Scarpa e il tempo
Il tempo è uno degli elementi più sottili e pervasivi nell’opera di Carlo Scarpa. Non lo si trova esplicitamente evocato nei suoi disegni o nei suoi scritti, ma è presente ovunque nei suoi progetti: nel modo in cui lavora sul costruito storico, nella cura con cui accosta materiali diversi, nell’attenzione per l’invecchiamento delle superfici, nella misura lenta della fruizione degli spazi.
Scarpa non concepisce l’architettura come un gesto isolato nel presente. Ogni suo progetto è un dialogo tra epoche, una stratificazione controllata in cui il passato non viene mai negato, ma messo in relazione con il presente. L’intervento architettonico è per lui una scrittura che si sovrappone senza cancellare. La materia – pietra, vetro, legno, bronzo – è scelta anche per la sua capacità di segnare il tempo, di raccontarlo.
Nel restauro del Museo di Castelvecchio, Scarpa mette a nudo le diverse fasi costruttive del castello, evidenzia le sovrapposizioni, usa materiali moderni per distinguere il nuovo dall’antico, creando continuità senza confusione. Anche nella Fondazione Querini Stampalia, il suo intervento si inserisce tra le trame dell’edificio esistente con leggerezza e precisione, come un’aggiunta consapevole che rispetta la voce del passato.
Il tempo è presente anche nell’allestimento. Scarpa costruisce spazi che inducono a rallentare, a osservare, a sostare. Ogni percorso museale è pensato come un viaggio, non solo nello spazio ma anche nella durata. La luce cambia durante il giorno, i materiali assorbono la storia, l’usura diventa parte del progetto. I suoi ambienti non sono mai statici, ma predisposti a trasformarsi nel tempo, senza perdere la loro identità.
C’è una concezione quasi giapponese del tempo in Scarpa: il tempo come condizione per la bellezza, come processo, come profondità. Non è un caso che sia stato affascinato dall’arte e dall’architettura del Giappone, e che molte sue opere – come il giardino della Querini o i rivestimenti lignei – richiamino l’estetica del wabi-sabi, in cui il tempo non è nemico della forma, ma suo alleato.
La sua architettura, quindi, non è solo fatta per durare, ma per convivere con il tempo. Non fissa, ma viva. Non eterna, ma autentica.



