Corriere della Sera_20.03.2021

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20-03-2021 48 1/2

L'appuntamento Alla vigilia dell'assegnazione degli annuali Grant,il presidente della Fondazione Veronesi sottolinea l'importanza di proteggere e far crescere i talenti migliori

SCIENZA CONDIVISA PAOLO VERONESI SULLA PREVENZIONE E LA CURA «LE SCOPERTE SIANO SUBITO UN BENE DI TUTTI» solo che le di Daniela Natali aranno 133 fra medici e ricercatori i premiati quest'anno dalla Fondazione Umberto Veronesi lill!Ei; durante l'annuale cerimonia dei Grant che si svolge dal 2003. Paolo Veronesi, come è nata la Fondazione e qual è la sua missione? «Lo scopo della nostra attività è il progresso della scienza, un'affermazione generica che però si sostanzia in due elementi molto concreti», chiarisce il presidente della Fondazione e direttore della Divisione senologia chirurgica 1E0: sostegno alla ricerca e immediata divulgazione dei risultati raggiunti. «Quello che viene scoperto a livello scientifico deve diventare il più rapidamente possibile patrimonio di tutti in modo da tradursi in benefici condivisi. Il che significa non

scoperte debbono passare velocemente dal chiuso dei laboratori al letto dei pazienti, ma che tutto quello che viene capito a livello di prevenzione deve trasformarsi in consigli concreti per uno stile di vita più sano che sottolinei sia l'importanza dell'alimentazione che dell'attività fisica o della rinuncia al fumo». Quali sono i settori ai quali va il sostegno? «Come è ovvio al settore oncologico (con attenzione ai tumori tipicamente femminili di utero, ovaio, seno ma anche a quelli pediatrici, in particolare la leucemia linfoblastica acuta); alle malattie cardiovascolari (che insieme al tumore sono la principale causa di morte nelle società come la nostra) e alle neuroscienze che, dato l'allungamento della vita, ci pongono sempre più il problema della patologie neurodegenerative come Alzheimer e Parkinson. A questo si affianca l'interesse per la nutrigenomica sul fronte della prevenzione. Scoprire le interazioni tra Dna e alimentazione significa capire come il cibo può agire, in bene o in male, sui nostri geni». L'Italia investe poco in ricerca rispetto al Pii: l'1,4% contro oltre il 2,5% di Fran-

cia e Germania. Siamo il Paese che ha meno personale stabilizzato finalizzato alla ricerca: meno di 5 ricercatori ogni mille occupati contro gli oltre 9su mille di Francia e Germania. Eppure siamo fra I migliori Paesi in Europa per qualità e quantità di studi e sperimentazioni: come si spiega? «In due modi: tanto per cominciare con l'eccellenza delle Università, e in campo formativo in generale. I nostri ricercatori fanno sì che l'Italia sia tra i primi cinque Paesi al mondo per livello di pubblicazioni scientifiche. Ma conta anche il ruolo svolto da Fondazioni, come la nostra, e da associazioni che intervengono là dove la mano pubblica non arriva. L'età media dei ricercatori che premieremo è di 37 anni I finanziamenti assegnati coprono i lavori di ricerca per due o tre anni,vuol dire che queste persone, laureate da tempo e con dottorati di ricerca, debbono reinventarsi la vita molto spesso. Facile capire perché molti decidano di lavorare all'estero dove sono i benvenuti e contano su fondi certi e sistemazioni sicure». In Europa la maggioranza delle ricerche è sponsorizzata dalle aziende farmaceutiche (74%), solo una minima parte è accademica(15%) o finanziata in partnership

da aziende private ed enti pubblici (n%). Qui rientrano in gioco fondazioni e associazioni. «Ovvio e giusto che le aziende cerchino il profitto; e, anche se pure noi puntiamo a un tipo di ricerca con ricadute pratiche il più rapide possibile, non abbiano gli stessi vincoli. In questi ultimi dieci anni è completamente cambiato, e sta ancora cambiando, l'approccio alla cura dei tumori. Non si parla più tanto di patologia d'organo: il tumore alla mammella, alla prostata, allo stomaco; quanto di caratteristiche trasversali che li accomunano. La cura non è più scelta quindi solo in base alla sede di sviluppo del tumore, ma anche in relazione alle sue caratteristiche molecolari, che possono essere diverse da paziente a paziente. Si va verso una medicina personalizzata impensabile fino a poco tempo fa. E l'immunoterapia che stimola il sistema immunitario rendendolo più efficace nel riconoscere e distruggere le cellule cancerose, ci ha permesso di mutare la prognosi, per esempio, per il cancro metastatico al polmone passando da pochi mesi a anni di sopravvivenza. Questo fa la ricerca. E della sua importanza siamo tutto più consapevoli in questi amari tempi di Covid».

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