PERCHE' DISCUTIAMO I CONTRATTI
C
•si è meravigliati che la nostra sezione abbia deciso di promuovere attivi di partito per discutere i rinnovi contrattuali. Ecco la riprova, si è detto: il PCI ora che si trova nella maggioranza vuole gestire in prima persona i contratti per frenare le richieste dei lavoratori. Da tempo si batte su questo tasto: il PCI svuota le conquiste dei lavoratori. Vediamo se è vero o se non sia invece vero che altri tenta di svuotare le conquiste dei lavoratori, con destrezze politiche che non ci meravigliano né ci scandalizzano. Però vogliamo spiegare ai dubbiosi e ai critici delle nostre posizioni: stiamo attenti alle destrezze! E questa ci pare cosa lecita.
Negli ultimi dieci anni la percentuale di reddito distribuito al lavoro dipendente è salita al 70 % dell'intero reddito nazionale. Negli ultimi cinque anni — dati Istat e Cespe — i salari reali (tenuto quindi conto del processo inflazionistico) sono aumentati del 44 % in agricoltura e del 20 % nell'industria, gli stipendi del settore industriàle sono aumentati dal 5 %. Sono questi risultati positivi, che non sono certo piovuti dal cielo, che hanno impegnato i lavoratori, soprattutto i lavoratori comunisti, in dure lotte anche contro il parere diverso di quelle forze — lo rammentino gli smemorati — che ora agiscono nel sindacato (e non) a mostrarsi più dure dei comunisti, operando continui rilanci e scavalchi demagogici. Saremmo dei suicidi se svendessimo la nostra storia.
Le conquiste dei lavoratori occupati dunque ci sono: ma prima di pretendere nuove avanzate, facciamo qualche riflessione e guardiamoci un po' intorno. Il mondo non si confina al « Corriere della Sera » (dove non è che i lavoratori siano dei derelitti), non si confina a Milano, in Lombardia o nel triangolo industriale: e i disoccupati, i giovani in cerca del primo lavoro (i nostri figli, compagni), gli emarginati, l'esplosiva situazione delle masse disoccupate del Sud? Che facciamo: li cancelliamo, li buttiamo a mare?
Sembra ora che il toccasana sia la diminuzione dell'orario di lavoro. Però « nessuno è in gra-
do di assicurare che la riduzione dell'orario porterà, in modo meccanico, a nuove assunzioni », ha scritto giustamente Massimo Riva sul « Corriere della Sera ». E' facile per contro pronosticare come il padrone penserà di scaricare il maggior costo del lavoro per unità prodotta: la via maestra sarà la crescita dei cosiddetti investimenti di produttività (cioè le tecnologie più avanzate) per diminuire il numero degli addetti. (Anche al « Corriere » le tecnologie di seconda, terza, quarta generazione che dir si voglia, sono alla porta minacciose: chiedere al Consiglio di fabbrica per conferma). « Il cancello
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lkAarx, Lenin, Proudhon, marxismo-leninismo, o marxismo e leninismo. Non allarmatevi, non andiamo a volteggiare nell'empireo ideologico anche se la tentazione è forte di dire la nostra, perché come ha scritto il settimanale laburista inglese « Tribune »: « In un paese così ricco di cultura politica come l'Italia, Craxi non poteva pensare di scrivere tali banalità e sperare di uscirne indenne ». Ci pare invece opportuno riproporre all'attenzione e alla meditazione di tutti la vignetta di Altan già pubblicata da « Rinascita ». Non riesce forse e condensare e a sintetizzare con pochi tratti la questione ideologica come meglio non saprebbero pagine e pagine di scritti?
LA CRISI DEL CORRIERE D'INFORMAZIONE

IL GIOCO DELLE PARTI
tra editore (vecchio) e direttore (nuovo)
Alle crisi del Corriere -13d'Informazione abbiamo fatto il callo: sono ricorrenti e coincidono, ciclicamente, con le fasi precontrattuali, secondo la sperimentata strategia padronale di giocare d'anticipo, concentrando l'attacco preventivo sul punto debole del fronte sindacale. E' improbabile, però, che ora si tratti solo di questo: un editore che compera a destra e a manca (il riferimento al Lavoro di Genova è puramente casuale) giornali in deficit, che impianta una iniziativa disastrosa come quella di Padova non può gettare sul tavolo delle trattative la situazione pesante di una testata viva
e potenzialmente vitale senza sentirsi rinfacciare tutti gli errori di conduzione imprenditoriale e tutte le spregiudicatezze da sottobosco politico. Questa volta, dunque, la crisi del Corriere d'Informazione è più seria del solito. E lo si può rilevare anche da alcuni fatti concreti:
quest'anno si è scesi nelle vendite sotto il livello delle 70 mila copie di media giornaliera; la gestione di Mosca, il direttore che ha recentemente abbandonato la barca, ha provocato nella redazione squilibri difficili da eliminare;
l'editore non ha avuto
scrupoli ad accelerare la caduta della situazione, senza attendere che venissero avviate le nuove iniziative concordate (potenziamento dell'edizione mediana parallelamente all'inizio della trasmissione da Telealtomilanese del notiziario del Corriere d'Informazione), dimostrano di non credere a queste iniziative e privandole, comunque, di incisività;
4) il sindacato dei giornalisti incontra un'obiettiva difficoltà nell'impostare un'iniziativa organica che coinvolga le altre testate dell'azienda (o del gruppo).
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Perchè discutiamo i contratti
(continuazione da pag. 1)
della fabbrica — scrive sempre
Riva (scusate se Io citiamo ripetutamente, ma quando un giornalista del « Corriere » scrive con la testa sul collo è bene che gliene diamo atto) — diventerà una barriera sempre più alta per chi ha la ventura di essere all'interno e chi, le forze giovani in particolare, vi preme dall'esterno ». Sia chiaro che non siamo affatto contro la riduzione dell'orario di lavoro pregiudizialmente.
Ci mancherebbe altro! La storia della lotta dei lavoratori è nata, si può dire, con la rivendicazione della giornata di lavoro più corta. Noi comunisti siamo dentro, eccome, in questa storia e la storia non la rinneghiamo mai. In questo momento, però, impostare i rinnovi contrattuali sulla richiesta di una generalizzata riduzione degli orari di lavoro (che fra l'altro sono tra i più bassi in Europa) ci sembra espressione della volontà di voler fare della demagogia, di voler cavalcare la tigre del marasma e del caos.
Il marasma e il caos che sono gli obiettivi, tanto per intenderci, •degli « autonomi » (sindacati) negli ospedali, nei servizi pubblici. Ricordiamoci che in Cile la caduta sanguinosa di Allende fu sanzionata dagli scioperi dei minatori, attizzati dalle multinazionali, contro il governo di Unità popolare. Poi venne Pinochet.
Questi sono gli argomenti che dibattiamo nei nostri attivi. Niente di scandaloso, quindi, niente che vada a intaccare l'autonomia sindacale. Discutiamo apertamente di contratti con tutti i lavoratori, non dietro gli angoli. Questo è bene sia chiaro. Certo, le nostre posizioni non sono demagogiche, non sollevano entusiasmi, però di una cosa siamo certi e non ci stancheremo di ripeterla: le destrezze di cui abbiamo scritto sopra hanno uno scopo ben preciso: ricacciare indietro il movimento operaio che qualche leva, anche per nostro merito, l'ha conquistata. L'offensiva dura e totale delle classi privilegiate ne fa fede. Se ci abbandoniamo al semplice rivendicazionismo, il padrone ha vinto.
Il gioco delle parti
(continuazione da pag. 1)
La constatazione più grave, però, è che l'assenza di un piano editoriale ha indotto nei vertici aziendali una disaffezione verso il giornale del pomeriggio tale da rasentare la smobilitazione, mascherata, per il momento, da decisioni e provvedimenti improvvisati e apparentemente pri-
vi di un minimo coordinamento logico. Così, succede che arriva l'editore, annuncia la necessità di procedere a economie forzate (guardandosi bene, naturalmente, dal presentare un preciso programma di qualificazione delle spese) e traccia le linee fondamentali su cui dovrà muoversi il Corriere d'Informazione: cronaca, sport, spettacoli sono gli argomenti che devono sopportare questa linea. Poi arriva il nuovo direttore, che deve essere il garante, nei confronti dell'editore, della corretta conduzione di questa linea. E cosa decide? Una riduzione dell'organico redazionale preposto alle pagine degli spettacoli; una diminuzione dei redattori addetti allo sport; un non chiaro spostamento di redattori da e per la cronaca che non sembra preludere a un rafforzamento del settore come le esigenze del giornale richiederebbero. Questa divaricazione tra gli enunciati dell'editore e quelli del direttore - suo - fiduciario, in un gioco delle parti abbastanza trasparente, lascia intendere che della linea ventilata resta in piedi soltanto l'intenzione di ridurre le spese, cominciando dalla diminuzione degli organici. Che potrebbe anche essere un discorso serio e da affrontarsi concretamente, ma solo nel quadro di una razionalizzazione del lavoro redazionale, più volte sollecitata dagli stessi giornalisti.
Sperequazioni interne
Per cominciare, questa ristrutturazione deve essere concordata e non può passare, preventivamente, con colpi di mano indolori, per l'indebolimento dei settori sui quali si vuole, dichiaratamente, puntare. Tanto più se, contemporaneamente, si perpetua e, anzi, si estremizza una delle più macroscopiche sperequazioni interne alla testata, stabilendo per il reparto che si occupa della prima e della seconda pagina un organico di otto giornalisti semplici e di ben otto tra capi e capetti (direttore compreso), facendo del Corriere d'Informazione il giornale d'Europa (e forse del mondo) a più alta concentrazione di cervelli su una sola pagina.
Formuletta di rito
Ancora più sospetto, sempre in rapporto al gioco delle parti e con riferimento al già sottolineato tempismo dell'editore nello scatenare la crisi mentre dovevano partire le nuove iniziative, è la mancanza nel piano di riorganizzazione del direttore di un'indicazione precisa su quell'edizione mediana che, garantendo la saldatura organica tra notiziario parlato (Telealto) e giornale scritto, dovrebbe portare a un consolidamento della diffusione, con l'acquisizione di nuovi mercati e, presumibilmente, di nuovi utenti pubblicitari.
Insomma, pare proprio di poter leggere un'identità tra il linguaggio fatto di sottintesi e di reticenze del nuovo direttore e quello più esplicito, addirittura brutale, dell'editore. La cosa non può stupire; è allarmante, semmai, l'assenza di qualsiasi prospettiva chiara sul tipo di giornale che si intende fare. Né può lasciare tranquilli la formuletta di rito con cui il nuovo direttore ha liquidato l'impegno civile che si richiede a un mezzo d'informazione in una società moderna: linea laica, democratica, antifascista. Ma sulla vocazione laica, democratica, antifascista di un giornale (e di giornalisti) che ha approfittato dei campionati di calcio in Argentina per esaltare il regime di Videla si può legittimamente dubitare.
Una postilla
Potete leggere sopra un esauriente articolo sulla crisi che sta attraversando il « Corriere d'informazione ». Qui vogliamo aggiungere una considerazione. Direttore ancora Mosca, ci fu dato di leggere il seguente titolone in prima pagina, a proposito della elezione del nuovo papa: « Hanno dato voce alla Chiesa del silenzio ». Il 27 ottobre sul « Giorno » abbiamo letto: « Perché nessun commentatore serio, a parte qualche sprovveduto la cui cultura di politica internazionale si è fermata ai tempi della guerra fredda, ha in questi giorni usato espressioni quali "Chiesa del silenzio" di cui papa Giovanni Paolo II sarebbe ora diventato autorevole rappresentante, interprete e "vendicatore"? » Allora, anche per il Corriere d'Informazione non si è trattato solo di una forzatura del titolo ma di sprovvedutezza? Giorni fa, però, direttore Fantin, ci è stato dato di leggere un altro titolone in prima pagina: « Dirottato l'aereo dell'Inter », semplicemente perchè la nebbia milanese aveva costretto il velivolo a scendere a Caselle. Qui non si può parlare né di sprovvedutezza né di semplice forzatura. Come definire un così spregiudicato e puerile ricorso al titolo-civetta per conquistare un lettore in più?

CONTENT, TANASSI?
— Quale sarà Il nuovo ordine europeo?
« Un ordine socialdemocratico ». (Da un'intervista di Gervaso a Alberoni sul « Corriere »).
I DIRITTI DELL'UOMO
« Una fabbrica del Colorado sta producendo la bomba N * » (Titolo della « Stampa »).
Ben detto, Amendola
Il compagno Amendola ha rispiegato al « quotidiano esaltatore » dei capitalisti, Ronchey, la crisi generale del capitalismo in termini pacati e con argomentazioni tecniche, da buon economista qual egli è.
« La crisi storica del capitalismo — conclude Amendola — si manifesta nella sua incapacità a risolvere i problemi del mondo. La sopravvivenza del capitalismo infetta il mondo intero, lo spinge sulla folle strada degli armarne/IP:ti, condanna l'umanità alla lotta per la sua sopravvivenza. Il limite di Ronchey e dei suoi amici, è di non riuscire a vedere il carattere e la gravità della crisi mondiale. Lo sforzo per trasformare ogni argomento, anche il più drammatico, in un motivo di quotidiana polemica contro i comunisti, gli offusca gli occhiali. Non di noi si tratta, ma di qualche cosa di molto più importante, una crisi di carattere mondiale, dalla cui soluzione dipende l'avvenire dell'umanità.
« Il mio è il discorso di un paleo comunista. Sono orgoglioso di essere un "vecchio comunista" venuto al partito sull'onda della grande crisi del 1929. Ma non sono solo. "Lo scopo principale deve essere quello di trasformare l'attuale sistema umano, antiquato e insoddisfacente, in una comunità globale, matura, responsabile, capace di autogoverno". Sono parole di Aurelio Peccei, tratte dal discorso "L'umanità alla svolta" pronunciate nel X anniversario del "club di Roma" all'Accademia nazionale dei lincei. Ma come arrivare a una "comunità globale, matura, responsabile"? Questo è il problema che si pone agli uomini di buona volontà e quindi alla classe operaia, a tutti coloro che non si rassegnano ad assistere passivi alla distruzione del mondo.
« Il "club di Roma", per chi non lo sappia, non è il CESPE, ma un centro di studi, di alta autorità scientifica, finanziato dalle forze più avanzate del capitalismo internazionale. Il fatto è che anche i capitalisti hanno bisogno di studiare il reale corso delle cose, perché sanno di non potersi fidare dei loro quotidiani esaltatori ».
* La bomba N, che ha un potenziale esplosivo limitato ma un livello di radiazioni altissimo, uccide le persone senza distruggere gli oggetti.
SWISSMINIATUR
« Madrid: Fanfani propone un modello di nuova società » (Titolo del « Corriere della Sera »).
A proposito di leninismo
Ti segretario del PSI Bettino Craxi nel suo « saggio » o « vangelo socialista » pubblicato su « l'Espresso » ha estrapolato alcune frasi dal « Che fare? » di Lenin per denunciare le differenze esistenti fra socialismo e « comunismo leninista ». Ovviamente Craxi parte da queste citazioni per sostenere che le società oggi esistenti in URSS e negli altri Paesi del cosiddetto « socialismo reale » sono il frutto della conseguente continuazione ideologica del leninismo. Orbene se le mie considerazioni sono esatte, Craxi parte da queste realtà e le offre come misura per sostenere le differenze fra comunismo e socialismo.
Lungi da me l'idea di contrapporre agli errori altri errori, non riesco però a vedere quanta distanza vi sia, ad esempio, fra le limitazioni di libertà esistenti in Unione Sovietica e le limitazioni di libertà esistenti nella Germania Federale, come la non tutela delle minoranze con la legge elettorale tuttora vigente, e il Berufsverbot il quale oltre a discriminare (alla faccia del pluralismo occidentale) ideologicamente i comunisti, ma anche i socialisti, non gli permette un posto di lavoro in pubbliche amministrazioni, e non solo in pubbliche amministrazioni, solo perché di sinistra. Per non parlare delle condanne a pene durissime per 16 sindacalisti, richieste da un governo con a capo un partito che si richiama agli ideali socialisti, il quale fa parte dell'organizzazione di cui Craxi è vice-presidente.
Come si vede ogni medaglia ha sempre un rovescio. E allora a quale socialismo Craxi si riferisce quando dice che rispetto alla « ortodossia comunista » il « socialismo è democratico, laico e pluralista ». « Non intende elevare nessuna dottrina al rango di ortodossia, non pretende por-
re limiti alla ricerca scientifica e al dibattito intellettuale, non ha ricette assolute da imporre », ecc., ecc.? A questo punto è lecito pensare che quanto scritto da Craxi sia frutto della sua fantasia in quanto non parte né da una analisi attuale delle realtà e tantomeno dalle condizioni storiche
IlNEOdelCali*diredazione
Con l'elezione dei delegati di settore, conclusasi il primo novembre, si è compiuta l'operazione di voto che ha portato al nuovo comitato di redazione dell'Editoriale del Corriere della Sera. Sono risultati eletti Raffaele Fiengo con 96 voti, Maurizio Andriolo 75, Alfonso Scotti 64. Primo dei non eletti Giuseppe D'Adda con 51 voti. Per Roma gli eletti sono Enzo Marzo e Paolo Menghini. Per il Corriere d'Informazione sono stati eletti Gian Mario Maletto, Elio Corno, Gianfrancesco Gonzaga. Gli eletti dell'area periodici sono stati cinque: Piero Pantucci, Giusy Ferré, Giuseppe Venosta, Antonella Cremonese, Luigi Pizzinelli.
Questa volta le elezioni si sono svolte con un meccanismo diverso dispetto a quello dello scorso anno, pur nel rispetto dell'art. 34 del contratto di lavoro. Le votazioni per il CDR del « Corsera » e dell'« Informazione » si sono svolte sulla base di un'unica lista che comprendeva tutti i redattori di Milano e Roma. L'anno scorso, invece, i redattori di Roma avevano votato per i loro delegati, mentre quelli di Milano peri tre rappresentanti del CDR. Questo aveva provocato lo scontento dei giornalisti romani i quali si sentivano esclusi (e lo sono stati di fatto) dal lavoro sindacale e dalle trattative con la direzione. Anche i giornalisti dei periodici hanno cambiato il meccanismo elettorale. Questa volta sono stati scelti cinque rappresentanti sindacali al posto di uno o due rappresentanti per ogni testata.
A tutti i nuovi eletti « Il Torchio » augura un proficuo ed efficace lavoro a salvaguardia dell'autonomia professionale dei giornalisti, nell'interesse della democrazia nel nostro paese.
Gli investimenti di Rizzoli in Argentina
fi nché il costo di composizio'ne sia quasi triplo rispetto all'Italia e il costo di stampa quasi doppio, Rizzoli ha fatto massicci investimenti in Argentina. Mentre i quotidiani d'interesse nazionale sono cinque (« La prensa », « La nación », « La razón », « La opinión » e il « Clarin ») i rotocalchi e le riviste sfiorano il numero di settanta.

« Abril » è un gruppo editoriale che comprende cinque case editrici: « Huemul », « Sulio Korn », « Anesa », « Noguer » e « Editorial Abril ». « Huemul » e « Noguer » sono case editrici tradizionali, pubblicano libri vari. « Anesa » è molto simile alla Fabbri di casa nostra. « Abril » e « Korn » sono due colossi che dominano il settore dei periodici. Pubblicano una ventina fra le testate più diffuse
rastrellando oltre il 50 % dell'intero budget pubblicitario argentino.
Rizzoli sta trattando appunto l'acquisto del gruppo editoriale « Abril ». Forse per questo la trattativa che dura ormai da oltre due anni appare protetta da una rigidissima barriera di silenzio e in qualche modo di mistero. C'è da dire che il rotocalco in Argentina è uno dei grandi canali di persuasione, di organizzazione del consenso, di imposizione di valori di massa. E in Argentina
più che altrove l'organizzazione del consenso è un vero e proprio campo di battaglia. E in questo quadro, su uno sfondo contraddittorio di violenza e di richiesta di pace sociale, di paura e di speranze, di miseria assoluta e
che le hanno generate. Ma se quanto scritto da Craxi non fosse il frutto della sua fantasia ma patrimonio comune dei socialisti, craxianamente intesi, visto che egli dà per scontato che noi comunisti siamo esclusi da questa visione di socialismo, quanti errori vi sono sulla loro strada?
Alcuni esempi sono stati fatti. Come mai in quelle società dirette ormai da decenni dalle socialdemocrazie le libertà e i diritti conclamati da Craxi non sono ancora attuati? Oppure anche questo è riconducibile al leninismo? Craxi condanna esplicitamente la concezione di Lenin (Che fare?) sul partito quando Lenin dice che la teoria del partito deve venire dall'esterno perché la classe operaia con le sue sole forze non ha la capacità di creare un partito rivoluzionario, ma non dice che quanto teorizzato da Lenin serve per creare il partito, e quindi Lenin scrive ciò nel momento della necessità di formare il partito, ma aggiunge in seguito che la teoria si dovrà fondere con l'organizzazione, quando il partito sarà formato.
Non è vero che il leninismo decapita le masse, le rende schiave del partito in quanto Lenin dice che il partito sarà veramente rivoluzionario quando sarà un partito di massa. Quando, quindi, le masse si saranno appropriate della teoria intesa come negazioLe e superamento dialettico, che è anche assunzione critica degli apporti e dei risultati della cultura borghese più avanzata. Quindi vi sono omissioni volute di Craxi per ricondurre tutto al semplice fatto che essendo il PCI un partito nato sull'onda della Rivoluzione d'ottobre, nato quindi dagli ideali di Lenin, non rinnega il passato e non ha intenzione di cancellare la storia, perché come dice il compagno Berlinguer « la storia non si cancella », il PCI non è abile a governare.
di ricchezze immense si colloca l'affare dell'editore Rizzoli.
Si dice che Rizzoli abbia rilevato solo il 45 % circa del « Gruppo Abril » mentre il restante 55 % sarebbe controllato da « Cellulosa Argentina » ottenendone tuttavia la gestione.
Sarà nostro compito capire che tipo di « politica editoriale » Rizzoli intende portare avanti in un Paese che per origini di quasi metà della sua componente sociale, per apporto di lavoro e legami culturali è più prossimo e legato all'Italia di quanto non si possa pensare. Una responsabilità che va ben oltre i pur legittimi interrogativi sulle eventuali responsabilità finanziarie connesse a questa espansione multinazionale.
Ma la realtà è un'altra. Oggi l'Italia è al bivio, o si cambia strada, ed i comunisti hanno un loro posto, o si ritorna indietro e allora tutti questi falsi problemi vanno bene per sviare l'opinione pubblica dai problemi reali del nostro Paese: Mezzogiorno, occupazione, risanamento economico, ecc. e quindi una » terza via al socialismo » che non sia quella già percorsa dai Paesi socialisti ma soprattutto dalla socialdemocrazia che di fatto si è limitata alla gestione del capitalismo. Ecco la vera questione, ed allora Bettino Craxi ovvero, da portatore esterno (come diceva Lenin) di teoria borghese più avanzata, rientri nella realtà del movimento operaio da buon intellettuale per dare il suo apporto alla realizzazione di una nuova società.
Ivaldo CereaLa vertenza del «Mattino»
Sulle vicende del « Mattino » di Napoli, il giornale finitocome tanti altri nel vortice delle manovre di lottizzazione che vede protagonisti la DC e l'editore Rizzoli, pubblichiamo questi interventi che sono un contributo importante a fare chiarezza nel mezzo di voci, smentite e polveroni vari. Ci pervengono dalla Cellula del PCI del « Mattino » stesso.
Ciò che colpisce in questa vicenda è la disinvoltura con cui si dispone di un bene pubblico così importante per Napoli e il Mezzogiorno. La trattativa si svolge in luoghi segreti e lontani e sembra essere dominata dalla preoccupazione di non coinvolgere in alcun modo i lavoratori, i sindacati, le forze sociali e politiche della Campania. E' ovvio che in un contesto simile l'ipotesi ventilata di una cessione a Rizzoli per 15 anni delle testate del Banco di Napoli senza adeguati meccanismi di controllo e, soprattutto, senza garanzie per un mutamento della linea del giornale in senso pluralista e meridionalista, rappresenterebbe una scelta grave e densa di pericoli. Rizzoli ha dimostrato in due anni di gestione di essere più interessato ad occupare e a controllare uno spazio di mercato che a sostenere un'impresa con programmi concreti di sviluppo.
Pure il Mezzogiorno esprime una grande domanda di strumenti di informazione moderni e al passo con le trasformazioni intervenute nella società e negli orientamenti culturali della gente. Non si tratta affatto di essere pregiudizialmente contro Rizzoli ma di chiedere che l'intervento
dell'editore abbia finalità chiare e vincoli meridionalisti. La presidenza del Banco di Napoli non può dimenticare che il « Mattino » appartiene al Mezzogiorno.
E sembrerebbe per lo meno strano che in nome della necessità di chiudere presto i conti si decidesse di regalare la testata a operazioni di stampo neocoloniale, sacrificando non solo il ruolo che le compete — rivendicato dalle forze più avanzate della cultura e della società campana e dagli stessi tipografi e giornalisti — di strumento essenziale per la crescita sociale e culturale di Napoli e del Mezzogiorno, ma le sue stesse possibilità di impresa.
Una operazione simile violerebbe apertamente i principi e le finalità a cui dovrebbe richiamarsi un istituto di credito pubblico e non sarebbe certo ispirata allo statuto che impegna il Banco ad operare per il Mezzogiorno e non contro di esso.
Michele Santoro (responsabile regionale PCI dei problemi dell'informazione)
La cellula comunista del « Mattino » preoccupata dai ritardi
CERTEZZE
econdo il « columnist » Giorgio Bocca il terrorismo delle BR è figlio del « cattocomunismo ». Dall'alto della sua Ragione il Bocca sputa sentenze e certezze. Se tre operai muoiono in una fabbrica la colpa non è dell'organizzazione capitalistica del lavoro, ma di un camionista distratto. L'Italia è un paese orribile dove ogni cosa è pietrificata da un soffocante accordo tra cattolici e comunisti, dove le lotte operaie non sono che « sacre rappresentazioni» e le idee vecchi rottami di un'innata vocazione dogmatica e chiesastica. I vari Togliatti e Secchia non erano soltanto i capi del PCI ma gli informatori e gli inviati della polizia segreta sovietica.
Certezza per certezza, Ragione per Ragione: e se il terrorismo delle BR fosse figlio del « bocchismo »? La paura, cioè, del cambiamento, che dopo il 20 giugno ha raggiunto tanti « laici » e settori di una certa sinistra. E non è paura della « utopia », ma di qualcosa di più concreto e imminente, qualcosa che cammina sulle gambe di milioni di uomini. Paura insomma che in Italia le cose finalmente cambino nel segno della serietà, nel segno della giustizia sociale.
Narrano gli annalisti di via Solferino che nell'era del « miracolo economico » e oltre la comparsa dei « franchi tiratori » causasse in redazione i •seguenti effetti: .i confessionali impetravano l'ira divina, i laici dell'area liberale invocavano lo storicismo assoluto di Croce, i laici dell'area sociallibertaria inneggiavano al federalismo di Proudhon.
Alcuni viaggiatori freschi reduci dai corridoi di via Solferino raccontano che la ricomparsa dei « franchi tiratori » nella votazione del documento sugli ospedalieri ha causato in redazione i seguenti effetti: i confessionali hanno propiziato l'ira divina, i laici dell'area liberale hanno benedetto gli « autonomi », i laici dell'area sociallibertaria hanno riabilitato il leninismo.
nella definizione della direzione del giornale e della linea editoriale dell'Edime rivolge un appello a tutte le forze politiche e sociali democratiche, alle amministrazioni comunale e regionale, agli intellettuali, ai consigli di Fabbrica, ai lettori perché intervengano per sollecitare uno svolgimento alla luce del sole della trattativa.
La cellula afferma che « Il Mattino » e le altre testate della Edime sono un patrimonio pubblico, che va interamente utilizzato per la promozione civile e culturale del Mezzogiorno, superando ogni tentazione a servirsi di questi giornali per sostenere interessi di parte.
L'occasione per questo comunicato della cellula dei lavoratori comunisti del « Mattino » è la voce circolata con insistenza ai primi di luglio di una concessione per altri 15 anni della gestione delle testate del Banco di Napoli alla Edime (RizzoliDC).
Immediatamente viene creato un comitato di lotta formato da giornalisti e poligrafici che pochi giorni dopo organizza al Circolo Labriola un incontro con intellettuali, uomini politici e sindacalisti, sulla vicenda « Mattino ». Dalla riunione viene fuori un documento, firmato da numerosi esponenti di significative realtà della città (dai consigli di fabbrica alle redazioni delle principali testate locali), diffuso poi come manifesto in tutta Napoli.
Per iniziativa del presidente della Regione viene promosso un incontro tra il presidente del
Banco di Napoli e i rappresentanti di tutti i partiti politici.
L'incontro si conclude con lo impegno di Pagliazzi, presidente del Banco, ad organizzare un confronto con i partiti politici e Rizzoli.
In attesa dell'incontro il comitato di lotta dei giornalisti e poligrafici ha promosso per il 30 settembre una manifestazione pubblica al Maschio Angioino (Antisala dei Baroni), per discutere con la città il futuro delle testate di proprietà del Banco di Napoli.
« Che cosa vogliono — si è detto in questa manifestazione — giornalisti, poligrafici, tutte le forze vive — politiche e culturali — di Napoli e della Campania? ». Un giornale per Napoli e per il Mezzogiorno, capace, cioè, di dare voce e forza a una società che è cambiata e vuoi cambiare ancora. « Durante le ultime, difficili lotte — ha ricordato Antonio Otranto, del consiglio di fabbrica dell'Italsider — siamo usciti a Bagnoli dalla fabbrica che pioveva. E, nel nostro quartiere, le donne dalle finestre ci lanciavano sacchetti di plastica, perché potessimo ripararci dalla pioggia. Tanta e tale era la solidarietà spontanea; ma, quando siamo arrivati nel centro di Napoli, abbiamo trovato i commercianti che, •per paura, abbassavano le saracinesche: questo clima, quest'accoglienza ce l'aveva preparata nei giorni precedenti il Mattino ».
Questo è « Il Mattino » che le classi lavoratrici di Napoli e della Campania rifiutano.

Falsità sulle pensioni
Sulla riforma del sistema pensionistico il « Corriere della Sera » si è distinto per faziosità e disinformazione, tanto che il Consiglio di fabbrica si è visto costretto a scrivere un comunicato di protesta per la maniera veramente indegna con la quale il giornale trattava l'argomento.
Davvero il « Corriere della Sera » ha superato ogni limite di falsità, ma ormai le perplessità sul concetto di libertà di stampa secondo il « Corriere », tutte di segno negativo, non sono più perplessità, sono certezze e la sua rincorsa all'indietro non fa più meraviglia.
Sull'argomento pensioni si è voluto cimentare anche Giuliano Zincone e il suo articolo sì mi ha lasciato perplesso. Non mi aspettavo che un progressista come Zincone si prestasse alla campagna ipocrita del « Corriere della Sera » contro la riforma delle pensioni con un articolo — mi perdoni l'autore che stimo quale ottimo giornalista — altrettanto ipocrita. « Tanto, i vecchi non tirano le molotov », si intitolava il suo pezzo. « Prima di esigere sacrifici dai vecchi (da noi tutti quando lo saremo) è probabilmente utile tentare di capire che cosa significhi essere o sentirsi vecchi ». Questo è un brano dell'articolo, incentrato nell'analisi — peraltro aderente alla realtà delle società capitalistiche — della triste condizione della « terza età ». Ma questo che c'entra con la riforma delle pensioni? Crede davvero Zincone che la riforma sia una riforma persecutoria nei confronti dei vecchi? A me non sembra. E' una legge — se legge diverrà, occorrerà battersi a fondo perché passi — perequativa, questo sì, e intesa a sfrondare la giungla delle pensioni, a porre fine alle verognose « pensioni d'oro » e ai privilegi.
Non vorrei che tanto clamore demagogico sui giornali padronali — Ronchey si è distinto fino al sublime ridicolo — nascondesse in effetti l'ira delle categorie privilegiate sotto l'ombrello di istituti previdenziali autonomi che temono che la loro « robba » sia in discussione.
Gratta gratta l'europeista, il socialdemocratico moderno —
OPINIONI
Questo
uesto spazio è aperto a chiunque voglia esprimere il proprio parere, approvare ciò che scriviamo, dissentire: un confronto insomma di opinioni, di idee.
ha scritto giustamente l'« Unità » — trovi la vecchia borghesia italiana corporativa e clientelare.
Pruriti irresistibili
Mi sembra che non esistano più dubbi sul fatto che ci sono forze in preda a irresistibili pruriti da quando il PCI è entrato nella cosiddetta area governativa. Queste forze spingono in tutti i modi ad accreditare e a ribattere incessantemente il concetto che con l'entrata del PCI nell'area di governo per le classi lavoratrici sono cominciati i dolori.
Queste forze non perdono occasione per accusare il PCI di fare il pompiere della situazione, di essere il garante della pace sociale, di frenare il sindacato, con il risultato di fare ricadere soltanto sulle spalle delle classi lavoratrici il peso della crisi.
Queste forze fanno un gioco pericoloso, contrario agli interessi dei lavoratori, fanno della demagogia. E mi spiego. Ricordiamoci dell'assassinio di Moro. Dopo il 20 giugno si era posto il problema di riconoscere al PCI un ruolo nella direzione politica del paese corrispondente alla sua forza elettorale e alla sua radicata presenza nella società italiana. « Aldo Moro — ha scritto giustamente il compagno Macaluso — aveva colto questo dato essenziale: per l'oggi e per la prospettiva storica dell'Italia. Egli sapeva che questo comportava un profondo mutamento di tutto l'impianto dato alla politica italiana dal 1948 in poi. Di qui l'allarme e la reazione di tante forze interne e internazionali. Moro lo sapeva, e lo temeva ».
Ricordiamoci che Moro fu rapito il giorno stesso in cui il nuovo governo di solidarietà democratica si presentava al Parlamento. Oggi si cerca di tornare indietro, perciò risulta più chiaramente lo sfondo su cui si colloca l'atroce assassinio di Moro. « Questo delitto — ha scritto ancora Macaluso — ha mostrato a tutti come forze potenti, nazionali e internazionali, siano decise a ricorrere a tutti i mezzi pur di spezzare un processo di avvicinamento e d'unità delle forze democratiche che — se
mantenuto — farebbe imboccare all'Italia una via inesplorata e nuova ».
La politica del PCI è chiara: le classi lavoratrici devono diventare classe dirigente, il sistema capitalistico deve essere superato ma nel quadro tracciato dalla Costituzione repubblicana e democratica. La demagogia delle forze anticomuniste è diretta contro questa politica; queste forze vogliono che le classi lavoratrici restino classi subalterne. Stiamo perciò attenti a non lasciarci sedurre dalle sirene della demagogia.
Modelli made in USA
Il ragazzo di Torino « giustiziato » da un coetaneo per questioni di droga e di sequestro, l'assurda uccisione di un giovane a Roma per una lite in autobus, le ragazze violentate e massacrate. Negli USA, il «cuore dell'impero » il fenomeno della violenza giovanile è stato ampiamente sviscerato in termini sociologici — là tutto si riversa nella sociologia perché non si abbia dubbi sul sistema capitalistico —: violenza, fuga mistica in religioni d'impronta orientale, droga (a cavallo fra violenza e rapimento estatico) sono ormai oggetto di analisi asfissianti, se ne sono riempite le biblioteche.
E qui, ora, alla « periferia » dell'impero, il fenomeno si ripete. Fenomeno sociale, certamente, ma le cui origini sono politiche. In una società dove il denaro è la misura di tutto, dove la competizione per raggiungere la ricchezza è esasperata fino al disumano e l'uomo è una rotella dell'ingranaggio, chi non ha la forza di resistere a questa devastante competitività, chi semplicemente non accetta questa logica, resta escluso, viene stritolato. Ho sempre visto nel simbolo del dollaro fisso nelle pupille di Paperone l'immagine più schietta dell'America. Sono d'accordo con chi parla di squallore della solitudine americana, in una società così apparentemente estroversa. Non ho mai apprezzato la società americana e i modelli USA trapiantati qui da noi, periferia dell'impero. Faccio per caso del leninismo, magari obsoleto?
Albano Bruni
Il presidente degli Stati Uniti Carter ha rinnovato la sua solidarietà e il suo appoggio allo scià di Persia. Dunque in Persia i diritti dell'uomo non sono violati. Accade che molti soldati si uccidono per non sparare sui manifestanti, accade che molti soldati che rifiutano di sparare sui manifestanti sono ammazzati dai loro superiori. Tutto qui? si sarà chiesto Carter. Tutto normale.
Le chiese
Sapete perché gli apostoli del laicismo si stracciano le vesti con ossessionante monotonia contro la « chiesa marxista »?
Perché sono gli adepti della chiesa di un dio nefasto: il dio denaro.
I filantropi
Alla « signora Filippa », operaia in cassa integrazione della Motta che si è sfogata con il giornalista Walter Tobagi — « signora Filippa » è testuale del Tobagi — vorremmo dare alcuni consigli. Non si fidi dei filantropi. Quelli fanno la carità per mantenere i propri privilegi. Quelli dividono i lavoratori per mantenere i propri privilegi. Quelli sono sempre dalla parte dei padroni e dei ricchi per mantenere i propri privilegi. Conosce padre Eligio, « signora Filippa »? Il frate che frequenta sempre i ricchi perché hanno più bisogno dei poveri — dice lui — dei conforti della fede? I Walter Tobagi e i padri Eligio sono la stessa cosa. E anche certi « comitati di lotta ». Ne fanno parte coloro i quali — ricorda « signora Filippa »? — negli anni ruggenti « pisciavano » sui panettoni.
Tesseramento
Si apre in questo mese la campagna per il tesseramento 1979. Approfittiamo di questa occasione per dare i risultati raggiunti nel corso di questo anno, che, malgrado mille difficoltà, sono comunque dati positivi: si è superato l'obiettivo (106%).
Per rimanere all'altezza della situazione e per far fronte ai mille problemi tutti i compagni si sentano impegnati al proselitismo e all'impegno politico, come dovere di ogni militante del Partito comunista italiano.

' Carter, lo Scià
I e i diritti I dell'uomo
Socialdemocrazia: mito e realtà
Il mito dei Paesi scandinavi non esiste più. La socialdemocrazia in bilico tra capitalismo avanzato e riformismo — dopo un lungo periodo eccezionalmente favorevole — che pure fu leggenda, non c'è più. Le contraddizioni della borghesia si stanno evidenziando in modo prepotente, anche se in modo diverso rispetto ad altri Paesi europei.
La crisi, la recessione economica, hanno minato profondamente la fiducia dei cittadini nello stato, nella sua capacità di mediazione e di assistenza. La crisi parte già nell'ormai lontano 1970, e da quel momento inizia la discesa rapida che in pochi anni porterà la Svezia a registrare nel 1977 il più alto tasso di inflazione che la pone appena dopo la Turchia, con una
Al festiva! di sezione
previsione di crescita zero per il 1978.
Forse a questo punto qualcuno comincerà a chiedersi come mai introduco questo argomento, perché fornisco alcuni dati ed elementi di valutazione su una situazione, quella svedese, così lontana e diversa dalla nostra. Bene, ecco spiegato il perché. Mi interessa capire come questo « uomo nuovo » reagisce in negativo e in positivo a questa situazione che da generazioni vede i partiti troppo lontani dal reale ed un sindacato definitivamente compromesso dal troppo potere. Mi interessa poi, perché mi sembra che la polemica aperta nei confronti del PCI, della sua tradizione, della sua linea (sul marxismo-leninismo) abbia come riferimento esperienze che mostrano la loro decadenza.
Alcuni dati: Affezioni da alcool
II sindaco ed il prete contro i boss mafiosi
f l sindaco di Gioiosa Jonica I l compagno Francesco Modafferi, Francesco Gatto (fratello di una vittima delle cosche mafiose) e don Natale Bianchi, •parroco di una delle cinque parrocchie di Gioiosa, sono stati ospiti del festival organizzato dalla sezione Togliatti e dalla nostra sezione. Sono stati invitati per compiere un « gemellaggio », ma soprattutto per far conoscere dal vivo « come sono andate le cose ». Tre personaggi diversi, ognuno con una propria storia, che •però si sono trovati d'accordo nel combattere la loro battaglia contro le ingiustizie e i soprusi in un paese del sud di settemila abitanti, contadini, artigiani, un paese povero, in cui le nuove leve della mafia trovano spazio e da qui iniziano i loro taglieggiamenti, la richiesta di « mazzette », il contrabbando di tabacco e di droga.
Il sindaco, Francesco Modafferi, comunista, è il primo sindaco che si è costituito parte civile contro la mafia. In un processo del gennaio scorso conclusosi con la condanna a vent'anni di carcere per sette mafiosi che da tempo spadroneggiavano a Gioiosa Jonica.
Di questo fatto il compagno Modafferi va fiero ed ha raccontato la sua storia numerose volte, per noi e per la gente del suo paese che è con noi.
Francesco Gatto, timido e taciturno racconta a voce bassa la sua storia: « Eravamo arrivati al punto che ogni mattina si apriva la finestra e ci si chiedeva: che cosa sarà successo stanotte? ». E
proprio da quella finestra il fratello Rocco riconosce i sette mafiosi che durante un giorno di mercato, con le pistole in pugno, riescono a mandare tutta la gente a casa. Li denuncia e dopo pochi mesi mentre con la moto sta eseguendo una commissione viene ucciso a colpi di lupara. Ma a questo punto si muovono sindaco, giunta e prete e poi con loro tutto il paese.
Da allora la mafia è scomparsa da Gioiosa Jonica.
Il prete, don Natale Bianchi, anche lui con la sua storia. Parroco di San Rocco, una delle cinque parrocchie di Gioiosa, cinque anni fa, sull'esempio di dom Franzoni forma nella sua chiesa una comunità ecclesiale e poi, per d: più, denuncia pubblicamente un prete di Locri come mafioso. Scoppia la bomba, interviene il vescovo ed alla fine anche don Bianchi subisce la « punizione »: sospensione « a divinis » e ingiunzione a lasciare la parrocchia. Non cede a dispetto dell'intimazione di andarsene. La popolazione e la comunità religiosa, dopo aver raccolto 250 firme, ricorrono in pretura e questa sospende il provvedimento.
Anche il presidente •della provincia, Vitali, e il sindaco di Milano li hanno voluti conoscere, ricevendoli a Palazzo Serbelloni e a Palazzo Marino.
Ora sono a Gioiosa Jonica per continuare le loro battaglie e noi auguriamo loro che la vita d'ora in avanti sia per essi meno difficile e dura.
1971 - 6,4 %, 1976 - 10,1 %; Consumo di farmaci 1971 - 400 milioni di unità, 1976 - 750 milioni di unità; Reati contro il patrimonio
1971 - 3,2 %, 1976 - 6,1 %; Suicidi
1971 - 1.700 casi, 1976 - 2.138 casi; Tentativi di suicidio 1971 - 16.000 casi, 1976 21.000 casi.
Seicentomila disoccupati, su 8 milioni di abitanti anche se giovani senza lavoro non se ne vedono e pur rimanendo il Paese a più alta percentuale di lavoratori stranieri dell'Europa, tradizionalmente ospitale e rispettoso delle minoranze.
A questo punto proviamo a chiederci che cosa avviene dopo il crollo, come si comportano i gruppi sociali, come si muove una classe operaia che non sa che cosa sia una manifestazione di piazza? Come reagisce « questo uomo » che non è attrezzato ad affrontare la crisi? Che sa quello che succede, ma non ne capisce il perché?
Una recente inchiesta condotta su un campione di 8.054 giovani fra i 15 e i 25 anni fornisce forse le prime risposte.
Le statistiche ci dicono che si consuma uno psico-farmaco a persona ogni 3 giorni e che in cinque anni il consumo è raddoppiato. Pure raddoppiati l'alcoolismo e i suicidi, così pure i divorzi: dunque un uomo sempre più solo, privo di ideali, che ha paura ad affrontare la realtà e che trova rifugio nella psico-chimica, nell'alcool, o in forme di sub-cultura derivanti dall'isolamento della coscienza morale e collettiva.
Il 65 % degli intervistati scarica tutte le colpe sugli immigrati; il 40 % chiede che venga ripristinata la pena di morte. Ma quello che più fa meditare è la paura della senilità (50-55 armi) e dei trasferimenti in massa nelle case di riposo per anziani, fatto questo che determina la disgregazione delle famiglie adulte e una espulsione forzata dai processi produttivi e dalla vita attiva.
Per contro sorgono i comitati per la medicina democratica, per la contro-informazione alimentare, per la liberazione della donna, per l'ecologia, per il risanamento dei quartieri popolari. Si formano gruppi anti-droga, quelli che chiedono la chiusura dei manicomi, quelli che scoprono la diossina nelle coltivazioni intorno a Teckomotorp.
E' 'insomma l'« altro uomo », l'altra Svezia, che nasce: a modo suo, come può, perché la divaricazione fra partiti e società è un fatto reale e istanze di democrazia agibile e credibile vanno reinventate. Ma •intanto c'è e dimostra grande istinto politico, perché cerca un suo potere al di fuori di tutto ciò che ha capito essere mediato per lui dalle istituzioni.
Anche qui il mito, lascia quindi 'il confronto al bene ed al male, alla rassegnazione o alla rivolta; ma fino a quando il sistema potrà tollerare, se dall'istinto e dalla fantasia si passerà all'organizzazione e all'ideologia?
Recentemente sul « Corriere della Sera » Piero Ostellino, ex corrispondente da Mosca, criticava l'« Unità » per il « taglio politico » con il quale riportava l'agghiacciante notizia dei tre operai morti a Genova nell'ennesimo omicidio bianco.
Che c'entra il capitalismo — scriveva Ostellino — che c'entra il suo superamento come ha detto Berlinguer? « Andate a vedere in URSS, dove il capitalismo è superato, in quali miserevoli condizioni lavora la gente, senza nessuna prevenzione antinfortunistica... ecc. ecc. »! Non mi pare che le cose stiano così. Mi risulta invece che in URSS i lavoratori sono tutelati dalla medicina preventiva che qui da noi è un pio desiderio, perché là l'uomo è il capitale più prezioso qui una pedina del capitale: fuori una dentro l'altra. Questo dovrebbe saperlo Ostellino, giornalista meticoloso e perciò lautamente remunerato.
Certo che vogliamo superare il capitalismo e sappiamo bene
Ennio Stefanoni quanto grandi siano le forze che vi si oppongono, quanti siano i privilegiati che non vogliono rinunciare ai privilegi e ai quali i vari Ostellino tengono bordone e gridano allo scandalo se i comunisti sul loro 'giornale denunciano gli omicidi bianchi per i quali l'Italia è al primo posto nell'industria delle costruzioni e al secondo posto dopo la Repubblica federale tedesca nell'industria manifatturiera (cfr. l'Annuaire des statistiques du travail - Bit, Ginevra 1977).
Se poi Ostellino volesse documentarsi più a fondo gli consigliamo di andarsi a leggere gli atti del convegno provinciale CGIL-CISL-UIL tenutosi a Milano nel giugno del 1971 e materiale d'altra fonte che non è certo scarso. Possiamo anticipare a Ostellino che mai in questi atti potrà trovare il nome di qualche « padrone del vapore » caduto da una impalcatura o investito da una colata di ghisa.

Impepareilgoverno Menzogne sulla a mantenere gli accorgi presi riforma delle pensioni
Lo sforzo che oggi, noi comunisti, chiediamo e per il quale siamo impegnati è la definizione della « Bozza Pandolfi », entro il mese di dicembre. Non è ormai più possibile il rinvio del programma economico che veda chiaramente definiti gli obiettivi per i quali è sorta la maggioranza di governo (programmazione democratica dell'economia, sviluppo del Mezzogiorno, ecc.) per far fronte alla emergenza.
Indubbiamente passi in avanti si sono fatti e si sono ottenuti anche risultati (diminuzione del tasso di inflazione, recupero totale del deficit petrolifero, ricostituzione delle riserve valutarie della Banca Centrale) mantenendo e in molti casi consolidando 'rispetto all'inflazione il potere reale d'acquisto dei salari, ma l'emergenza non è finita, come alcune forze (Fanfani e padroni in testa) vorrebbero far credere e lo dimostrano l'aumento della disoccupazione, i 32.548 miliardi di debito pubblico, la giungla retributiva, la drammatica crisi del Mezzogiorno e la stagnazione degli investimenti.
Oggi più che mai è quindi necessario consolidare i risultati ottenuti con una politica di austerità e di rigore che non significa povertà, ma giustizia: battaglia agli evasori, lotta agli sprechi e quindi utilizzo delle risorse con una diversa organizzazione del lavoro, sviluppo del Mezzogiorno con la programmazione economica. Austerità deve significare un diverso modo di vivere con valori diversi da quelli imposti dal sistema capitalistico, non più benessere di pochi ma per grandi masse di lavoratori.
Ma non è possibile avviare un discorso in questo senso ricominciando a puntare il dito inquisitore ancora una volta sulla classe operaia e sui lavoratori occupati; il governo si deve impegnare a fondo così come tutti i partiti. Il governo oggi non può più permettersi voltafaccia come in passato, deve mantene-
Pilastri incrollabili
Ha ragione Ronchey quando scrive che il sistema capitalistico non è in crisi. Prendiamo la Italia: come fa ad essere in crisi il capitalismo nostrano se tutti i ricchi evadono (legalmente) le tasse, a cominciare dall'avvocato Agnelli? Questi pilastri del capitale sono incrollabili e immarcescibili.
re gli impegni che si assume. Come non è possibile che la Democrazia cristiana cerchi con convergenze a destra di stravolgere la legge sui patti agrari, concordata da tutte le forze politiche, e già avviata in Parlamento, per gli interessi dei proprietari parassiti e delle clientele. I patti agrari erano e rimangono per i comunisti un punto fermo da risolvere a favore delle masse mezzadrili e dei contadini.
Oggi che per noi lavoratori dell'industria è iniziata la stagione dei contratti, non possiamo dimenticare che la vittoria per la classe operaia non consiste solo nel portare a termine un contratto di lavoro. Ma è necessario saldare la nostra lotta con tutti gli altri lavoratori, dal pubblico impiego che ha problemi irrisolti da decenni ai contadini ecc. per superare le storture dei trentennali governi democristiani e per cambiare le strutture di un sistema che oggi è in crisi profonda e che vede nel ritorno a sbocchi autoritari l'unica possibilità di sopravvivenza.
L attuale sistema pensionistico è una giungla di contraddizioni. Basti pensare che un lavoratore dell'industria può andare in pensione se ha lavorato 35 anni, mentre un dipendente dello Stato può farlo dopo 19 anni, 6 mesi e un giorno. Un lavoratore dell'industria o del commercio che abbia uno stipendio di venti milioni annui si vede calcolare la pensione su uno stipendio di 12 milioni e mezzo; un dirigente industriale su uno stipendio di diciassette milioni e mezzo, un giornalista su tutti i 20 milioni. Ma il giornalista, anche se guadagnasse 30 milioni si vedrebbe calcolare la pensione sempré sui 20 milioni, mentre per un dirigente di banca o per un pilota il calcolo è su tutti i 30 milioni. E infine un pensionato INPS che continui a lavorare, vede ridotta la sua pensione a 100 mila lire. E non si tratta di decreti che restano sulla carta: l'INPS ha incassato 150 miliardi di trattenute fatte sulle pensioni di chi ha continuato a lavorare, mentre gli iscritti ad altri istituti possono
contii.uai e a lavorare e percepire intera la propria somma.
Questo è il quadro generale dell'attuale sistema pensionistico italiano. Gli accordi raggiunti mirano a superare tutto ciò. Innanzitutto stabilire che i nuovi assunti, in qualsiasi settore lavorativo, vengano iscritti all'INPS. In secondo luogo unificare i tre istituti nei quali si manifestano le più stridenti differenziazioni: l'età di prepensionamento allineandola sui 35 anni oggi richiesti dall'INPS, (salvo casi specifici come peri minatori e i piloti); il cumulo pensioni-salario, migliorando la situazione attuale per i pensionati INPS, riportando tutti a questa nuova disciplina; il « tetto » (17 milioni 424 mila lire) massimo delle pensioni, anche qui migliorando la situazione attuale dell'INPS, ma facendo di questa disciplina una disciplina generale.
I. C.
Lettera ai compagni

C ari compagni e compagne, non ho l'intenzione di recitarvi un sermone perché ho la certezza che siamo consci che il compito che ci attende è quello di rinsaldare l'unità fra tutti i lavoratori per poter affrontare meglio i vecchi e i nuovi problemi, nella fabbrica in cui Lavoriamo e nel paese.
Spetta a noi dare l'esempio della lotta e ricercare continuamente l'unità con tutti i lavoratori. L'iniziativa politica, anche se difficile da condurre, deve essere nostra premura costante. Dobbiamo sempre di più essere consapevoli della funzione storica e trasformatrice del PCI, una funzione « creatrice di libertà ».
Ma non bastano le enunciazioni di principio, cari compagni: dobbiamo darci carico tutti, in prima persona, di questi compiti: Rafforzamento del partito con una costante opera di proselitismo, non solo durante la campagna di tesseramento, ma sempre, attraverso l'impegno di tutti, affinché il tesseramento non sia un compito di routine affidato ai compagni del direttivo e a qualche attivista di buona volontà, ma un momento di consenso politico per le scelte del nostro partito.
Il mese di novembre e i mesi successivi devono essere decisivi per un grande rilancio della nostra politica, della sua proposta di trasformazione del paese e di solidarietà democratica, avendo tutti la consapevolezza che la partita che si sta svolgendo è decisiva per il futuro delle classi lavoratrici.
Ecco cari compagni e compagne quello che volevo dirvi: forse l'ho detto male ma sono certo che avete capito le mie preoccupazioni di vecchio militante comunista.
L'esperienza accumulata in tanti anni di militanza mi ha insegnato che non bisogna mai cedere alle illusioni, nè al pessimismo nè all'ottimismo, sta a tutti noi, alla nostra serietà, alla nostra capacità di fare politica, rendere meno ardua la trasformazione in senso socialista della società. Per questo ho sempre lottato: perché le speranze degli uomini diventino certezza in un mondo libero e di eguali.
Renzo VaccariNaturalmente gli accordi raggiunti non sono legge e il cammino sarà ancora difficile. Le resistenze sono grandi. C'è chi cercherà di strumentalizzarle al fine di far fallire l'operazione complessiva. E il nemico è quello di sempre. Sono le forze che vogliono un'Italia nella quale i lavoratori siano frammentati e divisi, chiusi in settorialismi e corporativismi, perché su questa divisione hanno eretto il loro potere. Sono coloro che vogliono che nulla si rinnovi, perché la sfiducia nella democrazia, l'idea che essa è incapace di risolvere i problemi del Paese, è il più potente strumento di destabilizzazione delle istituzioni democratiche. Sono coloro i quali vogliono costringere all'impotenza l'attuale maggioranza parlamentare, rivendicando illusorie libertà di iniziative di mercato per respingere i tentativi di programmazione, al fine di mantenere tutto come prima. E si tratta di forze potenti.
Una vera campagna terroristica è stata sviluppata tra i lavoratori. Abbiamo avuto gruppi di lavoratori che sono venuti a chiedere se era vero che i minimi non sarebbero aumentati, quando nessun cambiamento è previsto per quest'anno al sistema di aumento dei minimi. Si è diffusa in molte fabbriche la voce che si voleva abolire la possibilità di andare in pensione prima di sessant'anni qualora si fossero pagati i 35 anni di contributi, quando da nessuno una simile proposta è stata avanzata. Tutto ciò preannuncia una battaglia non facile, che si svilupperà certo nel Parlamento, ma che si deciderà nel Paese con la lotta dei lavoratori.
La struttura della sezione
La nostra sezione è strutturata su cinque cellule a cui i compagni dei vari reparti possono fare più diretto riferimento per qualsiasi eventualità •
CELLULA 1
Spedizione - Carico furgoni - Rotative
CELLULA 2
Impiegati Statuto - Solferino 36
CELLULA 3
Fotocomposizione - Correttori - Giornalisti

Fotoincisione
CELLULA 4
Autisti - Resa Manutenzione - Magazzini
CELLULA 5
Fattorini - Telescriventi - Telefoto - CentralinoImpiegati Solferino 28 - Servizi vari
Una grande forza popolare e democratica all'avanguardia della lotta per il rinnovamento del paese ISCRIVITI AL PCI