Il Torchio
A cura della sezione "EMILIO SERENI" (CORSERA) del P.C.I. - Via S. Marco 21 - Milano - Anno VII - N. 3 Ottobre 1977
anticomunismo
• Esempio numero uno. Nel quadro della riforma della RAI-TV sono stati eletti negli organismi dirigenti dell'azienda rappresentanti del PCI. Apriti cielo. I tentativi di strumentalizzazione e i sussulti corporativistici hanno di gran lunga sormontato alcune legittime preoccupazioni, dalle quali i comunisti hanno giustamente tratto motivo di riflessione, anche autocritica.
Esempio numero due. Il "nuovo corso" del "Corriere della Sera" — un giornale non più portavoce degli interessi dei potenti, lo definì la direzione politica negli anni delle tumultuose vicende dei cambiamenti di proprietà — si è inceppato. La filosofia del giornale "indipendente", la notizia separata dal commento, se mai è stata rigidamente applicata, mostra la corda; Filosofia davvero ardua. Si prenda a ipotesi una partita di calcio, JuventusInter. Il cronista di Milano scriverà che la Juventus ha vinto meritatamente però l'arbitro ha negato due rigori all'Inter; il cronista di Torino scriverà che la Juventus ha vinto bene e che l'arbitro non ha commesso errori. Dove sta dunque il confine preciso fra notizia e commento?
Il primo esempio significa che il pluralismo, con i comunisti discriminati è pluralismo, il pluralismo con i comunisti partecipi è lottizzazione. Adesso addirittura per la D.C. le amministrazioni elette dai consigli comunali di sinistra lottizzano i comuni.
Il secondo esempio che ci riguarda da vicino — per il "Corriere della Sera" dobbiamo sempre avere un occhio di riguardo — merita una riflessione attenta, perchè sulla libertà di stampa non hanno da sussistere equivoci.
I giornali fanno opinione,. il "Corriere della Sera" ha un ruolo preminente. Restiamo alla filosofia del giornale "indipendente". -Una notizia pubblicata o omessa, impaginata con evidenza o annegata fra le altre, un titolo a sei piuttosto che a due colonne oppure un titolo che contraddice il contenuto dell'articolo, sono già commento. Soprattutto in un giornale che si definisce indipendente. Ma esiste poi un giortale indipendente in assoluto, politicamente asettico?
Il lettore avverte che sul "Corriere della Sera" le omissioni, le forzature in chiave anticomunista hanno riacquistato vigore, dopo che il "nuovo corso" ci aveva dato un "Corriere della Sera" un po' meno indipendente e un po' più obiettivo.
Per carità, col nostro modesto foglio di sezione non vogliamo conculcare la libertà di stampa né la professionalità dei giornalisti. Però essendosi il PCI, come si dice, "avvicinato all'area del potere", pare che la considerazione del "Corriere della Sera" nei confronti del PCI partito di opposizione e di lotta, ceda il passo allo sperimentato anticomunismo viscerale nei confronti del PCI partito di gover-
CRISI DELLA STAMPA, CONCENTRATORI E FINANZIATORI
no. Sinteticamente: i comunisti brava gente però, a cuccia. Paure di novizi? (cfr. il fondo del "Corriere della Sera" del 18 settembre). Può darsi. Però si concretizzano voci sui mutamenti dell'assetto proprietario del gruppo editoriale "'Rizzoli-Corriere della Sera".
Insomma sui giornali, alla radio, alla televisione combatteteci, incalzateci, non dateci tregua però democraticamente, lealmente. E invece si assiste a un rigurgito di anticomunismo che a volte assume le forme e i toni rozzi degli anni Cinquanta, e a volte ricorre all'insinuazione calunniosa, al discredito, al sospetto montato ad arte, alla svalutazione della nostra politica. Nel settore dell'informazione addirittura si pretende che Telemontecarlo oggi, Telemalta domani siano TV estere. Questo è barare. Veramente non bastano in Italia gli organi d'informazione per fare dell'anticomunismo, tanto da dover ricorrere alle TV pseudo-estere?
Abbiamo fatto solo alcuni esempi che mettono in luce resistenze e reazioni, manovre e convulsioni di tutto un mondo che muore, ma che vuole a ogni costo sussistere e non disarma.
A. Bruni
vecchi o nuovi, sempre padroni
Dove va il "Corriere"? A questa domanda ha tentato di dare una risposta la nostra sezione con un volantino. Ora torniamo sull'argomento integrando quanto abbiamo già scritto con le novità intervenute nel frattempo, (innestando le vicende dell'assetto proprietario del gruppo "Rizzoli-Corriere della sera" nel quadro di crisi dell'informazione quotidiana.
La proposta di legge n. 1616 sull'editoria, elaborata e presentata al parlamento dai partiti dell'arco costituzionale, può rappresentare l'avvio di una riforma di estrema importanza per la democrazia italiana. Questa proposta si dà carico della libertà di stampa e propugna che l'intervento pubblico debba creare le condizioni per realizzare e ampliare il pluralismo dell'informazione.
Occorre però .che sia approvata presto perchè intanto la crisi del settore va avanti di pari passo con il processo di concentrazione delle testate e di degrado dell'informazione.
l'occhiello
La crisi economica, la disgregazione crescente del tessuto sociale soprattutto nelle grandi città, la disoccupazione e la conseguente disperazione di tanti giovani, il fallimento della vecchia classe dirigente, la caduta di valori sino a ieri considerati eterni, creano da un latoun profondo disorientamento tra larghi strati di popolazione e, dall'altro, concorrono a diffondere la consapevolezza che qualcosa è oramai finito per sempre. Noi crediamo che da questa situazione si esca soltanto introducendo nella nostra società elementi di socialismo.
Non di desideri nostri si tratta, non di nostre voglie, poiché la voglia di socialismo noi l'abbiamo sempre avuta.
Crediamo che sia la nostra società civile che, per sopravvivere, ha bisogno di socialismo. Un grande bisogno di socialismo.
Corponove
I concentratori mettono tra le cause della crisi della stampa quotidiana il fatto che in Italia si legge poco i giornali. Che il numero delle copie vendute sia suppergiù quello dell'anteguerra è una realtà: lerò che cosa si fa perchè la gente egga di più? Si pensa forse che le concentrazioni siano la ricetta più adatta per dilatare l'area di lettura dei giornali? Parrebbe di sì. Superfluo dire che non siamo d'accordo. E poi i concentratori sono veramente interessati a una maggiore diffusione dei giornali? O la scarsa diffusione è un falso alibi che copre una ben precisa volontà di lasciare le cose come stanno?
Ma in definitiva perchè si legge poco i giornali? Perchè sono noiosi! Perchè scrivono difficile! Chi risponde così ha ragione o ha torto? Certo la lettura del giornale richiede partecipazione, sintonia fra chi espone le sue idee e i destinatari di esse, i lettori. Se questa sintonia manca il giornale può risultare noioso, difficile. Colpa di chi espone le idee o di chi le riceve? Se il lettore è pigro, non vuole fare nessuna fatica mentale, rifiuta il concetto che l'informazione giornalistica è soprattutto un fatto di socializzazione culturale, allora la colpa è del lettore. Ma questi lettori sono sempre meno numerosi, mentre i giornali se sono "noiosi", se sono "difficili" è perchè si vuole che siano così.
Il pubblico dei lettori è potenzialmente altissimo. Lo deduciamo,
ad esempio dalle centinaia di dibattiti svoltisi nei festival dell'"Unità", dibattiti affollatissimi ovunque. La gente chiede partecipazione, anche nella lettura dei giornali vuole essere soggetto partecipe, non oggetto statico. Mentre i giornali, ripetiamo, non fanno alcuno sforzo per mettersi in sintonia con i "renitenti", per coinvolgere il maggior numero di lettori possibile. Non lo fanno perchè i giornali in Italia sono sempre stati strumenti di potere delle classi dominanti, volti unicamente a ottenere il consenso delle élites, lo "stato maggiore dei lettori", per usare la frase di Fortebraccio, mentre la massa degli italiani, i detentori del potere l'hanno considerata una massa amorfa, una cera molle, manipolabile a piacere.
Quanto andiamo dicendo trova conferma nella storia più recente del "Corriere della Sera". Pareva che il quotidiano della ricca borghesia si fosse dato una linea più aperta rispetto a quella rigidamente conservatrice non certo al servizio della democrazia (vedi al proposito anche l'articolo "Rigurgiti di anticomunismo"). Questa linea è durata lo spazio di una breve stagione. Eppure questa linea più aperta, se aveva scandalizzato i conservatori (ma non lo dice anche il Vangelo che occorre che gli scandali accadano?), aveva altresì fatto accostare al "Corriere" un buon numero di lettori progressisti, di giovani, a tutto vantaggio della diffusione del giornale in strati più larghi della popolazione. Quindi l'involuzione ultima del "Corriere", indica, e insistiamo su questo punto, che i giornali pseudoindipendenti, che determinano la politica nel nostro paese, non hanno alcun interesse a aumentare il numero dei lettori. Non sono e non vogliono essere portatori di cultura popolare. Perciò la grave crisi della stampa quotidiana ha origini ben più insidiose di quelle di comodo che vogliono far credere i concentratori.
Il concentratore massimo, Rizzoli, ("Il Piccolo" di Trieste è l'ultimo giornale fagogitato) ha in cantiere un "quotidiano popolare"; ancora non è chiaro se sia destinato a sostituire o a integrare il "Corriere d'informazione" che nella sua fattura attuale già anticipa benissimo che cosa si intenda per "quotidiano popolare". Un giornale che non abbia alcun riferimento nella crescita democratica del nostro paese, ma che arresti invece questa crescita. Dunque un giornale qualunqui-
sta che conculchi le libertà democratiche dopo aver ottenuto il consenso delle masse popolari promuovendo false campagne moralistiche, invocando il falso ordine civile, predicando la falsa uguaglianza, la falsa fratellanza. Esempi: le "campagne della felicità", la mozione degli effetti attorno ai casi patetici dei bisogni della società, la migliore delle società, quella dei benefattori e dei beneficati!
Per ottenere lo scopo occorre che non ci siano giornali "stonati": i giornali devono essere omogenei, meglio se facenti parte di un unico gruppo. Come la catena Springer nella Germania federale, a esempio. "Springer usa il suo potere — citiamo dal libro Springer: la manipolazione delle masse ed. Einaudi — per creare i sudditi ideali del nuovo regime autoritario... Con strumenti infinitamente più moderni e efficienti, egli sí colloca accanto alle altre istituzioni autoritarie tradizionali del paese (la famiglia, la scuola, l'università, i partiti burocratizzati ecc) condizionando in particolare gli strati inferiori della popolazione soprattutto le masse operaie delle aree industriali... Il suo ruolo è quello di massimo battistrada del nuovo autoritarismo, egli sta infatti svolgendo l'opera che costituisce la premessa essenziale di una sua adozione sistematica: sta generando uno strato sempre più largo di persone per le quali l'impegno politico individuale, l'assunzione di una responsabilità personale è cancellato anche dall'ambito delle potenzialità".
Il "quotidiano popolare" di Springer "Bild-Zeitung ' tira circa 5 milioni di copie. Ecco il giudizio di un sindacalista tedesco: "Un uomo ha macinato la moglie nel tritacarne. "Bild" ha parlato con le f olpette". Così sfottete "Bild" in abbrica e in ufficio. Ma lo leggete. "È un giornale che bisogna tenere inclinato per far scolare il sangue". Dite questo di "Bild". E lo leggete. Un fogliaccio diffamatore, una porcheria, dite. E però leggete "Bild". Perchè? Perchè "Bild" è come uno stupefacente. Stordisce. Fa dimenticare la monotonia della vita quotidiana. Alzarsi Presto la mattina. I tram e gli autobus strapieni. Gli ingorghi sulle autostrade. Le arrabbiature quotidiane in . fabbrica e in ufficio. Insomma, mite le difficoltà e i conflitti. "Bild" cancella le tensioni reali e ve ne fornisce di artificiali. Con crimini, SEGUE A PAG. 2
DALLA
PRIMA PAGINA
vecchi o nuovi, sempre padroni
amori e scandali, ogni giorno "Bild" fabbrica una nuova pillola per voi. Voi la inghiottite e siete felici...".
La situazione per quanto riguarda il "Corriere della Sera" per fortuna non è questa, o meglio non è ancora questa. Noi siamo infatti convinti che vi sono potenti forze che stanno agendo per fare del "Corriere della Sera" un quotidiano coerentemente e costantemente orientato su posizioni contrarie al movimento sindacale, al movimento operaio in generale ed alle sue organizzazioni.
Forze che vogliono che il "Corriere" torni ad essere rigidamente un giornale di parte, dopo la parentesi, troppo breve purtroppo, durante la quale questo quotidiano è stato, giornalisticamente parlando, un organo di stampa tra i più vivi ed interessanti del mondo.
Non un giornale di sinistra, per carità, e neppure un giornale filocomunista, come qualcuno in malafede andava dicendo, ma un quotidiano aperto a tutti i contributi democratici, sensibile al nuovo che andava emergendo nel Paese, dalla lettura del quale, insomma, poteva sul serio derivarne un arricchimento intellettuale oltre a una informazione esauriente. Ora si cerca di far cambiare tutto questo. Diciamo subito che non sarà cosa facile. Innanzitutto perchè sono ancora presenti, nella redazione del Corriere tutti, o quasi, quei giornalisti che così tanto avevano contribuito a portare aria nuova in via Solferino, giornalisti che non potranno accettare, a meno di non diventare degli scrivani per conto terzi, rapidi arretramenti del livello professionale raggiunto, anche se sappiamo bene quanto pesanti possano essere i condizionamenti, le situazioni ricattatorie, le velate minacce ai quali potranno andare soggetti. E sappiamo anche in certe situazioni come sia difficile mantenere fede coerentemente al proprio impegno. Anche per questi motivi è assolutamente indispensabile che l'unità tra poligrafici e giornalisti, della quale si notano segnali di rapida ripresa, diventi una pratica costante, istituzionalizzata potremmo dire. In questa direzione, strada da percorrere ce n'è ancora moltissima. Crediamo però che se si abbandonano vecchie, e superate, polemiche e diffidenze di categoria per marcare di volta in volta ciò che unisce anzichè ciò che divide, si sia già a buon punto, e sufficientemente pronti a fronteggiare le difficoltà, che non è da pessimisti definire gravi, che ci aspettano.
Noi comunisti del "Corriere della Sera" siamo disposti ad usare lo stesso metodo di confronto democratico anche con le altre forze politiche presenti in Azienda che ti pare, e vorremmo essere corretti su questo punto, assecondino se non altro col silenzio, la linea restauratrice del giornale. Crediamo che in momenti come questi, nei quali sono in gioco valori come un giusto modo di informare nell'ambito di una società che, pur tra stridenti contraddizioni, sembra avviarsi verso nuovi e democratici terreni, non ci si possa rinchiudere nell'ambito ristretto degli egoismi di parte, nei miopi tatticismi.
A. Frigerio A. Bruni
Un esame difficile
I motivi che spinsero i lavoratori del "Corriere" ad accettare di produrre "La Gazzetta Dello Sport" in via Solferino, sono a tutti noti. Sono infatti questi motivi strettamente legati ai principi che spinsero gli stessi lavoratori ad accettare che in azienda alcune strutture produttive venissero rinnovate.
Furono ragioni di ordine sindacale, che dimostrarono quanto fosse infondata l'accusa più volte mossa ai poligrafici, di essere una categoria prettamente conservatrice e legata ad interessi di natura esclusivamente corporativa e peraltro affatto disposta a sacrificare la benché minima cosa in nome di obiettivi più generali di natura intercategoriale e non sempre remunerativi sul piano economico.
Accettato il principio del rinnovamento tecnologico e la conseguente produzione della "Gazzetta" che, oltre ad incrementare l'occupazione, recuperava quegli assorbimenti di tempi che le nuove macchine avevano in parte determinato, un nuovo difficile problema si andava nel contempo evidenziando.
Infatti se negli altri reparti od uffici "La Gazzetta" aveva creato disagi e modificato rispetto al passato i tempi di produzione, rendendoli certamente meno facili, in un relarto in particolare le condizioni di avoro erano alquanto cambiate e non in senso positivo: le Rotative.
Ai problemi dei mutati ritmi, certamente più intensi, si aggiungeva una situazione ambientale critica.
Se la maggiorata produzione e gli stessi ritmi potevano essere alleggeriti con l'utilizzo di due squadre "Jolly", la cui funzione è appunto quella di sostituire quelle 'equipe ' di lavoratori che a turno lasciano la produzione per una pausa cosidetta di "insonorizzazione", (la cui funzione è appunto quella di permettere al rotativista di recuperare sul pianopsicologico quell'equilibrio che l'alta percentuale di rumore che le macchine in movimento provocano, ha intaccato) restano problemi di natura ambientale che bisogna certamente risolvere.
Infatti la maggiore produttività delle macchine, determina nel reparto una aumentata polverizzazione di carta ed una più alta viscosità (prodotta dalla liquefazione del1 inchiostro per I elevato calore raggiunto dalle rotative) e se gli aspiratori recentemente installati, espellendo i pulviscoli all'esterno (in passato l'espulsione avveniva all'interno del reparto), hanno di gran lunga migliorato le condizioni di responsabilità, è indispensabile adattare questi aspiratori a tutte le sezioni che ne sono prive.
Inoltre lo stesso impianto di aria condizionata esistente non è molto funzionale. Permangono nel reparto squilibri di temperatura che è necessario eliminare, perchè sia meglio garantita la salute di chi lavora. Va rilevato che la stessa pavimentazione in ferro oggi esistente produce forti vibrazioni, stressanti certamente sul piano fisico e psicologico.
Per eliminare questo inconveniente il Consiglio Di Fabbrica ha sollecitato l'Azienda affinché al metallo si sostituisca uno spessore di gomma. Ma non è per ora possibile apportare questa miglioria. Deve prima estinguersi il reparto stereotipia. Infatti oggi i carrelli appesantiti dalle lastre di piombo non potrebbero transitare su di un pavimento di gomma.
Ma ciò non è certo sufficiente per garantire condizioni di lavoro ottimali. È necessario fare molto di più.
È recente la richiesta fatta dal Consiglio di Fabbrica a Rizzoli, affinchè sia installata una nuova ro-
tativa in un'area diversa dell'Azienda nella zona di S. Marco (il reparto resa?). Rizzoli ha chiesto alcuni giorni per le verifiche del caso, prima di dare una risposta. Certo a questo punto molti problemi potrebbero dirsi risolti.
L'eliminazione di una macchina consentirebbe ai rotativisti di lavorare in condizioni ambientali certamente assai migliorate: meno rumore, meno pulviscolo e maggiore agibilità di movimento.
Inoltre le stesse operazioni di rinnovamento delle macchiate, in particolare la trasformazione dalla produzione originale a quella in DI-LITHO, ne risulterebbero avvantaggiate sicuramente.
È stato comunque ritenuto inaccettabile dal nostro C.d.F., il progetto avanzato dalla Direzione Tecnica, e cioè quello di rimuovere una macchina direttamente dal reparto e subito.
Ciò richiederebbe la creazione di un cantiere nel reparto stesso, con il conseguente aggravamento delle già precarie condizioni di lavoro.
Cosa dice il reparto?
Se in un passato ancora recente, non sono mancati i contrasti, talvolta assai accesi, tra rotativisti e C.d.F., ciò è comunque sempre avvenuto in modo civile e per legittimi problemi, nelle sedi opportune.
Va detto comunque che ha sinora sempre prevalso buon senso ed intelligenza. I rotativisti hanno compreso, che alle loro scelte sono legati iproblemi degli altri lavoratori dell'Azienda e che la fase che stiamo vivendo come organizzazione è troppo importante e decisiva, perchè sia l'irrazionale emotività, o il rivendicazionismo economicista a prevalere. Nondimeno, la lotta che deve vedere impegnato il nostro C.d.F., nei prossimi mesi, è quella del necessario miglioramento delle condizioni ambientali di questo reparto affinché l'intelligenza e la maturità politica che questi lavoratori hanno dimostrato di possedere, non vada sprecata.
P. Gualtieri
Venerdì 9/9:la scena è ormai quella che da tempo si ripete durante una giornata di sciopero. Decine di migliaia di lavoratori dell'industria sfilano per le vie di Milano con quella compostezza e maturità che caratterizza da sempre manifestazioni di questo genere, mossi dal desiderio di dimostrare la propria costante mobilitazione sui maggiori problemi che affliggono il nostro Paese. Il ritrovo è fissato in Piazza del Duomo dove, sul palco predisposto, si avvicendano i vari oratori convenuti per l'occasione.
Tra gli altri prende la parola un rappresentante della CISL un compagno cileno, un disoccupato di Napoli e fin quì tutto resta tranquillo. Per ultimo inizia il suo discorso (o meglio tenta di iniziarlo), Luciano Lama e a questo punto si scatena la reazione di gruppi di autonomi e di extra parlamentari che tentano più volte di interrompere il comizio, gridano slogans ormai consunti, che denotano anche una scarsa immaginazione, lanciano oggetti di vario genere sulla folla e cercano a tutti i costi di provocare la reazione degli operai per poi potersene servire il giorno successivo sulle pagine dei loro giornali (e non soltanto dei loro, purtroppo) a dimostrazione di una presunta repressione. Di fronte a scene di questo tipo che ormai regolarmente siamo costretti a vedere, viene spontaneo porsi alcune domande.
Cosa si vuole dimostrare con questi atti di intolleranza? Si vuole attaccare il Sindacato, che secondo il parere di alcuni dimostrerebbe dei segni di cedimento di fronte al padrone? No di certo, dato che il rappresentante della CISL ha potuto tranquillamente fare il suo discorso senza subire interruzioni di rilievo e la CISL, fino a prova contraria, è una corrente sindacale.
La risposta quindi è ovvia, il nemico da attaccare è il compagno Lama, non tanto come rappresentante sindacale della CGIL, ma piuttosto come iscritto al PCI.
Ecologia al Festival dell'Unità"
Il giorno 13 19 abbiamo avuto modo di leggere sul "Corriere", nella rubrica "La città domanda" una lettera di un nostro concittadino che ci ha lasciato piuttosto perplessi. Il suddetto lamentava il fatto che la Giunta comunale aveva concesso il Parco dell'Arena agli organizzatori del Festiva! provinciale dell'Unità, in quanto ciò avrebbe causato dei seri danni ecologici che ne avrebbero deturpato la natura di "lume pubblico".
Questo signore innanzi tutto dimostra di non aver mai messo piede al nostro Festival, altrimenti avrebbe potuto constatare che, nonostante le migliaia di visitatori che ogni giorno affollavano la nostra manifestazione, il Parco (a lui tanto caro) non è mai stato così ben tenuto.
I nostri compagni oltre a provvedere all'allestimento dei vari stands, hanno provveduto a mantenere una costante pulizia, e, quando il Festiva! è terminato e tutto è stato rimosso, solo qualche occhio particolarmente acuto, ha potuto trovare per terra ancora qualche piccolo residuo.
Il fatto che ci ha lasciato maggiormente perplessi non è tanto quello che si trovino le scusepiù banali per criticare una manifestazione indetta dal PCI (cosa del resto abbastanza normale), quanto quello che, il nostro preoccupato cittadino non abbia ritenuto più opportuno lamentarsi per ciò che ha comportato il GRAN PREMIO di MONZA, sempre in riferimento ai danni ecologici che una manifestazione di queltipo provoca.
Sorvoliamo addirittura sul discorso del fumo e della relativa "puzza" che scaturisce dai tubi di scappamento di quei bolidi lanciati a velocità pazzesche (tanto ormai fumi, nubi tossiche, gas ed altro, sono il nostro pane quotidiano), sorvoliamo anche sugli esorbitanti prezzi d'ingresso che tanti nostri concittadini hanno sborsato senza batter ciglio, per assistere ad uno spettacolo di un paio d'ore. Ma non ci pare giusto sorvolare, per essere in tema, sul costo che si è dovuto accollare il comune di Monza (e si tratta di una cifra pari ai 20 milioni di lire) per rimuovere la montagna di rifiuti di ogni genere che l'educazione ecologica ha lasciato unpo' dappertutto.
Con questo chiarimento che abbiamo ritenuto opportuno fare, intendiamo precisare che, se il suddetto postulante voleva a tutti i costi trovare da ridire sull'operato della giunta comunale doveva trovare qualche altro motivo (se ne era capace) perchè è dimostrato ampiamente che quello di carattere "ecologico" non regge minimamente.
N. Rivoltella
Ecco che allora tutto si chiarisce; ci troviamo nuovamente di fronte ad un rigurgito di anticomunismo assurdo, sterile, utopistico, proprio da parte di coloro i quali, vergognosamente, affermano di essere "di sinistra".
Questi "untorelli", come li ha definiti il compagno Berlinguer nel suo discorso conclusivo al festival nazionale dell'Unità di Modena, sono furiosi davanti alla reazione spontanea, e troppe volte trattenuta, dei lavoratori che si sono improvvisati essi stessi membri del servizio d'ordine e hanno fermamente e duramente respinto gli attacchi di questa nuova generazione di fascisti a cui piace però mascherarsi sotto la parola "AUTONOMIA".
La gente ormai è stanca, e a ragione, di questa massa di irresponsabili che coli. il loro modo di agire intendono dimostrare non si sà bene cosa. Forse un'alternativa all'attuale modo di governare il Paese?
E come? Con l'autoriduzione, con l'occupazione delle case, con gli attentati a cose e persone, con il rompere e danneggiare ciò che si trova lungo i percorsi dei loro cortei? La gente è stanca di subire e ne abbiamo avuto la prova in quell'occasione.
Il fatto più triste però non è stato tanto lo scontro cui si è giunti anche perchè, opportunamente circoscritto, si è potuto evitare che finisse in modo peggiore (per loro), quanto i resoconti che ne hanno fatto l'indomani alcuni organi di stampa, tra i quali dobbiamo purtroppo citare anche il "Corriere". C'è stato da parte di giornalisti, che definire antidemocratici e in mala fede è forse ancora troppo poco, il chiaro proposito di attribuire la colpa di tutto quanto agli operai perchè avevano trasformato le aste delle loro bandiere in mezzi di difesa per rispondere all'aggressione, senza recriminare sul fatto che i giovani estremisti si sono presentati all'appuntamento (come del resto è loro abitudine), provvisti di tascapani che non contenevano certo libri o panini, ma "articoli" di ben altra natura.
Da chi sono mandati? Chi trae vantaggio dallo stato di tensione che questi fatti provocano? Qual'è il vero scopo di questi atti ? Abbiamo il diritto che a queste domande venga data una risposta precisa e che i responsabili vengano finalmente isolati.
A. Rigoli
Sono molti i motivi per i quali è importante che il TORCHIO esca con una certa regolarità.
È importante soprattutto oggi per le manovre, i pericoli e le insidie che sovrastano tutto il settore dell'editoria. Ecco perchè chiediamo a tutti, operai, impiegati, giornalisti, di collaborare a IL TORCHIO.
Ci servono consigli, articoli, suggerimenti e soldi.
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pag. 2 Ottobre 1977
Il Torchio "AUTONOMAMENTE" PROVOCATORI
LEGGETE E DIFFONDETE Il Torchio
IL REPARTO ROTATIVE
SCIENZA, TECNOLOGIA E POLITICA N. 2
Luna Park, giornalisti e poligrafici
Nell'articolo "Un beduino, cervelli elettronici e Luna Park" pubblicato sul precedente numero del TORCHIO, si parlava dell'utilizzo delle moderne tecnologie da parte del cosidetto "uomo del 2000 '. Al pari del beduino di una certa storiella, l'uomo moderno mostra, per alcuni ritrovati della tecnica, un timore reverenziale (vedi ad esempio il "cervello elettronico") mentre di altri ne fa un uso scriteriato (vedi ad esempio le nostre città trasformate in giganteschi Luna Park).
Inoltre' il discorso che riguarda il cittadino consumatore si estende pari, pari, ai responsabili dei processi produttivi e così le nostre aziende vengono investite dalle nuove tecnologie in modo casuale.
L'articolo terminava indicando il modo di superare e trasformare questo sistema, sbilanciato e consumistico anche nei suoi mezzi produttivi. "Per chi crede nella democrazia la risposta è ovvia occorre affidare alla collettività il controllo della scienza e della tecnologia".
Da alcuni è stato obiettato che il finale scontato e sbrigativo era un modo per chiudere "in gloria" con un auspicio, un pio desiderio, ma come al solito senza indicare i mezzi ed i modi per realizzarlo. Prendiamo la critica come costruttiva e ritorniamo sull'argomento, dando anche qualche indicazione concreta a titolo di esempio. Per realizzare un controllo d( massa occorre costituire una larga partecipazione e il primo passo è fare in modo che un gran numero
di cittadini vengano interessati al problema. Una volta suscitato l'interesse, nascerà l'esigenza di conoscere, di informarsi e si formeranno delle idee, delle opinioni e quindi sorgerà la necessità di parlare, di discutere, di confrontarsi e farne partecipi altri cittadini, si formerà cioè un "movimento". Nel movimento saranno coinvolte le forze rappresentative (partiti, sindacati, amministrazione e strutture pubbliche) e si giungerà infine alla costruzione di un modello di riferimento e alla enunciazione dà principi. Gli addetti ai lavori, in sede legislativa e in fase di emanazione di regolamenti, si sentiranno spronati e controllati dalla base e non potranno disattendere i principi enunciati e andare contro al modello indicato.
Così, ad esempio nella politica urbanistica, i politici e gli amministratori programmeranno gli sviluppi delle città in modo che siano più umane, che tengano conto dei vecchi, dei bambini, dei malati; così, nel formulare un piano di riconversione per un modo nuovo di produrre, le forze politiche e sindacali, gli imprenditori dovranno mirare non ad un risultato economico positivo per il singolo o per il settore, ma ad una attività di bilancio macroeconomica, nazionale, tenendo conto delle variabili e dei costi sociali.
Come si è visto, chiave di volta di tutto il cambiamento è l'informazione, senza informazione non ci può essere partecipazione. Infatti,
per giungere alla partecipazione, la prima condizione è smuovere l'interesse e, seconda condizione, è rispondere alle esigenze di conoscere degli interessati. Il livello di conoscenza richiesto non dovrà essere necessariamente approfondito (il ministro dell'istruzione non è professore di tutte le materia insegnate nelle scuole); è sufficiente un livello di conoscenza che si attenga alle linee essenziali della materia e per fornire questo tipo di istruzione i mezzi più idonei sono gli strumenti di informazione di massa: TV, libri, giornali. Ma questi mezzi sono rispondenti all'esigenza di istruire le masse?
Limitiamoci qui a parlare del quotidiano, poiché ci tocca più da vicino, e vediamo come fare per cambiarlo. A questo scopo diamo delle indicazioni concrete, due precise indicazioni. Una è rivolta ai responsabili di questo processo di informazione, di questa maturazione culturale necessaria alla partecipazione di massa: ai giornalisti. La seconda indicazione è rivolta ad una parte di quei lavoratori che possono fare qualcosa perchè il processo di RIFORMA DELL'EDITORIA cominci a realizzarsi e diventare una conquista democratica: ai poligrafici.
I giornalisti (come dice Murialdi, segretario della FNSI), costituiscono un esempio unico di lavoratori dipendenti, cui sia stato concesso di costituire un Ordine al pari dei liberi professionisti. Così superpro-
tetti, sembrerebbe logico che potessero darsi carico senza timore della missione di far crescere culturalmente il lettore.
Purtroppo si è un po' spenta quella carica sindacale che li aveva portati a contrastare lo strapotere del direttore (garante della linea del giornale v;rso la proprietà) ed i giornalisti sembrano invece più impegnati nella stesura di pastoni che li mettono in buona luce con chi conta. In quanto a preparazione professionale è di questi giorni il convegno di Boario sulla rispondenza scientifica dell'informazione giornalistica; ma come la mettiamo allora con quel cronista che, addirittura in prima pagina afferma con forza il suo diritto all'ignoranza? I dati da lui trasmessi, sono forniti dall'ISTAT e.... "tutte le rilevazioni statistiche, per noi profani, sono di difficile lettura" e giù la storiella per cui la statistica è quella specie di scienza, secondo la quale, se uno mangia un pollo e I altro niente, risulta che ne hanno mangiato metà ciascuno!! I giornalisti dovrebbero buttare alle ortiche la loro veste di "gran sacerdoti sempre meno creduti" (così è risultato da una recente inchiesta TV); farebbero meglio a scendere a spiegare al lettore i misteri delle statistiche e dei bilanci, che cosa c'è dietro (e quello che viene dopo) gli intrighi politici ed i giochi della grande finanza. Probabilmente quando, distorcono una campagna contro gli sprechi, non sono che strumenti inconsapevoli nelle mani di qual-
che furbone, ma, al loro livello e nel loro ruolo, "l'ignoranza non è ammessa".
Che dire ai poligrafici ?Con l'ultimo contratto hanno accolto l'ingresso delle nuove tecnologie, hanno rinunciato responsabilmente ad alcuni "privilegi (vedi "settimo numero"), hanno sancito al pari di altre categorie l'equazione meno straordinari più occupazione. Ora devono gestire questi principi e non farli cadere come sterili enunciazioni; in più in questo momento sta per andare in discussione in Parlamento la legge sull'Editoria ed essi devono darsi carico dell'importanza che questa riveste per tutta la Nazione. Ogni lavoratore deve pretendere di conoscere il testo del progetto approntato dalla Commissione interpartitica, discuterlo e, attraverso i delegati, spingere il CdF perchè faccia pervenire ai vertici le indicazioni e gli indirizzi voluti. Bisogna che a Roma si sappia come i lavoratori vedono il ruolo del quotidiano in Italia, come vogliono che venga prodotto e distribuito e quali esigenze del lettore debbono essere soddisfatte per allargarne il mercato. Del quotidiano deve risultare chiaro infine la struttura, il linguaggio, il tipo di notizie per espletare soddisfacentemente quel ruolo di servizio sociale che gli è stato ufficialmente riconosciuto dalle sovvenzioni statali, fornite da tempo e previste anche dal nuovo progetto di legge.
R. Innocenti
SPECIALE informazione: riforma e partecipazione
Tempi stretti
Questi sono anni di grandi cambiamenti per tutta la società italiana, su questo le opinioni sono concordi.
Il settore dell'editoria, soprattutto dell'editoria quotidiana, sarà, crediamo, ricordato come quello che questi cambiamenti ha affrontato in modo più repentino e drastico. Le premesse in realtà c'erano tutte e la crisi economica non ha fatto che portarle maggiormente alla luce.
Il distacco tra il cittadino e l'informazione era già enorme negli anni cinquanta, epoca d'oro dei quotidiani confindustriali, ed è proseguito, ampliandosi anzi per il diffondersi della disinformazione televisiva, per tutti gli anni sessanta. L'esplodere di grandi movimenti di massa di studenti, di operai e di donne dal '68 ad oggi nell'indifferenza quasi generale, se si eccettuano tutt'altro che rari episodi di atteggiamenti apertamente reazionari e bacchettoni, di tutta l'informazione "indipendente" italiana, ha da un lato reso patrimonio di grandi masse la consapevolezza della necessità di una riforma dell'intero settore, dall'altro ha creato un ampio mercato di possibili fruitori di informazione che rifiutavano i "prodotti" offerti dalle "fabbriche di notizie".
Mercato che non poteva venire interamente soddisfatto dalla stampa quotidiana di sinistra che, purtuttavia, proprio in questi anni ha
raggiunto risultati eccezionali dal punto di vista dell'incremento della diffusione. Su questa situazione si è innestata la crisi economica con l'effetto di accelerare i processi in corso, di aprire nuove contraddizioni e di rendere conseguentemente indilazionabile l'esigenza di una regolamentazione del settore.
Da una parte infatti anche per i più "generosi" magnati dell'industria, pronti sino ad ora a coprire le pesanti perdite di bilancio in cambio di favori politici, diventa sempre più un lusso insopportabile e, dopo gli ultimi risultati elettorali, anche poco producente mantenere in vita, quali costosi fiori all'occhiello, molti quotidiani.
Da qui deriva anche quel tentativo di recuperare una fasulla "economicità di impresa" che, dietro le più rammodernate e spesso maldigerite teorie manageriali, nasconde il proposito di una ristrutturazione selvaggia che non entri nel merito di come e per chi si fabbrica informazione. D'altra parte la crisi economica porta con sè anche pesanti spinte al mantenimento e al recupero di posizioni corporative all'interno delle aziende editoriali, che non possono non avere, ad esempio tra i giornalisti, effetti ideologici nel senso di far arretrare, e lo si vede nei contenuti degli articoli, quelle posizioni di maggiore apertura nei confronti delle lotte operaie e sindacali che erano emerse, sia pur timidamente, negli ultimi anni.
A Modena, io scorso settembre, si è tenuto il 2° Convegno nazionale sull'informazione.
I due interventi che riportiamo per ampi stralci non sono certo stati gli unici interessanti, sono stati però quelli che più da vicino interessano noi poligrafici e giornalisti di editoria quotidiana.
Torna quindi pericolosamente a galla la non nuova teoria che l'informazione sia un prodotto qualunque, una merce qualsiasi. Ecco quindi che molte delle proposte contenute nel progetto di legge unificato sull'editoria appaiono in tutto il loro valore, laddove ad esempio si fissa nel 20 per cento la quota massima di copie vendute o tirate di giornali quotidiani editi da un solo editore, oppure dove si favorisce la cooperazione giornalistica, oppure dove si obbliga alla trasparenza dei bilanci, oppure infine, ma vi sarebbero altri aspetti positivi da rilevare, dove si fissano nel massimo del 30 per cento di tiratura quotidiana nazionale i quotidiani in esclusiva ad una sola società concessionaria di pubblicità.
Una legge perfetta dunque? Certamente no. Imperfezioni, lacune, possibilità di scappatoie indubbiamente esistono. Si tratta però di un primo necessario passo di quella che è stata a ragione definita la riforma delle riforme.
Un primo passo che, ti auguriamo, il parlamento vorrà compiere nei tempi più stretti.
Legge sulla stampa e giornali
Comunicazione di Giorgio Macciotta
La proposta di legge 1616 (riforma dell'editoria) elaborata unitariamente dai partiti dell'arco costituzionale e recentemente presentata in Parlamento è ormai nota nelle sue linee fondamentali ma forse è opportuno ricordarne brevemente gli aspetti qualificanti per individuare non solo quali sono stati i punti centrali della discussione ma anche su quali temi sarà indispensabile insistere nell'ormai prossimo dibattito parlamentare e, soprattutto, nella fase assai complessa di gestione della legge.
Il lavoro compiuto unitariamente dalle forze politiche e dalle organizzazioni sindacali tendeva non già ad interventi marginali a favore delle imprese editrici ma a fornire risposte alle tre questioni centrali: la progressiva concentrazione delle testate, i ritardi tecnologici, il basso numero di coppie vendute.
Il primo problema, quello della concentrazione delle testate ha rappresentato certamente la questione più delicata perchè si trattava di realizzare, per la prima volta nel sistema giuridico italiano, la norma costituzionale del limite alla proprietà privata nell'interesse pubblico. Si trattava in sostanza di identificare in primo luogo modi idonei a rendere chiara la proprietà delle imprese ed in secondo luogo i limiti da porre alla concentrazione per garantire un effettivo pluralismo della informazione.
Mentre per quanto riguarda il primo ordine di problemi esisteva, ed è stato utilizzato, il precedente della legislazione sulle società quotate in Borsa per quanto riguarda le norme anticoncentrazione si trattava di individuare ex novo sia i limiti oltre i quali una posizione
può definirsi dominante sia i modi concreti per evitare il determinarsi della concentrazione.
Questi problemi implicavano poi complesse questioni circa i rapporti interni all'azienda giornalistica tra le diverse componenti. Il risultato al quale si è pervenuti consente: di individuare in modo rigoroso i tipi di società ammessi alla proprietà di testate e le composizioni del capitale sociale (art. I); di sanzionare penalmente le violazioni di tali norme e di intervenire comunque per riportare dentro le previsioni della legge le società che se ne discostassero (ultimi due commi dell'art. I);
7) di controllare a scadenze annuali tutti i trasferimenti di quote di proprietà e di controllare sin dal momento nel quale si determinano i trasferimenti di una certa consistenza (tali da determinare proprietà di quote in percentuali superiori al 10%) o comunque tali da determinare posizioni di controllo di una testata (art. 4); d) di definire i limiti oltre i quali una posizione si può ritenere dominante sul mercato editoriale e di stabilire le procedure per impedire il superamento di tali limiti (art. 5).
In particolare per quanto riguarda quest'ultimo problema la discussione è stata assai approfondita consentendo di individuare limiti non solo per quanto riguarda le concentrazioni nazionali (20% della tiratura) ma anche quelle interregionali (50%) e regionali (50% delle testate).
Non sfugge a nessuno come il variart SEGUE A PAG.4
11 Torchio Ottobre 1977 pag. 3