Consiglio di fabbrica FLM10

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consiglio fabbrica n.10 metalmeccanici milano piazza Umanitaria, 5 Documentazione sulle fabbriche in crisi agenzia di informazione sindacale della FLM milanese Tre giorni di presidio indetto da CGIL - CISL UIL per I' occupazione e io sviluppo CALENDARIO 18 Metalmeccanici 19 Chimici Alimentaristi Tessili 20 Poligrafici Scuola Edili

La diminuzione del ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni non vuol dire che si sta uscendo dalla crisi economica.

Negli ultimi mesi il numero delle aziende metalmeccaniche di Milano e Provincia che hanno chiesto di ricorrere all'intervento della C.I.G. è progressivamente diminuito. Le lettere di richiesta di C.I.G. sono passate infatti da 46 in gennaio, a 23 in feb brario, a 18 in marzo, a 14 in' aprile.

Situazione dì netto miglioramento, se si pensa alle oltre 500 aziende metalmeccaniche di Milano e provincia che hanno attuato riduzione di orario nel corso del 175.

La tendenza ad una ripresa produttiva estesa anche al nostro Paese è confermata del resto anche dai dati più recenti sull'aumento della produzione industriale, e della consistenza del portafoglio ordini delle imprese(di oltre tre mesi per il settore metalmeccanico).

Si annunciano quindi i primi sintomi di ripresa.

Ma che tipo di ripresa?

E con quali prospettive?

Ancora una ripresa "drogata" (che ricorda quella del i73) basata sull'inflazione e sul mutamento dei rapporti di scambio tra la nostra e le altre monete (svalutazione).

Una ripresa produttiva non accompagnata da una ripresa degli investimenti e dell'occu pazione; una ripresa, che tenderà ad esaurirsi in seguito ai rilevanti aumenti dei prezzi e col conseguente ritorno dei nostri prodotti a condizioni di relativa competi tività sul mercato internazionale.

Il rischio è grosso: guai se ci illudessimo sulla consistenza di qualche cenno di effi mera ripresa basata su elementi congiunturali e condizionata dalla dinamica svalutazione/esportazione; essa proprio per queste sue caratteristiche non può risolvere i grossi nodi strutturali che ci hanno portato alla più grave crisi del dopoguerra.

Dalla crisi si deve uscire con una politica economica, che attraverso nuovi investimenti produttivi e la conseguente espansione occupazionale possa indirizzare sforzi e risorse fino ad ora male utilizzate, verso il soddisfacimento di consumi sociali.

E' in mancanza di ciò che permangono nella nostra provincia casi di aziende in liqui dazione, in amministrazione controllata o in grave crisi.

Solo l'iniziativa dei lavoratori che si è concretizzata nei casi più drammatici con l'occupazione delle aziende, ha permesso di respingere il taglio di livelli occupazio nali per decine di migliaia di posti di lavoro.

I lavoratori che attualmente occupano le aziende metalmeccaniche in crisi sono oltre duemila; in queste aziende si è dato non solo prova di grande resistenza, di forza e di unità, ma si è data la dimostrazione di come si combattono anche situazione per situazione, le scelte di politica padronali di smantellare le unità produttive.

Redazione:piazza Umanitaria n.5 tel. 54.68.020/1/3/4, Milano.

Direttore responsabile: Walter Galbusera —

Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 344 del 28 settembre 1971.

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PREMESSA

Sotto il controllo diretto dei lavoratori è potuto emergere che al.di là delle difficoltà obiettive che non sono da minimizzare, vi è comunque sempre da parte dei padroni una logica di speculazione, di interesse politico a mortificare i lavoratori ed il sin dacato, una fallimentare impotenza gestionale.

Il caso della Fargas è esemplare da questo punto di vista: a fronte delle valutazioni della Montedison e di tutti i tentativi messi in atto, qui come alla Ceruti, per sman tellare un'azienda, stanno inconfutabili i dati di fatturato e di bilancio delle azien de in questa fase in cui sono i lavoratori a dirigerle.

E' in primo luogo la politica della Montedison, della Sprague americana, della Candy, della Faema e dei grandi gruppi industriali in genere a dare il segno di questa crisi privilegiando le operazioni di carattere speculativo e finanziario a precisi investimenti industriali.

Tutto ciò inoltre si aggrava per i ritardi, l'incapacità, le politiche dilatorie del Governo e, per la nostra provincia, della Regione, che non hanno saputo incidere sulle scelte del padronato né costruire elementi tali da dare prospettive alle diverse • situazioni di crisi.

Non serve, e non è richiesta, una politica di semplice mediazione tra i lavoratori e le forze economiche, ma precisi piani di sviluppo articolati nei settori di'Versi e funzionali alla domanda sociale; precisi investimenti e prese di posizioni ferme ed intransigenti di fronte alle manovre dei gruppi industriali più spregiudicati, quale ad esempio, la Montedison.

Intanto i lavoratori sanno contare sulle proprie forze. Ciò che si andrà a sviluppare nel prossimo futuro saranno iniziative di lotta sempre più puntuali q articolare per affrontare il problema dell'occupazione intaccando le cause di fondo, con una politica economica diversa ed al servizio delle esigenze dei lavoratori.

FAEMA

Società per azioni fondata nel 1945 con sede a Milano in via Ventura 15 con stabilimen ti a Milano, Zingonia (BG) e Barcellona, oltre 200 agenzie in tutta Italia, concessio nari e rappresentanti in tutti i Paesi del mondo. Fanno parte del gruppo altre due so cietà: la Bianchi di Treviglio e la Salda di Zingonia per la produzione di caffé liofi lizzato. Ha una presenza di capitale dell'IMI valutabile intorno ai 3 miliardi. Il gruppo ha nel suo complesso 1250 dipendenti così suddivisi: Milano-Lambrate n.850 Zingonia n. 150 - Bianchi-Treviglio n. 100 - Salda Zingonia n. 150. • A questi dati vanno aggiunti oltre 1500 lavoratori dell'indotto che possono essere co sì suddivisi: 150/180 falegnami della provincia di Bergamo che lavorano per i banchi bar; i dipendenti delle società di gestione distributrici di alcuni prodotti; artigiani e piccole aziende che producono pezzi di ricambio delle macchine. La produzione prevalente, se si eccettua quella della Salda che concerne la liofilizza zione, riguarda macchine da caffé; distributori automatici di bevande calde e fredde; vetrine e banchi per bar; lavastoviglie, etc.

La Faema detiene il 65% del mercato nazionale ed il 35% di quello estero nei seguenti Paesi: Francia, Spagna, Benelux, Svizzera, Brasile; vi sono buoni presupposti anche per i mercati dell'Est con la produzione dell'arredamento per bar e delle macchine da caffé.

La Faema ha conosciuto fino al 1974 un alto livello di espansione, tanto che il suo fat turato è passato dagli 8 miliardi del 1964 agli oltre 18 miliardi del 104. Tale svi luppo ininterrotto si è affidato più che ad una intelligente programmazione aziendale

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e ad una razionale gestione manageriale, all'intraprendenza più o meno geniale, ma senz'altro empirica e sprovveduta del titolare dell'azienda. La situazione di monopo lio, la originalità del prodotto e del servizio sono indubbiamente elementi che in una certa fase possono garantire uno sviluppo adeguato; ma se essi non si accompagnano costantemente ad un ingente sforzo finanziario teso alla diversificazione ed al mi glioramento del prodotto, all'innovazione tecnica ed all'espansione del mercato, in presenza di un processo di crescita della concorrenza e di difficoltà di qualsiasi ge nere (crisi di liquidità, errori di investimento, ecc.), tale sviluppo si interrompe bruscamente ed anzi l'azienda entra rapidamente in una fase recessiva.

Nel 1973 la Faema immette sul mercato una nuova macchina le cui prospettive di vendita si rivelano rapidamente fallimentari: la perdita finanziaria è valutabile intorno ad 1 miliardo e mezzo, cui va aggiunto un altro miliardo speso per la costruzione di un magazzino funzionale all'ipotetico sviluppo di tale prodotto. Una accentuata crisi di liquidità e la crisi economica generale, ha causato una sensibile contrazione delle vendite, portano verso la metà del 175 l'azienda sull'orlo del disastro finanziario; il titolare chiede ed ottiene il concordato preventivo con il sottaciuto intento di liqui dare una parte dei debiti delle banche e di licenziare tutti i lavoratori degli stabi limenti in Italia, riservandosi in un secondo tempo di rilanciare il marchio sul mercato tramite la produzione dello stabilimento di Barcellona. Tale linea viene duramen te respinta dai lavoratori che, tramite l'esercizio provvisorio, continuano la produzione con un fatturato di circa un miliardo al mese, nonostante 250 dipendenti vengano messi in C.I.G.; l'esercizio provvisorio dovrebbe scadere a fine dicembre 175 ma vie ne prorogato a febbraio '76: alla scadenza l'azienda fa partire 1165 lettere di licen ziamento che investono quasi tutti i lavoratori del gruppo esclusi quelli della SALDA, per la quale sono in corso trattative con due gruppi industriali (Segrafredo e Crippa Bergamo) per la cessione: a questo fa seguito l'occupazione di tutti gli stabilimenti da parte dei lavoratori.

Dopo una prima fase in cui vengono individuati diversi compratori, fra i quali il gruppo SME , si viene a definire il confronto ad una prima soluzione con la IPO-Gepi. La delibera del 2 febbraio prevede l'intervento della finanziaria pubblica, ma da quella data ad oggi ancora si attende un preciso piano di ripresa produttiva,. I lavoratori che dal 29 gennaio sono senza salario contestano le proposte Gepi finora trapelate e non ancora efficaci per le quali su 1280 lavoratori 680 verrebbero occupati subito, il rimanente dopo un ulteriore anno di C.I.G., troverà soluzioni occupazionali in altre aziende.

La fabbrica è occupata e la lotta che si protrae da oltre un anno stanno a testimoniare la volontà di conquistare la ripresa produttiva di tutto il gruppo ed il mantenimento degli attuali livelli di occupazione.

CERUTI

- BOLLATE - macchine utensili (alesatrici- frese pialla) in liquidazione dal 18/12/75

proprietà: fino al 1973: Montedison (divisione "Attività Varie")

1973-1975 Montefibre

Aprile 1975 FI,MEC (finanziaria 50% Montedison - 50% Snia che raggruppa anche Imes di Alessandira, Utita di Este, Vittorio Veneto e Borgone (TO), Galilei Meccanotessile di Firenze) 4

La politica di ristrutturazione inizia in modo strisciante già negli anni scorsi con l'invio progressivo all'esterno delle lavorazioni leggere e di parti della progettazio ne

L'organico passa da 500 unità nel 1970 a 420 nel 1975.

La gestione SNIA dall'aprile del '75, che succedeva a quelle Montedison, è stata disastrosa: sul piano tecnico e sul piano economico. Sospensioni di 92 lavoratori piar in presenza di possibilità di orario pieno per tutti, rifiuto di commesse, abbandono del l'azienda dal settembre 175, chiusura della rete commerciale ed infine liquidazione del la società, hanno portato il deficit aziendale da 585 milioni a fine 74 ad oltre 5 mi liardi al febbraio '76.

Avvisaglie di ridimensionamento si erano già avute negli anni scorsi di pari passo con la politica di disimpegno della Montedison o altrimenti detta "taglio dei rami secchi".

La costituzione stessa della Finanziaria FI.MEC dimostra palesemente la volontà di per seguire una strada di "affossamento" sgravando la Montedison della responsabilità diret ta.

Dalla primavera '75 in avanti, la FI.MEC assume ripetutamente posizioni intransigenti ed attua gravi provocazioni per tentare la radicalizzazione e drammatizzazione dello scontro.

Il 15 maggio la FI.MEC si rifiuta di sottoscrivere un accordo raggiunto due giorni pri ma tra direzione aziendale e C.d.F., sulla garanzia di "non licenziamento" e sul controllo dell'organizzazione del lavoro e del decentramento produttivo.

Dopo una CIG a 24 h., durata da marzo a luglio, vengono sospesi dal 25 agosto 92 lavoratori a zero ore, reintegrati al lavoro con ordinanza pretorile il 28/12/75.

Il 1° piano di "ristrutturazione" discusso in settembre, non viene accettato dall'Uffi cio Regionale del Lavoro perchè ha come obiettivo "la riduzione del personale".

Ritirato questo primo piano la FI.MEC ne presenta un secondo, solo il 27 novembre, di fronte al Ministero del Lavoro in cui si richiede riduzione di organico di 150 unità attraverso la C.I.G. a zero ore di 24 mesi.

Tale piano titolato: "alternativa alla cessazione dell'attività Ceruti", non viene real mente affrontato sia per la perentorietà dell'atteggiamento della FI.MEC, 'sia per l'as soluta latitanza del Ministero del Lavoro, nonostante che la F.L.M. volesse discuterlo per modificarlo soprattutto negli aspetti occupazionali.

Il 18 dicembre la società viene messa in liquidazione.

Nonostante l'alto livello qualitativo della battaglia impostata i cui tratti più signi ficativi sono una conferma di produzione organica e puntuale, la creazione di uno schie ramento politico e sociale vasto ed unitario, l'unità, la combattività, la coscienza di tutti i lavoratori, oggi, a circa 5 mesi dalla messa in liquidazione, dobbiamo registra re che sono ancora scarse le possibilità di raggiungere una soluzione soddisfacente.

Le trattative dilatorie della proprietà, avallate dall'attendismo della Regione, non lasciano a tutt'oggi intravvedere alcuna soluzione positiva.

Ciò, mentre i lavoratori effLttuano a rotazione settimanale la C.I.G. in uno stabilimen to la cui produzione si inserisce in un contesto di mercato quale quello delle macchine utensili che è in sensibile ripresa, a dimostrazione che la responsabilità della crisi ricade su quei gruppi finanziari che hanno il solo interesse di umiliare i lavoratori anche al prezzo di smantellare le basi produttive.

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SPRAGUE - CREAS

Gli americani della Sprague intorno al 1957 cominciarono a mettere gli occhi sulla Creas: questa azienda dall'immediato dopoguerra in poi aveva cominciato a produrre condensatori affermandosi sul mercato come una delle fornitrici più qualificate.

L'- operazione d'ingresso della Sprague faceva parte del disegno di espansione del capitale americano nelle aziende italiane ed europee del settore elettronico; questo pia no si concretizzò dapprima con una partecipazione di minoranza al capitale sociale e successivamente attorno al 1961-62, con l'acquisto del 100 per cento del pacchetto azio nario e la definitiva estromissione dei proprietari italiani.

Ci fu un ampliamento, nei primi anni, degli edifici, della produzione e degli organici fino ad un massimo di 550 dipendenti nel 1970-72, ma la ricerca non si sviluppò, infatti le tecnologie vennero sempre importate dagli USA.

Il laboratorio di ricerche si ridusse col tempo fino ad una o due unità, per poi essere completamente cancellato dalla Sprague con la motivazione di inutilità.

Gli americani importarono il loro modello gestionale, senza però rinnovare con tecnolo gie avanzate il metodo di lavoro.

Occorre rivedere il processo della espansione in Europa della Sprague per comprenderne il gioco.

Dal 1963 in avanti la società acquistò altre aziende in Europa e precisamente in Belgio, in Inghilterra e in Germania, creando così la Sprague Europa, probabilmente con sede a Fernet-Voltaire. Nel 1969-70, secondo una logica comune alle multinazionali, viene crea ta la Sprague Italiana, società separata ed autonoma: è questo un primo smembramento che determina l'oggettiva debolezza della Creas, dal momento che non dispone più di una rete commerciale diretta. La produzione contemporaneamente dello stesso tipo di conden satore in più Paesi generava parecchie perplessità: infatti si rivelerà poi come possi bilità di estrema mobilità della produzione in quei Paesi dove esistono condizioni sin dacali più favorevoli alle multinazionali. Ma i primi seri dubbi circa la vita della Creas sorgono nella primavera del '75, quando la direzione mette per molti mesi in C.I.G., inizialmente una parte, in seguito la totalità dei lavoratori.

La chiusura degli stabilimenti tedeschi e spagnoli contribuiva ad accrescere la preoc cupazione.

I lavoratori si sono subito preoccupati di verificare con la direzione quali fossero le prospettive, ma non è stato mai possibile condurre delle serie trattative. Anzi Mr. Franc parlava di grandi difficoltà econoriche, finanziarie, di mercato; diceva inol tre che occorreva produrre di più e soprattutto risparmiare.

I prodotti venivano venduti sottocosto per dimostrare che la Creas non poteva reggere sul mercato e che continuare a produrre avrebbe provocato il crescere del passivo. Andando ad analizzare poi i dati di bilancio si è visto che la Creas vanta, nell'ultimo anno, nei confronti della Sprague Europa, un credito di un miliardo e 300 milioni. Non è questa l'ultima e più palese prova della precisa vol(.7,-Aà di affossare l'azienda? A dicembre, quasi inaspettatamente, Mr. Frane Didier, parlò di serie possibilità di ri presa e venne tolta la cassa integrazione. Ma dopo due mesi ci fu un nuovo ciclo di C.I.G. I sindacati ed i lavoratori chiesero con insistenza un confronto serio con la Direzione sulle prospettive e le garanzie occupazionali. Il 19 marzo, in sede regionale, il solito Mr. Frane Didier, sfacciatamente, afferma che non ci sono pericoli per il fu' turo, ma anzi che la produzione era aumentata del 30%.

Questo non bastò naturalmente a fugare i dubbi e le preoccupazioni•e sei giorni dopo, il 25 marzo, quando in occasione dello sciopero generale i lavoratori si sono recati in corteo sotto le finestre dell'edificio in cui si stava svolgendo l'assemblea degli

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azionisti, alla delegazione che chiedeva un colloquio, venne comunicato che la fabbrica era stata messa in liquidazione.

Con la liquidazione inizia il blocco delle merci da parte dei lavoratori e varie inizia tive di lotta che raggiungono un primo importante risultato con l'intesa raggiunta pres so il Comune di Milano tra il C.d.F., i liquidatori e l'amministratore della Sprague. Si ottiene:

la ripresa dell'attività per soddisfare gli ordini in corso l'apertura di un credito dalla casa madre per l'acquisto di materie prime contestualmente all'avvio delle lavorazioni, il C.d.F. ritira l'iniziativa del blocco delle merci ed ottiene per il mese di settembre l'impegno della società ad una ulterio re verifica.

FARGAS

(capitale sociale

dipendenti:

1973 - n. 315

1974 - n. 285

1975 - n. 215

1.800 milioni - 99,9% Montedison)

Lo stabilimento a Novate Milanese occupa attualmente circa 170 lavoratori; sede in Mila no (uffici commerciali ed amministrativi) circa 30 lavoratori, magazzino a Nerviano con 15 lavoratori. La rete commerciale dislocata in tutta Italia con 29 depositi e circa 150 lavoratori addetti (fra rappresentanti, tecnici, impiegati, ecc.)

Produce apparecchi da riscaldamento (caldaie unifamiliari e stufe a gas) e vende, attra verso la rete commerciale: cucine, scaldabagni, caldaie murali, grandi cucine per comu nità, mobili componibili, etc.

Nell'aprile del '74 la Montedison comunica alle 00.SS. ed al C.d.F. durante un incontro in Assolombarda, la decisione di chiudere l'unità produttiva di Novate trasformando la Fargas in azienda commerciale.

Vengono inviate lettere di trasferimento in altre fabbriche del gruppo Montedison (Lina te, Rho, Cesano, Castellanza) a circa 180 lavoratori (compreso utto il C.d.F.) - un cen tinaio accettano il trasferimento, altri occupano la fabbrica in quanto si ritiene stru mentale la decisione della Montedison.

La Fargas ha un suo mercato, i prodotti costruiti a Novate sono tecnicamente validi: ciò non giustifica questa decisione che avviene quando un nuovo modello di caldaia a gas, costato tre/quattro anni di studio, è ormai in fase di realizzazione.

Si inizia un'azione legale: il 18 luglio 1974 la pretura di Milano ordina alla Fargas di:

riaprire lo stabilimento ricomporre l'organico ricostituire le scorte

Nel settembre/ottobre 74, in applicazione all'ordinanza, la Fargas assume 108 lavorato ri di cui 70, per presunte difficoltà tecniche addotte dalla Montedison, non vengono inseriti nel processo produttivo per sei mesi, ma ugualmente retribuiti.

La produzione continua con molte difficoltà (mancano programmi di produzione, materie prime, etc.) fino al luglio 1975.

Il 28 agosto '75 la società viene messa in liquidazione ed il 29 gennaio '76 viene dichiarata fallita.

Tutto questo nonostante l'interesse dimostrato dai vari gruppi all'acquisto della Far gas, operazione sempre ostacolata dalla Montedison interessata a mantenere il marchio di fabbrica.

Dopo la dichiarazione di fallimento viene concesso l'esercizio provvisorio per tre me si.

La richiesta del C.d.F. in sede di Tribunale è oggi di prolungare l'esercizio provviso rio a fronte di un bilancio saldamente attivo che permette lo stanziamento di 870 milio ni per investimenti in materie prime.

In questo periodo di gestione diretta dei lavoratori dell'attività produttiva, si dà dimostrazione della vitalità dell'azienda mentre appaiono ormai ridicole le valutazio ni di carattere produttivo della Montedison a copertura in realtà, anche in questo pia no, di un progetto politico anti-popolare.

La produzione è in continua espansione ed ai lavoratori viene regolarmente garantito il salario.

Di ciò il Tribunale dovrà prendere atto mentre si profilano nuove soluzioni legate ad ipotesi di acquisto da parte di diversi gruppi finanziari e si richiede più chiarezza e tempestività alla Regione Lombardia circa le ipotesi d'intervento della finanziaria regionale.

PLODARI

La Plodari è una società per azioni (capitale sociale 200 milioni).

Il principale azionista è il sig. Plodari Giovanni, figlio del fondatore della ditta.

L'azienda occupava ad aprile 175 circa 300 dipendenti, dei quali 240 donne, e produce serrature per interni. E' una delle maggiori, se non la maggiore azienda italiana del settore ed il suo mercato era per il 40% verso l'estero e per il 60% verso il territo rio nazionale.

La struttura commerciale dell'azienda è costituita da una rete di agenti in 40 Paesi di tutto il mondo ed inoltre essa aderisce ad un cartello di aziende del settore per la spartizione del mercato interno.

Anche il livello tecnico del macchinario è buono.

Le cause della crisi sono da attribuire alla crisi del settore edilizio, ma soprattut to alle gravi deficienze di carattere manageriale e amministrativo, che hanno portato l'azienda ad un deficit complessivo di quasi due miliardi, prevalentemente costituito da debiti verso creditori privilegiati (enti previdenziali e INAM, lavoratori, sindacato). Infatti a conferma di questa analisi esiste oggi presso l'azienda un monte or dini di quasi 600 milioni.

La vertenza Plodari è cominciata nell'aprile 1975 con la richiesta di C.I.G. a 24 ore per tutto il personale. I lavoratori respinsero la C.I.G. ed iniziarono un presidio dell'azienda che si concluse nel mese di maggio con un accordo però mai rispettato dalla direzione. A partire dal mese di luglio e fino alla fine di gennaio la C.I.G. non è più stata pagata ai lavoratori. A partire dal mese di novembre è cominciata a scarseggiare la materia prima e la direzione ha sospeso anche il pagamento del salario per le ore effettivamente lavorate.

In seguito a questo i lavoratori hanno deciso il presidio permanente dell'azienda e si è cercato, con la mediazione della Regione, di giungere ad un incontro e ad un accordo $

con la direzione che garantisse la ripresa della produzione e del pagamento dei salà-rt e della C.I.G.

Tali tentativi sono risultati del tutto infruttuosi per la manifesta non volontà della direzione di avanzare la benchè minima proposta di ripresa produttiva. Il presidio del la fabbrica si è trasformato in occupazione vera e propria dopo il completo esaurimento delle scorte di materia prima e dopo la comunicazione, da parte dei rappresentanti del la direzione, della intenzione di presentare i libri in tribunale chiedendo il concor dato preventivo.

A partire da questo momento, cioè dalla fine di gennaio, si è cercato di avviare in se de regionale una ricerca di eventuali rilevatori dell'azienda, ma la trattativa con un gruppo finanziario che sembrava interessato è per ora fallita e pertanto, in data 11 marzo 76, la direzione ha comunicato la spedizione delle lettere di licenziamento.

La nostra iniziativa si è mossa in questi ultimi mesi essenzialmente verso tre direzio ni: impedire lo smantellamento dell'azienda con l'occupazione della fabbrica; garantire parziali forme di recupero salariale ai lavoratori con la richiesta (otte nuta) dell'erogazione diretta da parte dell'INPS della C.I.O. e con la creazione di un comitato per l'occupazione composto dai sindaci dei comuni del magentino; la ricerca di soluzioni che potessero garantire la ripresa del lavoro.

In tal senso abbiamo impegnato sia la Regione sia il Ministero dell'Industria, con il quale abbiamo avuto un incontro. Il Ministro ha escluso un intervento diretto da'parte dello Stato ma ha dichiarato la completa disponibilità alla concessione di finanziamen ti nel caso questi venissero richiesti da un eventuale rilevatore.

Dopo una prima analisi della situazione aziendale compiuta da rappresentanti di quel gruppo finanziario, risulta che l'azienda potrebbe riprendere l'attività giungendo in tre mesi, con un finanziamento di 800 milioni circa, ad un bilanciamento della sua situazione produttiva, purchè tale intervento si svolga prima di uno svuotamento di quel monte ordini così rilevante.

Pertanto abbiamo anche pensato alla possibilità di giungere anche solamente all'inter vento di società di gestione o alla costituzione eventualmente di una cooperativa di gestione.

Per concludere la situazione della lotta tra i lavoratori dell'azienda è abbastanza buona anche se cominciano a crescere le defezioni di quanti hanno trovato un altro lavoro, mentre è andata crescendo la partecipazione degli altri lavoratori alla lot ta della Plodari che si è espressa con un riuscitissimo sciopero di zona della cate goria con manifestazione a Magenta.

SANTANGELO (ex Tuscav)

Società fondata l'1/9/71 con sede a Milano, via Negrotto 10 - capitale sociale 10 milio ni.

Occupa circa 70 dipendenti. Produce termostati per lavatrice ed appartiene all'indotto Candy.

I proprietari ed il gruppo dirigente aziendale sono gli stessi di altre unità produttive dell'indotto Candy.

Tale elemento, scaturito da una iniziativa legale del Consiglio di Fabbrica, ha consen tito di mettere in luce la speculazione della Candy a cui è seguita un'ordinanza del Pretore e di individuare la reale controparte dei lavoratori.

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Dall'aprile al giugno 175 i lavoratori sono stati messi in C.I.G. a zero ore e nel luglio l'azienda è stata posta in liquidazione. Sempre in luglio è stata aperta una vertenza del gruppo Candy per il mantenimento dei livelli di occupazione anche nell'indotto e quindi il confronto coinvolge direttamente anche la Santangelo: il confronto in sede Regione è il momento fermo per l'atteggiamento intransigente della direzione Candy. La proposta più recente riguarda un assorbimento dei lavoratori in altre unità produttive del gruppo con lo smantellamento dell'azienda. C'è forse la possibilità di uno sbocco positivo che va nella direzione di una cessione dell'azienda ad un compratore che garantisca un'autonomia di mercato.

S.a.s. di Aldo Piazza & C. (moglie e figli)

Con sede legale a Torino e stabilimenti a Cassinetta di Lugagnano. Sorta nel 1969 dal fallimento della Volpi Franco, aveva 17 dipendenti ed un capitale di £. 5.000.000 suddiviso tra il Piazza e la consorte; capitale che in seguito (nel 1973) divenne di 500 milioni.

Il numero di lavoratori (tra amministrativi e tecnici) raggiunge i 280/300 tra Torino e Cassinetta, di cui 25 impiegati.

La produzione prioritaria erano i frigoriferi Freezer + congelatori, che produceva per 28 case diverse, esportando il 95% del prodotto; produzione totale nel 1974:110.000 pez zi. Non aveva produzione propria come vendita diretta. •

Sempre per conto terzi produceva lavastoviglie (8.000 annue) per il mercato svizzero (Venwood) ed in parte per la Fargas (minima).

Oltre a quanto sopra, produceva apparecchi per la "messa in piega" dei capelli (bigodini): circa 55.000 all'anno, anche questi per conto terzi e per l'esportazione, in particolare per l'Australia e gli Stati Uniti.

Nel 1974 il fatturato fu di 8,5 miliardi.

Entra in crisi ai primi del 1975 per la crisi che investe il settore elettrodomestici, anche se a novembre-dicembre 74 utilizzava ore extra.

Nel febbraio 175 chiede 13 settimane di C.I. G., firmando un accordo aziendale che garantiva i livelli occupazionali e l'anticipo della C.I.G. al 97%. Ad aprile l'ufficio di consulenza (Giarda e Vitale) comunica al C.d.F. ed alla F.L.M. la precarietà della azienda. Viene presentato un deficit di 4.100 milioni che, a detta dello studio di con sulenza, è grave-:ma ancora sanabile.

All'epoca vi sono 9.000 congelatori, frigoriferi, lavastoviglie e circa 4.000 bigodini fermi a magazzino, che non vengono lasciati uscire sino a che non venga presentato un serio e credibile programma produttivo.

Di fatto però il programma non viene mai presentato e nel frattempo il magazzino climi nuisce a 4.000 pezzi. In seguito vengono fatti uscire i pezzi solo se prima l'azienda iírovvede all'approvvigionamento del materiale per produrre. Nel contempo si richiede l'amministrazione controllata a Milano (avevano trasferito la sede legale da Torino a Cassinetta), che non viene concessa. In luglio, dopo aver convocato una assemblea aperta alle forze politiche, si decide l'occupazione della fabbrica.

Si tiene un primo incontro a Roma presso il Ministero del Lavoro ed Industria per trovare possibili acquirenti. La situazione non muta sino all'il agosto quando viene accordata dal Tribunale di Torino l'amministrazione controllata. Curatore: Dott. Certo

ALPI

ri (Torino)(figlio del curatore della Emanuel di Torino) Nel settembre 75 si tiene a Roma il 2° incontro, dove ci si incontrò anche con il dott. Ortolani (Voxson) interessato all'acquisto.

In ottobre la ditta dichiara fallimento e conseguentemente licenzia 310 dipendenti. Il magazzino è limitato a 1.700 pezzi tra frigoriferi e congelatori. Il passivo è di 4.100 milioni. La perizia del curatore fallimentare valuta il complesso in 1.500 milio ni

La Voxson ritiene tale valutazione troppo alta e a dicembre si disimpegna dall'affare perchè non riesce ad avere finanziamenti dal Ministero. Unico elemento positivo nel discorso Voxson: la garanzia dei livelli occupazionali e degli accordi aziendali esistenti al momento del fallimento.

Attualmente interessato alla ALPI c'è una non meglio precisata finanziario americana che, a giorni, dovrebbe far sapere le sue decisioni.

Da indiscrezioni si è saputo che è autosufficiente a livello finanziario, ma che non avrebbe intenzione di assorbire la mano d'opera rimasta.

La fabbrica è occupata dal 13/10/75 (giorno del fallimento) e da quella data i lavora tori non percepiscono salario. Unico finanziamento avuto è stata la sottoscrizione sin dacale.

Il numero dei lavoratori che presidiano sono circa 150.

Da parte dei lavoratori e del C.d.F. si ritiene che una fabbrica che ha fatturato 85 miliardipossa avere e trovare spazio nel mercato nazionale ed estero.

SIBI TARGHE DESIO (MI)

La Sibi-Targhe è una piccola azienda la cui produzione è divisa in due settori produttivi distinti, il settore targhe per prodotti industriali ed il settore casseforti a muro, serrature e salvadanai.

Fino al 1° dicembre 1975 la Sibi aveva 90 dipendenti, attualmente sono rimasti 50 fra i meno qualificati.

La Sibi è una S.P.A. con amministratore unito a capitale "svizzero", essa collocava prevalentemente sul mercato nazionale anche se aveva mercati esteri.

I motivi della crisi sono da ricercare nella arretratezza delle strutture produttive a livello artigianale ed al mancato rinnovo degli impianti, fino al punto di rendere la fabbrica non competitiva, pur avendo un mercato che tirava.

Dal 1° dicembre 1975 l'azienda veniva messa in liquidazione dopo aver accertato ún indebitamento di circa 500 milioni, successivamente è stata presentata istanza di fallimento, il Tribunale ha rinviato la decisione ed a giorni si deciderà o il concordatc preventivo o il fallimento.

Attualmente l'azienda opera per avere crediti agevolati e finanziamenti, sul piano gin dacale si sono attuati incontri con il Comune di Desio e con la.Regione; attualmente la fabbrica è ferma e presidiata dai 50 lavoratori rimasti.

ACFA SETTIMO MILANESE (MI)

L'ACFA era una importante media azienda di Settimo Milanese, con il passare degli anni in questa azienda vi è stata una forte contrazione dell'occupazione.

Infatti, nel 1973 l'ACFA aveva 540 dipendenti, nei primi mesi del '74 vi è stata una ulteriore riduzione a 450 per ridursi a 380 dipendenti prima del fallimento; attualmen te occupa 52 lavoratori.

L'azienda produce minuteria metallica, fibie e ganci per calzature, settore che attuai mente registra un aumento della domanda.

Il sig. Steimberg oltre all'Acfa bilimenti impegnati nello stesso

ACFA S.r.L. di Padova

SIMA - prov. Arezzo

FAPAS Fizzonasco di Pieve E.

di Milano possiede in Italia ed all'estero altri sta settore:

50 dipendenti

100 dipendenti

12 dipendenti

più uno stabilimento in Spagna, uno in Venezuela ed uno in Israele.

Le aziende italiane coprivano una grossa fetta del mercato nazionale pari ad un fattu rato di sette miliardi.

il 70% circa della produzione era destinato al mercato nazionale ed il 30% al mercato estero.

Fin dai primi mesi del 1973 si registrano i primi sintomi del disimpegno padronale ten dente a ridimensionare la fabbrica e l'attività produttiva minacciando la C.I.G. e il trasferimento di macchinari negli altri stabilimenti del titolare dell'ACFA, sig. Steim berg a Padova e ad Arezzo.

Progressivamente è venuta avanti una situazione di indebitamento dell'azienda in par ticolare nei confronti dell'INPS e dei fornitori.

Il 5 settembre '75 la proprietà presenta istanza di fallimento al Tribunale.

Il 3 ottobre '75 l'azienda attuava il licenziamento di tutti i dipendenti dopo dure lotte e l'intervento degli Enti Locali, forze politiche democratiche, sono stati assun ti il 1° dicembre n. 52 lavoratori ed il tribunale ha concesso l'esercizio provvisorio.

Da tre anni i lavoratori chiedevano riconve rioni e ristrutturazioni produttive, occor re osservare che diversi progetti di riorganizzazione aziendale redatti da consulenti esterni (ORGA, Gruppo Dirigenti Aziendali) sono stati sempre respinti dal Titolare dell'azienda.

L'azienda ha perso ormai la quasi totalità della rete commerciale; per i 52 lavoratori attualmente occupati si prospetta la definitiva chiusura della fabbrica.

iz

L'Util-Frigor è una S.p.A. a capitale italiano con 30 dipendenti, della zona di Rho. Essa è specializzata nella produzione di apparecchiature di raffreddamento per'impian ti siderurgici e per l'industria.

Pur avendo ordini dalla Italsider la cattiva conduzione dell'azienda, l'abbandono di alcune produzioni, la mancanza di adeguati investimenti ha portato l'azienda ad un pas sivo di 200 milioni.

Si prospetta la chiusura definitiva dell'azienda se non si presenterà un acquirente; i lavoratori hanno occupato la fabbrica.

MOZZALI

L'azienda produce minuteria meccanica, aveva 30 dipendenti ed è occupata da più di 100 giorni.

Gestita per anni con il ritmo del mercato Lo dimostra il fatto di lavoro.

criteri artigianali, metodi paternalistici5 l'azienda non ha retto per incapacità di carattere gestionale. che nonostante la lunga occupazione continuano a pervenire ordini

L'azienda ha tutti i problemi di chi non ha voluto o potuto investire e rinnovare. una attività ventennale non si è mai sostituita una sola macchina. lavoratori sono in attesa che il Tribunale di Monza decida il sequestro. la inapplicabilità della procedura di licenziamento adottata.

Nel corso di Attualmente i cautelativo e

AQUILA SANT' AGOSTINO MILANO

L'azienda inserita nel settore meccanotessile produce macchine per maglieria. Nel 1974 i lavoratori occupati erani 200, oggi ne rimangono 120. Ciò a. seguito del licenziamento di 90 lavoratori nel corso del maggio/ottobre '75 e dello smantellamento della rete di vendita.

Nel '75 risulta infatti fallimentare una ambiziosa operazione di carattere commerciale e tecnologica che porta anche alla esposizione della Fiera ITMA di Milano due macchine nuove di cui una altamente qualificata progettata assieme alla Ages e Coppo.

Ma la politica finanziaria e gestionale dell'azienda è tale che la stessa non rie sce neppure a sopperire agli ordini che pur si acquisiscono a condizione di forti anticipi. 13

UTIL FRIGOR
RHO (MI)

Nel febbraio del '76 si introduce l'amministrazione controllata a fronte di 2 miliar di di debiti verso istituti previdenziali nonchè fornitori e con uno stoccaggio del valore di 1 miliardo.

Attualmente 14 direzione persiste a non voler entrare nel merito delle diverse so luzioni proposte dal Sindacato e dal C.d.F. che, a partire da un pieno utilizzo dei macchinari, avvii una coraggiosa ma indispensabile politica di rinnovamento: occorre organizzare la rete di vendita, garantire efficacemente l'assistenza e soprattutto investire in progettazioni capaci di qualificare il prodotto. Su queste basi i lavoratori ed il C.d.F. sono certi che l'azienda ha la forza per svilupparsi e in questo quadro il controllo dei lavoratori sullo stabilimento può garantire il posto di lavoro e la continuità produttiva.

LA PRODUZIONE

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Consiglio di fabbrica FLM10 by fondazioneisec - Issuu