Il cavalletto del Correr

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Il cavalletto del Correr

Tra le invenzioni più significative di Carlo Scarpa nel campo dell’allestimento museale vi è il celebre cavalletto per dipinti progettato per la Quadreria del Museo Correr di Venezia. Si tratta di un supporto espositivo apparentemente semplice, ma in realtà estremamente raffinato sia sul piano tecnico che concettuale. Una struttura sottile, in metallo brunito, che sorregge il quadro sospeso nello spazio, leggermente inclinato, liberandolo dalla parete e posizionandolo a una distanza calibrata da terra. Un gesto minimo, eppure rivoluzionario.

Con questa soluzione Scarpa rompe la tradizione museografica ottocentesca, che prevedeva l’affastellamento delle opere lungo le pareti, spesso in cornici imponenti e in ambienti sovraccarichi. Il suo cavalletto isola l’opera, la rende leggibile, le restituisce dignità spaziale. Ma soprattutto modifica il rapporto tra spettatore e quadro: non più visione frontale e passiva, ma esperienza tridimensionale, quasi fisica.

Il cavalletto diventa così un dispositivo critico. Un oggetto di design che è anche un commento sull’arte, sulla sua fruizione, sulla museografia moderna. La sua inclinazione leggera verso lo spettatore invita alla contemplazione; il suo essere staccato dalla parete suggerisce l’autonomia dell’opera; la sua leggerezza formale non impone, ma accoglie. In questo, il cavalletto scarpiano può essere paragonato alle teche sospese del Museo di Castelvecchio, alle pedane trasparenti della Querini Stampalia, ai supporti luminosi della mostra Paul Klee alla Biennale: strumenti invisibili eppure fondamentali, che trasformano il modo in cui si guarda.

L’uso di materiali nobili ma essenziali – metallo brunito, piccoli giunti di ottone, basamenti in pietra – è coerente con tutta la poetica di Scarpa, che non lascia nulla al caso e che affida al dettaglio il compito di costruire significato. Il cavalletto non è una cornice, non è un piedistallo: è un’interfaccia tra opera e spettatore, una soglia materiale che media la visione e ne potenzia l’intensità.

Oggi quel cavalletto è diventato un’icona, studiata nei corsi di museografia e storia del design. Non solo per la sua bellezza, ma per il modo in cui riassume una filosofia: quella di un’architettura che non domina l’arte, ma che si mette al suo servizio con intelligenza e rispetto.

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