Mare e i progetti di Santa Giulia e Merezzate inducono a considerare il tema del consumo -ma soprattutto l’uso- del suolo come una priorità nel contesto di progetto. Come precedentemente citato c’è una presa di posizione del PGT nei confronti della nuova urbanizzazione, si vuole porre l’attenzione sull’uso del suolo e come questo può influenzare la vita urbana negli spazi pubblici, dalla socialità al comfort personale. Infatti “fin dagli anni ’60 il lavoro di Lynch ha dimostrato che l’intervento sull’ambiente costruito non riguarda solo la sistemazione fisica o l’adattamento di quanto soddisfa i bisogni del momento, ma rappresenta una traccia che modifica la percezione del luogo da parte dei cittadini e ne modifica (in meglio o in peggio) i comportamenti, sia sociali che economici che morali.” [25] I dati ISTAT (censimento della popolazione) mostrano che nell’ultimo trentennio del ‘900 le città hanno subito un processo di spopolamento nell’ordine dei due milioni di abitanti, in favore delle aree di provincia che ne hanno guadagnati 3 milioni. Le ragioni da ricercare in questo allontanamento dalle città sono una motivazione economica e una legata alla percezione di minore vivibilità rispetto alle tematiche ambientali. Quest’ultima ragione è fondata sulla peggiore qualità dell’aria e del comfort climatico. Una delle misurazioni che è possibile effettuare sulla qualità ambientale nelle città è rappresentata dallo studio sull’effetto isola di calore. L’isola di calore è definita dalla differenza di temperatura che intercorre tra le parti della città compatta e le frange più esterne. La temperatura nelle città varia a seconda delle differenti variabili nella tessitura del costruito, come densità, tipologia, altezza; ma l’elemento che più influenza il comfort termico è la presenza di vegetazione. Gli effetti principali di mitigazione climatica della vegetazione sono: modificazione della radiazione solare, variazione della radiazione infrarossa, variazione della velocità e della direzione del vento, variazione della temperatura dell’aria, variazione dell’umidità relativa e fenomeni connessi al ciclo dell’acqua. [26]

Lo studio sperimentale effettuato tramite software nella sua tesi di laurea da Sara Beretta riguardo gli effetti del verde sulla mitigazione dell’isola di calore ha riassunto una lista di pratiche ottimali per massimizzare passivamente il comfort termo-igrometrico, mediante l’uso dei materiali biologici.

• Un’area ricoperta da alberi ha più influenza sulla diminuzione dell’isola di calore rispetto alla stessa area ricoperta da prato che però, a sua volta, risulta più vantaggiosa rispetto ad una pavimentazione; • La brezza fresca si propaga per una profondità corrispondente alla larghezza dell’area ricoperta da vegetazione; • La relazione tra la grandezza del parco e la differenza di temperatura aumenta, all’aumentare della dimensione del verde, ma questo fenomeno tende a stabilizzarsi; • Non è necessaria una grande area verde per abbassare l’effetto di isola di calore urbana in una città, ma si possono avere risultati positivi anche con piccole aree verdi collocate alla giusta distanza tra loro; • Gli alberi e la loro ombra, se collocati vicino agli edifici o alle pavimentazioni scure, possono proteggere le superfici e fare in modo che assorbano meno calore durante il giorno e quindi ne rilascino meno durante la notte, diminuendo così le temperature dell’aria.

Come per gli edifici, anche la costruzione del verde deve essere studiata, progettata e analizzata fin nei dettagli e si deve passare da una visione della vegetazione come semplice strumento decorativo, ad una visione del verde come vero e proprio strumento architettonico, non solo funzionale soprattutto per quel che concerne la mitigazione del microclima.

Curando la piantumazione degli alberi sia negli spazi pubblici, sia lungo le strade, si può ottenere un maggiore comfort nello spazio pubblico grazie al loro potenziale di ombreggiamento.

Si avrà quindi un minore uso degli spazi interni climatizzati e un guadagno di comfort in maniera passiva.

Nel progetto di verde urbano si prenderanno come linee guida gli enunciati citati, poiché costituiscono un materiale fondamentale nella pianificazione dello spazio per l’uomo.

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02.02

27 Marina Macera; Il progetto del margine della città contemporanea; pagina 83.

IL SISTEMA URBANO

Letture morfologiche e funzionali concordano nell’ evidenziare una sostanziale scollatura tra un tessuto residenziale, consolidato e legato alla città da un tessuto produttivo, labile ed isolato. La distanza tra queste due parti funzionalmente contraddistinte è riscontrabile principalmente in una mancanza di spazi aperti come fulcro della vita pubblica, connessioni passanti che rafforzino la comunicazione tra isolati e servizi come aggreganti della società civile.

I due tessuti sono evidenziati nella prima immagine dello schema e raccontano chiaramente di una fascia di resilienza legata agli assi viari urbani principali della Porta Romana e delle regioni. Il primo passaggio progettuale è quello di immaginare un nuovo limite della città, non più rappresentato dalla ferrovia o dal Parco Agricolo Sud, ma da un asse NordSud di prosecuzione ideale di via Varsavia. Questa nuova visione del limite permette di sottolineare una più ampia area di margine appartenente all’influenza della ferrovia. Il margine viene letto come “spessore che può accogliere nel suo spazio elementi dalle caratteristiche specifiche che lo rendono un elemento abitabile in sé, e quindi progettabile non solo per i rapporti che genera con l’intorno”. [27]

In questa nuova visione dell’area di margine viene portata in luce, nella terza immagine dello schema, la trama ecologica.

Nella fase di lettura del contesto è stata infatti rilevata come elemento cui porre attenzione in quanto, da una parte è dominante per via della vicinanza di un ramo del grande Parco Agricolo Sud, dall’altra è un elemento in totale assenza o cospicua frammentazione. Questa irregolarità denuncia l’assenza di visione generale sullo spazio aperto a verde, e spinge a una revisione di questa trama. Si ritiene che questo materiale sia di fondamentale importanza in ottica di un intervento di riqualificazione, perché rigenerativo dal punto di vista ambientale e climatico, nonché attrattore di attività pubbliche e servizi.

L’attenzione posta su questo materiale urbano porta a riconsiderare l’intera area produttiva e al disegno di suolo. Come mostrato nelle letture iniziali, la destinazione produttiva necessitando di ampie aree aperte ha inesorabilmente consumato l’intero suolo disponibile nelle sue prossimità. Questo ha portato anche a una carenza di permeabilità nel tessuto. Le superfici occupate infatti, sono funzionalmente delle lunghe pause rispetto alla vita urbana. Se queste sono posizionate in prossimità di cul-desac costituiti dall’infrastruttura ferroviaria, si produce una barriera funzionale che rischia, come accade, di diventare una sacca di criticità sociali.

La proposta progettuale si concretizza, quindi, in una rivisitazione del margine produttivo, riconvertendo la vocazione di limite funzionale a soglia verde. Una soglia che nel suo spessore intende mitigare la rigidità che intercorre tra residenze e produttivo, e tra produttivo e ferrovia.

L’intenzione strategica però si pone anche a una scala urbana più ampia perché intende costituire oltre che un margine, anche una connessione. Se infatti la ricostruzione di una naturalità permette di rivisitare l’attuale distanza tra ambiti funzionali impermeabili, lavorando in direzione Ovest-Est, allo stesso modo intende porsi in asse Nord-Sud, realizzando una cucitura ecologica tra i parchi interni dell’Est di Milano e il Parco Agricolo Sud. La fascia di recupero ambientale che insiste sugli spazi del tessuto labile produttivo aggiunge alle sue possibilità quella di legarsi alla vicina area naturale protetta a Sud e di protrarsi verso Nord, tendendo a raggiungere i parchi Alessandrini in primis, i giardini di piazza Insubria e Francesco Rucci.

Fig. 21 - 24 (Nella pagina successiva) Strategia di rigenerazione.

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28 Paola Viganò; I territori dell’urbanistica, Il progetto come produttore di conoscenza; pagina 113.

L’ultima immagine mostra come la fascia di recupero ambientale si concretizza in elementi di connessione, che riuniscono gli spazi del verde in un sistema ecologico.

L’obiettivo è quindi quello di superare il concetto di episodi verdi distinti e autonomi e permette di creare una continuità ambientale tra parchi urbani e campagna.

La nuova connessione rappresenta un corridoio dal carattere ecologico e ambientale perché ospita ecosistemi e permette il flusso dell’aria. Inoltre consente di costituire una greenway di mobilità lenta di impronta paesaggistica, che fa “sistema della complementarietà e della differenza dei parchi della collana”28, per poi dare accesso diretto al Parco Agricolo Sud. Questa penetrazione naturale da Sud realizza quindi la connessione tra città e campagna.

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02.03

IL SISTEMA LOCALE

02.03.01 LA RIGENERAZIONE IN QUATTRO FASI È necessario a questo punto declinare la costituzione della fascia ecologica -definita come elemento di relazione spaziale a livello urbano della strategia- ad una scala che permetta di apprezzare le interazioni tra il nuovo elemento di progetto e il tessuto esistente.

Le letture funzionali hanno mostrato l’eterogeneità dell’area, evidenziando la presenza di un settore prevalentemente produttivo sconnesso dal tessuto residenziale. Ma un’analisi più puntuale ha rivelato che l’area ospita anche una piccola realtà di attività associative e culturali (incentrate sulla danza, sulle attività sportive a corpo libero e l’esposizione di opere artistiche), e funzioni legate al grande commercio, alla logistica e al terziario. Queste realtà si sono evolute in quest’area prevalentemente occupando manufatti industriali dismessi. Stanziandosi laddove il tessuto costruito offriva disponibilità spaziale, queste attività risultano sconnesse da un sistema unitario. La fascia di recupero ecologico ambientale interviene quindi come elemento cui l’intera area trova declinazione, ponendosi come superficie unica legante delle differenti funzioni.

Sebbene alcuni manufatti di derivazione industriale abbiano incorporato nuovi usi per riavviare il loro ciclo di vita utile, sono però ancora presenti nell’area fabbricati che presentano differenti stati di abbandono. Una tassonomia dell’abbandonato effettuata nella fase di lettura del tessuto costruito ha permesso di catalogare queste particelle classificandole in: abbandono completo, edificio degradato, strutture temporanee, tessuto attivo, edifici recuperati.

Il progetto ideale di recupero ambientale viene modulato sulla base delle interazioni che l’elemento dello spazio aperto instaura con i manufatti, secondo il loro grado di uso. La caratteristica del tessuto costruito, individuata nello stato di dismissione, impone di determinare azioni sulla base dell’”urgenza” del tessuto di essere recuperato: il fabbricato abbandonato impone una priorità maggiore di intervento rispetto all’edificio produttivo attivo. Unitamente all’”urgenza”, viene stabilita una priorità anche sulla base della resistenza (o inerzia) che un elemento possiede rispetto al subire modificazioni: l’azione su un edificato residenziale è più articolata e complessa dell’azione di intervento su un edificato in stato di abbandono. L’intero intervento di rigenerazione si regola quindi attraverso una scansione temporale impostata sulle priorità stabilite dalle condizioni dell’uso dei singoli manufatti.

La direzione progettuale impostata con la strategia a scala urbana indica una ridefinizione dello spazio aperto come materiale di raccordo sia del tessuto costruito, che di quello aperto e verde. Come si legge nel lavoro di Giulia Setti riguardo il processo di modificazione dello spazio aperto e costruito: “La possibilità di intervenire su tessuti industriali, potremmo definirli consolidati, permette di trasformare non solo lo spazio produttivo interno ai capannoni, quanto di riconoscere un nuovo sistema di spazi aperti, liberatisi in seguito alla sottrazione delle parti in declino. I processi di sottrazione consentono, dunque, di immaginare forme di ricomposizione del tessuto urbano, condotte secondo interventi selettivi, capaci di mettere a sistema ciò che la dismissione ha per lungo tempo separato.”[29] L’operazione quindi che definisce maggiormente l’intervento è quella del recupero degli spazi residuali e abbandonati, connettendoli in un sistema unico. Sul tessuto costruito l’azione è la medesima: la demolizione mira a collegare gli spazi aperti. L’insieme del costruito, come mostrato dalle letture, è organizzato nello spazio principalmente secondo i tracciati della mobilità. La forma e la dimensione degli isolati però ammettono un’occupazione “diffusa” del suolo, che genera una frammentazione dello spazio aperto e aree residuali.

29 Giulia Setti, Oltre la dismissione.

Strategie di intervento architettonico per la modificazione e il consolidamento di trame, tessuti e manufatti industriali, Politecnico di Milano, 2014, Relatore: prof. Ilaria Valente, Co-relatore: prof.

Cristina Bianchetti.

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I principi riguardo il consumo di suolo e il riciclo urbano forniscono strumenti di metodo per l’intervento su questi materiali. Si adoperano la rarefazione e la densificazione come criteri di modificazione del tessuto, a seconda delle condizioni specifiche. Il suolo, già consumato, si dilata, e il costruito si compatta, secondo una logica di disegno morfologicamente chiara dei due componenti dello spazio.

Lo spazio aperto viene quindi inteso come vuoto, in relazione allo spazio costruito, quindi pieno. Le proprietà formali di uno modificano quelle dell’altro. Per spiegare al meglio il concetto si cita Giovanni Zucchi: “ll progetto di architettura si configura in un lavoro di vuoti fra le cose, in una definizione di rapporti a distanza, in un lavoro di dilatazione e compressione. In questo modo, confrontarsi con lo spazio in architettura significa intuire e quindi governare le relazioni tra le parti della composizione, che spesso si celano dietro l’immagine complessiva di un’opera; è la configurazione di un limite che conferisce forma e identità allo spazio.” [30] Il vuoto quindi, generato dalla compressione del pieno, diventa il luogo in cui quest’ultimo trova identità.

Le fasi che seguono sono la strutturazione del metodo utilizzato, ma è possibile anche leggerle come fasi temporali di attuazione del progetto urbano. Questi passaggi, agendo su elementi differenti, sono indipendenti dal completamento della fase successiva. In questo modo alla conclusione di ogni fase risulterà uno stato di modificazione completo nella sua autonomia.

30 Zucchi G., La densità del vuoto, dispositivi progettuali dello spazio aperto contemporaneo, Le ragioni del progetto, Clean, Napoli, 2020, pag 57.

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FASE UNO CUCITURA VUOTI

Fig. 25 Assonometria Rappresentazione fase uno Fig. 26 Schema Cucitura vuoti

La prima fase è quella in cui l’azione progettuale agisce sugli elementi di più immediata modificazione. Le strade, gli spazi residuali, i recinti, il suolo scarsamente utilizzato.

La griglia stradale rimane invariata nell’organizzazione viabilistica, ma le sezioni stradali sono rivisitate riducendo lo spazio per l’autovettura e massimizzando la metratura per la fruizione ciclo-pedonale. La piantumazione di filari su ogni tratto stradale consente la gestione climatica, offrendo ombreggiamento nella stagione estiva. Gli spazi residuali frammentati, i suoli adibiti a solo parcheggio, le aree di pertinenza sottoutilizzate e recintante sono riportati ad elemento unitario, ridefinendo un vuoto unico e comune.

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FASE DUE COESIONE SPAZIALE

Fig. 27 Assonometria Rappresentazione fase due Fig. 28 Schema Coesione spaziale

La seconda fase individua come oggetto della modificazione il tessuto classificato come abbandonato o in stato di degrado. Su questi si agisce secondo i criteri di densificazione e rarefazione. Lo scopo è quello di ottenere, tramite demolizioni o conservazioni selettive, una compattezza e riconoscibilità formale dello spazio costruito, sempre in funzione della determinazione morfologica dello spazio vuoto, inteso come “negativo” di tutto ciò che è edificato.

Si applica una sottrazione pura dei manufatti che non sono riconducibili a nuclei di edificazione, quindi una demolizione come atto ultimo, non seguita da nuova costruzione. I fabbricati che invece per caratterizzazione architettonica o aderenza morfologica sono riconducibili alla compattezza vengono mantenuti e rigenerati architettonicamente e funzionalmente secondo un programma definito da esperienze locali o necessità sociali.

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FASE TRE VALORIZZAZIONE DEL VUOTO

Fig. 29 Assonometria Rappresentazione fase tre Fig. 30 Schema Valorizzazione del vuoto

La terza fase si pone in uno stadio temporale avanzato, perché agisce sul tessuto che è attualmente attivo. Il processo di definizione formale del vuoto deve infatti ancora completarsi attraverso i principi di densificazione e rarefazione. In ottica di riciclo urbano la demolizione è un’operazione che pone le basi della valorizzazione di ciò che nel progetto è stabilito avere valore di risorsa. Le attività ospitate nei fabbricati demoliti sono ricollocate in edificazioni limitrofe, coerenti con le funzioni e la forma urbana stabilita.

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FASE QUATTRO NUOVE COSTRUZIONI, INNESTI ARCHITETTONICI

Fig. 31 Assonometria Rappresentazione fase quattro Fig. 32 Schema Innesti architettonici

La quarta fase è l’ultima del processo progettuale perché prefigura la nuova edificazione. Se le fasi precedenti hanno creato una nuova configurazione spaziale attraverso l’atto sottrattivo della volumetria, l’ultimo periodo si lega al concetto di densificazione attraverso l’addizione di nuovi fabbricati architettonici coerentemente al disegno preciso del vuoto. Il nuovo, infatti, si declina come innesto architettonico in quanto si misura con le irregolarità formali del nuovo tessuto compatto, “colmando” le rugosità del costruito. L’innesto è anche l’operazione di addizione puntuale e mirata di un dispositivo che ridefinisce funzionalmente il senso dell’edificio che lo ospita.

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02.03.02 LA FORMA DEL VUOTO, I COLLEGAMENTI, L’ANELLO VERDE Il progetto di riciclo urbano messo in atto tramite i criteri di densificazione e rarefazione, espressi fisicamente attraverso la demolizione e il consolidamento volumetrico e funzionale, ha permesso di individuare, rispetto all’intera fascia di recupero ambientale, un’area in cui il vuoto diventa l’elemento di definizione del luogo. L’area è individuata in un triangolo definito da via Toffetti, via Boncompagni e via Avezzana, ed è oggetto di un approfondimento a scala architettonica.

Il processo di intervento per fasi ha permesso di generare un vuoto mediante l’unione di residui urbani, ma anche attraverso la sottrazione dal pieno. Il vuoto così ottenuto rimanda a ciò che Heidegger intende per Raum: “Tale parola tedesca si traduce letteralmente con “spazio” e nel suo antico significato intende indicare un posto reso libero per un insediamento di coloni. Il Raum è quindi qualcosa di liberato entro determinati limiti, per questo “spazio” significa “fare spazio” e quindi un’azione capace di liberare un’area manipolando la materia attraverso il vuoto.” [31]

31 del ni 32

La densità vuoto, GiovanZucchi pag. 57. ibidem pag 63

Fig. 33 Schema sistema locale.

Il vuoto ha quindi assunto una definizione attraverso le forme del suo limite. L’intervento misurato sul costruito ha generato però una forma del vuoto non immediatamente riconoscibile, data l’assenza di regolarità geometrica del suo limite. Per questo si utilizza la classificazione che Giovanni Zucchi fa del vuoto, sulla base delle caratteristiche spaziali. La configurazione definita è quella dell’”accumulazione aperta”, per cui “lo spazio è un contenitore di elementi architettonici la cui disposizione e distanza definisce le qualità del vuoto e la sua apertura all’intorno”. [32] Il riferimento principale che Zucchi suggerisce è quello dell’agorà ateniese, in cui nello spazio si accumulano pezzi architettonici isolati, disposti in maniera fluida nello spazio; i quali in un sistema di relazioni prospettiche sottolineano l’importanza formale e simbolica del vuoto al centro.

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Sull’uso fondamentale del vuoto come mezzo di consolidamento di relazioni anche Giulia Setti afferma: “Fino a quando gli interventi di trasformazione si limiteranno ad intervenire sui singoli manufatti si costruiranno scenari sempre più frammentati, nei quali ciascun edificio è separato da ciò che gli sta intorno e incapace di stabilire relazioni con il suolo e il contesto limitrofo. Il consolidamento di un tessuto fragile può avvenire soltanto se si considera il suolo quale strumento del progetto, in grado di stabilire relazioni fisiche tra gli oggetti.

Un suolo attrezzato, dunque, capace di costituire un nuovo basamento per i sistemi produttivi che si innestano.” [33] L’intervento di definizione del nuovo assetto spaziale viene strutturato anche attraverso lo studio delle connessioni costituite dalla griglia stradale. L’area definita per l’approfondimento architettonico presenta le caratteristiche dell’isolato di derivazione industriale, perché risultato di costruzione per parti e dalle grandi dimensioni. La relazione che l’intervento architettonico vuole creare con il tessuto di contesto si concretizza tramite la prosecuzione degli assi viari all’interno del grande isolato. Questa operazione progettuale è di duplice valore perché permette di ridurre le dimensioni dell’isolato aumentando in conseguenza la permeabilità pedonale, e anche quella di legare i nuovi spazi creati a quelli esistenti tramite un unico *elemento di comunicazione, fondamentale per l’istaurazione delle relazioni.

In ultima istanza si vuole evidenziare l’instaurazione di un cosiddetto loop. Questo è generato dall’azione congiunta della demolizione del cavalcavia di Corvetto in previsione di uno spazio aperto attrezzato, e la rigenerazione ambientale prevista principalmente nella prima fase del processo di modificazione. Il recupero di una dimensione verde delle strade nella fascia, unitamente al nuovo boulevard di Corvetto, generano un unico spazio aperto di relazione identitario e interconnesso, legato dall’elemento comune dalla presenza della vegetazione.

33 Giulia Setti, Oltre la dismissione.

Strategie di intervento architettonico per la modificazione e il consolidamento di trame, tessuti e manufatti industriali, Politecnico di Milano, 2014, Relatore: prof. Ilaria Valente, Co-relatore: prof.

Cristina Bianchetti.

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PROGETTO

Il progetto di masterplan si realizza nel disegno degli elementi della città: le strade, gli spazi aperti e lo spazio costruito. La proposta architettonica è quindi composta dal progetto del suolo e degli innesti. Nei seguenti paragrafi verranno esposti i processi di ideazione e del gli aspetti principali progetto.

03.01

LE STRADE Le strade sono l’oggetto della prima fase d’intervento. Si è voluto favorire atti di modificazione semplici e di immediato effetto riqualificante per l’area. I tracciati stradali presenti nella zona sono di dimensioni variabili, predisposti con marciapiedi poco profondi e parcheggi lato carreggiata.

L’importante azione proposta dal PUMS riguardo la deviazione dell’ingresso autostradale modifica ampiamente la gestione del traffico nella zona, principalmente decongestionando piazzare Corvetto. La demolizione dell’infrastruttura del raccordo autostradale inoltre permette una più libera mobilità locale, influenzata oggi dalla presenza cavalcavia.

Le strade che quindi sono maggiormente coinvolte da questo ridisegno dei flussi sono: Via Avezzana, Via Boncompagni, Viale Cassinis e Via Toffetti.

Come stabilito delle fasi preliminari della strategia, lo spazio della strada viene rafforzato nelle sue caratteristiche di mezzo di connessione alle diverse scale tramite la predisposizione di filari di alberi, che assolvono in parte l’intento progettuale della connessione ecologica.

Inoltre i filari realizzano altre funzioni collaterali: creare ombreggiatura sullo spazio della percorrenza pedonale, mitigare l’effetto isola di calore tramite una maggiore umidità dello spazio sotto le fronde, ridurre l’impronta di CO2

nell’ambiente laddove è più necessario, e attribuire identità caratterizzante alle diverse strade tramite la selezione di differenti specie arboree. Nello specifico è proposta la piantumazione in via Avezzana, del prunus cerasifera (Amolo); in via Boncompagni la Betula pendula (Betulla); in via Cassinis il Platanus occidentalis (Platano); e per via Toffetti il Celtis australis (Bagolaro). La scelta di queste specie è influenzata principalmente dalla dimensione della sezione stradale e quindi dalla forma e altezza delle chiome.

Un secondo fattore decisionale è la diversa gradazione della tinta delle foglie, che quindi creano una composizione che identifica ogni tracciato nella sua unicità, ma soprattutto come parte di un sistema.

L’intero assetto stradale preso in esame è stato ridisegnato nella sua sezione, in particolare ridimensionando gli spazi per le autovetture, per la mobilità ciclabile, per il pedone e per la vegetazione. L’area necessaria alla piantumazione degli alberi trova sempre luogo nello spazio tra la carreggiata e il marciapiede. L’aiuola ha una profondità di 2,5 metri. La scelta di questa dimensione è subordinata alla volontà di frapporre tra albero e albero uno spazio parcheggio per una vettura. La distanza che intercorre tra ogni fusto è quindi di 7,5 metri. La viabilità veicolare quindi ridotta al minimo stabilito da normativa, lascia la massima disponibilità spaziale alla mobilità lenta. Le prospettive di sviluppo della cosiddetta sharing economy che supportano lo spostamento verso modalità di trasporto sostenibili, ha reso necessario dedicare un’ampia parte del suolo del marciapiede ad una “corsia” a velocità intermedia, tra filare alberato e percorso perdonale. Lo spazio così ricavato per biciclette, monopattini e skateboard è dimensionato in una misura regolare di 2 metri in ogni sezione stradale. Infine lo spazio rimanente del marciapiede è interamente dedicato all’uso pedonale.

Le dimensioni variano da 2,5 metri a 3,5 metri, e sono posizionate per ogni lato della strada.

Il ridisegno radicale della mobilità, sinergicamente alla gestione dello spazio aperto interno agli isolati, massimizza le opzioni di permeabilità del pedone, offrendo i giusti presupposti alla base dell’istaurarsi di una walkable comunity.

Una comunità sensibile alle tematiche del trasporto sostenibile consente implicitamente un riappropriarsi dello spazio della strada, che dunque arricchisce la vitalità negli spazi comuni della città e il senso di identità locale.

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STATO DI FATTO

Fig. 34 Sezioni stradali, prima e dopo l’intervento

STATO DI PROGETTO

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03.02

IL VERDE La riconnessione ecologica come principio di rigenerazione, la riconversione dei suoli consumati e residuali, la riappropriazione degli spazi aperti della città, le tematiche ambientali legate al clima urbano, la generazione di percorsi interni all’urbanizzato di carattere paesaggistico, per la riconnessione della città alla campagna. Questi sono i temi principali che hanno indirizzato le scelte progettuali in fase strategica e applicate nel disegno del suolo.

Gli strumenti dell’applicazione della densificazione e della rarefazione nelle fasi di intervento sul tessuto hanno portato a ottenere un composto edificato compatto e uno spazio vuoto di rilevanza urbana nella sua caratteristica dimensionale. Il conquistare una determinata misura del vuoto è però subordinata alla ricerca di una sua riconoscibile definizione formale.

L’isolato scelto per l’approfondimento progettuale è definito da una parte di costruito dislocato lungo il suo perimetro, il quale circoscrive un ampio spazio aperto. Le caratteristiche del vuoto risiedono nella sua definizione formale e nell’uso cui è dedicato. Si definizione di accumulazione aperta poiché conformato attraverso la messa in relazione degli elementi architettonici isolati, creando uno spazio dai limiti aperti. La destinazione che assume è quella del parco urbano, connesso al sistema più ampio del verde.

Il disegno del parco è ricavato attraverso la sovrapposizione di percorsi, passeggiate, allineamenti e assi storici. Il primo layer è quello dei percorsi interni. La strutturazione della permeabilità, come descritta nei paragrafi precedenti, è definita attraverso il disegno preciso degli elementi della connessione tra i diversi ambienti. I percorsi principali sono quindi definiti in continuità con le strade limitrofe, ma anche

attraverso una rilettura dei piani regolatori passati. Il disegno di piano, non essendosi concretizzato nel disegno dei lotti, crea una distorsione nella compiutezza della maglia viaria.

L’allineamento dei tracciati interni a quelli contestuali si pone come più importante elemento di legame tra l’intervento e l’esistente.

Il secondo layer è composto dal principale elemento di connessione pedonale tra i parchi interni del milanese e il Parco Agricolo Sud. Si realizza in una passeggiata che attraversa internamente lo spazio aperto progettato e assume una serie di flessioni rispetto al suo asse per lambire le principali aree tematiche e i servizi del parco. Il dinamismo di questa passeggiata rappresenta la volontà di realizzare un percorso lento e di contemplazione del disegno del paesaggio.

Il terzo layer rappresenta la memoria rurale del luogo. Il segno che si intende creare è infatti un rimando alla divisione del parcellario agricolo, presente ancora fino agli anni ’60.

L’orientamento e le direzioni di questi tratti si sovrappongono al disegno del tessuto viario del contesto. Questo stretta relazione tra i due ordini di tracciati permette facilmente di creare un sistema di percorsi secondari legati tra loro.

Il quarto layer rappresenta la necessità di creare un raccordo tra i diversi allineamenti del tessuto costruito. La relazione tra costruito e spazio aperto, infatti, si realizza anche nell’influenza che il primo ha nel disegno del suolo, il quale poi è il collante tra tutte le realtà che gli si “affacciano”. Il raccordo è determinato da linee disposte a raggiera che da via G. Pecori Giraldi a via P. Gaggia scandiscono il disegno delle diverse tipologie di piantumazione del verde.

La sovrapposizione degli elementi descritti permette di ottenere una griglia amorfa che collega e disegna lo spazio.

Dall’intreccio dei segni sono poi ricavati gli spazi degli accessi al parco e della piazza. Quest’ultimo layer infatti è ottenuto dalla somma dei precedenti e identifica lo spazio della sosta e dell’aggregazione sociale. Sono posti laddove il sistema parco incontra quello urbano, poiché si riconosce negli spazi della socialità il legante tra i diversi “ecosistemi”. Gli ingressi del parco sono quindi caratterizzati da un maggiore uso di pavimentazione, utile alle attività sociali associative e ricreative, nello spazio aperto.

Fig. 35 (nella pagina successiva) Rappresentazione assonometrica del progetto, con viste su strada.

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03.03

34 Consiglio di Municipio 4 - Delibera n.

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LA PIAZZA Dalle letture riguardanti il programma funzionale risulta una particolare mancanza nell’offerta nell’intera area. Si è infatti riscontrato una proporzionata presenza di istituti per l’istruzione, ma una forte scarsità di spazi per il tempo libero e per le attività giovanili. L’attenzione è stata posta anche attraverso una delibera del Municipio di zona 4: “La cesura rappresentata dalla ferrovia crea delle sacche di emarginazione nel tessuto urbano e sociale che vanno contrastate tramite una migliore accessibilità. [...] appare opportuno l’inserimento di spazi pubblici per gli adolescenti di cui attualmente l’area è priva, nonché particolare attenzione ad iniziative volte allo sviluppo e al sostegno dell’imprenditorialità giovanile.” 34 È quindi intenzione progettuale quella di integrare nel programma funzionale spazi flessibili che possano accogliere anche i flussi dalle scuole. L’intero spazio dedicato a parco è per sua natura comprensivo degli usi collettivi e di attività per il tempo libero. Ma all’interno del disegno del suolo, come anticipato, è individuabile in corrispondenza delle connessioni con il tessuto di contesto, una serie di spazi di maggiore pavimentazione che ospitano attrezzature per il gioco, lo sport e spazi per lo stare. Si vuole dunque interagire con la città costruita implementando la rete di spazi aperti con nuove configurazioni attraverso un’attenta combinazione di semplici elementi di arredo e di disegni di suolo, rifacendosi all’esperienza dei playground di Aldo Van Eyck ad Amsterdam.

Si pone però l’attenzione sulla progettazione del luogo, di misura maggiore, che rappresenta il nuovo spazio piazza per la zona. Il suo posizionamento nasce dalla vicinanza all’ingresso metropolitano ma anche come fulcro centrale degli assi del parco. Le proprietà di “centro” sono anche riscontrabili nella forma assunta, definita dai tre fronti compatti e ospitanti

attività pubbliche. La piazza trapezoidale è accessibile attraverso gli svuotamenti dei suoi angoli, ma soprattutto mediante l’apertura sul quarto “fronte” pubblico: il parco. La piazza si configura come spazio libero, flessibile ad ogni uso: manifestazioni, festival musicali, proiezioni di film all’aperto, conferenze, comizi. In questa superficie neutra è però ricreata una gerarchia spaziale attraverso il movimento del suolo. L’andamento ondoso che assume la pavimentazione crea la possibilità di essere gioco ma anche ostacolo per skater. Si forma infatti una bowl 35 a cui si contrappone un quarter-pipe 36 addossato al retro del muro dell’officina (uno dei tre fronti della piazza).

La centralità rispetto agli assi, l’affaccio sul parco, la vicinanza di attività sociali e pubbliche e la connessione con il sistema urbano, sono le ragioni del ritenere che questo spazio aperto libero possa essere catalizzatore di attività di quartiere, e diventare lo spazio rappresentativo della sua identità.

Fig. 36 (nella pagina successiva) Planivolumetrico

35 Espressione di lingua inglese che significa letteralmente “ciotola”. È un ostacolo da skaterpark, detta anche pool (piscina); nascono dall’usanza di skateare nelle piscine delle ville californiane durante i periodi di siccità negli anni ’70 e ’80.

36 Espressione di lingua inglese che significa letteralmente “quarto di tubo”. È una rampa da skaterpark a sezione di quadrante circolare.

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03.04

GLI INNESTI ARCHITETTONICI Si prevede la realizzazione di nuove costruzioni, la dove potrebbero fungere da ausilio per i manufatti già esistenti.

Al fine di rigenerarli, mettendoli in relazione con il tessuto edificato attivo. L’area identificata nell’ex saponificio, manifattura storica riconvertita con funzioni sociali, culturali e sportive, viene presa come punto di appoggio su cui costituire uno degli interventi architettonici. Consolidando questa realtà, espandendola all’abbandonato adiacente rendendolo comunicante sia con il comparto produttivo che con lo spazio pubblico. Si intende ideare una sorta di arcipelago in cui affiorano esperienze che variano dalla riappropriazione di luoghi e contenitori attraverso forme spontanee di auto-organizzazione e presidio civico; alla concessione di spazi pubblici per l’impresa culturale profit e no-profit, per riconvertire aree in difficoltà e infine alla pianificazione di un vero e proprio cluster urbano creativo fortemente intrecciato ad un’operazione di natura sociale.

Per fare questo si è preso ad esempio l’esperienza della Lx Factory, una ex area industriale di alcantara a Lisbona; che da “isola industriale” è stata riconvertita ad “isola creativa”.

Il progetto per quest’area rispetta la memoria della fabbrica rendendo lo spazio un luogo di costruzione di idee. L’obiettivo primario è quello di canalizzare, ospitare, affittare e vendere spazi a studi e atelier di grafici, fotografi e professionisti portando alla nascita di un polo della creatività.

Per l’ex-saponificio il consolidamento si differenzia in due azioni: l’innesto e la riconversione. L’intento è quello di costituire un cavo conduttore nel tessuto frammentato che potenzi le possibilità della diversità, l’innesto si occupa del collegare con un elemento unitario gli edifici e le funzioni separate.

La riconversione invece, viene utilizzata all’interno del costruito, mutandone la l’uso e se necessario modificandone alcune parti.

L’ex saponificio Gavazzi di presenta come un edificio composto da differenti capannoni in muratura addossati l’uno all’altro. Dall’eterogeneità dei loro volumi si può dedurre che non c’è stata una progettazione di fondo prima della loro costruzione, se mai sono stati costruiti a seconda dell’esigenza della produzione. La fabbrica ha l’ingresso principale ad Ovest su via Boncompagni, a Sud invece gli fa da spalla una cortina di edifici che ospitano magazzini, diverse attività manifatturiere e laboratori artigianali. Il complesso di edifici comunque si articola su due corti. La prima, un po’ più ampia prospicente su strada; la seconda più raccolta, nascosta dietro la ciminiera, da cui si accede da un piccolo passaggio. Su queste corti si affacciano la maggior parte degli spazi che una volta venivano utilizzati per la produzione industriale di saponi, oggi invece vengono utilizzati per mostre ed eventi.

Gli spazi all’interno sono ampie metrature, senza particolari suddivisioni interne e dotati di una buona illuminazione.

Alcuni capannoni sono collegati tra di loro da piccole scalette in linea fatte in ferro. Per la maggior parte dei casi, i singoli padiglioni hanno un singolo accesso sulle corti. Il manufatto più particolare, che svetta per 15 metri subito dietro la ciminiera è una sorta di torretta, costituita da tre parallelepipedi a pianta quadrata di altezze differenti e addossati gli uni agli altri. Atipica rispetto al tessuto esistente che invece si caratterizza in manufatti bassi e che si espandono perlopiù in orizzontale. Questo manufatto , ospita al suo interno una palestra per il corpo libero e si accosta lungo il prospetto Nord della Gavazzi, privo di finestre dentellando il profilo e rendendolo poco omogeneo. Proprio su questo fronte si è trovato il giusto punto per innestarsi con un nuovo edificio che allineandosi con la torretta andrà a completarlo e a regolarizzare l’edificio.

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EX-SAPONIFICIO GAVAZZI

L’innesto si accosta al saponificio Gavazzi accorpando volumi esistenti come la torretta ed altri piccoli volumi a piano terra, in modo da uniformare l’altezza e raccoglierli all’interno di un’unica sagoma. Esso avrà la funzione di riconnettere e collegare i differenti livelli degli spazi del saponificio; proprio perché una particolarità della fabbrica è che non tutti i piani sono allo stesso livello e questo ha comportato una complessità in più in fase progettuale.

Attualmente gli spazi all’interno della Gavazzi sono predisposti solo per ospitare eventi, come: sfilate di moda, film festival, feste, rappresentazioni, mostre e concerti. Ci sono però alcune eccezioni, come i laboratori di prototipi Vectorialism, oppure la direzione creativa di Lascialascia e uno studio di architettura, che ospita anche postazioni di co-working. Si è voluto quindi riconvertire alcuni spazi del saponificio in modo da ospitare laboratori e studi di creativi, per l’ideazione, la produzione e infine della vendita di prodotti ed abbigliamento per sportivi. A modello del Bastard Store di Milano. Esempio di riuso sapiente del vecchio cinema Istria progettato dall’ingegnere Mario Cavallé negli anni ’40.

L’edificio in linea ha una duplice utilità; in primo luogo funge da ingresso principale alla palestra, che prima doveva accontentarsi uno spazio molto ridotto e di spogliatoi sottostimati rispetto all’utenza ospitata. In seconda battuta al suo interno, racchiude una lunga rampa che permette di collegare il piano terra al primo piano in un’unica soluzione senza impedimenti o barriere architettoniche. Questo spazio mette in relazione le diverse attività collocate all’interno del saponificio, in modo da avere una continuità spaziale tra gli studi dei creativi, i laboratori per la produzione e lo spazio vendita. A significare che il processo creativo non si esaurisce dopo la produzione dell’oggetto ideato, ma anzi questo può essere rivisto e tornare come modello nel processo d’ideazione per successive varianti. Con lo stesso principio, sfruttando gli spazi esistenti come il piano interrato del saponificio, si è voluto mantenere la parte espositiva ampliandola sotto la corte della Gavazzi e mettendola in collegamento con la corte adiacente. Con un’identità ripristinata nel vuoto e nel pieno, si completa il programma puntando alla mixité, quindi si realizza il nuovo a compimento della trasformazione del luogo.

L’innesto progettato diventa così anche il fronte rappresentativo sulla piazza all’interno del parco. Dato che questo edificio è il risultato di diversi incastri di volumi si è preso come baricentro, il volume più alto della torretta, addossandosi ad esso, ma rimanendo sotto la linea dei 10 m in modo da rispettare ed enfatizzare la sua pre-esistenza.

Per creare un collegamento diretto con il parco e sfruttare l’altezza di questo edificio si è inserita un lungo scalone in muratura 37, in cima si è collocato un mirador e un secondo accesso alla Gavazzi. Per mantenere costante la linea di gronda si è aggiunta una costolatura di travi che inquadra la scalinata e si ripercuote anche nella scansione della facciata vetrata di destra; questa infatti scansiona anche la divisione dei serramenti del curtain wall retrostante. Per questo prospetto si è guardato al progetto di Guido Canali per headquarter di Prada a Valvigna, per l’uso dei materiale e la facciata vetrata che si apre sulla lunga rampa, inserendo inoltre un lucernario in modo da enfatizzare, se non esasperare la profondità dell’edificio, ma allo stesso tempo instaurare un rapporto visivo diretto con la piazza adiacente e far entrare più luce possibile dato che il fronte è orientato a Nord.

37 Riferimento progettuale per questo scalone è stata villa Malaparte, di Adalberto Libera per Curzio Malaparte a Capri.

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OFFICINA CIVICA CREATIVA

Il secondo dei due complessi di edifici che si è deciso di approfondire è quello situato nella parte più centrale del nuovo spazio aperto. La scelta progettuale di mantenere e riconvertire questi manufatti risiede nella loro ubicazione strategica di rilevanza rispetto al parco: la centralità della sua posizione e l’indipendenza dagli allineamenti principali del costruito ne ispirano una sua rilettura in termini di monumentalità. La seconda caratteristica di rilevanza è l’organizzazione formale di richiamo al quadrato. Infatti, selezionando i manufatti principali, è possibile inquadrare il sistema in un perimetro di 43 metri di lato. La regolarità della forma è sottolineata dalla presenza di un “taglio” distributivo centrale di 4 metri di spessore, su cui affacciano gli edifici.

Una dimensione fuori dall’ordinaria regolamentazione edilizia milanese, che per la sua eccezionalità incoraggia uno studio approfondito.

La posizione centrale, l’affaccio sulla piazza del parco e la relazione con l’ex saponificio indica una direzione nella definizione del programma verso funzioni di respiro pubblico, che possano essere sia un punto di riferimento sociale per la comunità che abita nella diretta prossimità, oltre che un luogo di concentrazione di attività per la formazione ed il tempo libero.

La ridefinizione funzionale da residenze a servizi per la collettività induce a una parallela riconfigurazione che ha i caratteri del riciclo architettonico. Si fa riferimento quindi alle esperienze di Herzog & de Meuron con il Caixa Forum madrileno, oppure alla Tate Modern di Londra. In questi due esempi viene fatto uso dell’esistente come materiale per la generazione della nuova architettura, selezionando le parti che posseggono valore di risorsa e scartando i “pezzi” inservibili. La conservazione quindi è fatta con lo scopo di attribuire nuovi significati, evitando l’imbalsamazione.

Il programma definito in attività culturali e di formazione artistica e tecnica quindi occupa gli spazi che furono delle residenze, conquistando la massima spazialità attraverso la pianta libera e mantenendo il solo involucro edilizio. Questo è ripulito delle finestrature originali e dalle coperture a falde spioventi, per dar luogo a nuove aperture, di forma e scopo specifiche alle nuove attività.

Il “taglio” passante che interrompe la forma quadrangolare è identificato come l’elemento principale di comunicazione spaziale tra il parco -l’esterno- e il quadrato -l’interno-.

La sua importanza morfologica e simbolica suggerisce la scelta di avere in questo luogo gli accessi principali ai diversi edifici. La distribuzione quindi viene praticata attraverso lo spazio centrale che gestisce i diversi ingressi. Questa centralità ha la duplice funzione di creare una connessione trasversale al “taglio” e accentrare gli scorci e i riferimenti visivi da e per le attività circostanti. Lo spazio così definito viene concretizzato tramite una sottrazione volumetrica che assume a sua volta una configurazione quadrangolare.

La sezione asportata ricrea quindi una corte baricentrica su cui affacciano i manufatti. La posizione centrale, anche in riferimento al parco, permette di attribuire a questo luogo il nome di Agorà.

Il programma di attività culturali e di formazione prendono ispirazione da un vasto panorama di cosiddette officine civiche creative. Alcuni tra gli esempi più noti sono a Milano la Fabbrica del Vapore, a Barcellona l’Hangar Barcellona, a Marsiglia La Friche La Belle de Mai, a Madrid il Matadero e a Nantes Le Lieu Unique. Le attività predisposte in questo centro sono: uno spazio forum; aule per corsi a insegnamento frontale, di capienza flessibile; spazi per laboratori di taglio e cucito; laboratori di ceramica; spazi liberi per lo studio; una postazione per trasmissioni radiofoniche e uno studio di registrazione; uno spazio per conferenze e concerti; uno spazio espositivo flessibile; una galleria d’arte; un vivaio per la manutenzione del parco e l’avvicinamento all’orticultura; infine uno spazio solarium aperto e flessibile per eventi.

I quattro manufatti in cui si inserisce l’intervento, sebbene rimandino ad un perimetro regolare, sono ognuno di metratura e altezze diverse. L’essenza frammentata di questi edifici è mantenuta nel tentativo di ricreare una volumetria che completi da forma quadrata dell’impianto. La soluzione si concretizza in superfici che riempiano la forma nel piano orizzontale.

Queste superfici accolgono gli spazi della distribuzione ai livelli superiore e le attività di maggiore uso pubblico.

L’ultima operazione che definisce l’intero progetto è nella definizione del fronte. Questo elemento unisce le necessità strutturali, di copertura, di prospetto, di frangisole e di diaframma spaziale tra parco e officina civica. L’elemento nasce dall’esigenza porre in raccordo le parti di differente costituzione. La pelle che viene applicata al perimetro è formata da una parete sollevata di due metri e cinquanta da terra, composta da lame di acciaio distanziate tra loro di cinquanta centimetri.

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Questo diaframma vibrante si pone a quattro metri dal perimetro originale, realizzando quindi uno spazio portico che sovrascrive la forma quadrata, cingendo l’intero complesso.

La struttura in acciaio si eleva fino a dieci metri, dove piega per diventare una copertura frangisole del solarium. La pelle è poi appesa e tesa da elementi tiranti alla struttura portante principale: un sistema di quattro piattaforme a graticcio in acciaio, appoggiate ognuna a quattro pilastri angolari. La struttura portante quindi si scompone in parti per divenire dapprima copertura piena, poi alleggerendosi diventa una pelle semivuota.

Lungo lo stesso asse che recide l’Officina Civica Creativa si pone un altro manufatto mantenuto e riconvertito per la sua eccezionale disposizione nello spazio. L’edificio è un corpo in linea di origine residenziale con copertura a falde spioventi, allineato al quadrato dell’Officina e avente le stesse dimensioni. Il fabbricato viene riutilizzato, mantenendo le sue caratteristiche esterne, ma riconvertendo la sua funzione originale. Al suo interno ospita una piccola biblioteca di quartiere, con postazioni per la consultazione e una vasta emeroteca. La serendipità 38 è il principio essenziale che disegna gli spazi interni. Infatti, mentre l’accesso principale è posizionato centralmente, i corpi distributivi sono dislocati alle estremità dell’edificio, questo impone un percorso forzato interno che potrebbe portare a “fare per caso inattese e felici scoperte”.

38 TRECCANI: serendipità s. f. [dall’ingl. serendipity, coniato (1754) dallo scrittore ingl. Horace Walpole che lo trasse dal titolo della fiaba The three princes of Serendip: era questo l’antico nome dell’isola di Ceylon, l’odierno Sri Lanka], letter. – La capacità o fortuna di fare per caso inattese e felici scoperte, spec. in campo scientifico, mentre si sta cercando altro.

Questa interazione è implementata anche da una fessurazione nelle superfici di calpestio lungo la spina centrale, e ciò permette la comunicazione visiva tra tutti i livelli. È stato inoltre ricavato un piano interrato adibito ad aula studio. Questo spazio si estende a colmare la distanza tra i due edifici e risolve la sua copertura attraverso il progetto di un elemento di arredo del suolo che incorpora la funzione di teatro all’aperto. L’elemento “a libro aperto” è una doppia gradinata retta da un unico pilastro centrale. Il sollevarsi delle sedute dal livello del suolo permette l’ingresso della luce nello spazio interrato, e offre una più completa conoscenza, da parte dell’utente, delle possibilità spaziali che il progetto offre.

Fig. 36 (nella pagina successiva) Planivolumetrico

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CONCLUSIONE In questa tesi viene descritto un progetto di riqualificazione di tessuti urbani fragili, in cui è in atto il fenomeno di una parziale dismissione industriale.

Si sono indagate dapprima le proprietà del tessuto tramite gli strumenti disciplinari, individuando i segni delle principali criticità e le cause che le hanno generate. Si sono dunque riconosciute le specificità che caratterizzano il luogo quali la vicinanza all’ambito naturale del Parco e la disponibilità di vasti frammenti di aree residuali. Attraverso la reinvenzione di questi caratteri si è ideato un disegno di riqualificazione che rispondesse alle cause delle principali situazioni di fragilità del tessuto.

In maniera propedeutica alla fase di disegno delle modificazioni urbane, si sono indagate le tematiche della permeabilità, del riciclo e del clima urbano. La permeabilità è stata definita come l’insieme delle qualità fisiche, spaziali e sensoriali della rete della mobilità, che rende accessibile ogni porzione del territorio. Il tema del riciclo è stato indagato inizialmente a scala urbana. Dall’esperienza di ricerca di Giulia Setti sul recupero della dismissione industriale si è individuata la metodologia di intervento tramite densificazione e rarefazione, applicate attraverso gli strumenti dell’innesto architettonico e della demolizione.

Il tema del clima urbano è scaturito da una riflessione sul consumo di suolo che incombe sul vicino ambiente parco, per poi approfondire la questione del costruire sul costruito e dell’uso della vegetazione come materiale fondamentale del progetto del comfort climatico urbano.

Il progetto dunque si sviluppa secondo tre step scalari.

Una strategia urbana, una locale e un approfondimento architettonico.

La strategia urbana propone di instaurare una connessione ecologica tra i parchi dell’Est di Milano, posizionati a Nord rispetto all’area, e la frangia di Parco Agricolo Sud. È realizzata mediante la creazione di un sistema di aree verdi collegate tramite percorsi pedonali e filari di alberi. La nuova trama del verde designa anche una nuova vocazione dell’area,

per la riappropriazione dei luoghi della città occupati dalle industrie.

La strategia locale indaga la creazione degli spazi urbani attraverso il rapporto tra pieni e vuoti. L’attenzione è quindi posta sulla determinazione della forma del vuoto mediante la riorganizzazione del suo limite, il costruito.

La densificazione e la rarefazione rappresentano il metodo con cui si sono generate una serie di azioni di recupero o demolizione, scandite in fasi temporali sulla base del grado di deterioramento del tessuto.

Il progetto architettonico affronta lo studio di uno spazio aperto a parco ricavato dalle demolizioni e dal recupero delle aeree residuali. I manufatti mantenuti invece sono riconvertiti tramite composizione di innesti.

L’innesto è la pratica architettonica adoperata per il consolidamento del tessuto costruito, poiché mira alla sua riconfigurazione attraverso sovrascritture e spostamenti di senso.

L’azione architettonica si basa sulla volontà di ricomporre una forma urbana chiara e riconoscibile. Le operazioni si riassumono nella realizzazione di un fronte per l’edificio della produzione creativa, e in spazi di connessione per l’edificio polifunzionale. Entrambi gli innesti rappresentano strutture di raccordo nel costruito.

In conclusione la tesi offre una metodologia di recupero e riqualificazione di un tessuto fragile, attraverso la ridefinizione formale dello spazio urbano nelle sue qualità elementari del rapporto misurato tra i pieni e il vuoto.

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SITI INTERNET http://www.ilgiornaledellefondazioni.com/content/riuso-e-trasformazioni-deglispazi-vocazione-culturale-e-creativahttps://blog.urbanfile.org/2019/12/09/milano-calvairate-lex-macello-di-vialemolise-una-citta-in-abbandono/ 123

INDICE DELLE IMMAGINI CAPITOLO UNO - LETTURE Fig. 1: Schama tracciati urbani| pag. 19; Fig. 2: Vista livello strada con sezione di piazzale Corvetto | pag. 20; Fig. 3: Vista livello strada con sezione di via Marocchetti | pag. 21; Fig. 4: Vista livello strada con sezione del cavalcavia Pontina | pag. 22; Fig. 5: Vista livello strada con sezione di piazza Minstral | pag. 23; Fig. 6: Schema limiti e soglie | pag. 25; Fig. 7: Schema di palinsesti dei piani urbanistici e la trama poderale | pag. 27; Fig. 8: Schema spazio costruito | pag. 29; Fig. 9: Schema fronti solidi | pag. 31; Fig. 10: Schema spazio aperto | pag. 33; Fig. 11: Schema spazio vegetale | pag. 35; Fig. 12: Schema isole di calore | pag. 37; Fig. 13: Schema rete mobilitĂ pubblica | pag. 43; Fig. 14: Schema funzioni nel quartiere | pag. 47; Fig. 15: Diagrammi a torta che esprimono gli usi temporali del quartiere | pag. 49; Fig. 16: Schema tassonomia edificato | pag. 51; Fig. 17: Schema patrimonio verde | pag. 53;

CAPITOLO DUE - STRATEGIA Fig. 18: Assonometria - Incremento della permeabilità , prima e dopo. | pag. 57; Fig. 19: Assonometria - Riciclo urbano, prima e dopo. | pag. 58; Fig. 20: Assonometria - Miglioramento clima urbano, prima e dopo | pag. 62; Fig. 21: Tessuto fragile | pag. 66; Fig. 22: Trama ecologica | pag. 66; Fig. 23: Fascia di recupero ambientale| pag. 67; Fig. 24: Riconnessione ecologica| pag. 67; Fig. 25: Assonometria - Rappresentazione fase uno | pag. 72; Fig. 26: Schema Cucitura vuoti | pag. 73; Fig. 27: Assonometria - Rappresentazione fase due | pag. 74; Fig. 28: Schema Coesione spaziale | pag. 75; Fig. 29: Assonometria - Rappresentazione fase tre | pag. 76; Fig. 30: Schema Valorizzazione del vuoto | pag. 77; Fig. 31: Assonometria - Rappresentazione fase quattro | pag. 78; Fig. 32: Schema Innesti architettonici | pag. 79; Fig. 33: Schema sitema locale| pag. 81; CAPITOLO TRE - PROGETTO Fig. 34: Sezioni stradali, prima e dopo l’intervento | pag. 87; Fig. 35: Rappresentazione assonometrica del progetto, con viste su strada.| pag. 91; Fig. 36: Planivolumetrico | pag. 95.

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