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Sommario 09

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L’opinione - Marta Dassù - Lella Golfo - Patrizia Di Dio - Marisa Montegiove

Lavoro e formazione - Le priorità del Nordest - Debora Serracchiani - Elena Donazzan

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Frecce avvelenate - Anselma dell’Olio - Maria Giovanna Maglie

In copertina - La finanza al femminile

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Quote di genere - Le politiche europee

Imprenditoria femminile - Paola Sansoni - Gabriella Poli - Daniela Rader - Elena Martusciello

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Economia - Diana Bracco - Antonella Mansi - Federica Guidi - Paola Ferroli

Moda - Mario Boselli - Laudomia Pucci - Lavinia Biagiotti Cigna - Lilia Gregorat - Pola Cecchi

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Agricoltura - Nunzia De Girolamo - Maria Teresa Melchior

Interpreti del gusto - Cristina Bowerman - Valeria Piccini

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Cavalieri del lavoro - Annamaria Alois - Nicoletta Fontana

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Investire nell’arte - Come cambia il mercato - Laura Trisorio - Franca Coin

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Artigianato - Paola Locchi

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A sinistra, Janet Yellen sotto, Erika Leonardi

Comunicazione - Alessandra Fanzago - Simona Maurelli

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Consulenza - Silvia Bolzoni - Erika Leonardi - Regina Barattin

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Asset finanziari - Fabiana Gambarota

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Urbanistica - Lorenzo Monardo

Export - Nicoletta Milani - Antonietta Bisaro

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Tecnologie - Nives Borroni - Alessandra Conforti

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Modelli d’impresa - Paola Terruzzi - Denise De Pasquale - Alida Lena - Giuseppina Basalari - Carla e Romina Casini - Angela D’Ambrosio

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I leader di Nea - Il Premio Eccellenza - Guido Carella - Gianfranco Aramini - Pietro Maria Putti - Giuseppe Russotti - Mauro ed Enzo Fabrizi

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Edilizia - Cristina Fresia - Graziella Gallai - Valeria Vettorello

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Il mercato farmaceutico - Maria Giovanna Caccia

Interni - Rosella Ramponi - Evelina Meterc

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Trasporti - Maria Olga Barbieri

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Diritto dell’informazione - Caterina Malavenda

Patologie vascolari - Piera Elia

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Psicoterapia - Francesca Castelli

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Diagnostica - Mariastella Giorlandino

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Appalti - Cristina Lenoci

La medicina in tv - Anna La Rosa

Ricerca farmaceutica - Kathe Andersen

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Politiche antidroga - Elisabetta Simeoni

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Mecenatismo - Isabella Seragnoli

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Il commento - Francesco Alberoni

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Rubrica - Spigolature di Nea

Ricerca scientifica - Maria Grazia Roncarolo - Maria Cristina Messa

A sinistra, Viviane Reding sopra, fabiana gambarota a destra, Anna La Rosa

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L’opinione

L’Expo di nuova generazione di Marta Dassù, viceministro degli Esteri

ancano poco più di 500 giorni all’apertura dell’Esposizione universale di Milano. Sono pochi per ultimare la costruzione del sito: da adesso in poi, sarà una lotta contro il tempo, facilitata da norme più flessibili. Ma sono tanti perché un grande lavoro è stato già fatto. Quindi niente panico: l’Expo di Milano, l’Expo italiana, l’Expo europea di questo primo quarto di secolo, riuscirà. Sul fronte interno, le difficoltà della fase iniziale sono state superate grazie all’impegno collettivo del governo, degli enti locali, della società Expo. Sul fronte internazionale, dopo la vittoria del 2008 a Parigi, il Ministero degli esteri si è dedicato alla firma dell’accordo di sede con il Bureau internazionale delle esposizioni e all’adesione dei paesi partecipanti. È chiaro che la prima misura di successo di un’esposizione universale dipende dal numero e dalla qualità dei Paesi che decidono di aderirvi. Ci eravamo

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impegnati a garantire 130 adesioni entro il 2013: obiettivo raggiunto e superato. Asia, Africa, Americhe ed Europa saranno a Milano con una partecipazione molto rilevante. A seguito di una missione congiunta Expo-Mae a Pechino, Tokyo e Seul dello scorso luglio, abbiamo consolidato la presenza asiatica. Quanto all’Africa, 32 Paesi hanno già confermato la loro adesione. I Paesi ci sono, quindi, e hanno aderito a una delle novità di Milano: i cluster tematici della sicurezza alimentare. La seconda misura del successo di Expo 2015 sarà la partecipazione del settore agroalimentare, a cominciare dai grandi gruppi italiani già “a bordo” e la partecipazione della gente. Quella di Milano è una Expo di nuova generazione e il tema “Nutrire il pianeta” tocca un problema chiave per lo sviluppo globale, su cui l’Italia ha molto da dire. Sicurezza alimentare, nutrizione, acqua, salute, nuove tecnologie: i sei mesi dell’Expo italiana permetteranno un confronto glo-

bale su questi problemi. Con un accento specifico sul ruolo delle donne, il commissario generale per l’Italia, Diana Bracco, e il ministro degli Esteri, Emma Bonino, stanno costruendo insieme un grande network italiano e internazionale, che permetterà di tracciare dentro Expo un percorso delle donne e per le donne. Proprio per queste sue caratteristiche - una Expo di nuova generazione, costruita su una partnership virtuosa fra pubblico e privato e su un tema cruciale per lo sviluppo globale - l’evento milanese del 2015 sarà anche un’occasione di rilancio del sistema economico italiano. Non servirà solo ad attirare un consistente flusso turistico, soprattutto darà visibilità al settore agroalimentare italiano e permetterà di attrarre investimenti. Secondo i calcoli della società Expo, i Paesi partecipanti investiranno nella loro presenza a Milano un miliardo di euro circa. Dalla sola Cina si attendono 60 milioni di investimenti diretti. 9



L’opinione

Senza donne non c’è futuro di Patrizia Di Dio, presidente di Terziario donna Confcommercio

onfcommercio conta circa 700mila imprese. Terziario donna rappresenta la base associativa delle imprese al femminile, che rappresenta circa il 50 per cento di Confcommercio, proprio per l’alta predisposizione a fare impresa da parte delle donne nei settori del commercio, servizi e turismo. È recente la pubblicazione dei dati dell’Osservatorio dell’imprenditoria femminile di Unioncamere, da cui si evince che il 63 per cento delle nuove imprese nate tra settembre 2012 e lo stesso mese del 2013 - 3.893 su un totale di 6.140 - è a guida femminile. Ciò significa che le donne rispondono con la creazione di nuova impresa alla crisi, svolgendo un’importante funzione di salvagente per il Paese, nonostante quest’ultimo non offra adeguati servizi di conciliazione famiglia-lavoro. Questi dati dicono molto della capacità dimostrata dall’imprendi-

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toria femminile di gestire l’attuale fase economica con determinazione e dell’ancor più straordinaria capacità delle imprenditrici dei nostri settori, visto che protagoniste di questa “valanga rosa” sono in massima parte donne a capo di micro e piccole aziende attive nei settori dell’accoglienza, della ristorazione e dei servizi, portatrici di una fiduciosa volontà di cambiamento. A questa nostra certezza di futuro il nostro Paese deve urgentemente rispondere creando le condizioni per un decisivo salto di qualità dal punto di vista culturale, per una valorizzazione autentica e compiuta del merito e dell’impegno a prescindere dalle valutazioni di genere. Non possiamo permetterci di tenere chiuso in soffitta questo enorme potenziale di idee, talento, creatività, energia, questa fonte straordinaria di crescita e di sviluppo occupazionale, di benessere familiare e di coesione sociale, d’imprenditoria aggiuntiva e d’irrobustimento della massa fiscale e

previdenziale. L’economia è fatta di uomini e di donne, che nel quotidiano operano fianco a fianco, e devono decidere e agire per il bene comune. In momenti di grandissima difficoltà come l’attuale noi imprenditrici di Confcommercio lo testimoniamo: con il coraggio e l’intelligenza, con la tenacia e la passione, invertire la rotta e puntare lontano si può. Inoltre, sappiamo ormai che le imprese femminili statisticamente producono più reddito e occupazione di quelle a forte connotazione maschile. Occorre mettere in campo il pieno coinvolgimento delle donne nella vita politica, economica e sociale. Per il bene di tutti è venuto il momento di renderci conto che solo con due binari, uno indispensabile per l’altro, con pari dignità, una vecchia locomotiva può trasformarsi in un treno ad alta velocità capace di far correre il nostro Paese verso una destinazione di sviluppo, prosperità e giustizia sociale. 11



L’opinione

L’ascesa delle donne di Lella Golfo, presidente della Fondazione Marisa Bellisario

a Fondazione Bellisario da oltre 25 anni promuove la crescita delle professionalità femminili e sin dall’inizio abbiamo sostenuto le capitane coraggiose: tutte quelle donne che sfidano difficoltà e pregiudizi, che decidono di buttare il cuore oltre l’ostacolo e investire sulle proprie capacità. E abbiamo avuto ragione. In Italia, le capitane d’impresa sono più numerose che in Francia, Inghilterra e nella stessa Germania. Secondo Unioncamere sono 10mila le nuove aziende a guida femminile, nonostante la congiuntura negativa. Mentre il tessuto imprenditoriale è avanzato appena dello 0,2 per cento, le imprese al femminile hanno registrato un incremento dello 0,7 per cento. L’imprenditoria femminile è, quindi, una delle testimonianze del nuovo protagonismo delle donne in economia e finanza. È recente la nomina di una donna alla guida della Fed e con lei ci sono donne come Christine Lagarde o la nuova presidente della Banca centrale russa. Intanto a novem-

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bre in India aprirà i battenti la prima banca per donne: un istituto statale guidato da una donna, che punta ad abbattere le barriere che escludono gran parte delle donne indiane dal sistema finanziario. E nel vecchio continente, la Banca centrale europea ha annunciato l’introduzione di quote per raddoppiare la presenza femminile tra i manager: entro il 2019 ci dovranno essere il 35 per cento di donne nelle posizioni medie e il 28 per cento in quelle di vertice, dove attualmente sono appena il 14. In Italia mostra abbiamo una sola donna nel direttorio della Banca d’Italia e mai una donna ha guidato un ministero dell’Economia. Ma qualcosa anche da noi si muove: c’è una donna alla guida della Fondazione Monte dei Paschi di Siena. E poi penso a Maria Cannata, la regina del debito pubblico, che la Fondazione Bellisario ha premiato con la Mela d’Oro, e alle tante professioniste che guidano dipartimenti importanti del Tesoro o della ragioneria generale o dirigono filiali di istituti di credito.

Sento un vento di cambiamento e credo che in Italia siano cadute tante barriere. In primo luogo, grazie alla mia legge sulle quote di genere nei cda e al dibattito che ha suscitato. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, le donne nelle società quotate sono passate dal 5 per cento del 2008 al 17 per cento di oggi. In secondo luogo, credo che sia stata proprio la crisi a buttare giù il muro dei pregiudizi verso le donne. Le imprese femminili sono state un autentico salvagente per il Paese ed è un peccato che venga riconosciuto così poco. Bisogna dare un taglio alla burocrazia: aprire un’impresa deve diventare un atto semplicissimo, così come l’accesso al credito, soprattutto per le donne. Bisogna creare canali di credito e microcredito privilegiati, indirizzare su di loro le poche risorse disponibili, in maniera mirata e guardando al merito e ai risultati. L’Italia è piena di giovani e di donne con idee vincenti da mettere sul mercato. Non si tratta di dare a loro una possibilità, ma a noi un’occasione di crescita. 13



L’opinione

Oltre la parità: partiamo dal merito Di Marisa Montegiove, coordinatrice Gruppo Donne Manager Manageritalia e presidente Mangeritalia Servizi

ora di superare la questione della parità delle donne sul lavoro e ragionare sulla competitività, della quale abbiamo tanto bisogno. La crisi sta falcidiando tutti, imprenditori e lavoratori, senza fare differenze di genere, anagrafe, professione e competenze. Questo perché siamo zavorrati da vecchi schemi, mentalità, modalità di fare impresa, business e sviluppo. Ma l’Italia può e deve farcela, cambiando registro, puntando sul merito e sui migliori talenti. Nonostante tutto abbiamo anche un’Italia che funziona, che vede in prima fila quelle aziende con imprenditori e imprenditrici intelligenti che negli ultimi anni hanno dato sempre più spazio a validi manager, e quindi competono, vincono e creano valore aggiunto e ricchezza per tutti. Sfruttare i migliori talenti è oggi un dovere. E le donne sono tra questi almeno in pari grado. Questo ci dice la realtà e ci indicano indagini fatte in Usa (J. Zenger e J. Folkman 2011), chiedendo ai collaboratori più stretti (100mila intervistati) di valutare i loro capi (oltre 7.000), dalle quali

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emerge che le donne manager risultano migliori in 12 delle 16 competenze base della leadership. La presenza di donne ai posti di comando e in generale nel mondo del lavoro è indispensabile semplicemente per dialogare al meglio con i clienti e per costruire prodotti e servizi migliori. Altrimenti non si capirebbe perché le aziende leader nei videogiochi siano quasi interamente costituite e guidate da giovani. Oppure, possiamo forse pensare di costruire e vendere al meglio prodotti e servizi per la terza età solo con l’occhio, la testa e il cuore dei 30enni? Possiamo fare altrettanto per prodotti utilizzati in pari grado dai due sessi o quasi prevalentemente dalle donne? No. E le aziende leader a livello mondiale lo sanno bene. Il libro La nuova geografia del lavoro dell’economista italiano, docente a Berkley, e consulente di Obama, Enrico Moretti ci dice che “nel panorama economico attuale non conta tanto cosa fai e chi conosci, ma dove vivi”. Ci dice anche che ogni nuovo lavoro ad alto contenuto di innovazione produce sul territorio al-

tri 5 posti di lavoro più o meno qualificati. Mentre l’economia tradizionale ne crea solo 1,6. Ci dice anche che in tutto il mondo avanzato, Italia compresa, la disparità tra i territori si sta ampliando e che le aree dove risiedono industrie ad alto contenuto di innovazione diventano polo di attrazione per aziende e lavoratori altamente qualificati. Creando un ecosistema capace di sviluppare e dare corpo all’innovazione. Da ultimo, ci dice che proprio in questi luoghi si materializza la vera parità tra i generi. Qui sono e arrivano i migliori cervelli perché qui, e solo qui, si hanno stimoli, opportunità, incarichi professionali, vita sociale e retribuzione. Ma ci dice anche che qui e solo qui le moderne coppie di lavoratori altamente qualificati trovano opportunità e occupazioni ai massimi livelli, senza che la donna debba rinunciare alla carriera per seguire la famiglia. Anzi, proprio qui ha maggiori chance per crescere. Ed è in questo modo che dobbiamo e possiamo ripartire, superando la parità con il merito, verso una vera competitività. 15


In copertina La finanza si tinge di rosa

Le signore della finanza internazionale Christine Lagarde e Janet L. Yellen, i ritratti di due donne influenti a livello mondiale. Come stanno governando il corso del denaro e le sue regole. Le speranze per una finanza che torni a essere strumento di sviluppo e garanzia di futuro i volevano le donne. Ci vogliono le donne. Così, quando il 9 ottobre scorso, Barack Obama ha annunciato di aver nominato, contro ogni pronostico, Janet L. Yellen a capo della Federal Reserve (Fed), alla prescelta è arrivato subito un messaggio. Un biglietto che vale di più di una telefonata. A mano, con grafia sicura ed elegante come i suoi tailleur, Christine Lagarde, direttore generale del Fondo monetario internazionale (Fmi), le ha scritto la sua felicità. Non sono state rese note le parole, segreti tra donne. Ma a Bloomberg tv, Lagarde si è mostrata raggiante: “Bene che sia una donna a capo della Fed, c’è un forte potenziale da incoraggiare”. Insomma, la finanza mondiale, la guida del corso del denaro, delle sue regole, della sua moralità (esiste la moralità del denaro?) è bene sia in mano femminili. Alla Lagarde il potere di amministrare la Banca delle Banche, della quale sono azionisti 187 Stati, e che secondo le sue stesse parole al momento dell’insediamento, nel luglio del 2011 - ha il compito di “promuovere una crescita sostenibile, la stabilità macroeconomica e un futuro migliore per tutti noi”. Alla Yellen quello di decidere quanti dollari stampare, a quali interessi prestarlo e condizionare così la vita del magnate di Chicago e del pescatore della Micronesia. Due donne pressoché onnipotenti. Se si aggiunge che la Banca di Russia è in mano a un’altra signora, Elvira Nabiullina, siamo alla Trinità-donna.

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Christine Lagarde, direttore generale del Fondo monetario internazionale

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In copertina

Tutto questo ha un senso o è un frutto del Caso? Hegel parlerebbe di “astuzia della Storia”, che alla fin fine è di genere femminile. Un passo indietro. Andiamo al momento in cui nel 2011 viene scelta Christine Madeleine Odette (questo il nome completo, chiaramente proustiano, di Christine Lagarde) al comando del Fmi. Il predecessore Dominique Strauss-Kahn si era dimesso per lo scandalo di una violenza sessuale, poi rivelatasi inventata da una furba cameriera. Con chi sostituirlo? Toccava a un altro francese, come contrappeso alla preponderanza del capitale americano. In quella estate la finanza era al colmo del suo impazzimento. Cocci a terra, fulmini in cielo. La crisi esplosa nel 2008 si era rigonfiata (solo ora, fine 2013, facendo i debiti scongiuri, sembra perdere potenza distruttiva). Chi l’aveva condotta a quel punto, e con ciò, spingendo verso il baratro l’umanità? Uomini, nel senso di maschi. Vincitori di premi Nobel. Convinti che la finanza possa moltiplicarsi nell’iperspazio, a prescindere dalla finitezza del mondo. I greci direbbero: hýbris, empietà. Gli uomini-maschi non hanno i piedi per terra. Volano. Perdono il contatto con la dura e amata materia di cui è fatto il mondo. Credono di moltiplicare con strumenti virtuali la realtà. Ci credono. Finché sappiamo cosa è accaduto. Secondo calcoli prudenziali la moneta virtuale basterebbe a comprare undici volte i beni del mondo. Le ali di cera si sciolgono. 18

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Janet Yellen, direttore della Fed

ALLA LAGARDE IL POTERE DI AMMINISTRARE LA BANCA DELLE BANCHE. ALLA YELLEN QUELLO DI DECIDERE QUANTI DOLLARI STAMPARE, A QUALI INTERESSI PRESTARLO


La finanza si tinge di rosa

La donna - come ha dimostrato Kierkegaard con la sua analisi dell’universo femminile - ha la concretezza della maternità, della casa e delle cose. Per questo è bene che la finanza finisca in mani di questo genere. Certo, le due sono diversissime. Christine Odette Lagarde ha 57 anni, e ha una finezza e una classe ineguagliabili. Incanta tutti. Non è una economista e neanche una esperta di finanze, quanto a studi. Viene dalla giurisprudenza. Coraggiosa, a 22 anni ha mollato Parigi e, partendo da stagista di un senatore americano, è approdata nel 1981 in un importantissimo studio legale (Baker & McKinzie), di cui, partendo da zero, ha asceso il vertice e moltiplicato gli affari. Insomma, non è una teorica dell’economia, ma è una che sa farsi valere in un mondo difficilissimo. Da lì è passata alla politica ed è stata più volte ministro, fino a essere voluta da Sarkozy al dicastero delle Finanze, dove è stata votata dal “Wall Street Journal” come la migliore dell’Eurozona. Ci sono ombre? Be’, sì. La classica ombra che viene dipinta dovunque una donna si fa strada. Il servilismo verso un uomo. Nel nostro caso Sarkozy. Nel corso di una perquisizione a casa sua, per un’indagine che non ne ha scalfito l’eleganza e la flemma, è stata trovata la minuta di una lettera al presidente Sarkozy, perfidamente pubblicata dal quotidiano “Le Monde”. In essa dice al “Caro Nicolas”: “Usami per tutto il tempo che ti serve”. Lei non ha fatto un plissé e, con la classe innata per cui attraverserebbe senza inzaccherarsi e con i tacchi le Everglades infestate dagli alligatori, è tranquillamente sopravvissuta allo scandalo. E Sarkozy nel frattempo è naufragato. Chi ha usato chi? Ah, le donne. Ora sta cercando di raddrizzare le vele del Fmi. Finalmente, sotto la sua guida, al Fondo monetario si sono accorti che hanno sbagliato tutte le previsioni. La causa è l’esagerato rigore e la troppa austerità, che non aiuta a pagare i debiti, ma peggiora i conti innescando la recessione. Auguri, Lagarde. Perché contro di te hai e avrai Angela Merkel. La quale invece - secondo la logica tedesca che vuole austerità degli altri, per spendere meglio in casa - non ne vuole sapere di politiche espansive. Vedi il caso Grecia. Sull’orlo della morte per una medicina troppo pesante. Janet L. Yellen sembra il suo contrario, anzi lo è, dal punto di vista dell’immagine. I tailleur della Lagarde non riuscirebbe a infilarseli neanche con un corpetto di stecche di balena. Janet è una simpatica sessantasettenne, dalla corona di capelli bianchi. Non si sogna di virarli all’azzurro. Se li tiene in testa con onore. Qualcuno l’ha già definita la “nonna del dollaro”. Ma è tutt’altro che un’acqua cheta. In casa bada alle faccende domestiche e si inchina al marito, economista come lei, e prenea | novembre 2013

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In copertina La finanza si tinge di rosa

NON È VERO CHE IL MERCATO PER FORZA RADDRIZZA LE COSE DA SÉ, PER UNA SPECIE DI TOCCO DIVINO INVOLONTARIO. C’È BISOGNO DI ETICA. C’È BISOGNO DI POLITICA

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mio Nobel del 2001, George Akerlof. Fuori di casa, però, il potere lo ha lei. È onnipotente. Le sue decisioni non possono essere sindacate o soggette a compromessi. Neanche il presidente Usa può apporsi. Al massimo può licenziarla. Con il marito ha scritto un libro famoso, in cui dimostrava che non è vero che il mercato per forza raddrizza le cose da sé, per una specie di tocco divino involontario. C’è bisogno di etica. C’è bisogno di politica. A volte di immettere denaro, di occuparsi di politiche che generino occupazione piuttosto che ingrassare le banche. È, infatti, contraria alla tesi della banche e dei loro manager garantiti dalla formula “troppo grandi per fallire”. È l’umanità che è troppo grande e importante per essere sottomessa allo strapotere della finanza. In questo senso è donna. Come la Lagarde. Per questo è un bene che la finanza sia donna. E torni a essere uno strumento di sviluppo e di garanzia di futuro, come era in origine, prima che gli uomini la trasformassero in un pallone gonfiato e fatto esplodere sulla nostra testa da quei pazzi che credevano di aver trovato la pietra filosofale della ricchezza senza lavorare. Il contrario della qualità femminile, che dà solidità, finezza, preziosità alla vita, finanza compresa. Renato Farina, scrittore


Quote di genere Le politiche europee

Un’Europa poco women-friendly Si parla sempre più di politiche di genere, che rappresentano da diversi anni un obiettivo da raggiungere anche all’interno dell’Unione europea. Ma, tra veti incrociati e lentezza burocratica, la strada è sempre più in salita di Renata Saccot e nella finanza mondiale qualcosa si sta muovendo, perlomeno ai vertici, in ambito europeo si arranca ancora. Sulla carta c’è la Strategia per la parità tra donne e uomini 2010-2015, che mette nero su bianco cinque obiettivi da raggiungere (pari indipendenza economica; pari retribuzione per lo stesso lavoro e lavoro di pari valore; parità nel processo decisionale; dignità, integrità e fine della violenza nei confronti delle donne;

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parità tra donne e uomini nelle azioni esterne), più delle generiche “questioni trasversali” inerenti il ruolo degli uomini nella parità, la promozione delle buone pratiche in materia di ridefinizione dei ruoli, l’applicazione delle direttive 2004/113/CE (circa la parità di accesso a beni e servizi) e 2006/54/CE (sulla parità salariale). Nei fatti, come spesso accade, la strada verso l’applicazione di tali princìpi non è proprio in discesa. Di recente, il Parlamento

Viviane Reding, Commissario europeo per la Giustizia, i Diritti fondamentali e la Cittadinanza

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Quote di genere

europeo ha approvato a maggioranza una risoluzione critica verso l’operato della Commissione Barroso sulla disparità salariale e sulle azioni intraprese a riguardo, giudicate troppo blande, quindi, inefficaci. In realtà un testo sulle pari opportunità c’è e propone, tra gli altri, di raggiungere l’obiettivo del 40 per cento di presenze femminili nei consigli di amministrazione delle società europee quotate in Borsa. Le società private avrebbero fino al 2020 per raggiungere l’obiettivo mentre quelle pubbliche due anni in meno, cioè fino al 2018. La proposta, presentata nel 2012 da Viviane Reding, commissario alla Giustizia con delega alle pari opportunità, rischia però di essere una “scatola vuota”, poiché non vi è nessun obbligo di rispettarla da parte delle società, come dire “chi vuole lo faccia, chi no pazienza”. La proposta Reding, comunque, ha da poco ha ricevuto il primo voto favorevole da parte di due commissioni (Pari opportunità e Affari legali) del Parlamento europeo, che ha così dato mandato per iniziare i 22

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negoziati con il Consiglio dell’Unione europea. Negoziati che non partono con il piede giusto: 10 Paesi membri, tra cui la Gran Bretagna, hanno già fatto sapere di essere contrari alla proposta. La strada, dunque, si preannuncia in salita. Al momento, nei consigli di amministrazione delle società europee la situazione non è proprio rosea: le donne sono meno del 14 per cento dei membri totali, ma la situazione non è la stessa in tutti gli Stati comunitari.


Le politiche europee

José Manuel Durão Barroso, dal 2004 è presidente della Commissione europea

LA PROPOSTA, PRESENTATA NEL 2012 DA VIVIANE REDING, PREVEDE DI RAGGIUNGERE IL 40% DI PRESENZE FEMMINILI NEI CONSIGLI DI AMMINISTRAZIONE DELLE SOCIETÀ EUROPEE QUOTATE

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Secondo i dati forniti da Eurobarometro, la Finlandia guida la classifica, con il 27 per cento di donne nei posti di comando, la chiudono Malta e Cipro, con il 3 per cento e 4 per cento . Per il commissario Reding questo miglioramento è anche dovuto «a quei Paesi, come Francia e Italia, che hanno introdotto le quote obbligatorie». E i risultati non si sono fatti attendere: in Francia la presenza femminile è al 26,6 per cento , da noi al 12,9 per cento , con un balzo dell’8,4 per cento . Già, l’Italia. Ma qual è la situazione dopo l’entrata in vigore della legge 120/2011? Nel nostro Paese la legge, nota anche come Legge Golfo-Mosca (dal nome delle due parlamentari che l’hanno proposta), è stata approvata nel luglio del 2011, ma è diventata operativa solo il 12 agosto scorso e obbliga a riservare alle donne almeno un quinto dei posti nei cda. Le prime società ad averla dovuta applicare - perché il Consiglio era in scadenza - sono state il gruppo siderurgico Danieli, la Juventus e l’ex gruppo Ligresti (oggi proprietà di Unipol). A più di un anno dalla sua entrata in vigore, secondo la Consob, il 17,2 per cento delle poltrone dei cda è femminile. Una cifra di tutto rispetto, visto che a fine 2011 le donne erano ferme al 7,4 per cento e nel 2012 all’11,6. Resta ancora uno zoccolo duro del 18 per cento di cda composto esclusivamente da uomini. La Consob, chiamata a vigilare sulla corretta applicazione della norma, ha certificato che «circa la metà del mercato ha già un organo amministrativo in linea con la quota di genere». Bene dunque i numeri, ma le facce? Le facce sono sempre le stesse, con le solite note che siedono all’interno di più cda. In discussione non è il profilo professionale di queste professioniste, quanto piuttosto l’opportunità mancata di aprire le porte delle “stanze dei bottoni” a facce nuove capaci di affrontare le sfide del mercato con idee fresche. 23


Imprenditoria femminile

Al centro dell’impresa Crescono le imprenditrici in Italia. Restano, però, da risolvere nodi strutturali, tra cui gestione del welfare e accesso al credito. Ne parla Paola Sansoni, presidente di Cna Impresa Donna di Francesca Druidi irca 4mila imprese “rosa” in più sono state avviate in Italia tra settembre 2012 e settembre 2013. Delle 6.140 aziende che, in questo lasso di tempo, si sono aggiunte al sistema produttivo del Paese, infatti, 3.893 (il 63 per cento) sono guidate da donne. Queste realtà si concentrano in particolare nei settori del turismo, delle attività finanziarie e assicurative e dei servizi alle imprese. A indicarlo sono i dati dell’Osservatorio dell’imprenditoria femminile di Unioncamere. Se, però, i segnali positivi non mancano, l’affermazione delle donne nel mondo dell’impresa mostra ancora criticità specifiche. A fare il punto della situazione è Paola Sansoni, presidente di Cna Impresa Donna. Quali sono le potenzialità di sviluppo dell’imprenditoria femminile allo stato attuale in Italia? «Negli ultimi anni sono emerse, in maPaola Sansoni, presidente di Cna niera ancora più evidente che in Impresa Donna passato, tutte le potenzialità e la forza che le imprenditrici sono in grado di mettere in campo, soprattutto nei periodi più difficili. L’imprenditoria femminile è stata in grado di reggere alla crisi meglio delle altre imprese, mantenendo un segno di crescita positivo. Mentre il Paese cerca faticosamente di ritrovare la strada dello sviluppo, le imprenditrici rappresentano una forza straordinaria, che

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Paola Sansoni

IL PRIMO PASSO DA COMPIERE È QUELLO DI RIMETTERE LE ISTANZE DELL’IMPRENDITORIA FEMMINILE AL CENTRO DELL’AGENDA POLITICA contribuisce anche a fornire una soluzione per quelle donne che faticano a trovare spazio nel mercato del lavoro. Le potenzialità di crescita sono ancora tante e, se il Paese riuscisse a sfruttarle pienamente, l’impatto positivo sul nostro Pil sarebbe importantissimo». Questione culturale, accesso al credito, conciliazione vita-lavoro. Quale tra questi ben noti ostacoli è tuttora il più insidioso? «Le barriere a un pieno sviluppo dell’imprenditoria femminile sono molteplici e legate l’una con l’altra. È difficile, dunque, assegnare un primato, inteso ovviamente in senso negativo, a un tema piuttosto che a un altro. È vero, però, che l’aspetto culturale probabilmente è il filo conduttore che, in alcuni casi, determina l’elemento scatenante anche degli altri problemi. Ne è un esempio quanto avviene nel credito: nei rapporti con le banche, le imprenditrici incontrano spesso maggiori difficoltà dei loro colleghi maschi a ottenere il finanziamento richiesto e, per riceverlo, si vedono chiedere maggiori garanzie o applicare tassi più alti. Questo avviene senza motivazioni oggettive connesse alle caratteristiche dell’impresa ma, al contrario, per un inspiegabile atteggiamento discriminatorio legato a un antico pregiudizio. Intervenendo su questo fronte, probabilmente si riuscirebbe a rimuovere molte delle altre barriere che le imprenditrici incontrano nella loro attività». Quali specifiche politiche o misure a favore dell’imprenditoria femminile occorre portare avanti? «Sicuramente il welfare rappresenta una delle priorità per tutte le donne lavoratrici. Per le imprenditrici, l’esigennea | novembre 2013

za di conciliare i tempi di vita con quelli di lavoro è ancora più complessa. In un contesto in cui i carichi familiari gravano per l’80 per cento sulla donna, le imprenditrici hanno bisogno di un sistema di servizi che le accompagni e le faciliti nella loro attività. Cna Impresa Donna da tempo sollecita un progetto di rinnovamento del sistema di welfare nel nostro Paese, attraverso un modello che valorizzi anche l’azione privata laddove il pubblico è carente, favorendo in tal modo nuova imprenditoria e nuova occupazione». In che modo iniziative come la cabina di regia per l’imprenditoria femminile di Unioncamere possono contribuire attivamente a promuovere queste istanze? «Il primo passo da compiere è quello di rimettere questi temi al centro dell’agenda politica che, al contrario, negli ultimi anni ha totalmente trascurato una strategia di sviluppo dell’imprenditoria femminile. In questo, la cabina di regia, che coinvolge tutte le componenti femminili delle organizzazioni di rappresentanza, può svolgere un ruolo importante anche grazie al recente rinnovo del protocollo di intesa siglato da Unioncamere, ministero dello Sviluppo economico e Dipartimento delle pari opportunità. Come Cna, agiamo in tal senso con azioni propositive con i nostri interlocutori istituzionali, cogliendo l’esigenza di presentare proposte che non pesino sul bilancio dello Stato. Grazie alla nostra azione capillare sul territorio, inoltre, accompagniamo le imprenditrici nella loro vita aziendale, cercando di cogliere i loro bisogni e, soprattutto, di valorizzare le loro specificità e competenze». 25


Imprenditoria femminile

Servono opportunità di sviluppo Le artigiane venete reggono alla crisi e iniziano a muoversi in settori innovativi. Vanno però facilitati i percorsi imprenditoriali. L’analisi di Daniela Rader, presidente del movimento Donne Impresa di Confartigianato Veneto di Francesca Druidi giane in Veneto è addirittura cresciuto del 2 per cento. «Questi numeri – sottolinea Daniela Rader, presidente del movimento Donne Impresa di Confartigianato Veneto e vicepresidente della Commissione pari opportunità della Regione Veneto – dimostrano che fare impresa è sempre più un mestiere da donne e che, quindi, servono politiche che vadano a incentivare queste opportunità di sviluppo». Una ricerca promossa dalla commissione regionale Pari opportunità e condotta da Confartigianato, ha evidenziato che tra i fattori che garantiscono le performance positive delle imprese “rosa” ci sono la capacità di lavorare in team, le capacità organizzative e la forte determinazione delle titolari. «Si tratta di fattori fondamentali da valorizzare nel futuro dell’imprenditoria femminile e dell’imprenditoria nel suo complesso. Queste caratteristiche sono vere e proprie qualità di genere: una predisposizione più naturale delle donne a lavorare in squadra e a occuparsi del contesto di vivibilità all’interno dell’impresa, un nuovo elemento del fare impresa destinato a essere sempre più un valore aggiunto. Il trattamento - non solo economico - del lavoratore, può, Daniela Rader, presidente del infatti, rendere un’azienda maggiormovimento Donne mente attrattiva. Anche le grandi Impresa di Confartigianato imprese stanno investendo sul welfare Veneto aziendale, e tra i contenuti principali si inserisce proprio l’attenzione particolare

e lavoratrici in proprio in Italia sono 1.719.000, 365mila sono le titolari, socie o collaboratrici alla guida di imprese artigiane e, di queste, 38mila operano in Veneto. Sono alcuni dei dati emersi dall’Osservatorio sull’imprenditoria femminile realizzato dall’ufficio studi di Confartigianato, in occasione dell’annuale convention di Donne Impresa Confartigianato. Negli ultimi 5 anni, pur sotto i colpi della crisi, il numero delle imprenditrici arti-

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Daniela Rader ai tempi di conciliazione di vita e lavoro. Sotto questo profilo, la governance femminile risulta essere più appropriata per caratteristiche innate e per le esperienze di quotidianità familiare». Quali politiche occorre mettere in campo per favorire l’imprenditoria femminile? «Ci sono innanzitutto i problemi di gestione dell’impresa, indipendenti dal genere del titolare. Poi a livello nazionale e regionale, il movimento Donne Impresa di Confartigianato sta portando avanti il dialogo con le istituzioni e con i rappresentanti di Bankitalia e del mondo del credito. La crescita del Pil italiano è fortemente legata all’aumento delle donne nel lavoro sia come imprenditrici che come lavoratrici, obiettivo - peraltro - stabilito dall’Ue. Tenendo fermo questo presupposto, l’accesso al credito identifica un aspetto determinante per avviare o consolidare un’attività. Per questi motivi, Confartigianato ha lavorato sui temi del microcredito e del medio credito centrale». Con quali progetti nello specifico? «C’è il progetto con il gruppo bancario Bnp Paribas sul microcredito aziendale, con il quale le donne possono ottenere prestiti agevolati fino a 25mila euro. È stata, inoltre, istituita una sezione speciale nei fondi del medio credito centrale. Sono stati, infatti, messi a disposizione 20 milioni di euro - 10 dal ministero dello Sviluppo economico e 10 da quello delle Pari opportunità - per lanciare un segnale di concretezza sul tema, aprendo un accesso privilegiato per le donne imprenditrici. Del resto, se si vogliono raggiungere gli obiettivi previsti a livello europeo in

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merito all’occupazione delle donne e dei giovani, occorre fornire maggiore attenzione agli strumenti in grado di facilitarne i percorsi imprenditoriali». E il credito è uno di questi. «Quando si parla di attività femminili, si pensa all’ambito dei servizi e della manifattura tradizionale, ma nella ricerca presentata in Commissione pari opportunità è emerso anche l’orientamento delle giovani imprenditrici artigiane venete verso le aree della tecnologia e dell’edilizia, soprattutto in chiave ecosostenibile. Sono, però, ambiti di attività che richiedono, per partire, cifre relativamente consistenti. L’obiettivo del fondo è proprio quello di offrire alle imprenditrici, con poca burocrazia e tempi contenuti, una garanzia reale da mettere a disposizione del sistema bancario, in mancanza di garanzie materiali. Per quanto riguarda il Veneto, andremo a diffondere questi progetti sul territorio, intensificando l’attività di mediazione tra imprese e politica». Lei ha proposto di intervenire sulla leva fiscale, riconoscendo una maggiore deducibilità delle spese sostenute per colf, baby sitter e assistenza, utilizzando un coefficiente di proporzionalità legato al reddito prodotto dal lavoro femminile. «Sì, il risultato sarebbe un vantaggio economico sia per la famiglia che per la società intera, in quanto si verrebbero a creare nuovi posti di lavoro. Inoltre, in questo modo, la donna potrebbe evitare di rinunciare al proprio lavoro, che non significa solo un’entrata economica ma anche una fonte di realizzazione personale».

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Imprenditoria femminile

Il futuro si coltiva con la qualità Puntando sull’innovazione, le imprenditrici agricole mirano ad acquisire competitività. Gabriella Poli, vicepresidente di Confagricoltura Donna, illustra ostacoli e opportunità per le donne impegnate nel settore primario di Francesca Druidi

n Italia un’impresa agricola su tre è condotta da una donna. E le donne imprenditrici agricole confermano dinamismo, creatività e volontà di introdurre innovazione, in particolar modo nelle attività dove sono più coinvolte: agriturismi, trasformazione dei prodotti e commercializzazione, fattorie didattiche, produzione di agroenergia. A sottolinearlo è Gabriella Poli, vicepresidente nazionale di Confagricoltura Donna e guida della sezione regionale lombarda. «L’associazione sta progressivamente assumendo una connotazione nazionale, perché le donne impegnate in prima linea in azienda sono sempre di più e più attive». Qual è la situazione, nello specifico, in Lombardia? «Le imprenditrici agricole lombarde stanno crescendo e stanno cambiando pelle: maggiormente formate, pronte all’innovazione e orientate alla multifunzionalità aziendale, che si sta rivelando un’arma vincente per la crescita del settore. Il numero delle imprenditrici è, però, inferiore alla media nazionale: delle circa 50mila imprese agricole lombarde, solo il 19,8 per cento ha titolari donna». Quali le difficoltà maggiori per loro? «Sono più o meno le stesse che incontrano tutte le donne impegnate attivamente nel lavoro: la conciliazione famiglia-lavoro, che si traduce anche in un grande

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squilibrio tra donne e uomini nelle mansioni di cura, e i preconcetti nei confronti del genere. Nonostante le politiche di genere abbiano aiutato le imprenditrici, resta ancora molto da fare. Una vera emergenza è rendere più facile l’accesso al credito. Occorre poi avviare concreti progetti di formazione per incrementare la professionalità femminile, eliminando per le donne il requisito dell’età per accedere agli strumenti previsti per i giovani: tutte le leggi o i finanziamenti a favore dell’occupazione giovanile prevedono un’età compresa fra i 18 e i 35 anni, quegli stessi anni in cui una donna si confronta con il desiderio


Gabriella Poli

LE IMPRENDITRICI AGRICOLE LOMBARDE STANNO CRESCENDO E STANNO CAMBIANDO PELLE: MAGGIORMENTE FORMATE, PRONTE ALL’INNOVAZIONE E ORIENTATE ALLA MULTIFUNZIONALITÀ

Gabriella Poli, vicepresidente di Confagricoltura Donna e presidente regionale dell’associazione in Lombardia

di maternità e di costruzione di una famiglia, con il rischio di rinunciare a una prospettiva occupazionale». Come membro della Cabina di regia di Unioncamere e di altri tavoli istituzionali che si occupano di imprenditoria femminile, quali sono le istanze oggi prese in esame? «Riteniamo indispensabile avviare un serio e strutturato dialogo con le istituzioni per favorire il superamento dei problemi, per verificare l’opportunità di collocare la materia dell’imprenditoria femminile nell’ambito di operatività del ministero dello Sviluppo economico. È necessario mettere in campo strumenti e servizi che ci possano supportare in quanto imprenditrici perché riteniamo di essere una risorsa per l’Italia, alla cui crescita vogliamo dare il nostro apporto con progetti e idee. Nel 2013 abbiamo promosso, di concerto con il Mise, l’istituzione di un Tavolo permanente sull’imprenditoria femminile e la promozione della sessione femminile del Fondo centrale di garanzia per le pmi, uno strumento di mitigazione del rischio di credito. I nostri obiettivi sono la valorizzazione delle capacità imprenditoriali femminili, l’orientamento delle politiche, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle donne». Quali opportunità porterà Expo 2015 al settore agricolo e alle imprenditrici del comparto? nea | novembre 2013

«Expo 2015 sarà un importante evento promozionale per tutto il comparto agricolo e agroalimentare, che dovrà far conoscere il nostro modello produttivo in tutti i paesi del mondo, mettendo in risalto soprattutto gli aspetti della qualità e della tradizione, con particolare riferimento alle filiere. Confagricoltura Donna Lombardia sta portando avanti, già dallo scorso anno, l’iniziativa “La maratona delle imprenditrici verso Expo 2015” per creare un percorso in quelle aziende lombarde virtuose, condotte da imprenditrici, che potranno essere proposte per Expo. Siamo alla decima tappa e immaginiamo di arrivare a oltre 20 aziende per l’inizio dell’Esposizione universale, in modo da proporre un panorama vario comprendente tutti i settori, dal vino all’olio, dai formaggi al riso, dai salumi al florovivaismo, dando l’opportunità di vivere l’esperienza della produzione direttamente in azienda, con il produttore. Dal punto di vista storico e culturale, le donne hanno un legame molto forte con il cibo e l’alimentazione e noi, come agricoltrici, siamo il primo anello della filiera. Ci siamo date una missione importante: farci paladine del nostro patrimonio agroalimentare ricco di tradizioni e prodotti tipici e a denominazione che rendono il made in Italy del cibo uno dei nostri fiori all’occhiello e che rappresenta oggi la prima voce dell’export italiano». 29


Imprenditoria femminile Elena Martusciello

Acini rosa

Eventi culturali, cantine aperte, educazione al gusto. Sono solo alcuni degli ambiti in cui le donne hanno dato un forte imprinting al mondo dell’enologia italiana di Teresa Bellemo

a anni l’enologia ha iniziato a dare spazio al fare vino al femminile. Si tratta spesso di figure che hanno saputo proporre un nuovo modo di interpretare il settore, rivitalizzandolo in un’ottica sempre più inclusiva e aperta. Una diversa chiave di lettura rispetto al mondo maschile, che si riunisce nell’associazione “Donne del vino”, formatasi nel 1988 per merito della produttrice toscana Elisabetta Tognana. Oggi l’associazione conta 650 iscritte, che rappresentano tutte le categorie della filiera vitivinicola, dal vigneto alla cantina, dalla tavola alla comunicazione. Un fenomeno che ha saputo intercettare i nuovi consumi e le nuove necessità di un pubblico, anche quello, sempre più rosa. Ne parliamo con Elena Martusciello, presidente dell’associazione, a capo dell’azienda di famiglia Grotta del Sole. La storia della vostra azienda è relativamente recente. Com’è nata l’idea e come si è evoluta? «Grotta del Sole è nata grazie alla passione della famiglia Martusciello, radicata nel mondo del vino sin dai primi del Novecento, ma la vecchia generazione operava unicamente a livello commerciale. Alla fine degli anni 80, con grande lungimiranza, è stato percepito il profondo cambiamento in atto nel mondo del vino e con la nuova generazione è stato realizzato il sogno nel cassetto: Grotta del Sole vocata alla produzione di vino unicamente da uve autoctone». Quanto conta lo spirito femminile nel settore del vino? «Lo spirito femminile ha apportato al settore ricchezza e complessità: ha aperto le cantine ai clienti favorendo l’ospitalità e trasformandole da luoghi di produzione a luoghi di accoglienza per eventi, iniziative, incontri enogastronomici e culturali».

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Elena Martusciello, presidente dell’associazione Donne del vino e dell’azienda vitivinicola Grotta del Sole

Come opera l’associazione Donne del vino? «L’associazione è composta da 20 delegazioni. Grazie alle attività di ciascuna delegazione, si organizzano iniziative regionali a sfondo culturale, e spesso anche sociale, per diffondere la conoscenza e la cultura dell’enogastronomia italiana. Il coordinamento delle attività delle delegazioni e i progetti istituzionali sono realizzati dalla presidente nazionale insieme alle consigliere nazionali». Quali sono le principali novità legate all’enologia italiana? «L’innovazione tecnologica legata alla produzione, all’utilizzo delle energie alternative, agli imballi. Tutto all’insegna della sostenibilità ambientale. Un grande cambiamento è in atto nel modo di comunicare il vino grazie al web, agli smartphone e ai social media. L’epoca dell’indottrinamento sta lasciando spazio al confronto e alla condivisione di esperienze».



Economia

L’Italia incontra il mondo Diana Bracco illustra la marcia di avvicinamento all’Expo 2015. Intanto le adesioni sono a quota 138 e ci saranno 60 Paesi con un loro padiglione. Per l’organizzazione è già un record di Renata Gualtieri econdo un’indagine promossa dalla Camera di commercio di Milano e dalla società di gestione di Expo 2015, l’indotto economico che l’evento produrrà a Milano e in Italia, fino al 2020, sarà di 24,7 miliardi di euro, con un incremento di valore aggiunto stimato in 10,5 miliardi e 199mila persone occupate direttamente o indirettamente. Diana Bracco, presidente di Expo 2015 e commissario generale per il Padiglione Italia, conferma queste aspettative sottolineando come l’Esposizione universale sarà davvero un eccezionale volano anticiclico di crescita economica e occupazionale, oltre che una straordinaria opportunità per rilanciare l’immagine dell’Italia nel mondo. Expo rappresenta per il nostro Paese anche un essenziale attrattore di capitali: gli investimenti esteri, infatti,

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ammontano a oltre un miliardo di euro. Germania e Svizzera hanno già stabilito per i loro padiglioni budget rispettivamente di 40 milioni e 19 milioni di euro, la Russia circa 30 milioni, dai Paesi del Golfo si attendono più di 150 milioni, mentre la Repubblica popolare cinese avrà il secondo padiglione più grande del sito espositivo dopo quello italiano. «A questo sostegno internazionale - ricorda Diana Bracco - si aggiunge l’entusiasmo del mondo delle imprese, a iniziare dal presidente Giorgio Squinzi e dai numerosi official partner: da Fiat a Telecom, da Intesa Sanpaolo a Coop. E poi Illy, Accenture, Cisco, Enel, Finmeccanica, Came. Gli investimenti dei primi partner privati hanno già superato i 250 milioni di euro». Il padiglione Italia sarà ispirato all’idea del vivaio. Come sarà possibile far germogliare giovani talenti e


Diana Bracco

creare per loro occasioni di lavoro? «L’idea del vivaio incarna un trinomio fondamentale per il futuro del nostro paese: innovazione, giovani e talento. Queste sono le chiavi per avviare un “rinascimento” dell’industria. Il padiglione nasce con la vocazione di essere luogo e simbolo dello sviluppo di nuove generazioni: uno spazio protetto, di crescita, sviluppo e formazione. Un laboratorio d’idee che aiuti i progetti a germogliare e un punto di riferimento per i talenti innovatori, capaci di rinnovare il concetto di eccellenza italiana combinando la tradizione con approcci inediti e originali. Al centro della costruzione ci sarà “l’albero della vita”, simbolo dell’Italia, della sua industria e delle sue bellezze storiche, paesaggistiche, enogastronomiche: sarà un punto di riferimento per imprenditori e ricercatori». Quanti visitatori sono previsti? «Si prevedono 20 milioni di presenze. Circa 13 o 14 milioni dall’Italia; 3-4 milioni dall’Europa, soprattutto da Spagna, Svizzera, Regno Unito e Francia; 3 milioni dai Paesi extra-europei, di cui un milione dalla sola Cina. Complessivamente ci aspettiamo un indotto per il settore turistico pari a circa 4,8 miliardi di euro. Il Padiglione Italia sarà la porta d’ingresso in grado di offrire ai visitatori la magia di un viaggio lungo la penisola. Grazie al contributo delle Regioni e degli enti locali che popoleranno il Cardo, vogliamo far rinascere a livello globale il desiderio di visitare il Bel Paese. L’obiettivo è quello di far rivivere il grand tour del Settecento e dell’Ottocento. Il Padiglione Italia sarà anche un flagship store delle nostre eccellenze». Il tema dell’Expo sarà “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, come potrà l’evento essere motore trainante per le nostre eccellenze in campo agroalimentare? «L’Esposizione universale permetterà di valorizzare le nostre eccellenze in settori con un alto potenziale di crescita legati proprio allo sviluppo sostenibile, alle energie rinnovabili e, naturalmente, all’agricoltura, all’artigianato e all’industria alimentare. Il cibo made in Italy costituisce uno dei nostri punti di forza in tutto il nea | novembre 2013

Diana Bracco, commissario generale per il Padiglione Italia, e Giuseppe Sala, commissario unico per Expo 2015

mondo. Ma l’Expo rappresenterà un’occasione di promozione delle numerosissime eccellenze produttive, tecnologiche e scientifiche italiane, si pensi alle macchine per la movimentazione agricola e quelle per la lavorazione alimentare riconosciute come tecnologie di avanguardia: dall’utilizzo efficiente delle materie prime agli agro-farmaci, dai fertilizzanti per incrementare le rese agricole di tanti paesi in via di sviluppo ai medicinali veterinari, fino ai processi di valorizzazione delle produzioni alimentari e alla loro conservazione». Uno dei temi più dibattuti negli ultimi tempi è quello dello spreco alimentare. Come verrà declinato questo concetto? «L’Expo affronterà le sfide di un’alimentazione sana, sicura e sufficiente per tutti, nell’ottica dello sviluppo sostenibile, attraverso ampie direttrici tematiche che vanno dall’agricoltura e dalla biodiversità alla sicurezza e qualità alimentare, dall’innovazione della filiera agroalimentare alla cooperazione e sviluppo nell’alimentazione, dall’educazione alimentare al cibo e alla cultura. Tra queste, la questione dello spreco sarà assolutamente centrale». 33


Economia

Dare una scossa al Paese «All’Italia serve uno shock». Lo sostiene Antonella Mansi, a capo della Fondazione Mps. L’imprenditrice toscana ribadisce la necessità di evitare tentennamenti sulla strada delle riforme, mettendo al centro l’impresa di Francesca Druidi

a sua nomina a presidente della Fondazione Monte dei Paschi di Siena è avvenuta nel segno del rinnovamento e della discontinuità con il passato. Antonella Mansi, già guida degli industriali toscani e attuale vicepresidente di Confindustria, è pronta a mettere al servizio della fondazione senese la sua esperienza di imprenditrice e di membro dell’associazione degli industriali. «Ci sono molto aspetti - chiarisce - che possono convergere in questa nuova “impresa”: elementi di logica imprenditoriale (una mentalità del risultato e del merito unita a una cultura dello sviluppo del territorio), così come l’attenzione ai temi della rete e delle relazioni che deriva dal mio impegno nel sistema della rappresentanza. Spero di offrire un contributo positivo alla gestione della Fondazione Mps, che rappresenta un valore importante non solo per Siena». Dalle parole dell’imprenditrice toscana emerge un’analisi del contesto attuale, tra le esigenze del mondo imprenditoriale e il rapporto con le banche, la politica e lo stesso sistema confindustriale. Quali sono le sfide che la Fondazione Mps è chiamata a superare? «L’ente è chiamato ad affrontare difficoltà in termini di attivo e di posizione debitoria. Noi lavoreremo alla stregua di imprenditori alla guida di un’azienda, cercando di far ritornare in tempi ragionevoli l’ente a svolgere la funzione che gli è riconosciuta dal suo stesso statuto, ossia quella di essere motore di sviluppo del territorio». Lei ha dichiarato che banche e imprese devono collaborare di più. Ci sono i margini affinché questo passaggio, così tanto auspicato, si realizzi in concreto? «Penso che tanti piccoli progetti siano già in fase di

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partenza. Servirebbe, in primo luogo, una grande iniezione di liquidità. Da una parte, molta dell’incapacità del sistema bancario di rispondere oggi alle esigenze del sistema produttivo risiede in nuove regole, nuove richieste che devono essere rispettate sul fronte del patrimonio: sono diversi i fattori che motivano la minore disponibilità delle banche a sostenere le imprese. D’altra parte, le aziende hanno chiaramente il loro bel da fare per migliorare la propria situazione patrimoniale ed essere meritori di credito. Diventa allora importante diversificare le fonti di accesso al credito, ricorrendo al private equity e ad altri strumenti. Alimentare una guerra tra banche e imprese


Antonella Mansi

Antonella Mansi, presidente della Fondazione Mps e vicepresidente di Confindustria

non serve, sono tra quanti credono che un dialogo serio, leale e consapevole possa essere il miglior mezzo per arrivare a una soluzione». Da cinque anni le imprese italiane affrontano una crisi strutturale. È più ottimista o pessimista circa le prospettive per il 2014 e, in generale, sulla capacità dell’Italia di uscire dalla fase recessiva? «Occorre essere realisti. Gli imprenditori sono ottimisti per definizione, non farebbero il mestiere che fanno se non avessero la capacità di trovare l’opportunità anche nei momenti di crisi. Oggi noi viviamo un periodo di estrema complessità, di cui dobbiamo prima di tutto essere consapevoli. I problemi si affrontano meglio se si ha la contezza della portata delle loro ripercussioni sulle nostre azioni. Cogliere gli elementi positivi è importante, tuttavia non dobbiamo dimenticare che vanno attuati aggiustamenti ed interventi, perché la competitività delle aziende è prima di tutto un tema che rinea | novembre 2013

LA CREATIVITÀ E L’INNOVAZIONE CAPACI DI GENERARE PRODOTTI SEMPRE UN PASSO PIÙ AVANTI DEGLI ALTRI RESTA UNA DELLE NOSTRE PRINCIPALI LEVE COMPETITIVE

guarda la competitività del sistema Paese». Aggregazione, innovazione, internazionalizzazione sono alcune delle parole chiave per l’impresa oggi. «Sono tutti temi su cui il sistema della rappresentanza si è molto speso e sono, di fatto, istanze che le nostre imprese portano in giro per il mondo. Chi oggi ha potuto affrontare la crisi con minori difficoltà e maggiori spazi ha avuto la capacità di riposizionarsi sui mercati che crescono in un mondo che gira a più velocità. La qualità dei nostri prodotti ha fatto la fortuna di questo Paese: la creatività, l’ingegneria e l’innovazione sufficienti a generare un prodotto che sta sempre un metro più avanti degli altri, resta tuttora una delle nostre principali leve

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Economia Antonella Mansi

ABBIAMO APPROVATO LA RIFORMA DELLA COMMISSIONE PESENTI, CHE SEMPLIFICA E SNELLISCE LA NOSTRA STRUTTURA. IN PRATICA, QUANTO CHIEDIAMO ALLO STATO

competitive. La rete è un’altra risposta alla complessità, perché se le aziende riescono a mettere a fattor comune le loro qualità hanno maggiori possibilità: di accedere al credito, di innovare, di andare all’estero e di muoversi coordinati in un’attività di promozione dei prodotti. Sono tutti ingredienti che fanno parte dell’attività imprenditoriale, sui quali però bisogna investire di più». Confindustria ha più volte presentato proposte per uscire dalla crisi. Ma quali restano gli interventi prioritari per risollevare il sistema economico? «Le proposte avanzate da Confindustria hanno come obiettivo quello di dare un effetto reale alle misure che si mettono in piedi, coordinandole e rendendole compatibili rispetto alle prospettive del nostro sistema industriale. Il sistema manifatturiero - va ribadito - è la nostra forza, quella che ci consente di restare legata all’economia reale e sulla quale occorre investire ancora. All’Italia serve, però, uno shock». In che senso? «Il Paese ha bisogno di una sferzata di energia, di un’immissione forte di liquidità - ricordiamo il tema fondamentale dei pagamenti della pubblica amministrazione alle imprese - e di mettere in pratica le riforme necessarie, prima fra tutte quella relativa alla 36

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semplificazione amministrativo-burocratica, che rappresenta una zavorra fortissima per le nostre aziende. Bisogna liberarsi dei cavilli e guardare l’impresa come un valore sociale e non come un soggetto a cui tarpare le ali». Nella Giunta Squinzi lei ha la delega all’organizzazione interna. Quali le linee guida dell’associazione e i progetti a cui verranno dedicate le principali risorse? «Il sistema della rappresentanza, con l’evolversi continuo del mondo delle imprese a cui fa riferimento e di cui deve essere motore di sviluppo, richiede una manutenzione continua dell’organizzazione, della capacità di rispondere alle esigenze delle imprese, di erogare servizi e di essere fattore di lobbying attivo propositivo ed efficace. Abbiamo di recente approvato il documento di attuazione della riforma della commissione Pesenti, che di fatto semplifica e snellisce la nostra struttura. Il mio compito sarà quello di dare vita a questo progetto, tramite statuti e nuove politiche organizzative. L’obiettivo è quello di ottenere, in un lasso di tempo ragionevole, un sistema più vicino alle imprese e meno burocratico, in pratica quanto chiediamo allo Stato. Pur nelle difficoltà, si mira ad agire in maniera drastica e repentina, volendo essere imprenditori anche nella rappresentanza».


Economia Federica Guidi

La crisi fa crescere la voglia di impresa La difficoltà economica che l’Italia sta vivendo genera disoccupazione, ma anche nuove opportunità. L’impossibilità di trovare un lavoro fa emergere nei giovani il desiderio di autoimprenditorialità. Ne parla la vicepresidente di Ducati Energia, Federica Guidi di Renata Gualtieri

econdo una ricerca condotta da Italia Startup, in collaborazione con Human Highway, sono 300mila gli aspiranti imprenditori e due su dieci vedono il momento economico sfavorevole come un limite; per la maggior parte di loro basterebbe trovare un adeguato finanziamento per creare una nuova attività. Il 21,9 per cento intende avviare la propria attività nel settore della ristorazione, mentre le tecnologie digitali catturano l’interesse del 13,7 per cento degli intervistati: in particolare il 7,4 per

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cento intende investire in servizi web, come e-commerce, comunicazione digitale e piattaforme di coworking, mentre il 6,3 per cento punta alla progettazione software e allo sviluppo di app: «È un segno delle potenzialità offerte dalle tecnologie digitali nella creazione di opportunità lavorative» ha commentato Federico Barilli, segretario generale di Italia Startup. Tuttavia, la creatività delle startup fa fatica a imporsi, sia per le difficoltà di accedere ai prestiti da parte delle banche sia per l’impossibilità di districarsi nella giun-

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Economia

I GIOVANI DI OGGI HANNO UNA CONSAPEVOLEZZA DIVERSA DELLA GREEN E NEW TECHNOLOGY

Federica Guidi, vicepresidente di Ducati Energia

gla di norme e permessi richiesti dalla burocrazia italiana. Federica Guidi, vicepresidente di Ducati Energia, il mondo dei giovani imprenditori lo conosce da vicino. Sia per la sua carriera di manager nell’azienda di famiglia (vi è entrata nel 1996), sia per la lunga esperienza come leader dei giovani imprenditori di Confindustria (prima in Emilia Romagna, dal 2002 al 2005, poi a livello nazionale: vicepresidente dal 2005 al 2008 e presidente dal 2008 al 2011). Ai futuri imprenditori, la manager emiliana consiglia «di annusare il momento, il mercato, per catturare le opportunità e dare una propria impronta a quello che rimane uno dei mestieri più belli, ma anche più difficili, del mondo». L’indagine di Italia Startup può diventare un richiamo per le aziende consolidate a investire nelle nuove imprese? «Ho il timore che questo momento congiunturale così difficile, dal quale per ora non vedo una via d’uscita, 38

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condizioni tutto. La voglia d’imprenditorialità, specie tra i giovani, che è una reazione spontanea alla crisi, si scontra con l’ambiente non favorevole in cui versano anche le aziende più consolidate. Stimolando l’innovazione e la ricerca, le aziende leader del made in Italy dimostrerebbero di credere nelle startup e nei nuovi modelli di business». Dunque, quale può essere il contributo delle grandi aziende allo sviluppo del potenziale d’imprenditoria che stenta a decollare nel nostro Paese? «Il ruolo che da sempre le medie e grandi aziende italiane hanno avuto, e che oggi purtroppo manca, è quello di fare da tramite per lo sviluppo di pmi e nuove realtà produttive, trainate da driver di sviluppo e dalle esigenze di mercato che le medie o grandi aziende creavano. Le condizioni in cui tutti siamo annegati fa affievolire la capacità delle grandi aziende di coinvolgere nuove realtà in-


Federica Guidi

dustriali o di far crescere quelle piccole già esistenti». Per il 31 per cento degli aspiranti imprenditori il modello di riferimento è il self-made man all’italiana, il 29 guarda alle grandi famiglie imprenditoriali, mentre un giovane su quattro è attratto dai guru dell’informatica. Ma qual è l’approccio migliore a suo avviso? «Non esiste l’approccio ideale. Ad esempio io, che posso essere considerata la seconda generazione, lavoro in maniera completamente diversa da come lavorava mio padre. Certamente ho avuto la fortuna di avere un modello a cui ispirarmi e l’opportunità di cimentarmi in una realtà già esistente assieme alle responsabilità che inevitabilmente un giovane imprenditore sente sulle sue spalle. Se potessi dare un consiglio a un ragazzo che inizia a intraprendere, gli direi di valutare bene se ha le caratteristiche giuste per fare questo mestiere e di annusare il momento, il mercato, per catturare le opportunità e dare nea | novembre 2013

una propria impronta a quello che rimane uno dei mestieri più belli ma più difficili del mondo». C’è oggi una consapevolezza diversa da parte dei giovani su temi quali l’impatto ambientale o le nuove tecnologie. Come questo si può trasformare in risorsa per l’impresa? «Sicuramente i giovani di oggi, anche rispetto alla mia generazione, hanno una consapevolezza diversa della green e new technology. È stata un’evoluzione naturale, a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, ma si tratta di un’occasione di cui non è facile approfittare. Tuttavia, tutto ciò che è amico dell’ambiente, tecnologicamente sostenibile o che riguarda l’impiego di fonti rinnovabili è un filone destinato a crescere nei prossimi anni. Anche aziende come la mia, che veniva da prodotti più tradizionali, ha compiuto questa svolta e ha mediamente delle performance migliori rispetto alle altre». 39


Economia

Più efficienza energetica L’industria italiana degli impianti termici è all’avanguardia in Europa, seconda solo alla Germania. Paola Ferroli, a capo di Assotermica, indica le opportunità per il risparmio energetico di Nicolò Mulas Marcello

li impianti di riscaldamento sono tra i principali responsabili della maggior parte dei gas a effetto serra rilasciati in atmosfera. Il loro ammodernamento è una delle priorità di cui si parla da anni in Europa. Un tema che, oltre a migliorare la qualità dell’ambiente, rappresenta anche un vantaggio in termini di economici: «L’efficienza energetica – spiega Paola Ferroli, presidente di Assotermica – rappresenta lo strumento più economicamente sostenibile per raggiungere gli obiettivi vincolanti sui consumi da fonti rinnovabili e sulla riduzione delle emissioni inquinanti». Com’è possibile promuovere l’utilizzo di energia da fonti rinnovabili? «L’utilizzo di energia è responsabile per circa l’80% delle emissioni in Europa e, di tutta questa energia, circa il 40% è consumata in massima parte per il riscaldamento, raffrescamento e per la produzione di acqua calda sanitaria. È, quindi, ovvio che le direttive europee spingano per ridurre i consumi degli edifici e promuovere l’utilizzo di impianti ad alta efficienza. Purtroppo l’Italia, benché costituisca il secondo mercato in Europa per gli impianti termici, non si è ancora data una vera e propria strategia energetica di lungo periodo perché mancano leggi e decreti attuativi che consentano agli operatori di fare una seria pianificazione industriale. Le opportunità date dal recepimento della nuova direttiva 2010/31/CE sulla prestazione energetica nell’edilizia e dalla direttiva 2012/27/CE sull’efficienza energetica sono tante

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Paola Ferroli, presidente di Assotermica

perché, in entrambe, si chiede di agire sull’immenso patrimonio edilizio esistente per riqualificarlo». È possibile tracciare un quadro del settore termotecnico italiano? «Pur tra tante difficoltà, il nostro Paese continua ad avere un’industria leader in Europa, che è seconda solo alla Germania. Se pensiamo ad alcune tecnologie per l’efficienza, quali la condensazione nel caso delle caldaie o il solare termico, l’Italia ha una quota di export superiore al 50%, a testimonianza dell’apprezzamento dei nostri prodotti al-


Paola Ferroli

l’estero. Ribadisco il fatto che alcuni Paesi hanno saputo attuare politiche innovative e di crescita di una filiera termotecnica di qualità, che sono assolutamente urgenti anche da noi. Proprio per questo motivo dobbiamo lavorare tutti assieme da subito per non accumulare ulteriori ritardi e mantenere la nostra competitività al pari dei concorrenti stranieri». Il governo ha previsto sgravi fiscali per chi decide di ristrutturare la propria casa. L’industria termotecnica italiana sta traendo vantaggio da questo provvedimento? «Gli sgravi fiscali sono di diversa natura, quelli dedicati alle ristrutturazioni edilizie, portati dal 36 al 50%, e quelli per la riqualificazione energetica, innalzati dal 55 al 65%, e recentemente confermati almeno fino al 2014. Da tempo stiamo chiedendo di rendere strutturali queste misure, che non possono essere messe in discussione tutti gli anni e, possibilmente, di ridurre il tempo di recupero della detrazione da 10 a 5 anni per renderla ancora più attrattiva per i cittadini. Speriamo che il governo abbia capito che le detrazioni fiscali non sono un costo per lo Stato bensì un investimento, in termini di minor dipendenza energetica del nostro Paese e di emersione del cosiddetto “sommerso”». Quali iniziative Assotermica ha messo in campo nea | novembre 2013

per supportare il settore? «La nostra associazione rappresenta la quasi totalità delle aziende del comparto. Come tale, ci stiamo muovendo su più fronti per cercare di promuovere i temi dell’efficienza energetica e dello sviluppo delle rinnovabili termiche. Cerchiamo di interloquire a tutti i livelli - politici e tecnici - con il Legislatore, sia in ambito nazionale che comunitario, tramite la nostra associazione europea. Attualmente, tra le varie iniziative, stiamo cercando di supportare una semplificazione della legislazione sullo scarico fumi per le caldaie a condensazione e una revisione degli obblighi di utilizzo di fonti rinnovabili in edilizia. Inoltre, è bene tener presente che decine di nostri tecnici, delegati di aziende associate che mettono a disposizione le loro competenze, lavorano presso i comitati tecnici del Cen, Iso, Uni, Cig, Cti e Cei dove si fanno le norme del settore, che sono lo strumento per competere alla pari e con regole chiare». 41


Lavoro e formazione

Ripartire dai giovani La disoccupazione giovanile preoccupa sempre di più, anche se in alcune aree si è verificata una timida inversione di tendenza. Le amministrazioni locali rispondono con progetti di formazione mirata. L’esperienza del Triveneto di Nicolò Mulas Marcello

dati pubblicati recentemente dall’Istat sulla disoccupazione giovanile in Italia parlano chiaro. A luglio la percentuale dei ragazzi tra i 15 e i 24 anni senza lavoro era del 39,5%, in aumento dello 0,4% rispetto al mese precedente e del 4,3% rispetto a un anno fa. Alla luce di questi dati, risulta interessante dare uno sguardo su quell’area del Paese un tempo definita dagli analisti la “locomotiva d’Italia”, il Nordest, per capire se ha smesso di correre e, soprattutto, quali azioni sono state intraprese dalla politica per arginare la situazione. Se confrontati con il resto d’Italia, gli indicatori curati dalla Regione Veneto delineano un tasso di disoccupazione regionale che nel secondo trimestre del 2013 è sceso al 7,5%, rispetto all’8,6% del trimestre

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precedente, ma è rimasto più alto di quello calcolato nel secondo trimestre del 2012. Per quanto riguarda i giovani, invece, i dati pubblicati da Palazzo Balbi rilevano che il 23,7% di loro è disoccupato. «Non possiamo certamente consolarci constando che il Veneto sta meglio rispetto al desolante panorama nazionale – ha affermato Luca Zaia, governatore del Veneto – perché 170mila disoccupati e un giovane su due senza lavoro in regione è più che allarmante». In Friuli Venezia Giulia la situazione è molto simile, con il 6,8% di disoccupazione totale e un tasso che oscilla intorno al 25% per quanto riguarda quella giovanile. «Se vogliamo dare una risposta a una larga fetta della nostra popolazione giovanile che oggi non trova sbocchi lavorativi


Le priorità del Nordest

– sostiene Debora Serracchiani, presidente della Regione Friuli Venezia Giulia – dobbiamo metterla nelle condizioni di riscoprire la capacità di fare impresa, anche rafforzando le azioni già avviate nei confronti dell’imprenditoria giovanile e femminile». E proprio queste capacità, insieme alla formazione, rappresentano un’opportunità che i giovani non possono perdere per entrare in un mercato che richiede sempre più competenze specializzate. Per quanto riguarda il Veneto sono quasi 5mila i progetti approvati e finanziati, riferiti alla programmazione del Programma operativo regionale del Fondo sociale europeo 2007/2013. Illustrando le strategie della prossima programmazione 2014/2020, l’assessore di competenza, Elena Donazzan, ha detto che le priorità della prossima programmazione saranno quelle di favorire l’occupazione e il sostegno alla mobilità, «prevenire il rischio di marginalità, attraverso l’inclusione attiva, la dispersione scolastica e garantire pari opportunità di accesso per uomini e donne e la qualificazione dell’offerta di istruzione e formazione». Anche in Friuli Venezia Giulia la formazione è un nea | novembre 2013

tema importante su cui proprio in questi giorni si sta discutendo sia per formare i giovani in ingresso nel mondo del lavoro sia per aiutare la reintroduzione nel mercato di chi il posto l’ha perso a causa della crisi. «Innanzitutto – ha spiegato Loredana Panariti, assessore al lavoro del Friuli Venezia Giulia – sarebbe necessario sostenere quelle persone che, per il tipo di lavoro che hanno perso oppure perché il lavoro non l’hanno mai trovato, sono ora escluse da qualsivoglia forma di sostegno al reddito. Un tale sostegno, tuttavia, non può prescindere dal potenziamento dei centri per l’impiego e da un’azione di orientamento e supporto nei confronti di queste persone. Ci siamo impegnando per avanzare entro fine anno una prima proposta di reddito minimo garantito per il Friuli Venezia Giulia». 43


Lavoro e formazione Debora Serracchiani

Dialogare con il governo Debora Serracchiani illustra le politiche di sostegno all’occupazione messe in atto dal Friuli Venezia Giulia. Tra queste, un decreto per giovani e imprese di Nicolò Mulas Marcello econdo le stime dell’Istat relative al secondo trimestre di quest’anno, la percentuale di disoccupati nel Friuli Venezia Giulia si attesta al 6,9%, evidenziando uno 0,4% in più rispetto allo stesso periodo del 2012. Timidi segnali di ripresa, però, iniziano a farsi sentire soprattutto tra le imprese che hanno investito su asset strategici. «Le politiche regionali nel campo delle attività produttive – spiega Debora Serracchiani, presidente della Regione Friuli Venezia Giulia – devono essere selettive perché le imprese non sono tutte uguali, ognuna ha esigenze specifiche». Possiamo fare un quadro generale della situazione occupazionale in Friuli Venezia Giulia alla luce della crisi economica? «La priorità in Friuli Venezia Giulia è il lavoro. Nella nostra regione, fino a pochi anni fa, vi era una situazione molto vicina alla piena occupazione. Oggi, dopo cinque anni di difficoltà economiche, la disoccupazione giovanile sfiora il 30 per cento. Pur in presenza di alcuni timidi segnali che fanno sperare in un’inversione di tendenza, siamo consapevoli che il percorso di fuoriuscita dalla crisi non sarà né breve né scontato. La lezione che ci viene da questi anni è che hanno resistito quelle imprese che hanno saputo investire in ricerca, innovazione, internazionalizzazione e competenze per superare la delicata fase di ricambio generazionale. È su queste leve che bisogna agire per consolidare il sistema delle imprese, che è il principale creatore di posti di lavoro». Quali sono le misure messe in atto dalla sua

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Da sinistra: Franco Iacop, presidente Consiglio regionale, Debora Serracchiani e Gianpietro Benedetti, presidente del Gruppo Danieli all’inaugurazione del Centro di ricerca e sviluppo della Danieli

SOTTOLINEO LA NECESSITÀ DI RIATTIVARE CON ROMA UN DIALOGO DI ALTO LIVELLO

con Letta e Luciano Pizzin, sindaco di Erto e Casso, al 50° anniversario del disastro del Vajont

giunta per la ripresa economica? «Nei primi cento giorni, tra i provvedimenti più significativi approvati, c’è un decreto anticrisi con il quale sono stati stanziati 180 milioni per imprese e lavoro, segnando così una netta discontinuità rispetto al recente passato. Con questo provvedimento, importanti risorse sono state destinate all’accesso al credito delle imprese e una posta consistente è stata accantonata con l’obiettivo di varare alcune misure di sistema per rilanciare l’economia e l’occupazione, con una specifica attenzione al contrasto della disoccupazione giovanile. Abbiamo poi varato lo Sportello unico per le attività produttive e sbloccato i pagamenti regionali. Al di nea | novembre 2013

là dell’emergenza, le strategie regionali puntano ad accompagnare il consolidamento delle imprese: riduzione della burocrazia, sostegno all’internazionalizzazione e all’innovazione, politiche attive del lavoro. La Regione deve essere presente in modo incisivo dove è in grado di accrescere l’attrattività del territorio, per favorire la nascita di nuove imprese che creino posti di lavoro in grado di mantenere attivo il mercato del lavoro». Per quanto riguarda il dialogo con il governo centrale qual è la situazione? «Fin dalle dichiarazioni programmatiche, ho sottolineato uno dei nodi politico-istituzionali più critici per la nostra regione: la necessità di riattivare con Roma un’interlocuzione di alto livello. È questo l’unico modo che abbiamo per vedere riconosciuto il nostro ruolo. Dichiarare guerra a Roma non serve a niente: dobbiamo collaborare perché, ad esempio, le infrastrutture utili al Friuli Venezia Giulia sono utili allo sviluppo di tutto il Paese. Per questo motivo ho destinato una parte importante del mio impegno alla continuità dei rapporti con ministri e sottosegretari del governo. Basta scorrere la mia agenda: sono a Roma praticamente ogni settimana e i risultati iniziano a vedersi. Cito solo due partite che siamo riusciti a sbloccare: la terza corsia dell’autostrada A4 Trieste-Venezia è stata inserita tra le opere strategiche del Paese; è stato finalmente riaperto il negoziato sul patto di stabilità, con la prospettiva di guadagnare importanti spazi finanziari nel bilancio dei nostri enti locali, attualmente allo stremo». 45


Lavoro e formazione

Un sistema integrato tra scuola e lavoro Una formazione d’eccellenza e il “sogno” di un politecnico veneto capace di soddisfare la domanda di specializzazione delle aziende. Elena Donazzan traccia un bilancio del lavoro svolto dal suo assessorato e delinea i percorsi futuri di Renata Gualtieri uasi 5mila progetti approvati e finanziati, di cui 4.328 avviati e 3.227 conclusi, che hanno coinvolto 272.555 partecipanti, per un totale di 686.801.609 di euro, il 97 per cento dell’importo programmato. Sono questi i dati della programmazione Por Fse 2007/2013 della Regione Veneto per rispondere all’emergenza occupazionale e creare le condizioni per far sì che i giovani e le aziende possano guardare al futuro con prospettive di crescita. Per centrare questi obiettivi sono state messe in campo risorse per l’alta formazione e quella professionale e per l’innovazione nelle aziende. «Ci avviamo verso la programmazione 20142020 – ha commentato l’assessore regionale all’Istru-

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zione, formazione e lavoro Elena Donazzan – potendo contare su un sistema di politiche più dinamico e su una rete più estesa. Da qui rilanciamo, con una nuova stagione che avrà quali priorità il lavoro e il sostegno alla competitività delle nostre imprese. E l’inclusione: a partire dalla scuola primaria, con l’obiettivo di ridurre le disparità e far emergere le eccellenze». Con quali politiche ha agito in questi anni il suo assessorato per realizzare l’integrazione tra la scuola e il mondo del lavoro? «Un’integrazione scuola-lavoro efficace passa attraverso l’interazione diretta tra imprenditore, allievo e docente. La formazione è, per certi aspetti, più avanti della scuola, sia perché per sua natura è chiamata a of-


Elena Donazzan PER FAVORIRE L’INCONTRO TRA ISTRUZIONE E IMPRESA ABBIAMO PUNTATO SU PERCORSI DI ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO, RIVOLTI AI GIOVANI DEGLI ISTITUTI TECNICI Elena Donazzan, assessore all’Istruzione, formazione e lavoro della Regione Veneto

frire sbocchi professionalizzanti, sia perché dispone di strumenti di alternanza, come gli stage, che fanno ormai parte integrante del curriculum. Per favorire l’incontro tra istruzione e impresa abbiamo puntato proprio su percorsi di alternanza scuola-lavoro, rivolti ai giovani del quarto e quinto anno degli istituti tecnici. La cultura sta cambiando, tanto che alcune grandi aziende venete stanno investendo risorse proprie per ospitare stagisti nel periodo estivo o realizzare laboratori in collaborazione con le scuole». La Regione ha investito nella formazione professionale 84 milioni di euro per 17mila studenti, di questi, quasi il 50 per cento ha trovato lavoro nei primi sei mesi. Quali i prossimi passi? «L’impegno dell’amministrazione regionale a favore dei giovanissimi è di primo piano e non muterà con la prossima programmazione. Il Veneto dispone di un sistema di formazione professionale articolato, che copre 23 qualifiche professionali, dal settore primario al manifatturiero, fino ai servizi. Tale sistema accoglie ogni anno circa il 12 per cento degli allievi in uscita dalla scuola media inferiore, attraverso percorsi triennali che portano al conseguimento della qualifica professionale di II livello. È un canale a cui teniamo molto, anche perché svolge un importante ruolo di contrasto alla dispersione scolastica». Quali le eccellenze formative? E dove, invece, ocnea | novembre 2013

corre intervenire? «Abbiamo scuole superiori di prim’ordine, che spesso vedono nostri studenti primeggiare nelle competizioni nazionali e internazionali. Ma penso anche alle università, che quest’anno hanno visto crescere le immatricolazioni, e a quelle facoltà che ogni anno occupano i vertici delle classifiche. C’è, però, un tassello che manca, non solo in Veneto. Per esempio un sistema di istruzione tecnica superiore a forte specializzazione, una sorta di canale professionalizzante alternativo all’università, in grado di erogare alta formazione in un dialogo continuo con l’impresa. Insomma, sogno una sorta di politecnico veneto che raccolga e valorizzi il saper fare dei nostri ragazzi e la domanda di competenze specialistiche delle nostre aziende». A proposito di saper fare, come “conservare” i mestieri di un tempo? «Per preservare i saperi antichi è necessario usare strumenti nuovi. Con il progetto “Giotto a bottega da Cimabue. La trasmissione dei saperi” abbiamo messo in campo tirocini e percorsi di alternanza scuola-lavoro, microcredito, servizi di assistenza tecnica e consulenza per favorire la nascita di nuovi imprenditori e agevolare il passaggio generazionale in azienda. Stiamo pensando anche a “staffette generazionali”, attraverso strumenti che incentivino il lavoratore vicino al pensionamento a svolgere una mansione di tutoraggio verso i giovani in entrata». 47




Anselma Dell’Olio, giornalista e commentatrice televisiva

Corto circuito made in Italy

Cosa sta succedendo alla cultura italiana? Perchè il nostro cinema e le arti non riescono più a varcare i confini nazionali? Perché l’Italia dà sempre più l’immagine di essere un Paese a sé? Anselma Dell’Olio, opinionista politically uncorrect ed esperta di cinema, prova a rispondere a questi quesiti, che possono valere anche per l’intera società. Una società che deve imparare a fare i conti con se stessa, anche quando il problema è la classe politica di Teresa Bellemo 50

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Sono vent'anni che Federico Fellini è scomparso. Un regista visionario, che ha fatto sognare il mondo, diventato una definizione. Oggi il cinema italiano sembra aver perso questo smalto. «È dagli anni 70 che ci domandiamo il perché dell’irresistibile declino del cinema italiano, dopo 30 anni in cui era considerato il migliore del mondo - non da noi - ma all’estero, da tutti. I fattori, come sempre, sono molteplici. C’è chi lamenta l’assenza di produttori creativi che rischiavano di loro, mentre oggi si tende a voler chiudere tutto il pacchetto prima per non sbagliare. Quel che vedo io, da un osservatorio ampio, è la povertà di idee. Si vira molto sul conformismo senza guizzi: immigrazione, disoccupazione, crisi, raramente con uno sguardo fresco. Nel Dopoguerra l’Ita-


Frecce avvelenate

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un film insolito e piuttosto bello, oltre che interessante: “L’arte della felicità”. È un film in animazione, filosofico-napoletano, ovviamente per adulti. Era in una sezione laterale, poco considerato, invece sarebbe dovuto essere in concorso. Ecco un'altra questione: se un cineasta è davvero originale, i direttori dei festival e i distributori non sanno che farci. Non so se “L’arte della felicità” è il segnale di qualcosa che si muove sottotraccia o un fenomeno unico. In un paese non meritocratico, poco attento al nuovo e molto alla raccomandazione, forse ci vorrà un altro stravolgente avvenimento come la guerra per svegliarci dal torpore, o almeno metterci in condizione di riconoscere il genio che esiste, ne sono certa, tra noi». Negli ultimi anni nell’agenda politica italiana ha preso fortemente piede la questione “morale”. Lei ha origini americane, dove la politica da sempre è intrisa di questa componente. Quali le differenze sostanziali, se ce ne sono? «Domanda impegnativa per una risposta corta. In breve, la differenza sta tra il moralismo ipocrita di sistema e magistrati organizzati in correnti politiche in Italia, un sistema giuridico che contempla “il libe-

ro convincimento del giudice”, e un paese, gli Usa, dove c’è la separazione delle carriere tra chi indaga e chi giudica, i magistrati indaganti sono eletti dal popolo, è obbligatoria una giuria popolare e l'esistenza di prove “oltre ogni ragionevole dubbio”. Su questo tema l’antologia di Guido Vitiello, “In nome della legge”, esamina le differenze tra i film giudiziari italiani e i “legal movie” anglosassoni. Raccomando in particolare il saggio introduttivo di Vitiello stesso, illuminante, da solo vale il prezzo del libro». La “repubblicana” New York ha eletto il suo nuovo sindaco. È Bill De Blasio, democratico, con una storia familiare molto particolare. Quando in Italia a destra e a sinistra si dice di volersi riferire al “modello americano” lei cosa pensa? Uno foto andrea brintazzoli

lia usciva dalla censura, dalla repressione del fascismo e da 5 anni di una guerra feroce, anche civile. Il Neorealismo faceva di necessità virtù (la povertà di mezzi, attori presi dalla strada) perché c’era un’impellente urgenza di raccontare quello che gli italiani avevano vissuto e sofferto. Fellini, sulla scia di Rossellini, ha inventato un cinema tutto suo, originale, onirico, indimenticabile. Il boom con le sue discrepanze sociali ha prodotto la commedia all’italiana, poi ci sono stati gli spaghetti western, un genere del tutto nuovo ed esportabile. Con gli anni 70 il genio si è esaurito, in concomitanza con un maggiore benessere generale, una maggiore istruzione, i figli bamboccioni unici e viziati. Guarda caso, oggi il cinema più interessante arriva da paesi in subbuglio con problemi gravi, come Israele e Romania (l’America è un caso a parte). Il nostro è un cinema artigianale, mai diventato industria plurivalente, come è accaduto in Francia. Quasi nulla è in grado di varcare i confini, non sembra esserci più la necessità forte di raccontare storie che interessano tutti». C’è qualcosa che invece si muove sottotraccia, che meriterebbe più spazio? «All’ultimo Festival di Venezia c’era

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Frecce avvelenate

ABBIAMO AVUTO E ABBIAMO POLITICI OMOSESSUALI E UN MINISTRO AFRICANO. NON MI SEMBRA CHE CANDIDATI COME OBAMA E DE BLASIO NON POTREBBERO ESISTERE IN ITALIA

come De Blasio, uno come Obama, in Italia potranno mai esserci? «Renzi ci sta provando. Vedremo se riesce a smuovere un partito ancora in mano agli antichi dirigenti elefanti. Il modello americano è: partiti leggeri, non mastodontici, dei semplici cartelli elettorali per gestire le primarie e la normale amministrazione delle elezioni. New York non è mai stata veramente repubblicana, ma Giuliani e Bloomberg hanno convinto gli elettori più dei loro avversari democratici. Hanno portato più sicurezza, agibilità, istruzione, business. Oggi si sta applicando la legge non scritta della politica americana “It’s time for a change”. Inoltre, i candidati sono sempre decisi dagli elettori e vige il “vinca il migliore” secondo il popolo, non quello più raccomandato. Lhota era il più qualificato, ma era un candidato scialbo. De Blasio ha meno esperienza, ma era un candidato superbo, con famiglia arcobaleno e una retorica del nuovo che ha convinto. Ha poi gestito mol52

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te campagne elettorali, anche quella di Hillary Clinton, un asso in materia. Abbiamo avuto e abbiamo politici omosessuali e un ministro africano. Non mi sembra che candidati come Obama e De Blasio non potrebbero esistere in Italia, tutt’altro. È claudicante il sistema e c’è resistenza al cambiamento autentico, punto». Molti commentatori affermano che i politici dovrebbero dare il buon esempio, perché è anche così che si sedimenta la democrazia, attraverso il rispetto delle istituzioni. È la classe politica ad aver dato il cattivo esempio o la politica è semplicemente lo specchio di come oggi è la società italiana? «Condivido l’aforisma attribuito a Joseph De Maistre: “Ogni nazione ha i governanti che si merita”. Non credo nel buon esempio, una pura ipocrisia. I politici sono comunque pescati tra noi, sono i nostri simili, non una razza a parte. Certo, se gangli importanti dello Stato decidono di

mettere, con pretesti risibili, cimici sotto i letti e nei bagni di chi gli sta antipatico, non si salva nessuno. Viviamo in una patria gestita dai magistrati, che con l’inaudita ipocrisia della cosiddetta “obbligatorietà dell’azione penale” fanno quel che vogliono. I politici sono sotto la loro sorveglianza, e governano solo se lo vogliono loro, e mi riferisco ai settori più impiccioni e con delirio d’onnipotenza della categoria giudiziaria. La separazione dei poteri in Italia è una pura ipotesi. Lo squilibrio del “judicial power” rispetto a quello esecutivo e legislativo è davanti agli occhi di tutti. Bisogna andarci piano a giudicare il comportamento delle persone nel loro privato, in particolare quando viene reso pubblico con metodi spicci, per non dire illegali. E nessuno paga. Ma va detto che la delusione per “la classe politica” non è riservata alla nostra nazione: si riscontra lo stesso atteggiamento in molti paesi, tra cui Usa, Gran Bretagna e Francia».


Frecce avvelenate

Un quadro a tinte fosche Lo dipinge Maria Giovanna Maglie, giornalista con l’abitudine di andare dritta al punto senza troppi giri di parole. Inviata di guerra e commentatrice politica, se guarda all’Italia è costretta a gettare la spugna: «Gli ultimi vent’anni sono stati devastanti». Uno scenario, quello italiano, desolante e privo di slanci, dove la responsabilità è di tutti, popolo sovrano compreso

Godiamo di un passato erto a modello, ma oggi il Paese sembra immerso in una sorta di declino. «Gli italiani sono i primi responsabili perché non si interessano delle due caratteristiche straordinarie di questo Paese: cultura e turismo. Due ricchezze ignorate innanzitutto dall’educazione e dall’istruzione. Questo è un paese fatto di ultrà di calcio, di brutta televisione, di qualche viaggetto, di un lamento costante e continuo. Io credo nella responsabilità individuale, però è vero che siamo afflitti da uno Stato elefantiaco e incapace». In cosa ha fallito? «Bisognava capire che l’industrializzazione forzata era finita, che ci si doveva concentrare su cultura e turismo; che il nostro grande comparto manifatturiero sarebbe stato insidiato dalla manodopera a basso costo, che serviva riconvertirlo. Per come la penso io, lo Stato dovrebbe occuparsi di meno cose possibile, invece il nostro si occupa male di tutto. Cultura ed economia sono sempre connesse. Se la prima fosse stata imposta come risorse economica, poi si sarebbe imposta anche come patrimonio individuale. È un problema di educazione, ci manca la cultura della pa-

di Teresa Bellemo nea | novembre 2013

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Frecce avvelenate

CULTURA ED ECONOMIA SONO SEMPRE CONNESSE. SE SI FOSSE IMPOSTA COME RISORSA ECONOMICA, LA CULTURA POI SAREBBE DIVENTATA ANCHE PATRIMONIO INDIVIDUALE tria e della bellezza». La nostra classe dirigente si è dimostrata inadeguata, vecchia, e i tentativi di rinnovarla sembrano sempre posticci o sono accusati di esserlo. «La gerontocrazia è sicuramente un cancro, ma in questo Paese i giovani riescono a essere ancora più vecchi dei vecchi. Hanno grande rabbia ma non sono migliori, perché sono cresciuti nel conformismo e nell’imitazione. Aspirano allo stesso tipo di Stato assistenziale, non combattono la burocrazia ma la politica. Vedo solo movimenti che bloccano ogni forma di sviluppo come i Notav, il cancro ecologista o il sindacalismo associativo. Un giovane di Confindustria non mi pare diverso da un vecchio associato».

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Forse allora serve un diverso corporativismo. «Ma no, è impossibile. Questo è un Paese di eterni bambini, in cui non si è mai fatto il passaggio dal concreto all’astratto. Un piede fa male, anche se non è il tuo quello a essere pestato. Una volta dissi a un politico che c’era un giornalista famoso che parlava male di tutti. Sminuì ridendo, fino a quando gli dissi che parlava male pure di lui». Ci sarà pur qualcosa di positivo… «No, il danno è irreparabile. Credo che per gli storici del futuro saremo il caso esemplare di come, in soli vent’anni, uno dei Paesi più industrializzati del mondo, prospero, sia passato a una condizione di terzo mondo, di desertificazione economica, con una caduta verticale della produzione culturale e caos politico. Le regole che abbiamo accettato ci hanno condannano alla sconfitta. La tassazione sul lavoro è tra le più alte del mondo. Oggi ormai si va in Svizzera, in Austria, dove il costo del lavoro è alto, ma c’è uno Stato pronto a collaborare, non a sabotare. Fuggono i cervelli, quelli che producono valore. L’Italia ormai addestra a sue spese lavoratori a cui però non sa dare le

adatte prospettive economiche, e li regala agli altri». Chi sono i responsabili? «Ovviamente i leader di partito, ma in mezzo c’è la burocrazia, il presidente della Banca d’Italia, il presidente della Repubblica. Da nessuno di questi potranno mai venire prospettive diverse. Mi preoccupa anche la rapidità con cui questo sta avvenendo». Lo Zanichelli aggiungerà di certo la parola femminicidio nel dizionario 2014. Cosa pensa di questa definizione? «Tutto il male possibile. È brutto il termine, poi dal punto di vista statistico, gli assassinii sono diminuiti o sono stabili, la cosa positiva è che vengono denunciati di più. Non credo che un inasprimento delle pene faccia cambiare questa subcultura. Prova ne è il fatto che, pochi giorni dopo l’approvazione della legge, un noto avvocato uccise la sua ex compagna. Chi meglio di lui poteva sapere a cosa andava incontro? Le donne vanno protette da vive. Ancora una volta si tratta di educazione, di opportunità economiche e di cultura, fatta anche di cattiverie, calunnie e gossip quotidiani».



Moda

Made in Italy 2.0 La moda italiana cambia volto. E se la domanda interna è ferma, non lo sono i mercati di riferimento, che stanno cambiando nuovamente distribuzione e geografia. Anche grazie agli smartphone di Teresa Bellemo on occorre essere abituali lettori di report economici per sapere che la nostra economia non sta navigando in ottime acque. Che il periodo sia difficile è cosa nota, anche perché oggi a soffrire di più è proprio la domanda interna, la più tangibile. E anche se la ripresa, come ha dichiarato lo stesso premier Letta, «è a portata di mano» sembra comunque il punto d’arrivo di un percorso lento, accidentato e ricco di incognite. In termini di fatturato, gli unici segni positivi, a settembre 2013, sono quelli riferiti al tessile-abbigliamento, con un +10,8 per cento, al legno (+3,4) e ai macchinari (+1,1). Compensare un mercato domestico in ribasso è sempre più complesso, nonostante dai mercati internazionali arrivino segnali che lasciano ben sperare. Gli ordinativi nell’abbigliamento, e in parte nel tessile, sono in crescita. Una performance che è rimasta sopra il tasso di sviluppo previsto (circa attorno ai 3-4 punti percentuali) e ha battuto quella dei big stranieri. Nell’ultimo semestre, infatti, il fatturato delle aziende legate al fashion è aumentato di quasi il 5 per cento, con alcuni brand capaci di sforare la doppia cifra. Si tratta di Brunello Cucinelli, con un più 16,2 per cento, Prada (+11,79 e Salvatore Ferragamo (+10,5). A colpire di più, in questo scenario, è la geografia degli ordini globali. Abituati negli ultimi anni a trovare nei paesi emergenti una delle poche valvole di sviluppo e di crescita, oggi il panorama sta cambiando, ancora una volta. Non si tratta più soltanto di buyer cinesi. Si torna a parlare di quei mercati cosiddetti tradizionali, che per decenni hanno apprezzato e fatto grande il made in Italy, ma che negli ultimi anni, complice la crisi, hanno fortemente ridimensionato i loro acquisti nel settore del lusso. In particolare, gli ordini sono in

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la stilista Miuccia Prada


I brand italiani salita negli Stati Uniti e in Giappone, due paesi che hanno rilanciato la crescita e dove i consumi di abbigliamento made in Italy sono consolidati. Non solo, a essi si affianca una ripartenza dei consumi domestici in Europa (esclusa la parte meridionale) e il boom dei mercati dell’Estremo Oriente, Cina esclusa, come Hong Kong, Macao, Singapore e il sud-est asiatico. L’inasprimento delle misure di lotta alla corruzione, una delle motivazioni che ha frenato la crescita del lusso in Cina, non ha tuttavia frenato il desiderio di made in Italy tra i consumatori del Celeste Impero. Si è, infatti, spostata altrove, proprio in quei paesi dell’Estremo Oriente che stanno invece aumentando i volumi delle vendite.

SEMBRA CHE QUALCOSA DI NUOVO SI STIA MUOVENDO ANCHE SUL FRONTE CREATIVO E DEL COSIDDETTO “FARE SISTEMA”

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La moda italiana è dunque in salute. Non solo dal punto di vista economico, ma sembra che qualcosa di nuovo si stia muovendo anche sul fronte creativo e del cosiddetto “fare sistema”, una tipica difficoltà delle realtà nostrane. Lo scorso 17 settembre Il Sole 24 Ore ha lanciato il “Manifesto della moda”. Questi i punti principali: investire sul territorio, garantire maggiori risorse alla creatività, puntare sulla formazione, offrire incentivi fiscali e spingere sull’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese. Un modo per attirare l’attenzione non solo della politica, ma anche di un sistema ben più globale, che in questi anni ha tentato di limitare sempre di più l’influenza delle settimane della moda milanesi. Da questo punto di vista è stato un segnale forte il ritorno dello stilista Ennio Capasa, di Costume National, a Milano. Dopo due decenni di defilé parigini, lo scorso settembre ha infatti presentato la sua collezione primavera-estate 2014 nella città meneghina. Ma non stanno cambiando soltanto mercati e gruppi di potere. In un mondo, quello della moda, votato al cambiamento, alla novità e al guardare al futuro, anche le modalità di approccio al marchio e all’acquisto stanno mutando profondamente. Anche nel nostro Paese. Basti pensare che sono 14 milioni gli italiani che comprano online, con un conseguente incremento di fatturato che non si vedeva dal boom della new economy. Nel 2013 gli acquisti via web in Italia sono infatti cresciuti del 18 per cento, generando un fatturato complessivo di 11,3 miliardi di euro. Un forte balzo avanti dovuto anche all’uso massiccio delle app, dunque agli smatphone: il mobile commerce da solo rappresenta oltre il 20 per cento della crescita, superando mezzo miliardo di euro. La quota maggiore di questo mercato arriva proprio dagli acquisti di abbigliamento, che fanno registrare un incremento del 30 per cento, il più elevato di tutti i settori. Un risultato ottenuto anche grazie ad alcune aziende che da molto tempo ormai hanno creduto nel web, come l’italianissima Yoox di Federico Marchetti, ma soprattutto per un cambio di paradigma generale. Il brand è sempre più vicino al consumatore, lo segue e viene seguito attraverso piattaforme social, dove l’intermediazione, perlomeno in apparenza, è nulla e la community, concetto molto in voga nei primi anni 2000, finalmente prende forma. 57


Moda

La moda che piace all’estero Per il tessile italiano è l’export la medicina contro la crisi interna. Serve investire su marketing, ricerca e innovazione per arrivare lì dove Italia è sinonimo di qualità di Teresa Bellemo iore all’occhiello della produzione italiana di qualità, la moda è da sempre il nostro biglietto da visita in tutto il mondo. Dal tessile all’abbigliamento, passando per la pelletteria e gli accessori, il made in Italy non conosce crisi, soprattutto all’estero. E quella dell’export sembra essere una strada obbligata da percorrere per il sistema moda italiano, che nel 2012 ha visto una riduzione del 10 per cento del proprio fatturato interno, nonostante i prezzi costanti. Un dato mai sperimentato dagli anni 70 che, stando alle previsioni, continuerà. In questo quadro, la crescita è affidata unicamente alla componente dei mercati non europei. Questi ultimi, infatti, hanno segnato un +6,4 per cento, con ottimi risultati in Russia, Cina, Giappone e Stati Uniti, mentre quelli dei 27 paesi Ue sono scesi di quasi 4 punti percentuali. L’Italia, soprattutto all’estero e nell’immaginario dei Paesi emergenti, sta dunque assimilandosi sempre di più al concetto di fabbrica del lusso. Mario Boselli, presidente dell’associazione Camera nazionale della moda italiana, lo conferma. «Nel mondo si dice che un abito è “bello e ben fatto” quando si parla di moda italiana. La nostra eccellenza sta in questo». Per questo serve spingere ancora di più sul fronte internazionale, dove risultano vincenti le imprese con un miglior posizionamento competitivo, aiutando le aziende più piccole a fare il salto di qualità. Quali sono i punti di forza e di debolezza del settore? «I punti di forza risiedono prima di tutto nell’eccellenza della filiera: una formidabile capacità di produrre moda, dal tessuto al prodotto finito. Sui mercati

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Mario Boselli

Mario Boselli, presidente della Camera nazionale della moda italiana

I PUNTI DI FORZA RISIEDONO PRIMA DI TUTTO NELL’ECCELLENZA DELLA FILIERA: UNA FORMIDABILE CAPACITÀ DI PRODURRE MODA, DAL TESSUTO AL PRODOTTO FINITO

in crescita la competitività italiana è molto elevata, il valore dell’export è di oltre 40 miliardi per l’industria della moda e per quanto riguarda le singole realtà aziendali il valore si attesta oltre i 2/3 del fatturato totale. I punti di debolezza, invece, riguardano principalmente le aziende piccole e medie che, a causa delle loro dimensioni, faticano a essere competitive sui mercati internazionali, soprattutto quelli lontani, che stanno crescendo più in fretta degli altri». Quali prodotti hanno più appeal nei mercati nea | novembre 2013

emergenti? «Un po’ tutti. A volte, anche per una questione di costi, i consumatori puntano sugli accessori, che permettono di acquistare un nome di lusso, un prodotto di alta qualità, senza far fronte a un investimento troppo impegnativo». E chi sono oggi i nostri concorrenti? «Sicuramente la Francia. I francesi sono competitor, ma anche confratelli, con loro abbiamo firmato un accordo tra simili e insieme difendiamo interessi comuni». Quali richieste avanzare alle istituzioni per essere ancora più competitivi a livello internazionale? «Noi non chiediamo particolare protezione, notiamo tuttavia che l’Italia ha un problema di competitività e le istituzioni dovrebbero intervenire maggiormente per tutelare le eccellenze italiane, come la nostra manodopera. Un grande problema è rappresentato dalla pressione fiscale, che rappresenta un grave handicap per le imprese e ha ormai raggiunto livelli insopportabili». Come rafforzare i legami con i paesi esteri? Quanto è utile organizzare eventi fuori dall’Italia? «Senz’altro è necessario accompagnare i nostri stilisti all’estero. La Camera della moda organizza varie iniziative fuori dall’Italia, questi progetti sono importanti soprattutto per le aziende di piccole e medie dimensioni che non hanno a disposizione le risorse economiche necessarie per raggiungere i mercati più lontani. È, inoltre, importante che gli stranieri vengano in Italia, in particolare buyer e stampa, anche tramite una serie di eventi ad hoc e di facilitazioni che rendano più interessante la loro presenza nel nostro Paese». 59


Moda

Geometrie, stampe e colore Laudomia Pucci porta avanti la tradizione della casa di moda fondata dal padre, che ha imposto con la sua creatività, quasi per caso, la stampa e il colore nel mondo, facendone un marchio di fabbrica di Teresa Bellemo a storia della maison Pucci s’interseca sin dall’inizio con l’idea di eleganza e di esclusività che ancora oggi, dopo più di sessant’anni di attività, continua a rappresentare. Emilio Pucci di Barsento, erede della nobile famiglia fiorentina dei Pucci, già durante gli studi inizia a disegnare i suoi primi abiti, molto influenzati dalla sua forte passione per la pittura. Ma è nel 1947 che inizia la vera e propria storia del marchio. Toni Frissel, fotografa della celebre rivista di moda statunitense Harper’s Bazar, nota un completo da sci composto da fuseaux e parka disegnati da Pucci per un’amica e decide di pubblicarli sulla rivista, decretando l’immediato successo dell’intuizione dello stilista fiorentino. È così che la maison prende forma, iniziando a delineare, collezione dopo collezione, gli stilemi che la renderanno famosa. Tessuti stampati dai colori vivaci, geometrie più o meno schematiche, ma comunque coloratissime, e stampe jacquard fanno in modo che già negli anni Sessanta Emilio Pucci venga definito il principe della stampa e del colore. Un marchio di fabbrica che ancora oggi fa riconoscere un capo Pucci al primo sguardo e che ha fatto innamorare della casa fiorentina, con sede a Palazzo Pucci in via de’ Pucci 6, personaggi celebri e non di tutto il

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Laudomia Pucci, vicepresidente e direttore immagine della maison Emilio Pucci

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Laudomia Pucci Villa Pucci di Granaiolo, Les Journé es Particulie` res, 15 e 16 giugno 2013

CREDIAMO AL VALORE DELLA FILIERA ITALIANA E AL PRODOTTO DI LUSSO CHE È NELLA MIGLIORE TRADIZIONE DEL MADE IN ITALY mondo. Oggi l’eredità della casa di moda (dal 2000 nel Gruppo francese LVMH) è passata alla figlia di Emilio, Laudomia, che cura l’immagine complessiva della maison. È lei che continua a diffondere la filosofia Pucci nel mondo, in un mercato sempre più internazionale, cercando comunque di mantenere fermi i due cardini della casa di moda: eleganza e qualità, curando anche il più banale dei dettagli. Secondo la filosofia della maison cos’è l’eleganza oggi? «Crediamo al valore della filiera italiana e al prodotto di lusso che è nella migliore tradizione del made in Italy. Emilio Pucci è sempre stato molto legato a questo concetto e crediamo che in un mercato vasto come quello odierno questo sia un segno distintivo molto importante, che sottolinea il valore aggiunto del prodotto». Che tipo di esclusività chiedono e si attendono i nea | novembre 2013

mercati dei Paesi in via di sviluppo? «Il lusso e la moda fanno sognare. Per questo ogni cosa deve essere curata, dal servizio alla qualità, dalla creatività fino all’ultimo dettaglio del packaging. Bisogna sempre creare l’eccellenza». Quanto conta per voi il legame con il vostro passato e quanto conta il futuro per concepire, non soltanto una collezione, ma il brand nel suo insieme? «L’evoluzione della moda è congenita nel sistema stesso. È nostro dovere evolvere rispettando i must del marchio nel loro insieme. La sfilata è il momento privilegiato - due volte l’anno - per esprimere questa evoluzione creativa». Non crede che in questo ultimo periodo, soprattutto in Italia, si abbia un po’ timore a parlare di lusso? Come reagisce il mondo della moda? «Nella nostra percezione il lusso sta per creatività e origini del “made in”, cioè di un’azienda che si esprime anche in maniera culturale». 61


Moda

Innovare nella tradizione Mentre molti marchi cedono alle lusinghe dei colossi internazionali, Laura Biagiotti mantiene saldo il suo 100 per cento. E accetta la sfida dei mercati puntando su una delle sue particolarità, essere un’azienda rosa da tre generazioni di Teresa Bellemo no dei settori che più identificano il nostro made in Italy, la moda, sembra non soffrire molto la crisi economica globale. Complici l’apertura dei mercati e i nuovi consumatori in quelli che un tempo venivano definiti Paesi emergenti, il lusso italiano sta cambiando i suoi orizzonti, ma gode di ottima salute. E Laura Biagiotti, storico marchio del fare all’italiana, fondato negli anni Sessanta da Delia Biagiotti, lo conferma. Prima stilista italiana a sfilare in Cina nel 1988, ha affidato la vicepresidenza del gruppo alla figlia Lavinia, che dal 1996 affianca la madre nella gestione della casa di moda. Inoltre, dal 2004 Lavinia è consigliere della Camera nazionale della moda e dal 2011 è nel cda di Pitti Immagine. Classe 1978, ha in sé la possibilità di intercettare tutti i cambiamenti che in questi anni stanno travolgendo la moda: social network, blogging, nuove piazze d’investimento. Tutte sfide che sembrano non preoccuparla troppo, dato che uno dei suoi motti è quello di non distinguere tra lavoro e gioco. «Come diceva Lao Tse, l’ideale è perseguire l’eccellenza in tutto quello che si fa, lasciando decidere agli altri se si stia lavorando o giocando. Ai propri occhi si sta sempre facendo entrambi». Come sta la moda italiana? «A questa domanda mi piace rispondere con un’affermazione di Albert Einstein: “La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il

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Lavinia Biagiotti Cigna, dal 1996 vicepresidente di Biagiotti Group, e Laura Biagiotti, presidente della maison

giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato”. La crisi è come una giungla affascinante che contamina lusso e mass market, vintage e avanguardie, facendo della bellezza un canone di ricerca e sperimentazione con infinite soluzioni. In conclusione, il made in Italy non è solo un vanto, ma soprattutto una risorsa, il nostro petrolio».


Lavinia Biagiotti Cigna

ESSERE STATI I PRIMI A SFILARE IN CINA CI HA PERMESSO DI AVERE GRANDE RICONOSCIBILITÀ E GRATITUDINE

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Sempre più maison vengono acquisite da holding estere. Quanto questo può influire nella catena creativa del brand e quanto snatura la tradizione del “ben fatto” italiano? «Il made in Italy è stato e rappresenta tuttora un enzima fondamentale della nostra società. Un fattore di successo, dovuto a originalità, specificità e flessibilità del sistema Italia, un pilastro portante e un asset della nazione. Il saper fare italiano non sempre viene snaturato da acquisizioni internazionali, agli occhi del consumatore la brand identity rimane legata alla storia e manifattura italiana anche per quei marchi che sono stati acquisiti da grandi gruppi esteri. D’altra parte, se un’azienda italiana vuole fare un salto qualitativo, può aver bisogno dei fondi sui quali basarlo. Noi ci teniamo salde il nostro 100 per cento del capitale azionario, nonostante i vari corteggiamenti. Il lusso più grande è avere in qualsiasi momento la libertà di scegliere, e anche di sbagliare». Laura Biagiotti è stata la prima stilista italiana a sfilare in Cina. Quanto conta oggi il mercato asiatico e quanto ha contribuito all’evoluzione del marchio? «Il 25 aprile del 1988, a Pechino, avvenne un evento unico al mondo nella storia italiana: Laura Biagiotti è stata la prima stilista italiana a sfilare nella Repubblica popolare cinese. L’eco che questo evento ha avuto sulla stampa di tutto il mondo ha segnato il senso dei tempi che mutano rapidamente, facendo affacciare al grande show del lusso e della qualità la popolazione più numerosa del mondo. A distanza di anni, il marchio Biagiotti sente ancora vivissimo il significato di quel viaggio ideale, del ritorno alle origini attraverso un filo di cashmere e di seta che lega l’amicizia di due grandi popoli e delle loro millenarie culture. L’essere stati i primi a incontrare la più grande comunità di donne nel mondo ci ha permesso di avere non solo una grande riconoscibilità, ma anche un senso di gratitudine. Questi valori rappresentano un asset per le attuali strategie e per nuovi progetti che contiamo di lanciare a inizio 2014».

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Moda Lavinia Biagiotti Cigna

GUARDARE AL FUTURO, ANTICIPARLO, IN CERTI CASI ANCHE DETERMINARLO, È NEL DNA DELLA MODA. IN QUESTO SENSO I GIOVANI SONO UN MOTORE DI CURIOSITÀ ED ENERGIA

La storia del marchio Biagiotti si percepisce in ogni sfilata. Quanto conta per voi l’attaccamento al vostro passato e quanto conta, invece, il nuovo per concepire non soltanto una collezione, ma il brand nel suo insieme? «La storia della nostra azienda passa attraverso tre generazioni di donne. Il comun denominatore è la cultura dell’impresa familiare, l’amore per il lavoro, la dedizione e un forte imprinting femminile, che comunque non precostituisce barriere di genere. La passione per questo mestiere, che affonda le radici nella tradizione ma trae la sua linfa dalle novità e dall’innovazione; il senso di sacrificio, che permette di rinnovare l’entusiasmo anche nei passaggi più difficili. Ricevere il testimone di un’azienda del made in Italy vuol dire accettare una sfida, mettersi in gioco, amare la tradizione ma soprattutto avere una visione, essere competitivi, non abbattersi. Servi umiltà, ma anche capacità di gestire simultaneamente più questioni e attività, attenzione agli aspetti sociali del progetto e del Gruppo, creatività e carica emotiva». Aumentano sempre di più gli stilisti che collaborano con catene di fast-fashion. Cosa ne pensa? «La moda da “consumare in fretta” è un’esperienza divertente, gratificante e per sua natura di breve durata. Trovo stimolante confrontarsi con questo nuovo tipo di acquisto, basato sulla velocità, mi affascinano le code

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quando vengono lanciate le limited edition. Personalmente amo molto la moda slow, che resta nel tempo, che rappresenta un piccolo patrimonio sia per il valore intrinseco che per quello emozionale». Il fashion blogging ha contribuito ad aprire le sfilate a un pubblico più ampio dei soli addetti ai lavori. Oggi le sfilate vengono trasmesse in streaming e, grazie ai social network, le collezioni si possono apprezzare immediatamente. Come si approccia il vostro brand a questi nuovi modi di comunicare la moda? «Il dna della moda è quello di guardare nel futuro, di anticiparlo, in certi casi anche di determinarlo. In questo senso i giovani sono un motore di curiosità ed energia. La sfida dei nuovi media si inserisce in un contesto globale di grande rivoluzione, che obbliga ad acquisire una vera e propria forma mentis volta a velocizzare il flusso di informazioni sul brand e i prodotti. I blog sono diventati un nuovo modo di fare informazione. Il fashion blog è un diario online in cui il blogger propone il suo gusto, il suo pensiero sulla moda. Come azienda abbiamo da sempre una grande attenzione al web e ai social, avendo lanciato il primo sito nel 1999, quando ancora pochissime griffe erano su internet. Personalmente poi sono un’amante di Twitter: in poche battute mi tengo aggiornata, coltivo le mie passioni e racconto le mie attività».



Moda

Nell’alta moda non ci sono compromessi L’esperienza di Pola Cecchi, divisa tra il fashion e l’arredamento e votata alla ricerca dell’eccellenza come unico antidoto alle difficoltà dei mercati. «Per chi ama possedere il pezzo unico» di Remo Monreale

reatività, cura dei dettagli, capacità di interpretare le esigenze. Queste le caratteristiche che permettono a un atelier di neutralizzare gli effetti di una crisi economica che non risparmia le eccellenze del made in Italy. Il pensiero di Pola Cecchi, l’imprenditrice e stilista erede della casa di moda fiorentina Giuliacarla Cecchi, non lascia dubbi: le intemperie che investono, tra gli altri, il settore del manufatturiero, si affrontano tenendo alto il livello qualitativo dei prodotti sia dal punto di vista dell’originalità sia da quello dell’esecuzione sartoriale, che rende ogni capo un pezzo unico e irripetibile. L’idea della Cecchi nasce da una lunga esperienza che l’ha vista alla prova anche in ambiti diversi: da anni, Cecchi si divide tra la moda e il design, portando avanti anche lo Studio Most, azienda di arredamento fondata dal fratello Marzio (architetto, tragicamente scomparso nel 1990) la cui attività è ripresa nel 2013 dopo circa dieci anni di fermo. «La mia visione d’impresa – afferma Pola Cecchi – mette al centro la tradizione artigianale e l’attenzione tipiche della migliore sartoria italiana, per esaudire le esigenze di una clientela amante dell’eleganza e dell’esclusività. Sia l’atelier sia lo studio si rivolgono da sempre a un pubblico di fascia alta che valuta, prima di ogni altra cosa, la qualità e l’unicità delle nostre realizzazioni e che per questo è pronto a spendere di più di quanto farebbe comprando capi ed oggetti prodotti su scala industriale. In altre parole, nonostante il momento di crisi, chi ama possedere il “pezzo unico” continua an-

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Pola Cecchi, art director dell’atelier Giuliacarla Cecchi e di Studio Most –organizzazione di architettura fondata da Marzio Cecchi con sede a Firenze. www.studiomost.it

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Pola Cecchi “la solidarietà” secondo Pola Cecchi: abiti scultura come immagine della Fondazione ANT presentati nel salone de’ Cinquecento lo scorso ottobre

LE ULTIME CREAZIONI, REALIZZATE SU RICHIESTA DELLA FONDAZIONE ANT SONO ABITI-SCULTURA PER I QUALI SONO STATI UTILIZZATI, OLTRE ALLA SETA PURA, ALL’ORGANZA DI SETA E AL CASHMERE, I NASTRI DI RASO

cora oggi ad acquistarlo. Più in generale, il mercato interno va bene, al pari di quello europeo e straniero, con particolare attenzione al Giappone e all’America». Quale valore aggiunto rappresenta, in tempi di crisi, un prodotto non standardizzato e di alta qualità? «Lavorare al di fuori di uno standard significa distinguersi e farsi apprezzare per la capacità di proporre qualcosa di veramente speciale e non duplicabile. Ma significa soprattutto superare l’idea del “marchio” come attestazione assoluta di qualità. Sono in molti, infatti, a credere che acquistare un prodotto di marca significhi garantirsi il possesso di un bene qualitativamente elevato. La mia opinione, invece, è che la qualità debba essere verificata sul campo, attraverso un rapporto diretto tra il cliente, lo stilista e il suo nea | novembre 2013

staff, creando un momento d’incontro indispensabile per far sì che tutti i passaggi, dall’ideazione alla scelta dei materiali, diano come risultato finale un prodotto fatto a misura del committente». Quali sono, nello specifico le caratteristiche che distinguono le vostre realizzazioni? «Non ci sono compromessi per chi, come noi, opera nell’alta moda. I tessuti devono essere necessariamente pregiati, e quindi seta e cashmere in primis. Ciò non toglie che per certi capi siano stati utilizzati sia materiali tecnologici come le reti metalliche sia poveri come il cardato. Le mie ultime creazioni, realizzate su richiesta della Fondazione Ant (per il Gran Galà del 18 ottobre scorso, nel Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio a Firenze), sono abiti-scul-

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Moda Pola Cecchi

tura per i quali sono stati utilizzati, oltre alla seta pura, all’organza di seta e al cashmere, i nastri di raso che rappresentano un vero e proprio leitmotiv della nostra storia sartoriale. Sono capi che hanno richiesto una grande maestria esecutiva per creare prima una rete a trame larghe ottenuta con l’intreccio dei nastri e poi avvolgere intorno all’abito un nastro di organza che completa e rende ancora più prezioso l’insieme. Lo stesso vale per gli abiti in seta beige, con reti di cashmere bluette punteggiate da strass, e per i quattro abiti con i quali ho inteso interpretare il concetto di solidarietà che ispira l’attività dell’Ant. Ogni vestito è composto di 65 strisce di organza colorata, appuntate con uno strass e contornate da una rifinitura in tinta che le sostiene, rendendole simili a dei petali: tutti insieme interpretano la solidarietà come sentimento che nasce da un’azione corale e sinergica». Quali sono le costanti che caratterizzano le realizzazioni dello studio Most? «Come nel caso della moda, anche in quello del design la qualità e l’unicità costituiscono l’obiettivo del nostro lavoro. Riprendere l’attività dell’azienda dopo dieci anni di pausa ha significato, perciò, ripartire dai punti fermi della produzione passata, a cominciare dalle maestranze artigiane, molte delle quali lavorano da tempo per noi, e da alcuni classici della nostra storia aziendale, come il piumino da letto: in seta reversibile, è dotato di un soffietto che consente di muoversi comodamente senza il rischio di disturbare il partner. I progetti in cantiere sono molti, tra questi abbiamo terminato di recente l’arredamento di una stanza da letto all’interno di un elegante appartamento fiorentino, che ha previsto la realizzazione di un letto-scultura. Questo è caratterizzato da una testata imbottita e rivestita di fasce di seta sui diversi toni dell’arancio, fornito di comodino incorporato e completamente sfoderabile, per non sacrificare in alcun modo la funzionalità che un oggetto di uso quotidiano deve avere. L’armadio di legno laccato arancio 70

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è interamente coperto di ottone molato e concepito in modo da creare delle onde che si propagano lungo tutta la parete e che proseguono sopra le tende della portafinestra. Fondamentale per la riuscita del progetto è stato avvalerci di un’equipe di cui fanno parte alcuni tra i migliori maestri artigiani fiorentini». Quali obiettivi e sfide vi aspettano? «Tra gli obiettivi futuri, quello cui tengo di più, specie da un punto di vista affettivo, consiste nel bandire un premio nazionale per festeggiare i cento anni dell’atelier GiuliaCarla Cecchi. Un anniversario importante, in occasione del quale una giuria sceltissima premierà un giovane stilista, tra quelli provenienti dalle accademie e dai corsi universitari. Per quanto riguarda le sfide, invece, ho in mente di istituire un master di alta formazione rivolto ai giovani che abbiano voglia di fare esperienza sul campo e di capire concretamente cosa significa creare un capo d’alta moda».



Agricoltura

Sostegno ai giovani e difesa del made in Sono questi i nodi ancora da sciogliere per il ministro dell’agricoltura Nunzia De Girolamo. Che sulla sicurezza dei nostri prodotti puntualizza: «sono sicuramente i più controllati, le produzioni agricole del nostro Paese hanno residui chimici 5 volte inferiori alla media europea» di Francesca Druidi Italia registra il numero di certificazioni di qualità dei prodotti agroalimentari più elevato a livello comunitario e anche l’export del comparto mantiene quote significative. «Il settore agroalimentare è storicamente al centro dell’economia italiana – evidenzia il ministro – ed è anche uno dei pochi, in questo scenario di contrazione dei consumi, a mantenersi vitale e in trend positivo. Credo sia fondamentale, per il rilancio dell’intera economia nazionale, fare in modo che venga valorizzato e incentivato». Un obiettivo che parte da basi importanti, individuate dalle risorse previste dalla nuova Pac varata a fine giugno dall’Unione europea. Quali sono i programmi a breve e lungo termine volti a sostenere il comparto agroalimentare? «Bisogna agire per rilanciare il settore, favorendo soprattutto il ricambio generazionale. Dobbiamo motivare i giovani a tornare in agricoltura, far capire loro che è un settore forte e su cui vale la pena investire. Per questo, mi sto impegnando attraverso misure concrete che incentivino il loro ingresso nel comparto, come la maggiorazione del 25 per cento degli aiuti diretti, che abbiamo reso obbligatoria, e facilitino l’accesso al credito e alla terra. Infine, ho intenzione di agire in difesa del made in Italy, aiutandolo

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Il ministro Nunzia De Girolamo durante il suo intervento alla giornata mondiale del Fao il 16 ottobre scorso

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Nunzia De Girolamo

a crescere sui mercati internazionali». Per quanto riguarda il settore ittico? «Importanti passi avanti sono stati fatti con la riforma della Politica comune della pesca (Pcp), che entrerà in vigore già dal prossimo gennaio. Tuttavia, la chiusura di questo accordo non esaurisce il mio impegno a livello europeo: ho intenzione di proseguire il dialogo nell’ottica di dare nuovo ossigeno a un comparto molto importante per l’Italia. Il vero punto chiave sarà riuscire a trovare un equilibrio tra la necessità di far respirare le risorse marine e le esigenze di chi di pesca ci vive, affinché le misure a tutela degli stock ittici siano sempre contemperate alle esigenze dei territori su cui impattano». Quali traguardi l’Italia è riuscita a raggiungere a Bruxelles con l’approvazione della Politica agricola comune 2014-2020? «È stato fatto un buon lavoro e l’esito delle trattative lo dimostra. Penso, ad esempio, all’esclusione delle nea | novembre 2013

coltivazioni arboree e del riso dagli obblighi previsti dal greening, al miglioramento della convergenza interna, alla maggiorazione del 25 per cento degli aiuti per le imprese condotte da giovani, che abbiamo reso obbligatoria nei primi 5 anni di attività. Nell’ambito dello sviluppo rurale sono state previste anche agevolazioni per le startup e sono stati creati dei sottoprogrammi tematici per l’imprenditoria femminile». Sul fronte dell’Organizzazione comune di mercato quali risultati sono stati ottenuti? «Siamo riusciti a tutelare il settore del vino con un sistema di autorizzazioni che sarà in vigore fino al 2030, così come abbiamo fatto ammettere a intervento il frumento duro. Altra novità è la programmazione produttiva per i prosciutti a denominazione d’origine. In ogni caso, inizia ora una partita tutta italiana: dobbiamo riuscire a impiegare i 52 miliardi di euro per rilanciare la nostra agricoltura e dar vita a una vera politica agricola nazionale».

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Agricoltura

DOBBIAMO RIUSCIRE A IMPIEGARE I 52 MILIARDI DI EURO DELLA PAC PER RILANCIARE LA NOSTRA AGRICOLTURA E DAR VITA A UNA VERA POLITICA AGRICOLA NAZIONALE

Come favorire e accompagnare le imprese agricole nei sempre più necessari processi di internazionalizzazione? «Con i ministri Bonino, Bray e Zanonato abbiamo già previsto la creazione di una “cabina di regia per l’Italia internazionale”, dove abbiamo inserito anche le organizzazioni di categoria dell’agricoltura, per avviare una grande operazione di rilancio della nostra immagine all’estero. L’Expo 2015 sarà il nostro banco di prova. Si tratta di un’occasione di promozione dei prodotti italiani che non possiamo perdere e che servirà a raddoppiare le nostre esportazioni e a rafforzare la nostra presenza sui mercati internazionali. Nel frattempo, dobbiamo continuare a comunicare, a far conoscere i 74

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nostri prodotti ai consumatori stranieri, attraverso la piena sinergia con la rete delle ambasciate italiane e dell’Ice. Il mondo cerca i nostri prodotti perché sono i migliori. Con questa consapevolezza, allora, dobbiamo lavorare duramente, per assicurare che il made in Italy sia riconosciuto e riconoscibile e trovi il posto che merita nello scenario globale». Un tema cruciale anche per l’agroalimentare è rappresentato dall’illegalità. Con quali strategie si può contrastare questo fenomeno? «La contraffazione e l’Italian sounding sono processi illegali che minacciano i nostri prodotti sui mercati internazionali. Siamo produttori di eccellenza e, in quanto tali, tutti cercano di imitare i nostri prodotti


Nunzia De Girolamo

Piemonte, agricoltura di confine L’agroalimentare vince nell’export, perché all’estero il gusto e la qualità italiani sono sempre più apprezzati. Lo spiega Maria Teresa Melchior, presidente di Confagricoltura Donna Piemonte agricoltura piemontese riscuote sempre più successo sui mercati esteri, dove il gusto e la cultura italiani sono un concetto da valorizzare sempre più. Maria Teresa Melchior, presidente di Confagricoltura Donna Piemonte, illustra come l’imprenditoria femminile rappresenta oggi una leva positiva, capace di mantenere le tradizioni e valorizzare la territorialità. Qual è il peso dell’export tra le imprese vostre associate? «L’export è diventata una via obbligata per i nostri prodotti, vista la contrazione dei consumi interni. Il mondo del vino è uno dei settori più vivaci nella commercializzazione all’estero e le imprese agricole gestite da donne rappresentano ormai un terzo del totale, abbiamo associate che esportano l’80% della loro produzione, ci

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sono delle pioniere che già negli anni 80 partivano con i loro prodotti verso le fiere europee e nordamericane. Ora il movimento è verso nuovi mercati quali quelli dell’est asiatico». Con quali strumenti l’associazione supporta le imprenditrici associate? «Siamo relativamente giovani, stiamo quindi cominciando a costruire in collaborazione e sinergia con la nostra associazione nazionale, di cui sono consigliera, una strategia comune in questa direzione. Intanto è importante la conoscenza reciproca poiché la valenza di associazioni come la nostra è anche nello scambio di esperienze, cosa che favorisce una crescita professionale ma anche personale. Favorire la valorizzazione dei nostri prodotti all’estero è uno dei nostri obiettivi, tuttavia le complicazioni burocratiche che le nostre aziende devono affrontare rischiano di mettere in difficoltà il loro lavoro quotidiano. Questo è ciò che continuiamo a ribadire in tutti i tavoli, a livello regionale e provinciale, ai quali siamo invitate». Settore agricolo e vitivinicolo: un connubio che si dimostra sempre più vincente? «Il settore vitivinicolo è strettamente legato all’agricoltura: un buon vino è il frutto del lavoro fatto in cantina, ma anche di una buona vendemmia. Dietro a una bottiglia c’è sempre un territorio, che certamente le capacità femminili sanno valorizzare al meglio». Quali gli aspetti innovativi delle donne imprenditrici? «Le imprenditrici agricole sono innovative, applicano la tecnologia nel loro quotidiano, basta pensare all’automazione di tutte le attività del ciclo produttivo, spesso sono le prime ad avere il coraggio e la volontà di sperimentare. Altro fattore importante da registrare è la capacità e il desiderio che dimostrano le imprenditrici di lavorare in rete, elemento che certamente aiuterà la non semplice sfida che ci attende per lo sviluppo delle nostre aziende».

all’estero. Un fenomeno che ci danneggia a livello economico, con una perdita di circa 60 miliardi di euro, ma non solo. Si tratta di una vera e propria gabbia che ci impedisce di crescere, di creare occupazione, di dare riconoscimenti ai produttori che ogni giorno s’impegnano a lavorare bene e legalmente. Per questo, intendo fare in modo che qualità, affidabilità delle etichette e tracciabilità dei passaggi di filiera verso i mercati finali, sia nazionali che internazionali, diventino strumenti di trasparenza e controllo a tutela dei produttori italiani onesti e di tutti i consumatori». nea | novembre 2013

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Interpreti del gusto

Quando la cucina è una sfida Tenere insieme anguria e foie gras nello stesso piatto non è facile e nemmeno rivisitare la cucina laziale senza far arrabbiare i trasteverini. Cristina Bowerman pare esserci riuscita di Teresa Bellemo rrivare in cucina non seguendo il destino ma per «legge empatica». È così che Cristina Bowerman racconta il suo approdo nel mondo della ristorazione. Una laurea in giurisprudenza, i viaggi all’estero, gli Stati Uniti e il graphic design. È questo il background culturale che, inaspettatamente, la porta per curiosità a sperimentare con gli ingredienti. Tutto inizia a San Francisco, dove mentre studia legge prepara cappuccini e crepes in una coffee house. Da lì passa ad Austin, in Texas, per prendere una laurea in Culinary arts. Qui il caso deve, però, essere in qualche maniera complice, dato che apre i battenti la scuola parigina “Cordon Bleu”. Si iscrive. L’anno dopo è già a Roma, prima al Convivio e poi, nel 2005, entra in Glass Hostaria, nuovo locale a Trastevere, che con la tipica tradizionalità del quartiere sembrava avere poco a che fare. Nonostante ciò, l’indirizzo inizia a passare di taschino in borsetta e il risultato è la consacrazione con la stella Michelin. Nel 2012 sempre a Roma, assieme ai fratelli Roscioli, ha aperto un nuovo spazio chef&baker, il Romeo. E, intanto, Cristina Bowerman continua a studiare, a sperimentare, a viaggiare per cercare ingredienti innovativi che inaspettatamente stanno benissimo assieme. Del resto con la sua cucina fusion-contemporaneo-tradizionalelocale non si può che essere cittadini del mondo.

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La chef stellata Cristina Bowerman

Sempre più chef intraprendono questo percorso magari dopo una carriera lavorativa ben avviata o la laurea. È capitato anche a lei. Come mai, cosa scatta? «Se devo rispondere per me, penso subito alla sfida. Dopo una laurea, un viaggio negli Stati Uniti, l’incontro con mondi diversi e affascinanti, in me è scattata la voglia di andare oltre: un desiderio di rivoluzione e conoscenza. Come nel mito delle colonne d’Ercole, conoscere per me equivale a superare continuamente i miei confini e stabilirne di nuovi da raggiungere. In questo senso parlo di sfida. Dopo gli studi, ho deciso di viaggiare e di andare a vivere all’estero, portando con me la passione per la cucina. Sono andata in America, dove ho lavo-


Cristina Bowerman

MI RITENGO UN’ACCANITA SOSTENITRICE DELLA FONTE CERTA E CERTIFICATA, PIUTTOSTO CHE DELLA FILIERA CORTA rato in ambiti lontani dai miei studi, come il design, e mi sono formata in particolare nel briefing design, specializzandomi nel settore food. L’apertura di Cordon Bleu mi ha dato la chiave per comprendere che potevo diventare chef con un metodo a me congeniale: studiando. Non si tratta quindi di caso, per quanto mi riguarda non è lui il padrone degli eventi. Una sorta di legge empatica governa l’incontro con quei mondi che finiscono per appartenerci più di altri». Il suo ristorante è nel cuore di Roma, a Trastevere. Cosa c’è della cucina tradizionale nei suoi piatti? «Nella mia cucina il rapporto con la tradizione è elemento fondamentale della modernità. Trastevere è il cuore di Roma, e a sua volta lo è il Glass. Ogni giorno quando esco di casa mi confronto organicamente con questo specchio per cui provo un grande rispetto. Glass è una miniatura modernissima alla fine di Vicolo del Cinque, in uno dei quartieri più pittoreschi e storici di Roma. In questo contrasto il passato e la modernità si mischiano ma non si sovrappongono. Si tratta di un confronto che non minaccia le identità». Una ricetta che più di altre la rappresenta? «Se dovessi riassumere tutto questo, chiamerei a testimoniare il mio “pastrami di lingua”, il risultato di ciò che intendo per cucina italiana moderna. Volevo nea | novembre 2013

onorare la tradizione laziale, ma anche rievocare il gusto del sandwich di pastrami, che personalmente adoro. Inoltre è un finger food, quindi racconta pienamente il nostro tempo». Partendo da questo come riassumerebbe la sua idea di cucina? «Cerco di assecondare e realizzare la dimensione transculturale del cibo, seguendo ispirazioni che prendono il passato e lo ricontestualizzano attraverso il torchio della modernità o lo filtrano da una diversa lente culturale. La lingua, per esempio, esprime il mio modo giocoso di confrontarmi con il passato, rispettando la storia culinaria laziale, che ha un’identità molto forte. Parto dal principio che il cibo racconti lo spirito del tempo in quanto elemento duraturo di ogni cultura. Nel cibo si scrive una parte della nostra storia. Mi ritengo un’accanita sostenitrice della fonte certa e certificata, piuttosto che della filiera corta. Mi piace aggiungere elementi extra-ordinari ai miei piatti perché credo nel valore e nel risultato di tale alchimia. Mi piace, insomma, immaginare la mia cucina come uno spazio in cui tradizioni e materie prime internazionali differenti convivono armoniosamente. Ho un particolare feeling con la cucina asiatica, da cui ho imparato l’importanza dell’umiltà e il valore della formazione continua». 77


Interpreti del gusto

Una chimica ai fornelli Nel cuore della Maremma toscana si trova il ristorante da Caino, nato come osteria e diventato negli anni meta di tour gastronomici. In cucina, Valeria Piccini, che per passione ha abbandonato il becker per il colino di Teresa Bellemo endel per provare la genetica ha scomodato i piselli. Ma ogni tanto basta guardare da che famiglia si proviene per capire cosa saremo. Perché, si sa, la mela non cade mai troppo lontano dall’albero. Se la mamma e la nonna hanno passato la loro vita a cucinare per il gusto della convivialità e per la golosità di preparare ottimi piatti della tradizione, ci si può anche diplomare in chimica, ma l’attrazione per tegami e fornelli sarà irresistibile. È da questo vissuto che nasce la passione per la cucina di Valeria Piccini, chef nel ristorante di famiglia in Maremma, da Caino, e da qualche tempo anche dell’Hotel St. Regis di Firenze. Una passione per le cose autentiche, per le preparazioni tradizionali, tipiche del territorio dove è nata e dove opera, la Toscana. Aveva vent’anni quando è entrata per la prima volta nella cucina dell’osteria della suocera, e proprio lei è infine arrivata a concedergli la gestione della cucina. Fare tutto da soli, da autodidatti, in un settore sì molto rigoroso, ma altrettanto estroso e creativo sembra essere stata la ricetta giusta. Oggi Valeria Piccini è chef a due stelle Michelin, e la cosa a cui tiene di più nel suo lavoro, e nella sua passione, è «quando i clienti riescono a percepire il sapore e l’emozione che sento per il mio lavoro. Se passa questo messaggio, mi emoziono a mia volta». Ha accettato la sfida di seguire anche il St. Regis di Firenze. Com’è arrivata a questa decisione? «È nato tutto molto spontaneamente. Noi cercavamo

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Valeria Piccini, chef del ristorante da Caino


Valeria Piccini

Ravioli di cinta senese in brodetto di gallina e castagne La sfoglia: impastare la sfoglia con due uova e le farine, un pizzico di sale, un cucchiaio di olio e lasciar riposare per una mezz’ora.

Ingredienti Δ

100 gr. di farina 00

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100 gr. di farina di semola

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3 uova

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250 gr. di magro di cinta senese

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50 gr. di salsiccia di cinta senese

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450 gr. di castagne crude sgusciate

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100 gr. di lardo

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100 gr. di sedano

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100 gr. di carote

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100 gr. di cipolla

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100 gr. di porri

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100 gr. di zucchine

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400 cl. di brodo di gallina

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10 cl. di crema di latte

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olio, aceto balsamico, timo, odori, vino bianco

una vetrina, una città importante dove operare, e la città di Firenze da questo punto risultava perfetta. Dall’altra parte, loro cercavano uno chef che riuscisse a dare un’impronta toscana alla cucina di quest’albergo. E così ci siamo trovati». Soltanto dopo gli studi scientifici si è avvicinata alla cucina per affezione, quasi per ereditarietà dei caratteri. Se chiude gli occhi quale aroma riesce a sentire? Qual è il piatto della sua vita? «Quello a cui sono più legata per ricordi, e che mi nea | novembre 2013

Il ripieno: rosolare il magro di maiale insieme alla salsiccia in una casseruola con gli odori, unire il vino bianco, lasciarlo evaporare e finire la cottura con l’aggiunta di brodo di gallina. Frullare il tutto unendo la crema di latte e un uovo. Il brodetto: in un tegame a bordi alti far rosolare il lardo con un po’ di olio, sedano, carota, cipolla, porro e timo. Unire le castagne dopo averle lessate, farle stufare e unire il brodo di gallina. Cuocere a fuoco basso per mezz’ora, frullare il tutto e passare allo chinoise. Stendere la sfoglia, tagliare dei piccoli cerchi e fare i ravioli con il ripieno. Cuocerli in abbondante acqua salata. Disporre in un piatto un mestolo di brodetto di gallina e le castagne, adagiarvi sopra i ravioli e guarnire con le verdure. Tagliate a dadini zucchina e carota, saltate con l’olio, alla fine unire l’aceto balsamico tradizionale.

manca di più, è quell’insieme di prodotti che oggi è difficile reperire. Sto pensando, ad esempio, al formaggio fatto in casa, una cosa che mia nonna e mia madre facevano e che se ora chiudo gli occhi vedo ancora davanti a me, insieme a quell’odore e quel profumo davvero unici. La ricotta, fatta in casa insieme a mia nonna, con il latte della nostra stalla è un ricordo indelebile». Non ha mai pensato di farlo di nuovo per il suo ristorante? «Purtroppo è complicato. Oggi, nonostante io desi-

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Interpreti del gusto Valeria Piccini

LA CUCINA TRADIZIONALE OGGI È SINONIMO DI UNA MINUZIOSA RICERCA DEI PRODOTTI DEL TERRITORIO

deri molto riprendere questa tradizione familiare, in realtà è molto difficile metterlo in pratica a causa dei numerosi regolamenti e delle leggi in vigore su questo ambito. Ma abbiamo comunque dei fornitori fidati e di qualità, che ci permettono di fare molti piatti, come il nostro gelato al latte di capra e falso pepe del Perù». Come riassumerebbe la sua idea di cucina? «La mia cucina deve lasciare un segno, essere succulenta, riempire la bocca con i propri sapori. Non solo, deve anche riempire l’anima e lo spirito, e ricordarti di quello che mangi. È a questo che penso quando cucino, quello che vorrei che i miei clienti ricordassero dei miei piatti: i sapori e il gusto». C’è un piatto a cui è maggiormente affezionata? «Di sicuro i ravioli di cinta senese. In un unico piatto è presente un insieme di gusti che ti fa sorprendere a ogni boccone e ti riempie il palato con tutte le sue sfaccettature». 80

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Cosa significa oggi cucina tradizionale? «Secondo me la cucina tradizionale oggi significa mettersi alla ricerca dei prodotti del territorio, perché i sapori autentici, veri, si ottengono solo se la materia prima è quella giusta. Detto ciò, si tratta di preparare ricette tradizionali, con un occhio di riguardo per le cotture e per i grassi. Se le ricette di una volta, oltre a essere buone, dovevano sfamare per davvero, oggi questo bisogno non c’è più, non abbiamo più quella fame “ancestrale”. Per questo le preparazioni devono essere alleggerite nei grassi, nelle cotture e nelle preparazioni. In quest’ottica è molto importante l’utilizzo dei grassi giusti, utilizzare il meno possibile i grassi animali e usare grassi vegetali come l’olio d’oliva toscano, che è una risorsa davvero fondamentale. Se la materia prima è quella giusta, dopo aver eliminato lo strutto o il lardo, le ricette tradizionali non cambiano, se non in minima parte. I piatti della tradizione sono ottimi comunque, anche se viene utilizzato l’olio d’oliva».



Cavalieri del lavoro

Baluardi di competitività «Crescita, sviluppo, competitività delle imprese e del Paese sono i temi fondamentali sui quali focalizzeremo la nostra attenzione nei prossimi tre anni». La sfida dei Cavalieri del lavoro per il neo presidente Antonio D’Amato di Leonardo Testi on le nomine dei nuovi 25 Cavalieri del lavoro lo scorso 2 giugno, si attesta a 590 il numero degli imprenditori e delle imprenditrici che hanno ricevuto l’onorificenza istituita nel 1901 per valorizzare il merito e la capacità di chi opera nell’industria, nel commercio, nell’artigianato, nel settore primario e in quello assicurativo e creditizio, con importanti ricadute sul sociale e, in particolare, sull’occupazione. «Con questa importante onorificenza – sottolineava il 31 maggio scorso Benito Benedini, allora presidente della Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro – viene premiata l’eccellenza dell’imprenditoria italiana, da nord a sud». Parole rinsaldate il 15 ottobre, giorno della consegna ufficiale delle onorificenze, quando Benedini ha ricordato anche la premiazione dei 25 giovani Alfieri del lavoro: «Donne e uomini che provano l’orgoglio e la soddisfazione di chi vede riconosciuto il proprio contributo al mondo dell’impresa, dell’economia, del lavoro e dello studio. Persone consapevoli di essere chiamate, con questo atto, a rinnovare il loro impegno, mettendosi a disposizione del Paese per concorrere a costruirne il progresso con spirito di servizio, professionalità e responsabilità». Nel suo discorso al Quirinale, Benedini ha rimarcato come la centralità dell’industria e del lavoro debba essere il fulcro della politica economica e lo snodo attorno al quale co-

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Il passaggio di consegne tra Benito Benedini e il neo eletto presidente della Federazione, Antonio D'Amato


La consegna delle onorificenze

la cerimonia del 15 ottobre scorso nel salone degli arazzi del Quirinale

struire il rilancio dell’Italia. «Nessuno ha dubbi in merito: è tempo che gli interessi di parte lascino il posto al rispetto per gli italiani». Il 15 ottobre è anche la data che ha segnato il cambio al vertice della Federazione nazionale dei Cavalieri del lavoro, fondata nel 1923 per riunire tutti gli insigniti. Benito Benedini ha, infatti, passato il testimone ad Antonio D’Amato, eletto all’unanimità dall’assemblea, è diventato presidente dopo aver guidato – dal 2008 allo scorso ottobre – il gruppo del Mezzogiorno dei Cavalieri del lavoro. «Ciascuno dei nominati ha contribuito al progresso delle proprie aziende, ma anche del contesto in cui ha operato», ha dichiarato D’Amato, «Oggi i Cavalieri sono chiamati a dare un contributo decisivo per la ripresa economica del Paese». Ricevuta l’onorificenza nel 2005, D’Amato, che nel suo curriculum vanta anche l’incarico di presidente di Confindustria (2000-2004), è a capo dal 1991 del Gruppo Seda, attivo nella produzione dell’imballaggio alimentare, il cui quartier generale è ad Arzano, in provincia di Napoli. «Ci troviamo in un momento in cui occorre ridare fiducia – ha proseguito l’imprenditore – mettere insieme le energie più vitali perché il Paese progredisca verso il futuro, giorno dopo giorno, con azioni coerenti. In questo senso, i Cavalieri del lavoro contribuiranno con impegno al rilannea | novembre 2013

cio del tema della competitività, strada maestra per riprendere a crescere, creare lavoro e aprire nuove opportunità». D’Amato non si arrende a un passivo declino dell’Italia, ma invita il sistema Paese al recupero della coesione politica e istituzionale attraverso l’improcrastinabile appuntamento con le riforme strutturali: taglio della spesa pubblica, riduzione della pressione fiscale, riforma del mercato del lavoro. «Crescita, sviluppo, competitività delle imprese e del Paese sono i temi fondamentali sui quali focalizzeremo la nostra attenzione nei prossimi tre anni». Attraverso una serie di iniziative, ricerche e studi, la Federazione dei Cavalieri del lavoro porta avanti un’azione di approfondimento sui principali temi dello sviluppo sociale e imprenditoriale. Particolare rilievo lo assumono, inoltre, le iniziative nel campo della formazione di giovani talenti impegnati in percorsi formativi di eccellenza, con l’assegnazione di borse di studio e borse di sviluppo e merito. 83


Cavalieri del lavoro

Sul filo della tradizione Nei suoi tessuti convergono l’inventiva e l’intuito imprenditoriale, ma anche l’amore per la famiglia e per un territorio, San Leucio, vocato all’arte serica. La storia di Annamaria Alois, neo Cavaliere del lavoro di Francesca Druidi

suoi tessuti si possono ammirare nelle dimore degli sceicchi, nei paramenti del Patriarcato di Mosca, in film come “L’altra donna del re” o nella serie televisiva “I Borgia”. Annamaria Alois rappresenta la quinta generazione di una famiglia di imprenditori tessili che a San Leucio, a pochi passi dalla Reggia di Caserta, porta avanti la lavorazione della seta. «Sono una cultrice della tradizione cui appartengo» confessa l’imprenditrice casertana. Del resto, a San Leucio l’arte serica non incarna solo un’attività produttiva, ma è parte dell’identità e della storia del territorio, eredità della Real Colonia vo-

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luta da Ferdinando IV di Borbone nel Settecento. Con la sua azienda, e con il marchio “Annamaria Alois San Leucio”, fondati nel 1986, l’imprenditrice ha rinverdito la fama dei tessuti di San Leucio nel mondo, reinventando la tradizione in nome della diversificazione e della sperimentazione. Instancabile e appassionata, Annamaria Alois ha unito la sua creatività alla razionalità e alla capacità di risoluzione dei problemi tipiche della matematica, disciplina in cui si è laureata. Nonostante l’arte serica appartenga da generazioni alla sua famiglia, la seta non doveva essere il

il museo all’interno del Belvedere di San Leucio, in provincia di Caserta

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Annamaria Alois L’imprenditrice Annamaria Alois, nominata a giugno Cavaliere del lavoro

suo futuro. «Sono cresciuta all’interno dei setifici di famiglia, come la Raffaele Alois e figli, l’azienda nata nel 1885 e che apparteneva a mio padre e ai suoi fratelli. Ma le regole prevedevano che solo i maschi Alois potessero lavorare nelle aziende. Il mio percorso è nato anche come una sfida, quella di rompere con gli schemi del passato. Mi sono laureata in matematica e per tre anni sono stata ricercatrice universitaria presso la “Federico II” di Napoli, ma non ho mai smesso di dare una mano nelle attività di famiglia. Intanto, ho studiato tecnica tessile da autodidatta, con l’aiuto del professor Delio Pappalardo dell’Istituto d’arte di San Leucio, oggi ottantenne, ma con il quale spero di sviluppare ulteriori progetti per promuovere la manifattura serica. La mia prima attività è stata quella di trasformare i tessuti dell’azienda di mio padre in sacchetti per i confetti, un’idea che ho messo in pratica organizzando il mio matrimonio. Mi sono indirizzata verso un mercato che funzionava e ho iniziato a partecipare a fiere nazionali ed estere; importante è stata anche l’esperienza al centro orafo “Il Tarì” di Marcianise, dove ho potuto far conoscere i miei tessuti». La “Annamaria Alois” ha così preso forma. «Il mio è stato il primo brand a San Leucio, con il quale ho voluto fortemente ancorare il mio cognome e l’identità dei tessuti al territorio. Ho iniziato a produrre damaschi, spolinati, broccati impiegandoli in complementi d’arredo con lavorazioni artigianali, basandomi su disegni di epoca borbonica recuperati negli archivi storici. Così ho dato vita a un mercato dell’oggettistica dove la stoffa era protagonista, creando un indotto dell’artigianato locale. Ai mercati nea | novembre 2013

esteri è destinato l’80 per cento della mia produzione: dopo Dubai, di grande interesse sono i progetti che sto sviluppando con l’Arabia Saudita e la famiglia Al-Thani in Qatar, e poi c’è la Corea, la Russia, gli Stati Uniti e il Giappone, paesi che richiedono collezioni coordinate. Per questo motivo, ho deciso negli ultimi anni di diversificare ulteriormente la produzione, firmando oggetti di ceramica di Capodimonte abbinati ai tessuti». Ha sempre unito tradizione e innovazione. «Sì, ho cercato di armonizzare antico e moderno per far rivivere i tessuti dando loro un’identità ben precisa, frutto della tradizione ma anche di uno sguardo inedito per quanto riguarda colori e disegni. La sensazione di realizzare un tessuto non si può spiegare: sovrapporre armature per generare effetti diversi, scoprire se l’idea che avevi in mente e hai disegnato e progettato tecnicamente, al telaio funziona e piace, dar sfogo alla creatività e alla parte di me più prag-

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Cavalieri del lavoro Annamaria Alois

IL MIO È STATO IL PRIMO BRAND A SAN LEUCIO, CON IL QUALE HO VOLUTO FORTEMENTE ANCORARE IL MIO COGNOME E L’IDENTITÀ DEI TESSUTI AL TERRITORIO

matica e razionale». Come è nato il rapporto con le produzioni cinematografiche e televisive? «Il Sannio Film Festival, la kermesse internazionale dedicata al cinema in costume diretta dal mio amico Remigio Truocchio, ha portato in zona alcuni dei migliori costumisti del mondo, tra cui Sandy Powell, vincitrice di un Premio Oscar. La grande costumista ha visitato l’azienda e si è innamorata dei miei tessuti, che ha voluto per realizzare i 300 abiti del film “L’altra donna del re” di Justin Chadwick. Inoltre, avendo rapporti consolidati con la sartoria Tirelli di Roma abbiamo prodotto i tessuti per la serie televisiva americana “The Borgias”. Le produzioni cinematografiche e televisive costituiscono un ottimo trampolino di lancio per le nostre creazioni; anche se richiedono metraggi ridotti, assicurano una promozione internazionale efficace». Quali sono i suoi obiettivi per il futuro? «Con il sostegno dei Cavalieri del lavoro, vorrei istituire la Fondazione San Leucio affinché, con il fallimento di alcune aziende tessili, i vecchi setifici di Piazza della Seta non siano venduti e adibiti ad altre destinazioni. L’obiettivo è quello di mantenere il legame tra il prodotto e il suo territorio di origine, evitando di trasferire completa86

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mente la lavorazione della seta in provincia. Al centro di quest’operazione di marketing territoriale c’è, dunque, la creazione di un borgo della seta, dove verrebbe offerta ai produttori e agli artigiani del complemento l’opportunità di continuare un’attività che è parte della storia del nostro territorio e dell’Italia. Nel progetto, il Museo della seta ospitato nel Belvedere di San Leucio diventerebbe un’esposizione a livello mondiale del tessuto e di tutto ciò che ruota intorno al suo straordinario universo, dall’antiquariato al design fino ai costumi, portando sul territorio architetti e interior designer, ma anche costumisti, scenografi e stilisti, dando infine impulso anche al turismo». Un progetto dalle ricadute importanti sul territorio. «Non solo potrebbe ridare lavoro a tanti tessitori che, per effetto della crisi, hanno perso il lavoro, ma dovrebbe essere una fucina di progetti per coinvolgere soprattutto i giovani, sia nell’apprendere l’arte tessile che nell’impiegare nuove idee e talenti in laboratori di design, scenografie e moda. Queste declinazioni produttive dovrebbero interessare anche la scuola e progetti formativi per le nuove generazioni. Da vent’anni insegno ai ragazzi all’Istituto tecnico industriale di Caserta e avverto l’esigenza di trasmettere una professionalità concreta agli studenti».


Cavalieri del lavoro Nicoletta Fontana

Regista di me stessa Progettare significa concepire nuove idee, avendo il coraggio di sovvertire gli schemi. Nicoletta Fontana lo ha fatto, puntando su design, colore e innovazione di Francesca Druidi nche la stanza da bagno, come tutti gli ambienti domestici, riflette i cambiamenti che sono avvenuti negli anni all’interno della società italiana. E da alcuni anni il bagno è diventato il luogo dedicato al benessere, dove, grazie a nuovi materiali e soluzioni d’arredo, le proposte si fanno sempre più personalizzate alle diverse esigenze. Autentica pioniera di questa nuova concezione è Nicoletta Fontana, pre-

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Nicoletta Fontana, presidente e amministratore delegato di Regia, nominata Cavaliere del lavoro nel 2013

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sidente e amministratore delegato di Regia, azienda di mobili e complementi d’arredo per il bagno che ha fondato nel 1988. Il suo contributo alla valorizzazione del made in Italy le ha recentemente permesso di essere nominata Cavaliere del lavoro. Un ulteriore traguardo per l’imprenditrice milanese, che ha fatto della sperimentazione su colori e materiali le proprie linee guida, imprimendo uno stile unico ai suoi prodotti. Cosa l’ha spinta a creare un’impresa tutta sua? «Come esprime bene il nome dell’azienda, Regia, è stata la voglia di creare qualcosa di nuovo nel settore dell’arredo bagno con le mie idee e le esperienze maturate negli anni precedenti nel medesimo comparto, ma con un prodotto più economico. C’era, quindi, la voglia di non ripetere lo stesso percorso ma di cambiare, concentrando gli sforzi sulla produzione di accessori per il bagno destinati a un pubblico moderno, giovane e anche giovanile. Ho puntato fin da subito sul colore, in contrasto con il bianco e il cromato, che allora dominavano nel bagno degli italiani». Ha incontrato particolari difficoltà nello sviluppo di un

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Cavalieri del lavoro

progetto così innovativo? «A dire la verità, le difficoltà maggiori le sto registrando negli ultimi quattro anni, con questa crisi che ha intaccato soprattutto il mercato italiano in evidente contrazione. Quando ho avviato Regia, gli oneri finanziari erano alle stelle, ma era un buon momento sia sul fronte dell’accoglienza del prodotto da parte del mercato che dal punto di vista della distribuzione». Quali sono stati i passaggi chiave nell’evoluzione di Regia? «Innanzitutto, eravamo partiti con l’idea di realizzare un’oggettistica più semplice, accessori e non mobili. Questo è stato, dunque, il primo passaggio fondamentale: affrontare il mobile, oltre che l’accessorio e il complemento d’arredo. L’altro snodo chiave riguarda l’innovazione nei materiali. Seguendo la scia del colore a ogni costo e della trasparenza del colore, insieme a una professionista della materia plastica e a un mio fornitore abbiamo studiato il vetro 88

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ghiaccio, un materiale composto da resine di poliestere e pigmenti vetrosi che avevo in testa e che anche oggi usiamo praticamente soltanto noi. Il vetro ghiaccio permette di realizzare diversi tipi di lavorazione, ma senza dover ricorrere a stampi costosi e adatti a una produzione in serie di numerosi pezzi». Quale ritiene sia stato il suo contributo alla crescita del settore dell’arredo bagno? «Nei sei anni di presidenza di Assobagno credo di aver lavorato alla costruzione di un gruppo forte che oggi non ha tentennamenti ma cresce nonostante la congiuntura economica, grazie anche all’impegno dell’attuale presidente. Il contributo al settore di cui vado più fiera è l’ingresso del bagno nel Salone del mobile. È stato un passo importante per il comparto, che ho voluto fortemente e ho portato avanti insieme ai miei associati, riuscendo a ottenere la prima partecipazione di venti aziende dell’arredo bagno. Allora il bagno non aveva un’identità precisa, era associato


Nicoletta Fontana

IL CONTRIBUTO DI CUI VADO PIÙ FIERA È L’INGRESSO DEL BAGNO NEL SALONE DEL MOBILE. È STATO UN PASSO IMPORTANTE PER IL COMPARTO

al settore delle piastrelle oppure a quello idrotermo-sanitario. Legarlo al mondo del design, dell’arredamento e della casa, ha fatto compiere al comparto un decisivo salto di qualità». Da profonda conoscitrice del settore, come si posiziona il prodotto italiano rispetto ai competitor internazionali? «L’ingresso al Salone del mobile, orientato ai mercati esteri, ha contribuito a diffondere l’immagine del mobile bagno italiano oltre confine, perorando la strada verso l’internazionalizzazione. Le fiere del settore lo indicano chiaramente: il prodotto italiano possiede un’armonia, un fascino e una suggestione tali da renderlo ancora attrattivo rispetto a quello dei competitor internazionali, che pure fanno leva sul design. Certo, restano le criticità dovute ai costi del lavoro in Italia, che spesso costringono le aziende a delocalizzare all’estero per restare sul mercato. Occorre continuare a puntare sul prodotto, sorretto da qualità, servizio e un design forte e unico». nea | novembre 2013

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Investire nell’arte

Troppe tasse, e le aste vanno all’estero

Performance negative per piccoli commercianti e antiquari, che abbandonano le loro attività. A guidare gli affari sono i grandi nomi delle aste internazionali. Ma, a causa della burocrazia, stanno ridimensionando la loro presenza in Italia di Renata Gualtieri econdo Nomisma il volume delle compravendite nel settore dell’arte in Italia ha un valore complessivo 1,5 miliardi, ma il nostro Paese non dimostra grande attrattiva per i grandi collezionisti. Christie’s e Sotheby’s, i due big del settore, pur avendo ridotto le sessioni di vendita in Italia, registrano incassi da record contro la sofferenza delle piccole case d’incanto. A Milano, lo scorso 22 aprile, Christie’s ha aggiudicato un quadro di Fontana, “Concetto spaziale”, tre tagli, sfondo rosso, 1964, per 757mila euro, cinquantamila in più della stima iniziale. Gli altri 3 pezzi aggiudicati oltre le stime minime sono stati due opere di De Chirico - per 568mila euro ognuna - e un Alberto Burri a 392mila euro. Cristiano De Lorenzo, responsabile comunicazione di Christie’s, ricorda che «in Italia non ci sono le condizioni per opere di alto livello. È stata una piazza centrale nell’ultimo decennio, ma ora ci sono restrizioni sulle esportazioni che fanno allontanare i compratori stranieri. E gli italiani non sono abbastanza.

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Come cambia il mercato

L’arte sfida il tempo Stabilire il valore di un’opera d’arte è spesso difficile, specie per un pubblico estraneo al settore. La gallerista Laura Trisorio ci aiuta a capire cosa determina oggi il valore di un’opera on esiste una differenza fra uomo e donna nelle quotazioni delle opere. Le dinamiche che determinano il valore di un’opera sono complesse e dipendono da tanti fattori. «Un artista - spiega Laura Trisorio (nella foto) ha successo quando riesce a entrare nel circuito delle gallerie e dei musei internazionali, quando è inserito dai critici nelle mostre di richiamo ed entra nelle collezioni più rinomate. Tutto questo incrementa il valore di mercato di un’opera d’arte». Come sceglie gli artisti da ospitare nel suo spazio espositivo e attraverso quali iniziative li promuove sul mercato? «Scelgo gli artisti secondo la linea di ricerca della nostra galleria, che ha quasi quarant’anni di storia. Li seguo a lungo prima di decidere di ospitare una loro mostra. Li promuovo proponendo il loro lavoro ai collezionisti, ad altre gallerie e spazi pubblici in altri Paesi e attraverso le fiere internazionali». Quali sono gli artisti o i filoni più seguiti, quali le qualità che devono avere per imporsi sul mercato e come quest’ultimo è cambiato negli anni della crisi? «Sono tanti gli artisti interessanti. La cosa difficile però per un artista è reggere il mercato a lungo termine. Troppo spesso assistiamo a dei veri e propri exploit che finiscono come bolle di sapone. Con la crisi molte gallerie hanno chiuso e con esse sono scomparsi dal mercato tanti artisti. La crisi funge anche da selettore naturale: reggono gli artisti che hanno basi solide, onestà intellettuale, resistenza, che non seguono le mode del momento ma che sono coerenti con la propria ricerca. E poi ci vuole anche tanta fortuna di fare gli incontri giusti». Ci nono artiste a cui guarda con interesse? «Guardo con estremo interesse al lavoro di tre artiste: la spagnola Eulalia Valldosera, la tedesca Rebecca Horn e la coreana Kimsooja. Tutte e tre in modo diverso esprimono nei loro lavori una forza straordinaria, un’anima potente. Sono sicura che il loro lavoro reggerà la sfida del tempo». RG

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Uno straniero che acquista un oggetto di antiquariato deve aspettare circa 40 giorni per ricevere l’ok e così la maggior parte delle persone rinuncia». L’Italia soffre molto per le severe regole sulle esportazioni delle opere, che tengono lontani i grandi investitori e i collezionisti internazionali, e per la tassazione. Claudio Borghi Aquilini, docente di economia e mercato dell’arte all’Università Cattolica di Milano commenta: «L’Iva oggi è al 21 per cento, andrebbe agevolata. D’altronde, il gettito è così basso, visto che lo scambio tra privati è esente, che se anche detassassimo totalmente, lo Stato non perderebbe nulla ma emergerebbero le transizioni». Secondo i dati della Camera di commercio di Milano nel 2012 le imprese del settore attive in Lombardia costituivano il 18,4 per cento delle imprese italiane: 450 tra negozi e gallerie, 39 case d’aste, 250 antiquari e 75 vetrine di numismatica, filatelia e collezionismo. Dal 2009, le attività sono calate dell’8,9 per cento, da 894 a 814, e a Milano un’impresa su dieci ha

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Investire nell’arte Come cambia il mercato

L’ITALIA SOFFRE MOLTO PER LE SEVERE REGOLE SULLE ESPORTAZIONI DELLE OPERE, CHE TENGONO LONTANI I GRANDI INVESTITORI E I COLLEZIONISTI INTERNAZIONALI

cessato la sua attività. Artprice, numero uno mondiale dei dati sul mercato dell’arte, ha reso nota la classifica dei 500 artisti che hanno venduto di più in aste internazionali nel 2012. Cresce il mercato orientale e sono 21 gli italiani in classifica. Tra i contemporanei viventi, Maurizio Cattelan è al 370esimo posto, Enrico Castellani al 389esimo, Arnaldo Pomodoro nella posizione 450, seguito da Michelangelo Pistoletto (451). Ai vertici della classifica, troviamo Andy Warhol, seguito dal cinese Zhang Daqian e da Pablo Picasso. Benché gli esperti d’arte occidentali sostengano che i nostri gusti difficilmente sposeranno quelli orientali, in Italia fa parlare di sé la prima gallerista cinese d’arte Peishuo Yang che dichiara: «Cerchiamo di distinguerci dal concetto che l’Italia ha del commercio cinese. Lavoriamo con magnati e grandi aziende, non al fianco della comunità cinese classica. Oltre a essere la prima e unica galleria cinese in Italia, con una sede a Shanghai, offriamo soluzioni di business consulting a chi vuole partner occidentali nel mercato dell’arte; in cambio chiediamo solamente di entrare 92

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con una quota nella nostra associazione artistica. Investire in arte occidentale è uno dei primi interessi dei cinesi benestanti». Il mercato dell’arte contemporanea nel mondo, sempre secondo i dati della società Artprice, è cresciuto del 15 per cento nel 2012-2013 superando per la prima volta il tetto del miliardo di euro. Dal luglio 2012 al giugno 2013, il prodotto delle vendite di arte contemporanea opera di artisti nati dopo il 1945 si è attestato a quota 1,047 miliardi di euro, pari a 140 milioni in più rispetto al periodo corrispondente del 2011/2012. Per contro, il mercato dell’arte nel mondo ha fatto segnare un leggero ribasso (-2,4 %), attestandosi a 8,092 miliardi di euro nel 2012/2013. L’arte contemporanea rappresenta solo il 13 per cento delle transazioni, nonostante la sua importanza. Fino a dieci anni fa, le vendite di questo segmento raggiungevano i 75 milioni per poi arrivare a 979 milioni nel 2007/2008. Dopo la crisi, l’arte contemporanea ha superato il record del 2007/2008 e gli Stati Uniti sono ridiventati il numero uno in questo segmento nel 2012/2013, seguiti da Cina e Regno Unito.


Investire nell’arte Franca Coin

L’evoluzione del mecenatismo

«La passione è il nostro primo comandamento. È un fattore determinante se si vuole trasmettere l’interesse per un’opera d’arte». Franca Coin racconta l’esperienza della Venice Foundation

© Gianmarco Chieregato/Photomovie

di Renata Gualtieri

Franca Coin, presidente di Venice Foundation davanti a “Pulcinella e i saltimbanchi”, uno degli affreschi di Giandomenico Tiepolo restaurato da Venice Foundation nel 2000

o passion, no value” è uno dei principi alla base di Venice Foundation. «Con la passione - spiega la presidente dell’associazione - si stimolano curiosità, conoscenza, spirito e orgoglio di appartenenza, si dà vita alla volontà e soprattutto al coraggio di partecipare a grandi progetti magari con minimi sforzi economici ma di grande impegno morale. Nessuno di noi può finanziare un intero progetto di restauro ma i nostri singoli contributi, piccoli o grandi che siano, riuniti sotto un’unica missione, possono fare il miracolo». Molti sono stati i restauri finanziati da Venice Foundation in questi 17 anni di attività, ma il vero lavoro di micro mecenatismo è iniziato nel 1998 con il restauro degli oltre 60 affreschi di Giandomenico Tiepolo conservati a Ca’ Rezzonico, per una spesa complessiva di ben più di 500 milioni di lire, affreschi che oggi sono la forza di attrazione del museo. Per il prossimo futuro l’impegno della fondazione veneziana sarà rivolto alla “Missione Fortuny”, al Museo Correr e a “Friends of Venice Italy”, la nuova corporation avviata negli Stati Uniti. A quali altri interventi è stato applicato il principio del micro mecenatismo? «Abbiamo attuato questo meccanismo anche ad altri tre interventi: nel progetto “Sulle ali degli angeli”, per il restauro del mosaico della Cupola della creazione in Basilica di San Marco. Un restauro lungo e minuzioso,

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Archivio Venice Foundation © Fondazione Musei Civici di Venezia

Investire nell’arte

sostenuto da 4 importanti concerti organizzati nella Basilica, durato circa 3 anni e che ha coinvolto complessivamente circa 2.400 persone; nel progetto “Gleam team”, per il restauro delle dorature del soffitto della Sala del maggior consiglio a Palazzo Ducale di Venezia. Il vasto soffitto della sala, circa 1.350 metri quadrati, è stato idealmente suddiviso in altrettanti metri quadrati e a soci e amici di Venice Foundation è stato proposto di “adottarne” un metro quadrato attraverso donazioni scelte fra tre diverse categorie. Un grande successo e una grande partecipazione, merito anche di un bel cartellone che riproduceva il soffitto e sul quale erano stati riportati i nomi dei donatori, che sono stati numerosissimi. L’idea di “adottare” un pezzetto di Venezia e di proteggerla nel tempo ha coinvolto non solo i nostri soci più assidui, ma anche molte persone con cui non eravamo in diretto contatto e che ora ci seguono con costanza e generosità, come ad esempio gli studenti del Liceo Eugenio Montale di San Donà di Piave». “Missione Fortuny” ha rappresentato un ulteriore sviluppo del micro mecenatismo o mecenatismo condiviso. «Questo progetto ha permesso il restauro di cinque opere di Mariano Fortuny conservate nel Museo di Palazzo For94

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tuny: il modello del Teatro delle feste, i dipinti parietali dell’atelier, l’Album progetti Fortuny teatro e il modello del Teatro di Bayreuth già restaurati, mentre il quinto - i disegni preparatori per tessili - sarà restaurato a breve. La raccolta fondi per il restauro dei due modelli di teatro ci ha portati a voler sensibilizzare ancor più gli amanti dell’arte e della città di Venezia. Se nel “Gleam team” la partecipazione era stata entusiasmante, con “Missione Fortuny” abbiamo avuto la conferma che oggi più che mai la sensibilità, l’attenzione all’arte e al nostro patrimonio culturale sono veramente parte di ognuno di noi e ognuno di noi può esserne promotore e garante». Che cosa è dunque il micro mecenatismo? «Il micro mecenatismo è la partecipazione di ogni singola persona, ricca di ideali, di tensione etica e collaborazione costruttiva, alla salvaguardia di un’opera d’arte. Grandi progetti (che altrimenti non vedrebbero la loro realizzazione), con piccole donazioni a cui tutti possono accedere, diventano inaspettatamente traguardi raggiungibili facendo sì che al micro mecenatismo segua spontaneamente il mecenatismo condiviso. Come ogni opera d’arte, costituita da diversi e molteplici elementi che danno vita a qualcosa di unico e irripetibile, anche


Franca Coin

Il Mondo Novo di Giandomenico Tiepolo, conservato a Ca' Rezzonico Museo del Settecento Veneziano

IL MICRO MECENATISMO CONSENTE A OGNI SINGOLA PERSONA, NEL SUO PICCOLO, DI CONTRIBUIRE ALLA SALVAGUARDIA DI UN’OPERA D’ARTE Venice Foundation è come un mosaico composto da numerose tessere, i nostri soci e sostenitori, che assieme partecipano alla salvaguardia delle meraviglie di Venezia e non solo. I nostri mecenati fanno propria l’opera restaurata, la visitano, la controllano, la sentono propria». Il 29 ottobre scorso è stata presentata la riapertura di Palazzo Mocenigo a San Stae. In che modo le antiche stanze di questo palazzo hanno riacquistato nuova vita? E qual è stato il contributo di Venice Foundation e dei mecenati al rinnovamento della sede? «La riapertura di Palazzo Mocenigo è senz’altro un importante traguardo raggiunto dalla Fondazione musei civici di Venezia che rafforza quella zona culturale di Venezia che comprende Ca’ Pesaro e il Museo d’arte orientale, la Fondazione Prada, il Museo di storia naturale, la Scoletta dei Tiraoro e dei Battioro, che spesso accoglie mostre d’arte piuttosto che conferenze, e anche la Casa del cinema. Venice Foundation assieme ai suoi soci ha voluto sostenere questo progetto ancora una volta nella convinzione che restaurare sia importante e far vivere indispensabile. Palazzo Mocenigo si ripresenta oggi alla città nella sua veste di casa veneziana, in cui arredi, tessuti, dipinti, porcellane, abiti, e ora anche profumi, raccontano la storia della nostra città e di chi l’ha costruita, nea | novembre 2013

vissuta e resa splendente». Che evoluzione ha avuto negli anni il mecenatismo nel sistema dei beni culturali? «Se distinguiamo tra sponsorizzazione e mecenatismo poco è cambiato nel tempo. Noi di Venice Foundation parliamo di mecenatismo, piccolo o grande che sia: donare senza chiedere in cambio nulla, se non l’orgoglio di appartenenza e la consapevolezza che la nostra storia, il nostro patrimonio culturale e ambientale, la sua conservazione, la tutela del bene comune, è responsabilità di ciascuno di noi, in quanto ci appartiene. Sicuramente nel tempo si è evidenziata una diffusione del concetto di mecenatismo sebbene i grandi mecenati non mi sembrino così presenti. Spesso in luoghi di grande internazionalità e turismo si è aperta una strada alle grandi sponsorizzazioni con utilizzo pubblicitario, per esempio, dei luoghi storici e di grande visibilità. Parallelamente, però, c’è maggiore collaborazione tra pubblico e privato e, all’impegno economico del privato, si affiancano le specificità tecniche del pubblico, per dar vita a sinergie volte alla tutela del bene comune. Ed è quello che Venice Foundation fa ormai da diciassette anni collaborando attivamente sempre con la Fondazione musei civici di Venezia». 95


Artigianato

Come duecento anni fa «L'artigianato è ancora la forza attiva della creatività italiana, un patrimonio che non deve essere disperso e distrutto». Paola Locchi esamina l’andamento dell’artigianato italiano di Matteo Grandi

razie all’impegno di Confartigianato e Cna è tornata quest’anno dopo 8 anni d’inattività, una delle più importanti fiere dell’artigianato della Toscana, Arts & Crafts a Pistoia. Un evento, svoltosi alla fine di ottobre, che ha rappresentato un segnale forte di ripresa dato dalle associazioni di categoria in questo particolare momento storico, ancora condizionato dagli effetti della crisi. Per Patrizio Zini di Confartigianato Pistoia dietro questa manifestazione «c’è la volontà di riscatto del territorio e delle aziende che

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vogliono dimostrare, anche in un momento così difficile, quanto riescono ancora a fare scommettendo sul futuro». Un evento importante per sottolineare in modo particolare come l’Artigianato, per la regione Toscana, resti un settore estremamente variegato e importante. «Da Massa Carrara e Firenze – prosegue Zini - vengono delle proposte molto interessanti». Ed è proprio nel fiorentino che si trova il laboratorio Locchi. L’antica bottega restaura, mola e incide oggetti in cristallo dalla fine dell’Ottocento. «Il nostro laboratorio – spiega Paola Locchi, oggi a capo dell’attività – è diventato un vero e proprio punto d’incontro per antiquari, collezionisti, appassionati e designer». Che tipo di progresso tecnologico si è avuto negli ultimi anni per un’attività come la vostra? «La tecnologia, per quanto ci riguarda, incide pochissimo sul nostro operato. Se si esclude il fatto che le mole adesso vanno ad elettricità, piuttosto che con il piede, il lavoro in laboratorio è esattamente come lo si svolgeva 200 anni fa. Abbiamo conservato le tecniche, la qualità e gli ottimi risultati, dimostrando che l'artigianato è ancora la forza attiva della creatività italiana, un patrimonio insostituibile del nostro Paese, che non deve essere disperso e distrutto».

Paola Locchi, con la nuora Giovanna, entrambe alla guida del Laboratorio Locchi di Firenze laboratorio@locchi.com

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Paola Locchi

Il laboratorio ha molti contatti con l’estero. Quali sono i vostri mercati più importanti? «Il laboratorio ha richieste da tutto il mondo. Vantiamo committenti da Stati Uniti, India, Belgio, Austria e Francia. Si tratta di una nicchia particolare, dato che anche dall'estero, così come per il nostro Paese, abbiamo la fortuna di avere una richiesta da privati, specialisti, appassionati ed esperti che arrivano nel nostro laboratorio grazie al passaparola o perché conoscono il nostro nome tramandato in famiglia». Che tipo di trend seguono le richieste? «Le richieste sono innumerevoli. Possono essere legate al periodo, alla particolarità degli oggetti da restaurare o da riprodurre, alla categoria di clienti. L'interesse però si rivolge specialmente agli oggetti di nostra produzione, tutti rigorosamente eseguiti a mano, spesso ispirati agli originali, come ad esempio ad antichi quadri rinascimentali. Si tratta nella maggior parte dei casi di oggetti particolarissimi; recentemente ad esempio ci siamo occupati della riproduzione di una saliera deliziosa appartenuta a Paolina Bonaparte. Abbiamo anche lavorato su una bottiglia da liquore per un "Tantalus", appartenuta (pare) a Buffalo Bill e su una coppa molata a punta di diamante per un'alzata Impero di un noto collezionista romano. Recentemente inoltre stiamo ricevendo molti oggetti provenienti dalla Svezia. Un altro mercato importante per un laboratorio come il nostro». Gli oggetti da voi restaurati risalgono a periodi e paesi differenti. Che tipo di studio c’è dietro il singolo restauro e quanto richiede in termini di tempo, impegno e strumenti? «Il lavoro svolto inizia e si conclude sempre all’interno del nostro laboratorio. Non ci affidiamo mai a consulenze esterne; tutto si svolge internamente. Dallo studio dell'oggetto alla programmazione del lavoro fino alla meticolosa fase dell’esecuzione che porta al risultato finale». nea | novembre 2013

RECENTEMENTE CI SIAMO OCCUPATI DELLA RIPRODUZIONE DI UNA SALIERA DELIZIOSA APPARTENUTA A PAOLINA BONAPARTE

Quali sono le prospettive e gli obiettivi per il medio e lungo periodo? «Puntiamo in modo particolare alla stabilità. L’attività artigianale che portiamo avanti è una fusione di creatività, operosità e patrimonio da conservare. Continuare nel nostro lavoro, cercando di fare sempre meglio e contando sulle collaborazioni che stiamo portando avanti rappresenta sicuramente l’obiettivo principale». 97


Comunicazione

La trasformazione dell’advertising Nel mondo della comunicazione attraverso le parole di Alessandra Fanzago, che coglie variabili e costanti del settore alla luce della crisi. «Ieri vendevamo le campagne pubblicitarie, oggi progetti di comunicazione» di Renato Ferretti

om’è successo in quasi tutti i campi, la crisi ha imposto anche al mondo della comunicazione e della pubblicità un processo di ridefinizione. Ma cosa e quanto è davvero cambiato in questo ambito, così importante per l’intero apparato economico? Prova a rispondere Alessandra Fanzago, co-fondatrice di Phoenix Advertising, di cui è amministratore delegato e responsabile clienti: al suo attivo, oltre 25 anni di collaborazione con Artsana, lavori per marchi come Müller, DeAgostini, Sutter, Candy, Geox, Einaudi, e lanci come Pic Indolor, Control, Chicco, Lycia, Pippo la Scopa. Fanzago, forte di un’esperienza ventennale, guarda al contesto attuale in modo più ottimistico di quanto ci si possa aspettare. «Non bisogna fare l’errore – spiega l’Ad di Phoenix – di pensare che i parametri siano mutati rispetto al passato: la definizione dell’identità del brand è sempre al centro del nostro lavoro. Quello che è cambiato è la misura dell’attenzione e del rispetto verso il pubblico, che è sicuramente maggiore e questo vale per qualunque brand: la situazione richiede ai marchi e alle aziende di mettersi in gioco di più, di dare di più. Ogni marca ha delle ricchezze, dei tesori che i loro stessi possessori non vedono più, perché sono sepolte dal quotidiano e dall’abitudine: ciò che a noi spetta è aiutarle a riscoprire questi tesori. Per questo abbiamo messo a punto il nostro “Pheel Phink Phly”». Con questo nome, Fanzago si riferisce a un metodo, creato dalla sua agenzia, che viene applicato a tutti i suoi progetti di comunicazione. «Il “Pheel Phink Phly” – dice la Fanzago – si muove su tre fasi. La prima è un

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Alessandra Fanzago nella sede di Phoenix Advertising a Torino www.phoenix-adv.it


Alessandra Fanzago

OGNI MARCA HA I SUOI TESORI DIMENTICATI, PERCHÉ SONO SEPOLTI DAL QUOTIDIANO E DALL’ABITUDINE: A NOI SPETTA RISCOPRIRLI

ascolto sensibile, che produce una foto di quello che è l’azienda/la marca oggetto del lavoro. La seconda è la fase di pensiero, in cui, con l’integrazione dei di talenti interni ed esterni all’agenzia (secondo la necessità del cliente), definiamo l’identità della marca con il nostro metodo. L’identità esprime il talento, cioè l’essenza stessa della marca, i valori, gli asset e la sua personalità. Solo dopo tutto questo c’è il “phly”, cioè la creatività, che però può emergere solo da una perfetta conoscenza dell’identità della marca. Un’altra peculiarità del nostro modo di agire è metterci dalla parte del pubblico. Sottolineo che parlo di “pubblico” e non di consumatore, perché sarebbe una definizione riduttiva. Il pubblico, infatti, non si limita ad acquistare un brand: lo vive». Quindi, per l’Ad di Phoenix, la crisi non ha indebolito ma semmai reso ancora più ineludibili gli strumenti già individuati dalle tecniche comunicative. «L’identità della marca – continua Fanzago – rimane molto importante. Una volta centrata l’identità possiamo entrare nella complessità del contesto in cui si muove l’azienda. Ieri “vendevamo” campagne pubblicitarie, oggi progetti di comunicazione: è uno spostamento profondo, perché con l’identità trovata dobbiamo andare a lavorare su tutti i touch point che incontrano il nea | novembre 2013

pubblico. E oggi i touch point sono tanti, basti pensare alla miriade di network sociali. Per questo il nostro può essere definito un lavoro di Brand Tutoring: aiutiamo le stesse aziende a declinare questo concetto sui diversi strumenti disponibili, anche e soprattutto quelli gestiti attraverso fornitori e mezzi che interagiscono direttamente con l’azienda». I nuovi metodi sviluppati da Phoenix sono, per l’Ad, un punto di forza fondamentale per la propria competitività. «Pheel Phink Phly e Brand Tutoring costituiscono un approccio unico nel mondo della comunicazione. È una visione che va oltre i tradizionali confini dell'advertising e ci vede lavorare quotidianamente con il nostro "Arcipelago di Competenze": talenti, eccellenze e professionalità di diversa natura che concorrono a realizzare i nostri progetti. L’Arcipelago delle competenze va molto oltre l'ambito più stretto della comunicazione. Integrare fra loro, architetti e dj, storici dell’arte e ideatori di video giochi, significa trasformare le differenti sensibilità e formazioni in un'unica forza destinata a creare nuove idee e costruire nuovi linguaggi. Crediamo tanto nel nostro pensiero, inedito e originale, che lo abbiamo certificato

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Comunicazione Alessandra Fanzago

Alessandra Fanzago insieme all’account director di Phoenix, Niccolò Dozio

Iso 9001:2008 i nostri processi interni che lo alimentano». I risultati dell’agenzia torinese nell’ultimo anno portano un segno positivo. «Abbiamo raggiunto l’obiettivo che ci eravamo posti – afferma Fanzago – : abbiamo ricostruito una squadra compatta che lavora quotidianamente nel confronto e nell’integrazione. A livello esterno invece ci è stata riconosciuta la qualità del servizio. Abbiamo reagito alla crisi con flessibilità: la situazione è a tratti entropica, dati gli abbattimenti degli investimenti in comunicazione, ma quello che ci ha permesso di superare questo periodo difficile è stato mantenere un livello alto della “scienza & tecnica” del nostro mestiere, puntando a una visione progettuale complessiva del singolo caso: così abbiamo seguito in modo più puntuale i focus delle aziende, sempre più tattici». Per la Alessandra Fanzago la crisi è stata un momento di crescita. «Potevamo reagire in due modi: lasciare spazio al panico e attivare una cruda spending review, 100

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oppure potevamo approfittarne per guardarci dentro, ridefinirci e ripartire con più forza e valore. Abbiamo scelto di ripartire da noi e abbiamo fatto bene. Perfino un'operazione "materiale" come il trasloco nella nostra nuova sede è stato un momento di crescita: abbiamo ritrovato le tracce stratificate del nostro lavoro, il nostro patrimonio materiale e immateriale, e su queste radici abbiamo avuto l’opportunità di riorganizzare spazi e processi. Abbiamo voluto difendere il know-how della nostra professione. Così, naturalmente, abbiamo cominciato a cambiare i nostri comportamenti immettendo cause nuove, i cui effetti cominciano ora a essere evidenti. La crisi è stata un momento di verità: come imprenditori non ci siamo arresi, anzi abbiamo investito sull'agenzia e sulle persone, chiedendo a tutti di condividere lo sforzo di rinnovarci e ripartire. Questo ha fatto chiarezza e le persone che hanno risposto positivamente sono diventate il cuore dell'agenzia. Abbiamo investito su di loro, sono cresciuti e l'agenzia cresce con loro».


Comunicazione Simona Maurelli

Comunicazione integrata, il suo ruolo oggi Anche l’ambito della sanità richiede strategie di comunicazione mirate. Simona Maurelli spiega come sono stati affrontati negli ultimi anni alcuni temi sanitari di scarsa visibilità mediatica di Luca Càvera

uando i fatturati cadono, come in questa fase di crisi economica, la comunicazione è la prima spesa a essere tagliata. Tuttavia l’esigenza di comunicare è vitale per qualsiasi azienda, soprattutto nei momenti di crisi». Ad affermarlo è Simona Maurelli, general manager della Pro Format Comunicazione, società indipendente di consulenza per le relazioni pubbliche specializzata in progetti di comu-

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Simona Maurelli, general manager della Pro Format Comunicazione di Roma www.proformatcomunicazione.it

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nicazione istituzionale e aziendale, con una competenza particolare nelle aree della salute, del benessere e della comunicazione sociale. «Salute e benessere sono beni primari anche nei momenti di crisi e quindi le attività legate alla domanda e all’offerta di questi beni non sono comprimibili oltre un certo limite». La comunicazione sanitaria costituisce una parte rilevante del business di Pro Format Comunicazione, insieme all’istituzionale e a quella rivolta al mondo delle onlus, concentrata nell’attività di ufficio stampa e media relation, gestione di campagne, studio di corporate identity, consulenza strategica, organizzazione di eventi, advertising, editoria, internet. «Negli ultimi anni ci siamo impegnati in due direzioni. Da una parte abbiamo lavorato per dare visibilità a quelle patologie che per le loro caratteristiche o la loro scarsa diffusione non avevano ancora ottenuto adeguata risonanza sui media e presso l’opinione pubblica. Dall’altra, abbiamo studiato modalità innovative per parlare di aspetti trascurati delle patologie di grande impatto sociale. In questo senso ci siamo occupati di alcune patologie dermatologiche e urologiche, di alcuni tumori rari, ma anche di aspetti non sufficientemente trattati dai media, come l’impatto della chemioterapia sulla qualità di vita. L’abbiamo fatto attraverso progetti di comunicazione integrata ad ampio raggio, utilizzando sinergicamente le più importanti risorse di comunicazione e, fondamentale nell’era del web 2.0, anche con lo sviluppo di strategie di comunicazione ispirate alle logiche di viralità e social networking». 101




Consulenza

Le nuove risorse dell’outsourcing Concentrare le risorse sul proprio core business e delegare la gestione delle attività critiche a un partner esterno. Silvia Bolzoni racconta il suo modello di outsourcing di Emanuela Caruso

osì come in Europa sempre più imprese scelgono di affidare a società esterne la gestione di particolari settori aziendali, anche in Italia questo fenomeno sta crescendo in maniera esponenziale. Come spiega Silvia Bolzoni, amministratore unico di Zeta Service, specializzata nel settore delle paghe e dell’amministrazione del personale in outsourcing: «Oggi, in un momento di forte instabilità dei mercati, l’outsourcing rappresenta senza dubbio un valore aggiunto. Infatti, lo stato di salute generale del nostro settore è certamente buono e sempre più aziende decidono di esternalizzare le attività di amministrazione del personale per concentrarsi sul loro core business e sulla ripresa. Risparmio economico e di risorse, innovazione, visione strategica a più ampio raggio e sicurezza dei dati sono le peculiarità e i vantaggi dell’outsourcing odierno, cui noi aggiungiamo un valore intangibile caratterizzato dall’ascolto e dall’attenzione per le persone con cui collaboriamo». Nello specifico, quali sono i servizi e i vantaggi che Zeta Service offre in qualità di outsourcer? «Attraverso l’utilizzo di una tecnologia di ultima ge-

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Silvia Bolzoni, amministratore unico di Zeta Service Srl - Milano www.zetaservice.com

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Silvia Bolzoni

I MANAGER POSSONO MONITORARE I DATI AZIENDALI VIA WEB E IN TEMPO REALE. I COLLABORATORI POSSONO INSERIRE, ANCHE DA TABLET E SMARTPHONE, LE FERIE, E LE NOTE SPESE

nerazione, i manager possono monitorare e analizzare i dati aziendali via web e in tempo reale. I loro collaboratori possono inserire, anche da tablet e smartphone, le ferie, le note spese e visualizzare i loro cedolini. Inoltre, il nostro approccio è quello di essere non un semplice fornitore di servizi ma un partner strategico: solo in questo modo è possibile entrare in sintonia con le persone, conoscere le esigenze di ogni cliente e mantenere vivo un rapporto prezioso per entrambe le realtà». In un mometo di crisi economica come quello che stiamo vivendo, come siete riusciti ad agevolare le aziende che si rivolgono a voi? «Pur non avendo affrontato il problema della crisi in prima persona – la base solida su cui poggia l’azienda ci ha infatti permesso di mantenere un bilancio positivo e in attivo – lo stiamo vivendo partecipando alla storia di alcuni clienti. In un’ottica di collaborazione e sostegno, abbiamo studiato soluzioni ad hoc economicamente vantaggiose per loro e sostenibili per noi. Siamo anche andati oltre pensando ad agevolazioni rivolte ai potenziali clienti finalizzate ad ammortizzare i costi dell’investimento iniziale». Quali sono le novità e i vostri obiettivi per il medio-lungo periodo? «Il nostro obiettivo per il 2014 è sicuramente quello di espandere e innovare l’offerta dei servizi senza rinunciare alla cura delle relazioni che ci contraddinea | novembre 2013

stingue. Inizieremo il nuovo anno con una marcia in più grazie anche alla nostra nuova divisione aziendale Zeta Service Consulting – People Intelligence for Business Strategy, che si occupa di sviluppare la competitività delle aziende clienti attraverso progetti e programmi integrati sul capitale umano e sul business. In particolare, Zeta Service Consulting opera supportando le imprese nello studio delle loro potenzialità, nell’analisi dei mercati, nella ricerca di nuove aree di business e nel miglioramento delle performance dei collaboratori». Altra colonna portante per Zeta sono le persone che ne fanno parte. «Noi crediamo nelle persone. Sin dall’inizio della mia avventura imprenditoriale ho deciso di mettere tutti i miei collaboratori nelle condizioni di sviluppare continuamente le loro competenze e di stare bene in azienda. Per questo Zeta Service dedica molta attenzione alla formazione, sia tecnico-professionale sia relazionale, di tutto il personale. Si tratta di corsi sulla normativa del lavoro e di aggiornamenti più tecnici che si affiancano ai molti workshop sul benessere, sulla salute, sull’affettività e sull’intelligenza emotiva, i cui principi guidano l’intera filosofia aziendale. Zeta Service offre, inoltre, il servizio di maggiordomo aziendale, con il quale è possibile far evadere le proprie commissioni presso

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Consulenza Silvia Bolzoni

INIZIEREMO IL NUOVO ANNO CON UNA NUOVA DIVISIONE AZIENDALE, ZETA SERVICE CONSULTING – PEOPLE INTELLIGENCE FOR BUSINESS STRATEGY

la posta e la tintoria, la possibilità di ricevere in azienda pacchi postali, di usufruire di un orario flessibile, di telelavorare in caso di necessità, di poter fare la spesa online con le spese di trasporto a carico della società, di poter consegnare e ritirare l’auto direttamente in ufficio per manutenzione e lavaggio». Un 2014 tra innovazione e tradizione: fa parte di questo approccio anche la “Scatola delle Idee”? «Sì, la “Scatola delle Idee” è un progetto che impiega le risorse interne in lavori di rinnovamento aziendale proposti dai collaboratori stessi e portati avanti da gruppi di lavoro eterogenei. In questo modo pos106

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siamo innovare l’offerta dei servizi, migliorare l’organizzazione della nostra impresa e promuovere la collaborazione tra diversi settori». La vostra è anche un’azienda sostenibile. «Certamente. Avendo molto a cuore la salute dell’ambiente, promuoviamo diverse iniziative green che spaziano dal basso consumo energetico studiato per la nuova sede degli uffici di Milano all’adozione di una piantagione in Nigeria. Inoltre, mettiamo a disposizione dei dipendenti alcune biciclette aziendali e offriamo, a chi ne fa richiesta, l’abbonamento gratuito ai mezzi di trasporto pubblico locale».



Consulenza

Comunicare in azienda Una buona comunicazione interna a supporto della qualità dei servizi. Erika Leonardi evidenzia l‘importanza del passaggio di informazioni per migliorare la competitività e creare un sereno clima lavorativo di Luca Càvera

n azienda si lavora sempre in gruppo. Per progetti temporanei o per processi costanti nel tempo. Ciò comporta considerazioni determinanti a livello di gestione d’impresa. Significa fondamentalmente che non basta che ogni persona sia competente nel proprio campo, deve anche essere in grado di gestire in modo ottimale e sereno le relazioni con gli altri. Queste relazioni si basano fondamentalmente su una comunicazione interna fluida e chiara. A parlarne è Erika Leonardi, consulente, formatore, esperta di gestione dei

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servizi e di gestione dell’organizzazione aziendale e autrice di saggi e articoli sul tema dello sviluppo manageriale. Suoi i volumi “Disegnare i Processi” (Franco Angeli); “Guida alla Gestione del Servizio” e “Azienda in Jazz” (Sole 24 Ore). «Quando la comunicazione interna non funziona, nasce uno stato di confusione che compromette il rispetto degli impegni con il cliente e genera stress». Quali sono i campanelli di allarme? «Lavorare sempre in emergenza, non sapere a chi chie-

Erika Leonardi, consulente, formatore, esperta di gestione dei servizi e di gestione dell’organizzazione aziendale e scrittrice www.erikaleonardi.it


Erika Leonardi

dere, a chi consegnare il proprio lavoro, non aver chiara la finalità del proprio agire, dover continuamente chiedere ad altri, essere perennemente in ritardo, rincorrere il tempo. Invece, quando la comunicazione interna funziona, ogni persona trova nelle relazioni all’interno del gruppo la fonte della propria valorizzazione. Dunque il suo sapere e saper fare si realizzano se nel gruppo c’è chiarezza di ruoli, compiti e condivisione dell’obiettivo». Quali sono gli atteggiamenti più errati, quelli da evitare, che ostacolano la comunicazione? «Pensare solo a se stessi e che gli altri abbiano la stessa visione, non interrogarsi sulle proprie capacità di comunicazione. Si sottovaluta il fatto che comunicare è, semplicemente, farsi capire. Spesso si dà per scontato di essere stati chiari, dando la responsabilità dell’insuccesso della comunicazione agli altri. E raramente si verifica se l’altro ha capito quello che volevamo dire». Come guidare le persone verso una buona comunicazione interna? «Coltivare lo spirito di gruppo va oltre la sfera meramente tecnica. Occorre intervenire anche su comportamenti e atteggiamenti. Significa superare il timore del cambiamento. A questo serve l’uso della metafora: far vedere attraverso una diversa lente il proprio contesto, per scoprire nuove modalità. Un esempio è Azienda in Jazz: un incontro-spettacolo in cui, accompagnata da una jazz band dal vivo, propongo i temi manageriali, invitando le persone a osservare i comportamenti dei musicisti e guidandole a vivere il gruppo in chiave costruttiva. Riesco così a far cogliere l’importanza e il valore dell’appartenenza al gruppo». Esistono altre metafore applicabili? «Un’altra ha origine dalla fotografia. Uno scenario può avere diverse interpretazioni in relazione a ciò che viene messo a fuoco e ingrandito. Analogamente nel gruppo. Per lavorare bene è cruciale che tutti abbiano la stessa visione del processo: differenze di messe a fuoco fanno naufragare il gruppo. Affinché tutte le persone coinvolte in un gruppo di lavoro o di processo abbiano la stessa visione dell’obiettivo e dei rispettivi ruoli, uso un mio metodo, Zoom Up, che guida le persone a raccontare e disegnare il passaggio di informazioni, dando evidenza delle relazioni fra le persone e del doppio ruolo cliente interno e fornitore interno». nea | novembre 2013

INVITO LE PERSONE A OSSERVARE I COMPORTAMENTI DEI MUSICISTI GUIDANDOLE A VIVERE IL GRUPPO IN CHIAVE COSTRUTTIVA

Quale influenza sta avendo la crisi sul modo in cui le aziende affrontano questa tematica? «Le aziende che hanno capito che la riduzione degli ordini lascia del tempo “libero” che può essere investito per migliorare l’organizzazione interna, si trovano avvantaggiate e più pronte a rispondere agli stimoli esterni. È come dire: convertire un problema in opportunità. Con meno lavoro verso il cliente, c’è tempo per fare ordine interno, ridurre i tempi dei processi, migliorare e arricchire l’offerta. Significa investire in competitività. Significa anche decidere se patire o piuttosto intervenire. Prendo in prestito le parole di E.E. Schmitt: “Un uomo è il prodotto di scelte e circostanze. Nessuno ha il potere sulle circostanze, ma tutti hanno il potere sulle proprie scelte”». 109


Consulenza

Pmi, gestione e rinnovamento ontrollo e organizzazione. Sono prerogative che permettono di affrontare i momenti più difficili. La crisi, in altre parole, impone alle aziende di dare qualcosa in più, e se questo è vero per la maggior parte delle imprese, è indispensabile per chi ha il compito di sostenerle. Perciò, l’attività di consulenza ha vissuto negli ultimi anni un cambiamento radicale, un progresso dei servizi offerti per una redditività e una produttività decisamente maggiori. L’esempio di Regina Barattin, titolare della società Rosso & partners di Oderzo (TV),

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Regina Barattin, titolare della società Rosso & partners con sede a Oderzo (TV) www.rossoepartners.it

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Organizzazione, efficienza, equilibrio finanziario, attenzione alla qualità e al marketing sono le basi su cui strutturare un’azienda sana. Regina Barattin spiega come rinnovare il sistema di fare impresa di Remo Monreale

descrive il salto fatto da alcune realtà del settore, con nuovi strumenti dedicati soprattutto a migliorare le capacità organizzative dell’impresa. «Offriamo – ricorda Barattin – servizi contabili e amministrativi alle imprese della provincia di Treviso, ormai da 25 anni. L’esperienza sul campo mi ha indotto a una specializzazione sempre maggiore verso le Pmi. L’ingresso di Antonio Rosso e, successivamente, del figlio Gilberto, hanno ulteriormente contribuito a una qualificazione mirata nell’ambito, che andasse oltre la tradizionale consulenza. L’attività svolta non si limita solamente a un reporting aziendale, ma è integrata con la realizzazione di budget (con analisi degli scostamenti dai risultati attesi) e, nei casi più complessi, di veri e propri business plan per l’avvio di una nuova attività o più semplicemente per una programmazione di medio periodo. Lo studio si propone quindi come un partner qualificato per accompagnare le scelte imprenditoriali, per studiare e analizzare le dinamiche aziendali soprattutto dal punto di vista organizzativo». Quali sono le priorità delle aziende in questo periodo? «Ora è fondamentale per l’imprenditore conoscere la propria produttività al fine di poter effettuare delle


Regina Barattin

ATTRAVERSO STRUMENTI SOFTWARE SEMPLICI ED EFFICACI, L’IMPRENDITORE PUÒ TENERE SOTTO CONTROLLO LA REALTÀ AZIENDALE SU PIÙ LIVELLI

scelte mirate. Nell’ultimo decennio, infatti, le aziende non sempre hanno compiuto scelte organizzative adeguate alle mutate condizioni del mercato, non capitalizzando adeguatamente e privilegiando il ricorso sistematico al credito bancario, nella speranza di facili soluzioni. Ciò ha indotto l’imprenditore, intento a tamponare le difficoltà finanziarie, a trascurare le reali inefficienze produttive». In cosa consiste nel dettaglio la vostra proposta? «Grazie anche all’esperienza maturata con collaborazioni esterne in aziende del Nord Italia, abbiamo sviluppato il controllo di gestione aziendale che, attraverso strumenti software semplici ed efficaci, consente all’imprenditore di tenere sotto controllo la realtà aziendale su più livelli. Siamo in grado, infatti, di analizzare l’andamento economico globale della società, verificare la redditività di un reparto e addirittura di un singolo prodotto o lavorazione». In ultima analisi, quindi, quali sono gli aspetti che consentono di prendere le decisioni vincenti? nea | novembre 2013

«Organizzazione, efficienza, equilibrio finanziario, redditività, attenzione alla qualità e al marketing sono le basi su cui strutturare un’azienda sana: con il supporto dei consulenti, l’imprenditore deve avere il coraggio di mettere in discussione soprattutto se stesso, rinnovando il sistema di fare impresa. Inoltre, una maggiore conoscenza della realtà aziendale consente di affrontare con più decisione le difficoltà finanziarie tipiche di un periodo di recessione: l’aspetto monetario deve diventare una conseguenza della programmazione economica e non, come accade ora, decidere le sorti di una società». Su cosa avete puntato nell’ultimo periodo? «Abbiamo svolto specifici e approfonditi studi e business plan sulle energie rinnovabili (fotovoltaico e biomasse), sul settore vitivinicolo, agrituristico. Inoltre, ci siamo concentrati sulle ristrutturazioni legate a passaggi generazionali. Quest’ultimo è un momento critico, che la gran parte delle Pmi italiane è costretta prima o poi ad affrontare». 111


Asset finanziari

Verso una zona di asset inflation Una rivoluzione necessaria per l’attività di investimento. Fabiana Gambarota, Ad della società di investimenti P&g Sgr, indica un nuovo approccio. Con una forte attenzione alla liquidità di Luca Càvera

ella teoria e nella prassi, l’attività di investimento è stata duramente messa alla prova nel corso dell’ultima crisi, che non ha precedenti nella storia delle economie occidentali per intensità e durata. Secondo Fabiana Gambarota, amministratrice delegata di P&g Sgr, società di alternative investiment con sede a Roma: «Si è assistito a una perdita di valore degli asset finanziari che ha progressivamente interessato tutte le categorie, fino a colpire gli stessi titoli governativi. O almeno quelli dei cosiddetti paesi periferici, fra i quali è stata inclusa l’Italia. Da ultimo il fenomeno ha riguardato anche il mercato immobiliare che, nella sua storia, almeno in Italia, non aveva mai sperimentato una riduzione dei valori monetari nominali». A fronte di questa situazione, per evitare il collasso delle economie, le autorità monetarie (Federal Reserve, Bank of Japan, Bance Centrale Europea, Bank of England) hanno fornito una disponibilità di liquidità senza precedenti, anche col ricorso a strumenti non convenzionali, come gli acquisti illimitati di titoli o lo sconto di effetti a condizioni di tasso prossime allo zero. «Gli effetti di questa azione sui mercati finanziari sono stati evidenti – prosegue Gambarota –. I prezzi delle diverse classi di titoli hanno ripreso progressivamente i valori pre-crisi (o si avviano a tali livelli) e, con l’eccezione del mercato immobiliare e di alcune altre nicchie e aree geografi-

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Fabiana Gambarota, amministratrice delegata di P&g Sgr Spa, società di alternative investiment con sede a Roma www.pgalternative.com

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Fabiana Gambarota

NON CI BASIAMO SUI RATING PER ORIENTARE I NOSTRI INVESTIMENTI, MA INTEGRIAMO LE NOSTRE VALUTAZIONI CREDITIZIE CON CONSIDERAZIONI DI RISCHIO DI MERCATO E DI LIQUIDITÀ

che, ci stiamo nuovamente avviando in una zona di asset inflation». In un contesto così turbolento, a quali condizioni è stato possibile proseguire l’attività di investimento? «Per tenere conto dello scenario eccezionale, è stato necessario rivoluzionare anche l’attività di investimento. Il tradizionale approccio di contenimento del rischio attraverso una diversificazione di portafoglio avrebbe prodotto risultati deludenti – per non dire disastrosi, data la pervasività dei fenomeni in corso e la correlazione, sostanzialmente pari a 1, tra tutte le asset class. Viceversa si è resa quanto mai necessaria una forte attenzione alla liquidità, per cogliere le opportunità che il mercato ha via via proposto, entrando su asset class fortemente deprezzate per poi spostarsi dinamicamente su altre, rimaste indietro nel processo di recupero dei valori. Investendo con questo approccio, posso dire che gli ultimi anni hanno portato ai nostri clienti risultati eccezionalmente positivi». Quali sono state le variabili cruciali per l’attività di investment management e trading durante la crisi? nea | novembre 2013

«Le criticità maggiori si sono verificate subito dopo il default di Lehman Brothers. In quel momento si sono inceppati gli stessi meccanismi di base del mercato e risultava difficile persino ottenere quotazioni per asset di primaria qualità – è in questi contesti che la gestione della liquidità di un portafoglio diviene un fattore cruciale. E poi, soprattutto sono mutate le logiche tramite le quali valutare e osservare i mercati, che negli ultimi anni si sono mossi violentemente, influenzati da fattori macro (come le politiche monetarie) e da comportamenti correlati degli operatori finanziari, spesso non pienamente razionali. In questo contesto le logiche vanno coadiuvate da considerazioni sui flussi e vanno presi in considerazione gli aspetti comportamentali della finanza». Le agenzie di rating sono state profondamente criticate negli ultimi mesi, sia dal mondo politico, sia da quello economico. Come spiega questo fatto? «Le agenzie di rating, in quanto soggetti privati, sono state impropriamente, anche se indirettamente, inve-

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Asset finanziari Fabiana Gambarota

I PREZZI DELLE DIVERSE CLASSI DI TITOLI HANNO RIPRESO PROGRESSIVAMENTE I VALORI PRE-CRISI, CON L’ECCEZIONE DEL MERCATO IMMOBILIARE

stiste di funzioni regolamentari. È questa l’ambiguità di fondo del loro ruolo ed è qui che nasce il problema. Le agenzie di rating nascono e si propongono come opinion maker di carattere tecnico (rischio di credito) al servizio della comunità degli investitori. Il loro servizio è pagato in conflitto di interesse dagli emittenti, tuttavia il rischio reputazionale dovrebbe garantirne l’indipendenza di giudizio, almeno in teoria. Il problema è sorto perché a questi giudizi si è voluto dare una funzione regolamentare. Ed è qui che è avvenuto il corto circuito logico, perché si è assegnata una funzione di bene pubblico a dei giudizi privati, spesso opachi e non sottoposti a processi di vigilanza e supervisione. L’indubitabile crollo di credibilità delle agenzie di rating è figlio di questa ambiguità di fondo». Anche rispetto alla vostra attività le agenzie hanno perso credibilità? 114

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«Nella nostra attività di investimento abbiamo sempre considerato le valutazioni delle agenzie di rating per quello che sono: delle opinioni utili per investitori non sufficientemente sofisticati da valutare in proprio la qualità del rischio creditizio dei titoli oggetto di investimento. In P&g non ci basiamo sui giudizi di rating per orientare i nostri investimenti e soprattutto integriamo le nostre valutazioni creditizie con considerazioni di rischio di mercato e di liquidità. Guardiamo anche ai rating, ma per avere un’idea dell’opinione media del mercato. Paradossalmente gli errori di valutazione delle agenzie (che come tutte le attività umane risentono di trascuratezza, e, nello specifico, hanno dimostrato di soffrire di un eccesso di astrattismo formale e di pregiudizi anglosassoni verso i paesi non-core) sono stati e sono tuttora una grande opportunità di guadagno». Quali mutamenti ed evoluzioni dovrà affrontare la sua attività professionale in futuro? «Per sua natura, l’attività di investment manager è in continua evoluzione. Nel 2014 riteniamo che le migliori opportunità potranno venire dall’investimento in Abs (Asset-Backed Security), che ancora devono chiudere parte del gap di redditività con le altre asset class, e dal settore immobiliare, volto alla sistemazione delle situazioni distress che abbondano sui libri delle banche italiane. Nel corso degli ultimi anni, i risultati che abbiamo conseguito, mi hanno convinto della bontà del nostro modello di business. Nel frattempo ci siamo anche rafforzati patrimonialmente grazie ai nostri buoni risultati economici. Ora siamo pronti a considerare opportunità di crescita per linee esterne, acquisendo altri operatori del settore e non solo in Italia, assecondando il naturale processo di consolidamento dell’industria del risparmio gestito».



Export

Seduti sul made in Italy L’obiettivo è quello di raggiungere una quota di export pari all’80 per cento del fatturato. Nicoletta Milani spiega le scelte che stanno guidando la strategia di crescita di un marchio della progettazione di sedute made in Italy di Mauro Terenziano

n fatturato 2012 chiuso con un incremento del 15 per cento. Al quale è seguito un primo semestre 2013 a più 16 per cento. Nonostante il trend positivo degli ultimi diciotto mesi, anche un’azienda in attivo come Milani percepisce le difficoltà del mercato e questo ha spinto il management del produttore di sedute per ufficio con sede a Meolo, nel veneziano, a fare scelte mirate e privilegiare alcuni obiettivi rispetto ad altri. «Abbiamo deciso di puntare sullo sviluppo di nuovi prodotti e su azioni di marketing, in modo da comunicare più efficacemente. Per quest’ultimo aspetto ci siamo concentrati sulla pubblicità online e sull’apertura di due nuovi show room a Milano e Londra». A parlare è Nicoletta Milani, responsabile commerciale alla guida dell’azienda insieme alle sorelle Giuliana e Francesca, rispettivamente responsabile del settore produttivo e del reparto amministrativo/finanziario. «Abbiamo colto per tempo la strada dei mercati esteri. Fra questi, i dominanti oggi sono Francia, Regno Unito e Canada. Al contrario, il mercato domestico è molto difficile, a causa di richieste sempre più sofisticate e incassi con lunghi ritardi. Quindi stiamo lavorando per raggiungere un export che copra l’80 per cento del fatturato complessivo. In questo saremo facilitati dal fatto che il made in Italy è ancora un ottimo argomento all’estero e in più la clientela straniera garantisce migliori condizioni di incasso. Per non abbandonare però i nostri partner italiani, abbiamo avviato un processo su più fronti: conservare e accogliere una clientela di qualità (sana e

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Nicoletta Milani, titolare insieme alle sorelle Giuliana e Francesca, della Milani Srl ha sede a Meolo (VE) www.sm-milani.com


Nicoletta Milani

LE NOSTRE SEDUTE UNISCONO LE ARMONIE DEL DESIGN ITALIANO AD ALTISSIME CARATTERISTICHE DI ROBUSTEZZA ED ERGONOMIA

solvibile); mantenere un buon volume di affari, inteso sia come fatturato, sia come risultato economico soddisfacente (considerata l’elevata tassazione); e, di conseguenza, salvaguardare il vero motore dell’azienda, ossia i collaboratori interni». Milani crede molto nella forza dei collaboratori e per questo ha deciso introdurre nel sistema aziendale il concetto di team, ossia l’incontro breve e continuativo tra i componenti dei comparti interni, con lo scopo di rendere sempre più efficaci ed efficienti i processi produttivi. «Oggi è importante che tutti i nostri collaboratori siano coscienti del periodo storico in cui viviamo. Tutto è diventato senz’altro più difficile e dispendioso. È necessario quindi che gli sforzi della direzione siano supportati da persone che operano con uno spirito di gruppo e di fattiva collaborazione». La crescita aziendale non poteva che accompagnarsi all’implementazione di un sistema di gestione integrato per la qualità (Uni En Iso 9001:2008), per l’ambiente (Uni En Iso 14001:2004) per la sicurezza (Ohsas 18001:2007) e per la responsabilità sociale (Sa 8000:2008), con lo scopo primario di soddisfare qualsiasi esigenza del mercato e di sviluppare quei processi che permettono a Milani di essere un’azienda moderna e innovativa. «Oggi la continua ricerca e lo sviluppo di nuovi progetti anche attraverso la collaborazione con studi di architettura, nonché la creatività abbinata alla tecnica, conferiscono alle nostre sedute le ineguagliabili armonie nea | novembre 2013

del design italiano e altissime caratteristiche di robustezza ed ergonomia». In conclusione, le titolari della Milani indicano gli obiettivi con i quali si aprirà il 2014. «Rafforzare il nostro marchio attraverso la realizzazione di altri nuovi show room in alcune zone strategiche. E fare investimenti corposi per lo sviluppo di nuovi prodotti nell’ambito contract, in collaborazione con lo studio dell’architetto Alessandro Crosera di Treviso. Alcuni di questi prodotti sono già stati lanciati sul mercato quest’anno. Al 2014 abbiamo riservato la presentazione di una nuova seduta ergonomica per l’ufficio». 117


Tecnologie

Ict aziendale il futuro è mobile Comprendere le nuove e mutate esigenze del mercato e proporre soluzioni che incrementino la funzionalità operativa, riducendo i costi. L’esperienza di Nives Borroni di Vittoria Divaro

a crisi ha cambiato le abitudini dei consumatori, che sono sempre più orientati all’acquisto di prodotti di prima necessità o di prodotti in grado di procurare un valore aggiunto. «Nell’attuale scenario è impensabile lanciare sul mercato un prodotto o un servizio innovativo senza aver prima valutato il grado di necessità, di gradimento e i parametri in termini di costi-benefici per il consumatore. Così come pure è impensabile continuare a produrre beni o servizi che non tengano in debito conto i mutamenti delle preferenze e dello stile di vita degli utenti finali». Ad affermarlo è Nives Borroni, amministratore delegato di GN , società che realizza soluzioni enterprise per l’informatizzazione dei processi aziendali in area gestione, amministrazione, produzione e logistica. In che direzione sono mutate le premesse per lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi? «Organizzare e creare la progettazione di un bene o di un servizio è stata da sempre un’attività estremamente complessa. In questa particolare congiuntura economica la complessità e il rischio sono amplificati. Reperire le risorse economico-finanziarie necessarie e sviluppare un’attività orientata al successo richiedono delle capa-

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Nives Borroni, amministratore delegato della GN di Calusco D’Adda (BG) www.gninformatica.com

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cità realizzative e relazionali che permettono di orientare le energie tenendo presente i vincoli del rischio e necessitano di saper gestire con equilibrio l’incertezza di un mercato volatile, caratterizzato da tempi di reazione velocissimi e da un time2market e un ciclo di vita di prodotti e servizi ridotti ai minimi termini». In termini di proposta Ict, quali sono le attese del mercato? «I nostri consulenti seguono soprattutto l’implementazione di soluzioni tecnologiche e funzionali in grado di garantire il supporto necessario agli adattamenti ri-


Nives Borroni

chiesti dai cambiamenti strategici delle aziende. Il portafoglio servizi e prodotti include Business Intelligence, SOA , BPM, Customer Experience e l’Erp Jd Edwards Enterprise One. L’offerta di soluzioni si realizza o tramite la configurazione di applicazioni Enterprise (Erp, Bi, Crm, Scm) o, per risponde a particolari esigenze delle aziende clienti, mediante un approccio sartoriale che arriva allo sviluppo di software su misura creato utilizzando i più moderni framework di sviluppo. Nell’ambito della consulenza tecnologica, studiamo soluzioni avanzate per le aree di networking, security e content management. In più, a fondamento della nostra azione, oggi dobbiamo pensare l’economia come un mosaico composto da tasselli dai contorni mobili. Ogni tassello condiziona lo spazio e la configurazione dei tasselli limitrofi». A quali soluzioni porta la vostra ricerca? «Ho sempre avuto la convinzione che le soluzioni per il mobile computing avessero la capacità di affrontare i moderni scenari, che necessitano di un’analisi e lettura dei dati in tempo reale e da qualunque luogo. Fin dal 2005 abbiamo concentrato gli investimenti nella realizzazione di soluzioni per il Mobile e nel 2007 GN ha vinto l'Oracle Innovation Award a livello internazionale per l'innovazione dei prodotti GN Platform One e GN Mobile One. Oggi i mobile device stanno, non solo connea | novembre 2013

LE APPLICAZIONI MOBILI PORTANO ALLA RIDUZIONE DEI COSTI E ALLA DIMINUZIONE DELLE ORE DEDICATE AI PROCESSI fermando questa tesi, ma altresì generando un miglioramento dei processi industriali e commerciali. Grazie ai dispositivi portatili – come laptop, tablet pc, palmari o smartphone –, gli utenti dispongono dei dati dell’azienda in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento, migliorando sensibilmente la produttività e l’efficienza del lavoro. I campi di applicazione sono molteplici: fleet management e supply chain management; field e sales force automation; customer relationship; advanced warehouse management». Quali settori hanno colto per primi questa opportunità? «I settori in cui si riscontra il maggiore successo sono manufacturing, trasporti e logistica, distribuzione e retail. I benefici che questo genere di soluzioni portano sono da ricercare sia all’interno della realtà aziendale sia all’esterno. Le applicazioni mobili portano in molte situazioni alla riduzione dei costi, con un conseguente aumento dei ricavi, alla diminuzione, da parte degli impiegati, delle ore dedicate ai processi, a una maggiore soddisfazione del cliente e a un miglioramento dell’immagine aziendale». 121


Tecnologie

Crisi, imprenditoria e territorio Fra impresa e impegno sociale. Alessandra Conforti fa il punto sulla situazione del comparto meccanico bresciano. Indicando le criticità della scarsa domanda interna e soprattutto proponendo strategie per il rilancio territoriale di Vittoria Divaro

nche il comparto industriale-artigianale bresciano della meccanica ha risentito della crisi dei mercati. A confermarlo è Alessandra Conforti, consigliere comunale di Montirone e titolare della Dobos Automazioni, che progetta e produce sistemi di automazione, transfer per i settori della rubinetteria, valvolame, raccorderia , automotive e isole di lavorazione e di montaggio con asservimento di robot antropomorfi. «Anche noi abbiamo subito un forte calo degli ordini, dovuto al crollo della domanda interna e per aver sottovalutato, in passato, il mercato estero». Tuttavia il bilancio complessivo che Conforti trae dall’ultimo anno, sia dal punto di vista aziendale sia da quello più strettamente umano, è sicuramente positivo. «La crisi che stiamo attraversando ci ha costretti a ridefinirci, riorganizzarci, a modificare le abitudini di lavoro. È un bilancio positivo, quindi, perché la crisi ha rafforzato il nostro impegno verso nuove sfide». Su quali sfide avete concentrato il vostro impegno? «Ci è apparso chiaro che la parola chiave è diversificare: gli orizzonti e i mercati. Abbiamo così dedicato un comparto produttivo alle lavorazioni meccaniche di precisione. Inoltre, abbiamo scelto di investire una parte delle risorse umane e finanziarie per lo sviluppo del mercato russo. È emerso infatti che la Russia è un mercato con grandi potenzialità, con una forte domanda di macchinari, impiantistica, tecnologia e in-

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Alessandra Conforti, titolare della Dobos Automazioni Srl di Montirone (BS) www.dobos.com


Alessandra Conforti

ABBIAMO SCELTO DI INVESTIRE UNA PARTE DELLE RISORSE UMANE E FINANZIARIE PER LO SVILUPPO DEL MERCATO RUSSO CHE HA GRANDI POTENZIALITÀ

novazione. Dalla nostra agenzia di rappresentanza di San Pietroburgo, abbiamo già iniziato a ricevere i primi segnali interessanti, tra i quali la richiesta di una linea completamente automatizzata, dedicata alla lavorazione delle serrature e delle chiavi, una per le valvole a sfera e una linea di montaggio nel settore dell’automotive». Come giudica la sua attuale esperienza nell’impegno politico e sociale? «La considero molto significativa, anche se non priva di difficoltà. È un’opportunità di crescita umana, ancor prima che professionale. L’impegno nella gestione della cosa pubblica mi ha portato a conoscere meglio e più da vicino alcune delle realtà imprenditoriali particolarmente in difficoltà che operano nel territorio. Come rappresentante della comunità locale, ma soprattutto come imprenditrice, la risposta che mi sento di dare a queste imprese è di fare leva sulla flessibilità, sia organizzativa sia produttiva. E sull’innovazione. Dovrebbero inoltre compiere una piccola e grande rivoluzione, non solo tecnica, ma culturale: studiare l’internazionalizzazione dell’impresa e aprirsi ai mercati esteri». nea | novembre 2013

In un’azienda come la vostra quanto è importante il lavoro di squadra? «Credo e crediamo molto nel lavoro di squadra, nel confronto fra competenze e professionalità diverse, grazie alle quali analizziamo e applichiamo sapientemente tecnologie all’avanguardia, che possano garantire ai nostri clienti prodotti innovativi, alti rendimenti e forte ritorno dell’investimento». Alla fine del secondo trimestre 2013, l’indice delle imprese “al femminile” iscritte al registro delle imprese delle CCIAA era + 0,34 per cento rispetto a giugno 2012. Come valuta il ruolo dell’imprenditoria femminile in questo frangente economico? «Sono convinta che l’imprenditoria femminile sarà determinante per la ripresa del nostro paese. Le donne hanno la capacità di cogliere nuove sfide e di affrontarle con coraggio, determinazione e forza di volontà inarrestabili. Se la mia azienda ha raggiunto significativi obiettivi lo devo anche alla tenacia, alla creatività e alla consapevolezza, che in situazioni di mercato non facili, bisogna accettare le sfide e guardare oltre i confini tradizionali per cogliere nuove opportunità». 123


Modelli d’impresa

L’internazionalizzazione è crescita Un 2013 di crescita e investimenti. Paola Terruzzi racconta i dodici mesi del gruppo industriale di famiglia. Che rafforza la sua posizione sul mercato internazionale di Arianna Lesure

n ultimo anno caratterizzato dal consolidamento della presenza in Cina, dall’esecuzione di importati forniture per la Mongolia e per il mercato africano. «Queste operazioni ci hanno consentito di entrare in mercati in grande crescita e sviluppo». È questo il commento di Paola Terruzzi, consigliere delegato di Terruzzi Fercalx, gruppo industriale nel settore della progettazione e realizzazione di impianti industriali con una fortissima vocazione internazionale, favorita dalla diversificazione produttiva, con impianti produttivi in Italia e in India e uffici operativi anche in Germania e Cina. «Il 90 per cento del nostro fatturato – prosegue Terruzzi – è sviluppato nei mercati extra europei, verso i quali esportiamo impianti per calce, autoclavi, liofilizzatori e gassificatori per l’industria dell’acciaio, l’aeronautica, l’industria del vetro, dei materiali compositi, della farmaceutica e dell’alimentare». Quale vantaggio ha rappresentato la diversificazione in questi anni di crisi? «Suddividere il fatturato su più mercati con caratteristiche diverse ci ha permesso di ridurre il rischio e di ottenere maggiori volumi e profitti. Questo è stato possibile grazie all’innovazione, all’aggregazione e all’espansione su gran parte dei mercati mondiali – copriamo ormai il pianeta quasi a 360 gradi, dando sempre maggiore attenzione ai mercati in via di sviluppo. In più, abbiamo investito per migliorare tecnologia e perfor-

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Paola Terruzzi, consigliere delegato di Terruzzi Fercalx Group, capeggiato dalla Terruzzi Fercalx Spa di Spirano (BG) www.terruzzifercalxgroup.com

mance degli impianti. Ogni commessa, poi, può essere considerata un progetto di ricerca e sviluppo nella direzione dell’upgrading delle prestazioni e nel miglioramento del rapporto qualità-prezzo del prodotto. Per assecondare questa nostra impostazione, lo scorso anno abbiamo dedicato un’area aziendale alla ricerca. L’abbiamo battezzata Business Innovation Centre (Bic) e coinvolge le risorse professionali interne con quelle dell’università». Nel complesso, quanto investite sulla crescita dei vostri collaboratori?


Paola Terruzzi

I COLLABORATORI SONO LA PRINCIPALE RISORSA AZIENDALE E PER QUESTO L’INVESTIMENTO NELLA LORO CRESCITA PROFESSIONALE È STRATEGICO «In questi anni il numero dei dipendenti è cresciuto per supportare le esigenze diversificate legate all’espansione del gruppo. E abbiamo dato particolare attenzione alla formazione, con corsi sia di carattere tecnico-gestionale sia per la crescita delle competenze manageriale. Infatti, i collaboratori sono la principale e più importante risorsa aziendale e per questo l’investimento sulle risorse è strategico. Inoltre, abbiamo managerializzato la struttura, riprogettato l’organizzazione interna e creato una struttura a matrice per funzione e prodotto, con lo scopo di migliorarne la gestione». Che ruolo occupa la presenza femminile nel vostro gruppo? «La quota di donne in organico, anche in posizioni di responsabilità, è aumentata. Le nostre collaboratrici hanno valorizzato le loro competenze, accelerando il percorso di crescita professionale e soprattutto realizzando concretamente nuovi modelli di vita, più flessibili e suscettibili di conciliare le esigenze lavorative con quelle private. Un esempio è rappresentato dalle mie più strette collaboratrice, in particolare colei chemi assiste e gestisce in prima persona l’area delle risorse umane/formazione e la team leader dell’area amministrazione/finanza che gestisce l’ufficio riportando al CFO. Inoltre quest’anno abbiamo ufficializzato la presenza all’interno dell’azienda di un ufficio import-export, creando un’area dedicata e nea | novembre 2013

strategica per la gestione dei crediti documentari, delle garanzie bancarie e di tutte le problematiche inerenti i contratti con i clienti al di fuori dell’Europa. In questo ufficio lavorano solo donne». Un anno di successi. Cosa volete realizzare nel prossimo? «Proseguire il processo di internazionalizzazione del gruppo, replicando magari l’esperienza indiana attraverso un insediamento diretto nei paesi di maggiore interesse. In generale, poi, le opzioni strategiche per il futuro sono quelle di una maggiore integrazione verticale, l’incremento della flessibilità dei siti produttivi, la responsabilizzazione crescente dei collaboratori, il controllo di un esteso network distributivo e l’identificazione e integrazione di business complementari». 125


Modelli d’impresa

Outsourcing, una nuova prospettiva Anche se in ritardo rispetto al contesto imprenditoriale europeo, ora le aziende italiane stanno iniziando a percepire il valore dell’outsourcing come fattore strategico per la ripresa e la crescita. Il punto di Denise De Pasquale di Renato Ferretti

ella maggior parte dei paesi europei il ricorso all’outsourcing si è affermato come opportunità per migliorare l’efficienza delle aziende. Anche il mercato italiano, pur scontando qualche lieve ritardo, è già avviato verso una piena consapevolezza delle potenzialità e dei vantaggi che un certo approccio all’esternalizzazione può generare. Questa è la fotografia sintetica del settore secondo Denise De Pasquale, presidente di Progetto Lavoro e fondatrice, insieme al padre, della società milanese, che da oltre vent’anni progetta e realizza servizi in outsourcing per le imprese: si tratta, in particolare, di Bpo (Business Process Outsourcing), che presuppone un trasferimento stabile della gestione e della responsabilità di uno o più processi di business all’esterno dell’azienda. L’impegno di Progetto Lavoro, infatti, è soprattutto di ordine “culturale”: porre l’outsourcer come un vero e proprio partner all’interno di una relazione strutturata fra azienda e fornitore basata sulla specializzazione. «In Italia – dice De Pasquale – la cultura dell’outsourcing ha cominciato ad affermarsi qualche tempo fa, ma ci sono ancora molte resistenze all’idea di esternalizzare interi processi aziendali. La tendenza più diffusa è quella di mantenere il controllo su ogni singola operazione, senza rendersi conto dei benefici che deriverebbero da scelte più radicali benché impegnative, ma utili per migliorare la pro-

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Denise De Pasquale, presidente di Progetto Lavoro, con sede a Milano www.progettolavoro.com

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Denise De Pasquale

duttività e la competitività in modo strutturale». A cosa si può attribuire questo atteggiamento da parte delle imprese italiane? «Le aziende del nostro Paese sono meno abituate a gestire strategicamente i processi di business e hanno una mentalità più orientata a rispondere con efficacia alle emergenze contingenti. Questo fa sì che ricorrano all’outsourcing, per lo più, per problemi a breve termine. In altri contesti europei viene attivato, invece, come soluzione strategica di lungo periodo. Tuttavia anche le aziende italiane stanno vivendo un periodo di profondi cambiamenti, mosse dall’esigenza di concentrare le proprie risorse sulle attività “core” del loro business per superare la crisi. Ed è qui che si inserisce il ricorso all’esternalizzazione di alcuni processi, che permette alle

IL NOSTRO OBIETTIVO È SEMPRE STATO QUELLO DI CONIUGARE IL TEMA DELLA RIORGANIZZAZIONE DEI PROCESSI DELLE AZIENDE CON LA VOCAZIONE A ESSERE AL PASSO CON L’INNOVAZIONE imprese di dare maggiore flessibilità alla propria struttura e di trasformare nel tempo i costi fissi in costi variabili». L’avvento del digitale ha influito sulla vostra attività e sul vostro approccio nei confronti del mercato? «Il nostro focus verso la riorganizzazione dei processi è sempre stato sostenuto dalla vocazione a essere al passo con l’innovazione. In particolare, gli strumenti digitali intervengono in modo significativo nelle modalità con cui vengono gestite le attività aziendali, consentendo di adeguare i modelli organizzativi orientandoli anche alla governance delle informazioni. La digitalizzazione, infatti, trasforma le informazioni contenute in un supporto informativo (per esempio e-mail, scansioni, fax, etc.) in dati elettronici inserendoli nei sistemi dei clienti, permettendo una gestione integrata di ogni processo affidato in outsourcing. In questo modo Progetto Lavoro può gestire i documenti attraverso lo snellimento e l’intenea | novembre 2013

grazione dei dati nei processi esternalizzati, mantenendone il pieno controllo grazie all’uniformità del trattamento delle informazioni: offriamo alle imprese un ulteriore mezzo per recuperare produttività in uno scenario in cui, anche grazie alle prescrizioni dell’Agenda Digitale del Governo Italiano, la digitalizzazione rappresenta uno dei principali motori di sviluppo». La natura famigliare del vostro gruppo come si riflette sull’azienda? «Ci assicura una particolare personalità, fatta di continuità rispetto agli obiettivi e alle intuizioni originarie, di attenzione verso i lavoratori e caratterizzata da un’elevata presenza femminile (88 per cento dei dipendenti). Proprio a testimonianza di questa attenzione alle donne lavoratrici, ho ricevuto nel 2011 il Premio Marisa Bellisario, che ha definito Progetto Lavoro “l’azienda italiana che meglio valorizza e promuove i talenti al femminile”». 127


Modelli d’impresa

La sfida dell’energia Le strategie nella gestione energetica nell’esempio di Giuseppina Basalari. Dalle nuove offerte “bi-fuel” allo sportello self service per pagare le bollette di Remo Monreale

l centro del quadro economico internazionale e del dibattito politico, la funzione strategica della gestione energetica rappresenta uno dei cardini su cui costruire un processo di ripresa. Dalla liberalizzazione in poi, la competizione accesa nell’ambito ha contrastato, per quanto possibile, le politiche spesso contraddittorie dei singoli paesi e dell’Ue, impedendo di fatto il peggioramento delle condizioni di fruizione. Quello di Giuseppina Basalari, presidente di Agesp Energia di Busto Arsizio (VA), è uno degli esempi, a livello locale, che si possono fare sulla competizione e i suoi benefici.

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Agesp Energia è la società del gruppo omonimo che opera dal 1977 nel mercato del gas naturale di Busto Arsizio. «Dal 2003 in poi – spiega Basalari – siamo riusciti a diffonderci anche su tutto il territorio nazionale. In più dal 2011 abbiamo attivato, per Busto Arsizio, il nuovo servizio di teleriscaldamento. Questo premette un quadro piuttosto positivo che ha investito anche il bilancio del 2013». Le strategie del management della società hanno toccato diversi punti focali del settore. «Nel mercato del gas naturale – dice la Presidente –, per fidelizzare la nostra clientela, è stato ampliato il ventaglio di of-


Giuseppina Basalari

ABBIAMO COMPLETATO LA PRIMA LINEA DI TELERISCALDAMENTO PER BUSTO ARSIZIO GARANTENDO IL SERVIZIO A UN BACINO DI UTENZA PIÙ AMPIO

ferte commerciali proposte: dalla rata costante al risparmio facile e il prezzo bloccato. Questo è andato a vantaggio soprattutto di quei clienti storici che hanno sempre sostenuto, nel corso degli anni, la nostra azienda. Inoltre, sempre per aumentare il grado di fidelizzazione della clientela, abbiamo migliorato il servizio offerto, posizionando un nuovo sportello self service presso la nostra sede: così abbiamo permesso i pagamenti delle bollette in tempi brevi e 24 ore su 24, aprendo al pubblico i nostri sportelli anche il sabato mattina. Per l’acquisizione di nuovi clienti durante l’anno corrente, invece, sono state attuate delle attività di telemarketing». L’80 per cento dei volumi di gas venduti da Agesp sono destinati al mercato residenziale e Pmi, il restante 20 per cento viene destinato al mercato industriale. Uno dei punti di forza della società sta nei suoi asset. «Una

Agesp Energia ha sede a Busto Arsizio (VA) www.agesp.it

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delle nostre risorse – continua Basalari –, per il teleriscaldamento, è sicuramente l’essere proprietari della centrale di cogenerazione e della rete stessa: ciò garantisce un valore in più e determina la fidelizzazione del segmento di clientela coinvolto. Per il mercato del gas naturale, invece, il nostro valore aggiunto deriva dalla grande diversificazione del portafoglio clienti e dalle molteplici offerte commerciali proposte». Tra le ultime novità dell’Agesp c’è l’acquisizione del 25 per cento della società di vendita Amsc Commerciale Gas di Gallarate, da una parte. Dall’altra il completamento della posa della prima linea della rete del teleriscaldamento per Busto Arsizio. «In questo modo – continua Basalari – abbiamo garantito la possibilità di usufruire del servizio a un bacino di utenza più ampio. Per il futuro contiamo di sviluppare la nostra rete vendita mediante agenti commerciali con formazione interna. Inoltre, presenteremo il nuovo prodotto "bifuel" che vedrà la vendita di energia elettrica associata a quella del gas naturale a prezzi estremamente competitivi». 131


Modelli d’impresa

Distretto tessile toscano e fiere internazionali L’esperienza di Carla e Romina Casini in una delle specializzazioni del settore tessile italiano. Le scelte produttive, l’innovazione creativa e l’attenzione all’ambiente di Vittoria Divaro

edizione 2013 del rapporto “Commercio estero e attività internazionali delle imprese”, redatto dall’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane (Ice) e dall’Istat, mostra che fra il 2011 e il 2012 le esportazioni di moquette e tappeti prodotti in Italia sono passate da un fatturato di 135 milioni di euro a 138. Da uno dei poli strategici del tessile nazionale, quello fiorentino, arriva l’esperienza di Carla e Romina Casini, alla guida della manifattura Alma, fondata dal padre Carlo, azienda produttrice di moquette che gravita fra Prato e Firenze. «Lavorare fra queste due realtà – spiega Carla – significa per noi attingere a

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due forze. Da una parte la tradizione tessile del distretto pratese, l’energia imprenditoriale, la creatività di prodotto. Dall’altra la tradizione dell’arte fiorentina, il gusto del bello, la cura del dettaglio». La specializzazione dell’azienda, orientata fin dalla fondazione al business della moquette agugliata, ha permesso di mantenere nel tempo un presidio solido in Italia ed Europa, che oggi punta al globale. A quali settori nello specifico si rivolge la vostra produzione? Romina Casini: «Creiamo moquette agugliata per manifestazioni fieristiche, congressi ed esposizioni in genere. Essendo presenti nelle location fieristiche più impor-


Carla e Romina Casini

Carla e Romina Casini della manifattura Alma Spa di Capalle (FI) www.almaspa.com

tanti del mondo, realizziamo un prodotto dall’elevato contenuto moda, capace di interpretare le esigenze di chi guarda con attenzione allo stile, al design e al colore, con l’eleganza e il gusto tipici italiani e toscani. Alla principale produzione di moquette agugliata per uso espositivo, abbiamo affiancato da tempo prodotti che vanno dalla moquette per il settore automotive, per uffici e contract in genere, oltre a prodotti tecnici per usi speciali». Come sono organizzate produzione e distribuzione? Carla Casini: «La filiera produttiva è tutta interna e ci permette di mantenere nel tempo elevatissimi standard di prodotto, di formare il personale e gestire sempre con grande tempestività ogni ordine e tipo di richiesta – la nostra produzione annuale supera i 26 milioni di metriquadrati. In anni recenti alla performance classica si è integrata e aggiunta una capacità interpretativa sulla creatività del colore. Così anche un prodotto che ha avuto una così forte componente industriale si è potuto aggiornare nelle novità dei tessuti e dei colori moda – uno degli aspetti più vivi e caratterizzanti del made in Italy – evolvendosi in sintonia con le esigenze di stili di vita e i nuovi gusti. Per quanto riguarda la rete di vendita e la rete distributiva, abbracciamo tutti i principali paesi europei, gli Stati uniti, il Medio e l’Estremo Oriente». Quanta attenzione date all’aspetto della sostenibilità ambientale?

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SIAMO PRESENTI NELLE LOCATION FIERISTICHE PIÙ IMPORTANTI DEL MONDO, REALIZZANDO UN PRODOTTO CAPACE DI INTERPRETARE LE ESIGENZE DI STILE E DESIGN

R. C.: «I nostri prodotti hanno un’anima e per questo siamo attenti all’ambiente sia nel luogo di lavoro, sia, dopo, nel riciclaggio e nel riutilizzo dei materiali post installazione. Attraverso l’attuazione del sistema di gestione per la qualità e l’ambiente puntiamo al raggiungimento della piena soddisfazione del cliente, in linea con lo sviluppo sostenibile del sistema di gestione ambientale e al consolidamento sul mercato dell’immagine dell’azienda. Particolare importanza assumono in questo quadro le due certificazioni: Iso 9001 per il sistema di gestione qualità e Iso 14001 per il sistema di gestione ambientale. E soprattutto la nuova linea per il riciclaggio della moquette, unico esempio in Europa, frutto della capacità di sperimentazione e innovazione tecnologica dell’azienda». Come avete affrontato il passaggio generazionale? C. C.: «Sapendo quanto sia difficile trasformare un’idea in un prodotto vincente. E sapendo quanto sia improbabile riuscire a mantenere i valori e la forza nel tempo. Alma è esattamente il frutto di questo sforzo continuo di innovare, migliorare e crescere attraverso le generazioni». 133


Modelli d’impresa

Ecco perché non delocalizziamo L’analisi di Angela D’Ambrosio sulle possibilità del tessuto industriale italiano. I fattori di crescita sono diversi «ma le imprese devono rimanere in Italia per puntare sulla qualità e la flessibilità» di Remo Monreale

a delocalizzazione? Non è una soluzione. È la risposta che molti analisti darebbero, almeno riferendosi alle Pmi italiane: spesso si traduce nel tentativo maldestro di aumentare i volumi, in modo da entrare nella competizione delle grandi società, a scapito della qualità. «Eppure è evidente che la forza di un’impresa a dimensioni ridotte stia nella flessibilità, una caratteristica che non ha concorrenti». La strategia di Angela D'Ambrosio, titolare dell’udinese Ad, punta a un altro tipo di internazionalizzazione. La sua azienda, infatti,

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esporta in tutta Europa apparecchiature elettriche per la ristorazione professionale, soprattutto piani cottura induzione, senza spostare gli stabilimenti dall’Italia. «Essendo principalmente terzista – spiega D’Ambrosio – abbiamo clienti che esportano in tutto il mondo, mentre per quanto riguarda specificatamente il nostro prodotto esportiamo soprattutto in Spagna, Francia, Germania, Grecia, Portogallo e Svizzera. Ultimamente abbiamo avuto dei contatti anche con Russia, Inghilterra e India che speriamo a breve di sviluppare».


Angela D’Ambrosio

Angela D'Ambrosio, titolare della Ad, con sede a Mortegliano (UD) www.cotturavetroceramica.it

Perché la delocalizzazione porta a un abbassamento della qualità? «Delocalizzare non significa solo abbassare i costi dovuti a tasse e manodopera. Significa anche dover affrontare grossi problemi che normalmente abbassano la qualità del prodotto: spesso bisogna cambiare i fornitori di alcune materie prime e non sempre i nuovi hanno la stessa affidabilità e le caratteristiche qualitative sufficienti. Ma forse l’aspetto più importante riguarda la manodopera. Molte aziende si ritrovano in paesi che non hanno la stessa competenza specifica per i singoli settori produttivi: si perde la memoria storica che nessun pc potrà mai conservare. I fattori negativi della delocalizzazione non finiscono qui. Per questo siamo orgogliosi di dare lavoro ai nostri connazionali senza delocalizzare». Quali sono le possibilità per le Pmi italiane di mantenere la propria competitività? «Principalmente, le Pmi dovrebbero cercare di mantenere il prodotto a un livello medio alto, senza cadere nella trappola della guerra dei prezzi. Le multinazionali sono favorite per quanto riguarda i grandi numeri, le quantità e i prodotti standard, mentre per quanto riguarda tempi di consegna brevissimi, i piccoli quantitativi, le personalizzazioni ed estetiche ricercate, le Pmi non hanno concorrenti. Questo è uno dei sistemi, assieme alla diversificazione del prodotto e a un passaggio graduale da pochi grandi clienti a tanti piccoli rivenditori, che ci sta permettendo di superare la crisi e di dare un freno al calo dei fatturati». In cosa consistono, nel dettaglio, le tecnologie di cottura a induzione su cui ora puntate? «Il nostro piano cottura induzione da appoggio pronea | novembre 2013

CON LA DELOCALIZZAZIONE SI PERDE LA MEMORIA STORICA DELLA NOSTRA MANODOPERA CHE NESSUN COMPUTER POTRÀ MAI CONSERVARE fessionale unisce le caratteristiche proprie dell’induzione alle dimensioni e peso ridotti, con potenze variabili che ne fanno un gioiello dei piani di cottura portatili. Le tecnologie di cottura induzione, in particolare, consistono nell’utilizzare la generazione di un campo magnetico per scaldare solamente il fondo della pentola e di conseguenza, regolando l’intensità di questo campo mediante comandi touch control o manuali, si può avere una perfetta gestione delle temperature. Inoltre, garantisce un’efficienza del 90 per cento contro il 50 per cento della cottura a gas, un enorme risparmio energetico, e si dimezzano i tempi di cottura aumentando la produttività. Infine, migliora la vivibilità delle cucine con temperature molto minori, grazie all’eliminazione delle fiamme libere dei fornelli». 135



Leader

I segreti del successo


I leader di Nea

I manager dell’eccellenza L’8 novembre scorso è stata celebrata la settima edizione del Premio Eccellenza, consegnato ogni due anni alle aziende e ai dirigenti che si sono distinti per aver sviluppato innovazione, crescita e occupazione. «Il loro ruolo è centrale per la ripresa» di Renato Ferretti

iconoscere ai manager il ruolo di guida nella creazione di valore, non solo economico ma diffuso nella società nel suo complesso. È l’obiettivo per cui il Premio Eccellenza, promosso da Manageritalia, Cfmt e Confcommercio, ogni due anni viene consegnato ai migliori manager e aziende italiane, che si sono distinti per fatturato, utili,

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occupazione, sviluppo dell’azienda e dell’economia più in generale. Quest’anno, il Premio, intitolato al manager Lido Vanni, ha raggiunto la sua settima edizione ed è stato consegnato l’8 novembre scorso, al Teatro Dal Verme di Milano. I vincitori sono stati scelti tra quelli segnalati dai 35mila manager di Manageritalia e dalle 800mila aziende di Confcommercio.

Immagini dell’evento tenutosi presso il Teatro Dal Verme di Milano lo scorso 8 novembre www.manageritalia.it

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Il Premio Eccellenza In basso, la consegna del premio a Nidia Cernecca, 77 anni, manager in pensione, ex dirigente di Stanhom

Dalla parte dei dirigenti Un’associazione unica al servizio della managerialità presente in tutto il territorio italiano. A guidarla, Guido Carella

«I dirigenti, in un paese povero di managerialità come il nostro – ha detto Guido Carella, presidente Manageritalia –, assumono un ruolo ancora più centrale per la ripresa e devono dare quel qualcosa in più che ci permetta di fare il salto di qualità, di andare verso una crescita e uno sviluppo duraturi. Quest’anno il premio per i manager è rosa (sono premiate quattro donne) e giovane (perché l’uomo ha 35 anni e tre delle donne meno di 50). Manager che hanno applicato la loro competenza ai campi più disparati e in Italia carenti di managerialità (hotellerie e turismo, servizi innovativi per il lavoro, il real estate e arte, cultura e spettacolo) che stanno andando oltre la crisi con innovazione, integrazione di aziende, persone ed esperienze, lettura e penetrazione nei mercati esteri, sviluppo di nuovi approcci alle esigenze dei clienti. Insomma, è sul binomio managerialità e imprenditorialità che dobbiamo puntare». Per il presidente di Confcommercio Imprese per l’Italia, Carlo Sangalli, il vero motore economico del paese è l’economia dei servizi. «Un settore – ha detto Sangalli – altamente professionalizzato, competitivo, innovativo e con punte di eccellenza che, soprattutto in questo periodo di dura e profonda recessione, può rappresentare un volano su cui puntare per cogliere appieno tutte le opportunità di innovazione, di crescita e di produttività. Infatti, è proprio dal ruolo propulsivo dei servizi che passano, anche in Italia, crescita, occupazione e futuro. A questo proposito voglio sottolineare come l’innovazione rappresenti un fattore di sopravvivenza, di competitività, e, in prospettiva, di crescita non solo per le imprese ma per tutto il Paese. Deve, dunque, essere sostenuta con tutti i mezzi a disposizione e per questo siamo da tempo impegnati affinché innovare sia alla portata di tutti».

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uido Carella introduce al mondo Manageritalia, di cui è presidente, che nel 2000 ha dato vita al Premio Eccellenza. «Manageritalia – spiega Carella – è la Federazione nazionale dirigenti, quadri e professional del commercio, trasporti, turismo, servizi, terziario avanzato: dal 1945, rappresenta a livello contrattuale i dirigenti del terziario privato e dal 2003 associa anche a quadri e professional. Offre ai manager rappresentanza istituzionale e contrattuale, valorizzazione e tutela verso la politica, le istituzioni e la società, servizi per la professione e la famiglia, network professionale e culturale. Oggi Manageritalia associa 35.000 manager: 23.000 dirigenti, 7.000 pensionati, 2.000 quadri e 3.000 professional. La Federazione è presente sul territorio nazionale con 15 Associazioni che offrono una completo sistema di servizi: formazione, consulenze professionali, sistemi assicurativi e di previdenza integrativa, assistenza sanitaria ai manager e alla famiglia, iniziative per la cultura e il tempo libero». RF

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I VINCITORI SONO STATI SCELTI TRA QUELLI SEGNALATI DAI 35MILA MANAGER DI MANAGER ITALIA E DALLE 800MILA AZIENDE DI CONFCOMMERCIO 139


I leader di Nea Il Premio Eccellenza

I premiati Un riconoscimento per le personalità simbolo della miglior cultura d’impresa e manageriale italiana, con una giuria d’eccezione er la sezione manager sono stati premiati Carolina Botti (50 anni, Direttore Centrale Arcus - Società per lo Sviluppo di arte, cultura e spettacolo), Nidia Cernecca (77 anni, manager in pensione, ex dirigente di Stanhome e promotrice del Processo delle Foibe), Daniele Di Fausto (35 anni, General manager Efm, Real Estate e Facility Management), Concetta Galante (50 anni, Amministratore delegato Intoo, servizi HR e Outplacement) e Giovanna Manzi (46 anni, Chief executive officer Best Western Italia, settore alberghi). Per la sezione aziende, invece, hanno vinto il Premio Eccellenza 2013, la F.lli Abbascià (distribuzione settore ortofrutticolo), Conad (distribuzione alimentare), Serigroup (loyalty marketing), Van Ameyde Italia (settore assicurativo), PwC (società di servizi professionali di revisione, consulenza e consulenza legale/fiscale). La giuria con il difficile compito di assegnare i premi, è stata composta da personalità prestigiose dell’economia e della società: Roger Abravanel (ingegnere, manager e scrittore italiano); Maria Luisa Coppa (vice presidente Confcommercio); Giorgio Del Mare (presidente di Methodos); Vittorio Emanuele Parsi (docente Università Cattolica); Linda Laura Sabbadini (direttore Istat); Iole Siena (presidente Arthemisia Group); Sarah Varetto (direttore Sky Tg24). RG

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Sull’importanza della formazione come determinante per tornare a crescere è l’accento posto da Marcella Mallen, presidente di Cfmt. «In questa economia e società globale – ha spiegato Mallen – essere flessibili, pronti ad affrontare i cambiamenti e rapidi nel cogliere le opportunità, è il nuovo paradigma della competitività. Oltre 12mila manager e 3mila imprese ogni anno trovano in Cfmt un partner che li aiuta ad affinare conoscenze e competenze, nonché uno spazio di collaborazione dove esplorare idee e soluzioni per la crescita. È grazie alla sinergia tra manager e imprenditori che è possibile creare la cultura dell’innovazione e i modelli di sviluppo per le aziende applicabili anche nelle Pmi. Il premio quest’anno è dedicato a Michelangelo Patron, direttore generale di Cfmt dal 1994, mancato pochi mesi fa. Una figura in cui le competenze manageriali, la visione strategica e l’attitudine a sperimentare e innovare si univano a qualità umane eccellenti». Durante la celebrazione, la musica ha giocato un ruolo di primo piano grazie all’Orchestra Filarmonica Italiana e alla Corale Giuseppe Verdi di Parma, che hanno eseguito alcuni tra i brani più noti del maestro Giuseppe Verdi. Inoltre è stata premiata Nicoletta Mantovani, per il suo impegno e la sua passione nella promozione e nella divulgazione del canto lirico e della musica italiana nel mondo, attraverso la Fondazione Pavarotti.



I leader di Nea Guido Carella

Le imprese devono fare rete e anche squadra di Guido Carella Presidente di Manageritalia

na recente indagine realizzata su un migliaio di dirigenti da AstraRicerche per Manageritalia e Fondir (Fondo Paritetico Interprofessionale per la Formazione Continua dei Dirigenti del Terziario), ci aiuta a capire cosa le aziende stiano facendo per competere al meglio. Emerge che quasi tutte puntano su aumento dei ricavi (91,4 per cento), contenimento dei costi (85,2 per cento) e produttività (83,3 per cento). Elevato anche il numero di chi punta su aspetti di innovazione di processo (67,9 per cento) e organizzativa (66,7 per cento). Grave è, invece, che solo un terzo punti su export (34,9 per cento) e internazionalizzazione e apertura di sedi all’estero (32,4 per cento). In Italia l’andare all’estero è direttamente proporzionale alla crescita dimensionale delle aziende. Soprattutto, le nostre aziende nazionali e multinazionali ci vanno molto meno delle multinazionali estere. Come fare per superare questo gap? Non saremo mai un’economia di

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grandi imprese, non sarebbe né possibile né logico. Oggi anche la più grande corporate del mondo è vincente solo se è capace di essere parte di una catena del valore nella quale deve per forza collaborare, al meglio, con fornitori, clienti e anche con gli stessi concorrenti. Gli esempi sono tanti. Ferrero e Mars hanno collaborato per innovare logistica e distribuzione dei prodotti. Boeing ha costruito il 787 Dreamliner che ha il 70-80 per cento dei suoi componenti progettati e prodotti da partner esterni dislocati nell’intero pianeta. Insomma, chi non è in rete e non collabora è destinato a scomparire. Allora potremmo prendere i famosi “due piccioni con una fava”, anzi una rete. Quella costituita da una serie di aziende che condividono tutti o alcuni aspetti del loro processo produttivo e commerciale, che diventa il luogo dove condividere e sviluppare gestione, innovazione e tanto altro. Diventa l’unico modo per chi, piccolo, vuole andare sui mercati globali ed entrare nelle catene del valore che sono

l’asse portante dei vari settori e business. Certo bisogna cambiare mentalità, cultura, strategia e approccio al business. Serve mettere a capo della rete un manager che ragioni e faccia ragionare, in modo strategico e operativo, tutte le imprese come una squadra coesa e compatta. Serve che questo manager abbia esperienza e visione e che, fatta la squadra, sappia guidarla sui mercati internazionali. Basta che sia chiaro che andare oltreconfine a vendere, anche solo esportando, implica entrare a pieno titolo, con diritti e doveri, in una o più catene del valore. Non è più il tempo del commesso con la valigia. Il valore si crea e si mantiene se si riesce a essere una vera rete di imprese, che opera come un grande gruppo per diventare un anello indispensabile di una o più catene globali. E a guidare, sviluppare e mantenere il tutto ci vogliono imprenditori brillanti, manager intelligenti e capaci di consolidare le maglie di questa rete, agganciandosi agli anelli delle catene del business globali.



I leader di Nea

L’avvocato nell’era 2.0

Pietro Maria Putti e la crisi dell’impostazione tradizionale della professione forense. Docente di diritto e avvocato specializzato nel settore energia, sub commissario dell’Enea, affronta vari temi legati alla professione e al processo civile di Vittoria Divaro

na visione innovativa della professione forense, che coniughi le qualità professionali con il lato umano e fiduciario. «La professione è molto cambiata dagli esordi della mia pratica legale. Oggi il rapporto fra assistito e professionista dovrebbe svilupparsi secondo un modello relazionale in forza del quale il secondo soggetto diventa un punto di riferimento per il primo». Questa visione appartiene a Pietro Maria Putti dello studio legale Putti di Roma e docente di diritto privato e commerciale presso la facoltà di Economia dell’Università Politecnica delle Marche, oltre a ricoprire la carica di sub commissario

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dell’Enea, l’agenzia governativa per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile. «Sono avvocato, ma non mi sento un avvocato tradizionale. Prima di tutto perché sono un professore universitario e questo mi spinge a studiare e approfondire continuamente la materia. E poi perché ho fatto un’esperienza professionale che mi ha portato a escludere dal novero delle mie attività la difesa giudiziale dei diritti. L’Italia è un paese dove i modelli organizzativi sono spesso inadeguati, ma nel settore della giustizia – sia civile sia penale, un po’ meno in quella amministrativa – ciò emerge con evidenza quasi umiliante. Ho assistito,


Pietro Maria Putti

Il professor Pietro Maria Putti il cui studio legale ha sede a Roma prof.putti@studiolegaleputti.it

IL CONTENZIOSO È UN COSTO SOCIALE SICURAMENTE PER I CITTADINI MA PER LE AZIENDE È UN CONTROSENSO

negli anni, tante persone che, per ottenere giustizia hanno dovuto attendere anche 12 o 13 anni. Persone decedute prima di ottenere una sentenza, persone che fidandosi della giustizia, si sono trovate a perdere beni e risorse prima di avere una sentenza definitiva. Il monea | novembre 2013

dello italiano del processo civile è un modello teorico affascinante, tuttavia la sua applicazione pratica davvero non convince. Anzi, non funziona e basta». Ancora più grave, per la portata dei loro effetti, sono le ricadute di questa inadeguatezza del processo civile sulla realtà delle imprese. «Il contenzioso è un costo sociale sicuramente per i cittadini ma per le aziende è un controsenso. Chi fa sviluppo, chi produce ricchezza non può sapere se ha ragione o torto dopo 10 o 13 anni. Farsi difendere per 10 anni da un avvocato per sapere che un contratto è stato scritto male produce un danno economico ben maggiore del costo delle spese legali». Putti non si fa portavoce di una ricetta risolutiva, propone semplicemente il suo modo di concepire la professione. «Studiare e approfondire il più possibile un settore economico – io ho scelto l’energia – e proporsi alle aziende come una risorsa per il loro modello di business. Per esempio, mi occupo molto delle tematiche relative all’efficienza energetica, dove vi sono tecnologia, ricerca, sviluppo, ci sono innovazione e passione per la soluzione dei problemi. È anche la mia ricetta per la professione». Oltre che nel settore energetico, Putti lavora in quello delle nuove tecnologie. «Obiettivamente, per un’azienda, lavorare in Italia è quasi una fatica. Gli imprenditori che ancora continuano a investire nel nostro paese sono sempre di meno. Negli ultimi dieci anni ho conosciuto centinaia di aziende che hanno smesso di produrre in Italia. Perché gli imprenditori dovrebbero accettare di pagare il 60 per cento di tasse, fra dirette e indirette, quando in Svizzera o nei Balcani, possono farlo con il 20 per cento? Non è solo il problema della tassazione. È un insieme di meccanismi che sono stati creati per esercitare un controllo (molte volte necessario), che però ha finito per spostare le risorse altrove. Sono mancate, nel nostro paese, quelle scelte di politica economica finalizzate a creare sviluppo. Non sono state fatte le riforme necessarie ed è mancata la capacità politica di creare consenso attorno a dei modelli di sviluppo capaci di coniugare valori e obiettivi». 147


I leader di Nea

Verso la mobilità intelligente Un trasporto pubblico in cui infrastrutture, operatori e utenti sono interconnessi e gestiscono e condividono le informazioni in tempo reale. I vantaggi dell’integrazione fra Its e bigliettazione elettronica secondo Giuseppe Russotti di Luca Càvera

on decreto del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti del primo febbraio 2013, l’Italia ha recepito la direttiva europea 2010/40/Ue per la diffusione dei sistemi intelligenti di trasporto (Its – Intelligent Transport System). Elementi determinati per l’attuazione di una mobilità sostenibile, gli Its permettono di realizzare una visione integrata della rete dei trasporti e di ottimizzare l’offerta del servizio, consentendo da un lato una migliore fruizione e dall’altro una migliore gestione. «In Italia, circa il 50 per cento delle aziende di trasporto pubblico locale utilizza già gli Its per la localizzazione e il monitoraggio della flotta, per scopi di informazione verso il pubblico, certificazione del servizio e supporto dei processi interni aziendali di esercizio e manutenzione. E sono molte le aziende che, soprattutto nelle grandi città, utilizzano sistemi di bigliettazione elettronica. Questi ultimi, però, non sempre sono integrati con gli Its presenti». Ad affermarlo è Giuseppe Russotti, general manager e amministratore delegato della sussidiaria italiana di Vix Technology, multinazionale del settore tecnologie per la mobilità che progetta e produce soluzioni Its per il trasporto pubblico e privato. «Il trasporto pubblico – prosegue Russotti – è di gran lunga la soluzione più efficace per far fronte alla sfida della mobilità sostenibile. La nostra mission è migliorare l’esperienza di viaggio dei pendolari e offrire una vera alternativa all’automobile». In che modo? «Its e bigliettazione elettronica non possono essere considerati e utilizzati come sistemi a sé stanti. È importante che siano integrati, per rendere pos-

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Giuseppe Russotti, general manager e amministratore delegato della sussidiaria italiana di Vix Technology, con sede a Roma www.vixtechnology.com www.vixtechnologyitalia.it


Giuseppe Russotti

LA NOSTRA MISSION È MIGLIORARE L’ESPERIENZA DI VIAGGIO DEI PENDOLARI. E OFFRIRE UNA VERA ALTERNATIVA ALL’AUTOMOBILE

sibili nuovi modelli di relazione sistema-sistema e sistema-utente. Infatti, l’integrazione favorisce l’intermodalità, la realizzazione di un sistema del trasporto integrato e dinamico, nel quale informazione, gestione e controllo operano simultaneamente. E nel quale, infrastrutture, operatori e utenti sono tra loro connessi in tempo reale. Si crea così un circolo virtuoso: aumenta l’interesse e l’utilizzo del trasporto pubblico da parte dei cittadini e le esigenze dei pendolari sono valorizzate. Il tutto con ricadute importanti nella riduzione del traffico veicolare privato, dell’inquinamento ambientale e dei costi per la mobilità quotidiana». Per incrementare i vantaggi dell’adozione di queste tecnologie, l’integrazione dei sistemi dovrebbe poter contare sulla disponibilità di un titolo di viaggio interoperabile a livello regionale, e possibilmente nazionale, che permetta di utilizzare più mezzi di trasporto, realizzando in quest’ambito l’integrazione tra gomma e rotaia e l’integrazione tra trasporto urbano ed extraurbano. «Tuttavia, a tutti i livelli esistono ulteriori vantaggi strategici, che discendono dalla disponibilità di informazioni su quattro punti fondamentali. La qualità nea | novembre 2013

del servizio, utile per la consuntivazione e certificazione del servizio effettivamente erogato. I flussi di trasferimento degli utenti, per analizzare la domanda e pianificare e ottimizzare l’offerta. Informazioni che consentono alle aziende concessionarie e affidatarie di sviluppare strategie per individuare e acquisire maggiori quote di mercato. Informazioni a supporto della definizione della politica tariffaria e di una più attenta politica commerciale». Per il gruppo Vix Technology, la diffusione di queste soluzioni tecnologiche è una sfida mondiale. «Il nostro gruppo opera in dieci nazioni, con quindici uffici e referenze nei cinque continenti. Abbiamo realizzato progetti significativi nelle aree metropolitane di Pechino, Singapore, Hong Kong, Seattle, Bruxelles, Melbourne, Bangkok, Wellington, Cape Town, Oslo, Stoccolma, Gothenburg, Bordeaux, Roma e molte altre. Inoltre, stiamo ampliando la nostra presenza sia nei mercati emergenti dell’Asia, come in Thailandia e nelle Filippine, e contemporaneamente continuiamo a investire per ampliare la presenza sia sul mercato Europeo sia nel Nord Africa, come in Marocco e Algeria». 149


Edilizia

Green building, la chiave è nella ricerca Cristina Fresia presenta i risultati dell’attività di ricerca e sviluppo in Polight. E spiega l’importanza dell’ecosostenibilità dei serramenti come premessa per l’internazionalizzazione di Luca Càvera nvestire sulla ricerca e sviluppo di prodotti altamente prestazionali, ecosostenibili e che incrementi l’efficienza delle costruzioni nei quali sono installati. E inoltre studiare soluzioni e tecniche costruttive per ottimizzare i tempi di gestione del cantiere, per velocizzare la realizzazione di manufatti e la ristrutturazione di edifici esistenti. Sono queste le due macroaree di ricerca portate avanti da Fresia Alluminio, azienda specializzata nella progettazione e commercializzazione di sistemi ecosostenibili per serramenti in alluminio ad alta efficienza energetica. «Svolgiamo la nostra attività di ricerca all’interno di Polight, il polo della bioedilizia della Regione Piemonte. Collaborando con il Politecnico di Torino, negli ultimi anni abbiamo dato vita a

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otto progetti di ricerca e sviluppo, che si sono concretizzati in prototipi per testare nuovi prodotti e nuove modalità di costruzione». A parlare è Cristina Fresia, che, insieme al fratello Valentino e al padre Ezio, guida la società torinese che progetta finestre, porte scorrevoli e facciate continue ad alto potere isolante (energetico e acustico), che minimizzano la naturale dispersione termica e l’impatto ambientale. Questo impegno nella ricerca si è già tradotto in certificazioni sull’ecosostenibilità dei vostri serramenti? «Abbiamo già ottenuto la certificazione del contenuto di riciclo lungo tutta la filiera da parte di ente terzo. Sotto questo aspetto siamo l’unica azienda italiana del settore ad averla ottenuta. Ciò ci consente di


Cristina Fresia

Cristina Fresia, titolare della Fresia Alluminio Spa di Torino www.fresialluminio.it

essere in linea con i protocolli di sostenibilità. Inoltre, abbiamo ottenuto Lca (Life Cycle Assessment) di prodotto, che attesta la riduzione del 50 per cento del consumo di energia primaria nell’intero ciclo di produzione e l’abbattimento del 50 per cento nella produzione di anidride carbonica. Recentemente, poi, abbiamo avviato l’iter per la certificazione di Epd (Environmental Product Declaration), che è la trasposizione a livello internazionale dell’Lca». Cosa rappresenterà questo riconoscimento internazionale? «Non esistendo una procedura a livello europeo per ottenere l’Epd per il prodotto finestra, saremo noi a fare da apripista. Eseguiremo un monitoraggio di un anno per verificare se questa procedura effettivamente è corretta e otterremo questa certificazione a livello internazionale sull’ecosostenibilità dei prodotti che è molto importante per aprirsi al mercato estero. Anche perché nel 2014 la nuova review dei

NON ESISTENDO UNA PROCEDURA A LIVELLO EUROPEO PER OTTENERE L’EPD PER IL PRODOTTO FINESTRA, SAREMO NOI A FARE DA APRIPISTA protocolli Leed e Itaca di sostenibilità richiederà l’Epd di prodotto». Quindi l’export è uno dei vostri obiettivi futuri? «Purtroppo abbiamo capito solo nel corso del 2013 che è il momento di accostarci all’estero. Abbiamo così predisposto un ufficio dedicato. Siamo ancora alle prese con diverse difficoltà, ma siamo motivati e crediamo molto nelle possibilità offerte dalla tecnologia e dagli strumenti informatici, sia come organizzazione sia sulla parte web. Per me un’azienda deve poter contare su tre capisaldi: prodotto, capitali e strumenti, però credo che il capitale umano sia il patrimonio più grande. E in più, credo in quanto papa Francesco ha dichiarato recentemente: “Il genio femminile è necessario nei luoghi in cui si prendono decisioni importanti”». nea | novembre 2013

Quali sono gli altri obiettivi per il medio periodo? «Sicuramente l’obiettivo prioritario è quello di aumentare la quota di mercato, anche attraverso l’attività di internazionalizzazione. La nostra fortuna è che siamo strutturati per servire gli artigiani che spesso lavorano più sulla ristrutturazione che non sul nuovo. Altrettanto importante, per noi, è riuscire a consolidare l’attività anche a monte del progetto. Ovvero non limitarci più a lavorare solo con il serramentista, ma iniziare a lavorare anche con i progettisti, con le imprese di costruzioni e con la pubblica amministrazione. Insomma, vogliamo collaborare direttamente con i committenti, in un’ottica di progettazione integrata all’interno della filiera delle costruzioni». 153


Edilizia

Sintonie architettoniche Graziella Gallai racconta le ultime costruzioni realizzate nell’edilizia civile e le ristrutturazioni all’insegna della compatibilità architettonica e dell’efficienza energetica di Arianna Lesure

arantire, all’interno delle unità immobiliari, elevate condizioni di benessere ambientale, con particolare attenzione al risparmio energetico. Su questi presupposti si fonda da sempre l’attività dell’impresa Monaco di Fagagna, in provincia di Udine, nata come piccola azienda artigiana e oggi realtà affermata nel settore dell’edilizia civile residenziale, commerciale, industriale, artigianale e direzionale. «A conferma dell’elevata efficienza energetica delle nostre realizzazioni – sottolinea Graziella Gallai, che ha preso le redini dell’impresa dopo la scomparsa del marito Giovanni Monaco – le nostre ultime costruzioni hanno ottenuto la certificazione in classe A e B». L’impresa, che vanta una consolidata esperienza anche nel settore delle ristrutturazioni, è attiva prevalentemente a Udine e nel territorio circostante, e segue direttamente la commercializzazione degli immobili che realizza. Oltre al risparmio energetico e al comfort degli spazi, il vostro approccio costruttivo si contraddistingue per la particolare attenzione alle finiture e ai dettagli. «Le finiture delle nostre realizzazioni sono molto curate dal punto di vista estetico e funzionale, ma grande importanza nelle nostre progettazioni rivestono anche l’impiantistica, la selezione dei materiali e la ricerca di soluzioni innovative per la coibentazione. Grazie a queste scelte progettuali e costruttive, le nostre opere acquistano, anche dal punto di vista meramente commerciale, un valore superiore alla media di mercato

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Graziella Gallai, titolare dell’impresa di costruzioni Monaco Spa di Fagagna (UD). Nella pagina accanto, dettagli di Villa Turchese www.monacoimpresaedile.com

trovano riscontro presso un target di alto livello». Quale opera rispecchia in maniera particolare il vostro approccio? «Senz’altro una delle nostre realizzazioni più prestigiose è Villa Turchese, situata sulle colline moreniche a 15 chilometri da Udine. La villa è circondata da un parco di circa 5.500 metri quadrati, ospita un grande salone centrale effetto “piazza” e uno spettacolare soffitto vetrato a volta. Particolari e inedite sono le finiture, estremamente pregiate, come gli ampi finestroni apribili interamente, e una notevole importanza riveste anche la


Graziella Gallai

LE FINITURE SONO CURATE DAL PUNTO DI VISTA ESTETICO E FUNZIONALE, MA SONO FONDAMENTALI ANCHE L’IMPIANTISTICA, I MATERIALI E LA COIBENTAZIONE

tecnologia, come testimonia ad esempio la piscina coperta con automazione». La vostra realtà si era già fatta notare negli anni 90 con la realizzazione del complesso commerciale Corte Smeralda. «Il complesso commerciale Corte Smeralda, che sorge sulla Udine-Tricesimo è stata senz’altro una dei nostri progetti più famosi. A destinazione commerciale, artigianale e direzionale, è una struttura tradizionale, realizzata attorno a un’ampia corte di circa 2000 mq, elemento caratterizzante che, attrezzato a verde e con elementi prestigiosi di arredo urbano, rende particolarmente gradevole l’insieme, sia dal punto di vista estetico che funzionale per l’utente». Fra le vostre realizzazioni più recenti, su quale state puntando particolarmente? «La realizzazione più recente è il complesso residenziale Borgo dei Mandorli. Questo si trova alle porte di Udine, in località Molin Nuovo a pochi passi dal Terminal Nord, vicino al centro urbano, ma al contempo in mezzo a un’oasi di verde e tranquillità. Nella cornice di una graziosa corte recintata e pavimentata con aiuole e spazi verdi attrezzati, abbiamo effettuato la ristrutturazione del vecchio fabbricato, riportato al suo antico splendore con il gusto della tradizione, e affiancato da due nuove palazzine disposte a elle in perfetta sintonia architettonica. L’attuale struttura si compone di 19 unità immobiliari, mono, bi e trilocali, con o senza giardino, diversificate nelle dimensioni, che dispongono tutte di terrazzo, cantina e posto auto». nea | novembre 2013

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Edilizia

Verso l’edilizia modulare eco-razionale Una proposta tecnologica e modulare per rilanciare il mondo delle costruzioni e delle infrastrutture viarie su gomma e ferro. La presenta Valeria Vettorello di Vittoria Divaro

n’idea che offre soluzioni plurime ed evoluzioni per il rilancio dell’economia internazionale restituendo all’edilizia il suo valore di traino del mondo industriale, permettendo di progettare e costruire edifici e unità abitative per il residenziale con un’elevata qualità costruttiva e usando principi di industrializzazione replicabili, flessibili e altamente competitivi. La proposta di Valeria Vettorello, direttore generale, e di Michele Angelico, direttore tecnico divisione ricerca e sviluppo, della Htdm, abbraccia la virtuosità del talento, della crescita, della condivisione e del bene comune nel fare impresa, mettendo il cuore nello sviluppo di un business nobile ed evoluto. «Il rilancio del settore – afferma Vettorello – passa dall’applicazione di sistemi modulari ecosostenibili, che uniscano nuove, recenti e vecchie tecnologie in un mix che permetterà un’escalation di sviluppi futuri alla quale l’immaginazione non è ancora allenata». In Htdm tutto questo è stato chiamato “edilizia modulare eco-razionale” e si è concretizzato nel prodotto Panel System, che sarà presentato al Salone delle microimprese dal 29 al 30 novembre presso la camera di commercio di Venezia, dove Htdm sarà presente come azienda “talent”.

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IL PROGETTO MILD HOME Con una base storica nelle lavorazioni meccaniche di precisione, fra le quali ideazione, progettazione e realizzazione di stampi per componenti in plastica, Htdm è una società che si colloca nel quadro più ampio dello sviluppo di soluzioni innovative per le imprese. L’ultimo nato nei laboratori di San Biagio di Callalta, nel trevigiano, è Panel System, pannelli termoplastici brevet156

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Valeria Vettorello della Htdm Srl con sede a San Biagio di Callalta (TV) www.htdm.it


Valeria Vettorello

tati e progettati per diverse applicazioni. Fra le quali l’edilizia eco-razionale, «che riteniamo meriti assoluta precedenza. Con questa formula intendo una razionalizzazione dell’interazione fra uomo e ambiente nello sviluppo di un sistema costruttivo. Il concetto si è concretizzato nel progetto europeo Mild Home, che prevede l’utilizzo di un pannello progettato per la costruzione a bassi costi, con il quale dedicarci al social housing, riedificando, per esempio, le aree degradate dei paesi in via di sviluppo, oppure creare nuove aree turistiche e residenziali con sviluppo di aree industriali parallele e rurali con sistemi di recinzione per usi vari (alimentare, ad esempio l’allevamento). Il rivoluzionario sistema di costruzione modulare ha elevate prestazioni qualitative, come la resistenza antisismica». L’impegno di Valeria Vettorello è creare reti regionali, nazionali e internazionali di imprese, investitori, associazioni e progetti paralleli che si integrino alla mission con il sostegno degli enti del territorio. «L’impact development che il progetto porterà nei paesi in via di sviluppo con l’applicazione del pannello in progetti di aridocoltura, insieme a un’architettura e l’unione dei materiali in modularità (legno, vetro, polimero, ferro, ma anche i tradizionali cemento e mattoni) potranno fare tantissimo per abbattere i costi delle abitazioni. Tutte le imprese di produzione potranno partecipare a un evento di grande cambiamento di sistema, non solo costruttivo ma anche del fare impresa, dove cuore e neuroni siano uniti da un’unica energia creativa, in un futuro di interrelazioni e scambio continuo per l’evoluzione di ogni sistema politico, sociale e culturale partecipe nell’attività di cambiamento».

nella storia dell’economia internazionale, come l’accensione della miccia dello sviluppo economico con un sistema di abile e creativo gioco replicabile in tutto il mondo. In tutte le sue applicazioni il pannello offre ottime prestazioni a un costo basso, irraggiungibile con gli attuali sistemi, se non a elevati costi che pochi possono permettersi sia nella nostra realtà che ovunque nei paesi in via di sviluppo». Panel System è nato inizialmente come pannello antirumore, nel brevetto Pyramid Silent. PYRAMID SILENT Nasce per essere applicato nell’ambito del traffico stradale e ferroviario. Tuttavia si presta a essere installato anche in zone aeroportuali e marine di porto, insediamenti produttivi, attività ricreative e di spettacolo e cantieri temporanei. «Grazie alla sua conformazione e al sistema di montaggio e assemblaggio, il nostro pannello

LA RIVOLUZIONE PANEL SYSTEM «Panel System è un prodotto riciclabile al 100 per cento che prevede sei aree di sviluppo iniziali per altrettanti obiettivi di sistema. Un pannello che, ispirandosi al modello “Lego Architecture” può cambiare il mondo dell’edilizia. Quello dedicato all’edilizia è Building Panel, pensato per offrire un cambiamento di rotta che rimarrà nea | novembre 2013

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Edilizia Valeria Vettorello

PANEL SYSTEM È UN PRODOTTO RICICLABILE AL 100 PER CENTO CHE, ISPIRANDOSI AL MODELLO “LEGO ARCHITECTURE” PUÒ CAMBIARE IL MONDO DELL’EDILIZIA

antirumore non si limita a essere impiegato nelle sole linee di trasporto, ma consente di raggiungere i migliori risultati in tutte le applicazioni preventive dell’inquinamento acustico». Nonostante la forza innovativa del sistema, Pyramid Silent non è ancora sulle strade italiane. «A frenarci sono la nostra piccola dimensione aziendale, oggi poco valorizzata e sostenuta, e una legge del ministero dello Sviluppo economico, che non ci permette di rientrare dei costi di mantenimento del brevetto, che sono una base fondamentale di garanzia per l’investitore e il fruitore del prodotto. Si aggiungono le varie “porte chiuse” dei potenziali investitori del settore delle infrastrutture, che hanno persistito a montare barriere ormai superate e inefficaci se paragonate al nostro sistema innovativo. Tuttavia noi continuiamo a credere in un prodotto la cui portata innovativa è riconosciuta in un tutto il mondo e continuiamo a cercare investitori che vogliano credere insieme a noi nel suo sviluppo su larga scala». EFFICACIA FONO-ISOLANTE E FONO-ASSORBENTE Concepito per rispondere ai più alti requisiti prestazio158

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nali, dal rispetto dell’ambiente all’abbattimento dei costi di produzione, e mantenendo il prodotto strutturalmente efficace ed esteticamente armonioso, Pyramid Silent si compone di due gusci in materiale termoplastico di riciclo. «I gusci sono realizzati per stampaggio a iniezione e dotati all’esterno di smorzanti in gomma dalla forma appositamente studiata». La forma geometrica esterna è parte dell’interna sfruttando il principio anecoico, dove gran parte dell’interno a labirinto ne esalta le capacità di abbattimento del suono. «Il pannello è stato studiato per ottenere la massima efficacia fono-isolante e fono-assorbente senza l’impiego di materiali come lane di roccia, lane minerali e di vetro. Per ottenere alte prestazioni utilizziamo un unico criterio applicativo: lo stampaggio a iniezione termoplastica. Quest’ultimo garantisce grande qualità di manufatto e un altissimo livello di automazione in fase di produzione». Le prestazioni di Pyramid Silent rientrano nella categoria A4 della normativa Uni 1793-1 e nei test acustici in camera riverberante, effettuati dall’ente certificato Sinal, il prodotto si è collocato nella categoria B3 della Uni 1793-2.



Urbanistica

È tempo di sviluppo verticale Grazie alla metafora di supremazia che rappresentano e alle loro caratteristiche architettoniche uniche, torri e grattacieli conquistano l’Oriente. Che si affida ad architetti italiani come Lorenzo Monardo di Renato Ferretti

da sempre uno dei simboli più suggestivi e più efficaci del potere. Dalla Torre di Babele e la sua sfida al cielo ai grattacieli americani del dominio economico, l’architettura verticale non ha mai smesso di esercitare il suo fascino sull’immaginario collettivo. Ora tocca alla Cina, che sembra voler vincere la sfida in altezza con le costruzioni occidentali a riprova della sua supremazia: al momento il grattacielo più alto è il Burj Khalifa (828 metri) a Dubai, ma è già in progetto lo Sky City di Changsha (nella Cina meridionale), che con i suoi 838 metri sarà l’edificio più alto del mondo.

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Eppure, capita di frequente che le grandi società cinesi, e orientali in genere, cerchino in Europa gli architetti per le loro opere. In particolare in Italia. Uno di questi è Lorenzo Monardo, tra i più legati alle possibilità estetiche e funzionali espresse da questa figura architettonica, e che proprio recentemente ha consegnato il progetto di una torre a una compagnia cinese. Per l’architetto di stanza a Roma, le caratteristiche delle strutture sviluppate in verticale vanno al di là della dimostrazione del primato e degli obiettivi narcisistici. «È vero – ammette Monardo – la torre nel corso dei secoli ha sempre rap-


Lorenzo Monardo

Lo studio dell’architetto Lorenzo Monardo si trova a Roma www.tecnurbarch.it

presentato il potere. Ma devo confessare che quando progetto gli elementi verticali non penso mai a questo aspetto: sono più incline a vederli come un elemento compositivo estetico che dia slancio. Detto questo, ora i miei progetti vanno in Cina non a caso. L’ultimo si chiama Helical Tower, è un avant-projet alto 310 metri, strutturato su 86 piani, con residenze, uffici e centri commerciali: ogni piano ruota di 15 gradi rispetto al piano sottostante, con tutte le sue parti esterne, costituite da vetrate fotovoltaiche. L’effetto è di un edificio in movimento costante». Monardo, che fino a due anni fa era docente di “pianificazione delle infrastrutture” e di “pianificazione territoriale” presso l’università La Sapienza di Roma, in passato ha realizzato molte opere di questo tipo, come il sontuoso complesso Alberghiero a Ras Al Khaimah, negli Emirati Arabi Uniti. «Le peculiarità della torre – spiega Monardo – sono diverse. In primo luogo ha caratteristiche volumetriche e spaziali uniche. Poi, permette di occupare poco territorio per una grande densità. Poi, ovviamente garantisce una vista che domina tutta l’area circostante per chilometri. Ma forse l’aspetto più interessante è quello urbanistico: l’architettura verticale permette di creare un polo di attrazione se inserita nel giusto contesto. All’interno di una sistemazione ambientale, infatti, le opere possono collocarsi in modo assonante o dissonante. Si prenda il caso di una torre che svetta in una sistemazione medio bassa: si avrà una dissonanza, perché i rapporti volumetrici con il resto saranno sproporzionati, e in questo modo farà da punto di riferimento per il paesaggio nella sua interezza». Nonostante una certa riluttanza, anche in Italia Monardo ha realizzato opere simili: su tutte, il santuario di Nostra Signora di Fatima a San Vittorino, o le sette torri costruite nel centro Direzionale a Napoli: di queste ultime, due sono di circa 102 metri, con una pista di atterraggio per elicotteri e un complesso di cinque torri resinea | novembre 2013

NELL’HELICAL TOWER L’ESTERNO DI OGNI PIANO RUOTA DI 15 GRADI RISPETTO AL PIANO SOTTOSTANTE. L’EFFETTO È UN MOVIMENTO COSTANTE

denziali, di 95 metri ciascuna. «Le torri – continua Monardo – possono essere un elemento di pregio che completa il territorio, che lo identifica. In Italia siamo rimasti “schiavi” di uno sviluppo urbanistico e architettonico estensivo, senza investire sufficientemente nei vantaggi di uno sviluppo intensivo, verso l’alto. Questa tipologia di edifici occupa meno spazio e può veramente offrire valori aggiunti ai nostri spazi urbani». Per l’architetto, però, occorre fare attenzione ai progetti utopistici. «Nel mondo stanno dilagando disegni considerati “avveniristici” – dice Monardo –, ma in realtà sono il frutto di iniziative irrealizzabili. Penso soltanto alla recente idea del grattacielo rotante, ad Abu Dhabi. In quel caso si presenterebbe un problema tecnologico e strutturale non indifferente. Preferisco progettare con un senso di concretezza maggiore». 161


Interni

Un’altra idea di antiquariato L’oggetto antico e il complemento di arredo di un’altra epoca possono inserirsi nel contesto estetico contemporaneo. In maniera funzionale ed etica. La scelta di Rosella Ramponi di trasferire il bello del passato nella quotidianità di Arianna Lesure

antiquariato è spesso associato a un contesto elitario e distante dall’ordinario. Alla creazione di quest’aura di intangibilità hanno contribuito in parte anche i suoi estimatori, sia sul fronte di chi commercia articoli antichi sia su quello di chi li acquista e colleziona. Diverso è l’approccio di Rosella Ramponi, titolare insieme alle figlie Chiara e Giada di Crazy Art, società milanese che rappresenta un’eccezione nel mondo dell’antiquariato e che non a caso ha trovato come principali interlocutori e partner il mondo della moda, della fotografia d’autore, della pubblicità e degli eventi e programmi di intrattenimento. «Sul nostro settore – afferma Ramponi – la crisi economica ha influito parzialmente. Certamente i budget per gli shooting e la pubblicità si sono notevolmente ridotti. C’è però una nota positiva: in questo periodo di crisi emergono nuovi soggetti interessati a investire risorse nell’oggetto antico. Registriamo infatti nuovi contatti e una maggiore quantità di richieste, tuttavia con cifre più contenute rispetto al passato». Dunque un bilancio tutto sommato positivo? «Dopo un primo periodo di riassesto aziendale, nel primo semestre del 2013 abbiamo notato una buona ripresa. Per i prossimi mesi, una svolta decisiva sarà data dal cambio di sede, avvenuto a luglio 2013. Le dimensioni del nuovo showroom ci permettono di disporre più efficacemente il materiale e aumentano la nostra forza nel

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campo del noleggio». Cosa rende peculiare la vostra attività di antiquari? «Siamo specializzati nella ricerca di complementi d’arredo originali, rari e a volte stravaganti. Inoltre, svolgiamo un’opera di promozione, organizzazione e consulenza. Sicuramente il fiore all’occhiello è l’allestimento di mostre tematiche all’interno del nostro showroom e di mostre collaterali in fiere d’antiquariato modernariato e vintage italiani, nonché la partecipazione presso alcuni fra i più importanti mercati e mercatini. Lo scopo, oltre che divulgativo, è anche quello di delineare un’estetica, un approccio e un utilizzo inconsueto degli arredi e complementi antichi, con uno sguardo divertito e giocoso a un mondo, quello dell’antichità appunto, che si prende troppo sul serio, diventando così elitario e distaccato dalla realtà quotidiana». A quali eventi partecipate? «Solo per citarne alcuni: il Mercanteinfiera di Parma, il Mercatone dell’Antiquariato del Naviglio Grande e il Mercatino di Brera di Milano, la Soffitta in Strada e la Fiera Antiquaria nella Fortezza di Sarzana, il Brocan-

Da sinistra, Rosella, Giada e Chiara Ramponi, della Crazy Art di Milano www.crazyart-milano.com


Rosella Ramponi

IL NOSTRO SETTORE DEVE ESSERE SVECCHIATO E SI DEVE INSERIRE IN UN CONTESTO ESTETICO, FUNZIONALE, ETICO E CONTEMPORANEO tage del Parco Esposizioni di Novegro, MilanoAntiquaria alla Fiera di Milano». Dove attingete per la vostra ricerca di complementi di arredo di antiquariato? «Abbiamo principalmente tre fonti. La prima ci porta a trovare il materiale da privati che, per varie ragioni, vogliono disfarsi di mobili e oggetti che non servono più o sono in sovrannumero (eredità, traslochi, collezionisti). La seconda sono le proposte dei nostri colleghi antiquari, che conoscono i nostri gusti e le nostre esigenze. La terza, presso colleghi e case d’asta all’estero». Come si evolverà nei prossimi anni la vostra attività? «Abbiamo da poco più di un anno iniziato a seguire sempre più assiduamente il social networking tramite la nea | novembre 2013

nostra pagina di Facebook (dove stiamo preparando un archivio storico della nostra attività). Allo stesso tempo stiamo cercando di preparare delle schede didattiche che accompagnino la nostra clientela nella ricerca e riconoscimento consapevole di stili ed epoche. Il nostro scopo rimane quello della promozione dell’antiquariato e del modernariato come risorsa rispettosa dell’ambiente, grazie al suo alto valore di riutilizzo. Siamo sempre più convinte che il nostro settore debba paradossalmente essere svecchiato e si debba inserire in un contesto estetico, funzionale ed etico contemporaneo, abbandonando quell’aspetto di intoccabilità e distanza che spesso suscita, a favore di una quotidianità accogliente e in fin dei conti bella». 163


Trasporti

Trasporti marittimi, criticità e prospettive Maria Olga Barbieri fa un quadro dell’attuale situazione del noleggio marittimo a scopo commerciale. E traccia i possibili scenari per i prossimi anni, alla luce dell’ingresso massiccio sul mercato delle flotte dei paesi emergenti di Valerio Germanico

e previsioni di lungo periodo per il settore del trasporto marittimo commerciale sono strettamente condizionate dalla soluzione della crisi economica. Infatti, il livello dei traffici è tuttora penalizzato dalla frenata delle economie di Europa, Stati Uniti e Giappone. A caratterizzare la flessione del mercato dal 2008 a oggi è poi il surplus di offerta di tonnellaggio a fronte della domanda, determinato dal varo indiscriminato di nuovi carghi. Alla crisi di mercato si sommano poi l’atteggiamento prudenziale degli istituti di credito, che sta incidendo sulla disponibilità finanziaria delle compagnie marittime, e il rapporto di cambio fra le valute (euro-dollaro). A confermarlo è Maria Olga Barbieri, managing director della compagnia marittima di noleggio Global Shipping Spa con base a Lancenigo di

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Villorba, in provincia di Treviso. «Negli ultimi anni il nostro giro di affari è stato di circa 40 milioni di euro, certamente accettabile a fronte dell’attuale situazione economica e alle difficoltà dell’export europeo, ma lontano dai livelli del periodo 2004-2009, durante i quali il nostro fatturato annuo era di circa 80 milioni di euro. Questo dimezzamento ci obbliga a monitorare attentamente le spese generali. Tuttavia, considerando la nostra totale autonomia dal credito bancario e l’incidenza dei costi contenuta entro un massimo del 5 per cento del fatturato, possiamo guardare con una certa serenità al futuro, sperando che l’industria siderurgica italiana e quella dell’Est Europa, che gravitano sull’Adriatico per il trasporto marittimo, ritornino competitive». Principale attività della Global Shipping è il noleggio di navi di portata 35-40.000 ton per merce da stiva


Maria Olga Barbieri

IN PAESI COME ARABIA SAUDITA, YEMEN E SUDAN ABBIAMO COSTRUITO RELAZIONI DI FIDUCIA CHE SUPERANO IL PURO RAPPORTO COMMERCIALE in convenzionale (non container), con contratti di time charter e relativa copertura P+I con Skuld-Norwegian Hull (assicuratori marittimi specializzati e membri di Lloyds Club). «Come operatori di bandiera italiana non abbiamo vita facile nella gestione della contrattualistica in questo settore (tutto sotto legislazione britannica). Tuttavia, sono ormai 35 anni che operiamo in questo campo, assecondando i movimenti di mercato e coprendo Paesi Arabi, Estremo Oriente e golfo del Messico, rispondendo alle richieste di partner come Lucchini, Ilva, Salini, Dalmine, Arvedi, Saipem e diversi trader stranieri nel settore del siderurgico e dell’impiantistica. Inoltre, abbiamo una linea a regolarità mensile dai porti di VeneziaCapodistria e Taranto e contiamo di mantenere tale frequenza con sbarchi regolari nei porti di Arabia Saudita, Yemen, Emirati e Iraq – e in futuro forse ritorneremo in Iran, se la situazione andrà verso una normalizzazione. In paesi come Arabia Saudita, Yemen e Sudan abbiamo partnership consolidate da decenni e abbiamo costruito relazioni di fiducia che superano il puro rapporto commerciale. Transitando nel corridoio di Aden dobbiamo far fronte al pericolo della pirateria, ma per garantire la sicurezza delle merci che trasportiamo, mettiamo a bordo guardie armate e utilizziamo coperture kidnapping & ransom con assicuratori specializzati». Per il futuro, fatto salvo il superamento della crisi economica, secondo Maria Olga Barbieri, il fattore di

La Global Shipping Spa ha sede a Lancenigo di Villorba (TV) www.globalshipping.it

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maggiore criticità potrebbe essere rappresentato dalla pressante concorrenza delle flotte dei paesi emergenti. «In questi ultimi, infatti, l’espressione “aiuti di stato” ha ancora un significato reale. Tuttavia manteniamo le posizioni raggiunte fino a ora, restando legati al core business senza cercare strade nuove che in questo momento sono già intasate da altri operatori in grosse difficoltà. Anche perché riteniamo che solo la specializzazione in una tipologia di servizio possa garantire la continuità, la fidelizzazione dei partner e garantirci ulteriore crescita». 167




Diritto dell’informazione

Luci e ombre sulla nuova legge La disciplina della diffamazione a mezzo stampa vedrà a breve una riforma che modifica alcuni aspetti ampiamente dibattuti negli ultimi mesi. Caterina Malavenda spiega cosa cambierà di Nicolò Mulas Marcello

recenti casi che hanno visto coinvolti Alessandro Sallusti, direttore del Giornale, e Giorgio Mulè, direttore di Panorama, hanno riacceso i riflettori sulla necessità di una regolamentazione più efficace della legge sulla diffamazione a mezzo stampa. Il testo del decreto che dovrebbe riformare la disciplina, annullando la pena detentiva per i giornalisti e i direttori di testate, è passato tra i banchi di Montecitorio con 308 sì,

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117 no e 8 astenuti. Ora il testo passa all’esame di Palazzo Madama. «Ci sono profili che potrebbero essere migliorati con lievi modifiche – spiega l’avvocato Caterina Malavenda, tra i massimi esperti di diritto dell’informazione in Italia – ad esempio, prevedendo un tetto al danno morale, la cui liquidazione oggi è affidata all’esclusiva di170

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screzionalità del giudice». Al di là dei casi famosi, qual è la portata dei casi di diffamazione a mezzo stampa in Italia e come vengono risolti in tribunale? «La condanna alla pena detentiva è abbastanza rara. Di solito, soprattutto ai giornalisti incensurati, viene applicata la pena pecuniaria, previa la concessione delle attenuanti generiche. Se le attenuanti non possono essere concesse, l’unica pena possibile, se è stato attribuito un fatto determinato falso, è quella detentiva. Ci sono, però, dei profili altrettanto afflittivi, che sono quelli legati al risarcimento del danno, spesso molto elevato. A differenza della pena pecuniaria, il cui pagamento può essere sospeso e che è comunque abbastanza ridotta, il risarcimento deve essere pagato». Lei aveva avanzato qualche proposta per le modifiche della legge sulla diffamazione. La proposta della rettifica è stata accolta. Quali altri aspetti cambieranno? «Bisogna vedere cosa succede in Senato, perché quello che è stato licenziato è solo il testo in prima lettura. Sono stata sentita in Commissione Giustizia della Camera, insieme ad altri addetti ai lavori, e la novità più significativa che è emersa è l’efficacia della rettifica. Se correttamente pubblicata, anche spontaneamente, cioè senza richiesta, diventa una causa di non punibilità, quindi blocca la querela e il processo penale, lasciando poi al giudice civile l’eventuale liquidazione di danni che la rettifica non avesse completamente risarcito».


Caterina Malavenda

Caterina Malavenda, avvocato cassazionista, penalista e giornalista pubblicista, si occupa prevalentemente di aspetti giuridici connessi alla professione giornalistica

Cosa è rimasto immutato invece? «È rimasta invariata la responsabilità penale per omesso controllo del direttore, il quale viene condannato ogni qualvolta uno dei suoi giornalisti commette un reato attraverso il giornale. In più, tutte le sanzioni e gli obblighi sono stati estesi anche ai direttori radiotelevisivi e dei giornali online e questo moltiplica i problemi, soprattutto per quanto riguarda questi ultimi, la cui velocità di aggiornamento rende assai difficile controllare i contenuti divulgati. È stata, infine, introdotta l’interdizione automatica dalla professione in caso di recidiva specifica. Chi ha già una condanna per diffamazione perde stipendio, anzianità e contributi fino a sei mesi. Una sanzione molto pensante, in quanto il rischio di non rimanere incensurato per il giornalista è concreto». Cosa occorre fare, secondo lei, per tutelare maggiormente la libertà di informazione? «Occorre un bilanciamento tra le parti. Se il querelante, in sede penale, o l’attore, in sede civile, perde la causa non corre rischi. Solo in questo ultimo caso, nea | novembre 2013

può essere condannato a pagare le spese legali della controparte, in sede penale neppure quello. Ciò incentiva il ricorso all’azione giudiziaria per diffamazione, anche se non ci sono i presupposti. A tale obiettivo sbilanciamento non si è ovviato ed è un’altra occasione perduta, oltre che un incentivo per le liti temerarie. Bisognerebbe poi prevedere la responsabilità del direttore solo quando l’articolo non è firmato e solo per la carta stampata e la radiotelevisione. Ci vorrebbe infine, come ho detto, un tetto massimo per il danno morale e una reale sanzione pecuniaria per chi, con l’intenzione di intimorire il giornalista, fa cause infondate». Nell’era di Wikileaks la regolamentazione della stampa è secondo lei un problema diffuso in tutti i Paesi? «Sembra che solo in Italia si voglia imbavagliare la stampa e, invece, anche nei paesi anglosassoni, noti per le libertà civili, i politici intervengono per cercare di bloccare la circolazione delle informazioni. Wikileaks è stato un caso particolare, in cui più che di libertà di stampa si è trattato dell’accesso a fonti riservate, i cui contenuti qualcuno ha ritenuto dovessero essere conosciuti. Credo che oggi la regolamentazione della diffusione delle informazioni è complicato, in quando internet è come il vento, troppo difficile da fermare con le mani. Ciò presenta conseguenze deleterie quando una notizia è falsa e diventa di portata mondiale, con la reale impossibilità di bloccarla ed eliminarla. È, invece, meraviglioso che le notizie vere non possano di fatto essere oscurate dai giudici e dalla legge. Come la cronaca ci insegna, si tratta di un ottimo modo per aggirare le censure». 171


Appalti

Mafia, il dubbio uccide le imprese ambito degli appalti pubblici è forse tra i più colpiti dalla crisi economica. Considerando il facile bersaglio che costituisce per la criminalità organizzata, soprattutto in un contesto di difficoltà generale come quello attuale, lo sforzo istituzionale per impedire ingerenze di stampo mafioso si è intensificato. Ma questo ha portato a misure preventive che facilmente imbrigliano anche le imprese lontane dagli ambienti criminali, creando di fatto una paralisi ulteriore in un mercato già in ginocchio. L’avvocato Cristina Lenoci, i cui studi si trovano a Roma e a Taranto, spiega la grave impasse che mette in pericolo il mondo imprenditoriale soprattutto nel Mezzogiorno. «Negli anni – spiega l’avvocato – c’è stata un’attenzione sempre maggiore degli Uffici Territoriali di Governo a stanare e sanzionare, con l’erogazione della cosiddetta “informativa interdittiva”, le eventuali infiltrazioni criminose nella gestione societaria delle aziende. Nell’ottica della prevenzione generale, l’intenzione è stata ed è di individuare i soggetti economici non affidabili e pertanto inadatti a intrattenere un qualsiasi rapporto con il settore pubblico, anche quelli nei cui riguardi fosse e sia sorto il semplice sospetto di “permeabilità”. Allo stato attuale, l’informazione antimafia mette fuori dai giochi istantaneamente l’impresa colpita, estromettendola dalle gare pubbliche». Dunque, anche il semplice sospetto può bloccare l’azienda: è chiaro che si viene a creare un problema di difficile soluzione. In altre parole, la domanda è in che misura l’esigenza di evitare ingerenze mafiose per la pubblica amministrazione, giustifichi un pe-

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Nell’attuale contesto legislativo antimafia, all’interno delle Pa il solo sospetto può estromettere un’impresa dalle gare pubbliche, aggravando così la crisi. Cristina Lenoci sul nodo da sciogliere di Renato Ferretti

sante intervento interdittivo. «Non v’è dubbio – risponde l’avvocato Lenoci – che sia necessario un intervento pesante contro ogni forma di criminalità. Tuttavia, bisogna riconoscere che gli effetti derivanti dall’adozione di queste misure di polizia risultano devastanti per un soggetto, qual è l’imprenditore, che ha fatto dell’attività economica il perno centrale della sua intera esistenza. Sicuramente parliamo di una materia particolarmente contorta, che coinvolge interessi assai differenti e variegati e che merita di essere approcciata con la massima attenzione. Anche le più comuni contromisure disponibili per l’imprenditore si rivelano poco efficaci. Si può ricorrere alle competenti autorità giudiziarie per ottenere l’annullamento dell’interdizione, ma la strada è tutta in salita. Una volta erogata l’informativa interdittiva, infatti, viene a radicarsi una sorta di presunzione di colpevolezza tale da indurre il Giudice competente, nella maggior parte dei

Lo studio dell’avvocato Maria Cristina Lenoci ha sede a Roma e a Taranto studioroma@studiolenoci.net studiotaranto@studiolenoci.net


Cristina Lenoci

UNA VOLTA EROGATA L’INFORMAZIONE INTERDITTIVA VIENE A RADICARSI UNA SORTA DI PRESUNZIONE DI COLPEVOLEZZA

casi, a convalidarne il contenuto. Nel tempo si sono registrate alcune aperture in favore delle società colpite, da parte delle autorità giudiziarie. Ma quel che resta è che la Magistratura si approccia sempre con una grande cautela, rimettendo alla Prefettura il compito di effettuare una nuova valutazione sulla sussistenza delle cause interdittive. Una cautela che comporta gravissime ripercussioni sulla vita imprenditoriale di quelle compagini societarie slegate dalla criminalità organizzata». Il tutto chiaramente va “a scapito” dello Stato di diritto che rischia di essere “soverchiato” da un vero e proprio Stato di polizia. Esistono comunque degli strumenti che possono aiutare le imprese ingiustamente finite nella rete. «Per esempio – continua l’avvocato Lenoci –, l’aggiornamento ex art. 91, comma 5, del D. Lgs. n. 159/2011, fatto sulla base di un metodo di indagine particolarmente rigoroso e che dimostri in maniera inequivocabile la totale estraneità dell’impresa da ingerenze mafiose, può rivelarsi uno strumento utile a superare l’impasse. L’indagine deve concentrarsi principalmente sull’analisi dei flussi finanziari e sulla gestione societaria, con l’ausilio e la comparazione degli indicatori finanziari più significativi. Il tutto, dando altresì atto della sopravvenienza di elementi nuovi rispetto a quelli su cui l’informativa aveva trovato il proprio fondamento, come, per esempio, la partecipazione fattiva con le Forze dell’Ordine nella lotta contro la criminalità. Di questo, come di molto altro, si avrà modo di discutere e confrontarsi nel corso di tutta una serie di iniziative e di giornate di studio che intendo promuovere, con il coinvolgimento di esperti del settore». nea | novembre 2013

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La medicina in tv Anna La Rosa

Informazione e salute, binomio vincente «La televisione è il miglior mezzo per fare prevenzione sul campo». La conduttrice di Telecamere Salute, Anna La Rosa, ricorda che il compito di un giornalista scientifico è quello di informare ed educare di Renata Gualtieri

a salute tira”, si dice in gergo televisivo e ogni programma dedicato al tema fa fa bene allo share, nel bene e nel male. Negli ultimi anni abbiamo assistito, proprio per la logica degli ascolti, a una moltiplicazione dell’offerta, che però non sempre è adeguata. «Questo perché – commenta la giornalista Anna La Rosa – molto spesso la scienza, la ricerca, la medicina, vengono banalizzate all’inverosimile, senza tener conto che quello televisivo è il miglior mezzo per fare prevenzione sul campo». A Telecamere Salute, rotocalco che va in onda sulle reti Rai da 17 anni, nel tempo sono state realizzate campagne di sensibilizzazione sul tumore al seno, sul cancro del colon retto, sul diabete o sui vaccini, che hanno assunto un forte ruolo di prevenzione. Perché arrivare direttamente alla gente, vuol dire veicolare un messaggio importante, farlo diventare comune, per tutti. Trasformare un messaggio in condotta di vita credo che sia il più grande successo per un giornalista scientifico». Quanto ha accresciuto il suo senso di responsabilità il fatto di lavorare per la televisione pubblica? E come è riuscita a unire nella sua attività etica e informazione? «Lavorare per la Rai ti mette di fronte a una grande responsabilità. Mi piace ribadire che la mia è una trasmissione di servizio; diamo informazioni, facciamo conoscere al grande pubblico la buona sanità italiana, spesso ci capita di mettere in contatto i nostri telespettatori con le strutture sanitarie. È bello avere un filo diretto con loro; è gratificante fare questo mestiere sapendo di essere utili a qualcuno. Questo è

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possibile solo se si lavora per la televisione pubblica, che ti permette di assolvere a un ruolo più alto, mettendo sempre al centro la persona: così dovrebbe essere sempre. Questa è la vera etica a cui dovrebbe far riferimento il giornalista scientifico. Voglio essere positiva e pensare che tutti i colleghi siano mossi dalla stessa etica». Quali sono i criteri da osservare per un’informazione corretta? «Fare informazione scientifica mette il giornalista di fronte a una doppia responsabilità, perché deve essere rigoroso nella trattazione degli argomenti e nello stesso tempo è responsabile nei confronti dei telespettatori. Ogni volta che si sceglie un tema, non bisogna mai dimenticare che dall’altra parte c’è una persona che, potenzialmente, può essere affetto da questa o quella patologia, o magari ha un figlio, un genitore o un amico, che vivono il dramma di una malattia. Diffondere notizie che poi risultano false, o che potrebbero essere smentite, crea un dramma; le persone hanno ovviamente aspettative, speranze, e fare una cattiva informazione scientifica vuol dire andare ad agire su un piano personale già altamente minato dalla malattia, creando danni spesso irreparabili». Com’è cambiata nel corso degli anni l’attenzione degli italiani per uno stile di vita sano? «Prendiamo come esempio quello dell’obesità, che determina patologie come il diabete, le malattie cardiovascolari, i tumori; agire sulla società, facendo capire che attraverso buoni stili di vita, corretta alimenta-


PREVENZIONE VUOL DIRE RESPONSABILIZZARE I CITTADINI ED EVITARE ULTERIORI AGGRAVI SUL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE

zione e movimento, si possono evitare quelle patologie, credo che sia un dovere del giornalista. Sensibilizzare sulla prevenzione vuol dire responsabilizzare i cittadini ed evitare ulteriori aggravi sul sistema sanitario nazionale, già pesantemente penalizzato. E questo è quello che faccio a Telecamere salute». Come giudica il modo con cui i mass media italiani trattano il tema salute? «Credo che gli italiani abbiano fame e sete di conoscenza. Non so se siano davvero soddisfatti dell’offerta d’informazione scientifica, so solo che in redazione siamo subissati da richieste di ogni genere sui temi che trattiamo durante le puntate. Di qui la necessità di lavorare bene a monte: bisogna scegliere gli ospiti giusti, quelli più nea | novembre 2013

esperti, rigorosi e apprezzati dalla comunità scientifica. Bisogna selezionare gli argomenti giusti e muoversi in un percorso di rigore per rendere tutto chiaro, preciso e attendibile. Bisogna, però, anche saper leggere tra le righe della ricerca e capire quando ci troviamo di fronte a quella che in gergo giornalistico si chiama “bufala”, una notizia falsa. Ricordo sempre con sconcerto quelle prime pagine di alcuni quotidiani nazionali in cui veniva presentato il pomodoro viola per curare il tumore. Non so cosa si possa muovere dietro tutto questo; lo posso immaginare, ma non comprendere. L’illusione è il peggior nemico del giornalista scientifico, che deve informare ed educare. Tutt’altra cosa rispetto a quanto accade, purtroppo, spesso sui giornali o in tv». 175



Rubrica sulla prevenzione dell’uso di droghe

LIBERI DI ESSERE LIBERI


Politiche antidroga

Una nuova sfida per la salute delle donne L’abuso di farmaci non prescritti sta diventando un fenomeno sempre più preoccupante, non solo nel nostro Paese. «È un’emergenza mondiale. L’Italia non è immune» afferma Elisabetta Simeoni del Dipartimento politiche antidroga di Fiorella Calò 178

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Elisabetta Simeoni

Elisabetta Simeoni, dirigente del Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri

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attenzione al mondo delle dipendenze non conosce ormai confini, il problema è sentito in Europa come Oltreoceano e si è compiuto un grande passo in avanti nella specificità degli studi di settore, non più dedicati esclusivamente alla conoscenza del mondo droga a livello generale, ma volto anche alle donne e alle differenze di genere, argomento che si impone come variabile essenziale nello studio di questo tema. Elisabetta Simeoni, dirigente del Dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché gender equality rapporteur del Gruppo Pompidu del Consiglio d’Europa e coordinatore dell’Osservatorio nazionale sulle dipendenza e rapporti internazionali, ha fortemente creduto e promosso una politica sulle tossicodipendenze al femminile. Dottoressa, quindi esiste una differenza fra uomo e donna nell’approccio alle droghe? «Assolutamente sì. I programmi di prevenzione attuali, però, tendono a ignorare le differenze di genere e sembrano rivolgersi idealmente più ai maschi che alle femmine, con la tendenza a fallire maggiormente proprio con queste ultime. È impornea | novembre 2013

tante e opportuno, quindi, individuare un diverso approccio nelle strategie preventive e nei messaggi informativi trasmessi. Un approccio che tenga conto delle differenze di genere e che consideri le diverse ragioni che spingono le ragazze al consumo di sostanze, le diverse situazioni di rischio e la diversa sensibilità che queste hanno rispetto ai coetanei maschi. L’attenzione di genere deve tener conto della forte stigmatizzazione delle donne con disturbi da uso di sostanze e della necessità che i servizi si attrezzino per dare risposte ai loro bisogni in tutti gli aspetti del trattamento, per favorirne il loro accesso». Queste differenze dipendono da fattori biologici? «È stato appurato negli ultimi anni, grazie anche a studi scientifici americani, che sussistono fattori che predispongono in modo diverso uomini e donne allo sviluppo di una dipendenza. Sono state considerate e discusse le basi storiche, culturali, sociali e biologiche che possono influenzare le diversità di genere, ponendo l’accento su quelle che uomini e donne manifestano anche a livello dei sistemi dei neurotrasmettitori coinvolti nel comportamento assuntivo. Le ricerche evidenziano, inoltre, quanto gli uomini siano più propensi ad attuare com-

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Politiche antidroga

portamenti a rischio, tra cui appunto la sperimentazione di sostanze stupefacenti. Le donne, invece, hanno maggiori probabilità di cominciare a prendere farmaci da automedicazione per ridurre lo stress e alleviare la depressione. Per questo motivo le donne hanno un maggior rischio di diventare dipendenti da sostanze d’abuso più rapidamente degli uomini. Questa diversa risposta comportamentale in base al genere sessuale è dovuta, almeno in parte, a quelle differenze fra i due sessi che si ritrovano anche a livello neurobiologico nell’organizzazione dei circuiti neuronali responsabili dei processi cognitivi, quali la motivazione e la gratificazione, che inducono allo sviluppo della dipendenza». Ultimamente si sente parlare delle “prescription drugs”, ci spiega cosa sono? «Dopo la risoluzione Onu, promossa dall’Italia e accettata da tutti i Paesi membri, che imponeva di dedicare maggiore attenzione alle problematiche e alle criticità di genere, è stato lanciato a livello 180

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mondiale un allarme sull’abuso, invalso prevalentemente fra le donne, delle prescription drugs, ovvero l’abuso di farmaci assunti senza la prescrizione del medico o per ragioni diverse da quelle per cui erano stati prescritti. Certo, bisogna comunque partire dall’assunto che la dipendenza da farmaci prescrivibili è una vera e propria malattia, al pari del consumo di sostanze tradizionali, quali cocaina, eroina e cannabis. In entrambi i casi, infatti, ci troviamo davanti a problemi del circuito della memoria e della menomazione delle capacità relazionali. Molto spesso, le fasi di ricaduta o di recesso da questa nuova forma di dipendenza, se non adeguatamente trattate, inducono a gravi disabilità o addirittura alla morte prematura. Basti pensare che ogni giorno, negli Stati Uniti, ogni tre minuti una donna si rivolge a un pronto soccorso per uso improprio o abuso di farmaci antidolorifici e circa diciotto donne muoiono per overdose di tali farmaci, intesi come oppioidi o narcotici, incluse sostanze


Elisabetta Simeoni

LA DIPENDENZA DA FARMACI PRESCRIVIBILI È UNA VERA E PROPRIA MALATTIA, AL PARI DEL CONSUMO DI SOSTANZE TRADIZIONALI, QUALI COCAINA, EROINA E CANNABIS

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come il metadone. Quello del cattivo uso o dell’abuso dei farmaci anti dolore, da parte delle donne, è un problema in crescita, i cui decessi correlati hanno registrato, sempre negli Usa, un +400% dal 1999 al 2010, contro il +265% delle morti tra gli uomini». Quali sono le principali differenze tra uomini e donne nell’abuso di questi farmaci? «Le donne sono maggiormente sensibili a questo fenomeno perché hanno maggiori probabilità, rispetto agli uomini, di soffrire di dolore cronico, di abusare dei farmaci prescritti per combatterlo e di diventare, quindi, dipendenti da tali medicinali. In seguito alla dipendenza, inoltre, le donne sono più esposte a rischio di ricorrere a diversi medici per ottenere un numero maggiore di prescrizioni. Non è da sottovalutare, peraltro, il rischio a cui le donne in gravidanza, che abusano di questi medicinali, sottopongono il feto, provocando nei neonati la sindrome da astinenza neonatale, cresciuta del 300% dal 2000 al 2009». Come prevenire questo fenomeno? «Il Centers for disease control and prevention ha realizzato un opuscolo che fornisce i dati principali relativi al problema e dà indicazioni per la prevenzione e la gestione del fenomeno. I medici, suggerisce l’ente statunitense, possono assicurarsi che le donne abbiano accesso alla cura e che la seguano in modo adeguato. Possono, inoltre, individuare le donne a rischio di overdose, seguire le linee guida per la prescrizione responsabile dei farmaci, includendo lo screening e il monitoraggio per l’abuso di droghe e i problemi mentali. Possono anche utilizzare i programmi di monitoraggio delle prescrizioni per identificare le pazienti che potrebbero ottenere le ricette in modo improprio o utilizzarle impropriamente. Resta certo, comunque, che è necessario avanzare un piano mondiale di contrasto all’uso non corretto e all’abuso dei farmaci prescrivibili, con particolare riguardo proprio alle donne, un piano che necessita di basi comuni tra i policy makers, i medici e gli scienziati». 181


Ricerca scientifica

Una strada ancora in salita è chi lo chiama muro di gomma. O come l’ha definito anche il ministro dell’istruzione, Maria Chiara Carrozza, al convegno “Donne, scienza e tecnologia”, ospitato al Museo Leonardo Da Vinci di Milano lo scorso ottobre, «soffitto di cristallo». Ovvero quello scoglio che le donne si trovano ad affrontare quando tentano di affermare la propria professionalità nei settori scientifici e tecnologici. Una barriera, spesso rivestita di pregiudizio, che induce a ritenere che il mondo della scienza e della ricerca sia innanzitutto un affare per maschi.

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DISPARITÀ DI GENERE: UN NODO EUROPEO L’idea peraltro non è radicata solo in Italia, ma in larga parte del Vecchio Continente, ad eccezione dei paesi scandinavi. A certificarlo è l’ultimo rapporto triennale “She figures 2012”, stilato dalla Commissione europea, che dimostra il persistere di una sottorappresentazione femminile nel campo della ricerca scientifica continentale. A fronte di un sorpasso già avvenuto in termini di diplomi universitari, con un 59 per cento di 182

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Il mondo della ricerca scientifica per le donne è come una piramide. Anche quando riescono ad accedervi, faticano a staccarsi dalla base. Ma qualche passo in avanti, soprattutto in ambito pubblico e accademico, si intravede di Giacomo Govoni lauree conseguite da donne, solo un terzo degli addetti è di sesso femminile. Per non parlare dell’occupazione, dove sebbene la proporzione delle ricercatrici nel periodo 2002-2009 sia cresciuta del 5,1 per cento rispetto al 3,3 degli uomini, il rapporto scende a meno di un quarto. A guida largamente maschile restano, inoltre, le istituzioni più importanti del panorama scientifico europeo, con le governance accademiche che nella media Ue contano solo una donna ogni 10 rettori e dove la rappresentanza all’interno degli organi consiliari resta al di sotto del 30 per cento. E se il gap di genere sembra mitigarsi nel settore pubblico, dove si concen-


Il ruolo delle donne

trano la maggior parte delle scienziate, si allarga sensibilmente a livello di imprese private, dove la componente femminile occupa solo il 19 per cento. LA SITUAZIONE ITALIANA La distribuzione della professionalità al femminile non varia di molto stringendo l’inquadratura sulla realtà nazionale, dove oltre l’80 per cento delle donne impiegate nella ricerca vengono assorbite dalla sfera pubblica e universitaria. Ma in Italia c’è un ulteriore aspetto che ne complica la carriera scientifica: la minor attrazione esercitata sulle donne dalle facoltà tecnologiche, che a fine 2011 si traduceva in un numero di donne scienziato e ingegnere pari al 32 per cento, contro il 39 per cento della media Ue. A questo va aggiunto il fattore economico, che come mette in luce il rapporto “Donne e scienza – L’Italia e il contesto internazionale” curato dal centro Observa-Science in Society, costituisce un disincentivo dal momento che le laureate in materie scientifiche guadagnano mediamente oltre il 10 per cento meno dei colleghi maschi. Al netto di questi limiti, è altrettanto vero che negli ultimi anni qualcosa a livello tendenziale si sta muovendo: sulla scia di confortanti segnali provenienti ad esempio dal Politecnico di Milano, dove le dottoresse in ingegneria sono passate dal 20,6% del 2008 al 23,9% del 2012, le ricercatrici cominciano lentamente a erodere spazio agli uomini. Migliora la rappresentanza nell’ingegneria pubblica, salita dal 22 al 30 per cento e in quella accademica, passata in otto anni dal 21 per cento del 2002 al 26 per cento. Più diradata, invece, la presenza femminile nei cda delle aziende: nonostante la legge 120/2011 abbia introdotto le quote rosa, infatti, in Italia solo 14 membri consiliari su 100 sono donne e si contano sulle dita quelle con incarichi al top. Effetto del cosiddetto “sticky floor”, che anche nel sistema privato di casa nostra tende a trattenere le donne ai livelli più bassi della piramide organizzativa, facendo sì che nea | novembre 2013

Elena Cattaneo, ricercatrice nel campo delle malattie neurogenerative e nominata da Napolitano senatrice a vita

solo l’11 per cento sia amministratore delegato e l’8 per cento presidente del board di società quotate. DAL BOSONE DI HIGGS A TELETHON Fra soffitti bloccanti e pavimenti appiccicosi, non mancano comunque le donne italiane eccellenti che sono riuscite a sfondare queste barriere a “colpi di cervello”. Possiamo fare alcuni nomi: da Ilaria Capua, virologa inserita nella top 50 degli scienziati mondiali da Scientific American, a Fabiola Gianotti, fisica che guida il gruppo che al Cern di Ginevra ha trovato il bosone di Higgs. O ancora Speranza Falciano, fisico sperimentale dall’anno scorso e vicepresidente dell’Istituto nazionale fisica nucleare, e Francesca Pasinelli, direttore scientifico di Telethon dal 1997 e direttore generale dal 2009. E per finire Elena Cattaneo, illustre ricercatrice nel campo delle malattie neurogenerative e terza donna senatrice a vita della storia italiana, dopo Camilla Ravera e Rita Levi Montalcini. 183


Ricerca scientifica

I cervelli che mettono i virus in fuga È rientrata in Italia per offrire il suo know how scientifico nella lotta contro le malattie genetiche. Maria Grazia Roncarolo descrive i notevoli passi avanti compiuti dalla terapia genica «anche in pazienti con patologie più complesse» di Giacomo Govoni iù di 50 milioni di euro investiti, di cui 11 nella ricerca sulla leucodistrofia metacromatica e 8 sulla sindrome di Wiskott-Aldrich. Sono le risorse che fino a oggi la Fondazione Telethon ha destinato alle attività dell’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica (Tiget), centro di eccellenza sorto nel 1995 e diretto dal 2000 al 2008 da Maria Grazia Roncarolo, docente in pediatria all’Università Vita-Salute San Raffaele e presidente del Gruppo 2003 (associazione che raggruppa scienziati italiani che lavorano in Italia e figurano negli elenchi dei ricercatori più citati al mondo). «Il Tiget è considerato tra i migliori istituti di terapia genica al mondo» spiega l’immunologa, sotto la cui direzione il centro firmò nel 2002 il primo successo al mondo della terapia genica su bambini affetti da una rara immunodeficienza, quella da deficit di adenosina deaminasi (Ada-Scid).

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«Tutto ciò – prosegue – non sarebbe stato possibile senza l’impegno costante della Fondazione Telethon, che ha creduto nella terapia genica anche in tempi in cui sembrava un miraggio». Lei si occupa di ricerca traslazionale. Nell’ambito dell’aggressione alle malattie genetiche, quali nuovi approcci terapeutici sono stati scoperti negli anni? «Grazie alla ricerca traslazionale la possibilità di curare molte malattie genetiche è oggi una prospettiva concreta. All’istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica ci siamo occupati in questi anni soprattutto di malattie genetiche del sangue e del metabolismo, mettendo a punto protocolli clinici di terapia genica per diverse immunodeficienze primarie e malattie lisosomiali. Oggi l’unità di ricerca clinica del Tiget ha attivi studi clinici di terapia genica per la cura dell’immunodeficienza combinata grave da difetto di Ada-Scid, della sindrome di Wiskott-Al-


Maria Grazia Roncarolo

RICEVERE IL BELLISARIO È STATA PER ME UNA FORTE EMOZIONE, SPECIE IN UN PAESE IN CUI LE DONNE ANCORA FATICANO AD AFFERMARE IL LORO VALORE PROFESSIONALE Il ministro Maria Chiara Carrozza consegna la Mela d’Oro a Maria Grazia Roncarolo, professore in pediatria, Università Vita-Salute San Raffaele, Unit Head, Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica e presidente del Gruppo 2003

drich e della leucodistrofia metacromatica. Inoltre, abbiamo una ricca “pipeline”, con previsione di trattare con terapia genica i pazienti beta talassemici e i bambini affetti da mucopolissaccaridosi di tipo 1 entro il 2014». I livelli di eccellenza scientifica presenti al San Raffaele lo hanno reso un centro di riferimento mondiale nella cura delle immunodeficienze infantili. «Oggi il Tiget vanta un primato mondiale nella cura dell’Ada-Scid, con il più alto numero di bambini curati provenienti da tutto il mondo. Inoltre, grazie all’innovazione inserita in questo protocollo di terapia genica, che prevede la preparazione dei pazienti con un trattamento chemioterapico a basse dosi prima della somministrazione di cellule staminali del midollo ingegnerizzate in laboratorio, si è aperta la strada all’utilizzo di tale terapia anche in pazienti con malattie più complesse e con un sistema immune competente». nea | novembre 2013

Quali risultati legittimano questa fama? «I risultati ottenuti nei due studi clinici pubblicati a luglio sulla prestigiosa rivista Science, utilizzando vettori lentivirali per la cura della sindrome di Wiskott-Aldrich e della leucodistrofia metacromatica costituiscono una pietra miliare nell’ambito della terapia genica. Infatti, la dimostrazione della sicurezza e dell’efficacia di questo approccio terapeutico, non solo rappresenta il raggiungimento di un importante obiettivo scientifico, ma sta anche generando nuova fiducia da parte dei pazienti e un rinnovato interesse da parte dell’industria». Che sviluppo sta conoscendo la collaborazione tra il San Raffaele e la Fondazione Telethon? «Fin dalla sua creazione, sotto la direzione di Claudio Bordignon, il Tiget ha avuto nella Fondazione Telethon un partner fondamentale sia come fonte stabile di finanziamento sia come alleato strategico nella

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Ricerca scientifica Maria Grazia Roncarolo

OGGI IL TIGET VANTA UN PRIMATO MONDIALE NELLA CURA DELL’ADA-SCID COL PIÙ ALTO NUMERO DI BAMBINI CURATI PROVENIENTI DA TUTTO IL MONDO

definizione delle finalità dell’istituto. Durante la mia direzione, la fondazione ha promosso insieme al San Raffaele la creazione di un’unità di ricerca clinica pediatrica, finanziando gli studi clinici di terapia cellulare e genica. In questi ultimi anni, sotto la direzione di Luigi Naldini, il Tiget ha avuto un ulteriore impulso col trasferimento in clinica dei vettori lenti virali, considerati oggi il “golden standard” per la cura di molte malattie genetiche e anche del cancro». Grazie alla sua attività nel campo della ricerca, di recente ha ricevuto anche il Premio Belisario. «Ricevere il premio dal ministro Carrozza è stato un momento molto emozionante, specie in un Paese in cui le donne faticano ancora a veder riconosciuto il loro valore professionale. La motivazione che mi ha riempito il cuore è quella di essere un esempio di “cervello” tornato in patria per contribuire al progresso della medicina e della rinascita della ricerca». Cosa l’ha spinta a tornare? «La convinzione che fosse possibile lavorare in questo Paese seguendo le regole internazionali del merito. Non ho mai rimpianto questa scelta e sono grata alla Fondazione Telethon e all’istituto San Raffaele per avermi dato

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la possibilità di dimostrare che anche qui si può fare ricerca eccellente e competitiva a livello internazionale». Come si lavora in un Paese che non sempre mette la ricerca scientifica in cima all’agenda politica degli investimenti? «Con la consapevolezza di lavorare in un contesto in cui il futuro dei nostri scienziati migliori è in pericolo. Stiamo perdendo un’intera generazione di giovani che vanno all’estero per completare la formazione e non tornano più perché il sistema non garantisce loro prospettive concrete e percorsi di carriera con regole chiare e trasparenti. Come hanno ben compreso altri Paesi, non ci può essere rilancio economico senza innovazione e investimento in ricerca. Il Gruppo 2003, che presiedo e che rappresenta il gruppo di scienziati italiani più citati al mondo in tutte le discipline della scienza, ha posto dieci domande al mondo politico in occasione delle ultime elezioni. Molti esponenti dei vari partiti hanno risposto a queste domande con un programma per rilanciare la ricerca italiana. Purtroppo a oggi nulla di concreto è stato fatto e come in passato la ricerca scientifica resta ai margini dell’agenda politica».


Ricerca Scientifica Maria Cristina Messa

Coniugare lo sviluppo con la ricerca Mettere l’attività di ricerca al centro di tutti i percorsi formativi di domani. È la sfida che Maria Cristina Messa lancia dalla Bicocca, l’ateneo che le ha affidato le redini, mostrandosi all’avanguardia anche in tema di pari opportunità di Giacomo Govoni

n Italia donne e ricerca pagano un destino comune: poche le organizzazioni e gli istituti disposti a scommettere su di loro, tanto più quando si tratta di farne leve strategiche di sviluppo e di crescita. Un messaggio di rottura, invece, giunge dall’Università di Milano-Bicocca, che da ottobre ha un nuovo rettore. Medico, professore ordinario di diagnostica per imma-

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Maria Cristina Messa, rettore dell’Università Milano-Bicocca e vicepresidente del Cnr

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gini e vicepresidente del Cnr, Maria Cristina Messa è la quarta donna rettore in Italia e la prima al vertice di un ateneo milanese. «In Bicocca – sottolinea Messa – il rapporto fra uomini e donne che dirigono i dipartimenti è equilibrato. Lo stesso vale per la composizione del Senato accademico». Una sensibilità verso il principio di parità di genere di cui l’incarico che la professoressa ricoprirà fino a settembre 2019 è la prova più eloquente. Ha assunto la guida della Bicocca da poche settimane. Che linea detterà per incentivare la connessione fra mondo accademico e quello della ricerca? «In ambito universitario, è molto importante che la ricerca sia strettamente integrata alla didattica e basata sull’esperienza e sull’attività scientifica. Per incentivarla bisogna ribadirne la centralità in sede di reclutamento di nuove figure professionali. In secondo luogo, è necessario introdurre gli aspetti di ricerca in tutte le discipline di insegnamento, anche umanistiche. Infine, bisogna potenziare tutta la formazione post-laurea, quali dottorati di ricerca, master, corsi di perfezionamento e se possibile anche nell’ultimo biennio delle magistrali, dopo la laurea triennale». Lei lavora anche al Cnr, dove si occupa, tra le altre cose, di neuroscienze. Ritiene che oggi in Italia si stia investendo a sufficienza su questo versante? «Premesso che la ricerca in Italia non ha mai goduto di grandi finanziamenti, va riconosciuto che sulle neuroscienze l’Italia ha investito e dovrà continuare a farlo perché si tratta di discipline che interessano grossi progetti-bandiera dell’Europa. Progetti in cui il coinvolgimento dell’Italia è significativo, soprattutto perché

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Ricerca Scientifica Maria Cristina Messa

PER VALORIZZARE LA RICERCA, È FONDAMENTALE RITROVARE QUELLA CONCORDANZA DI OBIETTIVI FRA ACCADEMIA E INDUSTRIA CHE OGGI SI È ALLENTATA

come attestano le pubblicazioni, il nostro Paese vanta un livello molto elevato in questo campo. Sia sotto l’aspetto conoscitivo e delle funzioni di apprendimento, sia per l’impatto forte su alcune patologie legate all’invecchiamento, di fronte alle quali al momento abbiamo poche armi di natura terapeutica». Quali sono i progetti più significativi che lei ha sviluppato come ricercatrice e che verranno portati avanti nei prossimi mesi? «Il progetto più grosso che ho seguito fino a ieri riguarda la caratterizzazione con tecniche di medicina nucleare, la Pet in particolare, del fenotipo di patologie oncologiche nell’uomo. L’intento è capire l’evoluzione, la prognosi e prevedere la risposta a farmaci a bersaglio oggi molto costosi, con un’efficacia circoscritta e che, anche quando funzionano, non è chiaro quando interromperne la somministrazione. Un problema che coinvolge le neoplasie del colon-retto, del polmone, della mammella e quelle gi188

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necologiche: i cosiddetti big killer». Il tasso di donne che si affermano nel mondo della ricerca accademica, stando ai dati Miur, è ancora molto basso. Che azione di traino possono esercitare quelle che “arrivano” per invertire questo trend? «Laddove possibile, possono impegnarsi per facilitare i percorsi per una donna nel mondo del lavoro. Per la donna esiste ancora una priorità data alla famiglia, ma credo che, specie nel mondo della salute, qualcosa stia cambiando. Il nostro settore comincia a esser ben rappresentato dalle donne, anche se solo una netta minoranza raggiunge livelli apicali. Dalle facoltà di medicina, dove il 65% delle iscritte sono donne, al personale medico e infermieristico, stiamo assistendo a una piccola rivoluzione. Tuttavia, in particolare in campo accademico, c’è ancora tanto da fare. Dal canto nostro, in Bicocca prestiamo molta attenzione a questo aspetto». Tornando al tema della ricerca, quali sono gli interventi politici prioritari per valorizzarla e quali Paesi esteri possono rappresentare un esempio? «La valorizzazione della ricerca è il punto cardine della discussione di questi anni. È fondamentale ritrovare quella concordanza di obiettivi fra l’accademia e l’industria che esisteva ai tempi del boom economico e che oggi si è allentata. Un segnale incoraggiante in tal senso è contenuto nel programma quadro Horizon 20-20, in cui si prevede una valorizzazione della ricerca trasversale a tutti i progetti, di base o applicati. Il problema, infatti, non è farsi il progettino nell’accademia e poi cercare di venderlo, ma è ideare il progetto insieme. Altrimenti è solo una risposta a un bisogno singolo e non una vera collaborazione. I Paesi modello sono la Germania, dove lo scambio è fortissimo, il mondo anglosassone e quei Paesi che nella ricerca investono fino al 3-4% del Pil, come la Finlandia».



Ricerca farmaceutica

La ricerca, un veicolo di innovazione Il settore farmaceutico e cosmetico si dimostra uno dei più vitali. Merito soprattutto di una ricerca applicata nella giusta direzione. Ne parliamo con la dottoressa Kathe Andersen di Marco Tedeschi e Pmi italiane rischiano di veder congelata quella che, sul finire dell’estate, sembrava una lenta, ma stabile ripresa. È questo il sentimento dei principali comparti del manifatturiero ad autunno inoltrato; si teme infatti un'altra flessione della produzione. A fare eccezione sono il tessile-moda, i beni strumentali e la chimica, in modo particolare quella applicata al settore farmaceutico. In tutti i casi è l'export che aiuta a mantenere le posizioni, con l'incognita sui segnali di un possibile rallentamento dei mercati internazionali. «Attualmente – spiega la dottoressa Kathe Andersen, amministratore dell’I.R.A. - stiamo attraversando un periodo di crisi economica diffusa e i settori cosmetico e farmaceutico sono tra i pochi che mostrano una costante vitalità, certamente superiore ad altri settori produttivi. In particolare il comparto dei dispositivi medici, avviata la ricerca applicativa e la realizzazione pratica nonché la certificazione dell’Ente preposto, permette una ragionevole tempistica d’immissione in commercio del prodotto da quando questo viene concepito intellettualmente. Questa sua capacità di realizzazione fa sì che le risorse economiche e di ricerca siano orientate maggiormente verso la creazione di nuovi dispositivi medici, il tutto grazie alla nuova normativa entrata in vigore con la direttiva Cee del 1993, recepita in Italia qualche anno dopo». Questo tipo di attitudine operativa è stata portata avanti con determinazione da I.R.A. (Istituto Ricerche Applicate). L’azienda è infatti attiva nella ricerca applicativa per conto terzi riferibile al settore

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Kathe Andersen, amministratore dell’I.R.A. - Istituto Ricerche Applicate di Usmate Velate (MB) www.iralab.it

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Kathe Andersen

cosmetico e farmaceutico. «È in questo modo che abbiamo avuto successo in un settore nuovo ed estremamente promettente e che abbiamo potuto creare sostanze funzionali, di derivazione biotecnologica e vegetale, e sistemi di veicolazione di principi attivi. Abbiamo inoltre messo a punto metodiche analitiche, sia chimiche che microbiologiche che ci hanno portato a sviluppare progetti mirati, gestiti in stretta collaborazione con il cliente». Un successo frutto soprattutto di scelte oculate. «Abbiamo deciso d’investire in risorse interne. Mi riferisco all’adeguamento e alla certificazione sia dei laboratori che degli impianti produttivi. In questo modo, già dal 2003, l’investimento ha subito portato dei risultati positivi. In pochi anni siamo riusciti ad affermarci come realtà industriale a livello europeo; siamo cresciuti e abbiamo incrementato il nostro fatturato, stabilendo anche contatti proficui e duraturi con una clientela non solo italiana ed europea ma addirittura mondiale. Questa crescita ha portato all’acquisizione di persone giovani e sempre più scientificamente preparate, aumentando il valore tecnico-scientifico dell’azienda stessa». La continua ricerca portata avanti da I.R.A ha portato un alto livello d’innovazione. «Il circolo innovativo che si crea investendo in ricerca permette di essere sempre preparati e disponibili verso applicazioni nuove ed economicamente vantaggiose. Occorrono però investimenti e risorse economiche attualmente scarse e spesso impiegate in modo errato. È in quest’ambito che deve subentrare lo Stato. Se da parte degli imprenditori devono infatti esistere obiettivi che vanno raggiunti con volontà, costanza e determinazione, di contropartita si necessita di una politica nazionale basata su incentivi per la ricerca e sviluppo applicabili anche nelle aziende e nei poli scientifici di riferimento. Sarebbe necessaria inoltre una politica educativa e scolastica per formare nuovi manager; una cultura che attualmente in Italia non esiste». nea | novembre 2013

IL CIRCOLO INNOVATIVO CHE SI CREA INVESTENDO IN RICERCA PERMETTE APPLICAZIONI NUOVE ED ECONOMICAMENTE VANTAGGIOSE

Per quanto riguarda I.R.A., l’azienda lombarda ha investito soprattutto nello sviluppo delle applicazioni dell’acido ialuronico come dispositivo medico. In questo modo sono stati creati sistemi brevettati di reticolazione e purificazione nonché di lento rilascio di molecole attive da acido ialuronico reticolato, per il settore medicale e per l’estetica. «Oggi – conclude la dottoressa Andersen - la nostra società è fra le poche aziende europee in grado di sviluppare nuovi prodotti applicativi come dispositivi medici e attività farmacologica secondaria». 191


Patologie vascolari

Attenzione alla salute delle gambe I sintomi da non sottovalutare che possono anticipare l’insorgere di patologie vascolari e linfatiche degli arti inferiori. La dottoressa Piera Elia spiega l’importanza della diagnosi precoce e presenta le soluzioni terapeutiche di Vittoria Divaro

e patologie vascolari e linfatiche degli arti inferiori interessano circa il 90-95 per cento delle donne e almeno il 30-40 per cento degli uomini. Le prime manifestazioni di una futura patologia sono sintomi apparentemente banali e spesso vengono trattati come tali tanto dal paziente quanto dal medico non specialista. Si va dal gonfiore serale a un senso di pesantezza e stanchezza degli arti. Questi sintomi si accompagnano spesso a un aumento di volume degli arti (edema), a prurito, senso di tensione interno alla gamba, comparsa di antiestetici capillari diffusi. A questo stato di malessere ancora vago può sommarsi la comparsa di ematomi e chiazze simili a dei lividi. «L’atteggiamento più comune, in presenza di questa sintomatologia, è di noncuranza. La convinzione è che si tratti di un disturbo passeggero, destinato a risolversi da solo. Al contrario, questi sintomi andrebbero valutati come segnali premonitori di una patologia che potrebbe insorgere in seguito e spesso, presi in considerazione per tempo, si rivelano problemi facilmente gestibili». Ad affermarlo è la dottoressa Piera Elia, medico chirurgo che da oltre vent’anni si occupa di diagnosi e terapia delle patologie degli arti inferiori, siano esse di natura vascolare, linfatica o rivestano una problematica estetica. La dottoressa Elia ha maturato la sua esperienza medica nella flebologia con la Societé Francaise de Phlebologie, nella Linfologia presso l’Hopital Cognac Jay di Parigi e nella medicina

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estetica con le scuole di perfezionamento post-universitario di Milano e di Bologna. Quale dovrebbe essere, in base alla sua esperienza, l’atteggiamento corretto da parte del paziente? «Questi sintomi andrebbero valutati immediatamente con un fine preventivo, perché potrebbero es-

Piera Elia, medico chirurgo dello studio medico Elia di Torino www.studiomedicoelia.it


Piera Elia

sere il campanello di allarme di diverse patologie: non solo quelle prettamente di natura vascolare e linfatica ma anche quelle più gravi di natura renale, cardiaca, reumatica, che possono avere dei sintomi comuni. Il paziente dovrebbe per prima cosa, quindi, rivolgersi al medico di base per accertare, con un semplice esame ematico, l’assenza di una di queste patologie. Superato questo primo step, andrebbe avviato un approfondimento specifico sugli arti inferiori, con valutazione quanto meno vascolare, linfatica, eventualmente ortopedica per valutare quale sia la patologia linfatica e venosa. Anche perché spesso si tratta di una problematica risolvibile con un'alimentazione corretta e una vita sana e alcune terapie fisiche non particolarmente invasive». Ci sono dei soggetti tendenzialmente più a rischio? «Le persone avanti negli anni, quelle in sovrappeso e i fumatori sono certamente dei soggetti predisposti. Come pure le persone che fanno poco sport e curano poco l’alimentazione. In generale sono più le donne che risentono di questi problemi, perché esiste una specifica influenza ormonale – non a caso, spesso, questi problemi si presentano durante la gravidanza Esiste purtroppo anche una netta familiarità, per cui è utile un’attenta valutazione nell’ambito di famiglie in cui siano già presenti questi problemi». Come avviene la diagnosi e la successiva, eventuale, terapia? «La diagnosi si effettua con un’accurata visita e anamnesi del paziente, con un doppler e con un ecodoppler a ultrasuoni e permette di capire se è in atto una patologia principalmente venosa o linfatica o entrambe. La distinzione è importante perché il problema linfatico può essere congenito, mentre quello venoso di solito è acquisito. La successiva terapia,

A CAUSA DELL’ALIMENTAZIONE E DELLO STILE DI VITA, L’ETÀ DELLA PRIMA COMPARSA DELLA CELLULITE SI È ABBASSATA MOLTISSIMO

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Patologie vascolari Piera Elia

LE DONNE SOFFRONO SPESSO DI PATOLOGIE VASCOLARI E LINFATICHE, PERCHÉ ESISTE UNA SPECIFICA INFLUENZA ORMONALE. NON A CASO, QUESTI PROBLEMI SI PRESENTANO SOPRATTUTTO IN GRAVIDANZA

spesso poco invasiva, solitamente consiste in un inquadramento alimentare e indicazioni sullo stile di vita e soprattutto in trattamenti specifici quali il linfodrenaggio. Per quanto riguarda i trattamenti specifici si applica invece il linfodrenaggio manuale linfatico medicale. Al linfodrenaggio si abbina la contenzione elastica. Questa contenzione, che prevede l’uso di opportune calze, inizia dopo aver eliminato, con il linfodrenaggio appunto, il liquido in eccesso. E la funzione della contenzione è quella di mantenere nel tempo la situazione ottimale raggiunta». Il trattamento terapeutico si limita a questo? «Linfodrenaggio e contenimento sono i due aspetti fondamentali della terapia. A questa possono poi aggiungersi dei bendaggi maggiormente compressivi. Esiste anche una terapia per bocca. A volte è necessaria una terapia farmacologica vera e propria, ma è spesso è sufficiente l’assunzione di sostanze che aiutano a drenare o a migliorare il microcircolo. Per il discorso venoso, poi, esistono delle altre terapie curative, come le classiche “microsclerosanti”. Queste consistono nell’introduzione di “mousse” all’interno dei capillari, che vengono così richiusi, tornando in una situazione di normalità e perdendo la precedente dilatazione. Con i vasi più grossi, invece, si uti196

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lizzano delle tecniche ambulatoriali: le flebectomie di Muller. Attraverso l’uso di speciali uncini chirurgici, in anestesia locale, si eliminano i cosiddetti rametti. Per casi più gravi, poi, si può arrivare alla varicectomia con l’intervento chirurgico vero e proprio». Parlando di cellulite. Quante pazienti si rivolgono al suo studio solo per un problema estetico e quante volte poi si scopre che c’è qualcosa di più? «La percentuale delle mie pazienti che vogliono risolvere solo un problema estetico è altissima. Ciò è determinato anche dal fatto che si è abbassata moltissimo l’età della prima comparsa della cellulite, e ciò dipende dall’alimentazione e dallo stile di vita, nonché dall’inquinamento ambientale. Per la cura della cellulite esistono diverse tecniche terapeutiche, fra cui la mesoterapia che consiste nell’iniezione di sostanze che vanno ad agire sul microcircolo e sul tessuto sottocutaneo. Questa è una delle tecniche migliori che permette di andare ad agire sulle cause. Infatti, molte pazienti hanno alla base della cellulite diffusa una situazione linfatica o venosa scorretta. E così spesso, a partire da un problema estetico, si mette ordine in una situazione più profonda».



Psicoterapia

Psicoterapia del benessere Come affrontare insicurezza e precarietà dal punto di vista di Francesca Castelli, che ribalta cause e conseguenze e descrive il metodo per ristabilire le proprie responsabilità. «E quindi trovare le soluzioni» di Renato Ferretti

uello che propone il pensiero della dottoressa Francesca Castelli è un esercizio per molti quanto meno nuovo. Secondo la psicoterapeuta di Appiano Gentile, i momenti critici che sta attraversando il mondo occidentale, da quelli economici e sociali a quelli relazionali, non sono mai esclusivamente riconducibili a fattori esterni, inevitabili per il singolo individuo: insomma, la crisi che si manifesta all’esterno è la proiezione di aspetti che si trovano dentro di noi. Sulla scorta di una visione olistica dell’essere umano come un insieme indissolubile di mente, corpo e spirito, l’obiettivo di Castelli è un cambio di prospettiva, che dal mondo esterno si rivolga al proprio mondo interiore. «In questo – spiega Castelli – vanno trovate le risposte al malessere. Ognuno di noi, infatti, custodisce risorse insospettabili, più determinanti di quanto si possa trovare al di fuori. Siamo abituati a cercare soddisfazione ai nostri bisogni e responsabili dei nostri problemi all’esterno. Invece, la realtà esterna non è che uno specchio di quanto c’è interiormente: sciogliere i propri blocchi, quindi, significa porre le basi per una realizzazione di un’esistenza piena e soddisfacente». In cosa consiste il suo lavoro? «Ogni essere umano è un libro che, spesso, non è in grado di leggersi: il mio compito è aiutare i soggetti a leggersi. Questo non significa dire a un/una paziente quello che deve fare (solo la persona sa cosa è meglio per sé) ma in-

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sieme iniziare un viaggio che consente alla stessa di guardare nel proprio intimo in modo da vedere l’origine del problema, liberare l’energia psichica necessaria al superamento dello stesso, trovare sicurezze più profonde e cogliere la “lezione di vita” celata dietro la diffi-

La dottoressa Francesca castelli, il cui studio ha sede ad Appiano Gentile (CO) francyita@tiscalinet.it


Francesca Castelli

OGNI PERSONA È UN LIBRO: IL MIO COMPITO È DI AIUTARE I SOGGETTI A LEGGERSI coltà. In questo momento storico, la generale crisi che stiamo attraversando, ci offre l’occasione per volgere veramente lo sguardo all’interno di noi, conoscere le nostre risorse e utilizzarle in maniera creativa per il benessere personale e collettivo. Invece cercando il problema fuori di sé ci si deresponsabilizza da un lato, mentre dall’altro non si trova alcuna soluzione». Quali sono i problemi più critici riscontrati nei pazienti? «È d’obbligo una premessa. Svolgo consulenza psicologica in ambito privato e in collaborazione con istituti scolastici. Privatamente mi occupo di counseling e psicoterapia individuale con minori, adulti e counseling di coppia. Nella mia esperienza, il nodo più difficile sta nel superamento delle condizioni di dipendenza: cibo, sostanze, sesso, affetti. Molto diffusa è la situazione di dipendenza affettiva. In casi frequenti, per esempio, riscontro una continua proiezione della storia familiare sui figli che impedisce la loro reale autonomia. I più picnea | novembre 2013

coli sono insicuri, ansiosi e si fanno carico dell’angoscia dei genitori: le conseguenze si manifestano come difficoltà scolastiche, sintomi psicosomatici, vissuti di tristezza e solitudine profondi. Per questo ritengo importante diffondere una “cultura” della genitorialità e dell’educazione in generale che faccia leva maggiormente sulla gioia di fare e sull’entusiasmo, piuttosto che sul dovere e sulla prestazione». Quale metodo usa in terapia? «Uso il classico strumento del colloquio. L’immaginario, in particolare, è alla base della mia specializzazione. Utilizzo, quindi, tutto ciò che può essere considerato un prodotto dell’immaginario: i sogni, il disegno, l’arte nelle sue diverse manifestazioni e la Procedura Immaginativa. Questa consiste nel proporre al soggetto, che si trova in stato di rilassamento, un’immagine (scelta sulla base di specifici criteri terapeutici) perché, da questa, cominci a sviluppare una narrazione che origina dal profondo di sé. Durante il procedere immaginativo il terapeuta si sintonizza sulla frequenza d’onda dell’inconscio del paziente, creando la possibilità per attuare diverse operazioni psichiche. L’analisi e la rielaborazione dell’emerso permettono poi al soggetto di trasformare gradualmente la propria quotidianità». 199


Mecenatismo

Cure palliative e impegno sociale Un personale altamente qualificato per un’assistenza di fondamentale importanza. Gli hospice per malati inguaribili sono una realtà consolidata per il territorio bolognese. Isabella Seragnoli racconta come si sposano impegno etico e professionalità di Nicolò Mulas Marcello

el 2012 la Fondazione Hospice ha celebrato il decennale dell’apertura della struttura di Bentivoglio che ha segnato un traguardo importante sia per l’attività svolta dall’ente nell’ambito delle cure palliative sia per l’evoluzione che questa cultura ha avuto negli ultimi dieci anni in Italia. «Quando l’Hospice Benivoglio ha visto la luce – spiega Isabella Seragnoli, presidente della Fondazione Hospice – ne esistevano solo altri cinque in Italia, oggi sono 190 le strutture mirate alla cura dei malati inguaribili». L’hospice di Bentivoglio è stato creato nel 2001 per fornire assistenza gratuita ai malati oncologici terminali. È possibile fare un bilancio delle attività di questo polo? «L’hospice, accreditato con il servizio sanitario nazionale, è stato sin dalla sua creazione all’avanguardia: il primo in Italia a essere costruito appositamente per l’accoglienza gratuita dei pazienti in fase avanzata e progressiva, progettando l’edificio in base alle necessità di cura cui era destinato. Un’équipe multidisciplinare di altissi-

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ma qualità è stata determinante per caratterizzare la struttura come un luogo di eccellenza nel panorama italiano, soprattutto in un momento in cui anche a livello istituzionale non vi era alcun riferimento in materia di cure palliative. Solo nel 2010, con la Legge 38, è stato definitivamente riconosciuto a livello legislativo il ruolo indispensabile delle cure palliative per garantire la dignità della persona nella fase avanzata della malattia. Oggi le nostre strutture sono tre, l’Hospice di Bentivoglio, il reparto Hospice dell’ospedale Bellaria e una residenza per anziani a Casalecchio di Reno. Esse coprono il fabbisogno dell’intera provincia di Bologna, con 58 posti letto, una media di 0,67 posti letto ogni 10mila abitanti, a fronte di una media regionale di 0,61 e nazionale di 0,31». Per offrire assistenza ai malati terminali occorre un alto grado di professionalità. In che modo è attiva la Fondazione Seragnoli per quanto riguarda la formazione e la ricerca? «Lavorare con i malati inguaribili richiede un impegno etico e spirituale che non ha eguali, associato a un’altissima


Isabella Seragnoli

Isabella Seragnoli, presidente della Fondazione Hospice Seragnoli

L’officina della cultura stato inaugurata a Bologna lo scorso 4 ottobre la Fondazione MAST (l’acronimo sta per Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia). Nata per sostenere la crescita economica e sociale del territorio, stimolando la creatività e l’imprenditorialità tra le giovani generazioni, la Fondazione è stata voluta da Isabella Seràgnoli, con l’obiettivo di porsi come ponte tra l’impresa e la comunità in cui si colloca, offrendo attività alla cittadinanza oltre che servizi ai collaboratori aziendali: un progetto di innovazione sociale e di interazione tra l’azienda e la sua comunità. Come spiegano dalla stessa Fondazione: «Mast in inglese è l’albero maestro delle navi e l’acronimo sta per Manifattura (identità produttiva del territorio), Arti (espressione della creatività), Sperimentazione (la pratica alla base della innovazione) e Tecnologia (applicazione di tecniche con il fine di migliorare la vita umana). Abbiamo l’obiettivo di rilanciare tra le giovani generazioni le peculiarità che hanno caratterizzato da sempre il nostro territorio, quali la meccanica, la tecnologia e l’imprenditorialità». MAST ospita un ristorante aziendale, sale espositive, una palestra, un asilo nido, una caffetteria e un auditorium che può ospitare fino a quattrocento persone.

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professionalità. Queste sono le caratteristiche che contraddistinguono le equipe che operano nei nostri hospice, a cui va la mia gratitudine. Per stimolare un costante miglioramento nell’assistenza e per un aggiornamento continuo delle pratiche cliniche, la Fondazione Hospice nel 2006 è stata tra i fondatori dell’Accademia delle scienze di medicina palliativa, assieme alla Fondazione Isabella Seragnoli e alla Fondazione Carisbo. Questo ha permesso da un lato lo sviluppo di percorsi di istruzione universitaria, con il master in Medicina palliativa in collaborazione con l’Università di Bologna, dall’altro la possibilità di formare in modo continuativo gli operatori che già lavorano in hospice, affinché siano sempre pronti a rispondere alle sfide dei tempi. Dal 2007 al 2011, circa 1.800 discenti hanno partecipato ai programmi formativi dell’accademia e grazie ad aziende, fondazioni ed enti, parte di un network di solidarietà, sono state rese disponibili borse di studio. L’accademia si trova a Bentivoglio e forma, insieme all’hospice e alle residenze che ospitano i partecipanti ai programmi di ricerca e formazione nazionali e internazionali, il primo campus in Europa interamente dedicato alla medicina palliativa che unisce assistenza, formazione, ricerca e accoglienza». Quali novità per il futuro? «Dobbiamo continuare a lavorare per un maggior riconoscimento della sussidiarietà tra pubblico e privato e creare opportunità perché anche le realtà non profit riescano a raggiungere una sostenibilità economica. Nell’ambito delle cure palliative è importante raggiungere una maggiore efficienza della rete assistenziale in collaborazione con l’Ausl, integrando sempre di più gli hospice con tutti i servizi sanitari, i professionisti coinvolti e in particolare con il sistema delle cure domiciliari. La fondazione inoltre, sempre in questo ambito, sta collaborando con le istituzioni per lo sviluppo, fra gli altri, di importanti progetti che fanno fronte a bisogni della comunità a livello locale e regionale». 203


Il commento

Non è un paese per manager Se il numero delle imprenditrici sale, la strada per le donne manager resta spesso in salita. Quanto il nostro Paese è poco “woman friendly”, soprattutto quando la poltrona scotta? L’opinione del sociologo Francesco Alberoni di Leonardo Testi

Francesco Alberoni, sociologo, giornalista e scrittore

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Francesco Alberoni

LA VITA DIVENTA PIÙ SEMPLICE QUANDO IL PAESE FORNISCE ALLE DONNE GLI STRUMENTI PER CONCILIARE LAVORO E VITA DOMESTICA

La donna imprenditrice e la donna manager in Italia. Esistono ancora forme di resistenza verso queste figure, senza arrivare alla parola discriminazione? «Credo dipenda ancora molto dai settori produttivi e dalle zone geografiche in cui ci si trova. Esistono comparti tradizionalmente ad appannaggio delle donne, come la moda, la bellezza e la cosmetica, ma oggi molte di queste considerazioni sembrano cedere il passo a una maggiore trasversalità. Resta a mio avviso forte la distinzione tra il mondo delle imprese vero e proprio e quello della finanza e del management, per quanto concerne il ruolo delle donne. L’imprenditore o l’imprenditrice in senso stretto è il proprietario della sua azienda, è colui che mette sul tavolo il denaro, il rischio, l’intelligenza. Possiede ciò che ha prodotto, generato e inventato. È lo stesso mercato, quindi, a decretare le capacità di un’imprenditrice che, se brava, farà la propria strada, esattamente come accade a un imprenditore uomo. Ho, invece, idea che nelle società strutturate in una gerarchia e nelle realtà dove la figura del manager conta più di quella dell’imprenditore, le differenze di genere si facciano sentire di più e una solidarietà tipicamente maschile tenda a isolare le donne». Si è sempre parlato di quote rosa in politica. Oggi qual è la situazione? «Ho l’impressione che in Italia si stia affermando una generazione di donne impegnate in politica, trasversale a tutti gli schieramenti e decisamente a proprio agio nella competizione con i colleghi uomini». nea | novembre 2013

Quanto è difficile per una donna italiana impegnata in carriera conciliare la professione con la maternità? «Rilevo nel mondo manageriale una certa durezza, per non dire ottusità, verso questo tema; un formalismo inutile dove il fatto di occuparsi dei figli viene percepito come una diminuzione. Ma non mi farei particolari illusioni sulla leggerezza o il benessere della condizione delle manager americane. Nelle corporation statunitensi esiste un livello di competizione che probabilmente non riusciamo a immaginarci. Le manager americane fanno sì carriera, ma sono sottoposte a tour de force lavorativi proibitivi per raggiungere questo traguardo. E se lo sognano di fare un bambino». Quali condizioni servirebbero allora? «Sono ancora molte le donne che avvertono un senso di colpa forte nei confronti dei loro figli e, per questo, rinunciano alla carriera. Per conciliare maternità e professione occorrono senz’altro condizioni differenti a livello del sistema Paese. Dove prevalgono l’ordine sociale e il rispetto - e non gli imbrogli o le corruzioni come in Italia - le donne incontrano meno difficoltà. Penso, ad esempio, ai paesi del nord Europa. La situazione per le donne migliora laddove la società è più ordinata, prende sul serio le esigenze dell’individuo, provvede meglio ai suoi bisogni, fa funzionare i servizi. Non dico che così i problemi spariscano d’incanto, ma la vita diventa più semplice quando il Paese fornisce alle donne gli strumenti per conciliare lavoro e vita domestica». 205


Spigolature di Nea LIBRI Il talento delle donne? Superare le barriere Odile Robotti, amministratore unico di Learning Edge, professore a contratto presso l’Università VitaSalute San Raffaele e presidente dell’organizzazione di volontariato MilanoAltruista, ha scritto “Il Talento delle Donne” (Sperling & Kupfer). Consigli pratici dati da una donna ad altre donne per farsi strada e avere successo nel mondo del lavoro, facendo attenzione a “riconoscere le barriere di genere per riuscire a superarle con abilità e leggerezza”.

M O ST R E Da Eleonora Duse a Patty Pravo

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Per celebrare i primi 30 anni della

Franca Florio. E ancora gli abiti

Galleria del Costume di Palazzo Pitti

romantici di Antonella Cannavò

a Firenze, è stata allestita una mostra

Florio, che indossava creazioni

dedicata all’universo femminile.

di Schuberth, il “sarto delle dive”,

“Donne protagoniste nel Novecento”

fino a quelli eccentrici di Anna Piaggi

è un viaggio a ritroso nella moda del

e Cecilia Matteucci Lavarini,

XX secolo, attraverso abiti e accessori

entrambe attente collezioniste di

appartenuti ad alcune protagoniste

moda. Tra quelli esposti, anche alcuni

del secolo scorso. Il percorso

vestiti che la cantante Patty Pravo ha

espositivo inizia con i preziosi capi

indossato sul palco dell’Ariston di

realizzati da Rosa Genoni, promotrice

Sanremo. Infine, gioielli in materiali

del made in Italy nel mondo, e dalle

non preziosi, bijoux e intrecci delle

tuniche realizzate da Fortuny per

donne del Rwanda che i designers

Eleonora Duse, fino ai vestiti di donna

trasformano in gioielli.


BANDI

QUOTE DI GENERE

Un programma per il lavoro femminile

Un programma per l’inclusione delle donne

Il Comitato nazionale di parità

È stato presentato a Roma il progetto

e pari opportunità nel lavoro

europeo “Women mean business and

ha pubblicato il bando per

economic growth”, finanziato

l’incremento e la qualificazione

nell’ambito del programma

dell’occupazione femminile per

“Progress”. Il progetto, della durata di

l’anno 2013. Il programma intende

due anni, è coordinato dal

finanziare progetti di durata

Dipartimento per le Pari opportunità

massima di 24 mesi, con un

della Presidenza del Consiglio dei

contributo minimo per progetto

Ministri, in partenariato con

APPUNTAMENTI

di 60mila euro. Due gli ambiti

l’Università Luigi Bocconi di Milano –

di interesse: l’occupazione

Centro “Carlo F. Dondena”, e ha

2014, l’anno dei pinguini

o il reinserimento lavorativo

l’obiettivo di promuovere la presenza

e il consolidamento d’impresa.

femminile nelle posizioni apicali e

Il Parlamento europeo ha designato

Le domande di ammissione

studiare gli effetti della

il 2014 “Anno europeo della

al finanziamento per la

partecipazione femminile nei Cda e

conciliazione tra vita familiare e

realizzazione dei progetti scadono

nei collegi sindacali delle società a

vita professionale”.

il 30 novembre.

controllo pubblico.

Lo scopo è quello di ottenere un nuovo impegno politico da parte degli Stati membri per rispondere ai problemi che interessano le famiglie, e in particolare quelli connessi alla crisi economica e sociale, diffondere buone pratiche e promuovere politiche family friendly. L’iniziativa è stata denominata “Anno del pinguino”: questa specie, infatti, mette in atto un modo per condividere i carichi di cura tra i genitori, come lo scambio di turni di pesca tra i genitori.

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