FOTOgraphia 265 ottobre 2020

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GUIDO HARARI VOLTI CHE ESPRIMONO OTTOBRE 2020 / NUMERO 265 / ANNO XXVII / 265 GIOVANNI GASTEL DENTRO LO STUDIO GIANNI BERENGO GARDIN SONO NOVANTA!

NONNELLAFOTOGRAFIAEOSSERVAZIONIRIFLESSIONICOMMENTISULLARIVISTACHETROVIINEDICOLA / Sottoscrivi l’abbonamento a FOTOgraphia per ricevere 10 numeri all’anno al tuo indirizzo, a 65,00 euro Online all’indirizzo web in calce o attraverso il QRcode fotographiaonline.com/abbonamento ABBONAMENTO ANNUALE 10 numeri a 65,00 euro info:Per abbonamento@fotographiaonline.com0436716602srlgraphia

La fotografia non consiste nel lasciare le co se come stanno. Pino Bertelli; a pagina 50 Impossibilità del cinema di “dire il vero” e rap porti complessi tra rappresentazione e realtà. Maurizio Rebuzzini; a pagina 14

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La Fotografia non è una strada senza curve e deviazioni, ma è un cammino verso il quale ogni osservatore è invitato. Angelo Galantini; a pagina 44 Copertina Emblematico ritratto del compositore e diret tore d’orchestra Ennio Morricone, mancato lo scorso sei luglio, a novantadue anni, realizzato a Roma, da Guido Harari, nel 1998. Portfolio d’autore, da pagina 18 Fotografia attorno a noi Cartolina in forma di sticker (sagomata) della popolare Kodak Brownie Starflash Camera, prodotta dal 1957 al 1965, realizzata da Paper House Productions, nella seconda metà de gli anni Novanta del Novecento (fotografia FOTOgraphia)

Come potrebbe il mondo, così come lo co nosciamo, operare una distinzione, saggia e precisa, tra ciò che è fondamentale e ciò che sembra rilevante? Anche con la Fotografia Venticinque lettere ai grandi ma , Oliviero Toscani affronta tematiche e considerazioni fondanti della Fotografia al giorno d’oggi. Lettura in dinspensabile, non soltanto necessaria Ad Alba, in provincia di Cuneo, spazio esposi tivo per gli appassionati di musica e fotogra fia, per collezionisti abituali e anche per chi MARGARET BOURKE-WHITE. Originaria mente programmata per la scorsa prima vera, l’imponente retrospettiva Prima, don na. Margaret Bourke-White fotografa non si è svolta per motivi a tutti noti, legati al lockdown imposto da prescrizioni ufficia li relative alla pandemia Covid-19. Era stata annunciata per un lungo periodo espositi vo, dal diciotto marzo al ventotto giugno, al Palazzo Reale, di piazza del Duomo, a Mila no, ma è stata preventivamente cancellata. Ora, si ripresenta, nello stesso luogo e con i medesimi riferimenti e crediti, con un alle stimento fissato fino al prossimo quattordici febbraio, dallo scorso venticinque settembre di inaugurazione. In mostra, oltre cento im magini, provenienti dall’archivio Life, di New York, divise in undici sezioni tematiche, che -in passo cronologico- allacciano il filo del per corso esistenziale di Margaret Bourke-White e mostrano la sua capacità visionaria e in sieme narrativa, capace di comporre “storie” fotografiche dense e folgoranti. Avvincen te allestimento per ricordare una fotografa epocale: una grande donna, la sua concezio ne esistenziale e la sua vita controcorrente. Precorritrice dell’informazione visiva e del l’immagine, Margaret Bourke-White ha esplo rato ogni aspetto della Fotografia: dal mondo dell’industria e dai progetti corporate fino agli ampi reportage per le testate statunitensi più rilevanti degli anni Trenta del Novecento, del calibro di Fortune e Life, per la cui nascita, il 23 novembre 1936, firmò la copertina del nume 16 14 grafa; a cura di Alessandra Mauro; mostra Co mune di Milano / Cultura, Palazzo Reale, Con trasto (con il contributo di Fondazione Forma per la Fotografia); Digital Imaging Partner Canon. Palazzo Reale, piazza del Duomo 12, 20122 Milano (www.palazzorealemilano.it); fino al 14 febbraio 2021; martedì, mercoledì, venerdì, sa bato e domenica 9,30 19,30; giovedì 9,30 22,30.

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/ 265 SOMMARIOPRIMA COMINCIAREDI

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Galantini 46 / Alla ricerca del sacro MaDi questi tempi di Michele Smargiassi 48 / Un’esperienza privata Storie su Gabriele Basilico di Giovanna Calvenzi 50 / Wilhelm Brasse Sguardi su di Pino Bertelli / 25/ / 10/ / 44/ / 08/ / 46/ / 30/ SOMMARIO DIRETTORE RESPONSABILE Maurizio Rebuzzini ART DIRECTION Simone Nervi IMPAGINAZIONE Maria Marasciuolo REDAZIONE Filippo Rebuzzini CORRISPONDENTE Giulio Forti FOTOGRAFIE OttavioRouge Maledusi SEGRETERIA Maddalena Fasoli HANNO COLLABORATO Susanna Berengo Gardin Pino MicheleMarcoOttavioToshFabioGuidoGiovanniAngelomFrantiDanielaGiovannaAntonellaAntonioBertelliBordoniBozziniCalvenziDamianoGalantiniGastelHarariInterraKomamuraMaledusiSaielliSmargiassi www.FOTOgraphiaONLINE.com Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia srl via Zuretti 2a, 20125 Milano MI 02 66713604 redazione@fotographiaonline.com ■ FOTOgraphia è venduta in abbonamento. ■ FOTOgraphia è una pubblicazione mensile di Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano. Registrazione del Tribunale di Milano numero 174 del Primo

■ OTTOBRE 2020 / 265 - Anno XXVII - € 7,50 aassociataRivista TIPA www.tipa.com

12 / In complicità Due film distanti tra loro nel tempo: L’arma del ricatto e I ponti di Madison County Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini 16 / Con Horseman Ansel Adams con banco ottico: Apple e dintorni 18 / Guido Harari Volti che esprimono Ritrattista di alto valore, Guido Harari inter preta e propone una Fotografia che è Arte proprio in quanto... Fotografia 26 / Sono Novanta! Per i novant’anni (10 ottobre 1930-2020), un’au tobiografia con immagini raccolta dalla figlia Susanna: Gianni Berengo Gardin. In parole povere di Maurizio Rebuzzini 34 / Dentro lo Studio Giovanni Gastel Primo paragrafo di una osservazione die tro-le-quinte del professionismo italiano in epoca di propria trasformazione di Antonio Bordoni / Fotografie di Antonella Bozzini, Daniela Damiano e Ottavio Maledusi 42 / Fabio RelativitàInterranel mondo Avvolto dalla Natura, fino a farne parte, Fa bio Interra esprime quello che intende come proprio Senso della Vita di Angelo aprile 1994. Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento po stale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), ar ticolo 1, comma 1 - DCB Milano. A garanzia degli abbonati, nel caso la pubblicazione sia pervenuta in spedizione gratuita o a pagamento, l’Editore garantisce la massi ma riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e in suo possesso, fatto diritto, in ogni caso, per l’interessato di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi della legge 675/96.

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EDITORIALE Maurizio Rebuzzini 7

vedere elamenteattiva

anche liberodiinterpretareaproprio

unataunaMaununaricordimaisioneunasesorpresa,molla,tualisiderarecreditofotografo).(Fotografo)noVogliamocuore)camminasionalidentementebilmente,zatalato)fornitocolariconsentesemprelorodiafferrareeapprezzarecertiparticonunatalefacileprontezzachestupiscechinonèdialtrettantaagilità,dialtrettantareazione.ReazionecheprocuraimpressionidiBellezza(insensovivaedesultante.Inpochiattimi,l’immagine-realizomeno-sifissapersemprenellaMemoria.Probaèquestoilsensodell’essereFotografi,indipendallosvolgimentodelleproprieazioni,profesononprofessionali.Certamente,nessunFotografoinvanolungolapropriavia.Ciòrilevato,tral’essereFotografo(nelcuore,oltrecheconilenonesserloladifferenzaèsostanzialeesostanziosa.solodirechedicontinuo,attornoanoi,accadocosenotevoli,chequalcunoèingradodicomprendereequalcunaltrononèingradodicogliere(nonDalchesiintuiscechedobbiamodaremoltoallenostrepercezioni,evitandolabanalitàdiconrilevantisololefaccendeaccompagnatedaevenparticolarisensazionali,perché,ognitanto,scattaunaeunricordocitendeun’imboscata.All’improvviso,dieforseancheallasprovvista.AncoraconlaFotografia.Avolte,trascorronomesi,foranni,senzacheognunodinoirivolgaunpensieroincertadirezione;poi,inaspettatamente,unaconnes(sinapsi?)simettealampeggiare.Nonpossiamoprevederequalieventiaccidentalivadanoasvegliaresopitinellanostramente:parolepronunciateconcertaintonazione;unacanzone;ilversodiunapoesia;aromalatente;unistantefuggente,ilsoffiodelvento.ancheunaFotografiaprivatadimenticatasulfondodiscatola.MaancheunaFotografiapubblicaincontrasullepaginediunlibrooungiornale.Già...maancheFotografia.Circa.

cheall’Eternità.ro,Esistenza,nellane.perdeun’immaginetomenoètaleunaComepotrebbeilmondo,cosìcomeloconosciamo,operaredistinzione,saggiaeprecisa,traciòcheèfondameneciòchesembrarilevante?Questioneintrigante,cheopportunodeclinareanostramisuraeinteresse(quancondiviso).Ineffetti,quandounFotograforealizzarimarchevoleeconsiderevole,ilmondononnullachepotessevalereunsoloattimodiattenzioAlcontrario,ricavaeottienequalcosadimemorabile,testimonianzacheunattimodiVita,cheunistantedinonsièesauritonelpropriomomentoeffimebreveomenobrevechesiastato,mavieneconsegnatoPercomenoiconsideriamol’eticaelamorale,ciascunodinoiè

commovente.catovia.inte.sisempretosionistainteressa,eminante!),comodoepiacere(l’Eticaèsovrastanteeimperanteedositrattadiunaresponsabilitàchedeveguidareindirizzareogniazionefotografica,almenoperquantocisoprattuttoqui.Inqualsiasicamminosiindirizzi,ilFotografo-siaprofessianonprofessionista,inqualsivogliaragionamenvisivosiinoltri-vivecongliocchi,viveconl’attenzioneattiva.Soprattuttoifotografideledalvero,spesso,fermanoappenaunistante,sorpresidavisioniincontraAvoltescattano,altrevolteno:nonèquestoilproblema;ognicaso,poi,riprendonoacamminarelungolapropriaMalacapacitàdiosservazionehagiàregistratoecollointuttiiparticolarilospettacoloimprevistoe,avolte,Quellacapacitàdi

In venticinque lettere, Oliviero Tosca ni affronta e approfondisce altrettanti “temi legati alla fotografia, per riflettere sul futuro di questa straordinaria arte”. Non c’è graduatoria tra i destinatari, ma gli argomenti procedono con una dialettica a dir poco esemplare, per la quale è necessaria una precisazione. In effetti, non è richiesto ai fotogra fi di esprimersi sulla Fotografia. Già si pronunciano con le proprie immagini (per quanto, in più occasioni, Oliviero Toscani ha quasi allontanato da sé l’i dentificazione, preferendole quella di “comunicatore” e dintorni). Però, alcu ni sanno farlo, magari partendo anche dalle proprie esperienze personali, sul le quali hanno maturato ed edificato deduzioni e convinzioni di alto profi lo. Alcuni fotografi... pochi, per il vero. Certamente, meno di quelli che anche parlano, riferendosi soltanto a se stessi e alla propria Fotografia. No, e a differenza, nella sua raccol ta Caro Avedon, Oliviero Toscani non parla di sé, per quan to parta da se stesso. Seconda missiva, del le venticinque “invia te”, Lettera a Fedele Toscani [1909-1983], Il mestiere di fotografo: «Caro papà, tu mi hai insegnato a ridere. È stata la grande lezio ne che mi hai impar tito per educarmi alla fotografia. [...] Mi portavi con te fin da bambino: dopo la scuola ti aiu tavo e, soprattutto, as sorbivo come una spu gna quello che c’era da imparare osservando ti mentre lavoravi. [...] Ricordo l’emozione di quando ho visto la mia prima foto pubblicata. Avevo quattordici an ni, eravamo a Rimini al Grand Hotel a fotogra fare l’elezione di Miss Italia. Arrivò una tele fonata da via Solferino [dal Corriere della Se ra], e ti dissero di anda re immediatamente a Maurizio Rebuzzini

In copertina di Caro Avedon, di Oliviero Toscani, immediatamente sotto il titolo (di richiamo), un chiarimento esplicito precisa l’argomento del libro: La foto grafia in venticinque lettere ai grandi maestri. Quindi, iniziando a sfogliarlo, in adatto anticipo sull’intrigante pre fazione di Michele Smargiassi, Firma to Oliviero Toscani, fotografo, lo stesso autore schiude ogni dubbio che si po trebbe avere al proposito: «Parlare di fotografia. / Con chi se non con i miei colleghi? / Ho conosciuto personalmen te alcuni di voi, / altri avrei voluto farlo, / ma non è stato possibile. / Con ognuno di voi, / attraverso una corrispondenza immaginaria, / affronto un tema legato alla fotografia, / per riflettere sul futuro / di questa straordinaria arte». Parole chiave: Parlare di fotografia; con i miei colleghi; affronto un tema legato alla fotografia; futuro; arte. I primi tre passaggi sono proposi ti; anzi, è un proposito solo, con tanto di interlocutori. Gli ultimi due termini sono dichiarazioni di princìpio che attesta no condizioni fondanti, andando altresì a con cludere con una presa di posizione a proposi to di: arte! In prefazione, Miche le Smargiassi aggiun ge una riflessione an ticipatoria alle venti cinque verso le quali si è cimentato Olivie ro Toscani. In particola re, esamina con lucida intelligenza il concetto stesso di missiva, che è uno scritto diverso da gli altri perché si offre anche come autoritrat to di se stessi. Testuale (circa): «Toscani sa be nissimo che il piacere di scrivere lettere è qualcosa che basta a se stesso. [...] Le lette re hanno un grande vantaggio. Danno del tu. Si rivolgono (a vol te, si rivoltano) a qual cuno. Esternizzano l’Io. Estroflettono l’identità. Scrivere una lettera è attribuire un po’ di quello che si pensa di essere a ciò che si crede siano gli altri. Per essere più chiari: con le lettere, anche quelle che non vengono realmente spedite, possiamo pagare i nostri debiti. E a vol te regolare conti in sospeso».

Quelli di Oliviero Toscani potrebbero essere tanti quanti gli ha fornito la sua esuberante personalità, mai tenuta na scosta, mai sottomessa o asservita ad altri. Il suo parlare chiaro, rivolgendosi spesso ai mal-costumi quotidiani, non sempre è gradito, né accettato. Perché, come la dice Michele Smargiassi, con ferendo a Oliviero Toscani una celebre considerazione del poeta statunitense Walt Whitman (uno dei miti degli anni Sessanta), «Mi contraddico? Certo che mi contraddico! Sono grande, conten go moltitudini» [Oliviero Toscani: Non sono obiettivo; Feltrinelli / Universale Economica, 2001; e, anche, Oliviero To scani: Non sono obiettivo; Rai Radio 1 e Rai Play Radio, fino all’estate 2018].

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(Franti)

Caro Avedon. La fotografia in 25 lettere ai grandi maestri, di Oliviero Toscani; prefazione di Michele Smargiassi (Firmato Oliviero Toscani, fotografo); postfazio ne di Francesco Merlo (Ssst! ); Solferino, 2020 ; 192 pagine 14x21,5cm; 15,00 euro.

Non sono obiettivo, di Oliviero Toscani; Feltrinelli / Universale Economica, 2001; 192 pagine 12,5x19,5cm; 7,00 euro.

/ OTTIMA LETTURA / di

CARA FOTOGRAFIA

In ottemperanza al titolo, la cadenza comincia con Lettera a Richard Avedon, in intenzione di L’immagine è la nuova grammatica del mondo: «Fotografare non è prendere la realtà per oggetto, ma farla diventare oggetto, è riaggre gare una a una tutte le sue dimensioni: il rilievo, il movimento, l’emozione, l’i dea, il senso e il desiderio per rendere meglio e più reale il tutto, vale a dire al meglio simulato, che è un controsen so in termini di immagine».

Sex,

rock & roll and photography ; ad August Sander ...............................................La fotografia ruba l’anima? ; ai Fotografi Dilettanti .................................................. Macchine fotografiche; alla Magnum ................................................................... Fotografia aristocratica; a Franco Fontana Fotografia a colori o in bianco e nero? ; a Marirosa Toscani Ballo Arte, fotografia e comunicazione; a Joel Peter Witkin ................................................................ Maledetta bellezza; a Diane Arbus ................................................................................. Il bello e il brutto; a Edward Sheriff Curtis Fotografia e Memoria; a Elliott Erwitt Libera circolazione della creatività; a tutti i Selfisti ...........................................................................................Autoritratto; ad Andreas Gursky ............................................................. Foto da chiodo d’oro; a Gabriele Basilico ............................................... Il nuovo paesaggio italiano; a Annie Leibovitz Rich and famous; a Steve McCurry Fotografia e pentimento; a Robert Frank ............................................................... L’impegno in fotografia; a Irving Penn ..............................................................................Fotografia e realtà; ai fotografi di matrimoni Foto eterne; a Joe Rosenthal Bisogna avere fortuna; a Guy Bourdin ....................................................................... La ricerca del meglio; a Helmut Newton ............................................................. C’è censura e censura.

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ANDATUREVENTICINQUE

Predappio, a documentare la tumula zione della salma di Mussolini. Lungo la strada, mi tenesti una lezione sul fa scismo, perché capissi cosa andavamo a fare. Avevo vissuto i bombardamenti da bambino, ma allora ero troppo pic colo per comprendere le ragioni del la guerra. Me le spiegasti tu. Giunti a Predappio, mi mettesti in mano una Leica e mi dicesti: “Se vedi qualcosa di interessante, scatta”. Ero felice».

Un altro passaggio: «È molto raro che un testo o un film si offrano con la stes sa evidenza, la stessa istantaneità, la stessa magia di un’ombra, di una luce, di una materia. / È questa immobilità che le cose sognano, è questa immo bilità che sogniamo. Qualunque sia il rumore e la violenza che la circonda, la foto restituisce l’oggetto all’immo bilità e soprattutto al silenzio. / Il silen zio della foto è forse la sua qualità più preziosa, a differenza del cinema, del la televisione, dei social, a cui dovrem mo imporre il silenzio senza riuscirci». Questo è il passo. Questo è il tenore. Questo è il livello ponderato delle con siderazioni sulla Fotografia che Olivie ro Toscani ha raccolto nel pregevole e coinvolgente Caro Avedon. La fotografia in venticinque lettere ai grandi mae stri. Ancora: l’autore sa a chi rivolgersi, e con quale argomento farlo, rilevando altresì una padronanza ideologica dei dibattiti che il Tempo ha edificato sul la Fotografia, in proprio linguaggio e lessico. Insomma, è “informato sui fat ti”. Per esempio: Fotografia e Memo ria (a Edward Sheriff Curtis), Bisogna avere fortuna (a Joe Rosenthal), Foto da chiodi d’oro (ad Andreas Gursky), La fotografia ruba l’anima? (ad Au gust Sander), Il nuovo paesaggio ita liano (a Gabriele Basilico), Macchine fotografiche (ai Fotografi Dilettanti)... E qui è d’obbligo: al pari di poche al tre, si tratta di una lettura indispensa bile, non soltanto necessaria, per colo ro i quali affrontano la Fotografia con convinzione e partecipazione, che qui trovano in bell’ordine una qualità di te matiche in arricchimento cognitivo. Opi nioni sulle quali riflettere, riflessioni da fare proprie, nel nostro cammino quo tidiano che accompagniamo in questa buonaFotografica.compagnia.■■

; a William Klein .............................................................................................. L’audacia; a Robert

...

Come ampiamente riferito del corpo centrale di questo intervento redaziona le ed evidenziato nel sottotitolo esplicito del libro, le riflessioni compilate da Oliviero Toscani nel suo Caro Avedon. La fotografia in venticinque lettere ai grandi maestri sono state composte e sono qui presentate in forma di lette re inviate a soggetti fotografici, ciascuno idealmente prossimo all’argomen to via via affrontato. Così che, nell’insieme, è stata confezionata una concen trata escursione sul presente della Fotografia, in proprio tempo di imponenti trasformazioni, che stanno modificandone l’impatto sulla società tutta. Nella chiarezza dei venticinque singoli capitoli, intendiamoli così, consapevole della propria autorevole frequentazione, in tutto protagonismo, l’autore percorre in lungo e largo l’ideologia dell’Immagine. Risponde a domande, allo stesso tempo nel quale pone quesiti. Insomma, invita a pensare. In sequenza di pubblicazione, le venticinque missive (ciascuna in riflessio ne mirata verso il destinatario via via avvicinato): Avedon L’immagine è la nuova grammatica del mondo del fotografo Capa Fotografia in guerra Bailey drugs,

Lettera... a Richard

; a David

; a Fedele Toscani........................................................... Il mestiere

■ ■ / GALLERY / di Angelo Galantini WALL OF SOUND

Wall Of Sound Gallery, via Gastaldi 4, 12051 Alba CN (riferimento fotografico quali ficato); 0173 362324; www.wallofsoundgallery.com, info@wallofsoundgallery.com. Martedì venerdì 10,30 12,30 15,30 19,00; sabato e domenica su appuntamento.

Guido cattura nei suoi ritratti vengono generalmente ignorate dagli altri fotografi. E, poi, un certo genere di immagini è possibile so lo con una persona amica, non con un estraneo. Io considero Guido un amico, non un fotografo, ed è per questo che riesce a cogliere immagini come le sue». Dal Duemila, consapevole di un pas saggio inevitabile nel Tempo fotogra fico professionale, Guido Harari ha av viato anche progetti paralleli alla sua Fotografia d’autore, andando a con siderare altri archivi fotografici, vicini alla sua visione del mondo, per cura re autorevoli e prestigiose monogra fie illustrate, che si sono aggiunte alle tante sue che si sono incessantemente susseguite nei decenni, a partire dalla prima: Lindsay Kemp; con testi di Da vid Haughton; Editoriale Domus, 1982.

10 Oggi, non abbiamo li mitato la Fotografia di Guido Harari al solo ri chiamo e riferimento musicale, che ne defi nisce l’ossatura, prefe rendo certificare il suo essere ritrattista eccel so (da pagina 18). Allo stesso momento, non ignoriamo quan to e come abbia foto graficamente vissuto il mondo della sentimento.cali,rannoGuido.dito:ritàtropolitanicocantorestatunitensetore,contemporanei.pressochéplesso,proprioa(bruttaDallacounointerpretandolomusica,consguardoadirpounico(eirripetibile?).musicaleggeraidentificazione)tuttoilpanoramanelinsiemeecomhafotografatotuttiimitiIlceleberrimocantauchitarristaepoetaLouReed,crudoeironideibassifondimeedell’oscuumana,haafferma«SonosemprefelicefarmifotografaredaSochelesuesaimmaginimusipienedipoesiaediLecoseche

tore di libri e curatore di mostre, Guido Harari ha così esteso e amplificato il proprio passo, la propria cadenza, pro cedendo, insieme con Cristina Pelissero e con la grafica Anna Fossato, al restau ro di archivi dimenticati, contribuendo a riaccendere l’interesse di pubblico e media per fotografi storici, quali i trop po spesso dimenticati Art Kane e Joe Alper, rendendo le loro incredibili im magini di nuovo o per la prima volta disponibili sul Rappresentandomercato.unnumero sempre crescente di fotografi internazionali di chiara fama e la crema degli autori italia ni del genere, Wall Of Sound Gallery, di Alba, è riferimento qualificato per qua lunque appassionato di fotografie mu sicali fine art. Inoltre, la galleria pubbli ca propri libri/cataloghi e cura/produce mostre anche per musei.

Oltre a preziosità bibliografiche rivolte a un pubblico selezionato, prima che at tento, nel 2004, con Mondadori, è stata pubblicata The beat goes on, con foto grafie private e documenti di Fernanda Pivano, che ha vissuto da protagonista stagioni e movimenti culturali irripe tibili. Nel 2018, sue fotografie a tema sono state raccolte nell’edizione Rizzoli di Fabrizio De André. Sguardi randa gi, emozionante racconto visivo di una vita al massimo e di venti anni di colla borazione con il cantautore genovese. Nel 2012, per Chiarelettere, Guido Ha rari ha curato due libri con passo lie ve dalla musica di origine alla vita di destinazione: Gaber. L’illogica utopia e Quando parla Gaber. Pensieri e pro vocazioni per l’Italia. Ancora per Chia relettere, nel 2015, è stata la volta di Pier Paolo Pasolini. Bestemmia Nel 2011, Guido Harari sua cultura». È così nato un luogo ideale per gli appassio nati di musica e foto grafia, per collezioni sti abituali e anche per chi vorrebbe muovere i primi passi in questo ambito. Tra fotografie di grande qualità delle icone leggendarie della musica, e anche imma gini meno conosciute o finora non disponibi li, sono presenti volumi preziosi in edizione limi tata e manifesti d’epoca. Sempre e comunque in chiave nalezaFortemusicale.diun’esperienpiùchequarantencomefotografo,au

DVD statunitense del film Over-Exposed, di Lewis Seller, del 1956. Per ovvi motivi commerciali, non esiste la versione italiana, intitolata L’arma del ricatto. Analoga mente, in tecnologia precedente, non fu pubblicata nemmeno la cassetta VHS; per almeno due motivi: la fragilità del film e l’anno di produzione lontano nel tempo.

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Archivio FOTOgraphia

Oltre i film nei quali la Fotografia è pro tagonista in prima persona, non tanto e non necessariamente in partecipa zione quantitativa, quanto in presen za ideologica e di sostanza (tanti sono gli esempi), in questo ambito mirato, registriamo anche suoi consistenti in terventi in appoggio di sceneggiatura. Ovvero, protocolliamo e cataloghiamo quelle combinazioni alle quali la Fo tografia offre propri pretesti narrativi. Qui e ora non ci riferiamo tanto al le innumerevoli trasversalità comple mentari, quanto -più concretamen te- alle complicità, dichiarate o me no, che sfiorano un ruolo principale, con un protagonismo basato su alcune delle peculiarità che ne definiscono il linguaggio e la percezione pubblica, magari anche in misura stereotipata. Ed è proprio questa interpretazione, in punta di modello e convenzione, che oggi guida il parallelo che annotiamo tra due vicende cinematografiche indipendenti una dall’altra, oltre che autonome e lontane, sia nel lo spirito sia nel tempo. Il film in primo piano è lo statu nitense Over-Exposed Lewis Seller, del 1956, che in Italia fu distribuito co me L’arma del ricatto Tra i due titoli, quello originario e quello italia no, c’è una certa diffe renza; comunque, en trambi sono introduttivi della vicenda, presen tata attraverso due in tenzioni popolari auto nome: la sovraesposizio ne statunitense richiama prontamente la trasversali tà fotografica, che definisce la sceneggiatura; così come, con altro passo (coincidente?), in Italia si è andati prontamen te al sodo dell’intrigo, lasciando al le locandine dell’epoca il compito di sottolineare che l’ la Fotografia, visualiz zata da suoi richiami espliciti alla biottica Rolleiflex, soprattutto, e alla Speed Graphic del fotogiornalismo Usa, in un certo subordine.

L’ARMA DEL RICATTO Coerente con i film noir degli anni Cin quanta del Novecento, L’arma del ri catto svolge una sceneggiatura arti colata, alla maniera dei romanzi poli zieschi di Raymond Chandler, densa di intrecci tra i protagonisti, di nessu no dei quali è il caso di fidarsi troppo. Interpretata da Cleo Moore (1924-1973), bionda platinata come esigevano quei lontani tempi cinematografici statu nitensi, Lila Crane è una entraîneuse attorno alla quale è stata disegnata la complessa vicenda. Arrestata per aver sollecitato a bere clienti già ubriachi, viene espulsa dalla città. Per evitare ulteriori guai, chiede al fotogra fo Max West (l’attore Raymond Greenleaf) di non consegnare alla polizia la sua fotografia segnaletica; in cambio, è disposta a posare in co stume da bagno. Questa esperienza in sala di posa le torna uti le una volta che si tra sferisce a New York. Da qui, si dispiega la lunga sequenza di coinvolgi menti con personaggi dubbi della vita notturna della città, tra giornalisti, politici, faccendieri, attri ci, pettegolezzi e scoop, per i quali Lila Crane rea lizza fotografie di momen ti imbarazzanti, appunto ali mento indispensabile per ricatti, minacce, pressioni ed estorsioni. Questa sintesi è più che sufficiente per inquadrare e definire la sceneg giatura -niente affatto originale, oltre che modesta- che, ov viamente, si conclude con l’inevitabile lieto fi ne della Hollywood de gli anni Cinquanta: tra la possibilità di conti nuare la sua carriera fo Maurizio Rebuzzini - Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini IN COMPLICITÀ

Quindi, in ragionamento allungato e individuale, oggi osiamo abbinare que sto film alla trasposizione cinemato grafica I ponti di Madison County (let terale: The Bridges of Madison Coun ty), di e con Clint Eastwood, del 1995, dall’omonimo romanzo best seller in ternazionale di Robert James Waller, del precedente 1992. Per quanto ci è dato di considerare, al solito in una maniera quantome no personale, oltre che trasversale, in entrambi i film, la Fotografia è l’ele mento complice della sceneggiatura: in un certo modo è sostanzioso prete sto per raccontare e coinvolgere. Cer to, da una parte, in L’arma del ricatto (presunta) oggettività della realtà che visualizza, qui declinata in chiave diso nesta e fraudolenta. Mentre, e al con trario, nei Ponti di Madison County è pretesto e giustificazione/motivazione di un incontro esistenziale. Con ordine, passo a passo e verso la conclusione.

/ CINEMA / di

Film senza pretese, in Italia, L’arma del ricat to è stato promosso con locandine coerenti con i propri tempi di pro grammazione nelle sa le cinematografiche (se conda metà degli anni Cinquanta). Ovviamente, oltre l’interpretazione di Cleo Moore, è stata sot tolineata la combinazio ne fotografica. Tutto sommato, il sot tofondo fotografico è stato meno sottolinea to nelle locandine sta tunitensi dell’originale Over-Exposed

Archivio (FOTOgraphia 2)

OLTRE I PONTI Nel film I ponti di Madison County, co me riferito sceneggiato dall’omonimo romanzo best seller planetario di Robert James Waller, Clint Eastwood -anche regista- è Robert Kincaid, un ipotizzato fotografo di National Geographic Maga zine che durante un reportage incontra una donna sposata (Francesca / Meryl Streep). Si amano intensa mente; ma, poi, non hanno la forza di restare assieme. Ognuno torna alla propria vita, che non sarà più quel la di prima, con nel cuore la sequenza di quattro giorni che hanno indelebilmente segnato le rispettive esistenze. Così schematizzata, la tra ma può risultare scontata, ma invece ci so no le premesse per qualcosa di vigoroso e origi nale. Per quanto riguarda la “complicità” foto grafica sottotraccia, in rispet to al romanzo, sullo schermo, Robert Kincaid è alto, atletico, affascinan te. Guida un pickup Chevrolet, suona la chitarra, è vegetariano e fuma Camel... il perfetto stereotipo del fotoreporter. Nella fantasia letterario-cinematogra fica, Robert Kincaid viene chiamato a lavorare per il National Geographic gra zie a una fotografia pubblicata su un calendario. Niente di più lontano dal la realtà. Illuminanti sono, al proposi to, le parole di Kent J. Kobersteen, alla fine degli anni Novanta del Novecen to direttore associato della fotografia di National Geographic: «Per quanto bella possa essere -affermò-, una sola fotografia non rappresenta nulla. Noi abbiamo bisogno di valutare un port folio ampio. La competizione per gli spazi sulla rivista e per ottenere nostri incarichi è durissima. Ogni anno, rice viamo centinaia di proposte e progetti; e, ogni anno, non ne pubblichiamo più di settanta. Anche se si può contare su un portfolio assolutamente valido, la strada per entrare a far parte del nostro staff di fotografi è lastricata di dif ficoltà e perComunque,ostacoli».confermiamo: I ponti di Madison Coun ty, la Fotografia rappresen ta soltanto un pretesto per giustificare l’incontro tra due esistenze. Il soggetto della vicenda è l’amore, con tutte le pro prie controverse implicazioni. Il raccon to originario è un grande romanzo di sentimenti, ai quali l’ipotesi fotografica (Nikon F, Gitzo, Kodachrome e affini) fa

13 tografica ai limiti della moralità e del decoro (e oltre) e l’amore, ovviamente, Lila sceglie l’amore... The End! In ulteriore annotazione “fotografica” mirata, va annotata la combinazione al femminile, decisamente in consueta in quegli anni, du rante i quali il cinema statu nitense (e non solo questo) era guidato e governato da un sessismo assoluto e in condizionato, che relegava le attrici al solo proprio aspetto esteriore, meglio se sgargian te (modeste eccezioni a par te). In stretti termini tempo rali, Lila Crane di L’arma del ricatto, nell’interpretazione di Cleo Moore, è la seconda donna fotografa censita nel la storia del cinema, e nella sottosezione della Fotografia al Cinema. Soltanto un precedente. L’apparizio ne sullo schermo della prima figura di donna fotografa, in Legittima difesa, di Henri-Georges Clouzot (Quai des Orfèvres; Francia, 1947), si accompa gnò con l’oscura rappresentazione di un personaggio ambiguo, amorale più che immorale e, novità per il cinema di allora, dedito ad amori omosessuali (Dora Monier, interpretata da Simone Renant). Però bisogna considerare che il regista calcò i toni per sottolineare i pericoli e le nefandezze che si possono commettere sull’onda di un isterismo collettivo, ben noto a chi, come lui, era stato messo al bando (accusato di fi lonazismo) più per esaltazione e fana tismo che per prove reali. Immediatamente dopo, nel 1957, un caso seguente: sessione di posa con la petulante fotogiornalista Ann Kay, in terpretata dall’attrice Dawn Addams, nel modesto film Un re a New York ( A King in New York ), scritto, diretto e in terpretato da Charles Chaplin.

14 da semplice corollario, o, quantomeno, da commovente e appassionante col lante. Inesattezze di traduzione a parte -per esempio, il “flessibile dello scatto” invece dello “scatto flessibile”-, la nar razione è comunque fotograficamen te adeguata e credibile: le sessioni di ripresa sfruttano la luce dell’alba e del tramonto; Robert Kincaid è uno scru poloso professionista, che ogni sera ri pulisce la propria attrezzatura; e poi si parla anche di quel bagliore di luce che, immediatamente dopo il tramonto, e prima del buio, illumina il cielo con una incantevole brillantezza. Il resto è ro manzo e cinema, magari è anche me lodramma; e non potrebbe, né dovreb be, essere altrimenti. IN COMBINAZIONE Eccola qui la “complicità” della Fotogra fia, che consente al Cinema di confezio nare proprie sceneggiature attraverso blico; per quanto qui e oggi considerato: ricatto attraverso l’inoppugnabile realtà del documento fotografico (?) e fotore porter atletico e affascinante, specchio di misteri nascosti, che guida un pickup, suona la chitarra, è vegetariano e fuma Camel... in perfetto stereotipo. In questo senso, a parte i casi in cui la Fotografia è protagonista di se stes sa al Cinema (tanti i titoli al proposito, molti dei quali meritevoli indipendente mente dal nostro interesse fotografico specifico), questa combinazione/com plicità è quanto di meglio possa otte nere qualsivoglia materia e/o disciplina una volta trasportata nel Cinema. Non presenza asettica, ma concreta parte cipazione attiva alla Vita, indipenden temente da infra o sovrastrutture da addetti. Tanto che, osiamo aggiungere, non è certo per caso che nei due film mente) accostati il filo conduttore della trama narrativa sia la Fotografia, capace di essere realtà pur non essendola, pur essendo la propria rappresentazione. Non raffigurazione, proprio rappresen tazione. E la differenza è sostanziale. E lo stesso potrebbe essere riferito ad altri titoli, alcuni dei quali elevati a cult, per propri contenuto e svolgimen to; tre esempi, ancora, sopra tutti: Il fa voloso mondo di Amélie / Le Fabuleux destin d’Amélie Poulain, di Jean-Pierre Jeunet, del 2001, One Hour Photo, di Mark Romanek, del 2002, e Smoke, di Wayne , del 1995. Oppure, per concludere in crescen do, potremmo anche riflettere sull’im possibilità del cinema di “dire il vero” e sui rapporti complessi tra rappresen tazione e realtà. Tra ciò che si vede e ciò che si capisce. Forse. ■ ■

Meno nota di altre figure iconiche degli anni Cinquanta e Sessan ta del Novecento, coltivate negli Studios di Hollywood, Cleo Moore (Cleouna Moore; 1924 1973) è stata comunque figura di spicco della stagione statunitense delle bionde bombshell (letteralmente, bom ba), identificazione originaria di quelle che in seguito sarebbero sta te identificate come sex symbol. Ovviamente, e per gli stessi motivi, rientra tra le pin-up girl di quelli stessi anni. La sua interpretazione in Over-Exposed / L’arma del ricatto è l’unica nota saliente del mo desto film. Qui, due posati promozionali del film e la classica posa ammiccante dello star system hollywoodiano.

Per tanti versi, l’attuale rievocazione di una particolare combinazione tra Apple, marchio che non richiede pa role di presentazione, né commento, e Ansel Adams, autore che pure non ha bisogno di raccomandazioni, è qui considerata trasversale. Magari, nel pa rallelo di annotazioni, appunto equidi stanti, che attraversano diagonalmente il mondo dell’immagine, avendone a che fare, ma non in modo diretto (ap punto). Il fatto in se stesso è presto ri assunto; i commenti, a seguire. Nel corso del 1998 e dintorni, al ri entro di Steve Jobs ai vertici aziendali, Apple realizzò una serie di annunci isti tuzionali basati su personalità di spicco. Tra questi, in ordine sparso, Pablo Pi casso, Maria Callas, Martin Luther King Jr, Alfred Einstein, Bob Dylan, Martha Graham, Muhammad Ali, il Mahatma Gandhi e... Ansel Adams, che è il sog getto che oggi, e qui, di interessa. Un suo ritratto conosciuto, sul quale oggi ci soffermiamo, venne impagina to in modo da essere usato in tempi e modi diversi, comunque sia mirati. So prattutto, in due modi: in una serie di poster per punto vendita (della cui edi zione possediamo una copia 66,5x27,1cm, con soggetto 61,5x22cm contornato da un sostanzioso bordo bianco di corni ce) e in forma di pagina pubblicitaria, destinata a periodici statunitensi (te stimoniamo per la quarta di copertina dell’edizione speciale di Life della pri mavera 1998, nella quale furono riuni te le fotografie segnalate alla selezione dei primi Alfred Eisenstaedt Awards, definito per l’appunto The Eisie Issue Dato il soggetto, ottimo abbinamen to: lezione di giornalismo e pubblicità in comunione di intenti. In entrambi i casi, nessuna sovrap posizione di testi a commento, se non l’headline Think different (sgramma ticatura volontaria: alla lettera, “pensa diverso”, intendendo “guardare con una nuova visione”), che in quei tempi defi niva la filosofia Apple, in combinazione con il riconosciuto logotipo aziendale: la celebre mela multicolore, ben evi dente nelle composizioni fotografiche rigorosamente bianconero. Due ipotesi: omaggio a un protago nista della Fotografia, oppure testimo nianza finalizzata di un protagonista della Fotografia (mancato nel 1984, a ottantadue anni). In ogni caso, dietro logie a parte, noi oggi cataloghiamo questa combinazione nell’ampio ca pitolo delle presenze della Fotografia esterne al proprio ambito originario. Se si dovesse storicizzare questa fenome nologia, alla quale appartiene il caso al quale ci stiamo riferendo, si dovrebbero approfondire genesi e percorsi. Per il momento, in assenza di tali intenzioni (che competono a istituzioni museali e scientifiche della Fotografia), ci limitia mo alla sola registrazione... in paralle lo. Per questo, conteniamo l’analisi alla sola apparenza, a tutti visibile. Il ritratto di Ansel Adams utilizzato dalla comunicazione Apple raffigura il celebrato autore dietro un apparec chio a banco ottico, stabilmente fissato su treppiedi. Questo è terreno nostro:

/ TESTIMONIAL / di Antonio Bordoni CON HORSEMAN Archivio FOTOgraphia (2)

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KomamuraToshdiProprietà

Lettera che Ansel Adams ha inviato il 6 maggio 1983 per complimentarsi con la produzione giapponese Horseman (dalla costruzione folding al banco ottico). (in basso) Fax inviato il 21 dicembre 1978 da Ansel Adams al commerciante Ca lumet: «Penso che la Horseman [450] sia il miglior apparecchio grande formato che ho incontrato. Desidero acquistarne uno». (pagina accanto, dall’alto) Copertina autografata di Time Magazine, del 3 set tembre Seconda1979.metà degli anni Novanta del Novecento. Annuncio e Poster Apple con Ansel Adams, con banco ottico Horseman 450, della campagna Think different.

(2)KomamuraToshdiProprietà

17 per quanto il flessibile che Ansel Adams im pugna sia sostanzial mente generico (ma avrebbe anche potuto essere altrimenti), l’ap parecchio a banco otti co è presto riconosciu to. Si tratta dell’origina ria Horseman 450, sul mercato internazionale dalla fine degli anni Set tanta: corpi principali, anteriore e posteriore, a “L”, con modoaltropiastrapatibile),Horsemansubiettivoconsistente.contuttoportaaggiuntocorpoparticolare.Horsemandinepianoattornorotazioniscriminanticheproprietàparticolarisauncale,lisidiaco,HorsemanricuicheQuindi,orizzontalevamente,neidizontale,to,tricimovimentisettostessivimentiindipendentidine,amicrometricoscorrimentosulbancodoppiacodadironconcremagliereperimoalternatideglicorpiedelmordisostegno.Ricordiamoancoraimicromedidecentramenverticalecomeorizelarotazionebasculaggioliberaduesensi:rispettiattornogliassieverticale.vasottolineatoquestacostruzione,seguironoulterioevoluzionitecnicheabancoottifulaprimanon-SinarproporrelarotazionebasculaggiogliasorizzontalieverticagiacentisulpianofointempineiqualibrevettodellastesSinartutelavalesueedesclusivegeometriche,consideravanodiproprioledibasculaggioassigiacentisulfocale(inposiziodecentrata).QuestobancootticoAnselAdamsèuna450unpocoAnzitutto,sulanterioreèstatounsupportoaccessori,sopratbandiereparaluce,innestodidiametroQuindi,l’ononèmontatounapiastraoriginaria(Sinarcombensìsuunaportaobiettividisistema,adattatainartigianale. L’obiettivo di ripre sa non è riconoscibi le, ma l’otturatore cen trale è evidente e noto: Compur numero 1. In tale abbinamen to 1979merosullaaselanalogoNovecento),degliAppletazionegrandangolari.affinitàpiùpianiiltobabilmente,impiegofiettociaproposito,180ta;dovrebbe4x5sulobiettivo-otturatore,formatodiripresapollici,lafocalenonesserecordiciamo,almenodaa210mm.Aquestononcisifacingannaredalsofsofficeedalsuocanonico:proquièstautilizzatoperfavoriredecentramentodeidell’apparecchio,cheperl’originariacongliobiettiviAnniprimadelladadeisoggetti(secondametàanniNovantadelunritrattodellostessoAnAdams,questavoltacolori,fupubblicatocopertinadelnudel3settembredelsettimanale

Ti me Magazine: richiamo a un articolo sul definito The Master Eye L’abbigliamento di Ansel Adams è diver so, completato per l’oc casione con il caratte ristico Stetson bianco [per coloro i quali pos sono identificare la cer tificazione], ma la po stura è sostanzialmen te coincidente. Ancora Horseman 450 (sebbe ne con piastra adatta trice artigianale porta obiettivo di diversa fini tura rispetto la prece dente), ancora flessibile (bianco, questa volta), ancora il gesto della ri presa parallele.struttoredentificazioneriamentetaturarallela:coreografico.diAngulonunQuestaL’obiettivofotografica.èdiverso.voltasitrattadiaffascinanteSuper-210mmf/5,6consistenteeffettoNotapasullasuamonèstataproditocancellatal’idelcoSchneider.E,poi,altrevicende■■

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Guido Harari è un ritrattista come ce ne sono (e sono stati) pochi. Nella sua applica zione divisa tra l’assolvimento di incarichi e committenze -estese alla moda, indossa ta da personalità di spicco-, è soprattutto Fotografo, nella maniera e nei modi che ha collaudato e controllato con perizia per anni e anni e anni ancora. Non siamo in presenza di Fotografia che si propone come arte (e da questo territorio dipende), ma di Fotografia che è Arte proprio in quanto... Fotografia

WorldSensualThe

GUIDO HARARI l’albumper1989)Studios,Worx(Londra,BushKate HarariGuido©/

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Vincolare Guido Harari alla musica, entro il cui mondo si è comunque affermato e imposto, fino a elevare l’Autore tra i più capaci in questa particolare interpretazione, significa non tenere in debito conto che è uno dei più convincenti fotografi di ritratto dei nostri tempi, in rilevazione estesa all’intera geografia planetaria. Certo, la sua partecipazio ne alla musica, a tutta la musica, compone i tratti di un atlante concreto e affascinante come pochi altri possono esserlo. Ma! Ma ciò che fa l’autentica differenza è il suo av vicinamento alle persone (personalità), attraverso il quale ha sempre creato rappresentazioni tanto iconiche da ap partenere alla Storia della Fotografia. Guido Harari è un ritrattista come ce ne sono (e sono stati) pochi. Nella sua applicazione divisa tra l’assolvimento di in carichi e committenze -estese alla moda, indossata da per sonalità di spicco-, è soprattutto Fotografo, nella maniera e nei modi che ha collaudato e controllato con perizia per anni e anni e anni ancora. Non siamo in presenza di Fotografia che si propone come arte (e da questo territorio dipende), ma di Fotografia che è Arte proprio in quanto... Fotografia [vogliamo pensare lontano? vogliamo richiamare dalla Sto ria? vogliamo mobilitare un nome, sopra tutti? vogliamo scomodare Nadar? sì, lo vogliamo fare]. E qui, al cospetto della carriera fotografica di Guido Harari, riflettiamo insieme sul senso e valore del ritratto, che dipende anche dal soggetto: non dall’apparenza della sua fisionomia, ma dalla essenza e consistenza della sua personalità, della sua vita. In un certo modo, si tratta di proiettare la propria individualità sul soggetto, che deve essere rivelato in base a una raffigurazione/finzione della quale lui non possiede le chiavi esplicative (le padroneggia soltanto il fotografo). Nella sessione di ritratto, il fotografo e il soggetto hanno proprie preoccupazioni autonome, e aspirazioni distinte. Ognuno dei due vorrebbe controllare appieno la situazione, che co munque è nelle mani del fotografo. Quando Guido Harari è su un set, è lui che governa l’intera sessione secondo sue intenzioni, via via applicate alla personalità del personag gio incontrato fotograficamente. (continua a pagina 24)

HarariGuido©/1996)MI,BollateArconati,(VillaSmithPatti

20 di Maurizio Rebuzzini Troppo spesso, e malauguratamente, la Fotografia richie de etichette certe entro i cui confini identificare gli Autori. Purtroppo, e frequentemente, questi riconoscimenti sono di superficie e banalizzazione, non entrano in dettagli sin tomatici e sostanziosi, per limitarsi ad approssimazioni di comodo. Così che, nello specifico odierno, l’esuberanza e quantità di ritratti di musicisti ha etichettato il talentuoso Guido Harari (1952) nello specifico di quel mondo. Niente di più vero... ma anche niente di più limitato. Infatti, la pro fondità delle sue Fotografie oltrepassa la classificazione dei suoi soggetti, molti dei quali sono effettivamente protagoni sti della musica contemporanea, senza alcuna soluzione di continuità, per affermarsi in un riconoscimento che supera il “chi”, per stabilire il “perché” (e, poi, magari, anche il “come”).

21 per1982)Angeles,(LosZappaFrank VogueL’Uomo HarariGuido©/

HarariGuido©/1999)AN,(SenigalliaGiacomelliMarioHarariGuido©/1992)(Parigi,WaitsTom

23 HarariGuido©/1996)RE,(ScandianoCaposselaVinicio

HarariGuido©/1997)BS,(OspitalettollerÜWertmLina

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@guidoharariguidoharari.com@guidoharari ALTRE IMMAGINISOLOONLINE/ / /QR code

Alla fine, osservando l’immagine, osservando i ritratti di Guido Harari (anche qualificato e apprezzato critico mu sicale), ogni spettatore percepisce che quanto è raffigu rato nella fotografia è accaduto in modo naturale e che la persona fotografata è in una posa spontanea e veritiera, rappresentativa della sua personalità offerta al pubblico, all’osservatore. In conclusione, non percepisce la presen za del fotografo, ma coglie soltanto l’immagine realizzata. Nel caso del ritratto, di un soggetto (in sguardo musi cale?!), a differenza di quanto accade “dal vivo”, si coglie quanto valorizzato dalla riflessione personale prolungata. In ambientazione, oppure su fondo neutro, in posa sem plice o gestuale, in inquadratura ravvicinata, comprenden te solo gli elementi necessari per capire chi si ha di fronte, in composizioni a lungo meditate, Guido Harari dispiega una nozione e lezione di ritratto fotografico senza tempo, pur appartenendo al nostro Tempo, che non si esaurisce nell’effimero, ma si allunga in avanti. E ancora avanti. E ancora avanti.

■ ■ (continua da pagina 20)

Sul set, si muove sulla base di approfondimenti preventivi sul e con il soggetto. Non dirige, ma crea complicità sempre con il soggetto, istigandolo a “spostarsi” dal suo immaginario consolidato per approdare a una nuova lettura di sé, nella quale possa ancora riconoscersi. Guido Harari attiva un pro cesso di “scoperta” di sé da parte del soggetto allineata con una sua altrettanto “scoperta” di nuove intuizioni, di nuova “reattività”. Probabilmente, questo processo non riesce sem pre a completarsi, ma è necessario applicarlo. Nessun ritratto fotografico è a somiglianza del soggetto. Quando un’emozione viene convertita in Fotografia, non raffigura più un fatto, ma rappresenta ed esprime un’opi nione. In Fotografia non c’è imprecisione. Da e con Richard Avedon: «Tutte le fotografie sono rigorose e veritiere, seb bene nessuna racconti la verità». Da cui, e per cui, ecco il rapporto tra il fotografo e il suo soggetto, consapevolmente in posa, consenzientemente sal do davanti all’obiettivo. Ancora con Richard Avedon: «In una sessione fotografica di ritratto, si comincia con un processo cognitivo, sia per il soggetto sia per me e per noi insieme. Io-fotografo colloco l’apparecchio fotografico, stabilendo la distanza di ripresa, l’inquadratura e la distribuzione degli spazi attorno il volto, o la figura. Mentre preparo i miei stru menti oggettivamente indispensabili, valuto anche le ge stualità del soggetto e la sua reazione al mio lavoro. Sono queste sue espressioni che poi indirizzano la mia attenzione».

25 HarariGuido©/1998)(Roma,Levi-MontalciniRita

Rebuzzini)Mauriziodi(FotografiavitaunadifotografichemacchineleeM6Leica1998:Milano,

Oggigiorno, non possiamo ignorare che l’attività produttiva dell’Uomo sia l’attività pratica fondamentale, che de termina anche ogni altra forma di atti vità. La conoscenza umana dipende so prattutto dall’attività produttiva materia

28 di Maurizio Rebuzzini Da segnare in agenda, in quell’agen da (magari virtuale) sulla quale ognuno di noi annota i passaggi fondamenta li della Vita, non necessariamente del la propria. Da segnare in agenda che il dieci ottobre, Gianni Berengo Gardin, una delle figure che hanno illuminato il secondo Novecento della Fotografia Italiana, compie novant’anni... meta rag guardevole. Di questi novanta, almeno settanta (!) sono stati trascorsi e vissu ti con la Fotografia, con una macchina fotografica tra le mani. Hai detto poco! Per l’occasione, Contrasto Books ha pubblicato un volume a dir poco pre zioso. Raccolto e realizzato dalla figlia Susanna, che cura e gestisce il suo im ponente archivio fotografico, In Parole povere. Un’autobiografia con immagini di Gianni Berengo Gardin è una intesa narrazione in prima persona, introdotta da una Lettera all’amico Gianni, scritta da Ferdinando Scianna, e conclusa con una conversazione sulle fotografie re alizzate, e quelle ancora da creare, tra Gianni Berengo Gardin e Roberto Koch. Da e con Ferdinando Scianna: «Ca rissimo Giuanin, / Ti scrivo una lettera. Una specie di risposta al tuo libro di ri cordi autobiografici dettato a Susan na. In effetti, l’ho letto come una lunga lettera indirizzata a me, soltanto a me. Tanto può il senso geloso dell’amicizia. / Adesso che l’ho finito, so che non è vero, che questo libro farà la delizia dei tantissimi che amano le tue fotografie e attraverso la ricchezza umana di quel le fotografie hanno imparato a cono scerti e amarti anche come persona». In effetti, nessuno è imprescindibi le dalla propria attività, per quanto sia più vero l’archetipo che afferma che ognuno fa quello che è, piuttosto dello stereotipo che vorrebbe che ciascuno sia quello che fa. E qui, e ora, occorre una precisazione d’obbligo. Anche in Fotografia, per quanto ci ri guarda soprattutto in Fotografia, è obbli gatoria la consapevolezza del rapporto che allaccia tra loro la conoscenza e la pratica, il sapere e il fare. A fronte della nostra esperienza, personalmente, sia mo convinti che la conoscenza dipen da dalla pratica, cioè dalla produzione e dalla propria attività professionale.

Pubblicato da Contrasto Books in occasione dei novant’anni dell’autore (10 ottobre 1930-2020), con introduzione di Ferdinando Scianna, Gianni Berengo Gardin. In parole povere è un’autobiografia con immagini raccolta dalla figlia Susanna. Racconto di una vita interamente dedicata alla fotografia con passione, rigore e dedizione, sempre fedele alla sua Leica: «Se si è veramente fotografi, si scat ta sempre, anche senza rullino, anche senza macchina»

Archivio FOTOgraphia Gianni Berengo Gardin. In parole pove re; Autobiografia con immagini raccol ta da Susanna Berengo Gardin; in dodi ci capitoli tematici (da Nato sul mare a Questo tempo. Tributi, “vere fotografie” e passioni ); introduzione di Ferdinando Scianna (Lettera di Ferdinando Scianna al suo amico Gianni Berengo Gardin); conversazione con Roberto Koch (L’arti giano del racconto. Conversazione sulle fotografie fatte e su quelle da fare tra Gianni Berengo Gardin e Roberto Koch); Contrasto Books, 2020; 78 illustrazioni; 208 pagine 16x22,4cm; 22,90 euro.

La prima monografia storicizzata a Gianni Berengo Gardin è Venise des saisons, con testi di Giorgio Bassani, Mario Soldati (e Giuliano Manzutto); La Guilde du Li vre, Losanna, 1965; 112 pagine 22,5x28,5cm, cartonato. Edizione fuori commercio di diecimila copie numerate; edizione francese per il commercio (Editions Clairefontaine, Losanna, 1965); edizione tedesca Venedig, Stadt auf 118 Inseln (Josef Keller Verlag, Starnberg, 1965).

Superata questa nostra riflessione, che abbiamo intesa come dovuta, co sa c’è, ancora oggi, da aggiungere a commento della Fotografia di Gianni Berengo Gardin? Sinceramente e pro babilmente, poco; certamente, nulla. Soltanto, in conforto, si possono ricor dare passaggi significativi della sua sfol gorante parabola fotografica, estesasi nei decenni e decenni. (dall’alto e da sinistra) Venezia, 1958: con Leica M3 e Leica IIIf. Venezia, 1950: con Kodak Retina IA. Parigi, 1957: con Exakta Varex WetzlarXV.(Germania), 1955: al corso Leica.

29 le: attraverso questa, ciascuno riesce a comprendere grado a grado i fenomeni, le proprietà e le leggi della Natura, co me pure i propri rapporti con la Natura e la Realtà; inoltre, attraverso l’attività produttiva, a poco a poco, ognuno rag giunge i diversi livelli di comprensione di certi rapporti reciproci fra gli Uomini. Tutte queste conoscenze non posso no essere acquisite al di fuori dell’atti vità produttiva. Nella società, nel cor so della propria attività professionale, ogni persona collabora con altri, entra in determinati rapporti di produzione con il prossimo e s’impegna nell’attività produttiva per risolvere i problemi della vita materiale. A tutti gli effetti, questa è la principale fonte di sviluppo della conoscenza umana, ed è logico ritene re che la conoscenza individuale evol va passo a passo, dagli stadi più bassi ai più alti, cioè dal superficiale al pro fondo, dall’unilaterale al multilaterale.

La pratica professionale è uno dei criteri con i quali raggiungere il senso della Realtà e Verità, ovvero l’autenti ca Conoscenza e Coscienza del mondo esterno. Nello specifico, riferendoci a Gianni Berengo Gardin, anche questa è una interpretazione della sua longe va Fotografia, che ha definito momenti del secondo Novecento italiano.

In questo senso, è doveroso iniziare con l’autorevole e prestigioso Lucie Award 2008 / Lifetime Achievement, che gli è stato assegnato alla sesta edizione dell’ambìto riconoscimento planeta rio: immediatamente a seguire Henri Cartier-Bresson (2003), Gordon Parks (2004), William Klein (2005), Willy Ronis (2006 [il fotografo più amato da GBG]) e Elliott Erwitt (2007). [A completamen to, ricordiamo che solo un altro italiano ha ricevuto un Lucie Award : Gian Paolo Barbieri, Achievement in Fashion 2018]. In ordine temporale, il Lucie Award 2008 / Lifetime Achievement è stato asse gnato a Gianni Berengo Gardin dopo che, nel 1995, gli era già stato ricono sciuto il qualificato e autorevole Leica Oskar Barnack Award. Quindi, va sottolineata la sua consi stente bibliografia d’autore, tra titoli a OTTOBREDIECI Sette anni fa, nell’estate Duemilatredici, nelle prestigiose sale milane si di Palazzo Reale, in piazza del Duomo, è stata allestita l’imponente antologica Gianni Berengo Gardin. Storie di un fotografo, ennesimo consistente omaggio a uno dei più autorevoli autori italiani di tutti i tempi (e l’identificazione geografica è solo anagrafica... il suo valore professionale non è limitato da confini prestabiliti). Con l’occasione, la rassegna è stata promossa con intense affissioni stradali, equamente distribuite nei quartieri. In quei giorni, l’attento Alberto Dubini, fotografo non professionista, socio dell’autorevole Circolo Fotografico Milanese, uno dei più antichi del cartello aderente alla Federazione Italiana Associazioni Fotografiche (Fiaf), ha percorso la città alla ricerca di queste stesse affissioni. Nel suo consueto spirito flâneur, così vicino e coincidente con tanta fotografia del vero e dal vero dei nostri tempi, ha realizzato una consistente quan tità di fotografie... di passaggio urbano. Il soggetto esplicito, oltre che implicito, è sempre l’affissione stradale Gianni Berengo Gardin. Storie di un fotografo, che nelle fotografie di Alberto Dubini si accorda con situazioni cittadine la cui somma di casualità offre un totale di asso luto fascino visivo. Alla fine, ha realizzato un variegato album, che ha omaggiato a GBG il dieci ottobre di compleanno.

MicheliAndrea

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31 tema e raccolte delle sue opere: conteg giando a partire dalla fantastica folgo razione di Venise des saisons, raffinata monografia pubblicata da La Guilde du Livre, nel 1965, Gianni Berengo Gardin ha illustrato quasi o più di trecento libri. Nel Duemilaquattordici, l’edizione Contrasto Books dell’enciclopedico ca sellario Gianni Berengo Gardin. Il libro dei libri, a cura di Bruno Carbone, ne ha censiti più di duecentocinquanta, ai quali si aggiungono altri sei anni di sua Fotografia. In questo imponente volu me cartonato, di trecentododici pagi ne (312) 23,5x28,5cm, la presentazione commentata è introdotta da un acuto testo di Peter Galassi (1951; scrittore, cu ratore e storico americano dell’arte, a capo del dipartimento fotografico del MoMA / Museum of Modern Art, di New York, dal 1991 al 2011). Lapidaria una sua annotazione ogget tiva, che anticipa considerazioni sogget tive di spessore, consistenza e valore: «Non conosco altre figure altrettanto significative nel mondo della fotogra fia della seconda metà del Novecen to il cui lavoro sia così profondamente radicato nei libri fotografici o che ne abbiano realizzati una simile quanti tà»... e qualità, aggiungiamo di nostro. Ovviamente, come appena anticipa to, è doveroso annotare che si tratta di titoli a tema, tessere di un percor so fotografico a dir poco esemplare; le monografie d’autore, che indagano sulla vasta produzione, sono quantita tivamente inferiori, e ci mancherebbe altro. Comunque, sono a propria volta numericamente consistenti: loro pu re conteggiate in quantità da record assoluto, ben cadenzate nei decenni. (dall’alto e da sinistra) Massa Carrara, 2009: con Elliott Erwitt. Arles (Francia), 1993: con Willy Ronis. 1988: con Gabriele Basili co e Ferdinando Scianna. Spilimbergo, metà an ni Cinquanta: con Be pi Bruno e Paolo Monti. Venezia, 1961: con Man Ray, Fritz Gruber e Ugo Mulas. 1998 (Leica M3 e Leica M6): con Mario Peliti. Milano, 2014: con Ferdi nando Scianna e Sebastião Salgado. Senigallia, anni Ottanta: nella camera oscura di Mario Giacomelli.

ParlatoNessiGabriella

PhotosMagnum/SciannaFerdinando

A tutto questo, si aggiunge oggi l’at tuale In parole povere, che si offre e propone come «Racconto biografico di un protagonista dei nostri anni. I ricordi personali, gli incontri più importanti, i grandi reportage che hanno segnato la sua vita». Le stesse note ufficiali con teggiano anche settantotto fotografie in illustrazione. E qui, e ora, una lode, un encomio e un plauso: Gianni Berengo Gardin ha aperto il cassetto delle istan tanee private, per accompagnare le pa role con fotografie che accentuano la sua commovente esposizione. Ancora dalle note ufficiali, che ben sot tolineano il contenuto del libro. «Strut turato in dodici capitoli che danno con to della vita del grande maestro della fotografia, dall’infanzia a oggi, In parole povere rintraccia il filo del mestiere di fotografo che è anche una passione e lo dipana attraverso una vicenda bio grafica lunga, piena di incontri, viaggi, storie e immagini colte e da cogliere. Piena, soprattutto, di quella sensibilità attenta al reale, alla società, alla gente che da sempre rappresenta il princi pale bagaglio che appartiene ai foto grafi di reportage. Il mondo di Gianni Berengo Gardin è il nostro mondo. [...] «Racconto di una vita interamente dedicata alla fotografia con passione, rigore e dedizione, sempre fedele alla sua Leica: “Se si è veramente fotografi, si scatta sempre, anche senza rullino, anche senza macchina”. Ecco uno dei punti di forza della vita, della professio ne e del carattere di Gianni Berengo Gardin, tra i più sensibili, attenti e par tecipi fotografi del nostro paese, che ha raccontato in modo unico la realtà italiana degli ultimi decenni». ■ tore (oggigiorno, va specificato): Agfa Brovira, gradazione 3 (ai tempi, di contrasto medio). È un recupero da una stampa che ci regalò una quindicina di anni fa Gianni Berengo Gardin, consegnandocela -per l’appunto- in questa scatola... in ulteriore proprio riutilizzo. Stava nel suo studio da decenni, e non sappiamo che uso ne facesse. Però, oltre le indicazioni sul bordo, che specificano Solco difficile (plausibilmente, identificazione di una serie di copie conservate in archivio), sul fronte, sul coperchio, leggiamo una nota esplicita: «Antonio, ho finito la carta. Ordina la stessa. 10.10.1960, GBG». Come intuibile, si tratta di una annotazio ne per un assistente, invitato a approvvigio nare la camera oscura. Ed è la data che fa la differenza: dieci ottobre Millenovecentoses santa, il giorno in cui Gianni Berengo Gardin compiva trent’anni.

BordoniAntonio

Milano 2008: con il Lucie Award 2008 / Lifetime Achievement Venezia, 2015.

D’AnnaMarco

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Giovanni Gastel DENTRO LO STUDIO

Dovremmo imparare che i Luoghi e gli Oggetti hanno un proprio si gnificato, come le Parole; e possiamo leggerli come fossero in un libro.

In denominazione provvisoria, Luoghi della Fotografia è un progetto rivolto alla documentazione e certificazione di un momento storico par ticolare: quello di un cambiamento repentino nei modi della Fotografia introdotto da esuberanti nuove modalità di lavoro professionale. Non una trasformazione lineare, ma una metamorfosi completa, che abban dona ciò che è stato, per proiettarsi verso ciò che è, sarà e dovrà essere. Primo paragrafo di questa Storia, lo Studio milanese di Giovanni Gastel Fotografie di Antonella Bozzini, Daniela Damiano e Ottavio Maledusi

di Antonio Bordoni Efficace, in una interpretazione che qual cuno potrebbe anche definire “mini malista”, lo Studio di Giovanni Gastel si basa soprattutto sulle esperienze pro fessionali originarie del celebre e cele brato fotografo di moda e ritratto. Nei suoi primi anni di lavoro, svolto per au torevoli e prestigiose testate che hanno definito quella stagione, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta del Novecento, ha agito in sale di posa redazionali e a noleggio senza fronzoli aggiunti, nelle quali la rapidità di esecuzione -condi zione indispensabile- si abbina(va) alla qualità della comunicazione visiva. In conseguenza, quella impostazione na tiva si è ripetuta in una organizzazione lavorativa mirata e circoscritta alla mas sima (e unica) concentrazione operativa. Se vogliamo considerarla anche così, tanta e tale razionalità di spazi è indi cazione di qualcosa di moderno e at tuale, che interpreta il presente senza vincoli antichi; ovverosia, senza quelle tante (troppe?) artificiosità che han no caratterizzato gli studi fotografici in epoche precedenti, quando e dove la necessità di poter affrontare qual sivoglia impegno professionale, sen za alcuna soluzione di continuità, ge nerò strutture imponenti in tutti i sensi. Così che, per confronto (ma non certo contrapposizione), questa di Giovanni Gastel si propone e offre come sala di posa asciutta e finalizzata, indirizzata alla creazione di personalità tempora nee, utili e necessarie allo svolgimen to di qualsivoglia elaborato fotografico da e in studio: in via Tortona, a Milano, epicentro della moda e della monda nità di legittimo corollario. Quindi, per completare un pensiero appena espresso, non va ignorato che questo Studio è stato concepito dopo quelle imposizioni remote, che preve devano configurazioni e organizzazio ni aggravate da infrastrutture possen ti, che dalla sala di posa si allungava no a fondi continui in gesso (limbo), a camere oscure per il trattamento del bianconero (da negativi fino al gran de formato 13x18cm!), a volte a camere oscure colore, quantomeno per i pro cessi invertibili Kodak Ektachrome E-3 e Kodak Ektachrome E-4 (e precedenti). Di fatto, e per mille motivi, la strut tura di Giovanni Gastel si offre e pro pone come ponte da-a. Dal presente...

Quando e per quanto identifichiamo “mini malista” lo Studio di Gio vanni Gastel, a Milano, in via Tortona, epicentro della moda, ci nascon diamo dietro una possi bile interpretazione al trui. In effetti, ragionan do in termini di Studio, andrebbero separati gli spazi propri dello svolgi mento della professione fotografica da quelli in frastrutturali di gestione e/o partecipazione indi viduale. Plausibilmente, è “minimalista” la sala di posa, in vasta area a “L”, scomposta tra ripre sa fotografica in quanto tale e sua gestione, at tualmente digitale e a computer (doppia pagi na precedente e su que sta doppia pagina); al trettanto plausibilmen te, non lo è l’elegante complemento (pagina accanto, in basso). (continua a pag 41)

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FrigerioNicola

Il colloquio è avvenuto nel cortile interno degli studi del gruppo edi toriale Edimoda, di Milano, con il quale il fotografo collaborava già da anni. Addirittura, il numero di ottobre 1985 del bimestrale Mondo Uomo, fu illustrato completamente con fotografie di Giovanni Gastel. Già affermato fotografo, Giovanni Gastel aveva trentuno anni; Mau rizio Rebuzzini, cinque di più, trentasei. In estratto. L’anno scorso sei apparso in una curiosa pubblicità testimonianza: come eri e cosa sei oggi. «L’hanno capito in pochi, forse quelli che dovevano capirlo. Comunque, era un gioco; mi ha divertito, e un poco di narcisismo c’è sempre. Poi, c’erano anche tante fantasie. È soltanto vero che sono figlio di questa Milano, di tutto quello che qui è successo, di sbagliato o meno, a cui ho partecipato, o che ho soltanto osservato. «Oggi, lavoro con un ritmo elevato, e non riesco più a crearmi nuove riserve. Per questo, continuo a utilizzare sensazioni, pensieri, emozioni e visioni della mia gioventù e delle esperienze del passato». Cosa pensi della tua fotografia? «Preferisco i miei still life. Qui mi sembra di avere un linguaggio chia ro e personale. Il mio è stato un modo diverso di svolgerlo: prima non c’era e adesso c’è. Nella moda, nella figura, penso di essere a un ottimo livello; onestamente, però, per quella che è la mia voglia, non ho ancora inventato un modo diverso di fotografare. Un filo diverso, perché non si debbono innescare grandi rivoluzioni, ma cambiamenti sostanziosi. Per fortuna, il mio stile lo individuano gli altri; io lo sto ancora cercando». Quali sono i momenti che consideri più importanti della tua carriera? «Sono riconoscente a Christie’s, dove ho imparato a sbrigarmela con la quantità del lavoro. Ma, soprattutto, valgono gli incontri con Carla Ghiglieri e Flavio Lucchini, direttore di Edimoda, per la grande scuola. «Dove ho veramente imparato a scattare è stato nella redazione di Donna e Mondo Uomo. Ho imparato qui, con una palestra pazzesca di tremila soggetti l’anno: che ti insegnano anche a pensare in fretta e a risolvere in rapidità ogni situazione». Sei grato a questo lavoro? «Enormemente! Mi ha offerto anche gioia di vivere. Probabilmente, adesso ho problemi opposti: non potrei più vivere senza questo lavoro».

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Il primo incontro professionale tra Giovanni Gastel e Maurizio Rebuzzini, direttore di FOTOgraphia, è avvenuto nella primavera 1987, per un’in tervista da pubblicare sul numero di esordio del mensile PRO, pubbli cato dall’Editrice Reflex, di Roma: maggio 1987.

In rinforzo e aggiunta, caso non dif fuso in Fotografia (ma non tra i sog getti individuati, che vengono svolti e riuniti in questo casellario, che da qui parte), nello Studio di Giovanni Gastel, una libreria di dimensioni imponenti e maestose raduna monografie illustra te che arricchiscono la mente e cele brano il cuore di chi intende accedervi, a partire dallo stesso Giovanni Gastel. Non soltanto libri fotografici, per quan to tanti e tanti sono i titoli di genere, ma anche libri d’arte, cinema, spetta colo, vita, con i quali e attraverso i quali educare la propria coscienza e ispirare, perché no?, il proprio cammino. Già... in un certo senso -che stiamo per smentire clamorosamente, nella conti nuazione delle nostre attuali conside razioni-, alla maniera delle sale di posa a noleggio, che devono essere prive di personalità, per accogliere quelle degli allestimenti preordinati. Ma, a comple ta differenza, questa neutralità di Gio vanni Gastel (qui soltanto apparente) è stata base e fonte per una consisten te serie di fotografie di alto valore, la cui influenza è destinata ad allungarsi avanti e avanti nel Tempo. E, poi... l’esistenza quotidiana. Non possiamo ignorare che la perma nenza in Studio sia componente fon dante del proprio quotidiano. Così che, al pari di tante altre esperienze coinci denti, la Casa di Giovanni Gastel è que sta, più di quella ufficiale di residenza. È qui che svolge attivamente la propria vita. Da cui e per cui, oltre il minimali smo operativo già sottolineato, attor no a sé ha creato quella Wunderkam mer (camera delle meraviglie o delle curiosità) composta da elementi fon danti della propria esistenza: tutto ciò che ama, lo ha collocato qui. Messag gi, opere, ricordi e traccie di Vita con le quali distinguersi anche (soprattutto?) nei momenti intimi, nei quali richiu dersi in un mondo perfetto -quello nel quale riconoscersi- rappresenta un’oasi di serenità e tranquillità esistenziale. Tra i molti insegnamenti della Vita, Giovanni Gastel ne persegue uno so prattutto, che gli è stato trasmesso dallo zio Luchino Visconti, regista cinemato grafico tra i più grandi del nostro pa ese: non importa cosa tu faccia, ma come lo fai... ovvero, nel modo giusto Da qui, anche il suo essere Poeta, con molte pubblicazioni in questo senso, coabitanti con la sua fotografia. Da qui, il suo essere Fotografo.

Visioni di dettaglio nell’ampio locale che Gio vanni Gastel utilizza co me propria sala di rifles sione individuale e acco glimento. Le pareti peri metrali sono occupate da un’ampia libreria di dimensioni imponenti e maestose, nella qua le sono ordinate mo nografie illustrate che arricchiscono la mente e celebrano il cuore di chi intende accedervi, a partire dallo stesso Gio vanni Gastel. È questa la Wunderkammer (ca mera delle meraviglie, o gabinetto delle curiosi tà) costituita da Oggetti che accompagnano la Vita del celebrato foto grafo. I Luoghi e gli Og getti hanno un proprio significato, come le Pa role: possiamo leggerli come fossero in un libro. (dalla doppia pagina pre cedente) In uno spazio scomposto e ricompo sto su due livelli, pas saggi dalle collocazio ni infrastrutturali alla sa la di posa e alla Wun derkammer, epicentro dello Studio di Giovanni Gastel. Ma anche in sen so opposto: dalla Wun derkammer a... In ogni caso, in richiami altri, che riprendono e ripercorrono la cadenza e la tradizione (ormai, antica?) degli studi fo tografici del passato, so prattutto remoto, la per sonalità di questo Studio, con e attraverso il qua le avviamo una visione dietro le quinte, è rap presentativa del nostro momento e dell’attuali tà professionale che da tempo ha tralasciato le onerose strutture foto grafiche che dalle origi ni si sono allungate in avanti, senza modifiche sostanziali nel corso dei decenni. Rivoluzione di gitale e dintorni.

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(continua da pag 36)

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INTERRA

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Avvolto dalla Natura, fino ad arrivare a farne parte, Fabio Interra esprime quello che intende come proprio Senso della Vita. Sa bene che ignorare e trascurare ciò significa tradire se stessi. Invece, anche se non è sempre facile, assecondando e sostenendo questo pensiero intimo onora la sua Memoria. Ogni cosa gli fa tornare in mente chi è e dove intende recarsi lungo il suo tragitto (anche d’autore). Si arricchisce dei suoi Ricordi, come se fosse sempre nella propria stanza (metafora), dalla quale osserva in avanti consapevole di quanto è stato indietro

FABIO

Per quanto, nel proprio quotidiano, Fabio Interra (1976) svol ga la professione convocato da clienti che ne apprezzano il passo e l’atmosfera che sa creare, la sua ricerca espressiva individuale non ha molto da spartire con le esecuzioni fo tografiche indirizzate e obbligate. In Fotografia, è arrivato alla professione e alla creatività personale partendo da lon tano, ma neanche poi molto da lontano, se e quando osser viamo con attenzione le sue costruzioni fotografiche, per le quali è anche soggetto, oltre che ideatore ed esecutore. Da molto lontano, dagli anni dell’adolescenza, arrivano le esperienze pittoriche, ispirate dalla cultura dei Manga giapponesi, avvicinati per proprio Tempo e presto assimi lati in relazione ai propri indiscutibili valori di raffigurazio ne moderna edificata su radici antiche. Quindi, in momenti più prossimi, è maturata la perce zione della Natura come accompagnamento esistenziale. Un viaggio in Bretagna ha fatto scoprire a Fabio Interra la delicata e avvolgente cromia di cieli grigi e paesaggi de serti, in evidente contrapposizione vitale a quanto la luce del Sole brucia nella propria prepotente energia. È qui che la sua emotività ha trovato conforto e si è riconosciuta co me sorgente creativa, per la quale ha presto individuato nella Fotografia la strada più adatta ai propri svolgimenti. Nella sua ricerca espressiva esplode la volontà di stare in Natura e con la Natura. Quelli che Fabio Interra propone e offre sono silenzi brevi, perché i pensieri sono quieti e rac colti. Nel suo agire con pose e composizioni a lungo me ditate e accuratamente allestite, la Fotografia non è certo un fine (a se stessa). La sua mente d’autore lo comprende. Ciò che Fabio Interra realizza è sì Fotografia, nella sua for ma indispensabile, ma non si conclude in Fotografia, per allungarsi verso una Verità (propria), che non è certo una strada senza curve e deviazioni, ma è un cammino verso

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45 il quale ogni osservatore è invitato. Tra tanto, questa sua Fotografia esprime una sincerità a dir poco preziosa: nelle nostre vite, rivela l’autore, tutto conduce a tutto il resto. Per questo, ogni istante del Presente ha riferimenti e richiami sia nel Passato sia nel Futuro; del resto, non c’è altro modo di recuperare il proprio Passato che l’essere se stessi nel Pre sente. Ancora: al pari delle sue autoraffigurazioni, ognuno di noi deve essere cosciente come è e come sempre sarà. Dobbiamo essere pienamente all’altezza di ogni momento, in un modo o nell’altro. Qualsiasi cosa accada. Lasciandosi avvolgere dalla Natura, fino ad arrivare a far ne pienamente parte, Fabio Interra è cosciente e consape vole di esprimere quello che intende come proprio Senso della Vita. Sa bene che ignorare e trascurare ciò significa tradire se stessi. Invece, anche se non è sempre facile, as secondando e sostenendo questo pensiero intimo onora la sua Memoria. Si arricchisce dei suoi Ricordi, come se fosse sempre nella propria stanza (metafora), dalla quale osserva in avanti consapevole di quanto è stato indietro. Dopo aver dato corpo ai suoi sogni, non prova imbaraz zo per la cruda concretezza dell’immagine fotografica. Sa comprendere gli altri, così come coglie il senso di sé. Entra in sintonia con il prossimo, al quale tende la mano senza al cun impaccio: forza e valore delle proprie convinzioni intime. Nel concreto del nostro avvicinamento, le visioni e inter pretazioni di Fabio Interra significano molto: la relatività di se stessi in questo mondo. ■ ■ @fabio_interra ALTRE IMMAGINISOLOONLINE/ / /QR code

Ma la storia della cultura è fatta anche di spazi alternativi, di ribellioni alle accademie e ai musei, di contro-azioni che dimostrano al sistema il suo anacronismo. blogautore.repubblica.it/smargiassi-michele.

46 “Fotografia contemporanea”. Vorrei chiedere a chi issa questa espressione come una bandiera sindacale, che cosa intenda di preciso. Sì, ok , largo ai fotografi contemporanei. Sì, ok, i mu sei, le istituzioni e l’editoria diano spazio alla fotografia contem poranea Chi non è d’accordo? Salvo sapere cosa significa. Provo a definire. Un prodot to del pensiero è contempora neo quando non solo appartiene pienamente alla propria epoca, ne deriva, ne dipende, ne vie ne modificato, ma soprattutto quando -a propria volta- inter viene e modifica il mondo e l’e poca a cui appartiene. Allora, questa fotografia con temporanea, che cosa vorreb be modificare? Per esempio, quale fotografia “non-contem poranea” vorrebbe mettere da parte? Dovremmo smettere di fare mostre di autori defunti? Oppure di viventi, ma troppo vecchi? Conosco chitarristi ado lescenti che impazziscono per Jimi Hendrix [lo scorso diciot to settembre, il cinquantena rio dalla prematura scompar sa, a ventotto anni, come altre figure di spicco della musica rock]. Sulla scena della fotogra fia, invece, si scivola spesso nel la bolsa guerra generazionale. “Ancora una mostra di X? Che palle!”. Non mi pare di aver mai sentito dire “Ristampano Mon tale? Che palle!”. Forse c’è un motivo, non lo nego. Lo spazio è stretto. Il si stema istituzionale della foto grafia è fatto a imbuto. Pochi i tentativi di coltivare il vivaio e di promuovere i frutti prometten ti. I grossi musei rispondono a sponsor e finanziatori che stor cono il naso di fronte ai nume ri bassi di visitatori: saltano le poltrone dei direttori per que sto, non costringetemi a fare nomi che è antipatico, ma gli episodi non mancano. Di fronte alla strozzatura, capi sco la tentazione di alzare vessilli carriera. Individuale, s’intende: la solidarietà generazionale svanisce alla prima porticina che si apre. Nulla cambia. Sem plicemente, un giorno, come i borghesi in quella canzone di Jacques Brel, l’ex fotogra fo contemporaneo arrivato al successo si sentirà dire da un autore più contemporaneo di lui: scansati, vecchio. Di giovani e bravi autori ne conosco. Ma davvero l’obietti vo di un fotografo emergente è avere una mostra in un mu seo con un nomignolo bisilla bo da cagnolino che cominci per Ma-? Parliamone. Se le dinamiche blockbuster del sistema istituzionale della fotografia italiana sono dete stabili, e spesso lo sono, forse è da ripensare un’idea di sce na della fotografia ridotta alla pura e semplice traiettoria di carriere individuali impazienti che le grandi istituzioni si ac corgano di loro. L’idea che la rivoluzione generazionale sia una gentile concessione del potere costituito. Ma la storia della cultura è fatta anche di spazi alternativi, di ribellioni alle accademie e ai musei, di contro-azioni che dimostrano al sistema il suo guerrieri. “Fotografia contem poranea” è efficace, perché in chioda la controparte all’accu sa culturalmente vergognosa di passatismo. Ma è un vessil lo bucato. Un’etichetta senza contenuto. Nella migliore delle versioni, significa solo “la foto grafia che si fa oggi”, ma detta così comprende mille fotogra fie diverse, di cui la metà non piace all’altra metà. Fotografia contemporanea sono anche i selfie e i meme, per dire. Nel la versione meno ingenua, in vece, significa: “ok boomer, to glietevi dalle scatole e lasciate il posto a noi”. Ma allora, la battaglia è mol to meno rivoluzionaria di quel che pretende di essere. Si tratta di sostituzione, non di scardi namento di un sistema di po tere giudicato (non sempre a torto) presuntuoso, arrogante, ripetitivo, elitario. Si contesta il canone dei “soliti autori” non per abolirlo, ma per avervi ac cesso. Si dice all’establishment e ai suoi rappresentanti: odio te, odio tutto ciò che rappre senti, ma guai se non recensi sci/finanzi/esponi il mio libro/ mostra/progetto. L’esibito di sprezzo del sistema tradisce una richiesta di ospitalità e di anacronismo. Per esempio, nell’editoria, il self-publishing ha cambiato almeno un po’ le regole del gioco. Anticipo l’o biezione: ci stai dicendo “arran giatevi”. Be’, ho citato il self-pu blishing proprio perché, fatto a proprie spese, è la scommes sa di un autore su se stesso e contro l’establishment edito riale. A volte si vince a volte si perde, non sempre vincono i migliori ma a volte sì, è un fe nomeno che corre sul sottile crinale fra due baratri, il ghetto degli emarginati e l’abisso dei presuntuosi, ma per chi ce la fa è una sfida coerente, peral tro non nuova nella storia della fotografia e non solo. Intendiamoci, non è un de litto sognare di esporre in un museo col Ma-, però non fac ciamo finta di non sapere co me funziona il sistema. Allora si tratta di scegliere se voglia mo la nostra fetta di torta (e chi arriva mangia, gli altri ciao), o cambiare qualche regola del gioco, magari non da soli. Giro l’Italia fotografica da anni e ho conosciuto esperienze di base strepitose, spazi di spe rimentazione, libertà e colla borazione insospettabili, for se troppo polverizzati, spesso ignari gli uni degli altri, a vol te invece sospettosi e sottil mente rivali. Faccio un sogno: una rete di base della fotogra fia contemporanea, libera fi nalmente dal complesso del sovrano infame ma dispensa tore di grazia, una rete capace di mettersi in relazione dialet tica e anche contrattuale con il sistema istituzionale della fo tografia. Per magari scoprire che quel sistema è meno mo nolitico delle rappresentazio ni che ce ne facciamo, e può cambiare. ■ ■ / DI QUESTI TEMPI / ALLA RICERCA DEL SACRO MAdi Michele SmargiassiLA SOLIDARIETÀ GENERAZIONALE SVANISCE ALLA PRIMA PORTICINA CHE SI APRE

/ LA MATTINA DOPO LE UNDICI / UN’ESPERIENZA PRIVATA di Giovanna CalvenziPARLEREMO DI LIBRI PUBBLICATI. DAL PROSSIMO MESE

CARNET DI VIAGGIOSOLOONLINE / / /QR code

48 Questa prima rubrica è asso lutamente personale. Me ne scuso, ma è una storia troppo bella per non raccontarla. Ho un’attenuante: il libro del qua le parleremo non è in vendi ta, nessuno ci ricava niente e potrà essere visto solo grazie a questa rivista, perché la copia cartacea si trova solo nelle ma ni di pochi privilegiati. Come suggerisce la consuetudine, è meglio cominciare dall’inizio. Per circa dodici anni ho la vorato come photo editor a Sport Week, il supplemento settimanale di La Gazzetta dello Sport. Qui ho conosciu to uno straordinario e poliedri co giornalista, Giorgio Terruzzi, esperto di motori e altri sport e autore, fra i molti, di Suite 200. L’ultima notte di Ayrton Senna (2014) e Grazie Valentino (2015). Nonostante questa esperien za, che per me è stata formi dabile, continuo a non segui re lo sport e non ho mai visto Terruzzi in televisione, dove, mi dicono, è una presenza di prestigio.Versola metà di aprile di quest’anno, in piena quaran tena, ricevo da lui una mail (non ci eravamo mai scritti prima) nella quale mi racconta di aver coinvolto ventidue studenti dell’Università Cattolica di Mi lano, dove insegna, a realizzare una sorta di viaggio nelle foto grafie di Gabriele Basilico e di averli quindi invitati a scrivere unRicevoracconto.itesti dei ventidue studenti e dall’isolamento della clausura gli rispondo: «Ho letto finora dieci racconti. Devo an dare lentamente, perché sono molto emozionata. Forse è il si lenzio. La tua iniziativa mi com muove. Mi commuove pensare che tanti ragazzi guardino le foto di Gabriele, le capiscano, ci si immergano e ci regalino un pezzetto di invenzione biogra fica. E che tu abbia pensato di organizzare tutta questa cosa. insomma mi è stato facile pen sare che un amico grafico, Gia como Traldi, avrebbe potuto ap prezzare come me l’idea di dare una forma permanente a un’e sperienza nata come didattica. Giorgio Terruzzi ha scritto un testo di presentazione del pro getto, nel quale dichiara: «Non avevo mai tenuto un corso agli studenti del Master IPM (Idea zione e produzione audiovisiva, cinematografica e per i media digitali) dell’Università Cattolica di Milano. Non mi sento profes sore di nulla, figuriamoci. Ma le persone mi incuriosiscono, mi interessano, credo possano insegnarmi qualcosa sempre. Questo è accaduto con la mia prima classe, composta da ven tidue ragazzi e ragazze disposti a riflettere sul senso del fare, a trattare con sensibilità e impe gno due parole molto rilevan ti: passione e opportunità. Da questo siamo partiti per scam biarci idee ed emozioni duran te i nostri incontri, la maggior parte dei quali via web, causa quarantena. [...] Abbiamo usato alcune immagini reali per av viare il percorso e poi ho pro posto di viaggiare attraverso le «Adesso continuo, ma vole vo dirti subito grazie». I racconti sono davvero belli, scritti in ottimo italiano e diver sissimi l’uno dall’altro: c’è chi descrive, chi inventa, chi sogna, chi racconta che Basilico era geloso di Toscani perché Tosca ni aveva più lavoro, chi ricorda amori finiti, chi viaggi da fare e da non fare. E la selezione delle immagini scelte dagli studenti è altrettanto sorprendente. Ci sono foto notissime, da Mila no. Ritratti di fabbriche o da Beirut 1991, ma anche imma gini semisconosciute, dei primi viaggi o di città fotografate per incarico professionale. La quarantena, come abbia mo imparato tutti, porta consi glio e man mano che procedevo nella lettura diventava sempre più forte il desiderio che la co sa non finisse lì, che si potesse in qualche modo condividere questa preziosa esperienza che Terruzzi mi aveva regalato. Così, ho pensato di fare la cosa che mi piace più di tutto fare: un libro. Sempre grazie alla clausura [lockdown], i rapporti con gli amici erano solidi: WhatsApp quotidiani, incontri su Skype; fotografie di Gabriele Basilico. Per la loro straordinaria potenza, per la curiosa pertinenza con il vuoto che circondava ciascuno di noi. E, anche, per dar modo a ogni studente di conoscere una personalità di grande rilevanza storica, connessa al costume, all’architettura, alla grandez za e alla miseria dell’umanità».

conperstraordinarialoropotenza,lacuriosapertinenzailvuotochecircondavaciascunodinoi. archiviogabrielebasilico.it

Giacomo Traldi ha impaginato con maestria un piccolo qua derno formato A5: ha scelto due font classiche, di grande leggibi lità, Adieu e Moderat, una carta riciclata uso mano, una coperti na grafica su cartoncino verde oliva e una tipografia veneta dai prezzi contenuti e dalla qualità certa. Titolo: Carnet di viaggio. Un fotografo, Gabriele Basilico, e ventidue storie. Ne facciamo stampare sessanta copie, non vogliamo metterlo in vendita, ma solo regalarlo agli studenti quando la pandemia sarà finita. Alla fine di maggio arrivano le copie stampate. Siamo tutti en tusiasti e Terruzzi scrive: «Questo libro è una meraviglia e un con forto; una gioia e un orgoglio». Ci troviamo in un baretto, tutti con la mascherina, per festeg giare l’impresa, e Terruzzi con fessa di aver trovato nello spam del suo computer un ventitre esimo racconto di un ventitre esimo studente. Ci guardiamo attoniti e Traldi scopre che in copertina il titolo “Carnet di viaggio” non AltreRicominciamo.c’è.sessantacopie, questa volta con la copertina azzurra e il titolo. Ma le precedenti non vanno al macero: gli studenti le vogliono entrambe. Anche lo studente dimenticato. ■ ■

Ho proposto di viaggiare attraverso le fotografie di Gabriele Basilico. Per la

50 Nessuno può fotografare inno centemente! Darei tutte le fo tografie della Magnum, World Press Photo, Pulitzer Prize for Feature Photography o iPho ne Photography Awards per salvare davvero una lucciola o un bambino che muore sotto le “bombe intelligenti” della civiltà dello spettacolo. Ogni fotografia presuppone un giu dizio di valore, un’interpreta zione della bellezza violata. Si dovrebbe farne un uso poetico... della fotografia, non una “bel lezza” mercatale: è tipico dei fotografi mediocri abusarne. La storia della fotografia è la negazione della fotografia: le grida degli ultimi ci sopravvi vono e senza la sofferenza o una visione di confine, tutta la fotografia non è altro che una buffonata. Un solo bam bino che non muore affogato nel Mediterraneo vale più di tutti saperi criminali dei go verni! Un fotografo compreso è un fotografo sopravvalutato. Ci sono autori che hanno fat to della fotografia di confine il portolano dell’umiliazione in catenata e non hanno mai reci tato il ruolo di “geni incompre si”, né mai dato nessun credi to a elogi o denari elargiti con la frusta del padrone. Hanno piantato le proprie immagini nel cuore dell’esistenza e mo strato che la fierezza, la digni tà, l’orgoglio non hanno mai marciato dietro una bandiera. Alcuni (come Wilhelm Bras se) hanno mostrato l’inferno della Shoah (dall’interno) e por tato alla conoscenza di tutti, compreso gli “ingenui” dei corsi di fotografia, l’infamia dei ti ranni! Fucilare le idee, fino al lo sterminio con le camere a gas, è sempre stato un esercizio caro a ogni potere; nemme no le chiese monoteiste han no raggiunto la barbarie del nazismo e del “comunismo”. I fanatici del terrore hanno fat to dell’obbedienza l’apice della Con il crollo imminente della Germania e l’avvicinarsi delle truppe sovietiche in Polonia, i nazisti ordinarono a Wilhelm Brasse di distruggere fotogra fie e negativi. Salvò dal nelalàmalasciarenovantaquattroŻywiec,edAprìnondaa(maggioseedetenutofotografosottosen-GusennieriBrassetutt’orastenza.pomagini:quaranta-cinquantamilarogoimlenascosenelCamepoileconsegnòallaResiArchiviodidolore,checonservano.InazistideportaronoWilhelmealtremigliaiadiprigioneiCampidiMauthau(gliultimiancorailcontrollotedesco),eildiAuschwitzrimasenelcampodiEbenfinoall’arrivodeglialleati1945).Allafinedellaguerra,tornòŻywiec(apochichilometriAuschwitz-Birkenau),mariuscìpiùafotografare.unsalumificio,sisposòebbeduefiglie.Muoreail23ottobre2012(aanni).Lafotografianonconsistenellecosecomestanno,cercarediporrerimediodovesidisonoralapovertà,dignità,lafraternità…tranlaverità,tuttoèimpostura. vigliaccheria; il colonialista s’è accorto dello schiavo quando lo schiavo gli ha tagliato la gola e ha detto: fine della secolariz zazione delle lacrime. Prima della Seconda guer ra mondiale, Wilhelm Brasse è stato un fotografo ritrattista. Dopo l’invasione della Polonia (settembre 1939), si rifiuta di arruolarsi nella Wehrmacht e “dichiarare la propria fedeltà a Hitler”. La Gestapo lo interroga più volte. Cerca di fuggire in Francia, ma viene catturato al confine con l’Ungheria. Sconta diversi mesi in carcere, e il 31 agosto 1940 lo deportano nel Campo di concentramento di Auschwitz, matricola 3444. Nel febbraio 1941, il comandante del campo, Rudolf Franz Fer dinand Höß (tessera delle SS numero 193.616), gli ordina di documentare i prigionieri, ri traendoli di fronte e nei profili destro e sinistro per la Erken nungsdienst, unità di identifica zione fotografica, una sezione della Reichssicherheitshaup tamt (Direzione generale per la sicurezza del Reich), situa ta negli uffici centrali delle SS. Un covo di assassini, insomma!

■ ■ / SGUARDI SU / WILHELM BRASSE

IL FOTOGRAFO

La fotografia della Shoah di Wilhelm Brasse non è solo la documentazione di un orro re programmato, è anche una visione spiazzante che oltre a catalogare i tratti delle vittime (fronte, profilo, trequarti), rie sce a esprimere una fattuali tà fotografica con sfumature singolari, talvolta estetiche. Più dei lavori di Georges Angéli, a Buchenwald, e Francisco Boix, a Mauthausen, Wilhelm Brasse sembra andare oltre le direttive generalizzate delle SS. I sog getti, specie i bambini, lascia no intravedere qualcosa negli occhi che contiene: se non una speranza, certo un “odore della malvagità” sconfitta dalla bel lezza oltraggiata. Nel trittico della ragazzina Czeslawa Kwoka (quattordici anni, marchiata col numero 26.947), picchiata e bastona ta dai nazisti prima della foto grafia, si coglie il requiem del linguaggio fotografico e la per dizione di una civiltà millena ria. Nella prima immagine, il fotografo evidenzia il chiodo dove appoggia la testa la ra gazzina: sembra una canna di fucile in attesa del fuoco... non c’è paura negli occhi, forse rab bia,Nellasconcerto.seconda immagine, Wil helm Brasse coglie il risenti mento che fuoriesce dal fondo dello sguardo spianato contro macchina fotografica. La terza immagine è sorpren dente: la ragazzina guarda verso l’alto, oltre il tetto di legno del la baracca, e sembra uscire di scena... volare chissà dove, non certo in un forno crematorio! Gli assassini uccideranno so lo il suo corpo, mai la bellezza della sua innocenza. La vera fotografia comincia al di là della fotografia. Quando i popoli si accorge ranno della sete di bellezza e giustizia che c’è nelle loro lacri me, ci sarà la rivoluzione nelle strade della Terra. di Pino Bertelli

La fotografia non consiste nel lasciare le cose come stanno, ma cercare di porre rimedio là dove si disonora la povertà, la dignità, la fraternità… tranne la verità, tutto è impostura. DI AUSCHWITZ E SULLA FOTOGRAFIA DELLA SHOAH

Dal 1991, i logotipi dei TIPA Awards identificano i migliori prodotti fotografici, video e imaging dell’anno in corso. Da ventinove anni, i qualificati e autorevoli TIPA Awards vengono assegnati in base a qualità, prestazioni e valore, tanto da farne i premi indipendenti della fotografia e dell’imaging dei quali potete fidarvi. In cooperazione con il Camera Journal Press Club of Japan. www.tipa.com

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