Design e architettura: un confine poroso
Nel lavoro di Carlo Scarpa, non esiste una distinzione netta tra architettura e design. Ogni progetto, anche il più monumentale, contiene in sé una riflessione puntuale sull’oggetto, sulla scala minuta, sull’incontro tra funzione e forma. Questo approccio nasce da una visione integrata del progetto: per Scarpa non si tratta di 'disegnare edifici' e poi 'riempirli di oggetti', ma di pensare lo spazio come un sistema coerente, in cui ogni elemento, dal pavimento alla maniglia, partecipa alla costruzione del senso.
La formazione di Scarpa, profondamente legata all’ambiente veneziano e alla pratica artigianale, lo porta a sviluppare una sensibilità estrema per il dettaglio, che si manifesta in una produzione ricchissima di disegni, prototipi, modelli. In molti suoi progetti museali, ad esempio, disegna personalmente vetrine, leggii, cavalletti, maniglie, lampade, arredi, sempre in dialogo con l’architettura che li ospita. Questi oggetti non sono mai decorativi, ma funzionali e poetici allo stesso tempo.
Il Negozio Olivetti in Piazza San Marco (1957–1958) rappresenta forse l’esempio più emblematico di questa sintesi. In uno spazio ridotto e strategico, Scarpa disegna ogni elemento: i gradini sospesi, il bancone, il pavimento in marmo, le vetrine per le macchine da scrivere e da calcolo, le luci a parete. Ogni oggetto diventa un micro-mondo, un elemento che arricchisce l’esperienza dello spazio. Il negozio è un’opera totale, dove l’architettura si fa allestimento e il design si fa architettura.
La sua attitudine si avvicina a quella di altri grandi progettisti del Novecento italiano come Achille Castiglioni, Ettore Sottsass o Franco Albini, ma si distingue per la profondità poetica e il legame con la materia. Il suo design non è industriale, bensì artigianale: fatto di pezzi unici, pensati per un luogo specifico, con un linguaggio coerente e meditato.
Anche nel Museo di Castelvecchio, alla Fondazione Querini Stampalia, o al Museo Correr, ogni componente di arredo – un corrimano, una cornice, un supporto – diventa parte di un racconto più ampio, e mostra come Scarpa concepisse il progetto come un processo unitario. È per questo che parlare di lui solo come architetto è riduttivo: Scarpa è un autore a tutto tondo, capace di fondere le scale e di attraversare i linguaggi.


