Luce come materiale
Per Carlo Scarpa, la luce non è semplicemente un mezzo per rendere visibili gli spazi o le opere d’arte, ma un vero e proprio materiale progettuale, alla pari della pietra, del legno o del vetro. La sua architettura vive nella relazione tra luce e materia, tra trasparenza e ombra, tra rivelazione e mistero.
Questo approccio ha radici profonde nella storia dell’architettura. Già nei templi greci e nelle chiese romaniche, la luce veniva calibrata per evocare una presenza simbolica e trascendente. Con il Modernismo, architetti come Le Corbusier (basti pensare alla cappella di Ronchamp) o Louis Kahn (alla Kimbell Art Museum) ne faranno un cardine poetico del progetto. Ma Scarpa sviluppa un uso della luce tutto suo: intimo, controllato, sensoriale. Nei suoi allestimenti museali, la luce è strumento narrativo. Alla Gypsoteca di Possagno, Scarpa interviene con lucernari zenitali che modulano la luce naturale sulle superfici bianche dei gessi canoviani, restituendo alle sculture una corporeità vibrante. Il risultato è un’esperienza lenta, quasi sacra, in cui il visitatore scopre le forme attraverso la luce.
Alla Fondazione Querini Stampalia, la luce dialoga con l’acqua del canale e con i materiali della città: riflessi, trasparenze, bagliori si integrano nello spazio. Qui, la luce non è diretta, ma diffusa, riflessa, partecipata. A Castelvecchio, invece, la luce artificiale è calibrata su ogni sala e su ogni opera, con tagli e punti luce che ne esaltano i volumi e le cromie senza invaderli.
Nel Museo Correr, Scarpa progetta piccoli ambienti attorno a singole opere: la luce naturale, schermata e riflessa, modella l’atmosfera. Celebre il caso del Cristo morto di Antonello da Messina, collocato in uno spazio rivestito in travertino chiaro che ne amplifica la luminosità interna.
Per Scarpa, la luce è un elemento dinamico che partecipa attivamente all’esperienza dello spazio. Non è mai solo decorativa, ma funzionale alla comprensione delle opere, alla lettura architettonica, alla percezione del tempo.
L’eredità di questa concezione è forte anche oggi. Architetti come Tadao Ando, Peter Zumthor, Kengo Kuma o Eduardo Souto de Moura hanno sviluppato un uso analogamente poetico della luce, ispirandosi — consapevolmente o meno — alla lezione scarpiana.


