Consiglio FLM36

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FI Metalmeccanici milano piazza Umanitaria, 5

Comunicato della Segreteria Nazionale F.L.M. — 7 ottobre.

"Considerazioni finali e proposte" della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla giungla retributiva.

Relazione del segr. naz. Antonio Lettieri al Direttivo Naz. F.L.M., Viareggio, 12-15 settembre, su: costo del lavoro e ristrutturazione del salario.

Sintesi della relazione del segr. naz. Rino Caviglioli al Direttivo Naz. di Viareggio su: fisco-equo canone-occupazione giovanile.

Proposte di ristrutturazione del salario emerse dai congressi nazionali delle confederazioni

CGIL

CISL

UIL

ANNO V

agenzia

dì informazione sindacale

consiglio di fabbrica 36
FLM milanese
OTTOBRE 1977
della

COMUNICATO DELLA SEGRETERIA NAZIONALE F.L.M.

7 OTTOBRE 1977

La Segreteria Nazionale della FLM si è riunita per una valutazione sullo stato delle vertenze in corso, anche in relazione al prossimo convegno sulle PP.SS. promosso dalla Federazione CGIL-CISL-UIL e per dare attuazione alle decisioni assunte dal Comitato Direttivo FLM del 13 settembre.

La Segreteria ritiene fondamentale assicurare continuità allo sciopero del 28 u. s., promuovendo una intensa fase di mobilitazione e di lotta della categoria a sostegno delle vertenze aperte in particolare con le aziende a PP.SS. (Italsider, Alfa, Cantieristica, Elettronica, Impiantistica, ecc.) per realizzare concreti risultati sugli obiettivi centrali delle piattaforme (investimenti, occupazione, o.d.l.) e per battere la intransigenza politica dell'IRI e dell'Intersind che nei fatti blocca il negoziato eludendo ogni serio confronto dei temi del risanamento e della riqualificazione produttiva delle aziende, dei gruppi e dei settori.

LE VERTENZE DELLE AZIENDE A PP.SS.

La Segreteria FLM considera le vertenze aperte con le aziende a PP.SS. punti di attacco di grande valore politico dalle quali partire per avviare un processo di programmazione settoriale che, partendo da obiettivi intermedi, affronti i nodi reali della riconversione e ristrutturazione dell'apparato industriale, puntando &l'ampliamento e alla diversificazione settoriale e territoriale della base produttiva, ad una presenza qualitativamente diversa delle PP.SS. nel comparto agro-industriale, alla capacità di rapportarsi ai piani di sviluppo regionali promuovendo una politica di sostegno per le piccole e medie aziende.

E' determinante per i metalmeccanici e per il movimento sindacale realizzare risultati qualitativamente significativi in tale direzione per imprimere una svolta agli attuali indirizzi delle PP.SS., ribaltandone la linea riduttiva degli investimenti e della gestione burocratica dell'esistente, organica alla strategia recessiva del governo in politica economica, per conquistare una prospettiva di sviluppo per i lavoratori, i giovani e il Mezzogiorno.

LA CRISI FINANZIARIA DELLE INDUSTRIE

La Segreteria FLM ritiene che i problemi posti dalla grave crisi finanziaria che investe un'ampia parte della struttura industriale e con particolare acutezza le aziende a PP.SS., vanno affrontati contestualmente alla esigenza di una profonda revisione della politica economica monetaria e creditizia del governo, all'avvio dei piani di sviluppo settoriali ed alla riforma politica ed istituzionale del sistema delle PP.SS.

Nel merito, anche in relazione all'urgenza e dimensione dei problemi, la Segreteria FLM, mentre respinge le ipotesi di intervento delle banche formulate secondo le proposte della Confindustria, sottolinea che le misure

necessarie, a partire dai fondi di dotazione delle imprese a PP.SS., devono essere vincolate a rigidi criteri di selettività ed ancorati ai primi programmi di risanamento e di sviluppo delle imprese e dei settori.

La Segreteria FLM, nel riservarsi di definire in un documento un proprio orientamento quale contributo al convegno sulle PP.SS., sottolinea l'esigenza non più eludibile di affrontare sollecitamente la questione della riforma e del riassetto del sistema delle PP.SS., come condizione essenziale per dotare il paese di strutture e strumenti in grado di assolvere effettivamente ad un ruolo di indirizzo, di intervento e di controllo pubblico dell'economia, rompendo i vincoli clientelari e particolaristici che hanno progressivamente condotto alla degenerazione il sistema delle PP.SS., anche in connessione con la definizione dei piani settoriali previsti dalla legge sulla riconversione industriale.

RIASSETTO E RISANAMENTO

La crisi politico-istituzionale e manageriale delle PP.SS. pesa gravemente sul paese e condiziona ogni prospettiva di sviluppo soprattutto nei settori strategici dell'economia e costituisce, allo stato attuale, una strozzatura del sistema economico, un terreno di manovra e di attacco strumentalmente utilizzato dalle forze politiche e sociali espressione del capitalismo privato. La crisi delle PP.SS. non può pertanto essere ulteriormente gestita con misura di ordinaria amministrazione né appare risolvibile con tentativi di riaggiustamento e di razionalizzazione del sistema. E' necessario andare alle radici della involuzione delle PP.SS. e del loro ruolo su una linea che renda trasparenti scelte e criteri di gestione, liquidi centri di potere consolidati, riorganizzi i comparti merceologici, abbatta ogni diaframma tra istituzioni e strutture operative, assegni funzioni e responsabilità; anche attraverso un recupero di imprenditorialità, agli enti e soprattutto alle aziende. In questo quadro la Segreteria della FLM riafferma il valore emblematico che assumono — anche a questo riguardo — le vertenze in corso, come punti prioritari della strategia complessiva del movimento sindacale. Su questa base la Segreteria FLM proporrà alla Federazione CGIL-CISL-UIL di sviluppare ulteriori iniziative per determinare nel Paese, tra i lavoratori della industria e della agricoltura, fra i giovani, i disoccupati e le realtà territoriali maggiormente interessate a partire dal Mezzogiorno, fasi di mobilitazione e di lotta a sostegno degli obiettivi di sviluppo e di cambiamento perseguiti dal sindacato.

SETTIMANA DI LOTTA PER EQUO CANONE E FISCO

La Segreteria della FLM ha fissato inoltre la settimana di mobilitazione e di lotta sui temi dell'equo canone e del fisco per i giorni dal 24 al 29 ottobre. La FLM intende sostenere con questa iniziativa di massa le piattaforme che su queste due questioni di primaria

Redazione: piazza Umanitaria n. 5 - tel. 54.68.020/1/3/4, Milano.

Direttore responsabile: Walter Galbusera.

Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 344 del 28 settembre 1971

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importanza per l'insieme dei lavoratori sono state definite dalla Federazione CGIL-CISL-UIL e che attualmente sono oggetto di confronto con il Governo.

EQUO CANONE

L'equo canone interessa milioni di lavoratori, le loro famiglie, le loro condizioni di vita, la difesa del salario reale dell'attacco della rendita. Le conclusioni emerse dalla commissione giustizia e lavori pubblici nel mese di luglio che indicano nel 5% del valore dell'immobile il canone di affitto stravolgono e ridicolizzano il concetto stesso di equo canone. Sulla base di quelle conclusioni, i canoni di affitto aumenterebbero mediamente del 120%; la situazione di milioni di lavoratori e pensionati diventerebbe esplosiva, nuove e gravi tensioni sociali si scaricherebbero sulle fabbriche e sul territorio.

La FLM, considerando inaccettabili proposte di compromesso legislativo che partono da queste basi, ritiene indispensabile un rilancio della iniziativa politica e di lotta a sostegno della piattaforma sindacale. La FLM fa propria la richiesta, già avanzata dalla Federazione degli Edili alla Federazione CGIL-CISL-UIL, per una riunione delle strutture, sia per una comune valutazione dei risultati dei recenti incontri col Governo e con i gruppi parlamentari del Senato, sia per promuovere una assemblea nazionale dei consigli di zona e adottare adeguate misure di lotta. La battaglia per l'equo canone deve saldarsi con quella per la ripresa degli investimenti nell'edilizia pubblica, sia nel quadro di una politica programmata della casa, sia come strumento di politica economica tendente a contrastare la caduta recessiva che minaccia di colpire nei prossimi mesi drammaticamente l'occupazione, e, in particolare, il Mezzogiorno.

LOTTA ALL'EVASIONE FISCALE

Sul tema del fisco, la Segreteria della FLM considera inaccettabile una linea che punti ancora sulla riduzione del costo del lavoro attraverso la manovra delle imposte

indirette colpendo indiscriminatamente i lavoratori e le fasce popolari più povere. Gli oneri sociali che erano come una imposta regressiva sul salario e contro l'occupazione debbono essere riformati e ridotti, finanziandone la progressiva fiscalizzazione con una maggiore imposizione, sulle rendite finanziarie e sui redditi patrimoniali e colpendo la gigantesca evasione sia fiscale che contributiva.

La lotta all'evasione fiscale con il recupero di migliaia di miliardi all'erario è oggi anche necessaria per bloccare la spirale delle tariffe che colpisce servizi pubblici essenziali. Ciò esige una mobilitazione di massa e, al suo interno, iniziative esemplari di denuncia e perseguimento dell'evasione anche direttamente promosse dal sindacato, nonché l'apertura di un confronto con gli Enti locali per la costituzione dei consigli tributari circoscrizionali con la partecipazione democratica di delegati dei consigli di zona; l'unificazione e il decentramento degli uffici tributari.

La FLM chiede inoltre l'abrogazione dei "tetti" che congelano in tutto o in parte gli scatti di contingenza per una massa crescente di lavoratori, utilizzando i normali strumenti fiscali nei confronti delle fasce alte di reddito, senza discriminazioni a danno dei lavoratori dipendenti.

Nel corso della settimana di mobilitazione i metalmeccanici, in unità con le strutture territoriali e con le altre categorie, in primo luogo gli edili, intendono promuovere iniziative sul tema dell'equo canone, della casa e del fisco oltre che nelle fabbriche nel territorio, nei consigli di zona, nei comitati di quartiere, instaurando più stretti rapporti con le forze politiche e le regioni.

La FLM impegna le strutture di base, i consigli di fabbrica a tenere specifiche riunioni su questi temi e ad avviare l'approfondimento e la ricerca sulle condizioni concrete in cui si trovano i lavoratori, ad avviare una opera di vasta sensibilizzazione sulle questioni che saranno al centro della settimana di mobilitazione e di lotta.

"CONSIDERAZIONI FINALI E PROPOSTE"

DELLA COMMISSIONE PARLAMENTARE D'INCHIESTA

SULLA GIUNGLA RETRIBUTIVA

Le parti in corsivo sono modificazioni o aggiunte rispetto alla bozza elaborata in luglio dalla Commissione parlamentare 1

I dati rilevati od acquisiti dalla Commissione, nelle varie articolazioni dell'inchiesta, mettono in evidenza che la struttura normativa e retributiva del lavoro dipendente è caratterizzata in Italia:

da rilevanti fenomeni di differenziazione settoriale, e, in minor misura, aziendale all'interno dello stesso settore di attività;

da scarsi collegamenti fra livelli retributivi e normativi e grado di efficienza, produttività, e redditività, in particolare nel settore pubblico;

da modalità di formazione dei trattamenti e delle normative molto articolate e differenziate, di difficile controllo e coordinamento da parte di qualsiasi autorità. Le disparità che regolano il rapporto di lavoro infatti rendono scarsamente trasparente la struttura retributiva nel suo complesso;

da rilevante elevatezza di alcune retribuzioni, non giustificabile dalle leggi di mercato e in contrasto con la situazione economica del paese.

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Entro queste caratteristiche di fondo va rilevato che:

— nell'industria e nell'agricoltura i fenomeni di differenziazione sono meno

rilevanti e i trattamenti risultano inferiori agli altri settori;

— le differenze più rilevanti si addensano nei settori dei servizi pubblici e privati, sia a causa di trattamenti contrattuali, che, in alcuni casi, di trattamenti personali. Nei servizi e in particolare nelle banche, assicurazioni e aziende municipalizzate, enti economici pubblici (ini, Eni, Enel, Federconsorzi, ecc.), giornali e in taluni rami dell'impiego pubblico, quali le amministrazioni speciali e gli organi costituzionali, si trovano, almeno per alcune categorie di dipendenti, i più alti trattamenti rilevati;

— nell'ambito del settore terziario so-

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no emerse rilevanti differenze anche all'interno di attività similari, gestite in vario modo dai pubblici poteri, aziende municipali e regionali, imprese a partecipazione statale, aziende statali in senso stretto;

per quanto riguarda i dirigenti sono state rilevate notevoli differenze, in particolare di carattere retributivo, fra il trattamento dei dirigenti statali e anche parastatali e quello, sempre più alto, dei dirigenti degli enti minori territoriali (Regioni, Comuni); e fra i dirigenti industriali delle aziende private e di quelle a partecipazione statale, che hanno trattamenti inferiori a quelli vigenti nei servizi: banche, assicurazioni, aziende municipalizzate;

differenze di trattamento si riproducono anche per le pensioni, perpetuando anomalie e sostanziali ingiustizie riscontrate per le retribuzioni e con gonfiamenti a dismisura, al di là di ogni ragionevole criterio, del numero delle pensioni di invalidità.

Più in generale sono emerse quattro constatazioni:

la gravità dei fenomeni è in genere pubblica, se non altro perché le sperequazioni ivi riscontrate mancano sovente di una « ratio » giustificativa, sia in senso amministrativo che contrattuale; i più alti livelli retributivi in senso assoluto non sono stati riscontrati, comunque, nel settore del pubblico impiego;

la radice dei fenomeni sta assai più nei meccanismi retributivi automatici, determinati da istituti vecchi o anche nuovi che non nei livelli salariali di base via via definiti; questi differenziali nelle retribuzioni di fatto sono alterati, nel senso di un aumento o di una diminuzione, da tali meccanismi automatici:

l'articolazione dei fenomeni è determinata essenzialmente dalla componente integrativa dei trattamenti, a livello di ente, o di azienda o di località, non di rado ispirata a logiche capaci di travolgere i termini delle condizioni vigenti per i lavoratori della categoria o del settore,

il dato socialmente più rilevante dei fenomeni indagati è una sostanziale disuguaglianza di trattamenti fra il lavoro « manuale » e quello « intellettuale «, o più esattamente impiegatizioamministrativo, con effetti disincentivanti e demotivanti sul primo. 3

Una struttura normativa e retributiva sia per quanto attiene al rapporto di lavoro che al trattamento di pensione, qual è stata evidenziata dall'indagine oltre a non rispettare alcun criterio di . giustizia retributiva » nel senso, quanto meno, di una corrispondenza fra la qualità e quantità di lavoro e la retribuzione, comporta effetti negativi di carattere economico e sociale che meritano di essere ulteriormente evidenziati.

In particolare, !a presenza di divari re-

tributivi anormalmente ampi aggrava la pressione inflazionistica e riduce le possibilità di accumulazione, attraverso meccanismi di rincorsa salariale fra categorie e settori.

Inoltre, livelli salariali alti rispetto ai livelli di redditività e di produttività, e anche normative legali e/o contrattuali tali da appesantire il costo del lavoro e da irrigidire il rapporto di lavoro, sono fattori che contribuiscono a restringere il numero delle persone con rapporto di lavoro regolare e ad allargare, come conseguenza, la dimensione del lavoro irregolare.

Infine, una scala dei trattamenti non adeguata alle esigenze profonde del sistema produttivo contribuisce a creare distorsioni nel mercato del lavoro, con effetti negativi sia di carattere economico ed occupazionale, sia di carattere sociale più generale. Trattamenti retributivi e normativi, e condizioni di lavoro generalmente migliori per il lavoro impiegatizio-amministrativo (specialmente pubblico o dei pubblici servizi e similari) rispetto a quelli per Il lavoro manuale operaio o agricolo o anche per il lavoro tecnico nell'impiego pubblico, incentivano a desiderare il primo tipo di lavoro ed a ricusare il secondo. Così restano scoperti posti di lavoro manuale in attività industriali ed agricole e posti di lavoro di natura tecnica nel settore pubblico, con danno per l'occupazione, il reddito e l'efficienza dell'apparato produttivo ed amministrativo. Di contro molte aspirazioni ad un lavoro impiegatizio, che non possono essere soddisfatte, creano frustrazioni ed insoddisfazioni personali, che, per le loro rilevanti dimensioni, provocano a loro volta disagi e malcontento sociale. Anche un eccessivo appiattimento delle retribuzioni fra le diverse qualifiche all'interno della stessa azienda o ente, così come si è attuato con la pratica degli aumenti uguali e del valore unico della indennità di contingenza, si è rilevato disincentivante per i lavoratori più preparati e di freno allo sviluppo della professionalità, con riflessi negativi sulla regolarità delle prestazioni e sulla produttività del lavoro.

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A parere della Commissione parlamentare è, pertanto, necessario modificare l'attuale situazione retributiva e normativa del lavoro dipendente, ed evitare che si riproducano condizioni favorevoli al suo ricostituirsi, sia per eliminare gli effetti negativi riscontrati, sia come contributo ad una nuova politica del lavoro tendente a sviluppare l'occupazione in modo stabile, produttivo e socialmente utile, insieme ad una maggiore giustizia retributiva ed al miglioramento della qualità del lavoro.

Per realizzare una più equa distribuzione del reddito bisogna, comunque, tener presente che non basta operare solo sul piano delle politiche retributive. E' necessaria un'accorta manovra

della leva fiscale, la quale già funziona da . strumento di perequazione dei salari e degli stipendi, essendosi riscontrate, in generale, più ridotte differenze fra le retribuzioni nette che fra quelle lorde; meno efficace appare questa funzione del fisco per il settore vario del lavoro autonomo, i cui redditi, peraltro, sono spesso assunti a indici di riferimento per il trattamento economico di alcune categorie aventi speciali qualificazioni professionali.

Il raggiungimento di questi obiettivi presuppone tempi lunghi ed iniziative coerenti che comportano la responsabilità del Parlamento, del Governo, e delle associazioni sindacali. Di tali iniziative la Commissione propone le linee fondamentali, articolandole secondo i seguenti aspetti, riguardanti:

A) I trattamenti normativi e retributivi Impiego pubblico; Impiego privato;

B) I trattamenti di pensione

C) Gli aspetti istituzionali della politica delle retribuzioni e del rapporto di lavoro

D) L'azione e la responsabilità delle associazioni sindacali.

A.1. I trattamenti normativi e retributivi dell'impiego pubblico: una legge-quadro »

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Nell'impiego pubblico, con la instaurazione della contrattazione centralizzata per i dipendenti statali e con la legge n. 70/1976 per il parastato, è già in atto fin dal 1973 una azione di semplificazione e razionalizzazione dei trattamenti. E' stata evidenziata, tuttavia, la necessità di pervenire, per quanto possibile, ad una unificazione di istituti e di norme, e ad una regolamentazione delle modalità, delle procedure e dei soggetti della contrattazione: tutto questo potrebbe essere definito in una » legge-quadro ».

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In primo luogo potrebbero essere unificati istituti e procedure per i quali non si giustificano differenze né per la natura del servizio, né per il tipo di prestazione. In quest'ambito potrebbero essere stabilite nuove norme per la selezione del personale, le assunzioni, l'addestramento, le promozioni ecc. in modo sia da dare una maggiore qualificazione ai lavoratori, sia da agevolare la mobilità fra i diversi servizi.

Vi sono poi istituti, come l'orario di lavoro (da considerare nei diversi aspetti: durata e distribuzione, lavoro straordinario ecc.), le ferie, le aspettative, i congedi e permessi, i trattamenti di missione e la disciplina dei trasferimenti, che potrebbero essere oggetto di una disciplina comune fra le diverse branche della pubblica am-

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ministrazione. Nuove norme dovrebbero essere, poi, previste per i « diritti sindacali •, anche per adeguare, per quanto possibile, la disciplina dell'impiego pubblico alla recente legislazione riguardante il rapporto di lavoro privato.

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Vi è poi il problema del superamento delle differenze retributive fra i dipendenti pubblici che svolgono analoghe mansioni t funzioni nelle diverse branche della pubblica amministrazione (stato, regioni, province, comuni, enti pubblici, aziende autonome).

La legge-quadro potrebbe fissare » minimi » e » massimi • retributivi e svolgimenti di carriera analoghi per i pubblici dipendenti secondo la specificità della prestazione e non secondo il tipo di ente o amministrazione. Una definizione di questo tipo per legge lascia spazio alla contrattazione collettiva per le necessarie articolazioni retributive.

Nel definire in concreto i trattamenti dei lavoratori pubblici si dovrà tener conto dell'esigenza di stabilire un'equa comparazione con i trattamenti dei lavoratori privati, operando, in genere, le pubbliche amministrazioni e i datori di lavoro privati sullo stesso mercato del lavoro.

Una ristrutturazione delle retribuzioni dei pubblici dipendenti basata su questo principio è richiesta non solo dal perseguimento dell'obiettivo di dare uguale retribuzione per uguale lavoro, ma anche dalla necessità di superare molte resistenze alla mobilità del personale fra le diverse branche della pubblica amministrazione e dall'opportunità di disporre di personale adeguatamente qualificato per determinati servizi.

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La regolamentazione delle modalità, le procedure e i soggetti della contrattazione nel settore pubblico dovrà mirare innanzitutto a:

abolire le norme in contrasto con le innovazioni giuridico-normative recentemente affermate;

estendere l'area dell'intervento negoziale all'efficienza dell'organizzazione lavorativa e all'economicità dei servizi, all'ordinamento degli uffici, fermo ovviamente il principio contenuto nell'articolo 97 della Costituzione secondo cui è demandato alla legge di assicurare il buon andamento dei pubblici uffici;

dare unitarietà e certezza alle pattuizioni contrattuali, identificando sedi e competenze delle « controparti •;

rendere più penetranti i poteri di iniziativa e di controllo del Parlamento sul livello, la dinamica e la resa della spesa 'pubblica per il personale, anche attraverso uno strumento apposito.

Problema centrale da definire è quello della titolarità dei poteri di negoziazione da parte dei diversi organi della Pubblica Amministrazione.

La questione ha due risvolti: il primo consiste nella definizione di competenze e sedi dei soggetti pubblici in generale, il secondo nella definizione delle controparti per i negoziati integrativi.

Le risposte non possono essere contrastanti, ma lo scopo di una definizione di sedi e competenze non è tuttavia il medesimo. Circa i soggetti pubblici si pone il problema se la titolarità dei poteri negoziali spetti agli Organi legislativi e deliberativi (Parlamento, Consiglio regionale, Consiglio comunale) od a quelli esecutivi di governo e di amministrazione (Governo, Giunta, Consiglio di amministrazione di aziende publiche). Detta titolarità non può spettare che agli organi dello esecutivo. Tuttavia tale negoziazione deve essere preceduta dall'intervento degli organi assembleari che hanno il compito di fissare precisi criteri direttivi nonché indicazioni di spesa. Tutto ciò per evitare che, su tali organi, sui quali ricade la responsabilità politica primaria siano posti di fronte al fatto compiuto di accordi già definiti.

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Se non si può escludere che vi sia una facoltà di iniziativa parlamentare anche nella determinazione dei trattamenti retributivi e normativi dei dipendenti pubblici, quello che deve essere evitato, però, è il perpetuarsi di una legiferazione particolaristica quale si è verificata fino ad ora, e che ha portato alle differenze ingiustificate e alle anomalie direttaMente riscontrate: in questo settore il Parlamento dovrà darsi una precisa disciplina attraverso una revisione del proprio regolamento interno che scoraggi e renda più oneroso l'iter delle iniziative particolari: ad esempio stabilendo che esse siano esaminate solo a scadenze determinate (in occasione delle modifiche periodiche dei trattamenti oppure in occasione della discussione del bilancio dello Stato).

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Altro aspetto da disciplinare è quello che riguarda la • contrattazione integrativa • nella pubblica amministrazione e nelle aziende pubbliche o a partecipazione pubblica con rapporto di lavoro privato.

In generale è stato riscontrato in tutti i settori di attività, pubblici e privati, ùn non sempre razionale uso della contrattazione integrativa; essa ha interessato i più diversi oggetti ed è stata fattore determinante nella costituzione di differenze ed anomalie nei trattamenti, non riscontrabili nelle contrattazioni nazionali.

Mentre sembra arduo definire i contenuti della contrattazione integrativa per il settore privato e per le aziende

a partecipazione statale, compito che va lasciato alla responsabilità delle parti sindacali — che hanno dichiarato la loro disponibilità ad affrontare la questione —, deve essere affrontato il problema di una regolamentazione nella pubblica amministrazione e anche nei servizi pubblici gestiti in diverse forme dai pubblici poteri.

Nella pubblica amministrazione la contrattazione integrativa non dovrebbe avere carattere retributivo, ma essere limitata a materie di carattere organizzativo e funzionale per migliorare le condizioni di lavoro, la produttività del lavoro e l'efficienza dell'apparato amministrativo, in modo tale che eventuali costi economici aggiuntivi abbiano una contropartita in termini di servizi resi.

Nei servizi pubblici gestiti attraverso amministrazioni speciali o aziende la contrattazione integrativa ha modificato sensibilmente i trattamenti stabiliti in sede razionale, con il risultato di creare notevoli dislivelli di trattamento per lavori similari e della stessa natura.

Si dovrà pertanto prevedere una precisa disciplina per i contratti integrativi.

Per le aziende municipalizzate si potrà prevedere anche una più incisiva responsabilità dei consigli comunali; inoltre, come è stato affermato dal Parlamento per le aziende a partecipazione statale, potrebbero essere previsti vincoli e limitazioni anche in relazione all'andamento economico aziendale (V. ordine del giorno del Senato 30-3-1977).

A.2. I trattamenti normativi e retributivi dell'impiego privato: l'unificazione legislativa di alcuni istituti contrattuali

Nella definizione delle condizioni e dei trattamenti normativi e retributivi del rapporto di lavoro privato, compito primario spetta alla contrattazione collettiva. E' questo un fondamento del nostro sistema di relazioni industriali, che va salvaguardato. Ciò non esclude, tuttavia, un possibile intervento legislativo: la legge è intervenuta, ad esempio, o per disciplinare autonomamente alcuni aspetti del lavoro (es. orario) e per rendere di efficacia generale le pattuizioni sindacali, con lo scopo di assicurare a tutti gli appartenenti alla categoria i minimi di trattamento previsti nei contratti collettivi nazionali.

Il problema che si pone ora non è tanto quello di dare efficacia generale ai contratti, ma quello di unificare istituti di grande rilievo, anche so-

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ciale, per alcuni, regolati in modi differenti dalla contrattazione collettiva ad esempio: l'orario di lavoro, le ferie, gli scatti di anzianità, l'indennità di anzianità, ed anche la composizione della retribuzione (struttura retributiva).

La soluzione può essere trovata sia attraverso un intervento legislativo, sia attraverso contrattazioni interconfederali, tenendo presente la maggiore efficacia della legge per la determinazione di una normativa di generale applicazione.

Una volta che per legge o con accordi interconfederali sia stata affermata una nuova normativa del valore unificante, gli istituti così regolati vanno salvaguardati da deroghe od « interpretazioni • migliorative a livello articolato o in via integrativa e anche con accordi individuali, che ricostituirebbero differenze ritenute ingiustificate e incentiverebbero rincorse contrastanti con i criteri di eguaglianza e di unità dei lavoratori, i quali stanno invece alla base di tali misure legislative e/o negoziali di carattere generale. Occorre a tale scopo Individuare fra le parti sociali una regola di comportamento che espliciti gli istituti non innovabili.

Per l'orario di lavoro si tratta di pervenire ad una normativa generale che fissi l'orario ordinario settimanale in 40 ore per tutte le attività, come del resto previsto dalla Convenzione di Ginevra, 22 giugno 1935, in corso di ratifica al Parlamento.

Ciò potrà comportare una riduzione per I settori che hanno ancora un orario maggiore, e anche un aumento dell'orario per i settori attualmente ad orario inferiore, non giustificato da particolari esigenze tecnico-produttive e organizzative, da prevedere come eccezioni. In entrambi i casi la definizione degli aspetti economici della variazione dell'orario potrà essere demandata alla contrattazione di categoria.

Una nuova disciplina dell'orario di lavoro non potrà non considerare anche le esigenze di alcune fasce di lavoratori e di alcuni settori di attività, interessati ad orari ridotti per i più diversi motivi (familiari, di studio, di organizzazione produttiva ecc.): si tratterà di prevedere forme di lavoro a tempo parziale con tutte le garanzie di carattere retributivo, normativo e di protezione assicurativa previste per i prestatori di lavoro ad orario normale.

Anche per le ferie, la fissazione di un periodo uguale per tutti, tranne le necessarie eccezioni, ha lo scopo di generalizzare un diritto in una misura adeguata (ad es. 4 settimane all'anno) eliminando le attuali differenze, di solito non giustificate dal tipo di prestazione svolto dal lavoratori e da esigenze organizzative o tecnico-produttive.

tivi, collegati all'anzianità di lavoro (nell'azienda, ente o amministrazione) sia nel settore privato che in quello pubblico, è una esigenza sociale ed economica che si impone a causa del carattere distorsivo e contraddittorio di questi istituti rispetto: alle necessità dei lavoratori, specie dei giovani; alla valutazione delle capacità e della professionalità; alle esigenze di mobilità del lavoro; ai livelli in atto e previsti nei trattamenti di pensione nonché alla possibilità di un • governo • effettivo della politica retributiva, da parte dei poteri pubblici e delle stesse organizzazioni sindacali.

Si pone pertanto la necessità di rivedere le discipline degli scatti di anzianità e quelle dell'indennità di anzianità, che attualmente sono assai differenti fra operai e impiegati, fra settori pubblici e privati.

Per gli scatti di anzlanità sembra opportuno, in primo luogo, pervenire ad un regime uniforme fra le diverse categorie, stabilendo un massimo di variazione della retribuzione contrattuale per anzianità di lavoro nell'azienda, ente o amministrazione.

Una volta stabilito questo, si tratta di disciplinare, attraverso la contrattazione collettiva, il passaggio, nella retribuzione base, della quota maturata di retribuzione eccedente il massimo fissato, pervenendo in un tempo programmato ad una unificazione del regime degli scatti.

E' stata anche avanzata l'ipotesi di prendere a base del calcolo non più l'anzianità aziendale, ma quella di lavoro complessiva, con la costituzione di un fondo per l'amministrazione e la redistribuzione delle quote di retribuzione dovute all'anzianità così calcolata. Indipendentemente dalle difficoltà pratiche (per avviare un simile sistema, che non ha precedenti, sarebbe indispensabile un'anagrafe generale dei lavoratori), un progetto di questo tipo appare più costoso di un'azione tendente a ridurre le quote retributive massime percepibili dai lavoratori per anzianità di servizio.

Per l'indennità di anzianità, istituto con pochi riferimenti in altri paesi, si pone un problema di superamento, di non facile soluzione nell'immediato, anche per le sue implicazioni di carattere economico e finanziario circa le forme di risparmio dei lavoratori e di finanziamento delle aziende.

D'altro canto è una voce unanimemente ritenuta anacronistica in regimi di crescenti livelli di trattamenti di pensione e di indennità di disoccupazione. Nella sua applicazione, poi, l'indennità di anzianità è sovente fonte di ingiustizie perché commisurata ad entità diverse e, inoltre, quando vi sono aggiunte di anzianità « convenzionali •, certi trattamenti di fine lavoro raggiungono somme sproporzionate rispetto alla anzianità di lavoro ed alla retribuzione corrente.

ti di moralizzazione, ad esempio stabilendo per tutti che l'ammontare della liquidazione non può essere calcolato su una anzianità superiore alla durata effettiva del rapporto di lavoro. Nello stesso tempo occorre, da parte di tutti, pervenire a una decisione circa i modi concreti di superamento dell'istituto. Dopodiché, attraverso la contrattazione collettiva potrebbe essere programmata altresì una « diversa sistemazione graduale • delle quote maturate anche in costanza del rapporto di lavoro, salvo il consenso degli interessati su tali quote. Inoltre potrebbero essere adottate misure di carattere fiscale per correggere al momento della liquidazione certi regimi anomali di capitalizzazioni fittizie e simili.

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Un ulteriore aspetto suscettibile e meritevole di una disciplina generale è la composizione della retribuzione in cui hanno un peso rilevante le forme di retribuzione indiretta e differita, alla base in molti casi delle differenze di trattamento non giustificate, e che si presenta molto complessa, differente non solo fra settore e settore ma anche fra azienda e azienda.

L'obiettivo da porsi è quello di stabilire per tutti i lavoratori dipendenti una composizione della retribuzione semplice, fatta di poche voci, in modo da rendere la retribuzione trasparente e facilmente confrontabile.

Ciò è necessario non solo per avere la possibilità di una maggiore conoscenza della situazione retributiva, ma soprattutto per avere l'esatta valutazione, anche ai fini della politica economica, degli effetti immediati e futuri delle variazioni delle varie componenti del trattamento retributivo. Per perseguire questo obiettivo è indispensabile agire con alcuni criteri di fondo.

Il primo criterio è quello di modificare II rapporto fra retribuzione diretta e retribuzione indiretta e differita, con il trasferimento nella retribuzione diretta, parzialmente o completamente, di voci retributive, come l'indennità di anzianità di cui già si è detto.

Il secondo criterio è quello di attuare un riassorbimento nella retribuzione diretta corrente di alcune componenti quali le mensilità aggiunte alla tredicesima, varie indennità che non hanno una attinenza specifica con la prestazione e anche i premi e le gratifiche quando siano ormai componenti fisse del trattamento.

Il superamento o, quanto meno, l'attenuazione degli automatismi retribu-

Dovendosi salvaguardare i diritti maturati già acquisiti dai lavoratori in base alle norme vigenti e non potendo intervenire in tempi brevi sui fondi aziendali, parrebbe opportuno adottare sollecitamente una soluzione transitoria alla cui base stiano elemen-

Il terzo criterio, infine, è quello dl eliminare immediatamente tutte quelle facilitazioni ed agevolazioni non direttamente monetarie legate sia al tipo di attività aziendale (tariffe e prezzi di particolari servizi e beni, agevolazioni creditizie, eccetera) sia alle caratteristiche dell'impiego (quali alcune agevolazioni per i dipendenti pubblici), che non trovano valida giustificazione anche quando sono di modesta entità.

B. Le modifiche ai trattamenti di pensione

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La situazione delle pensioni è caratterizzata dalla coesistenza di diversi regimi obbligatori ordinati secondo norme e criteri eterogenei, che sono fonte di trattamenti previdenziali fortemente sperequati, come del resto, anche se in forme diverse, è stato riscontrato nei trattamenti retributivi.

La Commissione intende indicare, pur sommariamente, alcune linee programmatiche tendenti all'obiettivo fondamentale della progressiva unificazione delle condizioni e dei trattamenti pensionistici dei lavoratori dipendenti privati, dei lavoratori dipendenti pubblici (Amministrazione statale, enti pubblici, enti locali), dei lavoratori autonomi, da raggiungere mediante interventi sugli elementi diversificati e sulle categorie e gestioni aventi regimi diversi. Contestualmente dovranno essere riequilibrati i rapporti finanziari fra prestazioni e contribuzioni, nelle consapevoleize di non poter superare gli attuali limiti di spesa in relazione al reddito nazionale e che ogni miglioramento del sistema previdenziale va realizzato all'interno degli attuali costi relativi, legando cioè il miglioramento generale alla crescita della produzione e del reddito.

In questo ambito si dovranno perseguire anche i fini di razionalizzazione e semplificazione del sistema, di eliminazione di inconvenienti (es. inaccettabili ritardi nelle liquidazioni) che si sono riscontrati nell'attuazione delle norme introdotte con la più recente legislazione, di omogeneizzazione dei vari istituti giuridici.

A questi scopi si dovrà operare sui seguenti elementi:

requisiti e condizioni per il diritto a pensione (età, anzianità assicurativa, inabilità); rendimento pensione/retribuzione (determinazione della misura della pensione; trattamenti minimi, base impohibile e pensionabile, anzianità convenzionali, contributi figurativi e da riscatto);

adeguamento automatico delle pensioni;

compatibilità tra pensione e redditi da lavoro;

pensioni sociali. 18

Circa I requisiti e le condizioni per il diritto a pensione si tratta di prendere in considerazione i seguenti fattori: età pensionabile, anzianità contributive, Invalidità pensionabile.

a) Per l'età pensionabile si tratterà in primo luogo di unificare i livelli tra le varie categorie e tra' uomo e donna. SeMbra Inoltre opportuno, da un lato, prevedere meccanismi che incoraggino un'ulteriore permanenza dei lavoratori nell'occupazione e; dall'altro, consentire anche un anticipato pensionamento per ragioni particolari e predeterminate. Fermi restand6 i 'maggiori limiti attuai-

mente previsti nef settore pubblico o privato, così come le norme eccezionali per particolari categorie di lavoratori (es. minatori), l'età minima pensionabile dovrebbe essere in un primo tempo portata a 60 anni superando la distinzione tra uomo e donna.

Si ritiene opportuno, per favorire i lavoratori che intendano proseguire nella propria attività lavorativa anche oltre il compimento dell'età pensionabile, consentire un effettivo aumento della pensione (superando anche l'80 per cento della retribuzione dopo 40 anni di assicurazione e contribuzione). Per altro aspetto, quello del rapporto di lavoro, ciò comporterà opportune modificazioni della legge 15 luglio 1966, n. 604.

Circa il rendimento retribuzione/pensione per periodi di lavoro successivi al compimento dell'età pensionabile, si ritiene possa essere pari a quello dell'intero arco lavorativo (2 per cento per ogni anno e per venire, così, fino a un massimo del 90 per cento al sessantacinquesimo anno di età). Un più favorevole rapporto, o l'introduzione di coefficienti di maggiorazione per riferimento, potrebbe tuttavia essere preso in esame compatibilmente con la situazione occupazionale e tenendo conto del progressivo innalzamento dell'età di ingresso al lavoro. Potrà nel contempo essere prevista la possibilità di liquidare la pensione anteriormente al compimento dell'età pensionabile previa decurtazione della pensione intera di una quota percentuale (4-5 per cento) per ogni anno di anticipazione. Questa possibilità potrebbe sostituire l'attuale pensione di anzianità (che si raggiunge con 35 anni di contribuzione in costanza di lavoro, volontaria o figurativa per servizio militare o gravidanza o puerperio). Qualora si volesse invece mantenere la pensione di anzianità sembrerebbe opportuno non considerare utili i periodi di prosecuzione volontaria, del tutto estranei alla logica che dovrebbe stare alla base del concetto di pensione di anzianità, strettamente connessa ad una prolungata attività lavorativa.

In prospettiva si dovrà tendere a rendere il sistema pensionistico dei dipendenti pubblici e, in particolare, dei dipendenti statali omogeneo a quello del settore privato, rivedendo, in particolare, la normativa che consente di acquisire il diritto a pensione in età ancora giovane in base al principio di collegare tale diritto all'anzianità di servizio, senza tener conto dell'età effettiva.

b) Per quanto attiene all'anzianità contributiva sembrerebbe opportuno stabilire 10 anni di assicurazione e di contribuzione (di cui 1 nell'ultimo quinquennio) per il pensionamento a 60 anni e di 5 anni di contribuzione effettiva e figurativa per Il pensionamento a 65 anni.

La contribuzione volontaria dovrebbe considerarsi sempre valida ai fini della misura della pensione. Al fini, invece, dell'acquislzione del diritto a pensione, la contribuzione volontaria dovrebbe essere considerata valida soltanto quando vI è corrispondenza fra Importi contributivi versati e classe di con-

tribuzione assegnata.

Con le modifiche suddette dell'anzianità contributiva e della contribuzione volontaria si dovrebbe pervenire alla eliminazione di abusi e a una più chiara definizione delle pensioni di invalidità e di vecchiaia.

c) Nei requisiti per la pensione dl Invalidità, oltre a quelli relativi alla contribuzione, dovrebbe essere dati; preminenza al fattore biologico rispetto a quello socio-economico che, nella interpretazione giurisprudenziale e nella prassi amministrativa, ha via via assunto un ruolo determinante nel giudizio di invalidità snaturandone la finalità e imponendo al sistema previdenziale oneri più propriamente assistenziali. Questo comporta la revisione dell'attuale normativa basata sul concetto di • capacità di guadagno In occupazioni confacenti alle sue attitudini • e l'adozione del concetto di capacità di lavoro basato sul fattore biologico e sull'effettivo danno subito dal lavoratore.

Si ritiene, inoltre, opportuna l'introduzione di due categorie di invalidità: una parziale per quegli assicurati la cui capacità di lavoro sia ridotta dei due terzi; la determinazione della misura della pensione dovrà basarsi sugli stessi criteri esaminati per la pensione di vecchiaia; potrà essere consentita la coesistenza della pensione con redditi da lavoro, prevedendosi, peraltro, l'incumulabilità con tali redditi dell'eventuale integrazione ai trattamenti minimi (e stabilendosi comunque limiti di cumulabilità per le pensioni eccedenti i « minimi . stessi).

Nel predetto contesto dovrà essere rivista anche la normativa delle rendite vitalizie spettanti agli infortunati sul lavoro, tenendo conto delle conseguenze distorsive che su di essa ha avuto il gonflamento delle pensioni di invalidità.

Una totale per gli assicurati la cui capacità dl lavoro sia ridotta In modo tale da non consentire l'esercizio di attività lavorative remunerate; nella determinazione della misura della pensione si dovrà tener conto sia del periodo dl assicurazione e contribuzione antecedente la data della domanda di pensione, sia del periodo intercorrente tra tale data e il compimento dell'età pensionabile dl vecchiaia; vi dovrà, ovviamente, essere incompatibilità tra pensione e' redditi da lavoro. Potrà essere altresì prevista l'erogazione di un assegno mensile nei casi di pensionati per invalidità totale che abbiano necessità di assistenza personale continuativa.

Il requisito contributivo ed assicurativo previsto dall'attuale normativa (cinque anni di contribuzione effettiva, figurativa o volontaria, di cui un anno nell'ultimo quinuennio) dovrebbe restare Immutato, salvo per quanto, riguarda la prosecuzione volontaria che dovrebbe essere esclusa dal computo dei contributi utili ai fini del diritto a pensione.

Parimenti dovrebbe conservarsi l'attuale requisito ridotto (un anno nell'ultimo biennio) In caso di invalidità per causa di servizio.

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a. Il rapporto pensione/retribuzione al fini della determinazione della misura della pensione potrà attestarsi nella quota — attualmente prevista per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti gestito dall'Inps — pari al 2 per cento per ogni anno di contribuzione in costanza di rapporto di lavoro, di contribuzione figurativa (periodi di: disoccupazione, integrazione salariale, malattia, gravidanza e puerperio, servizio militare), di contribuzione volontaria (con le considerazioni fatte). Dovranno gradualmente riassorbirsi i diversi rapporti pensione retribuzione e le anzianità convenzionali. Parimenti dovranno essere riviste le ipotesi e le condizioni per i riscatti (es. periodo di laurea, lavoro all'estero), con una unificazione fra settore pubblico e privato.

La disciplina delle Integrazioni di pensione al trattamento minimo dovrà essere uguale per tutti, sia per quanto attiene la misura che le condizioni. Dovrà essere stabilito che non si possono percepire contemporaneamente più integrazioni sia per lo stesso che per diversi regimi.

b. Nella determinazione del rendimento retribuzione/pensione è necessaria la definizione della base imponibile e pensionabile: essa deve essere la retribuzione lorda effettiva quale definita dall'articolo 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153, con esclusione degli eventuali trattamenti di missione e trasferta e del compensi per lavoro straordinario. E' tuttavia opportuno che questi compensi, analogamente a quanto dispone la vigente legislazione, siano assoggettati ad una speciale contribuzione al fine di non incoraggiare, con una ridotta contribuzione, il ricorso al lavoro straordinario.

Per quanto riguarda la retribuzione pensionabile si ritiene opportuna l'eliminazione del massimali attuali che creano sperequazioni gravi, considerato anche l'intervenuto assoggettamento fiscale del redditi da pensione.

Per II periodo da prendere in esame al fini della determinazione della pensione, si ritiene opportuno considerare l'Intero ultimo decennio (o quinquennio) temporale antecedente la domanda dl pensione, determinando la retribuzione media dl ciascun anno ed effettuando poi la media tra queste medie.

Al fine di evitare l'artificioso lievitare della retribuzione negli anni immediatamente precedenti II pensionamento dovranno essere previsti al riguardo precisi correttivi, particolarmente in caso di anni non interamente coperti da contribuzione.

Con l'adozione di tale sistema occorre peraltro contemporaneamente prevedere idonei criteri di indicizzazione della media annua retributiva.

c. Legato al rendimento della pensione è il problema della ricongiunzione del periodi assicurativi In regimi diversi.

Con il raggiungimento dell'obiettivo dell'unificazione dei regimi generali e speciali, nel più lungo periodo, il problema della ricongiunzione dei periodi assicurativi in regimi diversi sarà

superato in quanto si tratterà di assommare periodi a uguale trattamento. Già da ora potrebbero, tuttavia, prevedersi norme che attuino il principio della pensione unica agendo secondo due diverse, ma concorrenti direttrici. Dovrà, infatti, procedersi alla determinazione della pensione totalizzando tutti i periodi di iscrizione a forme obbligatorie di previdenza: all'unico ente erogatore della pensione (individuato nell'ente in cui si è stati assicurati in prevalenza ovvero si è stati assicurati nell'ultimo periodo) dovranno essere, da parte degli altri enti previdenziali interessati, trasferiti i contributi rispettivamente riscossi, con gli interessi. Inoltre dovrà procedersi alla unificazione dei criteri e modalità di determinazione della pensione, premessa all'unificazione delle relative gestioni.

d. Un aspetto particolare del rendimento pensione/retribuzione è costituito dalle pensioni ai superstiti, per le quali si debbono prospettare i seguenti obiettivi: la parificazione tra uomo e donna, al fine di consentire l'accesso alla pensione di reversibilità a parità di condizioni sia al vedovo che alla vedova; l'erogazione di quote di famiglia maggiorate nei casi di decesso di un genitore con scarsa anzianità contributiva, per cui la pensione ai superstiti sia di importo inadeguato alle esigenze del restante nucleo familiare, specie in mancanza di altri redditi, allorché ne facciano parte minori in età scolare.

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Nel quadro dell'unificazione delle gestioni pensionistiche, da raggiungersi gradualmente mediante la progressiva armonizzazione delle relative norme ed istituti, deve essere adottato un unico criterio di adeguamento automatico di tutte le pensioni del regimi complementari e speciali. Il criterio, sulla base anche di quanto previsto dalla legge 3 giugno 1975, n. 160, dovrà prendere In considerazione i due elementi dell'indice del costo della vita e dell'andamento delle retribuzioni medie contrattuali (eliminazione delle scale mobili anomale).

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Circa la compatibilità tra pensione e altri redditi sono state prospettate due tesi:

basata sul concetto « sinallagmatico • del rapporto previdenziale: al verificarsi del requisiti per la pensione (età pensionabile, invalidità) questa viene liquidata indipendentemente dal fatto che il pensionato lavori: non potrà tuttavia aversi cumulo tra reddito da lavoro ed eventuale integrazione della pensione al trattamento minimo; per le pensioni dl invalidità totale dovrà, peraltro, aversi compatibilità tra pensione e reddito da lavoro;

basata sui riflessi « sociali • del rapporto previdenziale: completa incom-

patibilità tra pensione e reddito da lavoro; Il principio dovrà valere sia per le pensioni di vecchiaia e di anzianità, intese come trattamento di fine lavoro, sia per le pensioni di invalidità (con esclusione delle pensioni di invalidità parziale per le quali l'incolumità dovrebbe Incontrare i limiti).

Nel concetto di reddito ai fini di cui al presente punto 21 dovranno comprendersi sia i redditi da lavoro dipendente, che quelli da lavoro autonomo o da libere professioni. Si pone quindi il problema del raccordo tra anagrafe dei pensionati ed anagrafe fiscale in modo da individuare i soggetti destinatari della norma ed i redditi in questione.

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Un equo sistema di pensioni di previdenza sociale non può prescindere da un collaterale sistema di assistenza economica permanente, che tuteli I soggetti privi di redditi ed inabili al proficuo lavoro non compresi nel normale circuito previdenziale. Si ritiene che il modello da prendere in considerazione per questi casi possa essere individuato nell'attuale pensione sociale ai cittadini ultrasessantacinquenni, i cui criteri, con le diversità richieste dalla specificità degli interventi, potrebbero essere estesi alle categorie dei ciechi civili, dei sordomuti, dei mutilati ed invalidi civili — che già fruiscano di analogo trattameno — e, più in generale, a tutti i cittadini inabili e sprovvisti di reddito.

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Per riequilibrare la situazione normativa e retributiva non sono sufficienti interventi correttivi delle anomalie in atto, ma è necessario dotarsi di strumenti e procedure adeguate ad ovitare II ricostituirsi delle sperequazioni e storture lamentate.

In, primo luogo il Parlamento, l'autorità di Governo competente in materia di politica economica generale, l'autorità dl Governo competente per la politica del lavoro, l'organo costituzionale con poteri consultivi in materia, debbono assumere opportune responsabilità e iniziative per indirizzare, controllare, determinare ove e quando è necessario la politica delle retribuzioni.

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Va osservato che i pubblici poteri, nella loro attività diretta di datori di lavoro, hanno largamente mancato all'azione di coordinamento e razionalizzazione dei trattamenti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni e dei settori pubblici dell'economia. Da ciò deriva, oltre alla necessità di nuove norme di procedura e di indirizzo per l'impiego pubblico, l'esigenza di un unico centro di gestione del-

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C. Gli aspetti istituzionali della politica delle retribuzioni
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la politica retributiva nei settori pubblici, anche se le rispettive responsabilità possono essere graduate ai diversi livelli.

Parlamento, approvando I programmi governativi, oltre a dare iI consenso agli indirizzi di fondo della politica retributiva, potrebbe seguirne lo svolgimento nella fase di attuazione con specifici strumenti, ad esempio riservando la competenza della materia retributiva ad apposita Commissione. La istituzione di tale commissione servirebbe ad ovviare all'attuale situazione dl frammentazione delle competenze In tale materia fra le varie commissioni permanenti. Non sl tratterebbe di un organo di tipo bicamerale ma di distinte commissioni nell'ambito delle due Camere.

Un nuovo operare organico degli organi legislativi impone, altresì, come già sottolineato, l'abbandono della pratica delle • leggine » per regolare particolari aspetti o settori del pubblico impiego.

A livello governativo dovrebbe essere costituita una unica autorità, anche collegiale, dotata del potere di negoziazione con I sindacati dei lavoratori dello Stato e degli enti pubblici nazionali, e con il potere di indirizzo, controllo e coordinamento della politica retributiva delle regioni, province, comuni ed aziende collegate. Una politica retributiva nazionale e finalizzata a determinati obiettivi comuni di politica economico-sociale, anche per le dimensioni ragguardevoli dell'impiego pubblico, ha l'effetto di Influenzare e condizionare anche i trattamenti dell'impiego privato, invertendo la tendenza in atto ed omogeneizzando i due settori.

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Per quanto attiene al settore privato, i pubblici poteri non hanno compiti diretti di gestione del trattamenti, essendo questa funzione riservata alle organizzazioni sindacali del lavoratori e dei datori di lavoro. Ma I pubblici poteri dovrebbero poter disporre di qualcosa di più incisivo dei semplici « poteri raccomandatori », che sovente possono essere ininfluenti sulla attività contrattuale delle parti sociali. In primo luogo va lamentata la mancanza della definizione periodica di un quadro generale di riferimento dello andamento economico, in cui possa inserirsi in modo compatibile la politica salariale generale del settori pubblici e del settori privati.

La definizione di tale quadro da parte del Governo, con la collaborazione del Cnel, in cui sono parte determinante le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro, potrebbe essere un incentivo a comportamenti contrattuali coerenti. Il Cnel potrebbe inoltre fornire indicazioni sulle linee di politica retributiva sia con riferimento all'intero sistema economico sia a particolari settori.

pubblica autorità In materia di conflitti di lavoro. Nella situazione attuale esiste solo • un potere politico • di mediazione, che può essere disatteso, poiché trattative di grande Interesse economico e sociale possono essere concluse senza intervento alcuno dell'autorità pubblica.

E' una materia meritevole di riflessione. Sembrerebbe utile che si instaurasse una prassi volta a far conoscere alla pubblica autorità, da parte dei titolari della negoziazione, dati e notizie tempestive sull'andamento delle contrattazioni di più rilevante interesse, in modo da consentire eventuali interventi e anche di disporre inchieste per appurare i necessari dati di riferimento e dare ie valutazioni opportune, senza condizionare d'autorità i risultati del negoziato, lasciato in ultima istanza alla responsabilità delle parti, ma attuando un potere nuovo di indirizzo.

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L'insufficiente azione di indirizzo di intervento del pubblico potere è stata determinata anche dalla scarsa frammentaria conoscenza della complessa realtà dei trattamenti normativi retributivi. Lo ha ben evidenziato la attività della Commissione. Questa esigenza conoscitiva potrebbe essere soddisfatta per l'avvenire con tre ordini di iniziative parlamentari: disponendo II deposito dei contratti ed accordi presso un apposito organismo pubblico incaricato dl esaminare I risultati delle negoziazioni e rendere pubbliche le proprie valutazioni; prescrivendo a tutte le aziende ed enti, pubblici e privati, tenuti alla pubblicazione del bilancio o rendiconto annuale, di allegare al documento di bilancio li prospetto delle retribuzioni, sotto qualsiasi voce erogata, del personale direttivo, poiché è in questa categoria che si verificano i maggiori scostamenti fra trattamenti contrattuali e trattamenti personali e perciò si hanno i minori elementi di conoscenza delle situazioni reali; decidendo dl rendere triennale una rilevazione sulle retribuzioni quale la Commissione ha sperimentato con l'Istat per la sua inchiesta, come relazione periodica del Parlamento sullo stato delle retribuzioni e possibilmente del redditi.

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Deve poi essere chiarito l'ambito del poteri e delle competenze della

La Commissione nella sua inchiesta, oltre ad aver accertato che determinati trattamenti normativi e retributivi non Incentivano la ricerca di determinate occupazioni, soprattutto di tipo operaio, ha anche appurato che molti altri aspetti del lavoro, come le condizioni ambientali, l'organizzazione la qualità del lavoro, le difficoltà di promozione sul lavoro, ecc., sono fattori disincentivanti. Il risultato è la forbice fra disponibilità di posti di lavoro non occupati e crescente disoccupazione, soprattutto giovanile. Per questo i pubblici poteri non possono non assumersi un impegno specifico anche nel campo del miglioramento delle condizioni di lavoro. Questo im-

pegno, che comporta un'attività permanente e di lungo periodo, potrebbe essere assolto anche in base alla esperienza di altri paesi da un organismo specializzato con compiti di studio, ricerca, informazione e sperimentazione nel campo del miglioramento delle condizioni di lavoro, della qualità del lavoro, della promozione dei lavoratori e del miglioramento della produttività.

D. L'azione e la responsabilità delle associazioni sindacali

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Per molte delle Iniziative proposte è necessaria l'adesione e la cooperazione delle associazioni sindacali. In altri casi è auspicabile l'iniziativa autonoma di chi ha la titolarità dei poteri negoziali non tanto per modificare norme che mancano, quanto comportamenti e prassi che hanno portato a risultati anomali o contraddittori rispetto agli esiti Ipotizzati e desiderati dagli stessi protagonisti. Ciò si è verificato per taluni aspetti della contrattazione integrativa che, nella sua attuazione, perde a volte le originarie caratteriétiche contribuendo a infirmare il senso è a stravolgere le linee della contrattazione nazionale, con alterazioni in sede aziendale di Istituti regolati in sede nazionale, con la creazione oppure la sopravvivenía di istituti di caràttere salariale, normativo, previdenziale che contrastano con gli indirizzi contrattuali più generali, e a volte li snaturano. La Commistione ritiene che il medesimo problema vada posto agli amministratori pubblici, giacché in troppi enti ed aziende da loro dipendenti si è riscontrata una proliferazione di voci e provvidenze ad hoc ., oppure (o anche) la creazione surrettizia di nuovi diritti di comodo, non giustificati e tali da creare aspettative distorte e spinte corporative tra i dipendenti.

La Commissione, senza entrare nel merito dei contenuti, ma facendo presente l'esigenza di realizzare una politica normativa e retributiva, chiara ed equilibrata, ritiene giusto ed auspicabile che le organizzazioni sindacali, nella loro autonomia, e anche per evitare interventi correttivi dall'esterno, prendano tutte le iniziative necessarie a perseguire tale obiettivo.

Si dà un sostanziale contributo a ciò, tra l'altro, evitando appiattimenti salariali che scoraggino il miglioramento professionale, incidendo così negativamente sulla produttività; evitando differenziazioni settoriali e aziendali di trattamento non giustificate da criteri obiettivi di razionale utilizzazione della forza-lavoro in relazione ai suoi livelli professionali; riportando ad una più equa correlazione salari e trattamenti previdenziali.

I sindacati sono i più interessati a riequilibrare una situazione appesantita da ingiustizie e da posizioni parassitarie, carica di tensioni e di rischi, elemento di freno ad un effettivo miglioramento del mondo del lavoro, soprattutto nelle sue componenti meno favorite e più deboli. Ciò risponde non solo agli interessi immediati delle classi lavoratrici, ma all'interesse più generale della comunità nazionale.

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Relazione di Lettieri al Direttivo Nazionale

Costo del lavoro, sviluppo e occupazione (sintesi)

La FLM si dichiara contraria a una nuova fiscalizzazione degli oneri sociali riproposta recentemente dal ministro Ossola. Sul terreno del costo del lavoro i lavoratori hanno assunto la loro parte di responsabilità; sia con l'accordo interconfederale sia in sede di contrattazione, ma da parte del governo e del padronato non vi è stato nessun serio impegno per un reale contenimento dei prezzi e per la difesa dell'occupazione.

La tendenza alla stagnazione produttiva che si delinea per l'autunno e per tutto il '78, se non viene rapidamente corretta attraverso il rilancio degli investimenti pubblici, comporterà, insieme, una riduzione dell'occupazione, un aumento del costo medio del lavoro per unità di prodotto derivante da una minore utilizzazione dei fattori produttivi. La FLM conferma invece la necessità di attuare in modo programmatico una revisione della struttura del costo del lavoro per ridurre il peso degli oneri sociali, che è il più alto d'Europa e agisce come una tassa contro l'occupazione. Una ristrutturazione radicale del costo del lavoro implica una manovra fiscale programmata basata su una contestualità di tempi della lotta all'evasione e dell'allargamento dell'area di imposizione sui redditi da capitale e sui beni patrimoniali. Si rende così possibile una progressiva fiscalizzazione di una parte di oneri sociali che può essere almeno una prima fase selettiva e finalizzata all'aumento dell'occupazione (con programmi di riconversione, riduzione del costo di lavoro per diversa utilizzazione degli impianti e aumento dell'occupazione, in primo luogo giovanile).

La FLM chiede lo spostamento consistente verso l'alto del tetto di 6-8 milioni ai quali oggi viene congelata al 50% e interamente l'aumento della contingenza.

Risultati della Commissione d'indagine sulla giungla retributiva

Pur non essendo noti nella loro completezza, gli elementi che conosciamo indicano che il lavoro fatto è importante e significativo. Diversa è la valutazione sulle conclusioni della Commissione: su queste il nostro giudizio, come vedremo, non può non essere su alcuni punti di riserva su altri — e fondamentali — di netta opposizione, nella misura in cui si prevede di intaccare i principi e la pratica della libertà di contrattazione e dell'autonomia stessa del sindacato.

Va detto innanzitutto che dobbiamo respingere un approccio scandalistico e qualunquistico a questo tema come ce lo propone una certa stampa: dobbiamo diradare il polverone che tende a fare di ogni erba un fascio e a mettere tutti nello stesso sacco, confondendo e capovolgendo le responsabilità.

L'indagine fornisce una conferma sistematica di aree diffuse di privilegi, di vere e proprie rendite corporative, di stridenti diseguaglianze sia retributive che di tratta-

menti normativi. Dall'indagine emerge anche il dato di una vasta area di retribuzioni sostanzialmente basse nei settori produttivi e del pubblico impiego a fronte di medie e di punte retributive ingiustificatamente elevate in settori terziari, quando non decisamente clientelari e pa r a ss itar i.

Il reddito medio dei dipendenti dello Stato (esclusi i magistrati) era nel 1976 dell'ordine di 4 milioni o inferiori; quello dei dipendenti delle aziende autonome (FF.SS., Poste, Monopoli, Telefoni) di 4,2 milioni; quello dei dipendenti dei comuni di 3,9. Medie più alte e con scarti maggiori da 4,6 a 5,3 milioni annui si registrano negli enti pubblici di previdenza e assistenza (INPS, INAM, INAIL, ecc.).

Trattamenti disomogenei e in larga misura ingiustificati vengono rilevati tra i dipendenti di organi costituzionali e nel settore creditizio e assicurativo. Nelle Regioni le medie retributive variano da un minimo di 3,5 milioni a un massimo di 7,1: una variazione del 100% con aspetti paradossali in quanto le punte più alte si registrano nel Mezzogiorno e nelle isole (più di 6 milioni in Puglia e Campania, oltre 7 in Sardegna).

Tra i bancari il personale ausiliario e i commessi hanno un reddito da 5,5 a 9 milioni, gli impiegati da 6 a 11, i funzionari da 11,5 a 22,6 fino all'alta dirigenza con stipendi da 100 a 150 milioni.

In linea generale l'inchiesta non ci rivela fatti sconosciuti, ma piuttosto conferma ed illumina quelle aree di profonda diseguaglianZa retributiva e normativa che sono il riflesso per un verso di un sistema economico che ha al suo interno zone riconosciute e esplicitamente alimentate di rendita, come è il caso del sistema creditizio, per altro verso di zone franche dove operano enti pubblici la cui struttura retributiva sfugge a qualsiasi criterio economico e a quel controllo sociale che caratterizza sempre i risultati di un rapporto dialettico tra le parti che in essi manca, prevalendo una linea clientelare e parassitaria.

In effetti la novità non è nella conferma di alcuni dati scandalosi di diseguaglianze che l'inchiesta mette a fuoco, ma che non ci erano sconosciuti. La vera novità è costituita dall'emergere di un'ampia area che investe la grande massa dei lavoratori dipendenti che si presenta largamente omogenea e perequata. Ci riferiamo all'area industriale e in particolare al settore operaio.

L'indagine analizza la situazione retributiva di 20 aziende manifatturiere medio-grandi. Se osserviamo il settore operaio ne viene fuori una immagine di grande unitarietà.

L'escursione parametrale minima delle retribuzioni di fatto è 100-110; la massima 100-156. Se guardiamo alle 12 aziende metalmeccaniche prese in considerazione (Zanussi, Italcantieri, Italsider, Cogne, Breda, FIAT, Alfa, Sit-Siemens, Olivetti, IBM, Falck, Tosi) questo dato di unità e di perequazione emerge con grande

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evidenza se osserviamo in particolare i dati delle due più grandi aziende metalmeccaniche del paese, FIAT e Italsider, caratterizzate anche dal fatto che in esse si è esercitata al massimo grado negli ultimi 10 anni l'iniziativa sindacale aziendale, il salario operaio si presenta con queste caratteristiche. Gli scarti parametrali sulle retribuzioni di fatto sono 100-118 alla Italsider, 100-136 alla FIAT. Il primo dato è il più basso di tutte le aziende metalmeccaniche considerate; il secondo piuttosto vicino alla media. In sostanza alla FIAT l'escursione parametrale dei salari di fatto rispecchia quella prevista per il salario base del contratto nazionale. Il dato Italsider è invece caratteristico di una azienda con un'organizzazione del lavoro e con una struttura delle qualifiche profondamente diverse. Con l'accordo sulle qualifiche del 1970 all'Italsider fu abolita la job evaluation, fu introdotto per la prima volta l'inquadramento unico e impostata una linea di professionalizzazione collettiva tendente a una qualifica operaia unica: su queste basi oggi oltre il 70% degli operai è inquadrato nel 4° e 5° livello. La compressione della scala parametrale corrisponde in questo caso a un intervento radicale del sindacato sul sistema di classificazione in rapporto con l'organizzazione del lavoro. Ma vi è un altro dato di grande interesse: tanto la FIAT quanto all'Italsider lo scarto retributivo massimo fra gli operai è 100-145. E' una coincidenza certamente casuale, ma significativa: essa indica che il sindacato non ha solo operato una perequazione nei parametri formali, ma che siamo in presenza di un pieno controllo del salario di fatto; le differenze retributive tra un lavoratore e l'altro sono quelle determinate dalla qualifica e dalla anzianità, oltre che da specifiche indennità (per es. lavoro in linea, turni) regolarmente contrattati. La situazione che emerge nel settore degli impiegati è contraddittoria, talvolta sperequata, quasi sempre non controllata. La politica perequativa ha avvicinato le medie retributive degli operai e degli impiegati: lo scarto parametrale fra le due categorie alle massime frequenze, cioè fra i due livelli con il maggiore addensamento relativo è 119 alla FIAT e 144 all'Italsider: Si tratta di differenziali molto contenuti, ma lo scarto parametrale per le retribuzioni di fatto fra livello (operai) e massimo (impiegati) risulta 201 all'Italsider (vicino cioè all'impostazione contrattuale) 296 alla FIAT, 343 alla Olivetti. L'ampiezza di questi ultimi divari dipende dal fatto che le aziende con lo strumento apertamente dichiarato degli aumenti di merito sfuggono al controllo sindacale delle retribuzioni di fatto. Ma il dato più rilevante è costituito dalle sperequazioni che si registrano all'interno stesso della categoria degli impiegati. Mentre, infatti lo scarto retributivo massimo tra gli operai è, come abbiamo visto, all'Italsider e alla FIAT 145, tra gli impiegati è rispettivamente 338 e 355. Significativo è anche lo scarto all'interno dello stesso livello di qualifica che sempre nelle due aziende considerate risulta rispettivamente 205 e 177.

La conclusione che se ne deve trarre è che la politica Padronale non solo tende a dividere operai e impiegati ma più specificamente gli impiegati tra di loro mediante l'uso discriminatorio delle qualifiche e degli aumenti di merito che si somma agli effetti distorcenti degli scatti di anzianità, in virtù dei quali si accumulano elevate differenze retributive tra gli impiegati della stessa qualifica. Questa politica è teorizzata alle imprese come strumento di controllo sull'organizzazione del lavoro: in realtà si tratta di una politica di divisione che non

risponde a criteri di valorizzazione professionale, ma piuttosto ai tradizionali principi di gerarchia e subordinazione. Di qui la necessità di una politica del sindacato più attenta ai problemi e alle contraddizioni presenti nel settore degli impiegati, al cui interno permangono sperequazioni e diseguaglianze ingiustificate, coperte dalla comune appartenenza a una categoria istituzionalmente divisa dagli operai, ma nell'insieme non meno colpita da un'organizzazione del lavoro dequalificante, da deresponsabilizzazione e dallo spreco di capacità professionali. Ma torneremo più avanti su questo punto.

Le conclusioni politiche dell'indagine

La commissione d'indagine riconosce che il settore industriale si presenta nell'insieme come il più perequato (anzi ne critica quello che considera un accentuato egualitarismo). Ma la Commissione non coglie le profonde trasformazioni compiute nel vasto campo del lavoro industriale e in particolare operaio. Se le cogliesse, dovrebbe riconoscere apertamente che questa situazione di perequazione e uguaglianza non è l'opera di forze naturali agenti nei rapporti industriali ma il risultato coerente di una strategia sindacale che ha puntato con particolare vigore negli ultimi dieci anni a una linea egualitaria, alla lotta alla monetizzazione della nocività, al controllo del salario di fatto e alla sua trasparenza, all'unificazione dei trattamenti normativi (orario, ferie, contingenza, malattia, pensioni); dovrebbe riconoscere che questo risultato è stato possibile solo attraverso l'esercizio combinato di tre livelli contrattuali; confederale, di categoria, articolata a livello aziendale.

La polemica moderata contro la contrattazione articolata come fonte di sperequazione esce clamorosamente sconfitta dai dati dell'indagine. Se disparità e incongruenze permangono è proprio dove la contrattazione articolata non è riuscita a operare sino in fondo, dove le aziende riescono a sfuggire a un pieno controllo sindacale, vale a dire nel settore impiegatizio.

In assenza di questa presa d'atto sul ruolo decisivo svolto dal movimento sindacale unitario nei settori dove esso è più forte, a partire dall'industria, le conclusioni della Commissione Coppo propongono oggettivamente, al di là delle finalità addotte, una linea di attacco al potere sindacale, alla libera contrattazione fra le parti sociali, all'autonomia stessa del sindacato.

La Commissione propone due ordini di intervento rispettivamente per l'impiego pubblico e per l'impiego privato. Per il primo si propone una legge-quadro per la parte normativa dei diversi contratti, la fissazione di minimi e massimi retributivi, l'intervento preventivo del Parlamento nella fissazione dei limiti di spesa e dei criteri direttivi. L'insieme di questi vincoli dovrebbe estendersi dalla Pubblica Amministrazione fino alle aziende a PP.SS. entrando così nel cuore del lavoro industriale. Si tratta irb sostanza di limitazioni e vincoli che configurano una politica dei redditi non dichiarata, che riducono l'area della contrattazione degli aspettinormativi e vincolano quella retributiva a compatibilità predeterminate, con una riduzione netta del ruolo del sindacato a esecutore di politiche fissate all'esterno dall'organizzazione. Ma questa linea di compressione dell'autonomia del sindacato e dei suoi stessi fondamenti democratici appare con ancora maggiore evidenza

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a proposito delle innovazioni che la Commissione propone per l'impiego privato.

La Commissione propone, infatti, di trasferire alla legge istituti normativi che hanno costituito da sempre il centro della contrattazione sindacale, in particolare: orario di lavoro, ferie, scatti, indennità di anzianità, composizione della retribuzione. Vale la pena di ricordare che istituti come l'orario di lavoro sono sempre stati oggetto di norme legislative; la legge prevede oggi un orario di lavoro massimo di 48 ore. Ma la legge in queste materie ha inteso costituire una tutela minima per i lavoratori. E' poi sempre spettato al rapporto fra le parti, alla libera contrattazione, stabilire norme di miglior favore.

La novità della proposta è che la legge divenga sostitutiva della contrattazione fra le parti. Tutta un'area sulla quale è cresciuto, direi è nato molto spesso, il sindacato, come è il caso delle storiche lotte per la riduzione dell'orario di lavoro o per l'aumento delle ferie, verrebbe sottratta al potere contrattuale e all'autonomia del sindacato e trasferito nell'area del potere legislativo. Non si tratterebbe di ricondurre nella legge le conquiste sindacali adeguando la vecchia legislazione e creando nuovi livelli minimi di garanzia per i lavoratori. Per fare un esempio, secondo le conclusioni della Commissione, una volta fissate le 40 ore per legge la piattaforma dei metalmeccanici del 1972 per l'abbassamento dell'orario a 38 ore nel settore siderurgico sarebbe stato illegittimo, come illegittimo sarebbe la richiesta di aumento di ferie dopo la 4a settimana, e così via. Le conclusioni della Commissione sono a questo riguardo estremamente esplicite: "gli istituti regolati per legge o per accordi interconfederali non sono suscettibili di deroghe o interpretazioni migliorative a livello articolato". Sulla base di questa linea non solo non sarebbero state possibili le piattaforme, le lotte, le conquiste sindacali più significative, ma si liquida dal punto di vista istituzionale il compito storico fondamentale del sindacato: esprimere i nuovi livelli di bisogni sociali, modificare i rapporti industriali trasformando in progresso sociale la crescita delle forze produttive, della tecnologia, della scienza; forzare con le sue rivendicazioni questa crescita.

Se gli aspetti normativi fondamentali vengono sottratti alla contrattazione sindacale, per la politica salariale si propone: a) un potere "più incisivo" (non solo quello di raccomandazione) degli organi di governo nella fase del negoziato; b) la definizione di un quadro di compatibilità preventivo fra rivendicazione salariale e politica economica: l'ipotesi è di affidare un ruolo in questa direzione al CNEL che condizioni"a monte" l'elaborazione delle piattaforme; c) il deposito di contratti ed accordi presso un apposito organismo che rende pubbliche le proprie valutazioni. Si combinano in questo modo un insieme di interventi esterni al sindacato sulle piattaforme, nella fase negoziale e, infine, sulle conclusioni del negoziato. Si configura così un sostanziale ingabbiamento nel quale il sindacato diventa organo di gestione della politica statale più che momento autonomo, dialettico, nella definizione della politica economica e sociale. Ed è in definitiva il ruolo stesso del sindacato, come espressione diretta, autonoma, democratica di una classe sociale, che viene messo radicalmente in discussione, e con esso la fisionomia stessa di una società che si vuole democratica e pluralistica. Non si può passare sotto silenzio una proposta che riguarda il regime delle pensioni, a proposito del quale

la Commissione auspica "meccanismi che incoraggino un'ulteriore permanenza dei lavoratori nell'occupazione". In un "primo tempo" l'età minima pensionabile dovrebbe essere unificata a 60 anni predisponendo meccanismi per la sua elevazione a 65. Con questa ottica si avanzano due proposte: per ogni anno di anticipazione del pensionamento al di sotto di 60 anni una decurtazione del 4-5% del trattamento oggi previsto; per ogni anno di permanenza oltre i 60 anni un aumento del trattamento fino al 90 per cento della retribuzione.

Si tratta indubbiamente di una linea paradossale ed inaccettabile che stride violentemente con l'enorme problema della disoccupazione giovanile, e che contrasta con le nuove tendenze che si profilano negli altri paesi.

A noi sembra, in conclusione, al di là dei singoli aspetti, che la proposta conclusiva invece di puntare al disboscamento della giungla laddove esiste a ridurre i privilegi e le diseguaglianze più clamorose, invece di indicare, per esempio, un limite per le retribuzioni di quanti hanno un rappcirto con l'apparato o il capitale pubblico (dirigenti di azienda, imprese, banche, e PP.SS.); invece di proposte che avrebbero un carattere di esemplare moralizzazione ín una fase in cui si chiede austerità al settore dei lavoratori produttivi; invece che a tutto questo, la Commissione punta alla riduzione del potere contrattuale del sindacato proprio laddove questo ha operato con efficacia per combattere le sperequazioni, per introdurre elementi fondamentali di eguaglianza, di giustizia sociale, di partecipazione e controllo dal basso, di democrazia.

Noi crediamo che questa linea vada fermamente respinta. E proponiamo, prima che il Parlamento discuta le proposte conclusive della Commissione Coppo: a) un immediato confronto nel movimento sindacale sui risultati dell'inchiesta e sulle sue conclusioni politiche; b) un intervento della Federazione CGIL-CISL-UIL sul Parlamento, nei suoi massimi organi, per esprimere il giudizio del sindacato e la netta opposizione a uno stravolgimento dei rapporti fra intervento legislativo, potere e autonomia contrattuale del sindacato.

La riforma del salario

Il rilancio della strategia sindacale sul tema del salario non può non partire da alcuni punti fermi: a) riaffermazione e sviluppo del principio di uguaglianza; b) collegamento della politica retributiva alla nuova strategia delle qualifiche, delle professionalità, della modifica dell'organizzazione del lavoro, della lotta alla divisione sociale del lavoro; c) la riconferma dell'intreccio e dell'autonomia dei tre fondamentali livelli di contrattazione: confederale, di categoria a livello nazionale, integrativa a livello aziendale. In realtà, senza la contrattazione integrativa e la sua piena valorizzazione non sarebbe stata possibile né la lotta per la perequazione e il controllo dei salari di fatto, e per questa via la sottrazione al padrone di un potere unilaterale e discriminatorio di amministrazione del monte-salario, né il collegamento tra salario, qualifiche e intervento sull'organizzazione del lavoro.

Per il rilancio di questa strategia abbiamo bisogno di un intenso lavoro di verifica che ci indichi i passi in avanti ma anche le carenze e i vuoti spesso gravi della nostra

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esperienza. Questo lavoro di verifica ed elaborazione non è rinviabile per un insieme di ragioni: a) in primo luogo siamo in presenza di proposte di intervento dei pubblici poteri e la nostra risposta non può essere solo di principio; dobbiamo dare contenuti propositivi, rivendicativi, di lotta, alla nostra linea. E deve trattarsi di una linea unificante non solo rispetto a tutta l'industria, ma capace di investire il pubblico impiego anche se con le necessarie articolazioni di contenuto, di controparti e quindi di metodi di intervento; b) dobbiamo avviare le verifiche necessarie e l'elaborazione delle ipotesi sulle quali dovremo costruire, a partire dal prossimo inverno, le piattaforme per il rinnovo del contratto nazionale; c) dobbiamo elaborare un'ipotesi per la riparametrazione il cui impegno è fissato nel contratto nazionale e che viene a scadenza entro il '78; d) dobbiamo, infine, dar corso a quell'apertura di dibattito e confronto a livello di massa per la costruzione di una linea e di una piattaforma su istituti come gli scatti e l'indennità di anzianità che abbiamo rinviato dal contratto di categoria a una vertenza interconfederale.

Si tratta di problemi che non possono essere risolti né con una delega ai pubblici poteri (proposta della Commissione Coppo), né con un'assunzione di delega da parte del vertice sindacale. Abbiamo la necessità di costruire una piattaforma a livello di massa con la più ampia partecipazione dei lavoratori e col confronto fra le diverse categorie. Questa è infatti la condizione per una vertenza sulla struttura del salario che dia soluzioni unificanti senza far ricadere su singole categorie problemi che esigono soluzioni generali unitarie.

In conclusione abbiamo l'esigenza di definire un quadro di riferimento unico sul quale innestare i diversi momenti di iniziativa. Dobbiamo perciò ridefinire l'asse strategico, l'idea-forza che sorregge l'insieme della strategia sindacale sul salario nel quadro di una chiara visione del suo rapporto con l'organizzazione del lavoro e il mercato del lavoro. Da questo punto di vista s'impone l'esigenza di una riflessione sistematica sulla nostra strategia rispetto al salario e alle qualifiche culminata nel '72-'73 con la rivendicazione e la conquista dell'inquadramento unico.

L'inquadramento unico fu innovazione profonda di principio su una ideologia e una pratica di divisione sociale del lavoro fissata nella tradizione, nei contratti, nella legge. Il principio che presiedeva a questa rivendicazione era quello dell'avvio del superamento della divisione sociale del lavoro e delle discriminazioni chevi sono connesse.

Sono obiettivi che qualificano una intera epoca sociale e che non si conquistano con un contratto di lavoro; questo esprime solo i livelli concreti dei rapporti di forza in un momento storico dato.

Nel 1973 col contratto dei metalmeccanici, come prima negli accordi di alcune importanti aziende, passò in sostanza un principio che sintetizzava esperienza e mutamenti che erano già maturati nelle lotte del dopo '68:

il concetto di professionalità come un dato dinamico, la qualifica come espressione di un processo di professionalizzazione, non come registrazione statica di un'attribuzione di mansioni e di una organizzazione del lavoro neutrale;

l'intreccio fra dinamica della professionalità delle qualifiche, e della lotta per modificare l'organizzazione

del lavoro e quindi la linea dell'innalzamento collettivo del livello di qualifica (tendenza a una qualifica unica nel tradizionale lavoro operaio), come processo dinamico reale e non come riflesso di semplici automatismi salariali;

l'abbattimento dei confini fra lavoro operaio e impiegatizio realizzato nel concetto dei metalmeccanici con l'allineamento al 5° livello di operai professionali e impiegati della vecchia 2a categoria che nella tradizione erano sovraordinati gerarchicamente a tutto l'inquadramento degli operai.

Ma la rottura operata rispetto al passato con la conquista dell'inquadramento unico non può oscurare il fatto che esso convive con una linea di diseguaglianze sia retributive, a parità di qualifica professionale, sia e più ancora normative. Vogliamo dire che la politica di inquadramento unico come linea di attacco alla divisione del lavoro e di unità del movimento entra in una fase di stallo, se non siamo in grado di rilanciare una battaglia di fondo che aggredisca le divisioni dall'origine, a partire cioè dalla divisione istituzionale fra lavoro operaio e impiegatizio che trova la sua origine nella vecchia legge sull'impiego privato del 1924, prima ancora che nei contratti.

Oggi la divisione istituzionale fra operai e impiegati non ha più alcun fondamento né nell'organizzazione del lavoro né nel mercato del lavoro. La sua giustificazione ormai è solo di tipo ideologico, come ribadimento di una stratificazione sociale tendente a mantenere la divisione tra le classi lavoratrici. La distinzione fra un lavoro puramente esecutivo, operaio, e un lavoro che si presume di collaborazione degli impiegati con l'imprenditore è ormai una pura mistificazione, se si considera, da una parte, la massificazione e la parcellizzazione del lavoro impiegatizio, dall'altra, la requisizione del potere reale di decisione al vertice della gerarchia aziendale dove accede uno strato molto esiguo di dirigenti.

In realtà la distinzione fra operai e impiegati, se non è stata mai fondata teoricamente e giuridicamente in termini plausibili, oggi appare a occhio nudo priva di qualsiasi fondamento che non sia quello di una ideologia classista tesa a contrapporre i lavoratori, ordinando un sistema di gerarchie formali che contraddice lo stesso processo di cambiamento delle tecnologie produttive e della organizzazione del lavoro. Se ci si attenesse alla legge e si rinunciasse a quelle funzioni di controllo e anche di programmazione della produzione che sempre più frequentemente vengono assegnate agli operai individualmente o collettivamente considerate, molti reparti e forse molte fabbriche dovrebbero fermare la loro attività.

L'ipotesi di un cieco lavoro esecutivo senza un contributo formale o sostanziale al processo produttivo è fuori dalla realtà tecnologica e organizzativa. Se la distinzione fra operai e impiegati non ha alcuna giustificazione oggettiva, anzi risulta vistosamente contraddetta dalla concreta organizzazione del lavoro, ancor meno ne trova nel mercato del lavoro, dove si presentano masse crescenti di giovani con livelli di istruzione sempre più alti, dove il titolo d'obbligo minimo coincide con 8 anni di scolarizzazione, dove la maggioranza è dotata di un diploma.

Una testimonianza diretta di questo profondo mutamento nel mercato del lavoro l'abbiamo avuta con l'iscrizione dei giovani disoccupati nelle liste speciali di collocamento. Nel momento in cui il 60% di questi

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giovani, indipendentemente dal titolo di studio, che è spesso il diploma e in taluni casi la laurea, si dichiara disponibile ad un lavoro produttivo, attraverso i contratti formazione-lavoro, diventa macroscopicamente arbitraria la distinzione istituzionale fra operai e impiegati che tende a penalizzare proprio quei giovani disponibili a un lavoro direttamente produttivo. E' perciò sulla base di dati oggettivi che noi consideriamo necessario portare avanti l'impegno egualitario del sindacato contro la divisione sociale del lavoro verso nuovi modelli di organizzazione del lavoro e per fare avanzare l'unità del movimento. In questo contesto riteniamo che l'iniziativa sindacale debba articolarsi su più livelli.

Da un punto di vista istituzionale dobbiamo rivendicare una riforma legislativa che superi le distinzioni fissate dalla legge fra operai e impiegati. Dobbiamo dispiegare in questa direzione il massimo impegno verso le forze politiche e culturali.

A livello contrattuale dobbiamo superare tutte le norme che differenziano attualmente le due categorie di lavoratori, costruendo una figura ricomposta di lavoratore lungo una scala ordinata secondo valori professionali. E' nel quadro di questa strategia di riunificazione e di perequazione che si impongono i problemi della ristrutturazione del salario, sia dal punto di vista di istituti contrattuali differenziati come gli scatti periodici di anzianità e l'indennità di anzianità, sia la revisione della scala parametrale.

Come metalmeccanici, dovremo prepararci a due scadenze importanti del 1978; l'elaborazione della piattaforma per il rinnovo contrattuale e la riparametrazione conseguente al conglobamento di una parte della contingenza nel salario base. E' assolutamente decisivo che arriviamo a queste scadenze avendo prima risolto il problema dell'unificazione di alcuni istituti, come gli scatti e l'indennità di anzianità, che in occasione dell'ultimo rinnovo contrattuale rinviammo ad una vertenza generale interconfederale. Oggi dobbiamo dire con chiarezza: a) che una vertenza generale presuppone una vasta e intensa partecipazione di massa alla elaborazione della sua piattaforma; b) che quest'ultima deve corrispondere non solo all'impegno di una categoria, bensì ad una strategia unica che investa tutta l'industria e, almeno nei suoi criteri fondamentali, il pubblico impiego. Proponiamo perciò di aprire una fase di ricerca, di verifica e di elaborazione sull'insieme di questi problemi sia all'interno della categoria, costituendo a questo fine un'apposita commissione del Direttivo, sia in rapporto con le altre categorie e le Confederazioni.

Il dibattito di merito non partirà tuttavia da zero. Nel corso della preparazione dei congressi sindacali che si sono tenuti in estate molti e importanti contributi sono stati portati sul tema della riforma del salario. Partendo da questi, la Segreteria della FLM vuole offrire non le ipotesi di una piattaforma già definita, ma le linee di ragionamento sulle quali ci sembra opportuno lavorare. La struttura del salario e quella del costo del lavoro che, pur nel loro intreccio, bisogna considerare in modo distinto, devono essere riformate tenendo conto di un duplice obiettivo: lo sviluppo della linea egualitaria fra operai e impiegati, l'ancoraggio della retribuzione a criteri di valorizzazione collettiva della professionalità, il controllo e la trasparenza della retribuzione stessa, l'aumento del salario che direttamente va in busta paga

rispetto al costo del lavoro. E' noto che in Italia su un costo del lavoro fatto uguale a 100 il 30% è mediamente assorbito dagli oneri sociali pagati dal datore di lavoro, ai quali si aggiunge un altro 8% circa (sulla retribuzione lorda) pagato allo stesso titolo dal lavoratore. Questa situazione accentua fortemente la dinamica del costo del lavoro per ogni quota aggiuntiva di salario, riduce lo spazio rivendicativo del sindacato, favorisce il distacco fra lavoro regolare e lavoro nero.

L'aumento della quota del salario diretto sul costo del lavoro globale deve essere ricercato in due direzioni: mediante la fiscalizzazione di almeno un terzo degli oneri sociali che attualmente gravano sui salari, adottando quei criteri di finanziamento di cui abbiamo parlato nella prima parte di questa relazione; attraverso la riduzione di quote di salario indirette e differite a favore del salario diretto mensile.

Per quanto concerne quest'ultimo punto dobbiamo ribadire la linea che la FLM ha cercato di portare avanti, sia pure con risultati difformi, negli accordi aziendali più recenti: vale a dire, il trasferimento nella retribuzione mensile di quote di salario erogate con periodicità diversa, facendo salvo il premio feriale, laddove sia pure sotto titoli diversi esso esiste.

SCATTI DI ANZIANITA'

Per quanto concerne gli scatti di anzianità ci troviamo di fronte ad una vera e propria giungla. Non solo essi sono diversi fra operai e impiegati, ma a seconda delle categorie e dei settori variano per numero, per base di calcolo, per aliquota. Gli impiegati hanno un numero di scatti da 12 a 14 con una aliquota del 5°/a commisurata su paga base e contingenza nel settore industriale; nel pubblico impiego, dove bisogna tener conto di un diverso ordinamento delle carriere, è previsto un numero di scatti biennali praticamente illimitati del 2,5%. Per quanto riguarda gli operai si oscilla tra i trattamenti minimo dei tessili e dei metalmeccanici che prevedono da 2 a 5 scatti con aliquote dell'1,5/2% sulla sola paga base e i trattamenti di altre categorie e settori che vanno da 5 scatti al 5% a una piena parità con gli impiegati. Questa situazione crea disparità assolutamente ingiustificate fra settori, fra operai e impiegati all'interno dello stesso settore, vanifica l'inquadramento unico, poiché a parità di livello professionale la retribuzione può teoricamente variare del 60-70% penalizza infine i lavoratori più giovani.

Le ipotesi che finora sono state avanzate a questo proposito sono fortemente contrastanti. Vi sono proposte di abrogazione: noi riteniamo di dover respingere questa ipotesi, in quanto, entro certi limiti, questo istituto costituisce una tutela per tutti i lavoratori (in primo luogo per quelli rispetto ai quali più debole si presenta l'azione della contrattazione integrativa) e al tempo stesso rappresenta un riconoscimento di una crescita di capacità professionale che non sempre trova sbocco nei meccanismi di mobilità verticale. Vi sono, d'altra parte, proposte come quella avanzata dal CENSIS e dalla Fondazione Agnelli, di "massimizzazione" degli effetti di questo istituto: l'ipotesi è quella di una progressione illimitata di scatti biennali uguali per tutti con una aliquota del 5%. Noi riteniamo che si debba essere nettamente contrari anche a questa ipotesi. Le sue conseguenze sarebbero contradittorie sia con la

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linea di eguaglianza sia con quella di controllo e di governo del salario da parte del sindacato. Infatti un terzo del monte-salario verrebbe assorbito da scatti di anzianità; tra lavoratori dello stesso livello professionale si creerebbero disparità retributive fino al 100 per cento; l'automatizzazione e l'individualizzazione dello sviluppo retributivo, con una riduzione drastica dell'area della contrattazione, vanificherebbe le possibilità di intervento sindacale sul rapporto salario-qualifichemodifiche dell'organizzazione del lavoro. Partendo da queste discriminanti, riteniamo si debba sviluppare una linea di ragionamento che assuma alcune ipotesi già presenti nel dibattito: a) conservare l'istituto con un numero limitato di scatti uguali per tutti, impiegati o operai; il loro numero (si può considerare l'ipotesi di 5 scatti) dovrebbe essere definito tenendo conto della aliquota e della base di riferimento; b) l'istituto dovrebbe riferirsi non all'anzianità di azienda ma alla anzianità di lavoro; ciò implica la costituzione di un Fondo (del tipo assegni familiari) finanziato dalle aziende sulla base del numero dei dipendenti. Si avrebbe così una trasformazione qualitativa dell'istituto che garantirebbe per tutti i lavoratori, operai ed impiegati, il mantenimento dei diritti acquisiti anche in caso di mobilità volontaria o "forzata" da un'azienda all'altra. Inoltre gli scatti, una volta collegati all'anzianità di lavoro, non dovrebbero essere assorbiti nei passaggi di qualifica.

La transizione dal sistema in atto al nuovo sistema pone dei problemi, in particolare per gli impiegati, che possono essere risolti associando alla riforma dell'istituto degli scatti la ristrutturazione dell'attuale scala parametrale. In sede di riparametrazione infatti si dovrebbe ricondurre in paga base un certo numero di scatti già maturati in modo da costruire una nuova scala parametrale più realistica, più rispondente, soprattutto per quanto riguarda gli impiegati, ai valori delle retribuzioni di fatto. A questo proposito vale la pena di fare alcune considerazioni: la scala parametrale formale, riferita cioè alle retribuzioni contrattuali è per noi 100-198; dopo il conglobamento dell'EDR (Elemento Distinto della Retribuzione) lo scarto parametrale si è ridotto a 100-173; se poi consideriamo la somma della paga base e della contingenza maturata al 1 settembre 1977 il ventaglio parametrale si riduce a 100-164. Questi dati indicano, da una parte, un divario eccessivo rispetto alla linea che ci siamo dati in passato di una parametrazione ordinata intorno ai valori 100-200; dall'altra, manifestano un distacco crescente tra la parametrazione contrattata e quella delle retribuzioni di fatto il cui ventaglio, come abbiamo visto più avanti, oscilla da 100-200 a 100-350, testimoniando per le fasce alte di impiegati uno scarso o addirittura inesistente controllo del salario di fatto.

In conclusione, se la riforma degli scatti è vista in questo contesto generale essa può consentire di pervenire ad una ristrutturazione delle retribuzioni che liquidi le grandi sperequazioni oggi esistenti, costruendo al tempo stesso una scala retributiva più realistica, più controllata, più trasparente.

generale l'accantonamento di una mensilità per ogni anno di servizio (e in alcuni settori anche di una mensilità e mezza) un operaio dell'industria con anzianità media di 10 anni ha attualmente diritto mediamente a mezza mensilità per ogni anno di attività. Inoltre si tratta di un istituto in crisi in quanto le somme accantonate, dopo l'accordo con la Confindustria nel gennaio 1977 che ha sganciato l'istituto dalla contingenza, sono rimaste prive di indicizzazione, e quindi interamente esposte all'erosione dell'inflazione.

Vale la pena di ricordare a questo proposito che lo sganciamento dalla contingenza significa per il solo 1977 una mancata rivalutazione di oltre 2.000 miliardi rispetto alle somme accantonate nel solo settore industriale.

Una profonda riforma dell'istituto si rende oggi necessaria sia per le ragioni appena dette, sia perché le motivazioni che ne sono all'origine (in sostanza, un risparmio forzoso di salario come buonauscita al momento del pensionamento originariamente riservata soltanto agli impiegati) sono oggi, almeno in una certa misura, superate dalla conquista per tutti i lavoratori di un regime pensionistico che ragguaglia le pensioni all'80% del salario e le collega nel tempo alla sua dinamica.

Tenendo conto dell'insieme di questi dati riteniamo che l'istituto debba essere riformato sulla base di alcuni criteri ed obiettivi coerenti con la impostazione generale che vogliamo dare alla nostra politica salariale. Se si respinge, come riteniamo di dover respingere l'ipotesi di una pura e semplice abrogazione dell'istituto, la sua riforma può essere ipotizzata lungo le linee seguenti: a) fissazione di un tetto massimo di mensilità accantonate uguale per tutti i lavoratori (operai e impiegati) e per tutti i settori; si può fare l'ipotesi di dieci mensilità che maturano nell'arco della vita lavorativa; b) mutualizzazione dell'istituto sulla base dell'anzianità di lavoro e non di azienda; c) indicizzazione delle somme accantonate; d) disponibilità di quote relative alla somma accantonata da parte del lavoratore, dopo un certo numero di anni di lavoro, in presenza di particolari circostanze (licenziamento, mobilità) o di particolari bisogni; e) trasferimento in paga base di quote residue rispetto al costo attuale di questo istituto, una volta effettuata l'operazione di riforma; f) insieme, o alternativamente, uso di queste eventuali quote residue per migliorare il regime pensionistico.

CONCLUSIONE

L'insieme delle questioni di riforma di cui stiamo discutendo pone indubbiamente una serie di problemi tecnici che vanno affrontati con analisi più dettagliate e ravvicinate rispetto a quelle che qui abbiamo sommariamente svolto, ma prima e al di là delle questioni tecniche, è per noi necessario identificare limpidamente i principi direttivi, i criteri generali, l'idea-forza che deve reggere la nostra strategia di intervento e di modifica della politica salariale.

INDENNITA' DI ANZIANITA'

Anche questo istituto presenta allo stato attuale elementi di diseguaglianza profondi e insieme di crisi. Mentre, come sappiamo, per gli impiegati è previsto in

Questi criteri direttivi abbiamo cercato di identificarli partendo dall'esperienza, dai risultati che abbiamo conseguito soprattutto con le lotte degli ultimi dieci anni. Da questo punto di vista il sindacato non può delegare a nessuna forza esterna, e nemmeno al potere legislativo, problemi e contraddizioni che rimangono aperti ma che possono essere sciolti solo nel quadro di una coerente e autonoma strategia sindacale.

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L'intervento della legge potrà risultare ad un certo punto e per alcuni aspetti necessario, laddove si tratta di modificare leggi esistenti, ma esso non può essere sostitutivo delle responsabilità che spettano in prima persona al sindacato nel governo del salario e dei suoi criteri di distribuzione inteso come uno degli aspetti peculiari della dialettica fra le classi sociali. Perché, infine, il sindacato possa affrontare questioni così complesse e rilevanti per l'insieme dei lavoratori è necessario liberare questi temi dalle strettoie di un puro confronto di vertice per farne oggetto di un vasto e impegnativo dibattito a livello di massa. Non è concepibile una vera vertenza sulla ristrutturazione del salario che non coinvolga l'insieme dei lavoratori, i consigli di fabbrica, i Consigli di Zona.

Dobbiamo essere consapevoli del fatto che al di sotto di molti problemi tecnici e apparentemente astrusi, ciò che è in discussione è il tema generale e decisivo dell'eguaglianza e della unità del movimento. Così come è in

discussione la vecchia divisione sociale del lavoro come tema essenziale del processo di cambiamento della società verso approdi di maggiore giustizia sociale, partecipazione e democrazia. Dobbiamo essere in grado di dare questo respiro strategico culturale ad una battaglia che ha significati politici oltre che sindacali e che si collega infine alla lotta per la piena occupazione e per una nuova qualità del lavoro, nel quadro di quel mutamento dei meccanismi economici e di costruzione di più avanzati rapporti sociali che costituiscono un obiettivo generale del nostro movimento sindacale. E' in questo contesto che dobbiamo assumere l'impegno di promuovere una grande consultazione di massa sulla linea generale che deve reggere l'iniziativa contrattuale sul tema del salario e, al suo interno la definizione, di una piattaforma, dei contenuti, dei tempi e dei modi di una vertenza generale, interconfederale, che affronti e risolva unitariamente i problemi di ristrutturazione della retribuzione comuni a tutti i lavoratori.

Relazione di Caviglioli al Direttivo Nazionale

Equo canone, fisco, occupazione giovanile (sintesi)

I mesi prossimi si preannunciano sotto tutti gli aspetti — economici, politici, sociali — gravidi di aspettative, di tensioni, di possibili lacerazioni, tali da mettere ancora a dura prova le capacità di iniziativa e direzione del movimento da parte del sindacato.

L'accordo tra i sei partiti ha aperto una fase indiscutibilmente nuova nel Paese, superando vecchie e pesanti discriminazioni. Ma la capacità di intervento in senso innovativo dell'iniziativa governativa è tutta da verificare. In generale gli interventi di politica economica previsti dall'accordo a sei — tutti ispirati alla lettera di intenti al Fondo Monetario, e quindi inseriti in una politica di stabilizzazione neocapitalistica, restrittivi sui temi creditizi, fiscali e della spesa pubblica — lasciano prevedere per il '77-'78, una stasi della produzione industriale. E poiché la larga parte degli investimenti previsti riguarda soprattutto processi di ristrutturazione, con un aumento del capitale investito per addetti, sono prevedibili ulteriori difficoltà di tenuta dei livelli di occupazione, in aggiunta ai già numerosi punti di crisi aziendali.

Per modificare questa linea di po-

litica economica è necessario oltre ad un ruolo diverso delle aziende a PP.SS. — l'uso di tre leve: politica della casa, politica fiscale, iniziative per l'occupazione giovanile. Nella riforma urbanistica varata ne! dicembre dello scorso anno esistono le premesse affinché regioni e comuni recuperino nuovi spazi di intervento per il riequilibrio delle più vistose distorsioni realizzatesi a livello locale. Ma affinché ciò si dimostri possibile, sono necessarie due condizioni: un controllo dei lavoratori organizzati nella gestione della legge sui suoli, ed una saldatura coerente ed organica tra questa legge e la disciplina dell'equo canone.

Tale coerenza è, allo stato, tutt'altro che scontata. L'ipotesi di introdurre regimi diversificati di equo canone, metterebbe radicalmente in discussione la riforma. Di più: c'è addirittura il rischio che gli oneri previsti dal nuovo regime della concessione per le attività di nuova costruzione come per la ristrutturazione dei vecchi manufatti edilizi, vengano pagati prima dal proprietario e quindi immediatamente scaricati sotto forma di caro-fitto.

La rendita urbana seguiterebbe così ad essere pagata dalla colletti-

vità a favore dei redditi tradizionali. Per evitare tali rischi è necessario innanzi tutto una opposizione dura agli « emendamenti » peggiorativi approvati al Senato su disegno di legge per l'equo canone, nonché a qualunque ipotesi intermedia di compromesso, e la riproposizione delle modifiche elaborate dalla Federazione CGIL-CISL-UIL. Gli emendamenti introdotti al Senato, per altro su una proposta che già non aveva trovato il consenso sindacale, provocherebbero una spinta inflazionistica di difficile controllo, oltre ad un forte trasferimento di reddito dalla massa delle retribuzioni al monte fitti, reso permanente da una ferrea scala mobile e dal rafforzamento della posizione contrattuale dei padroni di casa. Ma ciò non è sufficiente: lo stesso mercato dei fitti non si stabilizzerà senza un programma urgente di rilancio dell'edilizia pubblica e convenzionata, e senza un impegno più deciso dei consigli di zona su tutte le questioni relative alla politica del territorio.

Per quanto concerne l'altra leva la politica economica, quella fiscale, l'obiettivo governativo di una riduzione sensibile del deficit pubblico è gravido di rischi deflazionistici e pone drastiche alternative

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fra un ulteriore aumento della pressione fiscale reale e il taglio di spese pubbliche anche socialmente utili.

Per questo occorre richiedere al Governo un quadro chiaro delle conseguenze di un programma di riequilibrio della finanza pubblica che minaccia di squilibrare in primo luogo il reddito e l'occupazione.

Il riequilibrio della struttura della imposizione fiscale va invece perseguito in primo luogo riducendo le zone di privilegio e contrastando l'evasione fiscale.

Per realizzare una più efficace tutela dei salari già attaccati dall'inflazione ed evitare una massiccia caduta della domanda è inoltre necessario non tassare gli aumenti futuri di contingenza con aliquote lrpef progressivamente crescenti, rivalutare periodicamente le detrazioni per carichi familiari o gli assegni familiari, rimuovere il blocco in atto sugli aumenti di contingenza.

Tutto questo ci riporta al tema centrale di questi mesi: come allargare i livelli attuali di occupazione. Il progetto della FLM sull'occupazione giovanile, è stato punto di riferimento obbligato nel dibattito tra le forze sociali, politiche e il Governo; eppure nel momento in cui l'approvazione della legge ha

spostato l'iniziativa dalla fase del dibattito culturale e politico a 'quella della direzione del movimento, la FLM, a tutti i livelli, ha rischiato di passare la mano, di scomparire. E' un ritardo che va recuperato in fretta per evitare che l'applicazione della legge diventi un momento di gestione burocratica dí una delle fasce più deboli del mercato del lavoro, per creare invece nuove aggregazioni, momenti di controllo e di partecipazione.

I 645.161 giovani iscritti alle liste speciali esprimono oggi una forza politica nuova, dislocata soprattutto nel Sud, scolarizzata e prevalentemente femminile, potenzialmente organizzabile, una componente essenziale per realizzare l'unità di classe.

Ma la legge non crea automaticamente nuova occupazione, soprattutto nei settori più propriamente produttivi, tanto più che l'atteggiamento padronale fa intravvedere una vera e propria azione di sabotaggio.

Una sconfitta su questo terreno, dopo le aspettative createsi in questi mesi, avrebbe ripercussioni gravi sulla credibilità del sindacato sulla sua capacità di essere espressione degli interessi di tutta la classe, e non solo dei lavoratori occupati. Per questo è indispensabile muovere tutte le leve che producono occupazione e sulle quali c'è possibilità di influenza in tempi relativamente brevi.

A tal fine è necessario rivendicare:

nei confronti dei Governo: un aumento dei fondi stanziati per il '77-'78 previsti in 90 e 380 miliardi, inadeguati a dare incisività alla fase di avvio del piano;

nei confronti delle regioni: un piano di corsi per la formazione professionale, adeguati per qualità e durata delle richieste; la definizione delle procedure per l'individuazione dei progetti a carattere sociale degli enti da sottoporre al CIPE;

nei confronti del padronato: sostenere le rivendicazioni relative al controllo ed aumento degli investimenti, ai piani di ristrutturazione e riconversione; la garanzia del piano trattamento economico e normativo per i giovani assunti: la fine del boicottaggio nei confronti della legge e l'inizio di prime consistenti assunzioni.

È inoltre necessario lanciare una grande campagna per bloccare gli straordinari e i ricorsi al terzo turno, per la lotta al doppio lavoro, per il controllo del decentramento, degli appalti e del lavoro a domicilio. Ciò renderà possibile traccia, re zona per zona una mappa della domanda industriale, così come realizzare un primo censimento della domanda di lavoro giovanile. In tale direzione è indispensabile l'impegno di tutta la FLM, dei Consigli di Zona, della Federazione CGILCISL-UIL per la costituzione delle a leghe unitarie dei disoccupati a.

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LIBRETTO d LAVORO ISCRIZIONE GIOVANI

PER LA RISTRUTTURAZIONE DEL SALARIO CGIL

Documento della V Commissione

Il dibattito, in proposito, ha messo in luce l'esigenza di recuperare i forti ritardi nella gestione della prima parte dei contratti e di avviare un uso dei diritti di informazione, un esame congiunto e di controllo, fortemente finalizzato al perseguimento di obiettivi importanti a livello di comparto, settoriale e intersettoriale, sul piano degli investimenti, dei programmi di riconversione industriale e produttiva e di unificazione del mercato del lavoro, battendo con l'impegno di tutto il movimento, le posizioni intransigenti espresso dal padronato pubblico e privato.

-Tale strategia si sostiene d'altronde attraverso una maggiore capacità di aprire il confronto con il padronato, nell'ambito della gestione della prima parte dei contratti, nelle zone, nel comprensorio, nelle regioni, nei settori, contribuendo a mettere in campo, nello stesso tempo, una aggregazione di forze sociali interessate ad una decisa politica di sviluppo in grado di esprimere una nuova domanda che sia insieme momento più elevato di lotta politica e sbocco di un intervento programmato sul mercato.

La dimensione politica di thle strategia richiede uno sforzo del sindacato per stringere il confronto con il governo e con le diverse articolazioni dello Stato, a partire dalle regioni, per conquistare una nuova capacità di direzione dei poteri pubblici a ogni livello e punti di riferimento certi sugli indirizzi programthatori, anche attraverso un'azione di riforma dello Stato, di redistribuzione dei poteri e competenze organiche e funzionali e delle relative risorse.

La commissione ritiene inoltre che i problemi della gestione nella prima parte dei contratti, dell'intervento sull'organizzazione del lavoro, e le politiche salariali e previdenziali non possono essere considerate come momenti separati ma che devono sempre più essere definiti come espressioni di una stessa politica unitaria e coerente, Allo stesso modo la conquista della contrattazione triennale del pubblico impiego deve essere raccordata, da un lato, alle priorità definite dal movimento sindacale per quanto riguarda la spesa pubblica, dall'altro ai problemi della riforma delle strutture e dei servizi del decentramento.

I problemi che sono emersi con par-

ticolare rilevanza nel dibattito riguardano:

organizzazione e ambiente di lavorò - La soluzione dei problemi relativi all'unificazione del mercato del lavoro, all'allargainento dell'occupazione, alla possibilità di inserimento con prospettive di adeguati sbocchi professionali in grado di rispondere alle nuove potenzialità della domanda di lavoro, avviando nel contempo una diversa considerazione del lavorò produttivo, richiede che si superino i ritardi di iniziativa e di elaborazione, di intervento sui problemi della modificazione dell'organizzazione del lavoro, nella prospettiva della conquista della ricomposizione tra livello decisionale p operativo, fra lavoro manuale e intellettuale. Nel dibattito si è sottolineato come un processa di tale natura vada costruito progressivamente, in maniera coerente, affinché i processi in corso di ristrutturazione e riconversione siano segnati da primi risultati in tale direzione. Ma per questo occorre che l'impegno e l'iniziativa dei consigli di fabbrica e di zona, e delle strutture territoriali sia indirizzato verso una ripresa dell'intervento sindacale e della contrattazione aziendale sui temi dell'organizzazione e dell'ambiente di lavoro. Attraverso qùesta via, si deve giungere a Mia ricomposizione del ciclo produttivo, al superamento del lavoro nero e precàriò, al controllo e al migliorainento della condizione del lavoro. L'intervento sull'organizzazione del lavoro consente di affrontare correttamente e in modo nuovo e coerente i problemi dell'atiThiente del lavoro, della professionalità; dell'inquadramento unico; superando anche contraddizioni e ritardi che si sono registrati.

Un contributo determinante per il salto culturale e politico che occorre per affrontare in termini adeguati questi problemi può venire dai tecnici, dai ricercatori nella misura il cui il sindacato riesce a impegnarli maggiormente sui nuovi òbiettivi di lotta.

Strutture del costo del lavoro e pollitiCa salariale - L'attuale struttura del costo del lavoro e del salario rende sempre più difficile per il sindacato di avete una propria politica salariale e di governare il saiario di fatto. Ciò si pone in relazione alla sproporzione che vi è tra salario diretto é quello differito e indiretto, e in relazione alla estensione

degli automatismi salariali.

Mentre la struttura del costo del lavoro con particolare riferifnento all'entità degli oneri sociali comprime il salario diretto ed è una delle cause che determina il ricorso al lavoro nero e precario, gli automatismi collegati all'anzianità o alle carriere professionali determinano, per le loro caratteristiche, forti sperequazioni fra i diversi settori, le diverse categorie e all'interno di ciascuna categoria e qualifica, e corrispondonó in modo inversamente proporzionale ai bisogni dei layoratori nell'arco della loro vita di lavoro, contribuendo, specie in taluni settori, a tenere i livelli salariali iniziali al di sotto del minimo delle esigenze vitali.

Tali fatti rendono più coniplessa una politica salariale che sia coerente con la nostra impostazione di profonda trasformazione della struttura produttiva e dell'assetto sociale del paese.

Anche al fine di contrastare con efficacia la ricorrente offensiva padronale sui problemi del costo del lavoro, è necessario e indilazionabile la definizione, con la partecipazione dei lavoratori, di una organica e complessiva proposta di riforma della struttura del costo del lavoro e del salario che abbia di mira, attraverso misure anche graduali, i seguenti obiettivi generali: una sostanziale modifica del rapporto tra salario diretto, indiretto e oneri sociali;

una trasformazione degli istituti contrattuali relativi, nella salvaguardia dei benefici economici acquisiti. Pertanto dal dibattito sono emerse le seguenti indicazioni:

a) strutture del costo del lavoro: il salario diretto deve essere elevato a circa il 70-80 per cento del costo del lavoro, per adeguarlo alla realtà degli altri paesi europei. Ciò si può realizzare attraverso una politica fiscale che, tramite anche un più rigoroso accertamento dei redditi di impresa e di capitale, renda possibile il reperimento di maggiori entrate fiscali dirette e quindi consenta una progressiva, parziale e selettiva fiscalizzazione degli oneri sociali, con particolare riferimento al settore sanitario.

b) struttura del salario: occorre realizzare per tutti i settori del mondo del lavoro, sia pubblici che privati, una struttura salariale uniforme che assicuri la trasparenza e l'onnicomprensività, che si basi su di un numero uguale di mensilità e su voci retributive definite e similari.

Trasformazione dell'istituto degli aumenti periodici di anzianità in modo

PROPOSTE DEI CONGRESSI CONFEDERALI
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da ridurre progressivamente il peso dell'anzianità sul salario complessivo, a livello di una percentuale attorno al 2025 per cento e raggiungibile in un periodo di circa 10 anni per anzianità di lavoro.

La modifica della struttura del salario così definita e le misure di conglobamento della contingenza pregressa e la graduale unificazione dello stipendio base devono essere affettuate in modo da consentire una ricostruzione del ventaglio parametrale affinché il salario di fatto sia corrispondente ai val'Ori professionali.

Il dibattito ha posto con forza l'esigenza che tali problemi siano affrontati, nell'ambito di una impostazione generale, dall'azione contrattuale delle categorie interessate proprio pér assumere e avviare a unificazione le differenti esperienze in atto. .

Particolare rilievo ha avuto nel dibattito la questione della progressione orizzontale, nel pubblico impiego, per la quale si è sottolinèata la positività delle introduzioni di meccanismi in aumento in cifra fissa, e perequativi come sono stati realizzati in talune esperienze di categoria.

3) Indennità di anzianità, quiescenza o buonuscita. Tale istituto risulta profondamente modificato nella sua funzione dalle conquiste in materia pensionistica e dall'esigenza di pervenire a trattamenti complessivi di fine lavoro perequati.

Salvaguardando. i benefici acquisiti e maturati il dibattito ha proposto di trasformare tale istituto in modo da computarlo per anzianità di lavoro su un numero di mensilità non inferiore a 10/ 12, definendo nuovi criteri per la loro maturazione e possibilità di utilizzo nel corso della vita di lavoro. Dal dibattito della commissione sono emerse talune preoccupazioni in riferimento al carattere dell'anzianità di lavoro, in relazione ai problemi di aggravio reale del costo del lavoro e degli strumenti di gestione del fondo necessario.

NL I dH mito con i lavoratori si dorà definire il modo con cui trasformare e utilizzare le quote di anzianità eccedenti quelle che vanno a costituire il sistema di computo ipotizzato.

Il dibattito ha individuato la necessita di andare a una apposita riunione del direttivo della Federazione unitaria all'indomani dei congressi, per lo approfondimento delle soluzioni, la definizione di una ipotesi unitaria di impostazione e per aprire il dibattito e la consultazione tra i lavoratori di tutti i settori pubblici e privati.

Nell'ambito di questi orientamenti, una specifica attenzione è stata data dal dibattito ai problemi della contrattazione nel pubblico impiego. sia in relazione al consolidamento e alla estensione della contrattazione triennale, attraverso la realizzazione di una legge quadro apposita, che metta ordine nella giungla degli stati giuridici e si rapporti al diritto della contrattazione trienna-

le, sia in relazione alla sollecita chiusura dei contratti tuttora aperti sulla base e ín coerenza dell'accordo sindacato-governo del 5 gennaio e dai principi di perequazione settoriale e intersettoriale.

Scaglionamento del periodo feriale

Sia in relazione ai problemi di migliore utilizzo degli impianti. sia in rapporto ai problemi dello sviluppo economico e del recupero di una occupazione stabile nel settore turistico, il dibattito ha evidenziato l'esigenza di affrontare concretamente il problema dello scaplionamento delle ferie.

Infine nel dibattito è stata posta l'opportúnità di rivedere l'insieme della normativa legislativa sull'orario di lavoro, con particolare riferimento alla legge del 1923. per adeguarla alle nuove realtà contrattuali.

Politica previdenziale

In coerenza con l'obiettivo della conquista di un organico sistema di sicurezza sociale e con una politica rivolta a qualificare e contenere la spesa pubblica si impongono in modo ur. gente: nel settore della sanità, la riforma che faccia della prevenzione, del decentramento e della partecipazione i criteri ispiratori dell'organizzazione della tutela della salute di tutti i cittadini; nel settore della previdenza una riforma di grande respiro che — nell'ambito delle attuali disponibilità — utilizzi in modo realmente mutualistico le risorse che nel complesso affluiscono al sistema, migliorando i tratta. menti più bassi, abbandonando logiche settoriali e pratiche clientelari che traggono alimento dall'estrema frantumazione del sistema' medesimo, eliminando sprechi e rendite parassitarie.

A tal fine è innanzitutto necessario stabilire una più netta demarcazione tra previdenza e assistenza pubblica e liberare la previdenza dagli inquinamenti di tipo assistenziale che essa subisce. Ma è soprattutto necessario ricomporre in una nuova unità i vari regimi previdenziali, in particolar modo quello pensionistico.

La frantumazione attuale non crea solo ingiustificate disparità di trattamento; essa genera nelle varie gestioni disavanzi e avanzi che producono, da una parte, crisi gravi, dall'altra, sacche di attività che sollecitano spinte corporative. Tutto ciò è. inammissibile, specie se si tiene conto che siffatti squilibri sono in realtà dovuti al fatto che talune categorie e sistemi pensionistici si sono ritagliati trattamenti di miglior favore (sia sotto forma di pensioni che di aliquote contributive) estraniandosi dalla mutalità generale del sistema e sfruttando un rapporto assicurati pensionati particolarmente favorevole, seppure aleatorio nel tempo.

Da qui la necessità di approdare nel

più breve tempo possibile alla unificazione nell'Inps del sistema pensionistico dei lavoratori dipendenti, privati e pubblici che siano.

I problemi che una tale unificazione pone possono essere risolti, da una parte, attraverso il mantenimento in vita ad esaurimento — e non anche per i nuovi assunti — dei trattamenti di miglior favore vigenti per alcune categorie; dall'altra, — e in connessione con una parziale trasformazione dell'indennità dj liquidazione e di buonuscita che faccia salvi i benefici economici acquisiti e maturati — attraverso l'eventuale, la parziale utilizzazione in chiave pensionistica delle risorse che si liberano in conseguenza di una tale operazione.

La unificazione e la riforma del sistema pensionistico deve essere accompagnata da un miglioramento delle prestazioni per infortunio e malattie professionali; da una riforma delle prestazioni di disoccupazione e della cassa integrazione guadagni che coordini tali trattamenti con una nuova politica del lavoro, del collocamento e della qualificazione professionale; da un sostegno per j lavoratori che hanno carichi di famiglia orientato non tanto in direzio. né di un aumento degli assegni familiari ma verso una politica che assicuri crescenti servizi sociali.

11 dibattito ha inoltre indicato alci) qi problemi urgenti, da risolvere quali:

l'affidamento ,all'Inps dell'accerta. mento della riscossione dei contributi previdenziali, quali mezzo che concorra a combattere e contenere le sempre più macroscopiche evasioni contributive; la riforma dell'invalidità pensionabile che — facendo salvi i benefici acquisiti — eviti il proliferare ingiustificato di tali pensioni, agganciando per il futuro a criteri maggiormente obiettivi la valutazione dell'invalidità pensionabile, e prevedendo anche migliori trattamenti in caso di invalidità totale; il riordino delle gestioni pensionistiche dei lavoratori autonomi, che le avvii gradualmente verso l'equilibrio economico finanziario, onde evitare che il drammatico dissesto di tali gestioni conduca ad una crisi irreparabile l'Inps alla rovina l'intero sistema previdenziale;

l'unificazione e l'affidamento all'Inps delle quattro prestazioni economiche di temporanea (per malattia, infortunio, Tbc, maternità);

la ristrutturazione dell'Inps — che deve diventare l'unico ente preposto all'erogazione delle prestazioni economicoprevidenziali — conferendo a tale istituto maggiore autonomia funzionale, un più ampio decentramento che lo avvicini sempre di più ai lavoratori, che ne renda possibile la trasparenza del suo operato e delle sue gestioni. anche attraverso la semplificazione e la razionalizzazione di procedere e di adempimenti la partecipazione attiva e responsabile dei lavoratori alla soluzione dei problemi gestionali dell'istituto.

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CISL Relazione di

Macario

STRUTTURA DEL SALARIO E AUTOMATISMI

La struttura del salario nel nostro paese, così come è venuta determinandosi nel tempo per effetto delle esperienze realizzate ai vari livelli e nei vari settori contrattuali, ha assunto ormai caratteristiche tali da imporre anche al sindacato problemi di riprospettazioni e riconsiderazioni critiche. In effetti essa appare una realtà sempre più complessa, all'interno di ogni specifica categoria contrattuale, e notevolmente differenziata tra le varie categorie contrattuali di uno stesso settore, nonché tra grandi comparti produttivi. Nel contesto - generale, rilevanza sempre maggiore va assumendo, in particolare, il peso dell'area dovuta alle componenti automatiche di incremento salariale che, al di là dei problemi che pone in termini di dinamica dei costi del lavoro, ha come effetto di ridurre e comunque condizionare l'area del salario contrattato a livello nazionale ed aziendale ed ogni caso costituisce un ostacolo ad una distribuzione del reddito di lavoro basata sul principio dell'egualitarismo e ad un più giusto rapporto tra lavoro manuale e lavoro intellettuale.

La questione di quale struttura salariale si vuole ipotizzare per il futuro è diventata un'esigenza ancora più pressante per il sindacato a seguito dei recenti accordi sottoscritti con la Confindustria e dei provvedimenti legislativi attuati dal governo, che nella. loro disorganicità rischiano di accentuare taluni squilibri già presenti.

Allo stato attuale delle cose, nella struttura del salario, si notano infatti tendenze non tutte coerenti con la generale linea che il sindacato ha impostato nel corso degli ultimi anni. Con il nuovo sistema imperniato sul valore unico del punto di contingenza convivono vecchi elementi di struttura che configurano un sistema frutto di stratificazioni che legittimano accuse di scarsa trasparenza del sistema e di insufficiente considerazione sindacale in merito alla situazione salariale.

Ad elementi di forte contenuto egualitario continuano cioè a sovrapporsi caratteristiche disegualitarie che ridimensionano fortemente gli effetti del primo. L'impostazione sindacale in ordine agli aumenti in cifra uguale per tutti i lavoratori, realizzate in misura abbastanza omogenea da tutti i settori (pubblici c privati; nell'ambito di questi ultimi, nell'industria, nei servizi, nell'agricoltura), nonché la soluzione data al funzionamento della scala mobile (progressiva riduzione delle differenze esistenti fino al raggiungimento della parificazione totale) si è mossa nel rispetto della prima.

Essa è stata tale da determinare una spinta perequativa ed egualitaria sulla struttura salariale, contrapponendosi in particolare agli effetti di differenziazione che l'inflazione, soprattutto negli ultimi anni, provoca sulla distribuzione del reddito.

E ciò in linea rispetto a quanto veniva contemporaneamente realizzato in termini di parificazione di alcuni istituti normativi (ferie, orario di lavoro, trattamento di malattia, ecc.) in ordine ai quali è possibile oggi accertare una marcata omogeneità per i lavoratori di tutti i settori produttivi privati.

Accanto a questi elementi si avvertono però aspetti disarticolanti e squilibri. nella struttura del salario. Questi si manifestano soprattutto nel rapporto esistente tra retribuzione diretta, indiretta e differita; nel peso di alcuni automatismi sulla retribuzione complessiva; nella sproporzionata incidenza degli oneri sociali.

Di fronte a questo stato di cose, l'iniziativa sindacale non può fermarsi al dibattito nel timore anche di denunce strumentali sulla cosiddetta giungla retributiva ma deve tradursi in proposte organiche e vertenze precise tendenti a superare le disuguaglianze inaccettabili a livello intercategoriale e intersettoriale. Diventa quindi esigenza prioritaria per il sindacati delineare una sua autonoma proposta politica, apprestare un suo progetto di politica e struttura salariale, che andrà necessariamente verificata con la più ampia partecipazione dei lavoratori, nella prospettiva di un reale cambiamento dell'attuale struttura. Ciò eviterà di trovarsi nella condizione di dover rincorrere i problemi e contrastare le soluzioni che altri certamente tenteranno di imporre, come in parte è avvenuto nella recente esperienza sulla trattativa del costo del lavoro. Nell'ambito di questa proposta, particolare rilevanza devono assumere due obiettivi specifici: la conferma della difesa del salario reale dall'inflazione attraverso lo strumento della scala mobile; un'attenta e ragionata riconsiderazione della relazione oggi esistente fra salario ed anzianità per quanto riguarda sia gli scatti di anzianità sia l'indennità di fine lavoro.

Per quanto riguarda la scala mobile va detto che le nuove caratteristiche assunte dal meccanismo con la unificazione del valore del punto (ormai funzionante a pieno regime nell'industria e di prossima acquisizione negli altri settori) ha rappresentato una tappa decisiva nella difesa del salario reale dei lavoratori. Giustamente questa realizzazione, ritenuta socialmente vitale ed egualitaria per i lavoratori di tutti i settori, è stata difesa nel più recente passato da attacchi di natura prevalentemente politica più che economica. Le recenti modifiche apportate con i due provvedimenti legislativi (blocco parziale o totale per le fasce di reddito tra i 6-8 milioni ed oltre gli otto milioni; attenuazione del peso di alcune voci del paniere) non sono certo da sottovalutare. Esse comportano, così come comporteranno per il futuro, sacrifici anche notevoli per alcune fasce di lavoratori. Tuttavia, e pur riconoscendo i forti limiti che hanno accompagnato le recenti vicende, soprattutto in termini di rapporti con i lavoratori, va anche sottolineato un elemento politico di non scarso rilievo: essere riusciti, da parte del sindacato, a rompere l'accerchiamento operato da varie forze economiche e politiche, di origine interne ed internazionali, il cui scopo principale era rappresentato da una tentazione di rivincita sul sindacato, da un tentativo di riappropriazione degli spazi politici che i lavoratori hanno saputo conquistarsi con le lotte degli ultimi anni.

L'operatività del sistema di scala mobile, anche nell'attuale regime, non realizza una difesa del salario dall'inflazione, correlata alle condizioni familiari dei lavoratori. Il sistema degli assegni familiari, nei suoi valori attuali e nella sua rigidità nel tempo non costituisce certo un correttivo adeguato.

La già sperimentata clausola di rivalutazione- degli assegni contenuta negli accordi interconfederali dell'industria e del commercio, che prevedeva la destinazione di un punto di contingenza ogni cinque ad assegni

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familiari, potrebbe essere riconsiderata. La CISL, che già a suo tempo manifestò le sue riserve sulla sospensione pura e semplice di detta clausola non può che riconfermare l'esigenza di correlare la difesa del salario alla situazione familiare del lavoratore, in coerenza anche agli indirizzi perseguiti dalle organizzazioni sindacali degli altri paesi di fronte all'attuale pressione inflazionistica ed alla sua diversa incidenza sul tenore di vita dei nuclei familiari.

Per quanto attiene all'area degli automatismi, il dibattito aperto all'interno del movimento sindacale, pur nei limiti di ampiezza ed approfondimento finora registrati, ha realizzato un ampio consenso, un generale convenire sulla esigenza di una riconsiderazione critica e di una sostanziale revisione degli attuali meccanismi. Le proposte emerse finora, anche nel corso dei dibattiti congressuali, manifestano incertezze e divergenze che occorre superare anche attraverso iniziative adeguate da parte delle confederazioni, per pervenire in tempi ravvicinati ad una nostra proposta politica ed autonoma su cui sollecitare il confronto con le controparti.

Esistono difficoltà oggettive sia per quanto attiene agli scatti sia per quanto attiene all'indennità di fine lavoro.

Scatti di anzianità. Tali e tante sono le differenziazioni, le modalità, le caratteristiche delle normative in merito, da non facilitare valutazioni generali circa gli effetti che complessivamente si realizzano sulla struttura del salario

Ogni settore contrattuale vede infatti modificarsi quella che potremmo chiamare struttura base (costituita cioè dai valori tabellari e dalla scala mobile e che in generale si presenta ormai abbastanza omogenea) in rapporto alle specifiche normative che fissano il numero degli scatti, le aliquote di maggiorazione, la base di riferimento per le maggiorazioni. Le normative, omogenee per gli impiegati di tutti i settori privati, risultano invece fortemente differenziate per gli operai in ordine ai tre parametri ricorrenti. Per i primi vige infatti la norma generale secondo cui la base di maggiorazione è costituita dai minimi tabellari e contingenza. L'aliquota è del 5% per ogni biennio, salvo talune eccezioni che prevedono aliquote leggermente più elevate. Gli scatti, in numero di 12 o 14, consentono uno sviluppo di progressione economica nella misura del 60% o del 70%. Sviluppi eccezionali si riscontrano in alcuni settori potendosi arrivare fino al 76% o all'84%.

Per gli operai, la base di maggiorazione è di norma costituita solo dai minimi tabellari, salvo alcuni contratti che estendono la base di calcolo anche alla contingenza (vedi, ad esempio, i chimici). Per quanto riguarda il numero degli scatti si osservano situazioni molto articolate da settore a settore. Si va da un minimo di due scatti, calcolati solo sui minimi tabellari, ad un massimo di 12-14 che eguaglia il trattamento previsto per gli impiegati.

Ampia è anche l'articolazione in merito alle aliquote; si va infatti da minimi dell'1,5% ad un massimo del 5%. Le progressioni economiche consentite variano così da minimi del 4,5% a massimi del 25%. Alcuni sviluppi eccezionali raggiungono misure del 76% e dell'84% come per gli impiegati.

Questa caotica situazione finisce con l'attribuire spesso benefici economici di carriera anche notevoli ma esclusivamente alle categorie impiegatizie; esalta quel rapporto di gerarchia-subordinazione-fedeltà all'azienda

che era la motivazione principale se non esclusiva che aveva originato l'istituto; introduce elementi permanenti di divisione tra impiegati ed operai; contrasta con le esigenze di mobilità connesse ai necessari processi di riconversione industriale; risulta poco coerente con i principi dell'inquadramento unico. In sostanza è sempre più contestato dagli operai che spingono verso una più concreta parificazione. In ogni situazione gli scatti premiano in misura ingiustificata, che non trova corrispondenza in altri Paesi, il fattore anzianità a danno dei livelli salariali iniziali e dei giovani in particolare.

Per il sindacato si pone quindi l'esigenza di dare una risposta decidendo quale ruolo, quale funzione, nella prospettiva di una ristrutturazione del.salario, si intende attribuire agli scatti. Si tratta in sostanza di sciogliere un nodo di fondo, di natura squisitamente politica, che richiama il tipo e la dimensione che si intende riconoscere alla relazione anzianità-salario.

Si possono prospettare allora, almeno quattro direttrici: conferma della relazione anzianità-salario a livello aziendale con estensione agli operai dei trattamenti oggi validi per gli impiegati. E' una soluzione che ha enormi implicazioni finanziarie; non modifica l'essenza e la struttura del salario (rigidità, pregiudizio dei livelli retributivi di partenza, giovani, ecc.); vincola necessariamente ogni futura azione contrattuale sia a livello nazionale che aziendale; lascia inalterate le rilevanti differenze intersettoriali;

mantenimento della relazione con sganciamento dell'anzianità, dell'azienda e sua sostituzione con una anzianità di lavoro. E' una soluzione che si muove nell'ottica della trasformazione dell'istituto, che svincola il lavoratore dalla singola azienda, rendendo meno traumatica la mobilità interaziendale, ma che deve prevedere un collegamento ad un fondo, nuovo o già esistente, di gestione di questa parte del salario per la necessaria mutualizzazione dei relativi oneri. Si pongono non pochi problemi quali la necessità: di definire posizioni individuali per i singoli lavoratori, considerata l'esistente diversità nelle retribuzioni di settore e di qualifica; di definire le aliquote per la contribuzione al fondo da parte delle aziende decidendo se debbano essere in misura uniformi o differenziati tra i vari settori; di creare un meccanismo di gestione che non potrebbe non risultare estremamente complesso, oneroso e, date certe esperienze, con dubbia funzionalità operativa; di definire tempi e modalità di erogazione di questa parte del salario;

mantenimento della relazione a livello aziendale ma contemporaneo contenimento nel tempo degli effetti. Si tratta di una soluzione che, pur proponendo per il futuro una uniformità di trattamento tra operai ed impiegati, prevede una progressione economica limitata nel tempo nel convincimento che l'accrescimento di professionalità e valorizzazione della prestazione lavorativa non trova reali giustificazioni al di là di un certo periodo di tempo e, semmai, andrebbero gratificati attraverso altri strumenti contrattuali come l'inquadramento;

superamento totale di ogni forma di relazione, sia aziendale che di lavoro, con graduale superamento dell'istituto. Si tratta dell'ipotesi certamente di maggior valenza politica che, a parte un sostanziale superamento delle attuali caratteristiche, consentirebbe di dare all'assetto retributivo una sistemazione più coerente con i principi dell'inquadramento unico, e di annullare ogni

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differenziale retributivo tra lavoratori con o senza anzianità di servizio, anche se implica una certa programmazione di oneri destinati a vincolare, almeno in parte, la futura azione contrattuale.

Indennità di fine lavoro. Non meno disarticolata si presenta la situazione in ordine a questa seconda componente dell'area degli automatismi. Ciò almeno in riferimento al settore industriale, essendosi ormai raggiunti livelli normativi sufficientemente omogenei tra operai ed impiegati in quasi tutti i settori dei servizi. Essendo salario differito l'indennità di anzianità non entra ovviamente nella busta paga e quindi non è responsabile, in via diretta, di alterazioni sulla struttura del salario. Ma i gravi squilibri tra operai ed impiegati nella stragrande maggioranza dei settori contrattuali, e tra gli operai dei vari settori contrattuali, si avvertono però con particolare accentuazione proprio al momento della cessazione del rapporto di lavoro in dipendenza della disparità normativa derivanti dalla meccanica attraverso cui opera l'istituto. Molto brevemente si ricorda che per gli impiegati vige da tempo la norma di una mensilità (30 trentesimi) per ogni anno di servizio. Per gli operai la situazione appare invece molto frammentaria. Di norma il trattamento normativo non solo è differenziato rispetto a quello previsto per gli impiegati ma ogni settore contrattuale dell'industria presenta specifiche peculiarità e caratteristiche. Le indennità, espresse o in ragione di ore, di giorni o in trentesimi, vengono infatti ancora computate col metodo "a scaglioni" variando quindi in funzione sia dell'anno di assunzione dell'operaio, sia degli anni di servizio maturati a scadenze date. Dalla notevole casistica si rilevano misure che vanno da ,un minimo di 5,90 trentesimi (34 ore) per anzianità remote, alla mensilità piena (173 ore) per le anzianità più recenti in senso totale o solo riferite a specifici scaglioni di anzianità.

E' questo il più evidente risultato della scarsa omogeneità di orientamento espresso nell'azione dei vari settori contrattuali nel corso degli anni, o quanto meno di una insufficiente elaborazione e strategia da parte sindacale. Anche se occorre realisticamente prendere atto che ineguaglianze, contraddizioni, anomalie prodotte da azioni settoriali non sempre coordinate non possono essere recuperate o eliminate tanto facilmente e nel breve periodo, si impone per il sindacato l'esigenza di assumere una direzione politica unitaria. E ciò pei recuperare quanto di anomalo già esiste; per impedire ulteriori aggravamenti, nella già notevole stratificazione, impliciti nella naturale dinamica delle attuali meccaniche; per recuperare quanto di disegualitario si realizzato con la deindicizzazione della contingenza su questo istituto attraverso il recente accordo — tradotto in legge — con la Confindustria.

Si tratta in definitiva di verificare se e quanto i legittimi interessi, le giuste aspirazioni dei lavoratori, ed in particolare degli operai, possano trovare più efficace tutela solo incidendo su alcuni aspetti tecnici dell'attuale meccanismo o tramite interventi più radicali. Interventi cioè tendenti a modificare la struttura e le caratteristiche stesse dell'istituto ipotizzando un modello sostanzialmente innovativo o totalmente alternativo rispetto all'esistente che sconti le indubbie modificazioni che si sono verificate nel tempo sul piano della legislazione pensionistica e quindi l'attenuarsi della principale motivazione che aveva portato alla sua introduzione nel nostro ordinamento.

Qualunque sia la scelta del movimento, è il caso di sottolineare però alcune condizioni essenziali che dovrebbero essere tenute presenti: prevedere un ridimensionamento ma non l'abrogazione dell'istituto. La sua funzione, pur ridottasi nel tempo, non può ritenersi completamente superata specie in presenza di fenomeni di mobilità e di una situazione occupazionale critica;

non mettere in discussione le quote di indennità già maturate dai lavoratori secondo le disposizioni vigenti; superare, per le anzianità che matureranno per il futuro, le attuali differenziazioni tra operai ed impiegati, ed eliminare le situazioni di particolare privilegio che danno luogo tra l'altro a quelle scandalose liquidazioni spesso denunciate dalla stampa.

Si ipotizza, in sostanza, un allineamento ai 30 trentesimi per tutti i lavoratori, funzionari, amministratori, dirigenti compresi, annullando ogni forma di riconoscimento di anzianità convenzionali. Ciò, nel rispetto di una condizione di cui sopra, non dovrebbe superare un certo numero di anni o un tetto di mensilità;

escludere, almeno nel breve e medio periodo, ipotesi di sottrazione alle aziende degli attuali fondi di quiescenza che potrebbero provocare seri problemi di sopravvivenza delle stesse. Si tratta, secondo alcune valutazioni, di somme che superano i 12 mila miliardi solo nel settore industriale immobilizzate in impianti in ordine alle quali, comunque, occorrerà promuovere alcune forme di controllo;

riconsiderare il tasso di adeguamento dei fondi, oltreché nella loro dilatazione, anche alla luce delle conseguenze del recente accordo con la Confindustria che determina effetti non egualitari e che comunque non incide minimamente su caratteristiche ancora più importanti;

prevedere, per la parte eccedente, il pacchetto garantito in termini di mensilità — che andrebbe comunque tradotto in cifra al termine del rapporto di lavoro sulla base della retribuzione all'epoca percepita — il trasferimento in paga base.

Più che di ipotesi, si tratta di un insieme di indicazioni guida che devono essere valutate in tutta la loro portata e tradotte, dopo i necessari approfondimenti a cui tutti siamo chiamati, in precise proposte su cui aprire una formale vertenza.

Mozione approvata dall'8° Congresso CISL

L'impegno per la uguaglianza, specialmente in una fase di inflazione come l'attuale, significa anzitutto offrire opportunità uguali a tutti di fruire dei beni e dei servizi essenziali per accedere a livelli accettabili di vita e di libertà. A tale scopo il congresso ritiene che vadano riviste anche alcune differenziazioni salariali e contrattuali esistenti, e su questo sostiene la necessità di un dibattito approfondito e democratico nelle strutture e tra tutti i lavoratori.

Le principali ipotesi da discutere sono la graduale unificazione dei contenuti contrattuali, riguardanti l'orario, le qualifiche e la normativa per grandi settori, anche per affrontare situazioni di vera e propria giungla retributiva, la riconferma della difesa del salario attra-

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verso la scala mobile, elevando nel 1977 a sette e nove milioni il limite del congelamento temporaneo degli scatti futuri, una revisione della struttura salariale che accresca il salario diretto e realizzi un corretto equilibrio tra salario che cresce per anzianità e salario che cresce per effetto della negoziazione e della professionalità.

L'intervento sugli istituti degli scatti e della indennità di fine lavoro deve essere perequativo, deve salvaguardare i diritti acquisiti e non può perciò significare abolizione. Si può ipotizzare: che gli scatti di anzianità siano uguali per operai ed impiegati come numero e come percentuale, oltreché legati all'anzianità di lavoro attraverso

ua

Nel nostro Paese esiste cerco il problema della struttura del salario sul quale pesa tutta una serie di automatismi, ma riteniamo che la soluzione sta, non già nell'abolizione di alcuni istituti come gli scatti di anzianità e l'indennità di anzianità, ma nella loro trasformazione in senso perequativo e nel loro collegamento al mestiere più che all'azienda.

La UIL ritiene di poter indicativamente ipotizzare una struttura salariale per tutto il settore dell'industria e gran parte del terziario. Per quanto riguarda il Pubblico Impiego il discorso è reso più difficile da una serie di disparità, differenze ed anomalie che vanno comunque recuperate al più presto per iar sí che tale proposta possa essere discussa da tutto il movimento ed applicabile in tutti i settori.

La proposta della UIL prevede che il salario che dovrà percepire il lavoratore sia composto da tre livelli ben distinti tra loro e cioè:

Salario professionale

Salario collettivo

Salario sociale

a) SALARIO PROFESSIONALE: è differenziato in base al livello in cui è inquadrato il lavoratore e che comprende:

l) minimo contrattuale - in base al livello d'inquadramento del lavoratore. contingenza al 31.1.77 - nella misura fino a questa data maturata. La contingenza maturata fino a questa data è diversa come entità tra operai e impiegati, tra categoria e categoria, tra settore e settore.

EDR - Elemento distinto della retribuzione - generalmente uguale per tutti i livelli, ma diffenziato tra categorie.

forme di mutualizzazione. Che inoltre l'indennità di fine lavoro sia commisurata per tutti ad una mensilità per anno di servizio, fino ad un numero massimo di anni per tutti ed ad una quota massima insuperabile anche per i dirigenti. Resta fermo che la massa salariale complessiva così distribuita non deve diminuire.

A livello del posto di lavoro la quota di salario eccedente deve corrispondere ai livelli di professionalità e va sottratta, attraverso la contrattazione, a manovre discrezionali e pseudo-meritocratiche che rapprensenterebbero un arretramento rispetto alle esperienze di questi anni. Infine, occorre praticare ipotesi di rivalutazione del lavoro manuale, arricchendone i contenuti professionali e i livelli retributivi.

III Elemento aziendale o super minimo collettivo - può essere uguale per tutti e differenziato in base al livello d'inquadramento del lavoratore. Dipende esclusivamente da come si sono realizzati gli accordi aziendali soprattutto per quanto riguarda l'entità.

Incentivo e cottimo - Generalmente si differenzia come entità tra diretto e indiretto e tra collettivo ed individuale, tra azienda e azienda.

B) SALARIO COLLETTIVO: Questa parte di salario dovrà essere uguale per tutti e comprende : Contingenza dal 1.2.77 - da questa data con l'accordo Sindacato Confindustria il valore del punto di contingenza è uguale per tutti i lavoratori dell'industria.

Premio di produzione - Premio feriale - si differenzia, anche notevolmente, da azienda ad azienda.

C) SALARIO SOCIALE: Questa parte del salario dovrà essere gestito da un apposito Fondo Sociale Nazionale. Le aziende dovranno versare su questo fondo quella parte di salario che oggi viene erogata ai lavoratori tutti i mesi (scatti) o alla fine del rapporto di lavoro (indennità di anzianità) dalla azienda stessa.

Mentre riteniamo che sia abbastanza comprensibile la parte che riguarda il salario professionale e il salario collettivo, riteniamo necessario spiegare meglio la parte che riguarda il salario sociale.

Il Fondo Sociale Nazionale che la UIL propone, dovrà gestire la sicurezza sociale, quindi modificare ed unificare tutti i vari istituti esistenti. In pratica il lavoratore dovrà ricevere dal Fondo:

SCATTI BIENNALI D'ANZIA-

NITÀ: Gli scatti determinano differenze molto alte tra lavoratori, siamo certi però che si possa ovviare a questi inconvenienti ricorrendo alla mutualizzazione e legando l'istituto all'anzianità

di lavoro e non più a qualla dell'azienda. Oggi gli scatti d'anzianità generalmente si maturano ogni due anni partendo dal 20° anno d'età; la percentuale degli scatti varia dall'1,5% al 5% e anche al 6% e il numero da 3 a 12 e più a secondo dei settori e dell'inquadramento in categorie operaie o impiegatizie.

Bisogna considerare inoltre che il passaggio di categoria comporta il parziale (50%) o totale assorbimento degli scatti maturati ; se un lavoratore si licenzia da un'azienda e viene assunto da un'altra, perde tutti gli scatti precedentemente maturati con una perdita di salario, in parecchi casi, molto elevata. La proposta della UIL vuole superare queste anomalie e queste discriminazioni oggi esistenti tra lavoratori e lavoratori.

Per questo proponiamo che, fatto salvo i diritti acquisiti, si possa individuare come soluzione ottimale massima, 6 scatti biennali del 5% per tutti i lavoratori, legati all'anzianità di lavoro a partire dal 18° anno di età da calcolare anche nei periodi di disoccupazione involontaria.

La somma che il lavoratore riceverà sotto la voce "SCATTI D'ANZIANITA" sarà pagata mensilmente dal Fondo Sociale Nazionale, come già avviene per gli assegni familiari pagati dall'INPS.

INDENNITÀ D'ANZIANITÀ - Anche questo istituto vede in sè molte disuguaglianze tra settori e settori, categorie e categorie. Si tratta perciò anche in questo caso di unificare questo istituto. Riteniamo che non è assolutamente vero che le pensioni attuali permettano di fare a meno di un risparmio come l'indennità d'anzianità.

Prima di tutto perchè non tutti i lavoratori raggiungono la percentuale massima di pensione, (che non è comunque il 100%) ; ma l'80% del salario percepito del pensionamento, dopo 40 anni di lavoro ; per seconda cosa la contingenza

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non recupera che parzialmente l'aumento del costo della vita.

Per questo noi proponiamo che, fatto salvo i diritti acquisiti, il lavoratore percepisca una mensilità per ogni anno di lavoro, calcolata sul minimo contrattuale più la parte di contingenza congelata al 31.1.77.

L'anzianità deve rappresentare un vero risparmio indicizzato e collettivo, quindi utilizzabile per finanziare investimenti di carattere sociale e dovrà dare la possibilità al lavoratore, di utilizzare individualmente quella parte d'indennità maturata dopo un certo numero di anni di lavoro, come acconto o prestito anche perchè l'interruzione del rapporto di lavoro prima del 60° anno di età non comporterà più il pagamento dell'indennità di anzianità, ma sarà liquidata al compimento del 60° anno.

Questo però sarà possibile solo in alcuni casi di necessità ben individuate come l'acquisto di una casa per abitarvi. Da questa proposta viene facile porsi una domanda: visto che oggi il salario a cui si deve fare riferimento per quanto riguarda l'indennità di anzianità da liquidare al lavoratore è quella "di fatto", cioè quello che percepisce al momento dell'interruzione del rapporto di lavoro, la proposta della UIL toglie del

salario ai lavoratori a tutto vantaggio dell'impresa? Entra così nella logica che, essendo la crisi che investe il nostro paese causata principalmente dall'alto costo del lavoro, il sindacato deve farsene carico?

Diciamo subito che questa non è l'ottica in cui si è messa la UIL nel formulare questa proposta.

Noi riteniamo che il capitolo sul costo del lavoro si sia definitivamente chiuso, almeno per quanto riguarda i costi che devono essere pagati dai lavoratori, con accordi Sindacati - Confindustria, sindacati - Governo; perciò le aziende dovranno continuare a pagare, per quanto riguarda l'indennità di anzianità, quello previsto dai Contratti Nazionali di Lavoro, versando mensilmente tale importo al Fondo Sociale Nazionale. A questo punto è giusto porsi un'altra domanda ; se le aziende continueranno a versare quello che versano oggi e se i lavoratori percepiranno solo una parte di quanto è stato versato, il rimanente come verrà utilizzato?

La UIL ritiene che si possa proporre ai lavoratori questo tipo di utilizzo:

a) garantire l'indennità di malattia fino a guarigione ;

b I adeguare l'indennità di disoccupazione o integrazione salariale all'aumento del costo della vita.

c) Gratuità dei servizi sociali.

d I Gratuità del trasporto pubblico. L'integrazione della malattia e della disoccupazione sarà erogata ai lavoratori dal Fondo Sociale Nazionale; per quanto riguarda invece la gratuità dei servizi sociali e dei trasporti pubblici, il Fondo Sociale stanzierà agli enti predisposti per la gestione di questi servizi una percentuale del proprio fondo. Riteniamo comunque che tutti i cittadini, soprattutto quelli non a reddito fisso, debbano contribuire a rendere gratuiti questi servizi.

La UIL non ritiene certo che questa possa essere l'unica proposta per risolvere il problema della struttura del salario, ritiene però di aver dato un serio contributo.

A questo punto occorre verificare se su questa proposta o sulle altre che sono scaturite dai Congressi delle altre organizzazioni sindacali*, è d'accordo la maggioranza dei lavoratori. Noi riteniamo che occorra un approfondito dibattito a livello di base sui termini reali del problema, chiedendo a tutti i lavoratori di esprimersi su queste proposte concrete.

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