Il lavoro del paesaggio - Il paesaggio del lavoro. Le colline metallifere toscane

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Il lavoro del paesaggio - Il paesaggio del lavoro Le colline metallifere toscane - Italia

Francesca Ulivi Projet Personnel de Fin d’Études PPFE - CESP 2020-2021 Sous la direction de Mongi Hammami 10, rue du Maréchal-Joffre • Versailles

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INDICE DEI CONTENUTI Introduzione • Motivi alla base della scelta dell’argomento e del territorio • Interrogativi e posizionamento personale CAPITOLO 1 Immaginario e immersione nel paesaggio delle colline metallifere toscane • Storia, geografia e racconti • Mappatura, struttura dei luoghi e lettura dei paesaggi CAPITOLO 2 Il paesaggio del lavoro • Dinamiche culturali e pratiche economiche toscane • Ritratti di attori del territorio, testimonianze e visioni degli agricoltori CAPITOLO 3 Il lavoro del paesaggio • Il paesaggio lungo le sue rive - verso un nuovo equilibrio degli ecosistemi • Ricominciare dall’acqua: risorse, sfide della siccità e progetti futuri • Attraversare i corsi d’acqua dal mare fino alla cima delle colline CAPITOLO 4 Riparare, rinnovare, valorizzare - verso una nuova armatura paesaggistica Bibliografia Ringraziamenti

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INTRODUZIONE L’area presa in studio delle Colline Metallifere corrisponde approssimativamente all’Unità 16 del Piano Paesaggistico della Regione Toscana, che comprende i comuni di Campiglia Marittima (LI), Follonica (GR), Gavorrano (GR), Massa Marittima (GR), Monterotondo Marittimo (GR), Montieri (GR), Piombino (LI), Roccastrada (GR), San Vincenzo (LI), Sassetta (LI), Scarlino (GR) e Suvereto (LI). Le Colline Metallifere Toscane sono conosciute in tutto il mondo per la bellezza dei loro paesaggi e l’alta qualità della vita. Questi paesaggi, ancora in gran parte conservati, rimangono impressi nell’immaginazione di coloro che li hanno visitati come motivi cristallizzati, tratteggiati da sentieri fiancheggiati da cipressi. Oggi, la promozione della Toscana come destinazione turistica spesso alimenta ulteriormente questa visione superficiale del territorio. Si può constatare che le prime ricerche su Internet portano a siti che promuovono la «Toscana sweet Life». Spesso appaiono frasi come: «Toscana, una vita degna di essere vissuta» o «Toscana, dove la vita è bella». campi di grano e pascolo

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viale di cipressi


Da un certo punto di vista, non è un caso se il celebre affresco di Ambrogio Lorenzetti, proposto dal governo della città di Siena, «L’Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo» è preso come riferimento in tutto il mondo come rappresentazione del buon equilibrio tra città e campagna.

Dettaglio: Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo di Ambrogio Lorenzetti

Ma se ci si addentra nella storia del paesaggio delle colline metallifere: la storia dell’estrazione mineraria, della fatica della bonifica fino alle difficoltà economiche di oggi espresse dai sindacati e dagli agricoltori, questi paesaggi da cartolina assumono tutto un altro colore. Il territorio delle colline metallifere è un’entità particolare della Toscana, che ha conosciuto l’organizzazione delle campagne a mezzadria solo in una fase tardiva. Non ha visto la nascita di città importanti. Amministrativamente, rimase separato e diviso per molto tempo. Questo territorio ha conosciuto rapidamente la grande industria, plasmando ambienti e valori, comportamenti, speranze e illusioni (Rossano Pazzagli). Qui dominavano le terre incolte e la caccia, le paludi e la pesca, la malaria, la diffusa miseria sociale ed economica dovuta alla grande

concentrazione di appezzamenti nelle mani di pochi proprietari negligenti. Queste terre erano tradizionalmente assimilate a un mondo selvaggio senza la «luce» della città; terre raramente visitate dall’uomo se non direttamente interessato al loro sfruttamento. Terre dove gli uomini non vivevano per scelta ma per necessità. Terre senza uomini, che per secoli hanno attirato pastori, boscaioli, carbonai e poveri lavoratori in cerca di fortuna, provenienti dai lontani Appennini, dalla stessa Toscana o da altri paesi. (Rossano Pazzagli)

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La foresta densa e impenetrabile intorno a Montieri. La presenza di numerose aree protette e riserve naturali nel territorio accentua i contrasti tra la zona industrializzata e antropizzata e quella preservata : l’antitesi dell’equilibrio simboleggiato nel quadro di Ambrogio Lorenzetti.

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Follonica è una città molto giovane; la sua nascita coincide con la costruzione delle Reali e Imperiali Fonderie volute dai Leopoldo II di Toscana nel 1834. Lo sviluppo delle attività minerarie basate sull’estrazione e il trasporto della pirite in tutto il territorio limitrofo diede a Follonica un enorme incremento demografico, diventando la residenza di molti minatori immigrati in Maremma da varie regioni italiane. Il 22 febbraio 1960, la storica vocazione siderurgica della città finì, quando gli stabilimenti Ilva furono trasferiti alle acciaierie di Piombino.

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Il 27 aprile 1828, il Granduca Leopoldo II di Toscana emise un editto per la bonifica della Maremma a spese dello Stato. I lavori iniziarono alla fine del 1829 e furono impiegati circa 5.000 operai provenienti da varie parti della Toscana, da altri stati italiani e dall’estero.

Paesaggio derivante dalle campagne di risanamento intorno a Castiglione della Pescaia.

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Le tre valli delle Colline Metallifere Toscane (Val di Cornia, Val di Pecora, Val di Bruna) hanno rappresentato un importante distretto archeologico-metallurgico della Toscana, attivo per circa tre millenni, con tre momenti culminanti corrispondenti al periodo etrusco, romano e medievale, oggi valorizzato dall’opera del Parco Nazionale delle Colline Metallifere Tuscan Mining Geopark.

dalle pianure paludose, oggi in gran parte bonificate, dai villaggi di alta collina spesso chiamati marittimi (Massa Marittima, Campiglia Marittima, Monterotondo Marittimo ecc). Una vasta rete di fiumi e canali è sempre stata sfruttata per le attività minerarie e siderurgiche. Le sorgenti e i fluidi geotermici del sottosuolo sono sfruttati per la produzione di energia geotermica ad alta quota.

Questa antica attività metallurgica fu favorita dalla posizione strategica della zona, tra il distretto minerario delle colline metallifere a nord e il distretto dell’Elba a sud-ovest, così come dall’abbondanza di acqua, legno e materiali refrattari disponibili nella regione.

Seguendo un itinerario dal mare e dalla sua costa fino alle più alte quote dell’entroterra, ho esplorato, interrogato e studiato questi paesaggi lungo i corsi d’acqua, incontrando giovani agricoltori, allevatori, gestori di foreste e tecnici del controllo delle acque.

La chiusura delle attività minerarie ha gradualmente portato alla ripresa delle attività agricole e turistiche e, negli ultimi dieci anni, alla promozione di un modello economico basato sull’»innovazione ambientale, l’uso efficiente dei materiali e la valorizzazione del capitale naturale» (La strategia della green economy delle colline metallifere, Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile). All’interno delle tre valli, la presenza dell’acqua è significativa in tutte le sue forme. È questo un territorio segnato dal mare,

Resti dell’attività mineraria ai piedi delle Cornate

Fotografia proveniente dall’archivio comunale di Massa Marittima che mostra il lavoro quotidiano nelle miniere.

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A causa del cambiamento climatico e dello sfruttamento individuale dell’acqua, effettuato senza una gestione collettiva e globale, in questo territorio si è scatenata una grave siccità. Questa situazione di conseguente aridità richiede una presa di coscienza regionale e un’azione urgente su scala territoriale per valorizzare l’acqua come bene comune e fonte di vita, ricchezza e lavoro. Partendo dai problemi di gestione, dall’impegno degli attori del territorio e dalle alternative esistenti, un progetto di paesaggio diventa indispensabile per una possibile ripresa della buona salute delle colline metallifere.

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Come possiamo riparare, rinnovare e valorizzare il lavoro e le professioni attraverso un progetto di paesaggio? Quali pratiche potremmo considerare per un futuro sostenibile di questo territorio? Date le difficoltà economiche del territorio, come può un progetto di paesaggio accompagnare la creazione di nuove economie condivise? Gestione, acqua, siccità, lavoro e diversità dei paesaggi sono le linee di studio e di opportunità del mio progetto legato alla conclusione degli studi presso L’école nationale supérieure de paysage di Versailles.


Capitolo 1

IMMAGINARIO E IMMERSIONE NEL PAESAGGIO DELLE COLLINE METALLIFERE TOSCANE 11


golfo di Follonica fiume Pecora

Il territorio studiato comprende le colline metallifere in relazione alla pianura e alla costa. Si tratta di un’unità identificata sulla base di considerazioni di natura sistemica piuttosto che di omogeneità in relazione a una caratteristica (uso del suolo, morfologia, ecc.). Per questo motivo, il territorio studiato ha un carattere complesso e articolato, derivante da elementi e sistemi territoriali in relazione reciproca.

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Il territorio è diviso in tre valli. La Val di Cornia, la Val di Pecora e la Val di Bruna con i suoi tre fiumi. Comprende 12 comuni e raggiunge un’altezza di 1.052 metri. È un

grande territorio la cui diagonale più lunga misura 51 km. È strutturato intorno alla striscia di mare che abbraccia il Golfo di Follonica, chiuso alle estremità da promontori rocciosi. Il massiccio delle Colline Metallifere scende dolcemente a est, ma ad ovest presenta una linea di pendii ripidi con una marcata differenza di livello. Questo forma un «balcone» di fronte al mare: un elemento di grande valore paesaggistico ma anche una separazione fisica tra la zona costiera e l’entroterra, difficile da aggirare o attraversare con i presenti sistemi stradali.


Piombino

fiume Cornia

San Vincenzo

ALTITUDINE (m)

ABITANTI

I rilievi minori si distribuiscono tra le colline metallifere e il mare, dividendo chiaramente la zona in tre bacini principali (Cornia, Pecora e Bruna) e condizionando il sistema viario e insediativo. (Ambito 16, colline metallifere, piano paesaggistico regione Toscana)

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LA STRUTTURA DEL PAESAGGIO

La costa è principalmente sabbiosa, caratterizzata da complessi di dune, estese foreste di pini costieri e punteggiata da un sistema di torri di avvistamento.

Le strade trasversali sono di origine etrusca. Queste sono le strade che fornivano i collegamenti tra la costa e l’entroterra: la Strada Volterrana, che collegava Volterra alle colline metallifere e al centro costiero di Populonia attraverso la Val di Cornia; la Strada Massetana, già presente in epoca etrusca e consolidata in epoca romana (come Via Senesis), che collegava Manliana (Follonica) a Massa Marittima e Siena lungo la Val di Pecora, e la «Strada per il Tirreno» - presente ancora oggi. Il sistema insediativo (a forma di pettine a partire dall’Aurelia), storicamente strutturato lungo le valli penetranti, tende ad una crescente polarizzazione lungo la costa, con una progressiva erosione e frammentazione degli elementi naturali residui della pianura e della costa. (Ambito 16, colline metallifere, piano paesaggistico regione Toscana)

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Via Aurelia

Una rete di canali nella pianura; Questi furono costruiti a partire dalla seconda metà del XVIII secolo su terreni pianeggianti. Nel secolo successivo, furono presentati da Leopoldo II come parte di una «missione civilizzatrice». La «Via Aurelia», antica strada consolare romana, attraversa il territorio. Nel 1830, la strada Aurelia fu ricostruita come strada carrozzabile, ben fiancheggiata da file di pini domestici. Oggi, la strada è seguita dalla strada statale che collega Roma alla Francia lungo il mare. Il raddoppiamento della strada statale con la ferrovia ha contribuito alla formazione di un effettivo corridoio infrastrutturale.

La città di San Vincenzo è stata costruita a partire dagli anni ‘50 in seguito alla crescita del turismo di massa in Italia, che è diventato un elemento centrale della vita economica locale. Gli anni del boom economico videro il moltiplicarsi di stabilimenti balneari, villaggi, campeggi e altri servizi turistici. Questo sviluppo, concentrato in particolare sul modello dell’appartamento in affitto, continuò nei decenni successivi, entrando in conflitto con l’emergere della questione ambientale negli anni ‘70.

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CIELO, MARE E TERRA


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poggio di Montieri (1051 m) Massa Marittima Follonica fiume Pecora

fiume Cornia

Nella parte più interna, il Poggio di Montieri domina una copertura forestale estesa e compatta, interrotta da aree di pascolo a campi chiusi e, più raramente, da isole coltivate a oliveti o seminativi, in parte abbandonate e soggette a rapidi processi di ricolonizzazione arbustiva e arborea.

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Se confrontiamo i periodi di estrazione mineraria in epoca preistorica etrusca, romana e medievale, possiamo vedere che l’infrastruttura delle strade descritte precedentemente costituiva la spina dorsale stessa di questa attività. (Via Massetana). La tendenza a cancellare dalla memoria collettiva i mestieri minerari e metallurgici, cessati a Campiglia alla fine degli anni ‘70 e nella zona di Massa Marittima all’inizio degli anni ‘90, ed i drammatici interventi estrattivi, dal dopoguerra in poi, per estrarre il marmo bianco dalle cave, hanno reso ancora più complessa la gestione di questo patrimonio storico. La crisi del modello industriale, con il suo pesante carico di conseguenze sociali e ambientali, ci spinge a rileggere le caratteristiche originarie del territorio per comprenderne appieno le potenzialità, e tendere verso nuovi equilibri.

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Capitolo 2

IL PAESAGGIO DEL LAVORO Gennaro Giliberti

Silvia Scaramuzzi

Rossano Pazzagli

Claudio Cantini

Alessandra Casini

Per cominciare a comprendere le problematiche ed i bisogni del territorio in studio ho spedito ad una serie di conoscitori del territorio una lettera recante tre domande chiave. 1 Potrebbe dirmi cosa le piace o non le piace del suo territorio? 2 Se lei avesse una bacchetta magica, cosa farebbe per il territorio delle colline metallifere toscane e i suoi paesi? 3 Di fronte alle difficoltà socioeconomiche, quali nuovi lavori o sistemi agricoli prevede per i prossimi anni che possano migliorare la qualità della vita di tutti? Qui nelle seguenti pagine le loro risposte.

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Gennaro Giliberti Agronomo, dirigente produzioni agricole, vegetali e zootecniche, regione Toscana

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Risposta dI Gennaro Giliberti Gentile Francesca, Ringrazio la sempre accorta e sensibile Francesca Vierucci, per aver consentito a lei di mettersi in contatto con me, ma molto più per dare a me la possibilità di esprimere pensieri in libertà su una terra che amo da molto tempo. Colgo innanzitutto l’occasione per farle i complimenti per la sua bellissima lettera: impossibile non risponderle, ma soprattutto impossibile non rispondere in modo accurato. Ritengo abbia condensato in un paio di fogli di carta tutto il suo talento. Complimenti.

ciò non è un fine di per sé, ma appunto una conseguenza. Certo, imparando a “leggere” i paesaggi, e in particolare i paesaggi rurali (agrari e forestali), agevolmente si impara poi a riconoscere i fattori (sociali, climatici, pedologici, economici e addirittura politici) che hanno contribuito alla sua “costruzione”.

Gli struggenti paesaggi della Piana di Castiglione della Pescaia, con i girasoli a perdita d’occhio, incorniciati da filari di cipressi, ben presenti da una trentina d’anApprofitto poi per ringraziarla per l’idea ni, altro non sono se non il frutto (all’un tempo divertente e delicata) di farmi dell’applicazione delle misure della addirittura un ritratto. Non ne ho mai avuto PAC (Politica Agricola Comune), uno, ma questo – mi creda – lo terrò gelosache incentivavano la coltivazione mente. di questa oleaginosa (fino a quel momento presente più che altro Venendo all’oggetto della sua proposta, comincerei proprio dal titolo del suo progetto nel Nord-Est Europeo), attraverso di master “Il paesaggio del lavoro – il lavoro l’erogazione di un aiuto finanziario del paesaggio. Le colline metallifere tosagli agricoltori che si impegnavano cane”. Ecco, già qui lei traccia una demarcaa coltivarla. zione (e fa bene) tra un paesaggio collegato al lavoro (e quindi all’uomo) e uno invece più legato alla libera adesione ai fenomeni naturali (e quindi più scollegato dalle vicende umane). In questo volume fotografico, che realizzai alcuni anni fa, espressi nel titolo esattamente questo concetto: il paesaggio (rurale) è la resa visiva della “costruzione” del proprio luogo di lavoro (il territorio da coltivare e da vivere), operata dagli agricoltori. In sostanza, la mia tesi è che l’uomo coltivatore costruisce, modifica, sagoma un certo territorio, sostanzialmente per perseguire lo scopo economico dell’uso agricolo (e forestale) o il soddisfacimento dei propri bisogni vitali (abitare, divertirsi, muoversi, avere relazioni con altri individui). Il fatto poi che queste attività portino o meno un certo paesaggio a qualcosa di “gradevole” alla vista, o di apprezzabile sotto altri punti di vista (agrobiodiversità, sostenibilità ambientale, pacifica coesistenza, preservazione),

O ancora, la trasformazione tonale delle colline (medie, ma anche basse) della Maremma, passate dal marrone/verde/giallo/marrone dei cereali/foraggi al marrone/ verde/marrone della coltivazione della vite da vino, partita a seguito dei primi massicci investimenti di Zonin o di Banfi. Da agronomo, ho sempre ritenuto che l’idea di “progettare” un determinato paesaggio, come si potrebbe fare con un edificio, una piazza, un centro commerciale, una strada, sia un’idea assai suggestiva, ma destinata troppo spesso a liquefarsi: molte (troppe) ho assistito a drastiche trasformazioni di bellissimi paesaggi rurali, magari per una sterzata anomala del clima, o semplicemente per il mancato ricambio generazionale delle popolazioni agricole attive, o ancora per lo spostamento di aiuti pubblici da un regime di coltivazione ad un altro. 23


Ho sempre creduto invece (o, forse, caldamente sperato), che per progettare (o semplicemente mantenere) un determinato paesaggio, si dovesse intervenire su altri fattori, lasciando comunque sostanzialmente la libertà (e la convenienza) agli agricoltori di gestire (ancorché modellandolo) il proprio territorio, per assecondare determinate esigenze, prevalentemente tecnico-agronomiche. Anche qui, ho assistito invece molte (troppe) volte alla produzione di norme, regolamenti, vincoli, divieti, obblighi, ecc. che hanno portato a “ingabbiare” le scelte (e dunque l’intrapresa) degli agricoltori, con il pur nobile fine di preservare o mantenere un determinato paesaggio ad alto valore. Con il risultato di rendere talvolta i territori interessati meno (o per nulla) interessanti e convenienti da un punto di vista agricolo e forestale, con i puntuali fenomeni di abbandono, di svalutazione del patrimonio fondiario, di degrado. Mi rincuorano per questo le sue considerazioni finali della descrizione del suo progetto, quando allude al fatto che “...sono gli individui che trasformano concretamente il territorio e che i mezzi di azione delle persone coinvolte e le istituzioni esistenti e future fanno la materia di un progetto di paesaggio...”. Ritengo infine, come lei, che “il lavoro, la protezione e la valorizzazione dell’agrobiodiversità possono stimolare un progetto di paesaggio”, ma solo a condizione che vi siano le condizioni di sostenibilità, non solo ambientale e sociale, ma anche (e soprattutto) economica. Altrimenti, ogni pia intenzione rischia di infrangersi contro un calcolo, magari fatto con un lapis su un foglio a quadretti... Una lunga premessa, lo so, ma a mio avviso utile (spero) a meglio spiegare le risposte alle sue tre domande.

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Potrebbe dirmi cosa le piace o non le piace del suo territorio? Del mio territorio mi affascina la possibilità di intravederne la storia delle vicende umane del passato, guardando ad esempio il mosaico agricolo, le sistemazioni idraulico-agrarie, la gestione delle pendenze e dei versanti. Mi piace riuscire a spiegarne i segreti e gli espedienti escogitati dalle popolazioni che lo abitavano, dotati com’erano di scarsissima tecnologia, ma con uno spiccato senso pratico e inventiva. Adoro riuscire a capire il perché di una determinata maglia poderale, o della distribuzione di determinate coltivazioni, il perché del percorso di una strada o di un borro, la traiettoria di un’alberatura o di una siepe, il motivo della maggiore o minore modellazione collinare, i sistemi di deflusso e raccolta delle acque meteoriche, la scelta di determinati materiali da opera, i sesti degli impianti di certe coltivazioni arboree, i colori legati alla fenologia dei coltivi, la pluralità dei tipi di mobilità di certe aree, la mutabilità degli scorci.

Detesto invece i “non-luoghi”, quelli che non hanno motivo, che vengono subìti e non voluti dalle popolazioni che li abitano, quelli legati alle “mode” (la ri-ruralizzazione modaiola di certi borghi e villaggi rurali), quei territori “imposti”, dove qualcuno (molte volte lontano) ha deciso cosa fare e non fare, quelli che cambiano troppo in fretta, quelli che cancellano la storia precedente, quelli che rispondono a logiche speculative, alle scorciatoie, al “mordi e fuggi”...


Se lei avesse una bacchetta magica, cosa farebbe per il territorio delle colline metallifere toscane e i suoi paesi? Adotterei una serie “concreta” di azioni, perché il territorio delle colline metallifere toscane e i suoi villaggi possano rivitalizzarsi: - garantirei la banda ultra-larga più o meno ovunque (anche per consentire il ritorno – o l’ingresso - dei troppi lavoratori costretti ad affollare i centri urbani per banali motivazioni di vicinanza al luogo di lavoro; per consentire la formazione a distanza, l’assistenza sanitaria in remoto, il rapporto con le istituzioni, ecc.) - faciliterei l’integrazione delle popolazioni immigrate in questi luoghi, favorendo la loro conoscenza della cultura locale, ma stimolando anche la creazione di “mescole culturali”, che contaminino il locale con il globale - attrarrei figure iconiche e catalizzatrici (personaggi della cultura, organismi, istituzioni, intellettuali, inventori, creatori, artigiani, artisti), capaci di stimolare il coinvolgimento delle popolazioni locali su nuovi paradigmi economici e culturali, ma congrui con l’identità territoriale, paesaggistica e umana di quei luoghi - recupererei alcune attività identitarie del passato, per qualche motivo abbandonate, reinterpretandole con la tecnologia oggi disponibile e con essa consentendone la sostenibilità reddituale di chi intendesse lavorarci - recupererei e ristrutturerei gli edifici di maggior valore (agricoli e non) presenti nei villaggi e borghi, magari inventando ambientazioni e contaminazioni, o edificati o istallazioni moderne, ma sempre assai congrue e rispettose

artistica, ecc.) e di attrarre visitatori e appassionati da ogni parte del mondo - sistemerei il reticolo viario, con soluzioni tecniche a basso costo manutentivo Di fronte alle difficoltà socio-economiche, quali nuovi lavori o sistemi agricoli prevede per i prossimi anni che possano migliorare la qualità della vita di tutti? I nuovi lavori: - tutti quelli che possono essere condotti a distanza, tramite la rete, e che non richiedono la presenza fisica 5/5 - i vertical farmers, capaci di sfruttare l’energia endotermica, assai presente in queste aree, per rendere economicamente efficienti impianti di coltivazione fuori suolo (idro o aero-ponica, sotto serra) - gli imprenditori e gli addetti alla trasformazione agroalimentare (sia di origine animale che vegetale), anche se di piccole o piccolissime dimensioni, che confluiscano tuttavia in piattaforme logistiche e reti distributive tali da garantirne la remuneratività - gli hospitality manager territoriali che supportino le attrattive turistiche rurali (enoturismo, oleoturismo, agriturismo, ecc.) per l’organizzazione e la commercializzazione con formazione turistica - i realizzatori di sale organizzate per degustazioni digitali con attrezzature professionali per gli operatori

- istituirei festival e rassegne tematiche, capaci di coinvolgere le popolazioni locali nell’organizzazione, valorizzare l’offerta locale (ricettiva, enogastronomica, artigianale, 25


I sistemi agricoli: - nuove coltivazioni legnose agrarie (nocciola, mandorla, pistacchio, mirtilli e piccoli frutti) - nuove forme di coltivazione del bosco (ad es. per produzione di carbone da brace, certificata a zero impatto emissivo) - l’agroforestazione o l’agroselvicoltura, basate sull’ecologia forestale e agraria, che implementa le consociazioni tra specie arboree e agrarie con o senza allevamenti. Le pratiche agroforestali definiscono sistemi agricoli complessi da cui dipendono la produzione di beni essenziali e di servizi ecosistemici, ma anche il tessuto socioculturale dei territori rurali di cui i sistemi agroforestali delineano le peculiarità del paesaggio - il biologico, capace di abbinare all’immagine di un territorio incontaminato un percorso di sostenibilità ambientale e di basso impatto. Auspicabile a tal fine la costituzione di un bio-distretto riconosciuto dalla normativa regionale e nazionale.

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La saluto con una frase di Jean Giono, il cui “Lettera ai contadini sulla povertà e la pace” la invito a leggere. In questa frase, in quel “tutto, intorno a voi...” è racchiuso in modo mirabile ciò che io intendo per “paesaggio rurale”. “Quel che il sociale chiama povertà, per voi contadini è misura. Attualmente siete gli ultimi a poter vivere nobilmente con misura. E ciò vi dà una tale potenza che se accettate di vivere nella misura dell’uomo, tutto, intorno a voi, acquisirà la misura dell’uomo” (Jean Giono)


Rossano Pazzagli Storico, direttore del Centro di Ricerca per le Aree Interne e gli Appennini (ArIA) e del Centro Studi sul Turismo. Attualmente dirige la Scuola di Paesaggio ‘Emilio Sereni’ presso l’Istituto Alcide Cervi; è esponente della Società dei territorialisti.

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Risposta di Rossano Pazzagli aggio come patrimonio, cioè come risorse fondamentali e non riproducibili. Per questo occorre accompagnare i processi reali con attività di Il territorio delle Colline metallifere, che più tipo culturale, a partire dalla scuola propriamente in senso storico io chiamerei e dall’educazione al paesaggio: codell’Alta Maremma formata dalle valli del Pecora e del Cornia con qualche proiezione noscere, tutelare, promuovere (non verso il grossetano a sud e il pisano a nord, mi piace il termine ‘valorizzare’) è il frutto di un lunghissimo processo di terriè la filiera su cui fare educazione, torializzazione del quale l’agricoltura, la pasistruzione e formazione. torizia, le attività forestali e quelle minerarie Potrebbe dirmi cosa le piace o non le piace del territorio delle colline metallifere toscane?

sono state gli attori principali. La dimensione visibile di questo processo è un paesaggio articolato e complesso. La prima cosa che mi piace è la sua varietà, il mosaico di boschi e coltivi, la punteggiatura dei paesi, gli aspetti naturali della vegetazione e delle acque. Non mi piace la più recente semplificazione del paesaggio, collegata all’esodo rurale della seconda metà del ‘900, all’abbandono della terra e dei paesi. Non mi piace neanche l’invasività delle cave sul Monte Calvi e degli impianti geotermici dell’interno. Si tratta di attività tradizionali, legate alle vocazioni dei territori, ma che avrebbero dovuto essere condotte con maggior rispetto paesaggistico e ambientale. Se lei avesse una bacchetta magica, cosa farebbe per il territorio delle colline metallifere toscane e i suoi paesi?

La bacchetta magica è sempre un’illusione, ma a volte anche le illusioni muovono la storia. Rilancerei l’agricoltura e l’allevamento privilegiando le produzioni di qualità, riabiterei i paesi, eliminerei o renderei compatibili le attività impattanti sull’ambiente. In parte ciò sta già avvenendo. Ma è necessario creare una coscienza di luogo, una consapevolezza dell’importanza del territorio e del paes28

Difendere o riportare i servizi nei paesi – come scuola, sanità, trasporti pubblici – è essenziale per riabitare i paesi e riabitare il paesaggio. Di fronte alle difficoltà socio-economiche, quali nuovi lavori o sistemi agricoli prevede per i prossimi anni che possano migliorare la qualità della vita di tutti? La pandemia ha reso ancora più evidente l’insostenibilità del modello basato sulla crescita economica, la concentrazione urbana e l’aumento dei consumi. La rigenerazione dei paesi e delle campagne deve avvenire seguendo modelli diversi da quello che li ha marginalizzati. Dunque un’agricoltura contadina da privilegiare su quella industriale, un sistema colturale non specializzato che rispetti le vocazioni dei luoghi e del clima. Produzioni locali legate a filiere corte (colte) o lunghe, ma sempre consapevoli. Ciò passa anche attraverso una nuova educazione alimentare, mossa dal motto “che paesaggio hai nel piatto?” Arrivare al paesaggio attraverso il cibo e le sue filiere è un modo per dare concretezza al senso di appartenenza al paesaggio, condizione essenziale per conoscerlo e tutelarlo. L’agricoltura biologica e biodinamica, l’allevamento non intensivo integrato alle aziende agricole, il recupero di pratiche e culture tradizionali a partire dai cerali, dall’olio d’oliva e dal vino, la salvaguardia della biodiversità, l’utilizzo dolce del patrimonio forestale, lo sviluppo della cooperazione tra aziende e tra istituzioni locali, sono a mio avviso le vie da seguire.


Una nota:

Questo territorio non può essere visto in modo isolato, come perimetro chiuso e ben definito. Non è possibile ragionare della condizione e dello sviluppo di questi comuni senza considerare il loro legame col mare (Piombino e Follonica in primis). Tutti fanno parte di una regione più vasta che storicamente ha funzionato meglio di adesso: quell’Alta Maremma costituita da un triangolo di territorio che ha i suoi vertici in Volterra, Rosignano e Scarlino. In questo senso la sua ricerca pone un problema importante: quello di un riorientamento delle gravitazioni e dei flussi tra la costa e l’entroterra, contro un sistema che invece nel corso del ‘900 si è orientato quasi esclusivamente in senso longitudinale, privilegiando la costa e marginalizzando l’interno.

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Alessandra Casini Direttrice del Parco Nazionale delle Colline Metallifere Grossetane

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Risposta di Alessandra Casini Potrebbe dirmi cosa le piace o non le piace del suo territorio? Di questo territorio la cosa che mi piace è la bellezza e la sua complessità. Sia la complessità da un punto di vista naturalistico che geologico : quello che mi permette di capire come dai terremoti di 200 milioni di anni fa, si siano formati il mare e le montagne più alte, che sono praticamente le barriere coralline di milioni e milioni di anni fa. In secondo luogo mi piace la complessità della formazione delle risorse minerarie : come si sono formati questi giacimenti e come l’uomo fin da epoche antichissime gli ha cercati, sfruttati lasciando delle testimonianze incredibili. Mi piace l’interpretazione eno-gastronomica quindi i cibi del nostro territorio. Mi piacciono tantissimo le testimonianze storiche artistiche ed in particolare il coraggio di alcuni imprenditori agricoli vitivinicoli per esempio. Per me il vino è un prodotto culturale meraviglioso legato anche a delle divinità del mondo antico come Bacco. Io vedo i paesaggi in maniera dinamica; non possono rimanere fossilizzati nella loro bellezza fine a se stessa. In questi anni ho apprezzato imprenditori studiare nuove colture. Perché uno potrebbe dire «qui in toscana c’è il San Giovese» ; ma il San Giovese ce l’avrà portato qualcuno! Quindi in realtà la sperimentazione di altri vitigni a me piace molto.

Mi piace che l’uomo sfidi la natura e cerchi di trovare il buono, una cosa buona. Questo mi piace molto. Cosa non mi piace del mio territorio? Non mi piace la poca visione che hanno gli amministratori di questo territorio. Non mi piace la sciatteria in cui gli abitanti sono abituati a vivere. Borghi bellissimi che però hanno delle parti mantenute malissimo con cemento, plastica; per esempio i tubi del gabinetto al posto delle capitoie di rame.

Non mi piace la poca cura che culturalmente ha il maremmano del proprio territorio. Trovo i maremmani persone ospitali però anche persone poco sensibili a certi aspetti e ad un amore per il proprio territorio che invece io auspicherei. C’è un giornalista che si chiama Andrea Semplici, che ha detto questa frase “la maremma è una bella donna spettinata”. É vero. È così. È bellissima ma poco curata. E chi se non noi stessi abitanti la dovrebbero curare? Con il parco stiamo cercando di fare venire intorno a noi invece le persone che ci tengono e lo sai che sono principalmente persone che vengono da fuori? Un maremmano che ha il suo orto e che mette come cancello le sue reti del letto pensa di avere risparmiato i soldi del cancello. Per lui è normale. Quindi c’è una mancanza di cultura. Come quando per sistemare una strada bianca o un acciottolato di un paese dismesso ci buttano una colata di cemento, diversamente da come avviene in Francia, in altre parti d’Italia, in Trentino ma come nella stessa Siena. Questo non lo sopporto più. Ci sono delle chicche. Ti porterò a Caldana. C’è il centro meraviglioso sepolto dalle cacche di piccione. Se ogni abitante di caldana pulisse i tre metri davanti a casa sua probabilmente non ci sarebbero. Ed i caldani sono innamorati del loro paese! E poi quando parlano di valorizzazione non vedono le magagne, vedono solo il bello.

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Un’altra cosa che non mi piace è che i comuni non riescono a lavorare insieme; ogni comune fa da se. Essere in sistema secondo loro vuol dire cercare di carpire di più rispetto all’altro. Invece il territorio dovrebbe essere visto in maniera unitaria. Tuttavia penso questo sia uno dei territori più interessanti, meravigliosi e misteriosi d’Europa, dove la lettura del paesaggio permette di capire il passato in maniera meravigliosa. Molti territori sono così però qui c’è una complessità ed una natura bellissima. Abbiamo un concentrato meraviglioso. Sei lei avesse la bacchetta magica cosa farebbe per il territorio delle colline metallifere toscane ed i suoi paesi? Sistemerei il problema del ciclo dei rifiuti perché non tutti i comuni sono allo stesso stadio di avanzamento e quindi cercherei di uniformare. Siamo un po inondati dai rifiuti. Cercherei anche di fare un’azione culturale per mantenere pulito. Soprattutto per rifiuti di cantiere, rifiuti pesanti, gomme, insomma tutta una serie di schifezze che troviamo ancora nei nostri boschi.

Un’altra cosa che vorrei è fare innamorare le persone del proprio territorio. Fare capire alle persone che fuori dal tuo giardino non è di nessuno; è tuo e di tutti. Quindi educazione civica. Sviluppare un’economia che c’è, che sia sostenibile: un’economia turistica che non sia solo di agosto ma che sia di tutto l’anno. Magari rinunciare al full, l’extra Booking di Agosto per avere un po più di richieste a Giugno e Settembre. E poi fare dialogare le amministrazioni non per finta, per davvero, e con il dialogo creare una strategia a lungo periodo. Se tu domandi ad un

sindaco qualsiasi del territorio: “come vede questo territorio tra dieci anni?,” io dubito che sappia rispondere senza dire cose impos32

sibili. Quindi un amore per il territorio ed una voglia di fare che sia determinata da una visione futura. Bisognerebbe essere un po più visionari. Invece qui abbiamo sempre più territori che si chiudono e sono autoreferenziali. Ecco abbandonare l’autoreferenzialità! Avessi la bacchetta magica abolirei il termine autoreferenzialità dal vocabolario italiano. Di fronte alle difficoltà socio-economiche, quali nuovi lavori o sistemi agricoli prevede per i prossimi anni che possano migliorare la qualità della vita di tutti? Questa è una bellissima domanda sulla quale stiamo lavorando. Io penso che in territori come il nostro (aree interne lontane da centri abitati multi-servizio) la risposta sia la parola diffuso, abbinata a qualsiasi attività economica. Ad esempio turismo diffuso ed anche perché no industria diffusa. Perché pensare ad un’industria inquinante, tutta in un posto? Intanto non tutta l’industria è inquinante, c’è un’industria green, un’industria high-tech, e ci sono delle industrie digitali. Dotarsi di una mera e buona infrastruttura digitale significa anche attirare un tipo di produzione che può essere diffusa su un territorio, quindi non concentrata in un posto, non inquinante e gravante su un unico posto, ma spalmata su tutto il territorio. Un’altra attività socioeconomica che qui potrebbe dare ricchezza alle famiglie è l’agricoltura di qualità - un’agricoltura di retro innovazione, che consumi meno acqua. Immagino un modello che vada avanti in maniera dinamica, sfruttando i vecchi oliveti, le colture tradizionali, i grani antichi, il recupero di vecchi frutti dimenticati, ma anche la spirulina. Mi immagino un modello che rispetti le regole della natura combinandole con l’high tech.


Mi piace pensare alle cose tradizionali che fanno parte della nostra cultura; noi siamo in effetti un punto di arrivo di tanti anni di storia. Stravolgere il territorio come fanno i colonialisti che arrivano qui con un modello che non era stato pensato per il nostro territorio mi lascia un po interdetta come le grande serre idroponiche. Qui ce ne è una enorme, però io su questa tipologia di sviluppo ho qualche remora, anche culturale.

Il sistema agricolo di retro-innovazione è il sistema più adatto a questo territorio per produrre cose di grande qualità; non soltanto materie prime agricole ma anche trasformati come paste, biscotti, dolci, pestati, sughi, succhi di frutta: tutti trasformati che geo food si impegna a valorizzare.

di più. Stare aperto di più significa non prendere soltanto gli stagionali magari mezzi in nero. Vuol dire prendere persone per lavorare tutto l’anno magari a tempo determinato - ecco significa giustizia sociale. Credo dunque che queste siano le tre grandi direttrici importanti: un’agricoltura di qualità, un industria che si mette in gioco per diminuire il suo impatto ambientale ed un turismo consapevole, che non sia solo quello del mare. * trascrizione di un’intervista

Mi immagino inoltre un’economia basata sul turismo. Attualmente abbiamo un sistema che ci permette di misurare le emissioni di CO2 di un certo pacchetto turistico. Ci siamo impegnati in un progetto che si chiama Destinet, mirato a diminuire gli sprechi, lavorando sulle porzioni dei pasti, limitando i transfert con la macchina, o proponendo dei transfert in bicicletta come azioni turistiche. Mi immagino un turismo culturale, che narri questi luoghi, le storie umane e quelle della natura. Oggi sappiamo che in questo territorio annualmente sfruttiamo il 17 % dei posti letto che abbiamo. Se mi dicono «bisogna costruire altri parcheggi ed altri alberghi», io penso “magari forse no. Magari bisogna lavorare su altri periodi dell’anno”. Per esempio l’outdoor lo fai meglio in ottobre non certo ad agosto.

C’è anche un problema culturale perché chi è abituato a stare aperto a giugno, luglio, agosto e poi chiudere, perché ha già guadagnato per tutto l’anno, dovrebbe stare aperto 33


Claudio Cantini Agronomo, Tecnologo, attualmente incaricato presso la sede di Follonica dell’IBE CNR denominata Azienda Agraria Sperimentale “Santa Paolina”

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Risposta di Claudio Cantini Potrebbe dirmi cosa le piace o non le piace del suo territorio? La parte del territorio che mi piace di più è senz’altro quella meno antropizzata, quindi quella più interna rispetto a quella costiera. Mi piace questo territorio dal punto di vista orografico e del clima:

Non è semplice nel mondo trovare delle zone che abbiano un clima così mite, con un inverno che si fa sentire ed un’estate non troppo calda. Una presenza di colline anche molto alte, con i castagneti ed il fresco d’estate e la presenza di spiagge, scogliere e mare. Quindi dal punto di vista climatico il territorio è favoloso mentre dal punto di vista dell’antropizzazione, tutto ciò che era bello e che è ancora bello sulla costa purtroppo è stato preso d’assalto. E’ stato preso d’assalto negli anni 60’ con le costruzioni che non hanno salvaguardato le parti più belle o gran parte delle parti più belle, ad esempio del golfo di Follonica, ed hanno invece per fortuna salvaguardato, ma per abbandono, le parti interne. Le popolazioni naturalmente si sono spostate verso la costa per venire a lavorare alle acciaierie di Piombino e al polo industriale di Scarlino, dove c’era il polo chimico, e nell’entroterra erano rimaste in funzione solo le miniere che poi sono state operative fino ad i primi anni 90 se non ricordo male. Questo progressivo abbandono delle aree interne in realtà ha fatto rimanere un po più selvaggia la parte interna. Quindi quello che mi piace è senz’altro tutto ciò che è stato meno toccato dall’uomo nelle epoche più recenti e quello che mi piace meno è tutto quello che l’uomo ha toccato senza uno sguardo a lungo termine creando una forte antropizzazione della costa con uno sviluppo selvaggio degli abitati dagli anni 60 agli anni 80 e una poca attenzione nella salvaguardia dei terreni agricoli.

È questo quindi un territorio che è molto bello dal punto di vista naturale e che purtroppo è rimasto bello solo dove l’uomo è intervenuto meno. Esistono poi dei processi post-industriali che andrebbero rivisti. Ad esempio ci sono quelle che sono state le industrie fondamentali nel nostro territorio, che avevano aggredito qualche parte della costa, delle parti interne e così via, ed hanno creato dei cambiamenti dal punto di vista strutturale spesso mai più rimarginati. Per esempio nella pianura di Follonica che va verso Scarlino c’è tutta la zona industriale che aveva invaso la zona umida. Lì purtroppo andrebbe fatto un intervento molto importante di re-naturalizzazione e di salvaguardia, che era stato incominciato con un bando della regione toscana parecchi anni fa, ma che poi è stato abbandonato.

La stessa cosa è visibile nella zona industriale di Scarlino, così come nel polo di Piombino verso la costa che aveva occupato quello che si chiamava «il ponte d’oro»: una delle zone più belle del golfo di Follonica. Purtroppo se si fa una passeggiata con i piedi nell’acqua sembra di essere ai Caraibi e poi se uno si volta vede tutta questa zona industriale che aveva invaso l’entroterra e che ora è semi abbandonata.

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Lì servirebbero delle operazioni che non sono indifferenti. Abbiamo anche per esempio la ex centrale termoelettrica di torre del sale che andava con il petrolio insomma, e anche quella zona lì è una zona umida molto bella con un’oasi del WWF.

Ecco questi contrasti dovrebbero essere ammortizzati o fatti sparire, lasciando magari solo certe note, per fare vedere quello che è successo. In parte lo stanno facendo ad esempio con le ex miniere a Gavorrano. Stanno facendo delle azioni di recupero ad esempio dei vecchi pozzi. Questi sono senz’altro interventi interessanti che lasciano visibili le strutture industriali che sono belle da vedersi, e che sono capaci di integrarsi adesso con il territoiro. Se si riqualificassero adesso le zone delle discariche, dove una volta venivano buttati gli scarti, ecco che queste strutture un po strane potrebbero diventare fruibili da parte nostra. Ci dovrebbe essere una maggiore integrazione tra il recupero delle zone dove queste industrie scaricavano e ciò che rimane dell’industria che invece può rimanere a scopo museale. Se lei avesse una bacchetta magica, cosa farebbe per il territorio delle colline metallifere toscane e i suoi paesi?

Con la bacchetta magica probabilmente si farebbero grandi errori perché l’uomo qui ha fatto errori soltanto dove ha messo la bacchetta magica, che è stato quello di creare una industria dove non c’era e così via. Tutta la parte interna soffre ancora per quelle che sono per esempio le limitazioni nella viabilità, che però ha fatto la loro fortuna. Partire dalla costa e raggiungere oggi Siena o Colle di Val d’Elsa vuol dire affrontare 36

un’ora e mezza di strade piene di curve. Questa è stata proprio la fortuna di questo territorio: il fatto di non avere una forte viabilità che poi l’ha preservato dal flusso turistico per esempio. Sono andato molto recentemente in moto a visitare delle zone interne che vanno verso San Gimignano. Bisogna andarci apposta; prendere una cartina e dire adesso voglio provare a fare questa strada perché altrimenti non c’è quasi nulla. Ecco questa è la fortuna di queste zone: la difficile viabilità, che in fondo ha bloccato quella che poteva essere un’ulteriore espansione. Quando per esempio hanno cercato nei comuni interni di creare dei poli, penso a Monterotondo dove ad un certo punto hanno creato un polo dove volevano fare il riciclaggio di materiale organico, si sono subito scontrati con la realtà. Gli autotreni per recarsi laggiù perdevano ore e ore. Si tratta spesso di interventi per i quali utilizzano soldi pubblici e poi chiudono tutto ecco. E’ molto difficile ipotizzare una nuova vita per quei territori, perché le popolazioni che ci vivevano avevano una mucca, due capre, dieci olivi e con quelle sopravvivevano. Oggi è impensabile riproporre nelle nostre zone interne una vita prima dell’industrializzazione dove le popolazioni vivevano tendenzialmente tagliando il bosco e quindi vendendo legna, facendo carbone, facendo un po di allevamento di animali e pochissima agricoltura in realtà, perché i campi soprattutto nelle zone collinari erano tutti piccolissimi. Era una agricoltura di sussistenza, di sopravvivenza, alimentata in gran parte con la castagna. Ecco che quindi l’industrializzazione che è venuta nel dopo guerra in realtà aveva rivitalizzato la socializzazione dei paesi; aveva fatto si che le persone abitassero questi paesi, che rimettessero a posto le case.


Poi piano piano c’è stato lo spostamento verso la costa e l’abbandono di questi paesi che hanno visto negli ultimi anni arrivare molte persone da paesi esterni, ad esempio per i tagli dei boschi. Sono delle popolazioni che abitano in questi paesi, provenienti prevalentemente dai paesi dell’est; che fanno una vita quasi indipendente da quella del paese, nel senso che sono presenti nei territori interni ma sono quasi come delle comunità parzialmente chiuse.

Lo spopolamento ha portato via i servizi, le scuole, gli asili e molti negozi. E’ rimasta praticamente solo una bottega per ogni paese. Spesso è rimasto solo un bar. Ecco che quindi probabilmente la bacchetta magica sarebbe veramente difficile da mettere su questi territori.

Senz’altro ci possono essere delle occasioni. Ad esempio oltre quindici anni fa avevo letto di una di queste prime esperienze di alberghi diffusi. Al tempo non sapeVengono il venerdì, che è festa per esempio vano nemmeno di cosa io stessi per i mussulmani, quando a Follonica c’è il parlando ed è una cosa che potremercato. Sono tutte persone che hanno dei bbe rivitalizzare un pochino questi bambini, tra i pochi bambini che sono rimasti paesi ma in realtà la problematica nei paesi, e delle famiglie giovani. Altrimenti la maggior parte di questi paesi sono abitati è che in gran parte di questi paeda vecchi. Mentre in passato d’estate i paesi si interni, purtroppo, le case sono si ripopolavano un po, adesso stentano a molto vecchie. Pensare che una ripopolarsi perché le persone preferiscofamiglia si metta a ristrutturare no andare all’estero. Ora forse con il covid degli appartamenti che magari aphanno rivissuto un po di spinta, ma in realtà partenevano ai nonni o ai bisnonni, quello che manca comunque sono le inspendendoci centinaia o migliaia frastrutture. di euro oggi è impensabile perché Se uno prende l’auto e comincia a muoversi nell’interno ad un certo punto il segnale il valore immobiliare di quegli edisul cellulare sparisce. Ecco che quindi se fici non sarà mai pari alle spese, avessi la bacchetta magica penserei ad una o comunque sul mercato non ragnuova fruizione dei territori in cui le copergiungeranno mai le spese che uno ture dei cellulari e la copertura di internet ci potrebbe impiegare. dovrebbero essere accelerate. Non ho una grande speranza che ci possa essere una nuova popolazione che vada a rivivere questi territori come erano vissuti in passato, perché sono territori difficili. Nessun ragazzo verrà mai qui ad allevare le capre. Si legge della ragazza che si rimette a fare il formaggio ma sono esempi che vanno bene per il giornale perchè poi viverlo veramente è difficile perché vuol dire confrontarsi con una vita che non è paragonabile a quella che abbiamo noi oggi.

Ecco che quindi forse l’operazione che potrebbe essere fatta è quella di favorire dei nuovi interventi edilizi in queste zone, dando la possibilità di operare delle ristrutturazioni in modo da dare le case in affitto o a giovani coppie o a chi lavora a distanza. Un ragazzo che lavora al computer o in ambito artistico potrebbe lavorare qui però avrebbe bisogno di trovare dei negozi, delle strutture e possibilmente dovrebbe spendere poco. C’è bisogno di ricreare collegamenti e strutture che oggi potrebbero anche essere viste in maniera diversa dal passato.

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Invece la parte agricola e forestale ha senz’altro delle qualità. Ecco che quindi ad esempio l’agriturismo, il turismo e la creazione di prodotti agricoli di un certo tipo potrebbero trovare delle nicchie molto vantaggiose. Il problema è sociale nel senso che dovrebbero essere aiutate le persone che lo vorrebbero fare e purtroppo oggi ci si scontra con tante difficoltà oggettive.

Ad esempio, se una ragazza volesse riprendere l’attività che era del nonno, rimettere a posto la casa e ricominciare a coltivare dei piccoli campi per farci dei prodotti di alta qualità e fare un agriturismo questo implica purtroppo degli investimenti economici che non sono alla portata di tutti. Ecco che quindi poi alla fine chi davvero fa queste operazioni sono delle persone che hanno molte possibilità economiche e che arrivano in questi territori, acquistano e poi fanno questi interventi. Altrimenti è difficile che le famiglie di qui riescano a fare questo. Purtroppo da questo punto di vista c’è poco da inventare. Di fronte alle difficoltà socio-economiche, quali nuovi lavori o sistemi agricoli prevede per i prossimi anni che possano migliorare la qualità della vita di tutti? Senz’altro ci può essere qualcosa. Però quello che vedo veramente è la difficoltà. Per esempio, per quanto riguarda la coltivazione del castagno, che una volta riguardava moltissimi ettari della parte interna delle colline metallifere: dalle colline che guardano il mare quindi a Scarlino a quelle dell’Elba e tutta la parte interna nostra. Una volta c’erano delle popolazioni che coltivavano il castagno e con la farina di castagne sopravvivevano durante l’inverno e così via. Ecco, questa sarebbe ancora una coltura possi38

bile. Il problema è che questa presuppone un tipo di vita ed una concezione della vita che è molto romantica, molto bella quando uno ne sente parlare ma che poi è molto difficile da vivere.

Non vedo molte persone delle nuove generazioni che sarebbero in grado di fare dei sacrifici; che una volta non erano sacrifici, era la vita. La vita era in quel modo. Non è che uno andava in ferie, andava all’estero... Aveva gli animali e purtroppo doveva sempre stare dietro agli animali. Se c’era da coltivare il castagno c’era da potare il castagno, andavano raccolte le castagne, bisognava farle seccare e così via. Ci sono naturalmente degli interventi che dal punto di vista tecnico si possono fare. Noi per esempio del CNR portiamo avanti molti progetti all’interno delle colline metallifere su quello che può essere il miglioramento delle filiere agroalimentari, su quello che può portare innovazione all’interno dei sistemi di produzione, però poi alla fine al centro di tutto rimane l’uomo e quindi se l’uomo non ritorna ad avere dei ritmi diversi non ce la potremo mai fare. Parlavo recentemente con un mio amico, un medico, che ha un agriturismo sul lago di Como: una zona molto antropizzata. Lui ha un agriturismo con la moglie. E’ una vita difficile, perché alle 5 e mezza del mattino uno di loro si alza per andare ad accendere le luci, per prendere le uova dei polli, poi pulisce, poi passa ad innaffiare l’orto, poi raccoglie la roba e poi va al lavoro perché con quel lavoro lì non si sopravvive; quindi va in ospedale a lavorare e quando finisce il turno in ospedale ricomincia a lavorare con il maiale da pulire, gli operai e l’agriturismo da gestire, i nuovi bicchieri da acquistare...


Oggi senz’altro c’è la possibilità rispetto al passato di staccare. Oggi uno può dire “sono stato tutto l’anno a Monterotondo a coltivare ora prendo l’aereo e me ne vado tre settimane in Australia”. Certo questo è diverso rispetto al passato però sono strutture di vita che veramente vedo difficili da cambiare.

Sicuramente il bosco come è stato nell’antichità rimarrà sempre una delle poche possibilità economiche dell’entroterra. Abbiamo migliaia e migliaia di ettari di bosco e l’utilizzazione di una risorsa rinnovabile come quella del bosco rimane senz’altro una possibilità per il territorio. Però anche questi sono lavori molto difficili e molto faticosi che presuppongono, secondo me, da una parte l’apporto sempre di persone che hanno bisogno di fare quel tipo di lavoro e che richiederebbe un salto dal punto di vista tecnologico che qui non sarebbe molto consentito dalla nostra orografia.

la macchia mediterranea richiede comunque un rinnovo periodico. Questo fa si che si formino sempre delle vegetazioni sulle quali abbiamo una parte giovanile che va in frutto, produce bacche che attirano animali, uccelli e così via. E poi si tratta di specie che se tendono ad invecchiare troppo tendono a far sparire ciò che c’è sotto e quindi fin dall’epoca antica la macchia mediterranea viene gestita con tagli periodici. La foresta invecchiata della macchia mediterranea in realtà comporta quindi un’abbassamento delle specie che ci vivono. In questa maniera permane l’alto fusto e sotto non ci rimane niente. * trascrizione di un’intervista

Qui non siamo nelle foreste americane dove un solo operatore con una macchina può prendere la pianta, tagliarla, segarla a pezzi e caricarla. Una sola persona negli Stati Uniti o nel nord d’Europa può fare così decine e decine di ettari. Qui gli interventi sono fatti con macchinari piccoli e molte volte gli interventi sono manuali. La macchia mediterranea non ha niente a che vedere con la foresta di altre specie come dell’abete; quindi rimarrà sempre qualche cosa difficile da trattare. Il nostro bosco richiede la scelta delle piante da lasciare che si chiamano “matricine”. Ecco quindi che l’intervento nel bosco deve quindi presupporre una visione da parte di chi taglia. Il nostro bosco è un bosco da taglio, perché 39


Silvia Scaramuzzi Professore di economia ed estimo rurale, Università degli Studi di Firenze

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Risposta di Silvia Scaramuzzi Potrebbe dirmi cosa le piace o non le piace del suo territorio? Sicuramente è un territorio molto diversificato in termini di risorse. Quando faccio un’analisi dei territori cerco sempre di capire quale sia il suo capitale bio-culturale: quindi quale sia il suo capitale in termini economici, in termini culturali, in termini ambientali e in termini sociali. Devo dire che questo territorio offre moltissimo ed è molto diverso da quello che noi percepiamo comunemente come Toscana che riferiamo al Chianti.

Quello che a me piace di questo territorio è che è diverso rispetto a tante altre aree della Toscana e questa sua diversità ha grandi potenzialità. Potenzialità che però trovano dei limiti nelle capacità spesso non sufficienti a livello territoriale di trasformare queste risorse. Innanzitutto non c’è un sufficiente orgoglio e consapevolezza tra gli attori locali di quelli che sono i valori associati a questo territorio. Mi piace che ci siano molti capitali differenziati e non mi piace il fatto che gli abitanti e gli attori di questo territorio non abbiano una sufficiente consapevolezza del valore e di come mettersi in rete per poi promuovere queste risorse. In realtà molto si muove ma poco si percepisce dall’esterno di ciò che si sta muovendo; ci sono molte azioni di breve durata non coordinate e quindi poco percepite dall’esterno. Nonostante le risorse straordinarie, basta pensare all’ambiente - quindi mare, collina, le aree quasi di montagna presenti sul territorio, i numerosi borghi ed una storia millenaria, spesso vediamo ancora una fruizione che è poco consapevole di questi valori. Vediamo ancora un turismo di massa

soprattutto nella parte costiera e nell’entroterra assistiamo ad uno scarsissimo sviluppo economico. Abbiamo quindi ancora un forte contrasto in termini di sviluppo tra le aree costiere e quelle anche subito nell’entroterra. Lo dico per diretta esperienza, perché ho sviluppato negli ultimi anni un progetto che ha avuto grandissimo successo nell’area dei colli Pisani tra Livorno e Pisa, ma sono rimasta molto colpita per il suo ritardo di sviluppo. In questa zona abbiamo sviluppato, grazie ai finanziamenti della regione Toscana, una nuova filiera basata sulla valorizzazione di colture officinali ed in particolare di piante di lavanda, timo e rosmarino ad uso cosmetico che sono andate a sostituire delle colture tradizionali di grano, con colture a basso impatto ambientale e soprattutto valorizzate attraverso l’estrazione di oli essenziali. Straordinariamente nel giro di cinque anni questo territorio ha avuto un appeal straordinario ed è stato nominato zona turistica 2020. Si è così sviluppata una rete di relazioni economiche e sociali sul territorio che hanno permesso di finanziare tutta una serie di imprese agricole ed aziende di trasformazione e di sviluppare un piano di promozione del territorio verso l’esterno attraverso una piattaforma digitale: un sito di promozione delle risorse del territorio archeologiche, storiche, naturali e culturali che sono state identificate. Abbiamo quindi avuto uno sviluppo di una nuova filiera, una nuova identità del territorio collegata molto al benessere attraverso tutta una serie di incontri e processi partecipati in cui molti soggetti partecipavano per identificare un obiettivo comune di sviluppo per poi veicolarlo all’esterno con un’identità condivisa. Un progetto in cui il concetto di benessere è visto a livello multidisciplinare e sotto aspetti diversi.

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Se lei avesse una bacchetta magica, cosa farebbe per il territorio delle colline metallifere toscane e i suoi paesi? Innanzitutto opererei un’identificazione di tutti questi capitali esistenti (le risorse del territorio) attraverso una serie di incontri in cui si condividono dal basso verso l’alto, con gli attori e tra gli attori quelle che possono essere sia le risorse ma anche gli obiettivi strategici di sviluppo che loro sentono di volere. Innanzitutto ci vuole una condivisione. I progetti dall’alto verso il basso hanno sempre una scarsa sostenibilità; sono spesso i progetti che io chiamo mordi e fuggi con consulenti che arrivano dall’esterno, che cercano di intercettare delle risorse economiche, stanno sul posto sei mesi, fanno una grande confusione, gli attori locali ci credono, e poi ci rimangono male perché queste persone richiedono soldi di consulenza e appena sono finiti i soldi spariscono. E questi non sono progetti sostenibili. Anzi, arrivano sul territorio, e gli dicono cosa devono fare, quali sono gli obiettivi che si devono prefiggere, come li devono raggiungere, calano questo piano strategico e se ne vanno.

Questo è quello che purtroppo sta rovinando il tessuto per coloro che invece vogliono fare progetti seri. C’è infatti una profonda sfiducia nei confronti di chi arriva. Gli abitanti ti dicono: «sono già stati fatti molti progetti ma non abbiamo mai avuto i risultati che ci hanno promesso». E l’altro atteggiamento rilevante è quello soprattutto negli anziani, di non sentirsi protagonisti di questi processi, cioè di aspettare di essere supportati solo finanziariamente senza poi invece prendere in mano le proprie sorti. C’è quindi tutto un processo di educazione, di costruzione di relazioni, soprattutto di un proprio orgoglio che richiede tempo. Di fronte alle difficoltà socio-economiche, quali nuovi lavori o sistemi agricoli 42

prevede per i prossimi anni che possano migliorare la qualità della vita di tutti? Io credo che per le aree rurali ci siano nuove opportunità derivanti dal Covid e da questo periodo di grande difficoltà. C’è una maggiore consapevolezza soprattutto di derivazione urbana della necessità di recuperare un diverso rapporto con la natura, le origini, le tradizioni, i sistemi agricoli quindi di costruire nuovi rapporti città campagna che siano sempre più intensi. Le aree rurali, secondo me, sono proprio quei luoghi più deputati a rispondere a questi nuovi bisogni dei cittadini che vogliono migliorare la qualità della vita. Questo soprattutto in aree come quelle delle colline metallifere dove la qualità della vita è alta, nonostante non ci sia una percezione sufficiente da parte degli operatori locali. Lì c’è un clima straordinario. C’è proprio un microclima particolare che spesso fa si che proprio in quell’aria si trovi un benessere particolare. In questo senso dunque ci sono molte potenzialità che secondo me sono legate in primis allo sviluppo turistico sostenibile. Non sto di certo pensando al turismo di massa. Lo sviluppo turistico secondo me potrà dare sicuramente a questi territori delle risorse purché questo sia basato su una valorizzazione di un’identità dei territori dove l’identità non è una conservazione di ciò che il territorio era in passato ma come qualche cosa in trasformazione, a seguito delle varie contaminazioni che derivano da i nuovi residenti nei territori. Anche perché noi vediamo che spesso l’innovazione-impresa come riscoperta della tradizione viene spesso da soggetti che vengono dall’esterno. Per esempio le prime fattorie didattiche in Toscana sono state avviate da tedeschi. E così la riscoperta di alcuni antichi mestieri può avvenire anche ad opera di soggetti esterni.


La mia ricerca è iniziata insieme a Mario Cancelli, presidente dell’associazione per la valorizzazione della castagna in Alta Maremma. L’ho seguito in uno dei suoi giorni di lavoro. Insieme abbiamo consegnato all’ufficio dell’Unione dei Comuni montana una borsa che non avrei mai pensato potesse contenere delle galle per verificare la salute di questi alberi.

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Esplorazione delle colline metallifere toscane, Luglio 2021 Arrivo alle 9 di mattina alla stazione di Follonica. Mario, che avevo conosciuto per telefono mi aspetta nel parcheggio nella sua Suzuki bianca. E’ il presidente da parecchi anni dell’associazione per la valorizzazione della Castagna dell’alta Maremma. Profilo asciutto, occhi birbanti, porta una divisa da safari. In macchina ci rechiamo all’azienda Agricola sperimentale di Santa Paolina dove incontriamo Claudio Cantini, agronomo, che ci accoglie all’ombra di un pino. Dopo avergli presentato il territorio del mio studio, entrambi mi suggeriscono persone che secondo loro sarebbero interessanti da incontrare per uno studio dei paesaggi di questa zona. Rientrati in macchina Mario mi racconta che è da parecchi anni che si batte per il ripristino dei castagni abbandonati in castagneti da frutto, anche se alla fine della giornata mi confessa che «è un po’ come la storia del cane che si mangia la coda.» Mi racconta che è da venti anni che prova ad organizzare un sistema che sfrutti l’energia geotermica per permettere l’essiccamento rapido delle castagne e quindi la loro rapida messa sul mercato. In sette giorni dalla raccolta, mi spiega, le castagne potrebbero essere pronte per la vendita. «Le castagne qui sono di buona qualità, sia per la loro conservazione che per la loro trasformazione in farina. Basti pensare che nei primi anni del 900’ l’Italia era il più grande esportatore di castagne al mondo.» Mario organizza ogni anni il premio nazionale della farina di castagne a Boccheggiano valutate da una giuria composta dal comune di Montieri, l’associazione per la valorizzazione della castagna e da tre giudici della condotta Slow Food di Monteregio. Percorriamo in macchina varie strade che ci portano sempre più nell’entroterra. 44

«Tutto qui è stato disegnato per l’attività metallurgica» mi dice Mario «anche se il fitto bosco nasconde molte delle sue tracce.» Affianco a me una borsa frigo a fiori porta due raccolte di galle effettuate ieri da Mario per un controllo in laboratorio dei cinipidi che da dieci anni fragilizzano i castagneti di questi luoghi. Il cinipide del castagno o cinipide galligeno del castagno è un insetto fitofago dell’ordine degli imenotteri detto galligeno perché induce la comparsa di ingrossamenti tondeggianti detti galle su germogli e foglie delle piante colpite, nei quali la sua larva compie il ciclo vitale. Segnalato in Italia dal 2002 nella zona di Cuneo, è ormai ampiamente diffuso in molte zone d’Italia, compresa la Toscana ma anche in Giappone, Corea e Stati Uniti. Mario mi spiega che per il controllo a medio termine di questo parassita è stato introdotto un insetto parassitoide: il Torymus sinesis Kamijo già utilizzato con successo in alcuni areali giapponesi ed italiani attaccati dal cinipide, «anche se risulta molto costoso.» Consegnamo la borsa con le galle a Damiano nella sede dell’Unione dei Comuni montana delle colline Metallifere. Proseguiamo poi sulla «salita schiappapetto.» Il nome deriva dal fatto che la salita era talmente tortuosa e ripida che le briglie degli animali che vi salivano per il trasporto di merci si aprivano. Saliamo. Mario vuole portarmi a vedere Gerfalco, “così ti innamori e non te ne vorrai più andare via poi” mi dice. Sembra essere uno dei suoi luoghi preferiti. Mi spiega che per lui questo paese ha sempre assomigliato molto ad una pigna. Anzi “più ti allontani, più sembra una pigna” mi dice. All’orizzonte scorgiamo il monte di Montieri, riconoscibile per le antenne installate sulla sua cima.


Massa Marittima

Salita schiappapetto Follonica

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Mario nel castagneto comunale di Montieri. Sulla destra l’immagine ritrae una serie di tavoli da pic-nic nel medesimo castagneto. Si tratta di uno dei luoghi più belli che io abbia visitato, per la sua assoluta semplicità e accoglienza.

Montieri è uno dei pochi paesi in Italia che non è esposto a sud. Un paese all’ombra. “La luce che volevano era quelle dell’argento” mi dice Mario. Entriamo a Montieri dove Mario ha lavorato come assessore per il comune.

di questa linea dove spesso si formano le protuberanza chiamate “cipolle”. La grande parte dei castagni qui ha 250 anni ed i più anziani circa 450 anni. I castagni sono alberi che non hanno bisogno di molta cura mi spiega Mario.

All’inizio della stradina che da Montieri ci porta alla scoperta archeologica delle fondamenta medioevoali passiamo davanti a qualche castagno tagliato secondo Mario malamente (taglio a legname). Purtroppo la capitozzatura che prima era abolita è tornata oggi pratica normale. «Tagliano tanto così poi a loro rimane il legno» spiega Mario. La capitozzatura attiva le gemme latenti sottostanti al taglio e sfrutta così inutilmente il potenziale di rinnovo vegetativo della pianta (le gemme latenti danno molti getti vigorosi e sani ma andranno diradati e non fruttificano presto).

Ci fermiamo a mangiare in un baretto tra Gabellino e Le Fornaci. Il barista ci offre un panino con prezzemolo ed acciughe preparato da sua madre. Chiaccherando scopro che Mario è in realtà elettricista o per lo meno lo è stato per tanti anni. Mi racconta che è nato a Sassofortino e …. anni fa ha deciso di tornarci anche se «non è più come una volta” mi spiega un po rattristito. Ora è tutto turistico, pieno di gente dappertutto.

Mario mi porta nel parco-castagneto dove un gruppo di vecchi amici sta facendo picnic seduti su uno dei tanti grandi tavoli in legno. Volete unirvi a noi ci chiedono? Si sta così bene”. Mario mi racconta che è proprio così che lui si ricorda i castagneti della sua infanzia - come una infinitudine di grandissimi parchi. Un po’ come un golf mi dice. Mario mi fa notare come tutti i castagni sono disposti a scacchiera ad eccezione di qualche soggetto più giovane, seminatosi spontaneamente. Ben visibile è la linea dove era stato effettuato l’innesto. E’ proprio in corrispondenza 46

Riprendiamo e facciamo sosta a Montemassi. Forse non dovrei scriverlo perché Mario mi confessa che è uno dei pochi luoghi ancora non conosciuti. Nel cicalio forte osserviamo il paesaggio dall’alto: il paese addossato alla roccia in lungo, il bosco fitto e le dolci colline cosparse di ulivi; ogni pezzo di terra alla sua maniera. Mario mi accompagna alla stazione di Grosseto. Prima di scendere gli chiedo se mi può lasciare il suo indirizzo. Abita in via dei Castagni 11 a Sassofortino. “Castagni!” gli chiedo sbalordita, e lui sorride.


Testimonianze e visioni Luglio/Agosto 2021

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Progetto contratto di fiume della bassa Val di Pecora

Marco Pollini Franco Morra

Alessio Guazzini Tommaso Pelandri

Luigi Marengo Marco Porcinai Alessandra Casini Fabio Maestrini

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Massimiliano Brogi Nicola Verruzzi Abitante di Montieri

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Incontro con Massimiliano Brogi, allevatore - selvicoltore

Gerfalco

fosso bucafaggi

cimitero

campo a pascolo casa di Massimiliano

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Massimiliano Brogi, allevatore - selvicoltore

«Noi siamo un’azienda agricola, qui sulle colline metallifere a Gerfalco. E’ un’azienda storica tramandata da mio nonno e il mio babbo. Il mio babbo, pur essendo quasi 80enne, si occupa del bestiame. E’ una passione più sua che mia - A me piacciono più i macchinari. Abbiamo una quarantina di pecore, cinque chianine e teniamo dei maiali per uso domestico.

mercato trova dei prezzi minori. Pero la qualità eh...

L’80 percento del territorio è ricoperto dal bosco. Noi abbiamo di proprietà sui 200 ettari di bosco ed una parte anche in affitto, principalmente gestita a taglio ceduo e castagno. Sono rimasto a fare il ceduo - legna da ardere Però principalmente adesso facciaprincipalmente anche permo legname da lavoro di castagno, ché per fare cippato servono paglieria, vigneti, legna da ardere e macchinari importanti; è un da qualche anno anche un po di cipinvestimento molto grande e pato. Questa è un po l’attività prinpoi alla fine al momento in cui cipale anche perché mano a mano che passano gli anni qui in toscana inizia qualcosa in Italia tutti si c’è stato un crollo del bestiame. Pri- buttano a fare quella cosa lì e ma c’erano molti ovini. Ora non ci si dopo due e tre anni il mercafa più con i costi perché il latte costa to… come trenta anni fa ed i costi sono sempre maggiori. Quindi gli allevamenti si sono più che dimezzati.

Il cippato si fa per le centrali di biomassa. Queste in italia sono principalmente nella parte sud di Ferrara, Fino a quarant’anni fa in tutte le ma principalmente sono a Crotone e famiglie c’era l’usanza a Natale di a Monterotondo c’è anche una cenprendere un maiale per casa. Poi trale. Chiaramente le centrali sono chiaramente è cambiata la mentasempre le stesse però che cosa è lità della gente. Alla gente piace più successo ? Tutti si sono buttati a andare al supermercato, prendere fare cippato e c’è stata quindi una due fette di salame o prosciutto, che sovrapproduzione. Secondo me ora non avere in casa la dispensa con il inizia ad esserci un riorientamento. prosciutto ed il salame. Chiaramente Si è saturato il mercato e quindi … si perde molto il gusto. Però questo purtroppo è il trend mondiale. SpesInvece per l’allevamento prima so si sente parlare di prodotti tipici a avevamo cento pecore. Si prendekm 0 però è molto difficile entrare in vano la mattina, le si portavano giù un certo giro, in un mercato… al fiume, le lasciavi li e le tornavi a C’è si un po un di ritorno a questo prendere la sera. però siamo ancora molto indietro. La gente cerca di spendere il meno possibile e sicuramente al super-

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Massimiliano Brogi, allevatore - selvicoltore

Ora se le lasci sole per un’ora, quanto torni... Ci sono troppi lupi. Ce ne sono sempre più. E questo è un grande problema.

Poi un altro grande problema è la burocrazia. Prima era solo cartacea ora è anche digitale. Invece di semplificare secondo me è raddoppiata ora. Io non mi sento vecchio, ho 50 anni, però.. Anche nei tagli boschivi ogni giorno ci sono cose nuove. Per un’autorizzazione ci vogliono sei, sette mesi. Cose assurde però…Poi si sono aggiunti i vincoli di paesaggio... Però siamo noi che manteniamo il paesaggio. Se è così è perché ci sono state gente come me che hanno rispettato l’ambiente ed hanno cercato di mantenere il territorio, altrimenti…così non sarebbe stato no?»

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che ci credeva, credevo nel posto, credevo nel paese. Invece vedo sempre di più anche in Toscana un grande spopolamento delle aree interne. Tutti si stanno concentrando nelle città e lungo la costa. Questo a lungo andare sarà un problema molto grande.

Perché venti anni fa qui i poderi e i campi erano tutti coltivati. Che è successo? A via via che muore la persona anziana, non c’è più ricambio perché non c’è più convenienza e questo crea dissesto idrogeologico. L’acqua a valle arriva molto più velocemente e questo è uno dei problemi che comporta allagamenti e così via.

Nel futuro penso si possa sviluppare più il bosco e l’allevamento. Mio padre ha quasi ottant’anni, mia moglie mi da una mano però… La mia mamma ha anche lei degli anni. Con molta probabilità penso abbandonerò l’allevamento. Poi magari in futuro mi piacerebbe fare qualcosa qui, tipo un b&b, un piccoCome conti di fare evolvere la tua lo ristorante qui, non lo so. Dipende attività nei prossimi 5 anni? Che anche in futuro da cosa farà mia cosa avresti voglia di fare se non ci figlia. Attualmente stiamo sviluppanfossero tutte queste regolamentaziodo un progetto insieme ad un’altra ni? azienda di Monterotondo Marittimo che fa formaggi. Stiamo facendo con «Le regole sicuramente servono dei contributi comunitari un impianto sempre però le procedure devono di essiccazione per il cippato con la essere più snelle geotermia. Come vedo il futuro? Non lo so. Io sono sempre stato uno di quelli


Massimiliano Brogi, allevatore - selvicoltore

L’acqua calda viene trasformata in aria calda e secchiamo il cippato facendo il cippatino che è un prodotto omogeneo tipo un pellet, che si può mettere nelle caldaie medio piccole.» E nel futuro conti di diversificare la tua attività? «Nelle pinete facciamo tronchi e li mandiamo in segheria. Prima facevamo legno di castagno per mobili ma ora il mercato per questo non va più bene. La gente ora va tutta all’ikea e con 1000 euro...» Come funziona qui la filiera del legno? «Ma noi prima si mandava su al nord, Vicenza o nell’Amiata dove c’erano delle segherie importanti. Di segherie qui in zona non ce ne sono.»

Se i castagneti si seccheranno, conti di piantare altri tipi di alberi che sopportano di più la siccità? «Non saprei, qui nel dopoguerra sono stati fatti molti impianti di pinete, che vengono tagliate e tagliate e non vengono ripiantate perché è un legname che costa poco.

La gente ora se deve fare un impianto nuovo con la prospettiva di trent’anni davanti quaranta…. Ma chi lo fa??.. Cinquant’anni fa purtroppo quando avevi da mangiare a casa avevi tutto, ora purtroppo non basta, tutti i giorni ci vogliono i soldi.» Massimiliano che cosa ti da più soddisfazione nel tuo lavoro ?

«Eh soddisfazioni ce ne sono però molti sacrifici. Devi sempre rinunciare a molte cose. Le ferie non ci sono mai. E’ difficile. Soddisfazioni sul lavoro ce ne sono sicuramente. Come hai percepito il cambiamento Anche se ci sono delle annate sicuclimatico qui? ramente più difficili. Abbiamo avuto due anni in cui non siamo riusciti a «Gli abeti bianchi stanno seccanvendere. L’anno scorso siamo riuscido - l’abete bianco messa qua cinti a vendere tutto. Quest’anno spequant’anni fa, è una pianta che ha riamo ugualmente. Lì dipende molto bisogno di fresco. dal clima. Poi per esempio anche il castagno Qui la gente non fa provvista - ogni secondo me soffrirà sempre più, il mese ne prende un pochino. E’ castagno ha bisogno costantemente cambiata proprio la mentalità della d’acqua. gente; prima la gente pensava alle O piove sempre o non piove mai, cose principali, faceva le scorte alie poi si è innalzato molto per noi il mentari, maiale, legna. vento, sempre più frequente e più Ora la gente appena ha un po di forte. A inizio Giugno qui ci voleva il soldi pensa, dove vado? Devo commaglione, ora è un Luglio molto anoperare la macchina nuova… malo in cui c’è vento - molto strano.»

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Massimiliano guarda Gerfalco

Gerfalco guarda Massimiliano

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Massimiliano Brogi, allevatore - selvicoltore

E quindi questo porta a queste scelta qua. Io la macchina nuova la compro quando ho proprio necessità.

Sono nato qua, quarantanove anni fa. In questo paese c’era molta più gente ed ho sempre visto gente morire, gente andare via, gente morire, gente andare via. Ho sempre sperato in una rinascita del paese però non dico che mi sono arreso però mi sto scoraggiando. Anzi quando guardo i dati, provincia di Grosseto sempre più spopolata, colline metallifere sempre più spopolate. La città di Grosseto che cresce, la città di Follonica che cresce. Purtroppo è così, lavori qui sono limitati, la gente vuole continue comodità e quindi si sposta. Più o meno vedi anche te tra qui e Follonica c’è mezzora di differenza; la strada da qui per arrivare a Follonica è anche abbastanza scorrevole, però se non ci nasci, se non ci cresci è difficile abitare in questi posti. Mia sorella sta a Follonica, lavora in comune a Scarlino, e quindi si sposta. Lei quando arriva in centro d’estate per parcheggiare mezzora gira perché non trova parcheggio, quindi dov’è la comodità?? bo…»

abitanti ora forse con la campagna 50. Fino agli anni 60 c’è stata molta gente qui perché c’era una miniera di Pirite a Massa Marittima.

Serve una politica in italia con la quale si presidia il territorio perché se te non presidi il territorio, ci saranno sempre più disastri ambientali; però purtroppo ci sono altri interessi, mah non si sa. Io vedo sempre quando ci sono disastri ambientali, quanti soldi spendiamo dopo per recuperare, quanta gente muore…spendiamo molti soldi - Ma allora preveniamo! Nel piccolo secondo me in questi campi che sono stati abbandonati devi dare dei sussidi alle famiglie per mantenere questi territori. Questa è l’unica soluzione. Come viene fatto un po in Trentino che da dei sussidi per mantenere quel prato, quel pascolo..

In un’amministrazione o in una regione se tu hai bisogno di consensi, dove li trovi? Dove c’è popolazione. Noi qua non contiamo mai niente. Siamo pochi e 50 voti non spostano niente. La provincia di Grosseto fa 220000 abitanti, 85000 li fa Grosseto, Follonica Come si potrebbero cambiare le cose ne fa altri 20000. senza entrare nella burocrazia..? «Nel 1845 questo paese era 820

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Massimiliano Brogi, allevatore - selvicoltore

I comuni delle colline metallifere: Montieri 1200, Monterotondo uguale, Massa Marittima si ne fa 8000 però insomma. E quindi politicamente non pesi. Eh poi un’altro problema grandissimo sono i cinghiali. Io seminavo sempre per il mio bestiame però sono già quattro anni che non semino più perché non riesco più a raccogliere. O chiudi veramente tutto, cosa impossibile o non ce la fai. Perché nemmeno tanto tanto è aumentata la popolazione di cinghiali però che è successo? Prima tutti seminavano qualche cosa, tutte le famiglie, ora sono rimasto io solo e quindi ecco se 100 cinghiali si distribuiscono su dieci sono 10 cinghiali per uno. Invece se li devo supportare tutti e cento io chiaramente non ce la faccio. Anche i cinghiali sono cambiati molto. Trenta anni fa il cinghiale era una razza molto selvatica, ora è diventato quasi un animale domestico. Lo si vede in città tra i cassonetti. Non esisteva prima una cosa del genere. La gente non comprende bene secondo me. Quando parli di abbattere il lupo hai tutto il mondo contro. Però bisogna capire che quando un animale inizia a mettere a disagio l’allevamento… Nelle scuole viene fatta sempre più una campagna in difesa dell’animale. Il lupo viene presentato come animale buono. Ma in realtà gli animali devono essere presenti tutti ovviamente, però qui stanno diventando un problema. Costringi la gente a 56

lasciare un certo tipo di lavoro. E chi è rimasto mantiene le pecore tutte dentro. Hanno le pecore francesi. Chi aveva le sarde sta prendendo la razza francese, perché produce più latte. Però le tengono dentro…e poi si parla di benessere animale. Il cinghiali qui sono arrivati dopo gli anni 60; prima non c’erano. Il cinghiale maremmano era piccolo, massimo era 50, 60 kg. Poi hanno iniziato ad importare cinghiali ungheresi che sono molto più grandi e si sono incrociati. Poi i cacciatori sono sempre meno. Pochissimi giovani. Non c’è un ricambio. Io credo che nel mondo sono poche le persone che contano, che fanno una politica mondiale. Siamo in mano a poche persone che decidono per tutti. Per esempio in italia il grano: è molti anni che non costa niente, 15 euro il grano duro. Se vai anche a Follonica vedi molti campi pianeggianti dove tutto è abbandonato, perché non c’è più convenienza a seminare perché anche lì il mercato del grano è in mano a due o tre persone che lo fanno venire tutto dal Canada, da tutto il mondo con tutti i veleni esistenti. I grandi produttori di pasta lo prendono tutti li. In Maremma una

cosa che ci manca e che ci è sempre mancata è un pastificio grande di agricoltori. Perchè un altro grande problema dell’agricoltura italiana è che il cerchio va chiuso.»


Incontro con Nicola Verruzzi, sindaco di Montieri

Montieri, nel cuore di grandi superfici boschive

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Nicola Verruzzi, sindaco di Montieri

Da quanto tempo sei sindaco? «Dal Maggio 2014» Come è nato questo desiderio di voler fare il sindaco? «Diciamo che se me lo chiedi ora forse sarebbe diverso da quello che ti avrei detto tre, quattro anni fa. No, a parte gli scherzi. Io sono stato via per anni per motivi di studio; poi ad un certo punto ho deciso di tornare alla terra, ai miei luoghi di nascita per cercare di mettermi a disposizione - per cercare di lanciare qualche seme che potesse far germogliare un rilancio.

Questo è un mestiere abbastanza difficile perché lo si fa con pochi strumenti in termini di personale. Quindi è un po una missione «soli contro il mondo.» Però questa è l’origine dell’idea. Questo paese aveva subito negli ultimi trent’anni un pesantissimo spopolamento al quale non si era mai posto rimedio con delle politiche di più ampio respiro con le quali si potesse immaginare un cambio di rotta o comunque una pagina nuova da scrivere. Insomma c’era ogni anno un segno nero nella popolazione residente, un’involuzione della società civile. Quindi da lì l’idea di provare a cambiare le sorti di queste zone che in realtà sono realtà molto molto belle con anche una posizione strategica non banale, interessante insomma.» 58

In questi sette anni quali trasformazioni hai percepito? «Ma indubbiamente, noi si creano condizioni di lungo periodo. Questa attività qui (la politica) deve indicare una via e creare poi delle condizioni per poter far emergere e sbocciare le condizioni messe in campo. Noi volevamo dare una via al territorio che fosse creargli una vocazione turistica che non aveva e che oggi ha. L’anno scorso Sky l’ha scelto come borgo testimonial di una campagna mondiale sul turismo dei borghi nell’era post-pandemica. Quindi creargli una vocazione turistica e mettere in campo tutta una serie di politiche di promozione, di valorizzazione che in qualche modo avessero un appeal turistico. Poi riattivare il tessuto economico perché era in forte deperimento. Mi sembra si parli di un più 90 o 100 % delle partite Iva riattivate negli ultimi 5 anni in vari settori ristoranti, bar, attività turistico ricettive, servizi alla persona. In terzo luogo: importare popolazione che sembra banale dirlo ma purtroppo in questi luoghi lo spopolamento ha portato allo spopolamento dei cervelli. Negli anni qui sono rimasti pensionati o soggetti di livello culturale medio basso, che non sempre sono in grado di costituire una mente critica interessante. Quindi quando ci si trova davanti a paesi troppo microcosmici spesso sono realtà che si ripiegano su se stesse. Riportare popolazione è quindi fondamentale.


Nicola Verruzzi, sindaco di Montieri

Questo lo si è fatto attraverso anche una grandissima campagna di riattivazione del mercato immobiliare, cercando di rilanciare il patrimonio immobiliare dei centri storici.

mineraria di Campiano. Siamo riusciti a mettere in piedi una portata di imprenditori, prevalentemente del nord italia, che hanno investito l’area in questione.»

Ormai ci riconoscono come gli ideatori della campagna casa a 1 euro che qui nacque e che fu ripresa in tutta Italia.

Quando si arriva a Montieri sul cartello c’è scritto Montieri, il borgo dell’energia pulita e della chiesa a fiore Green Energy Village. Qui come a Monterotondo Marittimo è molto sfruttata la geotermia?

Infine lavorare sulle produzioni tipiche di qualità: Abbiamo scommesso su due filoni. La castagna da un lato, che si è cercato di spingere attraverso il lavoro con associazioni e con la creazione del premio nazionale dedicato alla farina che viene fatto qui tutti gli anni in Febbraio. Dall’altra, cercando di sostenere un po il settore agricolo che qui, ma non solo qui, si era ridotto a seminare esclusivamente in funzione dei contributi comunitari. Per cercare di stimolare un po anche un’agricoltura in alta collina / montagna, anche come forma di tutela e custodia del territorio di fronte a problematiche che oggi viviamo, si è lanciato un progetto di filiera che ora si chiama Drago. Questo è stato creato qui con un imprenditore Montomoli che ha un pastificio ed un ristorante a Boccheggiano ed un altro ragazzo Alessio Guazzini. L’abbiamo creato qui noi tre essenzialmente ed è stato presentato come progetto su fondi comunitari. Ha ottenuto un milione e settecento mila euro divisi su tante aziende agricole. Il quarto tema su cui si è lavorato è stato un grande progetto di rilancio di un’area industriale: la vecchia industria

«Si, Monterotondo Marittimo è un comune storicamente geotermico con ormai decenni e decenni di geotermia e con una convivenza molto pesante. Se ti affacci vedi le torri etc. Qui la geotermia è di generazione più recente, siamo anni 80, però da quegli anni, o perlomeno da quando sono stato qui sindaco, è un comune chiaramente geotermico. Noi ci crediamo molto a questa energia, alle sue potenzialità. Qui è stato realizzato un impianto di tele-riscaldamento utilizzando l’energia geotermica a servizio del paese di Montieri. E’ un comune cento per cento rinnovabile dal 2015.» Ma l’impianto dov’è? «Qui parte da circa due chilometri e mezzo in direzione di Travale e viene captata l’energia da un pozzo geotermico dove il comune capta il vapore con la collaborazione dell’enel, con il quale viene scaldata l’acqua - e da li parte una tubazione che fa circa due chilometri e mezzo, arriva al paese e serve le residenze pubbliche e private del paese. 59


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Nicola Verruzzi, sindaco di Montieri

Quindi è un comune che produce molta più energia attraverso fonti rinnovabili di quanto ne consuma. Il potenziale teorico dell’impianto di tele-riscaldamento è potenzialmente fruibile da una quantità di utenti maggiore.» Ho visitato il birrificio che utilizza l’energia geotermica da Edo Volpi l’altro giorno. Molto interessante questo utilizzo per alimentare progetti di filiera e di trasformazione «Si, qui le persone negli ultimi decenni se ne sono andate, anche perché qui ci sono state le miniere. L’Enel ha generato una monocoltura abbastanza marcata. Nel senso che qui non siamo in Brianza dove ogni dieci metri uno in un capannone ci ha creato un’azienda. Qui è il contrario.

«Qui a Follonica scendono pochissimi. La gran parte qui lavora sul bacino geotermico, quindi Enel. Una parte a Massa, o in ospedale o nel settore dei servizi pubblici ed una parte molto marcata nella filiera boschiva (sopratutto in quel caso di popolazione straniera). Poi c’è una fetta di pensionati buon per loro considerevole. Qui ci sono tantissimi stranieri. Anche questo è stato un tema interessante.

Questo è stato per anni il comune con il più alto tasso di popolazione straniera residente della Toscana.

C’è stata una convivenza non facile e faticosa soprattutto con certe etnie più che con altre. Però è una convivenza che va avanti e dove ognuno vive nel rispetto degli altri. Qui per anni la gente ha cerSicuramente se non ci fossero loro, cato e bramato il lavoro da il bosco avrebbe invaso le case. La dipendente. Questo ha ingecrisi del legname aveva prodotto alnerato ed ingenera difficoltà cune preoccupazioni, poi negli ultimi anni c’è stata un’esplosione del pellet nella creazione di progetti di impresa. Molto spesso non c’è e del cippato che ha portato anche al taglio di alcune specie vegetative coraggio di intraprendenza e che qui sono assolutamente dannive molto spesso questi progetti e soprattutto importate - mi riferisco nascono da persone che ara moltissime specie di conifere che rivano o da pensionati che, sono state importate qui negli anni 50 come Volpi, decide di fare e 60 ed hanno creato dei danni inenarrabili. un progetto per poi lasciarlo Queste hanno un radicamento molto avviato alla figlia.» superficiale e tendono spesso a caQuanti abitanti di Montieri lavorano a dere in inverno. Montieri e quanti scendono a Follonica? 61


Nicola Verruzzi, sindaco di Montieri

Sicuramente la presenza di queste popolazioni ha reso possibile il mantenimento di determinate attività che altrimenti sarebbero state abbandonate. Perché se c’è una verità parafrasando una vecchia canzone

fare, dove ci sia un tessuto economico che sappia sollecitare le varie amministrazioni che ci saranno, che abbia risposte di turismo importanti ma che comunque lo preservino. Dove comunque al centro ci sia an“anche l’operaio sogna il figlio cora la alta qualità della vita dei suoi residenti. oggi dottore”. Non c’è questa cultura da noi per la Se fossimo stati in grado di conserquale un ragazzo si metta a fare un vare il patrimonio minerario in malavoro artigianale. Ce ne è uno su cento. O si va in università comunque niera seria, avremmo avuto cose che probabilmente al mondo non spesso a cavarci nulla o si aspetta il avrebbe avuto nessuno e quindi ci posto fisso in qualche grande azienavrebbero dato una potenzialità tuda.» ristica enorme. Qui c’era una miniera che scendeva quasi fino a 1000 metri Immaginandoci Montieri tra cinsotto il livello del mare. Se l’avessero quant’anni anche in maniera un po salvata anche solo per 300/400 metri utopistica, tu come te la immagini? avremmo avuto centinaia di migliaia di turisti all’anno. Il problema vero è «Io mi spero in salute a godermi gli ultimi anni. Ma.. io non gli auguro alla che qui non hanno saputo conservare nulla del passato. Hanno distrutzona delle trasformazioni apocalittiche. Non gli auguro tra cinquant’an- to tutto. Qui chi c’era prima di me ha ni di essere la nuova Bolgheri o di es- sempre creduto che la leva per lo sviluppo fosse il passato del territorio; sere una nuova realtà massificata e sfruttata in maniera enorme dal turis- io subito ho capito che c’erano altre mo. Uscì qualche giorno fa un pezzo leve da dover toccare.»

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del Corriere della Sera che definiva Montieri insieme a Suvereto, uno dei pochissimi comuni della Toscana vocati al turismo che non si sono trasformati in parchi giochi ma che avevano mantenuto un’autenticità di fondo. Quindi io gli auguro innanzitutto di esserci in tutti i suoi paesi, in tutte le sue campagne perché vuol dire che la gente ha continuato a viverci. Gli auguro di avere un po più di persone di ora, di avere dimostrato un ricambio di popolazione. Gli auguro di essere un comune vitale, vivo, dove ci sia intraprendenza, cose da

Poi il patrimonio più grande di oggi è quello naturale no?

«Si si io quando risalgo da Follonica sento il benessere metro dopo metro.»


Incontro con un abitante di Montieri

laghetto di Montieri

campi a prato e pascolo in mezzo al bosco

Montieri

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Abitante di Montieri

Come mai il laghetto di Montieri è completamento secco? «Oh da noi, non si è vista una gocciola d’acqua. Da noi sono mesi, mesi e mesi che sotto le macchine non ci ha mollato per niente…e vuole dir tanto. Noi qui quarantanni fa, a Novembre cominciava a nevicare; la neve ci stava fino ad aprile. I posti dove il sole non ci da, ci stava fino a maggio. Allora si. Ora, ora non nevica più. Anche quest’anno, due dita di neve, due ore e poi… No, qui davvero se non si pigliano provvedimenti, tra vent’anni ci saranno le guerre. Si muore tutti da… Da tutte le parti brucia, brucia, brucia, brucia. Non possiamo più andare avanti così, no, no.» Ma lei il laghetto l’ha mai visto pieno? «Io sì, Ha visto ora c’è pini, abeti, prima era tutto castagni, era tutto castagneto. Io da ragazzo stavo a Gerfalco, stavo a quel paesino là, ai piedi delle Cornate. Si andava a raccattare castagne nel lago - proprio la pendice del lago che ritorna alla strada asfaltata. Allora quando avevano raccattato le castagne ci portavano i maiali al ruspolo. Allora i maiali li governavano nei trogoli di legno ed io da ragazzo con un trogolo, si andava per il lago la.» Che cos’è un trogolo?

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«Il trogolo è un recipiente quadrato alto due metri. Ci si metteva a se-

dere li e poi con le mani si andava nel lago. C’erano le folaghe, le ranocchie. Le ranocchie si sentivano cantare dalla strada. Si andava a pigliarle per friggerle. Ci si andava quando era il tempo buono per mangiarle. Ora è morto tutto. E’ morto tutto.» Invece le sorgenti qui nei dintorni? «Le sorgenti ci sono. Per ora a noi l’acqua non c’è ancora mancata ma speriamo, speriamo.»


Incontro con Marco Pollini, responsabile patrimonio foreste dell’Unione di comuni montana Colline Metallifere

taglio ceduo

piantumazione di pini marittimi su vecchi terrazzamenti agricoli

campo graminacee

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Marco Pollini, responsabile patrimonio foreste dell’Unione di comuni montana Colline Metallifere

Lei di che cosa si occupa esattamente?

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«Lavoro in quanto responsabile di un servizio dell’unione dei comuni: quello del patrimonio foreste, della gestione su delega della regione Toscana del patrimonio agricolo forestale regionale. Questo patrimonio viene gestito dall’unione dei comuni o dove non ci sono unione di comuni dai comuni singoli dove il territorio ricade. Quindi noi abbiamo in gestione il complesso delle colline metallifere che ricade nei comuni di Massa Marittima, Monterotondo Marittimo, in parte Gavorrano, ed in parte Suvereto e Piombino. E’ un complesso molto grande, di circa 15000 ettari ed è anche un complesso certificato dal punto di vista forestale secondo gli standard per PFC e FSC ormai da diversi anni. Poi abbiamo anche un altro complesso nel comune di Roccastrada sui 2500 ettari. Su questo patrimonio facciamo una gestione sia con interventi forestali (di solito direttamente, quindi occupandoci degli interventi secondo il piano di gestione decennale o quindicennale) che nei terreni agricoli. Fino all’anno scorso scorso gestivamo noi direttamente i terreni agricoli. Avevamo un allevamento di vacche di razza maremmana; gestivamo quindi questo nucleo e conseguentemente i terreni. Questi sono animali allo stato brado. I terreni agricoli erano utilizzati essenzialmente per fare il fieno e foraggio per l’alimentazione. Quest’anno invece a seguito di un bando, una parte dei terreni agri-

coli e dell’allevamento è stato dato in concessione a terzi. In genere i terreni agricoli li diamo in gestione ad agricoltori, aziende, società tramite bandi pubblici con concessioni pluriennali. Per la gestione di questo patrimonio abbiamo 66 operai sparsi su tutto il territorio.» Questi campi agricoli dati in gestione sono sparsi su tutto il territorio? «Sono 900 ettari (campi e boschi) tra Massa Marittima e Monterotondo Marittimo, però i terreni agricoli in questa zona qui sono tutti campi inframmezzati ai boschi. Sono dei campi più o meno estesi inframmezzati a superfici boschive per cui c’è una estrema frammentazione e una gestione difficile.» E’ difficile trovare questi terzi agricoltori ? «In queste zone non è facile. Soprattutto questi erano 900 ettari con delle regole e prescrizioni precise per il mantenimento dell’allevamento in purezza della razza maremmana, con diversi fabbricati, certi in buona condizione, da gestire, quindi con un canone non basso. Ci voleva quindi un impresa ben strutturata. Al bando ha partecipato solo un offerente - una società grossa, la società per le bonifiche Ferraresi. In altri casi per altre concessioni di terreni abbiamo avuto delle difficoltà a darli in concessione a terzi. Perché sono marginali, a pascolo, in zone interne.


Marco Pollini, responsabile patrimonio foreste dell’Unione di comuni montana Colline Metallifere

Poi bisogna considerare che i terreni non sono tuoi. Ecco, ci sono un po di aspetti che non invogliano però la regione Toscana ci conta molto.»

Abbiamo anche fatto degli studi per vedere di fare degli interventi che valorizzino queste specie, però se poi mancano le imprese .. Quindi queste specie o vengono rilasciate perché non vengono taLei saprebbe spiegarmi come fungliate durante gli interventi perché ziona la filiera del legno qui? sono piante considerate anche dalla legge forestale specie spora«Abbiamo rapporti con diverse ditte. diche e nobili (quindi si accrescono Mettiamo al bando annualmente e rimangono nel bosco), oppure più di 150, 200 ettari di boschi per vengono tagliate insieme alla legna fare diversi tipi di intervento. Ultida ardere. mamente il mercato del legno si Legna da ardere che ha i suoi caè un po ripreso nelle nostre zone nali come il cippato. Una parte del dopo un periodo di crisi e quindi c’è cippato va ad alimentare le centrali anche una buona partecipazione di elettriche gestite dall’ENEL ed altri ditte che fanno offerte e che fansoggetti. Principalmente in aziende no anche dei buoni rialzi sulle basi fuori dal nostro territorio perché qui d’asta però il legname dei nostri non ci sono. Ce ne era una a Folboschi è essenzialmente legna da lonica ma ha avuto dei problemi di ardere oppure legname a cippato, autorizzazioni, non so neanche se specialmente per le conifere. sia funzionante. Ed il resto viene inviata in Sardegna e in altri posti, insomma prende Qui è difficile avere assorvarie direzioni.»

timenti di pregio per il legname da lavorazione, perché non ci sono boschi puri. Noi abbiamo la macchia mediterranea poi se si sale si trova il cerro. Però tutti i legnami non sono adatti. Poi è chiaro, all’interno del bosco si trovano anche delle specie particolari di valore - ci possono essere ciliegi, frassini... Il problema è che le ditte avrebbero difficoltà a commercializzarli. Qui non ci sono segherie.

Ma secondo lei di segherie non ce ne sono mai state in questo territorio? «Si si c’erano. Ora qui nella zona di Massa Marittima e Monterotondo non mi ricordo. So che ce ne era una nel comune di Gavorrano che ha chiuso.

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Matricine nei pressi di Niccioleta

Schizzi che sintetizzano la diversità dei boschi come raccontatomi da Giulio Tosi (Boscaiolo di terza generazione), dirigente di un’azienda che si occupa del taglio del bosco, per lo più per la produzione di cippato. La zona tra Follonica e Massa Marittima contraddistinta da alberi sempreverdi (boschi misti di leccio, albatro, ornello, mentre più a nord tra Montieri e Monterotondo Marittimo boschi a caducifoglie con una prevalenza di castagni da frutto a est e di cerro, carpini, ornello a ovest.

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Marco Pollini, responsabile patrimonio foreste dell’Unione di comuni montana Colline Metallifere

Però qui, diciamoci la verità, questo è un territorio in cui storicamente, da secoli, c’è la produzione di legna da ardere. Per secoli, fin dal tempo dei romani e degli etruschi il ceduo ha caratterizzato il paesaggio qui. Poteva esserci un ceduo un po più matricinato per far pascolare gli animali per la ghianda, ma insomma sempre ceduo era. Poi una volta, fino agli anni 60’ c’era un’industria mineraria importante e molte conifere piantate negli anni 60 e 70 andavano per farci i puntoni e tutte le strutture per le gallerie. Allora probabilmente lì c’era un bel mercato.» Ed il cambiamento climatico qui è percepibile nel cambiamento del bosco?

«Nelle nostre zone si sono registrati periodi di siccità prolungata a dissecamento della vegetazione che non si erano mai visti. E’ successo

qualche anno fa, dove specialmente i suoli erano superficiali e la macchia mediterranea era tutta rossastra, tutta a fenomeni di dissecamento generalizzati. Poi è chiaro che è bastato che piovesse - la macchia ha grandi capacità di ripresa. Però si assiste purtroppo a fenomeni sempre più importanti di incendi; ma quello è dovuto sia alle

condizioni climatiche che favoriscono lo svilupparsi ed il propagarsi di incendi ed al fatto che c’è molto più combustibile. La gestione del bosco si è ridotta di molto rispetto a decenni fa. Ora anche noi

facciamo interventi ma su una minima parte del territorio boschivo che abbiamo. E i privati spesso ancora meno. Vengono invase zone che erano agricole e quando passano gli incendi spesso diventano incontrollabili. E’ anche da un paio di anni che ci sono degli attacchi che prima non si erano registrati di defogliatori di Lymantria dispar che prima è partito in isola d’Elba poi nel promentorio di Piombino e contemporaneamente nel bosco di Montioni. L’anno scorso ci furono delle defogliazioni importanti perché tutte le cerrete erano praticamente tutte senza foglie. Poi d’estate si sono riprese e quest’anno si è ripresentato ma con meno importanza. Ci si limita a fare interventi intorno alle case dando un prodotto biologico per contenere le larve.» Secondo lei nei periodi di siccità ci sono delle specie di alberi che resistono di più che altre? «Sicuramente la macchia mediterranea è più resistente, anche se si dissecca è facile che si riprenda. Più sensibile sono delle specie più sciafile, come può essere il cerro, le querce forse accusano di più. 69


Marco Pollini, responsabile patrimonio foreste dell’Unione di comuni montana Colline Metallifere

Mi pare che la ripresa più o meno ci sia stata. Poi si ci possono essere danni da venti forti non su superfici estese, però ci sono stati.» Come è organizzato il piano per gli incendi? «Noi abbiamo un’organizzazione antincendio tutto l’anno e implementata nel periodo estivo, organizzata con il personale operaio dipendente. Abbiamo dei turni di personale che è in pronta operatività - cioè fa un servizio di pattuglia oppure è fisso in punti strategici con l’autobotte. Quindi c’è un pronto intervento. Poi abbiamo in turnazione uno o due direttori delle operazioni di spegnimento degli incendi boschivi. Sono tecnici operai che dirigono e coordinano le operazioni in caso di incendio.

mente ci sono delle interfacce tra il bosco e l’urbano in cui si parla di interventi di silvicoltura per ridurre questa massa combustibile. Noi, nella nostra zona, non ne abbiamo però in futuro si pensava di fare qualcosa di simile anche qui intorno a Capanne, insomma i paesi dove c’è il bosco che arriva a contatto con le case.» Se lei si dovesse immaginare il bosco tra una cinquantina di anni lei come se lo immagina? «Eh, non è facile rispondere. Ci sono delle zone che sono destinate all’evoluzione naturale, dove non è previsto di fare interventi e non si faranno. Lì le dinamiche naturali mah, il bosco rimarrà però può essere che sia in forme diverse da quelle che a noi piacerebbero perché si va verso una vegetazione che sia in equilibrio con l’ambiente circostante e non è detto che sia quella che c’è ora. Probabilmente le pinete sono destinate a scomparire per fare posto ad un’altra vegetazione di latifoglio o macchia mediterranea. La macchia mediterranea stessa senza un intervento dove magari le condizioni sono tali per cui si sviluppa il leccio, può essere allora che si trasformi in delle leccete pure. Mi immagino un bosco dove viene continuato il taglio ceduo.»

Questa è la parte di repressione. Però ci sono degli incendi che con tutta l’organizzazione possibile e mezzi escono proprio dal controllo. E questo è dovuto al fatto che c’è una quantità di combustibile di massa legnosa che la potenza del fuoco è tale che non solo non è controllabile ma poi si formano dei fenomeni di spotting, anche a chilometri di distanza. Secondo lei ci sarà sempre più

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La regione ha puntato su alcuni piani di prevenzione, dove chiara-

cippato come tipologia di trasformazione?


Marco Pollini, responsabile patrimonio foreste dell’Unione di comuni montana Colline Metallifere

«Ora come ora il cippato non è più conveniente, perché la legna da ardere la vendi ad un prezzo più alto. Dove conviene? Conviene nel pino. Ora si assiste però ultimamente a dei cambiamenti nel sistema di utilizzazione - si stanno introducendo dei macchinari che praticamente sostituiscono l’uomo che prendono la pianta, la tagliano, la spezzettano e via. Poi vengono direttamente riversati in delle cippatrici fuori dal bosco. Questi mezzi qui si stanno molto diffondendo.»

stare attento a lasciare un certo numero di matricine per ettaro e di piante di un certo pregio... Certo che quando sei portato a lavorare così potresti tendere a tagliare piante che non dovrebbero essere tagliate. Un po di rischio c’è. Sopratutto in interventi di diradamenti.» Ho incontrato ieri un allevatore a Gerfalco che mi ha detto che non ce la fa più a gestire il pascolo perché deve tenere sott’occhio sempre le pecore.

Che lei sappia ci sono ragazzi giovani che sono interessati a questo mestiere?

«Eh sì, questo problema qui risulta anche a me. Me lo dice anche il personale di vigilanza. Una cosa che mi sembra strana è che il lupo «I ragazzi giovani ci sono, sono si faccia vedere così dall’uomo. Il quasi tutti stranieri. che mi fa pensare che non siano Negli anni si è visto che di ditte tutti lupi ma ibridi; che si siano initaliane ce ne sono ancora però crociati con cani domestici, magari utilizzano in gran parte persone randagi e che poi abbiano proliferastraniere. Poi parecchi si sono mes- to. So che ora stanno facendo degli si in proprio, hanno fondato ditte studi sul DNA per vedere quanta proprie che fanno lavorare le perpercentuale di lupo c’è, quanti ibrisone a contratto a tempo determidi ci sono. Qui però gli attacchi ci nato. Spesso vengono assunte nel sono tutti i giorni.» periodo del taglio e pagate in base a quanto tagliano e producono. In E cosa si potrebbe fare nell’immequeste imprese ci sono tanti ragadiato? zzi anche abbastanza giovani però sono tutti stranieri. E anche le ditte «E’ difficile dirlo. Qualche anno fa la italiane stanno diminuendo.» regione dava proprio dei contributi per la realizzazione di recinti per Ma pagare secondo quanto uno tenere i greggi: alti con il filo spinato taglia non può portare ad un taglio in cima, con i ferri ripiegati all’esscorretto o eccessivo? terno…sembravano dei campi di concentramento a dire la verità. «Diciamo che nel ceduo che è un taglio semplice, in cui devi solo 71


Fenomeno di riconquista della vegetazione di un campo a pascolo nell’area di Montieri 72


Però il problema è che così magari tu le salvi la sera; ma se te devi mandarle al pascolo durante il giorno non è che tu possa recintare ettari ed ettari, come fai? Perché poi gli attacchi avvengono anche in pieno giorno. Se no bisognerebbe fare degli abbattimenti, però come si fa a riconoscere l’ibrido dal lupo? Il lupo andrebbe preservato. La vedo un po difficile la cosa.» Che cosa le da più soddisfazione del suo lavoro? «Ma…Ultimamente non ci sono state grandi soddisfazioni. Anche perché purtroppo la pubblica amministrazione è diventata una cosa burocratica di carte anche per chi è tecnico come me. Purtroppo è difficile lavorare per via delle norme che si sovrappongono e di uffici che ti complicano la vita, però quando riesci a fare degli interventi che hanno una certa utilità, come ultimamente si sta facendo su questi piani di antincendio boschivo che vedi la gente soddisfatta di quello che hai fatto, allora chiaramente sei soddisfatto. Quindi si, la creazione di queste aree in cui si riduce la massa combustibile facendo l’asportazione del sottobosco, diradando le piante, potandole, in maniera che anche se arriva il fuoco, quando arriva in queste fasce anche profonde 50 metri, queste diminuiscono l’intensità ed a quel punto può essere messo sotto controllo. L’idea è

ventiva e di inculcare anche nelle persone l’idea di doversi tutelare facendo anche loro degli interventi. Perché se vede le case in campagna che ci sono, non si rendono conto della pericolosità in caso di incendio. Per cui biso-

gnerebbe mantenere un raggio di 20, 30 metri pulito sotto, tagliando la vegetazione arbustiva, levando la vegetazione secca. Altrimenti ti arriva in casa. Per cui si tratta di fare la prevenzione perché con i semplici mezzi che abbiamo non ce la facciamo, anche se la Toscana ha una delle strutture antincendio boschive più efficienti d’Italia.

Bisogna tornare a gestire il bosco come veniva gestito dai nostri nonni. Ora il bosco lo si dimentica a parte quando si va a prendere i funghi, si va a fare passeggiate …e

poi lo si dimentica. Non perché il bosco naturalmente non ce la fa, perché la natura la sua via la trova; ma se tu vuoi un bosco con il quale convivere, bisogna un minimo gestirlo - ma non tutti lo capiscono. Sa quante volte ci dicono che vogliamo solo fare soldi, che distruggiamo il bosco, un sacco di storie - però se non si fa niente… Un posto non gestito anche per funzioni ricreative non è mica l’ideale.»

di fare una selvicoltura pre-

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Incontro con Alessio Guazzini, agricoltore

macchia boschiva filare di alberi impianto oliveto

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Alessio Guazzini, agricoltore

«Considerando i tre fattori: l’estensione del territorio (fai conto che la Maremma dal suo punto più al nord, al suo punto più al sud, in linea d’aria ha più di 120 kilometri), la densità demografica ed il Pil generato dall’agricoltura, ci è stata data la qualifica di distretto rurale europeo più grande d’Europa (dal 2013. Fu Luca Sani che portò questa istanza a Bruxelles).

state chiuse negli anni 60 e quindi qualche strascico di quell’epoca ci ha lasciato infrastrutture. Però ecco è difficile vivere in un posto che tende ad essere abbandonato.

Cercando di andare in controtendenza a questa attività uno si domanda che cosa abbiamo come ricchezza, che cosa abbiamo da valorizzare ? Le miniere Noi azienda abbiamo 60 ettari, poi abbiamo altri appezzamenti e ragnon posso essere riaperte. giungiamo 130 ettari dislocati lunAbbiamo il territorio, il bel go tutta la vallata. Principalmente paesaggio, l’agricoltura, la si tratta di olivete e cerealicoltura; gastronomia, la possibilità facciamo grano, girasole e prati di sviluppare turismo e ci naturali.» stiamo muovendo in questa direzione, avendo come Mi hanno detto che sei presidente dell’associazione DRAGO, che base di partenza il territorio cosa significa questo nome? ed una popolazione agricola attiva che smuove tipicità, «Sì, allora vuol dire distretto, rurale, produzioni ed attenzione alla agricolo, gastronomico, organizzapropria terra, al proprio territo. Io sono il fondatore e capofila; torio. non sono da solo a fare questa cosa, ma ne ho ideato il cuore diciamo, la missione. Il mio interesse nasce dalla salvaguardia del territorio. Qui abbiamo due grandi problemi: La densità demografica che è bassissima: si

parla di una persona ogni 3 chilometri quadrati. Questo ha

tutta una serie di problemi sull’opportunità dei servizi. Sembra quasi di vivere in un posto di frontiera dove è difficile trovare assistenza; è difficile trovare tutta una serie di servizi - anche se veniamo da una epoca ricca, perché le miniere sono

Quindi stiamo facendo rete, sistema, per contrastare il fenomeno dell’agricoltore lasciato a se stesso, in balia del mercato e quindi scollegato al proprio territorio. Spesso tu agricoltore produci delle cose che raramente vendi nel tuo territorio; te le fa vendere o la cooperativa che compra a prezzi ridicoli o entri in un meccanismo di coproduzione che non è economicamente sostenibile.»

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«Dialogando con il territorio e facendo sistema tra gli agricoltori, riusciamo ad intercettare quella economia circolare locale, che ridà linfa, quindi liquidità e sostegno ad una produzione tipica locale, che negli anni di partenza erano piccole interazioni tra aziende agricole e mercati tipici, poi dal 2017 ad ora, si è strutturata in una vera e propria filiera organizzata, che poi ha fatto nascere l’associazione DRAGO. Siamo anche in collaborazione con istituti tecnici locali per fare ricerca. Abbiamo come partner tre università e il CNR di Follonica. Con uno sguardo al passato riusciamo a valorizzare in maniera diversa le produzioni ed i prodotti finali. Perché poi non siamo solo produttori; siamo anche trasformatori. La cosa più importante che ti lega al territorio è poter trasformare il prodotto. Abbiamo mugnai, panificatori, abbiamo i ristoranti del posto, abbiamo le pasticcerie. Siamo riusciti a sfondare il muro di soli cereali ed entrare nel panorama dell’olio, del miele, del farro, abbiamo il vino, la frutta secca, lo zafferano, la lavanda. Quindi il parco è un ente che ci racchiude geograficamente, che ci tutela e ci valorizza sotto molti punti di vista ed il punto di vista più importante è quello della eco-sostenibilità.» E tu sei cresciuto qui? «Mio padre è nato qui. Io sono nato 76

a Massa Marittima in ospedale, però ho vissuto ventun’anni a Follonica. Sono perito agrario di formazione. Venivo ad aiutare mio padre in campagna fin da piccolo.Tranne i primi mesi dal diploma che ho fatto dei lavoretti part time, poi ho aperto la partita iva e sono diventato imprenditore agricolo, dal 2000. All’epoca ho aperto la mia piccola ditta agricola che poi con gli anni si è allargata comprendendo tutta l’azienda che era della famiglia di mio padre. E poi dal 2004, abbiamo aperto l’agriturismo e diversificato una serie di servizi.» Come è cambiata la gestione delle colture negli anni? «Allora è ancora in cambiamento perché ora stiamo andando verso un’altra tipologia di coltivazione che è più ecosostenibile. Perché prima c’era una agricoltura lenta dove stavi tutto il giorno, tutti i giorni in agricoltura. Diciamo pettinavi i fili d’erba, era tutta un’altra gestione, ma c’era anche un’altra maniera di vivere, un’economia più semplice, meno frenetica ed un approvvigionamento molto più tranquillo. Si viveva con quello che uno aveva. Adesso non è più possibile. Perché la tassazione ed il mercato ti rincorre talmente tanto che devi andare a correre in qualsiasi tipologia di produzione in cui sei vocato; quindi fare i conti con le virgole ed è molto difficile starci dentro.


Prima si faceva tutta una serie di lavori, mettendo tanti soldi nei macchinari, cose che non sono più sostenibili. Abbiamo scoperto tra l’altro che non è nemmeno giusto. Dagli anni 60, agli anni 90 l’agricoltura è stata molto impattante sul terreno. Spinta da tutta una serie di dinamiche di mercato. Questo lo so perché l’ho vissuto da ragazzo e poi l’ho vissuta da perito agrario - lo sfruttamento del suolo, lo sfruttamento di risorse, lo sfruttamento idrico, e l’apporto di sostanze chimiche al territorio era inflazionato dalle regole di mercato. Se te volevi produrre dovevi produrre in quel modo.

titi in una adeguato controllo delle dinamiche di mercato - un mercato sostenibile - un mercato intelligente - un mercato senza sprechi. A quest’ora, ci sarebbero agricoltori virtuosi - non una classe sociale che è a se stante da tutto il resto della società, con un’azione imprenditoriale locale che sarebbe molto più evoluta di adesso.

Da li è nato il progetto europeo del finanziamento agli agricoltori. Io lo dissi subito nel 94 quando arrivò - era la gocciola che fa morire l’agricoltura, perché? Te saresti stimolata a lavorare se sei pagata per non farlo? Ed è esattamente quello che succede. Gli agricoltori sono sovvenzionati da anni (PAC), dal 94, per lavorare meno rispetto a quanto lavoravano prima, surrogando un reddito e drogando le dinamiche di mercato. Quote latte, quote olio, accordi commerciali con il grano...

Quando tu ci metti di mezzo delle regole economiche: ti do dei soldi e dei prezzi, la gente si è spaesata. Quando l’agricoltore deve fare anche l’economo per capire cosa potrà fare nei prossimi anni è li che perde un ruolo - e vediamo l’abbandono delle colline.

Invece loro hanno distrutto un tessuto di imprenditori che io ho conosciuto che erano imprenditori che sapevano come coltivare la terra, come farlo - anche prima dell’avvento della chimica, dell’industria.

La gente sempre più dissestata a livello economico tende ad evadere dalla agricoltura, perché non ha reddito, perché non riesce a mangiarci, non riesce a pagare le bollette della luce. La gente è costretta a prendere la pensione dei nonni per pagare le rate e spese quotidiane dell’azienda. Dell’azienda, non della vita.

Se invece i soldi che hanno stanziato con la PAC fossero stati inves77


Trasporto delle rotoballe ai piedi di Campo Ruffaldo

Una rosa dei venti marca l’ingresso di Campo Ruffaldo. Di certo qui la visione è chiara

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Alessio Guazzini, agricoltore

tivare così - anche perché innanzitutto guadagni l’80 percento dell’acqua piovana. Siamo qui in una zona siccitosa, ogni volta che piove, l’acqua cade e se ne va, la perdi. Non è trattenuta. Tutto quello che coltiveremo erba medica, lino, insomma piante Abbiamo scoperto che con alcune perenni, tende a trattenere varietà antiche meno fai, meglio è. più acqua, a tenere la terra Varietà antiche di ulivo, di cereale, di albero da frutta, perché sono re- più soffice e a rigenerare lo silienti, perché hanno una resilienza strato micidiale sottostante. Noi con il nostro modello invertiamo il trend. Ridiamo il valore alla terra, ridiamo il valore all’agricoltore, ridiamo una nuova prospettiva di rilancio in tematica ecologica ed eco-sostenibile e con tutte le nuove scienze applicate alla terra - minore impatto, attenzione al dissesto idrico...

particolare alle infestanti. Anzi crescono meglio se il terreno ha una certa naturalità perché l’enorme quantità di chimica ha cambiato lo stato chimico fisico del terreno. Noi invece tendiamo a riportare il terreno al suo stato di origine, aumentando i microorganismi. Per noi non esistono infestanti, per noi esistono popolazioni di erbacee naturali che equilibrano il suolo. Infatti nel prossimo anno inizieremo un processo pilota per la semina su sodo - una tecnica che esiste ormai da una decina di anni, che consiste in dei macchinari che seminano su terreni non arati.

Quando poi te con le macchine vai a seminare sopra la tua coltura da reddito, che può essere un grano antico, senatore cappelli, o anche ortaggi, o anche nell’oliveta, non vai a sciupare il terreno ed il micelio. Esiste quindi una simbiosi tra la coltura di base e quella da reddito. Continui così ad avere sempre il terreno coltivato e verde. Poi c’è un altro motivo legato alla nostra apicoltura. Io qui ho circa 120 arnie. Sono collaboratore con un’associazione apistica (Apiamoci) che viene dal nord, ormai qui da undici anni. Questa nuova tecnica la inizierò a Novembre prendendo le Ora andiamo a coltivare delle macchine della filiera che già fanno semina su sodo.» colture di base e le lascia-

mo permanenti sul suolo per ricreare quel substrato miceliale che regola la distribuzione dell’acqua e delle sostanze nutrienti. Vogliamo provare a convivere e a col-

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Alessio Guazzini, agricoltore

Del tuo lavoro quale è la cosa che ti mente da altre parti di Italia, gli da più piacere? agricoltori si aiutavano. C’era collaborazione, c’era l’interesse per il vicino perché il vicino era una risor«Allora, parlando di obiettivi la cosa che mi da più piacere sa, non un nemico. Quel mondo lì è raggiungere l’economicità è il mondo che ha dato origine alle associazioni cooperativistiche, alle del progetto di filiera, portare grandi cooperative, i consorzi. Le ad innalzare la redditività prime coop sono nate qui, in Toscadella propria azienda. Quindi na. Poi secondo me piegate dalle quando si riesce a chiudere economie di mercato si sono modificate in qualche cosa che funziona degli accordi e far girare poco adesso, e quindi ritorniamo un’economia circolare.

Ecco questo mi da soddisfazione, perché so che questa è linfa per fare stare quell’agricoltore qui.

Anche fare nuovi agricoltori: per esempio io stimolo altri associati a non disperarsi di avere della terra ma coinvolgerli per diventare agricoltori. Al momento sto aiutando tre aziende a diventare agricoltori. Questo mi da molta soddisfazione perché il progetto è nato per contrastare l’abbandono e la cattiva gestione del territorio. Avendo una filiera, un’economia si danno opportunità a questa cosa.

ad un livello più basso per ri-iniziare da quello che in realtà era una buona pratica - la coltivazione aggregata. Il guardarsi tra agricoltori.»

Un’altra cosa che mi da soddisfazione è quando mi viene riconosciuto il ruolo che ormai porto avanti da vent’anni; quando la gente capisce che non è un’utopia quella che ho in mente ma una cosa concreta che viene dal passato. In realtà ho conosciuto una rete rurale negli anni 80. Quando ero piccolino ed andavo con mio padre a lavorare, vedevo che qui, ancora diversa81


Incontro con Marco Porcinai, biologo, Parco Nazionale delle Colline Metallifere Grossetane

Massa Marittima

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Marco Porcinai, biologo, Parco Nazionale delle Colline Metallifere Grossetane

Secondo lei il cambiamento climatico che si sente sempre più negli ultimi anni come ha alterato gli ecosistemi nel territorio delle colline metallifere? «Ma sicuramente è qualcosa che si sente. Come impressione generale innanzitutto è cambiato il regime di piovosità. Non è neanche tanto che piova meno ma piove in maniera diversa. Quindi ci sono meno giorni di pioggia con delle piogge concentrate spesso più violente. E’ quello che succede un po dappertutto in Italia. Le piogge hanno assunto un po questo carattere monsonico, tropicale.

Poi il clima è un fatto molto complesso. Bisognerebbe discutere da un punto di vista temporale su tempi molto lunghi. Di sicuro la portata dei corsi di acqua si è ridotta notevolmente anche perché i corsi d’acqua poi vengono gestiti in modo sbagliato. Vengono fatte castrazioni alle sorgenti. Per esempio sul fiume Pecora è stato creato a monte un’invaso per i momenti in cui manca acqua potabile e chiaramente il nostro gestore dell’acqua gestisce questo invaso e pompa acqua dal fiume, senza lasciare nel fiume una portata minima. Quindi questo ha un grande impatto per la biodiversità anche perché poi

questo fiume va a finire dentro una zona umida che sarebbe il Padule di Scarlino. Quindi sicuramente c’è questo tipo di problema. Una cosa che posso dire che io percepisco dalla passione recente che ho di scattare foto in mare è che l’acqua del mare si è riscaldata in maniera impressionante. Questo si. Il mare è sicuramente molto caldo. Io non ho mai sentito un’acqua calda come negli ultimissimi anni. È impressionante. A volte entri in acqua e sembra di entrare quasi in una vasca da bagno con l’acqua riscaldata. Io non ricordo da ragazzo di avere provato una sensazione così.» Questo invaso alimentava Follonica? «E’ all’interno del comune di Follonica; è un invaso che si trova nell’area contigua del parco di Montioni - area protetta che adesso stanno trasformando in riserva naturale regionale. All’interno del parco di Montioni, si vede molto bene su google hearth, ci sono due laghi (palesemente due laghi artificiali) : uno quasi vuoto che era un vecchio lago artificiale dove c’era un sacco di biodiversità e poi c’è un lago palesemente molto più artificializzato, più a sud in mezzo al bosco. C’è una grossa diga alla base di questo lago stretto e lungo (nel lato sud) che poi si incunea nella valle, circondato completamente dal bosco.

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Marco Porcinai, biologo, Parco Nazionale delle Colline Metallifere Grossetane

Questo lago prende l’acqua dal fiume Pecora ed il fiume Pecora ora è secco. Noi abbiamo una situazione molto particolare qui. Questa è una cosa che in piccola parte salva l’ecosistema. Perché una volta c’era qui un sistema fluviale molto peculiare fatto da due corsi d’acqua. Uno è quello che viene chiamato gora delle ferriere, che sfocia a Follonica con due tubi. Se tu vai a Follonica, lungo il fosso che poi sfocia a Follonica, che è artificializzato, lungo il corso, ad un certo punto vedrai che ci sono due tubi che passano sotto la strada e dovrebbero buttare acqua. Questi

E’ stato l’uomo a separare questi due fiumi - tramite un sifone, per non mescolare l’acqua della gora a quella del Pecora. Però da un punto di vista biologico le specie che si trovano nei due corsi d’acqua sono simil perché da sempre si sono mescolate.

Fortunatamente l’altro fiume da un punto di vista biologico si trova in una condizione estremamente migliore perché ha ancora una sorgente che non è stata artificializzata molto ed ha soltanto un problema di eccesso di prelievo idrico abusivo. Essendo stato declassato due tubi sono la foce artificia- a canale dalla legge italiana, non lizzata di questo vero fiume, sono obbligati ad ottenere una porche invece la regione ha pur- tata minima del fiume. In estate negli ultimi due chilometri il fiume non ce troppo inopinatamente declassato a canale irriguo, no- la fa ad arrivare al mare, mentre per buona parte del corso c’è acqua e nostante sia un vero piccolo quindi questa acqua permette alle fiume, che un tempo portava piante, agli animali che nel Pecora l’acqua alla vecchia fabbrica sono in grande difficoltà per la sidel ferro di Follonica e che tuazione di siccità, tutto sommato di muoveva tutte le ruote idrau- sopravvivere.

liche e le macchine.

Questo corso d’acqua si chiama Ronne o Aronne perché la sorgente Follonica è nata intorno a questa si chiama sorgente Aronne e poi ad fabbrica del ferro e funzionava con un certo punto quando raccoglie le l’energia idraulica. Ecco praticaacque di altri piccoli corsi d’acqua, mente una volta questi due fiumi si uno che sta sotto Massa Marittima intersecavano. Poi il Pecora, che è che si chiama Venelle si trasforma e un fiume a regime torrentizio, sfociava nella palude mentre quest’altro viene chiamato Gora delle Ferriere. si incrociava ed andava a finire a Fra l’altro la sorgente si può visitare; Follonica. io ci faccio il bagno. 84


Marco Porcinai, biologo, Parco Nazionale delle Colline Metallifere Grossetane

E’ molto carino perché è un fiume piccolissimo lungo una ventina di chilometri ed ha questa sorgente sub-termale quindi l’acqua è attorno ai 23, 24 gradi, quindi se te ti ci butti dentro non hai la sensazione drastica di quando ti butti in un fiume che rimani con il respiro a metà.

ciare la vegetazione spontanea nell’alveo e già cambierebbe moltissimo. Se tenessero puliti gli argini ma all’interno dell’alveo almeno la vegetazione erbacea la lasciassero o se la tagliassero magari solo una volta all’anno già sarebbe molto meglio.

Anche perché da un punto di vista della gestione idraulica, nei paesi civili dell’Europa stanno rinaturalizCi stai bene dentro e ci sono un sac- zando perché hanno visto che per co di cose dal punto di vista biologi- proteggere meglio il territorio dalle alluvioni l’acqua va rallentata. co interessanti.

C’è una chiocciola acquatica che è praticamente unica al mondo. Ci sono quattro siti tra la provincia di Livorno e quella di Grosseto dove esiste questa chiocciola che vive solo in acque sub-termali. Si chiama melanopsis etrusca. E’ un relitto di un clima più tropicale, e quando poi sono venute le glaciazioni, in queste piccole oasi di acqua calda, questa chiocciola di dodici, tredici milioni di anni fa è riuscita a sopravvivere in queste zone di acqua calda. Ed è una chiocciola piccolina. L’altro grosso problema legato alla perdita di biodiversità è proprio legato alla gestione della vegetazione nell’alveo e sulle sponde che è delirante. Loro tagliano tutto, così. Come se non ci fosse un domani. Potrebbero tagliare gli argini e las-

Io sono iscritto ad una società di professionisti che si chiama CIRF (centro italiano di riqualificazione fluviale) che è uno dei partner di questo contratto di fiume (Contratto di Fiume per la bassa val di Pecora).» Sono rimasta un po perplessa perché Montieri anche dal materiale offerto/prodotto dall’ufficio turistico promuove molto l’aspetto storico archeologico del paese, ma non sembra promuovere il patrimonio naturale, vegetale. «Allora tu devi partire dal presupposto che in Italia funziona così. Se sei una persona che conosce la storia dell’arte, l’archeologia, la letteratura, la poesia, sei una persona colta. Se sei una persona che studia le libellule sei un coglione, sei un nerd, uno un po strano, un personaggio un po così. Perché in Italia le scienze naturali sono considerate cultura di serie B. 85


Marco Porcinai, biologo, Parco Nazionale delle Colline Metallifere Grossetane

E quindi le persone che si occupano di questo non vengono molto considerate. In una zona dal punto di vista culturale già povera, dal punto di vista di cultura, delle scienze naturali è ovviamente ancora più povera. Noi siamo qui in una zona tragicamente povera per ragioni storiche e le scienze naturali sono completamente trascurate - anche perché per secoli qui la natura è stata il nemico con la malaria, le paludi. Quindi nella mentalità del contadino, dell’uomo medio c’è ancora un’idea di natura nemica o natura da sfruttare. La natura da studiare è un concetto che ancora fa fatica ad affermarsi.»

Alberi sofferenti lungo il fiume Pecora

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Incontro con Alessandra Casini, direttrice del Parco Nazionale delle Colline Metallifere Grossetane, Gavorrano

sede del parco delle colline metallifere ai piedi del bosco

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Alessandra Casini, direttrice del Parco Nazionale delle Colline Metallifere Grossetane, Gavorrano

«Noi siamo vittime di una gestione del bosco che è ovviamente non nostra e coordinata dalla regione Toscana. L’imput è : la natura deve fruttare. C’è stata quindi una gestione scellerata dei tagli del bosco. A parte gli alberi che ovviamente sono i primi che hanno subito e ne sono state le vittime, abbiamo avuto problematiche riguardanti la sentieristica: la gente ora si perde nel bosco, perché hanno tirato via tutto quello che era legato alla sentieristica.

il bosco deve essere gestito e tagliato, perchè il nostro bosco è nato per essere gestito e tagliato. Però sono contraria ai tagli non controllati, non monitorati, devastanti. Per fare prima vengono addirittura buttate le frasche dentro i fossi per farci passare i macchinari. Quindi ne derivano problematiche legate al drenaggio. C’è in assoluto una degenerazione per mancanza di autorità sul controllo di questa risorsa. Un peccato perchè abbiamo dei boschi meravigliosi.

L’altro problema è che il taglio del bosco non è più sotto controllo perché hanno dato ampie aree da controllare a strutture che non ce la fanno. Quindi c’è l’arrembaggio.

In alcuni casi non sono contraria a fare dei tagli consistenti. Ad esempio quando si tratta di tagliare le conifere; bonificare queste scellerate piantumazioni degli anni 50 mi sta anche bene. Però manca un disegno, una strategia, un progetto. E’ tutto all’arrembaggio.

Addirittura sono arrivati a distruggere delle riserve statali e regionali. Adesso il maggiore sfruttamento del bosco viene fatto non tanto sul ceduo ma il cippato, per la biomassa. Quando ci sono questi tagli del bosco arrivano con dei granchi, prendono gli alberi, gli strappano con tutto l’apparato radicale e poi vengono macinati sul posto. Per fare questo hanno bisogno di ampi spazi. Per portare via questa roba vengono aperti sentieri di oltre tre metri per farci passare le macchine.

L’indirizzo ora è più verso lo sfruttamento della risorsa che la sua conservazione ed in realtà le due cose se ben gestite non sono in contraddizione.

Avevo cominciato a fare un’opposizione sopratutto nei processi partecipati di contratti di fiume, perché 88

E poi in generale c’è un’atteggiamento molto aggressivo. Intanto le persone che tagliano il bosco vengono tutte da fuori, i macedoni etc. Sono certamente grandissimi lavoratori però hanno una diversa maniera di concepire il bosco. Senza contare tutte le schifezze che lasciano nel bosco. Dalla benzina, alle bottiglie di plastica, le taniche, i rifiuti. Lasciano tutto lì. Poi fanno piazza pulita.


Alessandra Casini, direttrice del Parco Nazionale delle Colline Metallifere Grossetane, Gavorrano

Purtroppo io non ho nessun potere sulla gestione del bosco. Nessuno. Come posso intervenire io che sono parco minerario e geoparco? Nei momenti di partecipazione dl contratto di fiume. Il contratto di fiume è un percorso partecipato per creare un piano di azione per tutelare il fiume. Quindi l’uso dell’acqua, il taglio degli argini, la problematica delle esondazioni. Quindi non solo il fiume in quanto asta fluviale ma tutto il bacino idrografico.

E’ ovvio che se fanno dei tagli che occludono i fossi, che impediscono uno sviluppo turistico cancellando i sentieri; che creano problemi alla nidificazione degli uccelli.... Invece bisognerebbe riportare alla coscienza che anche il bosco è un bene della comunità e che va tagliato in un certo modo. E’ un problema nel quale ci sono delle forze economiche importanti anche perché qui sono state fatte tante stazioni di biomassa e quindi ovviamente queste stazioni devono essere “nutrite” da qualcosa.»

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Incontro con Angela Saba, allevatrice di pecore e produttrice di formaggio

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Come la siccità ha un impatto sull’allevamento?

Tra il secco delle stagioni ed il corsorzio di bonifica che ha «Quando sei venuta a casa mia hai tolto tutte le piante, quindi tovisto? Sembra di essere in Africa. gliendo anche quello che era Che ne dicano gli esperti … noi che facciamo questo lavoro i cambiamen- un minimo di riparo...è rimasto questo fosso. Hanno trasforti climatici li sentiamo, li subiamo, li viviamo tutti i giorni. Perché comumato un fiume in un fosso. La nque si sono spostate le stagioni. Ti terra crolla e frana sempre di dico solo una cosa: l’anno scorso gli più, quindi perdo sempre più animali anziché partorire verso fine terreno e quello che per me è ottobre, novembre, hanno partorito a importante per gli animali. Dicembre. Il fiume, in questo periodo ci puoi camminare tranquillamente e non ti bagni. Durante la stagione estiva, quando diventava tutto arido, tutto secco e le pecore non potevano pascolare, qui lungo il fiume un po di roba fresca c’era. Le portavo li, mangiucchiavano qualcosa. Negli ultimi anni, in questo periodo è tutto secco anche lì. Io ce le porto lo stesso però l’acqua non c’è e non c’è nemmeno roba di frescura.

Poi per noi segna anche un confine il fiume quindi era un ostacolo per non fare passare gli animali dall’altra parte.

Io amo il mio lavoro più della mia vita, però così...»

Prato dell’azienda. Il terreno mostra grandi segni di siccità. A destra dell’immagine scorre il fiume Pecora

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Incontro con Tommaso Pelandri, tecnico, controllore del livello delle acque del fiume Pecora

vegetazione riparia albero morto

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albero sofferente


Tommaso Pelandri, tecnico, controllore del livello delle acque del fiume Pecora

«In questo periodo in cui non piove da tanto siamo messi male. Se tu percorri il Pecora oggi, in molti punti vedrai che non c’è lo scorrimento delle acque. E questo è dovuto un po ai vari attingimenti che sono in uso. Loro ricevono degli avvertimenti perché non possono prendere più acqua di quella che ne restituiscono. Viene tutto calcolato in funzione della pompa. Tu dovresti sempre lasciare un minimo di deflusso vitale cosa che non sempre viene rispettata perché le pompe non sono calibrate al massimo. Ed un altro problema accade con il riempimento del laghetto Bicocchi per dare l’acqua a Follonica. Nei momenti di crisi quando proprio non ce ne hanno più perchè Follonica è piena di turisti (150000 persone rispetto alle 25, 30000 che ci sono d’inverno) riempiono il laghetto. La gestione idrica in questo periodo qui è molto difficile, quindi se non piove diventa un problema.

La situazione è peggiore d’estate che d’inverno. D’inverno bene o male hai a che fare con la pioggia che è gestibile. Invece queste situazioni qui sono gestibili con più difficoltà, perché devi dire a quello «stacca la pompa!», oppure «quello non può stare lì, oppure solo la notte!»…Poi c’è l’evaporazione… Però ecco io sorveglio la situazione ma non ho potere decisionale. Controllo un tronco che va dalla stra-

da che da Follonica va a Massa, fino a circa a Follonica. Dove ci sono gli argini per le piene. Le parti sopra le controlliamo giusto per andare a vedere se ci sono problemi; dei lavori di cui si occupa il consorzio di bonifica.» Quali azioni sono in questo momento in corso lungo il Pecora? «Ma ora c’è la crisi dell’acqua sicuramente. A volte poi sembra che l’acqua non ci sia, che non scorra in superficie ma in realtà passa sotto il letto del fiume. Quindi c’è lo stesso un minimo di scorrimento. Certo il periodo è quello peggiore in assoluto adesso. E quindi bo vediamo..speriamo nelle piogge.» Da quanti anni è che fai questo lavoro? «Dal 93’, io sto in quel casello, l’hai visto in quella torretta tonda vicino al ponte .. Quello è stato costruito nel 1905 quando c’era il Regio Decreto che governava le acque pubbliche. Però adesso in regione non lo vogliono eliminare ma cambiare molto perché secondo loro la figura nostra di stare sul posto, attaccati al fiume, non è più necessaria. Ora ci sono rilevatori, ultrasuoni...

Noi siamo sempre meno. Fai conto che quando sono arrivato nel 1993 eravamo in 14 ora siamo rimasti in 4 o 5.»

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Tommaso Pelandri, tecnico, controllore del livello delle acque del fiume Pecora

Sono frequenti le esondazioni? «Ultimamente no. I fiumi come il Pecora si chiamano a rapido incremento; come la piena arriva veloce, due ore, fa un flusso di sei sette ore e poi se ne va.» Ci sono delle azioni in corso per la raccolta delle acque piovane? «No. Qui da noi no. La Petraia l’hai vista? Quella che ha le vasche di espansione? C’è tutto un sistema di casse di espansione del fosso Petraia, che aveva allagato Follonica nel 94 o 95.»

Indicatore del livello delle acque sul fiume Pecora con chiara mancanza d’acqua nel fiume

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Incontro con Franco Morra, Azienda Agricola biologica

pannelli solari laghetto ritenuta d’acqua oliveto

seminativo

vigna

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Franco Morra, Azienda Agricola biologica

«La nostra azienda è molto variegata: abbiamo un oliveto, un vigneto, e abbiamo l’ortofrutta. Ci rivolgiamo alla vendita diretta perché date le dimensioni dell’azienda abbiamo bisogno di questo canale. Abbiamo avuto anche cereali con altri terreni che avevamo preso in affitto.

La problematica più grande al nostro livello è l’economia di scala; è la dimensione della azienda. A livello tecnico pratico sono le infestanti e a livello di gestione, di sopravvivenza della faccenda è l’economia fiscale. O si riesce a completare la filiera del prodotto e valorizzarlo al massimo, oppure bisognerebbe avere delle superfici più importanti. Tenendo presente che questa problematica qui si acuisce con la produzione biologica, perché nella produzione biologica è più importante la differenza di costi aggiuntivi rispetto ad una produzione più limitata. Quindi ancora di più: se riesci a trovare una nicchia per valorizzare il prodotto ce la fai, se invece devi rivolgerti a una vendita all’ingrosso per un prodotto semi-lavorato o non completo o una produzione primaria che poi viene trasformata da altri, nessuno ti riconosce i costi aggiuntivi che hai. Quindi la problematica maggiore è questa.» 96

Da quanti anni avete questa atti-

vità? «Venticinque» E avete cominciato con l’oliveta? «Con l’oliveto e l’ortaggio. Poi abbiamo sviluppato la vigna subito dopo. C’era già una piccola vigna e l’abbiamo ingrandita. Attualmente la vigna resiste pure non avendo noi la cantina perché riusciamo a valorizzare la produzione di uva biologica con due o tre azienda che ci conoscono e che ci permettono di farlo. Perché sul mercato non potremmo sopravvivere.» Quindi le trasformazioni dell’uva avvengono qui localmente? «Si tra Suvereto e l’isola d’Elba. Per l‘olio siamo soci della cooperativa Terre dell’Etruria; quindi lo facciamo lì e poi facciamo vendita diretta. Abbiamo diversi clienti e quello che è in più lo diamo alla cooperativa. Però è una quantità marginale - la maggior parte la vendiamo direttamente.» Ci sono delle problematiche legate alla siccità? «Sicuramente. Siamo in una zona abbastanza povera d’acqua. Facendo gli ortaggi, abbiamo un pozzo che fa la sua parte ma non è sufficiente per irrigare l’oliveta. Dovendo produrre ortaggi e piante da frutto, anche avendo fatto a suo tempo l’impianto di irrigazione per l’oliveta, non siamo in grado di alimetarli.


Franco Morra, Azienda Agricola biologica

Per esempio adesso ci sono chiari segni di siccità nell’oliveta. Ci sono olive piccole, piante non rigogliosissime per questo motivo. Per la siccità oggi si possono fare le potature tempestive e chiamare lo stregone che fa la danza della pioggia. In ogni caso noi abbiamo un paragone con i miei fratelli che stanno poco più giù, loro irrigano ed utilizzano metodi non biologici ed hanno cariche di olive che noi non ce le sogniamo nemmeno.

che vada male e poi basta una settimana di caldo forte nel momento giusto che c’è la moria delle larve e quindi si azzera l’evoluzione.»

Raramente ci sono della annate in cui i nostri ulivi sono carichi come i loro. Certo che loro hanno una monocoltura ed impianti di irrigazione dedicati. Hanno un pozzo che va ad una falda acquifera più profonda. La nostra è piuttosto superficiale e la loro butta acqua ad un quantitativo assurdo. Abbiamo sopperito con un invaso di irrigazione; praticamente il pozzo butta poco ma regolare dentro l’invaso e da li partiamo con il quantitativo d’acqua che ci serve per quello che ci serve. Per l’orto siamo a posto così.»

Utilizzate delle consociazioni tra le colture?

Che trattamenti fate per l’oliveto? «Il caolino, o in una fase iniziale utilizziamo lo spinterfly, un prodotto naturale diluito. Siamo monitorati con il biologico. E poi c’è la raccolta molto precoce per la quale ora che sono in tanti a farla i frantoi aprono prima. Abbiamo forse una produzione inferiore ma qualitativamente migliore sia per proprietà organolettiche sia per sapori.»

«Non stiamo esattamente a guardare la consociazione, però dobbiamo fare coincidere: le rotazioni che dobbiamo dichiarare e mantenere effettive per il biologico. L’ente di certificazione ci obbliga ad avere uno schema che va un po contro il sistema a consociazioni. Siamo obbligati a fare delle rotazioni schematiche Anche perché il sistema che hanno adottato adesso di interagire con ARTEA, che è l’ente che verifica queste cose, ti obbliga a fare degli E l’anno scorso come è andata con appezzamenti più consistenti perl’oliveta? ché a di sotto di una certa misura non te lo registra. Quindi ti massa«Come quantitativo o come mosca? crano. Come mosca è andata bene - bene Sono questioni più burocratiche che per noi, non bene per la mosca. Ci altro. sono diversi fattori. A volte sembra

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Franco Morra, Azienda Agricola biologica

Poi bisogna dire che non sempre i momenti ti consentono di fare la consociazione giusta. Noi prendiamo le piantine biologiche da un’ azienda e a volte ci arriva la roba un mese dopo, o pensi di avere un tipo di cavolo ed invece ti arriva un altro. Insomma un po di pasticci succedono.

Poi devi fare delle cose che sei sicuro che vanno bene, perché l’adattamento della clientela è nullo. E’ più facile adattare le piante che la clientela. Sarebbe un discorso complesso che dovrebbe partire dal monte ed arrivare al mare però noi dobbiamo guadagnarci da vivere, quindi dobbiamo fare le cose con un certo standard. Questo vuol dire che bisogna fare prevalentemente le cose che riesci a vendere.» Come è cambiata la terra da quando la gestite voi? «Noi abbiamo notato l’aumento degli insetti, è stato bellissimo. Invece all’inizio non c’era praticamente quasi niente di fauna. Prima di noi c’era un’agricoltura intensiva. E tra l’altro questo ti permette di sopperire ad altri trattamenti. Noi per gli afidi non facciamo più niente perché arrivano coccinelle, forbicette, traghetti e fanno loro pulizia. Logico: i primi anni abbiamo

dovuto rinunciare al raccolto. Ogni anno devi rinunciare a quel ciuffo di bietola che si riempie di afidi, però quello garantisce alle coccinelle un serbatoio di nutrienti e così loro si riproducono e ci tengono regolato tutto per quanto riguarda gli afidi. Quindi il biologico influenza il paesaggio. La campagna è sicuramente più disordinata. Ci sono gli erbai, le siepi, le coltivazioni più disparate. Non ci sono i bei quadrati di grano tutti uguali dove non c’è un filo d’erba (tono ironico). C’è più biodiversità. Se un territorio fosse

biologico non in 8 ettari su 100, ma in 90 ettari ogni 100 si vedrebbe... e cambierebbe anche la vita delle persone. Poi abbiamo un altro problema qui.

Siamo una zona endemica per i nitrati dovute all’agricoltura intensiva. Abbiamo

riscontrato, quando ci hanno convocati per farci delle lezioni sui nitrati che non facevano altro che parlarci dell’azione animale. Ad un certo punto ho detto, “ma scusi dove stanno tutti questi animali? C’erano tre pastori e non ci sono più. Si va bene io ho due cavalli, ma mucche ci sono solo due stalle a San Vincenzo, in paese praticamente, da dove vengono allora questi nitrati? Non puoi dirmi che è l’azione animale”.

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Franco Morra, Azienda Agricola biologica

«Il problema dell’inquinamento da pesticidi viene deliberatamente ignorato. I settori produttivi devono evolvere e devono evolvere armonicamente. Finora l’agricoltura biologica è stata utilizzata come immagine e dall’agricoltura è stata «tollerata».

Anche l’ambiente universitario la «tollera» l’agricoltura biologica. Anche i nostri figli che hanno studiato hanno avuto delle lezioni contro al biologico dai professori universitari. L’evoluzione dovrebbe partire dall’università. Ma gli insegnanti dell’università sono una casta ed arrivano a morire in cattedra. Non si evolve la faccenda. Non c’è una posizione politica netta, scientifica a vantaggio del biologico perché ci sono diversi interessi in campo. L’agricoltura biologica è solo una e non è maggioritaria. Quindi è difficile come è difficile agevolare fino in fondo.

Però mi sembra di capire che il numero di ettari coltivati in biologico sia in crescita «Eh cavolo, quando abbiamo cominciato noi, ti ridevano dietro. Dopo volendo aumentare gli ettari in biologico hanno distribuito 1000 euro per ogni ettaro a chi diventava biologico. Chi l’ha fatto prima niente. Nonostante ciò l’avrebbero dovuto fare tutti; comunque è ancora molto minoritaria perché le produzioni sono inferiori ed i prezzi sono superiori. Lo vedono ancora come

qualche cosa di elite. Se sei ricco prendi il biologico o se sei matto prendi il biologico, perché costa di più ed in fondo un peperone è un paperone. E poi le cose si cambiano dal basso e la domanda non c’è.

Non c’è una domanda così forte da sovvertire in maniera radicale la produzione per trasformarla in biologico. L’unione europea dà aiuti Noi stessi abbiamo lavorato tanto alle aziende biologiche da per la vendita diretta. Quando si è vent’anni ma questo rimane cominciato a parlare di filiera corta vero solo in teoria perché poi noi lo facevamo già. Nei primi anni 2000 c’era un po più di fermento spezzettano talmente tanto nella società civile.»

gli ambiti che svantaggiano le aziende più piccole. Insomma si parla bene ma si razzola male.»

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«Sono nati questi gruppi di consumatori consapevoli che interagivano con le aziende e quindi sembrava che si stesse muovendo qualcosa. Abbiamo conosciuto più di 1000 famiglie ma non fidelizzarle è stato faticoso. La gente ha altro da fare. La gente lavora. La gente se le arriva a casa una cassetta di ortaggi misti…la gente resiste fin che può e poi si stanca. La grande distribuzione è sempre vigile - molto capace ad appropriarsi delle idee degli altri e quindi il biologico è entrato nella grande distribuzione. Poi la crisi economica, tanta gente ha detto io risparmio su…Poi non risparmiano su altre cose.

A chi mi veniva a chiedere “ma è proprio vero che è biologico?” E io gli dicevo ma perché la certificazione ISO sulla tua Audi o sulla tua golf tu sei sicuro che è reale? Le emissioni della Wolkswagen tu eri sicuro che erano reali? Non lo erano. Però quello va bene. Farsi fregare dall’industria va bene. Fare una scommessa sulla gestione dell’ambiente, sull’alimentazione, sulla salute è più difficile. Sembra strano ma è così. E comunque si apre anche un altro capitolo perché c’è il biologico talebano come lo facciamo noi e c’è il biologico industriale. La gamma di 102

prodotti per la fertilizzazione che c’è nel convenzionale l’hanno ricreata anche per il biologico. Costa di più però c’è - e noi lo notiamo se la melanzana viene gonfiata biologicamente con una bella irrigazione oppure se cresce con l’acqua controllata. Si vede ma devi avere un po di esperienza per percepirlo.»


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Incontro con Fabio Maestrini, selvicoltore castagni e sugheri

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Fabio Maestrini, selvicoltore castagni e sugheri

Lei ha imparato il lavoro da suo padre?

«Eh il lavoro sai - impararlo… il lavoro devi raccoglierlo…Per imparare devi raccogliere. trasformare, preparare. Poi devi, si diamine! quando hai una guida e se sei già con gente che lo sa fare impari molto più facilmente e se hai la volontà di farlo. Chiaramente se hai la fortuna di vendere la roba a gente che poi ancora più fortunata ti paga pure, riesci ad investire di nuovo ed apportare novità sul campo - perché se non ti rinnovi sei morto.»

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magari dopo il 20 di Agosto iniziano le piogge per fortuna, fai una dimensione molto grande di castagne e c’è una percentuale di castagne bacate molto ridotta. Se invece l’estate la fa con delle continue pioggerelle viene una percentuale di baco di oltre il 50%. Ed è dannosissimo perché ovviamente chi raccoglie, raccoglie tutto.» Una volta raccolto il sughero dove lo manda?

«Il sughero viene inviato a delle aziende, che fanno o la macinazione e quindi il tappo di microgranulato (che viene macinato talmente fino da non dare possibilità di trasferire TCA al vino) - invece poi il mercato chiede un tappo di microgranulato con delle rondelline una di testa ed una di prima qualità che sta a contatto con il vino. E poi Lei sta notando la siccità aumenil tappo di pezzo: un pezzo intero, tare con gli anni? su cui ci viene fatto il tappo. Gli altri utilizzi sono per i presepi e per fare «La siccità si, però poi non si dei pannelli per l’insonorizzazione. può dire niente perché se questi Queste trasformazioni vengono efscritti che fai li legge uno del Piefettuate in Portogallo. Abbiamo due monte dove è da dieci giorni che aziende: una a Montecatini Terme, allaga - questo dice ma «che dice e una a Viterbo (che fanno i pannelquesto?!». li), un’altra a Spello che fa i presepi. Questa è una zona dove piove In Portogallo c’è una azienda che molto poco rispetto a Montieri e ha 4000 dipendenti e mangia tutti Gerfalco e così via perché il golfo gli altri concorrenti. Eh si perché il ed il vento di mare riesce a tenere pesce grosso ha sempre mangiato le piogge distanti. quello piccolo… Ma te ti rendi conto cosa serve per La siccità in certi anni è inspiegabile arrivare a queste trasformazioni?! perché se continua la siccità fino Servono degli impianti, dei macchial 20 di Agosto, non c’è possibilità nari e se non fai un volume di affari di fare bacare le castagne quindi enorme, non riesci a ripagarti.» quando te ti trovi alla raccolta, e


L’oasi di sugherete e castagni

“E qui in mezzo c’è questa oasi di sugherete” Quanti anni avranno questi castagni? «Sicuramente a chi gli ha piantati non gli faranno più male i denti, perché avranno 400, 500 anni.» E’ un posto incredibile questo. Di una bellezza sconvolgente! «Non a caso è tutto recintato con una rete alta 1 metro e 80.” (nella foto Fabio si appresta a chiudere il cancello)

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Fabio Maestrini, selvicoltore castagni e sugheri

«Poi loro sono conosciuti in tutto il mondo. Poi se tu sei una enologa o hai una cantina importante non andrai mai a comprare i tappi a Fabio Maestrini. Si sta lavorando ora con Ampleia: mi ha chiesto se poteva avere i tappi con il mio sughero. Il problema è che se io estraggo 100 quintali di sughero, per i tappi importanti ne rimane 5/10 quintali. Quindi è molto difficile. Poi quando mandi in Portogallo la tua roba devi assicurarti che ti rimandino la tua. Però si, alcune cantine importanti vorrebbero fare questo passaggio. Quando tu comperi una bottiglia di vino dal tappo, hai già un’immagine di come sia il vino dentro. Vediamo dai…ci stiamo lavorando. Come quel periodo quando c’è stata la concorrenza con il tappo in silicone. Se tu prendi un vino che ha il tappo in silicone, puoi lavarti tranquillamente i piedi con quel vino, perché è un vino che non ha nessuna particolarità.»

ciamo degli innesti.» Ma nei periodi di più grande siccità c’è mai bisogno di innaffiare?

«E’ una vecchia storia. Venti anni fa eravamo convinti di innaffiare i castagni e di fare funghi quando si voleva noi (l’azienda). Ho quindi fatto dei pozzi (uno fondo 60 metri ed uno 180) ed ho cominciato a distribuire l’acqua. A mille metri davo 10 quintali, a mille metri davo 100 quintali, a mille metri ne davo 1000 quintali e così via. Non siamo riusciti nè a fare funghi e poi abbiamo danneggiato i castagni.

Si pensava che l’irrigazione fosse il toccasana, invece è negativa. Perché non trovi nessuno che ti da dei dati se ha fatto delle prove?.... Quindi meglio lasciare fare alla pianta. A seconda delle stagioni si Quanti anni hanno queste sughere? avrà un raccolto più o meno importante di qualità e quantità.» «Secondo noi queste piante hanno già più di 200, 300 anni, ma abbia- Avevo letto che ci sono moltissime mo captato che quando arrivano a sugherete in questo territorio ma superare i 400, la pianta di sughero poche sono sfruttate per il prelievo muore.» del sughero. E quindi cosa succederà nel caso cominceranno a morire queste sughere, lei conta di riiniziare a piantarne altre? «Sicuramente. Per i castagni fac106

«La sughera vive vicino al mare dove c’è una temperatura calda. Mentre al castagno serve 600, 800 metri, alla sughera 50, 100 metri e ce ne sono tantissime in queste zone lungo la costa tirrenica.


Sughero in attesa di essere aquistato ed eportato

«Quello lì è un innesto di tre anni - Viene tagliato poi vengono messe delle marse. A luglio poi la buttata viene talmente lunga e te la devi tagliare perché se no il vento rimuove tutto.» (intervento fatto a Marzo, Aprile). Disegno di Fabio esplicativo dell’innesto. 107


Fabio Maestrini, selvicoltore castagni e sugheri

Però ci sono parecchie ditte in via di estinzione perché siamo troppo vincolati ed i guadagni li fanno solo quelli che fanno i tappi.»

«Siamo a seconda del periodo e a seconda del mercato. Se il mercato richiede un prodotto fresco e con grande urgenza cerchiamo di raccogliere il più possibile. Abbiamo ora questa difficoltà tra caprioli e cinghiali. Non si riesce a raccogliere più niente.»

Le problematiche principali legate a queste attività sono quelle che detta il mercato. Noi ora ci troviamo in una situazione dove quando arriva il nostro prodotto, il mercato è già pieno di merce dalla Grecia. Le primizie sono quelle che costano di più. La gente poi non riesce a distinguere queste cose. Il marrone per tutti è una castagna grande. Invece il marrone è una qualità della castagna. Quindi il marrone può essere o piccolo o grande. La gente è convinta di acquistare i marroni dalla Grecia e poi quando arriva a spellarli, non riesce perché rimane la pelle attaccata. La particolarità del marrone è che quando tu le fai al forno, quando sono cotte, te le metti sopra un panno, fai così come si fa su una sfoglia e sono già tutte pelate.»

Ci sono anche giovani della mia età nella vostra azienda?

Che cos’è che le da più soddisfazione nel suo lavoro?

«Ora stiamo lavorando con degli extra-comununitari - sai quelli che hanno la tua età qui non si vogliono mettere. Sai la raccolta della frutta ha un guadagno orario di 7 euro all’ora, se tu lavori 7 ore - guadagni 50 euro al giorno…e poi non è che puoi fare pause. È abbastanza impegnativo. I ragazzi che trovano altre alternative non vengono. Prima invece ogni famiglia aveva un piccolo castagneto, perchè era il

«Nella vita sei fortunato se fai il lavoro che ti piace. A me piace gestire un gruppo di persone. Poi se riesci a fare business è ancora meglio, altrimenti consumi tutti i risparmi che hai da parte sperando che l’anno successivo sia migliore.»

Il taglio del castagno quando viene fatto? «Viene fatto alla luna calante di Gennaio che è a grosso modo il 10, 12, 15 Febbraio. Se tu tagli un palo a luna calante ti dura cinquanta anni, se tu lo tagli in un’altra circostanza il palo ti dura 10 anni.» In quanti siete in azienda?

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pane dei poveri.


Il castagneto paronamico di Fabio

Lei cosa ne pensa dell’idea di utilizzare l’energia geotermica per poter mettere prima sul mercato i marroni? «Quando iniziano a cascare le castagne, la gente vuole la farina ma tu non sei in grado di darla se non effettui l’essiccazione prima. Quindi io ho comperato un seccatoio che in undici giorni secca le castagne. E’ un seccatoio che funziona con un bruciatore, aria calda. Ha un imbuto così (disegno). Il seccatore è cilindrico. In mezzo c’è l’imbuto tutto bucato. Qui c’è un convogliatore di aria calda che rimanda in questo involucro. Qui c’è una cocrea che gira continuamente che riporta le castagne in basso in cima per fare una omogeneizzazione.»

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Incontro con Luigi Marengo, fattore nella tenuta Bicocchi a Follonica

Incontro Luigi Marengo, fattore dal 1966 nell’azienda agricola Bicocchi a Follonica. Tra gli ulivi affacciati sulla città, la fattoria Bicocchi, conosciuta come Tenuta Numero Uno, è una tenuta storica vicino alla Via Aurelia, costruita a metà del XIX secolo. Ho trascorso un pomeriggio a discutere con Luigi della trasformazione del paesaggio nella piana di Follonica. Uno dei giorni seguenti mi ha richiamato al telefono. Mi disse che si era reso conto che il mio studio era molto importante e che la nostra discussione aveva bisogno di una sintesi precisa. Il giorno dopo sono ritornata alla Tenuta Numero Uno e Luigi mi ha consegnato una serie di riassunti scritti a mano che era ansioso di condividere. Le pagine seguenti presentano questi documenti, che tracciano la trasformazione del paesaggio agrario dagli anni 50 ad oggi.

Il viale d’ingresso della Tenuta Numero Uno perfettamente allineato con la ciminiera dell’industria di Follonica.

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Realtà politica e sociale del dopoguerra Lotte agrarie e riforma fondiaria del 1952-54 Linee guida

Legislazione primitiva dei grandi patrimoni agricoli e loro drastico ridimensionamento (espropri). Corsa dei proprietari terrieri verso la cessazione della mezzadria che veniva configurata come ulteriore rischio di rivalsa patrimoniale sui terreni da loro coltivati (mezzadri). Sotto queste spinte di dure lotte sociali si distrugge rapidamente e dolorosamente questa secolare istituzione economico-sociale che, con una intelligente gestione del rapporto capitale-lavoro, poteva ancora essere una fondamentale risorsa per la coltivazione di terre marginali o meno produttive, poi definitivamente abbandonate alla non coltivazione. Le proprietà non sempre sono state in grado di improvvisare soluzioni alternative di corretta gestione agraria, venendo troppo rapidamente a mancare sia le risorse finanziarie che la necessaria preparazione tecnica e professionale. Di qui, dalla sostituzione della mezzadria con la conduzione diretta, comincia il lento ma costante degrado ambientale di tante aziende agrarie toscane legate ad ambiti poco produttivi e di difficile meccanizzazione. I mercati globalizzati hanno fatto il resto, unitamente all’abbandono delle classi giovani verso ambienti lavorativi industriali di più soddisfacenti remunerazioni e sicurezze sociali ed economiche. Questa fase di profonda trasformazione dell’ambiente rurale inizia negli anni 50 e termina, sia pure con date elastiche, verso la fine degli anni 90, seguita però da un’accelerazione, come detto sopra, nel primo ventennio (50-60) sotto le spinte politiche ed ideologiche che, per loro natura, non erano legate a fattori di natura gestionale agricola e di mercato. Dagli anni 2000 in poi, la situazione ha preso una direzione diversa, dovuta soprattutto all’ingresso nel settore agricolo di forti risorse finanziarie provenienti da altri sistemi economici, che, con innovazioni tecniche e tecnologiche, hanno modificato sia i sistemi di coduzione che la collocazione dei prodotti sui mercati. Solo le «vecchie» aziende dotate di beni strumentali (terreni e fabbricati), ottimi per natura, giacitura, esposizione e risorse idriche soddisfacenti, sono sopravvissute ammodernandosi e trasformando la loro natura giuridica in funzione delle nuove normative del settore (C.D. - I.A.P. Soc. Agricole), spogliandosi della loro eredità storico-sentimentale per accedere al mondo economico globalizzato oggi imperante.

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Oggi: Problemi di cambiamento climatico e variabilità stagionale della disponibilità di acqua per l’irrigazione. Mancanza di politiche territoriali per l’approvvigionamento idrico e la sua razionalizzazione nell’uso (cisterne per la raccolta dell’acqua piovana, irrigazione a goccia). Irreversibilità dell’abbandono delle terre marginali alla coltivazione agricola e ripristino dell’ambiente forestale. Necessità di politiche di riforestazione delle aree marginali abbandonate alla coltivazione. Settore Slow Food - km 0 - mercati contadini - fattorie biologiche: un altro aspetto della trasformazione del territorio con poca influenza commerciale.

Mappatura del terreno della proprietà. La proprietà comprendeva coltivazioni di cereali (avena, orzo e grano), olivicoltura specializzata, vigneti e frutteti. I vigneti e i frutteti sono stati abbandonati negli anni ‘80 e ‘90 a causa della concorrenza straniera e dell’aumento del costo del lavoro. Le coltivazioni di cereali sono state mantenute perché erano altamente meccanizzabili, ma ora sono state abbandonate. Degli oliveti, solo le coltivazioni specializzate delle colline sono state mantenute. Una parte dei terreni edificabili è stata venduta per saldare i debiti.

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Sopra Follonica nel 1954, sotto Follonica nel 2013 Tenuta Numero Uno, Proprietà Bicocchi

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«Fino al 1995, abbiamo prodotto 200-300 quintali di olio d’oliva all’anno. L’ottanta per cento di questa produzione veniva venduta prima di Natale. Tutto veniva venduto direttamente per uso familiare. Questo mercato ha cessato di esistere in cinque anni». (Luigi Marengo)

«Nel 1959 è stato costruito il lago Bicocchi, che ci ha permesso di mantenere il nostro frutteto. Fino agli anni ‘80 ha funzionato bene, poi ha smesso di piovere e il lago è diventato sempre meno pieno. Nel 2000 è stato offerto all’amministrazione comunale per risolvere definitivamente il problema della mancanza d’acqua nel comune di Follonica». (Luigi Marengo)

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«Qui non si vive per lavorare, lavoriamo per vivere». (Alessio Guazzini, agricoltore)

116


117


Capitolo 3

IL LAVORO DEL PAESAGGIO I PAESAGGI A BORDO DEI CORSI D’ACQUA Verso un nuovo equilibrio degli ecosistemi

118


L’evoluzione del sistema idrico della Val di Pecora prima e dopo la bonifica delle paludi di Scarlino nel XIX secolo

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Fosso Bucafaggi tra Gerfalco e Montieri

Il lago di Montieri, a nord-ovest del paese

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Fiume Pecora vicino a Valpiana

Fiume Pecora vicino a Valpiana

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Sistema di condotta dell’acqua vicino a Valpiana

Pompa per l’irrigazione di un vigneto vicino a Cura Nuova

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Il fiume Pecora vicino a Cura Nuova

Il fiume Pecora vicino a Cura Nuova

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Il fiume Pecora vicino all’incrocio con la SR439

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Albero sofferente alla confluenza dei fiumi Pecora e Gora delle Ferriere

Sentiero non accessibile al pubblico lungo il fiume Pecora vicino a Cura Nuova

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Vigneto lungo il fiume Pecora tra Cura Nuova e Follonica

Sistema di prelievo dell’acqua del fiume Pecora

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Intersezione del fiume Pecora e l’autostrada E80

Antico pozzo lungo il fiume Pecora vicino a Cura Nuova

127


LA NECESSITÀ DI NUOVE PROSPETTIVE LUNGO I CORSI D’ACQUA La Gora delle Ferriere: un fiume molto piccolo lungo circa 20 km con una sorgente termale (sorgente Aronna)

fium e

Lago Bicocchi

Follonica

ora

G

le del

ora

Strada Massetana

e rier

r

Fe

Pec

Cura Nuova

Gora delle Fe

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fiume Peco

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All Canale

PROBLEMATICHE

0

distaccamento costruito nel 1830 da valorizzare

LA PIANURA BONIFICATA

LA BASSA COLLINA

Fenomeni di ristagno

Mancanza di manutenzione e trascuratezza dei sistemi idraulico-agrari, che portano a grandi rischi per l’equilibrio idrogeologico del territorio.

Inquinamento delle acque freatiche profonde Riduzione degli elementi strutturali lineari e puntuali Siccità Polarizzazione

128

10

Rimozione di parte della rete storica di drenaggio, riduzione della biodiversità e, nel caso di vigneti specializzati, rischio di erosione e inquinamento delle acque sotterranee.


Monterotondo Marittimo

Massa Marittima

Montieri

Sorgente Aronna

30 km

20

COLLINE A CARATTERE MONTUOSO Abbandono delle zone rurali con conseguente ricolonizzazione del terreno da parte di arbusti e alberi. Mancanza di continuità nella rete di siepi, filari di alberi e strisce di bosco che compongono la tipica rete agricola chiusa dei campi in queste zone, che sono altamente strutturate in termini paesaggistici ed ecologici.

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Note sul corso d’acqua: Gora Delle Ferriere

Luogo potenziale di aggregazione degli agricoltori (scambio di sementi, vivaio sperimentale, eventi culturali) lungo il fiume

Melanopsis Etrusca

130


La Gora delle Ferriere («parallela» al fiume Pecora) è un fiume molto piccolo di una ventina di chilometri. Ha una sorgente subtermale (Sorgente Aronna): l’acqua è a circa 23, 24 gradi. La sua parte inferiore fu deviata nel 1830 per alimentare l’industria metallurgica di Follonica. Classificato come un canale di irrigazione statale, è in realtà un ambiente molto ricco e complesso: un piccolo fiume vitale, con un flusso regolare, che ha ancora la sua fonte e la sua foce nel mare.

Follonica e, soprattutto, per l’acqua prelevata dall’impianto chimico. Nel passato, in anni particolarmente secchi, questo problema ha dato luogo a numerose proteste a Follonica da parte dei residenti locali e soprattutto dei turisti, a causa della diffusa moria della maggior parte delle forme di vita, dei conseguenti cattivi odori e dei conseguenti problemi di salute pubblica.»

«Nella sua sorgente c’è una lumaca d’acqua che è praticamente unica al mondo. Esiste solo in quattro siti tra le province di Livorno e Grosseto in acque sub-termali. Si chiama mela«Tuttavia, tutti gli interventi di antropiznopsis etrusca. È una reliquia di un zazione realizzati in passato e gli inclima più tropicale, e quando arrivaterventi di manutenzione nel presente, rono le ere glaciali, questa lumaca di sono azioni che non hanno assolutadodici o tredici milioni di anni fa riusmente tenuto conto della presenza di cì a sopravvivere in queste piccole questo autentico fiume. L’uso dell’acqua oasi di acqua calda. Ed è una lumaca per scopi agricoli e industriali, data l’at- molto piccola». (da un’intervista con tuale classificazione, viene fatto senza Marco Porcinai, biologo) alcun limite, al punto da prosciugare ripetutamente la Gora nel suo ultimo tratto in estate, anche per 1-2 km. Il primo passo verso una nuova gestione più razionale sarebbe quello di riclassificare la Gora come un corso d’acqua naturale e non come un canale di irrigazione, garantendo così il flusso minimo vitale secondo la legge. Oltre a salvaguardare la biodiversità del fiume, la riclassificazione risolverebbe anche il problema dei cattivi odori della Gora durante la stagione turistica. Questi sono causati dal deterioramento della qualità dell’acqua, che diventa stagnante e anossica proprio perché privata delle acque della Gora, sovrasfruttata per l’irrigazione degli orti a monte di 131


Note sul lago Bicocchi

Sponde del lago Bicocchi, agosto 2021

132


« Il lago Bicocchi si trova nel comune di Follonica, nell’area adiacente al Parco di Montioni (un’area protetta che si sta trasformando in riserva naturale regionale). All’interno del Parco di Montioni, si può vedere molto bene su google hearth ci sono due laghi. Si tratta ovviamente di due laghi artificiali: uno quasi vuoto, che ospitava una grande biodiversità e un altro - più a sud, in mezzo ai boschi. Quest’ultimo ha una grande diga alla base del lago (sul lato sud) ed è come incastrato in una valle. Questo lago prende la sua acqua dal fiume Pecora e il fiume Pecora è ora asciutto. (In estate Follonica accoglie 150.000 persone contro 25, 30.000 in inverno)» (Marco Porcinai) Quest’estate ho incontrato e intervistato il contadino che lavorava per la famiglia Bicocchi, ricca famiglia di proprietari terrieri che ha fatto costruire questo lago. La sua storia è molto interessante perché esso fu costruito per irrigare un grande frutteto della tenuta Bicocchi necessitante di parecchia acqua. Dopo una decina d’anni, l’azienda, lasciando questa coltura, ha deciso di donare il lago al comune, che fu così collegato a Follonica, salvando più volte la città dalla mancanza di acqua potabile.

133


Sebbene questo territorio abbia ancora caratteristiche eterogenee grazie alla sua ricchezza geologica, pedologica e alle sue diverse altitudini, è evidente che la produzione agricola sta portando a una semplificazione del paesaggio e a una riduzione del numero di specie coltivate. È anche chiaro che le dinamiche di filiera e le economie locali e circolari sono ancora troppo deboli (mancanza di filiera per il legno e il sughero, esportazioni su larga scala di grano e vino). La campagna e i boschi sono ancora difficili da esplorare e scoprire, se non in auto. Si tratta quindi di un territorio ai margini e scarsamente conosciuto. 134


31 km

La siccità che colpisce sempre di più queste terre, l’impoverimento del suolo, il declino della biodiversità e l’inquinamento delle falde acquifere sono una prova sufficiente di ciò a cui porta il perseguimento di interessi individuali e l’assenza di una visione globale del bene comune del territorio.

135


“È triste pensare che la natura parli e il genere umano non la ascolti” Victor Hugo

Illustrazioni per ordine: - La gora delle Ferriere - Il fiume Pecora nei pressi di Cura Nuova - Prelievi d’acqua e siccità lungo il fiume Pecora

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137


138


139


140


141


Riflessioni Riflessioni sviluppate con Mongi Hammami, direttore degli studi Le interviste mostrano chiaramente una grande difficoltà nel mantenere attività agricole, pastorali e forestali. Ciò è dovuto alla globalizzazione dei mercati, alla profusione di attività agricole ecologicamente insostenibili, al riscaldamento globale e lo scarso apprezzamento di queste attività da parte degli abitanti. Da un altro punto di vista, dovremmo riflettere sull’impatto che l’uomo ha avuto su queste terre negli ultimi 60 anni con l’impermeabilizzazione, l’artificializzazione della terra e l’uso di prodotti chimici che hanno impoverito, avvelenato il suolo e ucciso tutta quella vita, tutti quegli insetti che Luigi ricorda nella sua testimonianza. È ormai chiaro che da un lato questo modello agricolo non è più sostenibile e dall’altro che le iniziative agricole virtuose non sono oggi sufficientemente valorizzate. Queste forme di agricoltura intensamente ecologiche e particolarmente resilienti sono anche molto piccole e quindi ad alta intensità di lavoro. Si tratta di aziende agricole autosufficienti che possono sopravvivere o svilupparsi solo se gli agricoltori possono essere adeguatamente remunerati. Inoltre, i dati sull’aumento annuale della temperatura mostrano un aumento medio annuale di +0,5°C (Fonte: LaMMA). Il clima semi-arido che caratterizza questo territorio, combinato con tecniche agricole e di irrigazione non sostenibili, sta portando a una riduzione della biodiversità e a fenomeni di desertificazione. Di fronte a questo cambiamento climatico, è necessario riflettere sul futuro di queste terre. Cosa si potrà coltivare qui tra 50 anni? Solo la considerazione del suolo, dell’acqua e dei loro rispettivi ecosistemi, non più considerati solo come «risorse», potrà condurre a scenari sostenibili per il futuro, che preservino la diversità biologica che fa mondo. Per far sentire questa interdipendenza tra umani e non umani, possiamo partire dal paesaggio, dalla relazione con il paesaggio. 142

Il paesaggio è un patrimonio collettivo, ma è gestito da una moltitudine di attori che agiscono solo sulla propria particella e la cui azione si ripercuote sulla qualità globale del territorio. Qui è dove il paesaggista può intervenire: entrando in risonanza con il luogo, e proponendo strategie per affrontare le questioni in gioco, valorizzando la ricchezza paesaggistica di un territorio. Il paesaggio deve essere visto, ma deve anche essere vissuto. I modi di produzione o di gestione dello spazio hanno ripercussioni sulla possibilità di osservare e penetrare i paesaggi. Attraverso la sua evoluzione e la sua storia il paesaggio può quindi essere considerato come l’elemento chiave che tiene insieme la valorizzazione del patrimonio minerario, delle risorse naturali, la costruzione di uno spazio urbano in armonia con la campagna e un’agricoltura resiliente. Il progetto propone di ripartire dai corsi d’acqua sia come possibili committenti di un progetto paesaggistico sia come potenziali spazi pubblici che possano permettere l’osservazione e la penetrazione dei ricchi paesaggi locali. Il progetto proposto potrebbe rientrare nell’attuale contratto di fiume della Bassa Val di Pecora: un progetto promosso nel 2019 dal comune di Gavorrano, che ha riunito una serie di attori del territorio. L’ambizione del progetto proposto a seguire è quella di coinvolgere il maggior numero possibile di abitanti e attori del territorio in tutte le sue fasi attraverso attività culturali educative e laboratori partecipativi per tendere ad un coinvolgimento assiduo che garantisca una nuova gestione e percezione del territorio.


A questo il progetto concepito come une «graine» répandue le long des cours d’eau Pourscopo, ce faire, le projet èest conçu comme un «seme» lungo i corsi d’acqua commedisseminato une série d’interventions initiales réparties le long de l’ancienne route Massetana. - come una serie di interventi iniziali distribuiti Le projet tente également de proposer des orientations et des projections sur une période lungod’évolution la vecchiade strada Massetana. 80 ans, en étendant le contrat de rivière de la Bassa Val di Pecora à un contrat Il progetto tenta anche di proporre de paysage, considéré commedegli une expérience d’organisation politique et sociale. Un contrat de orientamenti e delle proiezioni per un paysage pour créer une armatureperiodo territoriale sur laquelle peuvent s’organiser les activités et les evolutivo di 80 anni, estendendo il contratto futures chaînes d’approvisionnement à di long terme. fiume della Bassa Val di Pecora a un contratto di paesaggio, intesolecome unpropose eserciziode partir de la création d’un sentier tentaculaire ayant Pour ce faire, projet di organizzazione e sociale. Un pour colonnepolitica vertébrale l’ancienne route Massetana : un sentier longeant les cours contratto di paesaggio per creare un’armatura d’eau et les lisières des champs reliant les centres habités aux agriculteurs faisant territoriale si Drago potranno organizzare partiesulla de laquale filière et aux parcelles gérées en agriculture biologique. Des chemins le attività e le future filiere a lungo termine. vertueux qui nous ouvrent les yeux sur les paysages résilients de l’avenir. Per fare questo, il progetto propone di partire dalla creazione di un percorso tentacolare che abbia come spina dorsale la vecchia strada Massetana: un percorso lungo i corsi d’acqua e i bordi dei campi che colleghi i centri abitati agli agricoltori che fanno parte della rete Drago e agli appezzamenti gestiti in agricoltura biologica. Percorsi virtuosi che ci aprono gli occhi sui paesaggi resilienti del futuro.

143


Capitolo 4

Riparare, Rinnovare, Valorizzare Verso una nuova armatura del paesaggio

Le pagine seguenti illustrano i sentieri da creare proposti: in una visione di insieme in pianta (pag. 148-155) e tre sezioni esemplificative (pag. 156) ed in tre viste aeree (pag.157-159). Per descrivere con più precisione le tipologie di interventi proposti ed i luoghi da prioritizzare le pagine 164-171 illustrano sette luoghi «chiave» consigliati e le pagine 172-181 mostrano tre di questi sette punti selezionati, descrivendo ed illustrando in dettaglio le azioni progettuali proposte.

144


Un sentiero tentacolare

Osservatori del paesaggio sui pochi terreni agricoli a gestione biologica e su quelli della filiera Drago. Dare agli agricoltori un ruolo nella gestione dell’acqua. Gli osservatori sono posti in parallelo sul fiume Pecora e sulla Gora delle Ferriere.

Edificio / torre di controllo dell’acqua con vivaio. Futuro luogo collettivo per gli agricoltori - centro culturale

Creazione di sentieri lungo il margine dei campi da pascolo. Piantare varietà locali, nutrienti e resistenti alla siccità - preparazione al cambiamento climatico. Sentieri che danno anche visibilità al lavoro dei pochi pastori che ancora si impegnano a gestire la propria terra.

2

Il luogo di lavoro di Massimiliano, affacciato sul villaggio di Gerfalco

1 Strada Massetana: antica strada di origine etrusca e romana

Lago Bicocchi: con una nuova connessione alla città. Trasformazione dello spazio anche come luogo di raccolta, riflessione, relax Il luogo di lavoro di Angela Saba - allevatrice di pecore e produttrice di formaggio presidio Slow Food

Il mare Follonica

Massa Marittima Sorgente Aronne

Fiume Pecora: interrotto nella sua parte inferiore dal corridoio infrastrutturale della Via Aurelia, l’autostrada e la ferrovia. Questo tratto del fiume non ha vegetazione e non è percorribile. Gora delle Ferriere: un tratto chiave privo di alberi che potrebbe portare dalla spiaggia al fiume Pecora

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INTENZIONI PROSPETTIVE

146


147


1

0

1000 m

148


1

B

A 149


0

1000 m

150


1

2

Terreni coltivati secondo le norme dell’agricoltura biologica Agricoltori appartenenti all’associazione DRAGO - Distretto Rurale Agricolo Gastronomico Organizzato Siti minerari Percorso da creare Patrimonio paesaggistico protetto Percorso escursionistico esistente Geositi di interesse locale Sito geologico di importanza regionale: La formazione Poggio al Carpino ed i canaloni Sito geologico di importanza regionale: I travertini di Massa Marittima

151


C

0

1000 m

152


COUPES SENTIERS

LEGENDA

153


2

154


0

800 m

155


Tre sezioni esemplificative dei percorsi proposti A -- Il fiume Pecora tra le infrastrutture principali

Prima Mantenimento di aperture verso i campi e il fiume

Dopo Nuovo percorso

B -- La Gora delle Ferriere

Prima

Dopo Nuovo percorso

Nuovo percorso

C -- La Gora delle Ferriere a Valpiana

Prima

Vista mantenuta sui campi

Dopo

156

Nuovo percorso

Nuovo percorso


Linee del grande paesaggio

Massiccio delle Cornate

Atto 1

Lavorare sul margine del bosco intorno ai campi esistenti. Parchi di diversità, aperti al pubblico Il terreno di Massimiliano Gerfalco

Promuovere un itinerario come estensione del già popolare percorso del crinale delle Cornate

157


Atto 2

Lasciare la visibilità sui campi agricoli Parco di Montioni

Rafforzamento delle siepi esistenti. Facilitazione dell’accesso al fiume

158

I campi di Angela Saba

Rinaturare il fiume in alcuni tratti. Rendere il fiume percorribile


Atto 3 Creazione di sentieri per raggiungere il lago Bicocchi da Follonica Il canale della Gora delle Ferriere collega la spiaggia all’entroterra. Area da rinaturare

Area da rinaturare

159


Creazione di sentieri ed il loro sviluppo durante un periodo di 80 anni

Diagramma del territorio dal mare a Montieri 160


Il progetto propone di iniziare con una serie di laboratori partecipativi ed eventi culturali nei punti strategici presentati qui di seguito. In una seconda fase, i percorsi definiti saranno completamente percorribili, gli alberi piantati saranno cresciuti e gli ecosistemi lungo i corsi d’acqua avranno raggiunto un nuovo equilibrio. In un terzo e quarto periodo si svilupperanno nuove filiere locali e la biodiversità sarà rafforzata.

161


162


Una moltitudine di specie native di Grosseto sono dettagliate nella pubblicazione «Phytotaxa: A critical checklist of the woody flora of Tuscany (Italy)». Questa selezione fornisce informazioni essenziali per comprendere la biodiversità regionale da preservare e sviluppare nel contesto degli interventi proposti: Salix alba, Salix apennina A.K.Skvortsov, Salix Caprea, Salix cinerea, Salix eleagnos Scop, Salix purpurea, Salix trianda, Populus alba, Populus canescens, Populus nigra, Populus tremula, Tamarix africana, Tamarix dalmatica B.R.Baum, Tamarix gallica, Fraxinus angustifolia, Fraxinus Excelsior, Fraxinus Ornus, Alnus Glutinosa, Ulmus Glabra, Ulmus Minor (lungo i corsi d’acqua). Calicotome spinosa, Cistus monspeliensis, Cytisus villosus, Daphne gnidium, Erica arborea, Lavandula stoechas, Osyris alba, Rubus ulmifolius, Cornus mas, Cornus sanguinea, Corylus avellana, Crataegus monogyna, Euonymus europaeus, Frangula alnus, Hippocrepis emerus, Ligustrum vulgare, Prunus spinosa, Rhamnus catharticus, Sambucus nigra (specie arbustive)

163


IL PICCOLO PAESAGGIO in sette fasi

1

2

5

4

7

3

6

10 km

164


1

Il bosco di Gerfalco Gerfalco Prati e pascoli in mezzo al bosco

Il campo da pascolo di Massimiliano

Strade principali

Casa di Massimiliano Il campo da pascolo di Massimiliano

Gerfalco

100 m

Gerfalco, altitudine 757m, agosto 2021 165


2

I campi chiusi lungo i corsi d’acqua Due terreni a coltivazione biologica paralleli lungo i corsi d’acqua, nel mezzo del bosco.

100 m

Massa Marittima, Altitudine 150m, Agosto 2021 166


3

Il fiume deviato Parco di Montioni

Il campo da pascolo di Angela Saba Strada Massetana

Lago Bicocchi

distaccamento costruito nel 1830 via Aurelia Gora delle Ferriere

Ippodromo di Follonica

Fiume Pecora

500 m

Il campo da pascolo di Angela Saba

Cura Nuova, Altitudine 27m, Agosto 2021 167


4

I campi aperti sul fiume Fiume Pecora

Edificio - osservatorio fluviale e vivaio

100 m

Bivio Montioni, Altitudine 22m, Agosto 2021 168


5

Il lago: dal frutteto alla città Lago Bicocchi

Ippodromo di Follonica

strada Massetana

Via Aurelia zona industriale

Follonica

500 m

Lago Bicocchi - Follonica, Altitudine 92m, Agosto 2021 169


6 Gora delle Ferriere

Il fiume Pecora tra i corridoi infrastrutturali

Fiume Pecora

corridoio infrastrutturale

100 m

zona industriale

Confine Follonica Scarlino, Altitudine 9m, Agosto 2021 170


7

La Gora, ingresso alla città

Gora delle Ferriere

Follonica

centro sportivo

laghetto

100 m

Follonica, Altitudine 10m, Agosto 2021 171


3 PICCOLI PAESAGGI IN PROGETTO

Piccoli concerti organizzati in parallelo all’attività di piantumazione lungo il fiume.

Vent’anni dopo il progetto, la fascia boschiva ripariale ha guadagnato in profondità e 172 accompagna i nuovi sentieri con la sua ombra.


Angela e Il fiume deviato

Cercare una diversità di strati e di specie: diversificazione degli habitat. Favorire una manutenzione tramite piccole zone di taglio.

La vegetazione riparia è stata ampliata per facilitare il movimento della fauna, rallentare il flusso dell’acqua e limitare il riscaldamento dell’acqua

Prendere talee da soggetti locali (soggetti adattati: nessun inquinamento genetico, nessuna propagazione di malattie). Favorire gli ontani e i salici ai piedi della riva, e i frassini e i salici sul pendio della riva. Piantare frassini autoctoni, pioppi e specie forestali di latifoglie in cima alle rive (aceri, querce). Completare la piantumazione con specie arbustive: nocciolo, sambuco, prugnolo, biancospino, ecc.

Nuovo sentiero

Protezione intorno agli alberi piantati. Tutori robusti

100 m

Taglio del legno morto: mantenere il più possibile l’altezza del tronco per conservare un massimo di micro-habitat

173


Luigi e il lago Bicocchi

Pontone di legno Osservatorio

Nuovo sentiero

100 m

In memoria del motivo iniziale della creazione del lago (irrigazione di un frutteto), piantumazione di un frutteto resistente alla siccità (valorizzazione delle varietà locali).

174


Le sponde del lago Bicocchi e il nuovo osservatorio

I nuovi sentieri che portano dalla città al lago sono costituiti da linee di alberi e siepi campestri fruttifere. 175


Massimiliano e il bosco di Gerfalco

I margini del campo alimentari

Punto vendita

100 m

Valorizzazione di varietà locali resistenti alla siccità (mela ramata delle Cornate, Susina Verdacchia di Prata, Susina Maglianese). Protezione degli alberi piantati con giunchi della fascia ripariale vicina.

176


Come il castagneto comunale di Montieri (in queste due foto), i margini dei campi potrebbero offrire spazi modesti per picnic, il riposo ed il gioco.

177


Il nuovo limite boschivo attraversato da un sentiero.

Piantumazione partecipativa di nuove specie e modesta installazione di targhette che identificano le nuove specie.

178


Installazione di punti vendita e d’incontro con gli agricoltori lungo il nuovo sentiero

Piccoli concerti organizzati in parallelo all’attività di piantumazione 179


Problematiche idriche Garantire un equilibrio tra la quantità di acqua nel fiume Pecora e la quantità di acqua prelevata per l’agricoltura e l’industria Problematiche ecologiche Permettere la creazione di una fascia boschiva ripariale Problematiche culturali Fare conoscere il fiume attraverso un sentiero e dare visibilità alle attività agricole concomitanti Problematiche di esplorazione Un nuovo sentiero e luogo accessibile dalla città

Problematiche idriche Garantire un equilibrio tra il consumo di acqua in città, il livello dell’acqua nel fiume Pecora e l’acqua prelevata per riempire il lago Bicocchi Problematiche culturali Sensibilizzare il pubblico sull’equilibrio idrico, la siccità e le questioni agricole Problematiche di esplorazione Un nuovo sentiero e luogo accessibile dalla città

Problematiche turistiche Un invito a rinfrescarsi in estate Problematiche forestali La Diversificazione delle specie Problematiche economiche La propulsione di nuove produzioni Problematiche culturali Parchi produttivi e ricreativi per un rapporto più informato e intimo con la foresta Problematiche ecologiche Un accompagnemento al cambiamento climatico Problematiche di esplorazione Aree di riposo lungo i sentieri dell’entroterra

180


181


Bibliografia Bonnet C., Mussault V., Jan 2014. Espace Politique. Openfield numéro 3. Centro Interuniversitario di Scienze del Territorio, 2012. Piano paesaggistico della regione Toscana. Ambito 16: colline metallifere. Regione Toscana. Dodaro G., Papa V., 2019. La strategia della green economy delle colline metallifere. Fondazione per lo sviluppo sostenibile. Duhem L., Pereira de Moura R., 2020. Design des territoires: L’enseignement de la Biorégion. Valenciennes, Etérotopia, 144. (Parcours) Fathy H., 1999. Construire avec le peuple - Histoire d’un village d’Egypte, Gourna. Paris, Sindbad / Actes Sud, 432. (La bibliothèque arabe) Magnaghi A., 2017. La conscience du lieu. Paris, Etérotopia, 176. (Rhizome) Pazzagli R., 2021. Un paese di paesi. Luoghi e voci dell’Italia interna. Pisa, Edizioni ETS, 182. Poli D., 2012. Regole e progetti per il paesaggio. Verso il nuovo piano paesaggistico della Toscana. Firenze University Press. Regione Toscana, Piano d’Azione CETS, Parco Nazionale Colline Metallifere 2014. Carta Europea del Turismo Sostenibile. Strategia e piano d’azione. Schaffner M., Rollot M., 2021. Les veines de la terre ; une anthologie des bassins-versants. Paris, Wildproject Petite Bibliotheque D’ecologie Populaire, 160.

182


Ringraziamenti Ringrazio Claire Laubie, Jacques Sgard, Jacques Boulet e Simon Lacourt per la loro presenza il giorno della presentazione del progetto personale di fine studio all’École nationale supérieure de paysage de Versailles (ENSP). Vorrei ringraziare Mongi Hammami per avermi seguito assiduamente durante lo sviluppo del progetto e fisicamente sul posto. Vorrei ringraziare Francesca Vierucci per essere stata la scintilla che ha fatto innescare questa effervescente ricerca. Vorrei ringraziare per la loro immensa gentilezza e generosità: Michele Ulivi, Antonella Ranzolin, Marco Paperini, Gennaro Giliberti, Rossano Pazzagli, Alessandra Casini, Claudio Cantini, Silvia Scaramuzzi, Mario Cancelli, Massimiliano Brogi, Marco Pollini, Nicola Verruzzi, Alessio Guazzini, Marco Porcinai, Angela Saba, Tommaso Pelandri, Franco Morra, Luigi Marengo, Fabio Maestrini, Alberto Giuntoli, Giulio Tosi, Enrichetta Traditi. Vorrei ringraziare Adrien Bihorel e Olivier Troff per il loro lavoro di rilettura.

183


184


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