Il Correr di Carlo Scarpa
Nell’architettura del secondo dopoguerra il doppio intervento allestitivo di Carlo Scarpa per il Museo Correr di Venezia - nel 1952-53 le sale di Storia veneziana del primo piano; nel 1959-60 la Quadreria al secondo piano - spiccò come modello esemplare della elegante e innovativa linea italiana della museografia ispirata al razionalismo internazionale. Tale indirizzo, pur nelle diverse personalità condiviso da vari prestigiosi architetti italiani, si fondava su due comuni presupposti essenziali: la perspicua considerazione del contesto architettonico-ambientale dato dallo storico edificio ospitante il museo; la colta e sensibile interpretazione del complesso messaggio e dell‘ atmosfera propri di ciascuna singola opera. Tale metodo richiedeva la collocazione dell’opera tanto meditata e accorta da creare sempre significative ‘risonanze’, spesso sorprendenti o addirittura criticamente rivelatrici, nelle nuove interazioni stabilite con le altre opere e con lo spazio architettonico. Quest’ultimo riconnotato dall’architetto in dialettico, creativo e spesso coraggioso dialogo contemporaneo con quanto pervenuto dal nobile passato di quell’edificio, nato per diversa destinazione e ora fattosi museo.
I due interventi di Scarpa al Correr si ambientarono ciascuno su due distinti piani delle Procuratie nuove: il classicissimo edificio rinascimentale cinque-seicentesco affacciato sull’intero lato sud di Piazza San Marco, già uffici e prestigiosi alloggi ‘di servizio’ dei procuratori di San Marco, che durante il secolo XIX aveva ricevuto negli interni una forte ed elegante impronta neoclassica quale Palazzo Reale napoleonico, asburgico e sabaudo, ad iniziare dall’ Ala Napoleonica sul fondo della piazza, con Scalone e Salone da ballo.
L’intervento concluso nel 1953 segnò la riapertura del museo dopo la lunga pausa dovuta alla guerra: le sale al primo piano, semplicemente ‘ripulite’ nelle bianche pareti e nei semplici ma solenni soffitti a travature lignee, furono riconnotate da Scarpa con singoli elementi originali di arredo museografico; come le teche che nella Sala delle Magistrature esponevano le toghe dei senatori e procuratori di San Marco a sorprendente riscontro di ritratti a tutta figura di ‘veri’ patrizi veneti indossanti quegli stessi abiti; oppure come i pannelli che fanno da supporto ai vivaci scudi ottomani risultati dalle battaglie della Guerre di Morea, esposti a parete in alte file accanto al busto del vittorioso Francesco Morosini. Non meno forti risultarono talune soluzioni particolari, come le appensioni di antichi stendardi e bandiere su grandi fondi in tessuto di cotone grezzo; oppure i sostegni per due monumentali fanali da galera - uno grande barocco e quello triplice della galera capitana di Morosini - di studiata complessità, ma anche di impositiva giustezza rispetto ai particolari oggetti storici.
Al secondo piano Scarpa fu successivamente chiamato ad allestire la Quadreria (1959-60), ricca di alcuni capolavori della pittura veneziana e Italiana del Rinascimento. Qui il lavoro architettonico fu integrale, in spazi che ormai poco o nulla trattenevano da precedenti valevoli configurazioni; ad eccezione della grande e altissima sala centrale, con portali ‘palladiani’ e soffitto ligneo, lasciata nella sua severa nudità, solo animata da due gradi lampadari muranesi e dove appena quattro rare opere gotiche di scultura e intaglio lignei trovano amplissima, rarefatta atmosfera. Nelle sale, dalle vibranti www.correr.visitmuve.it
superfici in ‘calce rasata’, Scarpa si concentrò sulla luce naturale: quella indiretta da nord entrante dai grandi balconi affacciati su Piazza San Marco; la luce diretta delle finestre sui cortili, di necessità filtrata da modernissime ‘veneziane’ industriali. Proprio le diverse condizioni date dalla illuminazione naturale suggerirono la disposizione dei dipinti e delle poche sculture.
Come per vari scelti dipinti, valorizzati sul celebre ‘cavalletto’ creato da Scarpa per il Correr, posti perpendicolarmente a lato dei balconi su piazza. Per ambientare alcuni capolavori furono create ad hoc originali salette, presto divenute iconiche dello stesso museo; come il ‘cubicolo’ per la Pietà di Cosmè Tura, o quello per le celeberrime e a loro volta iconicissime Due dame veneziane di Carpaccio; oppure la saletta per il Cristo morto sostenuto dagli angeli di Antonello da Messina, rivestita sorprendentemente da pannelli in travertino, capace di riverberare la luce solare in caldi toni dorati, stupendamente consonanti con la luce propria del dipinto, su apposito supporto esposto insolitamente inclinato in avanti, quasi per meglio assorbire la luce.








