ANNO 3 - N.4
VENEZIA
Un voto ragionato I problemi e i diritti degli anziani
Il 3 e 4 giugno 1979 gli elettori italiani saranno nuovamente chiamati alle urne per eleggere il Parlamento della Repubblica. Come si sa si tratta del terzo scioglimento anticipato consecutivo delle Camere, dopo quelli del '72 e del '76. Come si è potuto verificare tutto ciò? E per quali responsabilità?
Le elezioni del 20 giugno 1976 hanno portato ad uno sconvolgimento di fondo del panorama politico italiano; un rafforzamento contemporaneo dei due maggiori partiti

italiani: la DC al 38% dei voti ed il
PCI al 34%. Si rendeva così evidente e tangibile ciò che anche prima del voto era stato detto e scritto da diverse parti: il nostro Paese non era più governabile senza e contro il PCI.
D'altro canto là sinistra non poteva contare su suffragi sufficienti a rendere possibile la formazione di un governo senza la DC. L'unica ipotesi ragionevole per governare il Paese, per affrontare ed iniziare a ri( segue in ultima )
Per un'Europa democratica
Il 10 giugno, una settimana dopo le elezioni per la Camera e il Senato, ci recheremo nuovamente a votare. Non essere riuscito ad unificare in una sola tornata le elezioni per il Parlamento nazionale e per quello europeo, è l'ultimo pasticcio combinato dal Governo Andreotti - Nicolazzi. Un pasticcio che costerà sva-
La Redazione di "Porta Venezia", data l'importanza della duplice scadenza cui sono chiamati gli elettori, ha dedicato ampio spazio su questo numero al tema delle elezioni politiche ed europee.
La novità rappresentata dall'elezione a suffragio diretto del Parlamento europeo e la gravità della crisi del Paese che richiederebbe una collaborazione senza preclusioni tra tutte le forze democratiche, richiedono anche ad un periodico di zona come il nostro, un impegno straordinario volto ad Informare e a far discutere i cittadini.
riate decine di miliardi a tutti noi e che rischia di non far comprendere pienamente il significato delle elezioni europee. Il 10 giugno si recheranno a votare per un Parlamento comune inglesi e irlandesi, francesi e olandesi, belgi e danesi, italiani e tedeschi.
( segue in ultima )
Riteniamo in questo modo di fornire il nostro contributo, anche se limitato, alla realizzazione di un obiettivo che sempre abbiamo perseguito nella nostra azione: quello di stimolare la riflessione tra la gente sulle questioni di rilevante interesse nazionale, cittadino e di zona. Per meglio assolvere a questo compito e al fine di raggiungere il maggior numero possibile di cittadini, abbiamo deciso, nonostante il notevole costo finanziario, di uscire con un numero speciale a 12 pagine con una tiratura molto alta, da diffondere gratuitamente agli abitanti della nostra zona.
Si impone immediatamente un confronto con gli anziani sui loro problemi della salute, dell'assistenza, della pensione. È necessario recepirne le esigenze, stimolarne le lotte, perchè per essi non vi sia più l'emarginazione sociale e psicologica, perchè vedano realizzati i loro diritti.
Quello dell'anziano, oggi, è un grosso problema. L'allungamento della vita, conseguente alla diminuzione della mortalità, è un dato statistico reale di ampie proporzioni. Si pensi che nei primi 75 anni di questo secolo, la mortalità annuale è scesa dal 40 al 16 per nill3. Le persone sopra i sessantanni, sono passate nello stesso perioso, dal 6 al 18 per cento della popolazione, e oggi in Italia vi sono ben 9 milioni e mezzo di ultrassessantenni e in Lombardia quasi 1 milione e mezzo. La vita media è passata da 63 a 74 anni.
A questo dato confortante se ne aggiunge però subito uno contrastante. Questo allungamento biologico della vita, si è tradotto infatti, in un peggioramento della qualità del-
Esemplare atto di solidarietà civile in zona 3
Francesca D. è una bambina che clinicamente viene definita "microcefala" cioè in parole povere è nata con una massa di materia cerebrale inferiore alla norma. A 10 mesi di età la bimba non regge ancora la testina, non riesce a stare seduta da sola, non corre carponi per la casa come tutti gli altri bambini della sua età. I genitori sin dai suoi primi mesi di vita hanno seguito quel doloroso iter che sono i ricoveri in ospedale, gli esami ambulatoriali, gli appuntamenti dallo specialista in una altalena di speranze, di delusioni, di disperazione che il parere di un medico o dell'altro suscitavano per il futuro della loro bambina. Dopo un lungo mese di attesa la visita da una dottoressa considerata una delle migliori se non "la migliore" per il caso di Francesca; la dottoressa imposta un programma di una speciale ginnastica da eseguirsi per due ore ogni giorno e consiglia di cercarsi un aiuto. Perchè non possiamo farlo noi? Si chiedono i genitori di Francesca; la mamma signora Carla, con l'aiuto del marito e della madre iniziano a far fare alla bambina gli esercizi prescritti ma, due ore al giorno di esercizi pesanti sia per la bambina sia per chi glieli fa fare, oltre alle normali cure che si dedicano ai bimbi di pochi mesi sono veramente tante, troppe; non si tratta di un sacrificio limitato nel tempo che dura pochi mesi, queste terapie per dare buoni risultati devono protrarsi per molti anni. Dopo tre mesi dall'i-
la vita stessa. Da una parte si sono evidenziate malattie nuove, di tipo degenerativo come l'arteriosclerosi, dovute all'invecchiamento, all'usura di una vita passata spesso in condizioni generali, lavorative e familiari precarie e gravemente carenti da ogni punti di vista. Tali malattie purtroppo non sono state ancora ben inquadrate e risolte dal punto di vista clinico. Dall'altra parte, però, non vi è stata alcuna preveggenza, anzi, addirittura colpevole incuria da parte degli organismi statali preposti, perchè non si è preparato al soggetto anziano un tipo di vita adeguato sotto tutti gli aspetti, economici ed assistenziali.
Nella struttura capitalistica del nostro Stato, e nella sua ottica, evidentemente, chi, come l'anziano, è soggetto che non produce e che non può reclamare per difficoltà contingenti e con adeguate lotte unificate i propri diritti, è paternalisticamente commiserato, tollerato, lasciato indietro. Si è attuata insomma, anche per problemi siffatti, in questi 35 anni di
non governo, la politica del massimo risparmio da una parte, erogando pensioni da fame ed offrendo case ad alto affitto, e del minimo consumo dall'altro, predisponendo strutture sanitarie inadeguate, servizi carrozzoni di sottogoverno. Una politica, insomma, tesa all'emarginazione dell'anziano e a costruire un non dichiarato cordone sanitario intorno ad un quinto della popolazione del nostro Paese. Si aspetta insomma l'evento fisiologico: le malattie, con sempre più frequenti ricadute, i ricoveri ospedalieri non risolventi e sempre più ravvicinati, i cronicari, veri e propri ghetti legalizzati, la fine. Non si è capito o meglio, si è fatto finta di non capire che l'emarginazione è veramente la più grave malattia della vecchiaia.
Ma gli anziani non devono arrendersi. Sappiano che con loro hanno lottato e lottano tanti democratici, sensibili ai loro problemi. È necessario per tutti però, soprattutto in questo momento di scelta elettorale, ( segue a pag. 2 )
Il dramma di Francesca
nizio della terapia, soprattutto per la signora Carla è il crollo sia fisico che psicologico, un momento difficile, di frustrazione per non riuscire a fare tutto ciò che bisognava fare e nello stesso tempo quasi un rigetto di tutto quanto è annesso e connesso alla situazione che sta vivendo. La situazione economica d'altronde non le permetteva di servirsi di una o più terapiste. In questo stato d'animo, quasi per caso, la signora Carla approda al SIMEE (Servizio Igiene Mentale in Età Evolutiva) della nostra zona che è sito in via Settembrini, 32. Certo, conosceva l'esistenza di questo servizio in quanto insegnante, ma non ci aveva mai pensato prima, non l'aveva collegato al suo caso. Al SIMEE, madre e figlia sono state seguite ed è stata confermata la necessità per Francesca di una terapia consistente in una particolare ginnastica per almeno tre ore al giorno. Il problema quindi di avere degli aiuti diventava più grave. La fisioterapista del SIMEE si è premurata di parlarne con alcune mamme che frequentavano il Centro ed a loro volta queste mamme ne hanno parlato con altre. Una decina alla fine si sono offerte di dare una mano alla signora Carla a svolgere il suo gravoso compito. Dopo aver appreso dalla fisioterapista come ed in che modo si dovevano fare questi esercizi, a turni hanno iniziato a frequentare la casa a conoscere Francesca ad aiutarla per quanto è possibile. "È una delle poche cose posl-
tive di questo lungo periodo" ci dice la signora Carla" vedere come queste persone che non ci conoscevano, ci danno un aiuto (nemmeno i parenti, gli amici, me lo avevano offerto) vederle trattare Francesca con naturalezza con gentilezza ed affetto mi rassicura, so che mentre le fanno fare gli esercizi posso rilassarmi, dedicarmi un po' a me stessa anche se in effetti finisco spesso per non farlo".
"Ma la cosa più importante è che le altre persone garantiscano la cura a Francesca; da soli io, mio marito mia madre non potremmo farcela".
Ci sembra abbastanza serena, disponibile al dialogo la signora Carla, certamente conscia della gravità della situazione in cui si trova Francesca ma, non disperata e probabilmente la presenza di queste persone che così numerose frequentano la sua casa ha contribuito a non isolarla a non farla rinchiudere in se stessa, a non lasciarla sola con il suo enorme problema.
Disimpegno, qualunquismo non hanno significato per queste persone che aiutano Francesca, come non hanno significato per tutte quelle altre socialmente impegnate, anche se in modo diverso, che trovano il tempo per lavorare negli organi collegiali della scuola, nei Consigli di zona, nelle Associazioni varie insomma in tutti quegli organismi al servizio della collettività.
DALLA PRIMA PAGINA

individuare chi ha sempre chiesto miglioramenti delle condizioni di vita delle masse lavoratrici e pensionate e chi invece si è sempre schierato contro, cercando anzi di far pagare loro il prezzo della terribile crisi in cui ci hanno fatto cadere. Non dimentichiamo le lotte che partiti come il PCI, hanno portato avanti per ottenere, ed in parte le hanno ottenute, determinate garanzie nei riguardi del problema gravissimo dell'assistenza socio - sanitaria dell'anziano. Basti pensare al capillare e proficuo lavoro fatto per le modifiche prima e per l'approvazione poi della recente legge sulla riforma sanitaria; alla bozza di accordo sulla ristrutturazione del sistema assistenziale, alla rivalutazione delle pensioni minime, alla lotta condotta per l'aggancio delle pensioni alla dinamica salariale, alle leggi contro le evasioni contributive ed al lavoro svolto dagli SMAL per attuare nelle fabbriche una reale prevenzione generale ed una prevenzione particolare per quei lavoratori non più giovani e quindi a più alto rischio di ammalare, data la lunga usura subita durante la vita lavorativa. Proposte di leggi importanti, quali quelle sulla assicurazione volontaria e sulla riforma del sistema pensionistico, che avrebbe eliminato scandalose diseguaglianze tra pensionati, sono purtroppo decadute per la volontà deliberata delle forze politiche conservatrici, di far chiudere in anticipo questa legislatura.
I comunisti hanno insomma lavorato a fondo su questo problema, cercando di ampliare al massimo quegli spazi conquistati con gli accordi dell'ultimo governo Andreotti di unità nazionale. Il miope atteggiamento della DC, ma anche di altre forze politiche non ha permesso conquiste più sostanziali e risolutive. Ma il problema posto dalla situazione della gente anziana impone al PCI di non demordere. Infatti nel Congresso appena conclusosi a Roma, il problema degli anziani è stato espressamente codificato nelle tesi approvate. Questo rappresenterà evidentemente un impegno categorico per i parlamentari che saranno eletti nelle liste di questo partito.
A Bologna il 7 maggio 79 si è svolto un convegno nazionale sui problemi degli anziani ove, tra le altre cose si è decisa la riproposizione di progetti di legge decaduti e una azione organica, assistenziale e pensionistica che porti a soluzione definitiva i problemi che a questo riguardo, altri partiti non hanno saputo risolvere. Il convegno si è tenuto proprio a Bologna, in una regione come l'Emilia - Romagna, dove, per gli anziani viene fatto moltissimo. Ciò forse avviene anche in rottura con schemi finanziari imposti dallo Stato, ma saggiamente si è privilegiato l'ampliamento e l'alta specializzazione della attività assistenziale sanitaria a favore delle masse dei pensionati più bisognosi.
Ma anche nella nostra regione, è soprattutto a livello comunale, già si
I problemi e i diritti degli anziani
è fatto qualcosa. Certo c'è ancora da fare. È comunque ben presente agli amministratori comunali che, in particolare, i problemi socio - assistenziali vadano affrontati anche su misura delle necessità dell'anziano, In modo da intervenire sulle esigenze come per altre categorie definite, vedi i minori, le donne ecc. Fare questo significa anche e soprattutto fare opera di prevenzione. È più facile prevenire che curare. Owiamente il prevenire per l'anziano, ha una dimensione più ristretta se vogliamo, ma anche più positiva, volta come dovrebbe essere essenzialmente, a fattori psicologi ambientali e quindi tesa a prevenire soprattutto l'inabilità. Sono stati predisposti alcuni dispositivi di legge ed ora questi vanno applicati con rigore. In primo luogo la legge di riforma sanitaria che agli anziani, per l'assistenza sanitaria, dedica ampie parti, poi la legge regionale n. 16 del 3.4.74, poi la delibera quadro del Comune di Milano sui servizi socio - sanitari, poi l'elaborazione del bilancio azzonato.
Mettere in pratica queste leggi, significa in primo luogo attuare una ristrutturazione dei servizi socio - sanitari particolari del singolo. Non significa, come potrebbe sembrare, spendere di più, anzi, a conti fatti, a volte, significa anche risparmiare; comunque i bilanci azzonati, la possibilità cioè di spendere i fondi messi a disposizione dal Comune, secondo le necessità proprie di una determinata zona, può tranquillizzare gli amministratori, per quelle spese che dovessero proporsi per realizzazioni nuove. La riorganizzazione è necessaria in quanto i servizi esistenti sono tanto burocratici e di funzionamento complicato da essere quasi inutili in particolare per le persone anziane.
L'anziano non è un malato; spesso si fa passare per malattia quello che è una espressione, se vogliamo fisiologica, dell'età, vedi l'artrosi, la bronchite cronica, l'arteriosclerosi, ecc. Tali disturbi non devono essere causa di ospedalizzazione. Ci vuole quindi una struttura sanitaria ed assistenziale di base che recepisca questo concetto e ne realizzi l'attuazione ad un alto livello di professionalizzazione, facendosene carico.
Evidentemente esistono già le strutture dell'INAM, medici ed ambulatori, che tra pochi mesi si costituiranno come Unità Sanitaria Locale.
È proprio qui che bisogna affrontare il problema delle strutture territoriali extraospedaliere. Bisogna far funzionare ad orario più allargato gli ambulatori medici - mutualistici, anche al mattino per esempio o ad orario prenotato, invece che costringere il povero a fare code interminabili ad ore serali per lui certamente scomode. Bisogna convincere poi i sanitari curanti ad espletare più generosamente le visite domiciliari: non è necessario che il malato abbia l'infarto o la febbre alta per non recarsi all'ambulatorio. L'anziano for-
se fa fatica a fare i quattro, cinque piani di casa senza ascensore per i dolori di tipo artrosico che spesso lo affliggono.
Bisogna istituire nell'ambito degli ambulatori specialistici dell'INAM, sezioni di medicina geriatrica con possibilità di intervento diagnostico specialistico esterno, per fare ad esempio a domicilio dell'anziano malato, elettrocardiogrammi, lastre, esami del sangue.
Bisogna organizzare nelle due strutture adiacenti alla nostra zona 3 (il Bassini che sta per trasferirsi come ospedale e il Brefotrofio ormai quasi vuoto) poliambulatori per anziani e aperti al quartiere ove si potrebbero concentrare servizi diagnostici e di cura generica e specialistica e realizzare così l'hospital day, l'ospedale dove si sta solo di giorno.
Passando poi al problema assistenziale vero e proprio, la ristrutturazione andrebbe coordinata e centralizzata in una nuova struttura: il "centro sociale per anziani". Già ne esistono alcuni a Milano come quello voluto dal Consiglio di zona 13 al Forlanini. È un ambiente di 120 mq a disposizione per ora degli anziani delle IACP di via Salomone. Bisogna reperire anche nella nostra zona un locale adatto a questo scopo. Il centro sociale dovrebbe essere autogestito dagli stessi anziani, i quali dovrebbero organizzare la loro vita associativa utilizzando i vari fondi comunali. Si potrebbero costituire nel centro forme di utilizzo del tempo libero (proiezioni filmiche, rappresentazioni teatrali, televisione, giornali, conferenze, corsi di educazione sanitaria, visite a musei, gite, soggiorni climatici, vacanze in ambienti convenzionati), un centro con lavanderia e macchina da cucire, un centro di cottura per almeno un pasto, un centro di pulizia personale assistitita, un centro psico - sociale, cooperative di utilizzo a parttime degli anziani per la vigilanza presso le scuole ed i musei, che favorirebbe anche la loro autonomia economica, un centro di segretariato per tutte le pratiche amministrative e di ricerca di alloggi popolari. Attuando quanto sopra per l'anziano si verrebbe, da una parte, a ricostituire una vita associativa priva di quei doppi fini e falsi obiettivi, quali quelli esistenti, per questo tipo di servizio, nelle comunità parrocchiali, e dall'altra a rispondere ad una esigenza primaria di tutte queste persone che, come abbiamo visto, è quella di uscire dalla emarginazione e dalla gabbia in cui la società le ha gettate. Gli anziani possono e devono dare un contributo di idee, di esperienze e anche di lavoro se lo desiderano, contribuito di cui noi non intendiamo e possiamo fare a meno. Sono tutte cose possibili. Noi tutti dobbiamo chiederle con forza, ora, alla vigilia della consultazione elettorale ed impegnare su questo i partiti che già vi aderiscono con i loro programmi.
Franco AzzollinlL'invecchiamento zona per zona
L'altra settimana alla presenza dell'Assessore Antonio Taramelli, dei rappresentanti di alcuni partiti e di numerosi cittadini, si è svolta nella sede di via Boscovich 42 una seduta straordinaria del consiglio di zona 3 Venezia - Buenos Aires sul problema della criminalità in zona.
È questo un tema sul quale da tempo è impegnato il consiglio di zona 3 che, intendendo dare un serio contributo alla battaglia in difesa della civile convivenza, ha costituito una commissione di studio sul preoccupante fenomeno della criminalità politica e comune, elaborando alcune proposte e ponendosi come punto di riferimento per la cittadinanza. Il dilagare di episodi di violenza (ultimo la sparatoria al "Transatlantico") è un fatto che incide negativamente sul modo di vivere stesso dei cittadini, che difficilmente, dopo una certa ora escono di casa e partecipano attivamente alla cosa pubblica.
È necessario innanzitutto avere una conoscenza precisa del feno-
meno, come è stato osservato in diversi interventi. In questa direzione va l'iniziativa del consiglio di zona 3 di condurre una ricerca attraverso questionari da preparare e distribuire a categorie economiche, sociali e culturali operanti in zona. Il problema, molto complesso, tuttavia non è risolvibile solo da n punto di vista di ordine pubblico anche se c'è bisogno di un migliore coordinamento tra forze dell'ordine vigilanza urbana e istituzioni democratiche decentrate. È indispensabile andare come ha sottolineato il rappresentante dei Cuz 1-3 ad una ricomposizione del tessuto sociale attraverso la dota-zione di adeguate strutture nelle zone. In questo senso deve essere appoggiata e sostenuta dal Consiglio di zona 3, come è stato ribadito in numerosi interventi, la battaglia dei giovani della zona 3 per la costruzione a Porta Venezia, priva di punti di aggregazione e di incontro, di un centro culturale polivalente, che dovrebbe sorgere in via Settembrini 4.
25 aprile: manifestazione popolare della zona
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Come ogni anno, il CdZ e il Comitato Antifascista di P.ta Venezia hanno organizzato nella mattinata del 25 Aprile un corteo per rendere omaggio ai partigiani e alle vittime del nazifascismo uccisi nella nostra Zona. Quest'anno vi è stata una partecipazione superiore al passato con la presenza dei partiti democratici. La manifestazione è stata chiusa da un comizio in p.za Lima.
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La storia di Porta Venezia
La festa a palazzo Batthyany
Continuando nel lavoro di ricerca intrapresa alla riscoperta di edifici e costruzioni di vecchia data, situati nella zona di Porta Venezia, ricchi di memorie artistiche o di costume, oggi trasformati o del tutto scomparsi, non si può non prendere in considerazione il famoso palazzo Batthyany, noto in tutta Milano per le sontuose feste in maschera li date dal proprietario, il conte Giuseppe Antonio Batthyany, per l'appunto, all'inizio dell'800.
Il palazzo del conte Batthyany era "quella casa che, sorgendo sul corso di P. Orientale (oggi Venezia), all'estremità del Giardino Pubblico, domina e il bastione destro per chi entra in città, e i palagi e le belle pianure che confinano con le rive dell'Adda, e le marmoree colonne e i due superbi edifizi che ai comodi del commercio lombardo la sovrana e la pubblica munificenza, secondata dall'ingegno e dall'opera d'un Vantini, inalzò, fu abitata da un ricco e nobilissimo signore ungherese, padre di amabile figliuolanza, ecc.".
Il Palazzo Batthyany era stato casa Lecchi (n. 93), del generale napoleonico, all'angolo del Bastione di Porta Venezia, in stile neoclassico, ceduto al magnate ungherese Batthyany nel 1815, che ne completò le decorazioni e vi diede memorabili ricevimenti, che contrassegnarono un'epoca e un costume, e ai quali parteciparono i più bei nomi dell'aristocrazia e della cultura milanese del tempo.
La festa più famosa della quale le cronache del periodo danno notizia rimane quella del 30 gennaio 1828; per tutti i partecipanti era obbligatorio presentarsi in costume. Il ballo in maschera ci è noto prima di tutto attraverso le relazioni scritte, che ce
ne parlano come di un esempio quasi unico di festa in costume in grande stile, ma soprattutto grazie alle stampe d'epoca e in particolare quelle litografate da Giuseppe Elena in "Costumi - Vestiti alla Festa da Ballo - data in Milano - dal Nobilissimo Signor Conte - Giuseppe Batthyany, ..." editi in fascicoli colorati a mano fra il 1828 e il 1829 con 60 tavole non numerate disegnate dal pittore Francesco Hayez, riportate su pietra da anonimi, tranne alcune segnate dall'Elena, che ne fu l'editore. Una stampa (v. figura qui riprodotta), disegno di Hayez, Litografia Vassalli, mostra l'interno della sala in cui si svolge la sfilata dei partecipanti alla festa in costume.
Della festa parla diffusamente un opuscolo edito da Angelo Bonfanti; un'altra descrizione venne stampata dalla Tipografia Lampato di Milano. Un invitato, con lo pseudonimo di "Erifante Eritense", compose per l'occasione un poema in ottave, nel quale il proposito di narrare la festa veniva così precisato:

"Dirò, se degno tu m'inspiri il canto, di Donne e Cavalier l'eletta schiera, che finge volti ed usi ed armi e manto del secol nostro, e dell'età primiera; e con sua mostra, e col vivace incanto allegra l'ora di festevol sera".
Nella festa il conte Batthyany vestiva da Ospodaro dalmata, il pittore Hayez da Giulio Romano il Migliara era il Lorenese, e cosi via.
Alcuni nobili impersonavano gruppi omogenei e quadriglie. Vi furono una quadriglia greca, una di Don Rodrigo con i Bravi, una di banditi abruzzesi, una serie di figuranti per l'Otello, una quadriglia di Francesco I°, re di Francia, e poi Russi, Cosacchi arabi, schiavoni, e perfino un gruppo che rievocava la corte di
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Caterina de' Medici.
Le quadriglie e i gruppi di figuranti sfilarono nel salone della festa preceduti dal conte Batthyany, poi si diede inizio alle danze. Quindi, all'annuncio del maggiordomo "Le souper est servi" si spalancarono le porte che portavano alla scala e al piano terreno, ove era allestito il rinfresco, in una sala ricreata come per incanto, dalle cui finestre si vedeva il giardino magnificamente illuminato; anche le tavole erano splendidamente ornate e, come ci conferma una cronaca del giorno, la cena fu "abbondante e squisita".
Dopo cena riprese il ballo, che durò fino alle otto della mattina seguente. Gli ospiti erano in complesso circa settecento: và aggiunto che il palazzo era stato adeguamente attrezzato, dati i numerosi ospiti, di "gabinetti, ove gli ospiti trovassero ogni agio e conforto, di cui potessero in quel breve tempo abbisognare".
Tra le numerose composizioni poetiche inventate per l'occasione da "cantori" da strapazzo, meritano di essere riportati alcuni versi dedicati alla Contessa Filippina Batthyany, come esempio di ineguagliabile banalità travestita da odulazione: "Del genitor delizia salve o gentil donzella.
Tu brilli al par di stella che un'altra ugual non ha"
Il palazzo Batthyany fu demolito circa cinquant'anni fa e sostituito da costruzioni degli architetti Ponti e Lancia: del più celebrato luogo di ritrovo dell'aristocrazia dell'800 non rimane che un ricordo, patetico e polveroso, tra le pagine delle vecchie cronache del tempo.
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L'antico stradone di Loreto
Riprendendo le storie del quartiere, osserviamo i fatti che videro il suo crescere nel corso del tempo, l'antico corso Loreto congiungeva la città delle mura con i grandi paesi dei territori a nord, le due parrocchie di S. Gregorio e S. Francesca Romana erano state edificate durante il tardo - Rinascimento sulle proprietà dell'Arcidiocesi e nei luoghi intorno ai fossati Gerenzana e Acqua Longa dei ponti univano le proprietà religiose e quelle dei grandi cascinali confinanti, questi edifici fino al 1734 insieme all'unica e immensa architettura del Lazzaretto dominarono il paesaggio di questa parte della città. Uno sperone delle mura quasi toccava il perimetro dell'ospedale, mentre il corso Loreto si sdoppiava all'inizio in una strada meno importante dove erano gruppi di case con grandi cortili porticati; sotto lo stradone lungo le mura un'altro viale alberato segnava il cammino verso P.ta Romana, intorno nel raggio dei chilometri soltanto campi e cascinali, così fino al primo ottocento, poi con il nascere delle ferrovie si costruisce la lunga teoria delle abitazioni lungo lo stradone di Loreto, in seguito alle nuove condizioni dell'economia dovute ai primi importanti insediamenti industriali in tutta la città, si demolisce lo storico chiostro del Lazzaretto e accanto vengono fatte nuove e modeste case a ringhiera con nuovi cortili che vanno a circondare i vecchi cascinali, costituendo una nuova parte di città strettamente legata al lavoro della ferrovia e delle fabbriche, tutta Milano si trasforma, pagando lo sviluppo economico e industriale con gli enormi sacrifici della classe operaia,
piegata in un povero lavoro di manovalenza per trasformare Milano nelle sue strutture produttive e residenziali in una capitale europea.
Le case di questa parte del Borgo, fra le attuali vie Piave, Malpighi, Bixio, Melzo sono del 1874 in maggioranza abitate da contadini immigrati dalla provincia che diventati operai lavorano al crescere della città capitalistica e a realizzarci dei nuovi piani regolatori e delle relative varianti in più di cento anni; abbiamo descritto in precedenza le complessità dei fenomeni politici ed economici che concorsero a consolidare l'immagine nuova della città, in particolare confermando per intieri quartieri le residenze dei ceti operai, il capitale finanziario per tutto il periodo compreso fra la prima e la seconda guerra mondiale attraverso piani regolatori sempre destinati a favorire la speculazione immobiliare e fondiaria segna la volontà di isolare i quartieri più poveri, ancora oggi uguali nella loro condizione abitativa (Ticinese, Romana, Isola etc.) mentre i nuovi quartieri del dopoguerra confermano volontà economiche tese a determinare aree di residenza privilegiata rispetto ai reali bisogni di abitazioni a basso costo, preferendo realizzare i nuovi sterminati quartieri della periferia (QT8 piuttosto che occuparsi di uno studio urbanistico per la salvaguardia del patrimonio edilizio esistente, ormai in condizioni di abbandono e di degrado delle strutture.
La nostra zona negli anni del novecento vede precise scelte urbanistiche che determinano nel progetto le simmetrie stradali delle vie B.
Arti e mestieri della vecchia Milano
Marcello e Mascagni dove il disegno individua vaste aree di verde pubblico, verso le nuove aree della stazione e lungo i tracciati della circonvallazione, i primi edifici costruiti negli anni 1814 - 20 che si affacciano su p.zza Oberdan e sugli storici caselli che sono ancora intatti nelle loro strutture, mentre all'interno delle vie Sirtori e Melzo si rilevano numerosi stabili in precarie condizioni di abitabilità, sono case costruite nel 1884 dopo l'abbattimento totale o parziale delle vecchie cascine, che possiamo vedere nelle stesse condizioni di un secolo fa. Una singolare prospettiva è aperta sulla via Spallanzani le cui case sono costruite nel 1861 in una stretta striscia di terreno fra il corso e la via stessa che accoglie la vista della facciata di S. Francesco. Tali edifici sono da ritenersi fra i più compromessi dal punto di vista del degrado delle strutture e l'inadeguatezza delle condizioni abitative, case dove la tipologia della Milano operaia si evidenzia in tutto il suo romanticismo ma nelle precarie condizioni di vità, famiglie che vivono attualmente in locali vecchi di un secolo, senza servizi igienici, spesso sovraffollati: chiaramente i problemi emergenti da questo sommario sguardo risultano enormi; è necessario chiudere un capitolo e riflettere su quello che le passate leggi hanno prodotto e sul suo significato complessivo della storia del quartiere per affrontare i nuovi e complessi problemi dell'attuazione delle nuove leggi urbanistiche.
Cenni storici sul movimento operaio milanese
La tariffa: 120 giorni di sciopero
La grande attività di propaganda dei tipografi milanesi preludeva a quello che, indubbiamente, fu il più grande e il più lungo sciopero di categoria del secolo scorso.
Il lavoro di messa a punto di un progetto di riqualificazione dei salari, definito la TARIFFA, richiese ad un'apposita commissione un lavoro durato ben dieci mesi. Infatti essa si insediò il 19 agosto 1876 e concluse il suo lavoro il 20 giugno dell'anno successivo.
Fondamentalmente la proposta fissava dei minimi salariali settimanali che variavano dalle 20 alle 28 lire a seconda, diremo oggi, dei vari livelli. Le trattative furono dure, infine il 10 febbraio 1880 l'ultimatum ai proprietari delle tipografie: o si accetta la TARIFFA a partire dal 16 febbraio oppure, da quello stesso giorno, i lavoranti "si devono ritenere collettivamente svincolati da ogni obbligo verso i loro principali".
Proprietari di tipografie e direttori di giornali quotidiani si riunirono in assemblea straordinaria il 15 febbraio allo scopo di studiare e discutere sui mezzi "onde resistere alle ingiuste pretese degli operai", non mancando, nell'occasione, di additare i tipografi alle autorità e all'opinione pubblica, come "perturbatori dell'ordine".
11 16 febbraio ebbe inizio lo sciopero.
L'Associazione si era preparata alla lotta anche dal punto di vista economico: fu fissata un'indennità settimanale di 16 lire per ogni scio-
GREGORIO
perante. Espulsione dalla Associazione, visite a domicilio ecc., vennero predisposte nei confronti degli eventuali crumiri che venivano anche giornalmente elencati in "liste nere" ed esposti così al dileggio e al disprezzo dei colleghi.
Le autorità intervennero, accogliendo la richiesta dei proprietari: sin dal 17 febbraio, infatti, il Tribunale correzionale, rifacendosi agli articoli del codice penale che proibiva lo sciopero, iniziò un processo per direttissima, contro il Comitato per la Tariffa".
Il dibattimento si protrasse per nove giorni, quindi un rinvio. Il 24 marzo la sentenza: condanna a 15 giorni di carcere per l'operaio tipografo Vincenzo Corneo e assoluzione di altri 15 "soci" per "non provata reità".
Furono presentati ricorsi sia dal Corneo che dal Pubblico ministero avverso, questi, all'assoluzione degli imputati.
La sentenza definitiva di assoluzione per tutti la si ebbe solo un anno dopo, il 21 marzo 1881, quando l'agitazione era da tempo conclusa.
Mentre lo sciopero continuava compatto, si ebbero una serie di tentativi di mediazione, tutti andati a vuoto, finchè, dopo 120 giorni di sciopero, 1'8 giugno, i tipografi conquistavano pressocchè integralmente quanto avevano chiesto: la TARIFFA era stata accettata da quasi tutte le tipografie, escluse alcune aziende di modesta importanza.
Lo sciopero costò alla Associazio-
C. Oldrini (Segue) ne enormi sacrifici, letteralmente riducendo a zero le sue casse. Circa 80 mila lire furono pagate per sussidio ai compositori e altre 6 mila lire agli impressori, di cui circa 40 mila dalla sede di Milano e il restante dalla cassa unica nazionale oltre che da sottoscrizioni volontarie che pervennero anche dall'estero.
Il beneficio che i tipografi ricavarono da questa lotta vittoriosa fu grande.
La media giornaliera dei salari che, prima dell'1880 si aggirava sulle 2,50 - 2,75 lire salì con la tariffa a 3,50 - 4 lire, e le punte massime, a seconda del numero delle lettere composte e della qualità dei caratteri, raggiungeva le 5 - 6 lire, premiando così ia professionalità che per la prima volta veniva riconosciuta come elemento inscindibile nella composizione del salario.

L'orario di lavoro continuava a mantenersi sulle 10 ore giornaliere, ma dopo lo sciopero fu intensificata l'agitazione per ottenere il riposo domenicale obbligatorio, ed a tal fine venne creato un "Comitato promotore" che doveva operare in accordo con le altre società e associazioni.
Quella lotta vittoriosa ebbe anche grandi ripercussioni sulle altre categorie, che appresero il senso dell'unità della categoria una volta che l'obiettivo era ben definito e la determinazione, per realizzarlo, assoluta. Si può dire che quella data segnò una svolta importante nella lotta dei lavoratori milanesi: la lezione era appresa.
Il venditore di scope annunciava il suo passaggio con voce imperiosa per offrire i suoi "bèi scovinonni"; ma con molto garbo aggiungeva al prodotto-pilota l'esaltazione dell'altro prodotto d'"élite": i piumetti. Bai scovinonni! Gh'hemm i scovin de piummal...
Poi "el scovinatt", progredendo, percorreva le strade col carretto vendendo anche i battipanni. Battipagn per i pelandron!... Battipagn per el marì ciocch!...
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Radio private in zona
TRM canale 42 uhf
Prosegue la nostra indagine all'interno delle emittenti locali; è ora la volta di una televisione:
Tele Radio Milano Due situata a Cinisello Balsamo, in Via Casignolo 44 che trasmette sulla frequenza di 42 UHF.
TRM 2 nacque nel 1977 dall'iniziativa di un piccolo industriale locale, l'Ing. Cavallaro, il quale si lanciò nell'avventura televisiva con una buona dose d'ingenuità e d'incompetenza, come a volte accade; nell'estate dell'anno seguente l'emittente fu ceduta ad un gruppo, all'interno del quale c'erano anche alcuni soci collegati con la Federazione milanese del PCI.
TRM 2 è una emittante democratica, sorta allo scopo di informare nel modo più corretto possibile i cittadini.
TRM 2 è sorto col capitale privato dei soci o c'è stato anche un intervento diretto del P.C.I.?"
R. "In parte sì, c'è stato" dice Alberto Conti, direttore dell'emittente.
D. "Cosa si riproponevano i nuovi proprietari?"
R. "Di creare finalmente un'emittente democratica, in mezzo alle trenta e più tivù di centro e centrodestra".
D. "Da quanto tempo trasmettete regolarmente?"
R. "Abbiamo messo in piedi la televisione in sei mesi, da settembre a marzo e incominciamo ad esistere adesso: abbiamo sei ore di trasmis-
sione al giorno, dalle diciotto a mezzanotte e costruiamo noi quasi tutti I programmi. Oserei dire anzi che siamo la televisione che produce di più anche se "la Repubblica" dice che siamo la terza; Antenna Tre produce sì 1'80% dei suoi programmi, ma in realtà ha soltanto quattro programmi settimanali più le repliche e il notiziario che è poi quello del GIORNO. Noi abbiamo invece 15 o 20 rubriche varie e facciamo pochissime repliche. C'è da dire infine che siamo quelli che escono di più, che fanno più registrazioni in esterno, vedi il Recital di Roberto Benigni e moltissimi altri spettacoli musicali o culturali".
D. "Quanto vi costa tutto questo?"
R. "Un nostro spettacolo costa mediamente duecentomila lire, contro i milioni di Antenna Tre".
D. "Come riuscite a contenere i costi?"
R. "Primo per il fatto di avere una equipe piuttosto ristretta: 7 o 8 persone contro le 70-80 di Antenna Tre o Telealto e poi per la semplicità tecnica delle apparecchiature che sono in bianco e nero".
D. "Come fate a lavorare così tanto con così poca gente?"
R. "Bisogna dire che oltre al personale regolarmente assunto e pagato a norma del contratto che circola, ci avvaliamo di parecchie collaborazioni volontarie, non remunerate. Poi ci sono i titolari di rubrica che hanno un piccolo rimborso per
spese: i coniugi Kolosimo ad esempio, per la loro ora "Dalla terra alle stelle", prendono 60.000 lire".
D. "Avete molte dirette?"
"Circa il 20% della programmazione: cinque dirette fisse e alcuni dibattiti del martedì sera".
"E il notiziario?"
"È registrato, ma comunque è l'unico, tra quelli privati, che fa quotidianamente servizi giornalistici, riprese esterne e insomma si può dire che diamo più informazioni noi, per lo meno sulla realtà milanese e lombarda, della stessa R.A.I."
"Che indirizzo ha il notiziario e che rapporti con l'Unità?"
"L'indirizzo è chiaramente di sinistra e i rapporti con l'organo del P.C.I. sono molto relativi: utilizziamo parte del suo materiale, delle notizie ANSA per esempio; ma la redazione è completamente autonoma".
"Mi pare di aver notato nel notiziario, data anche la platealità che ha un'immagine rispetto alla pagina scritta, un tono ancor più propagandistico rispetto al giornale; non ti pare che ci sia questo pericolo, soprattutto sotto elezioni?"
R. "Può darsi. Ma comunque tieni conto di che cosa sono gli altri: Montecarlo, Il Giornale di Montanelli; T.A.M., il Corriere della Sera, Antenna Tre, il Giorno, Telemilano la Notte, Telenova, in pratica L'Avvenire e cosi via..."
D. "Ma proprio per questo, non era il caso di far qualcosa di più indipen-
Il nobile gioco del biliardo
Non esistono solo problemi seri come i problemi sociali, politici o filosofici, ma anche meno seri come avere del tempo libero e non sapere come occuparlo.
La soluzione che mi permetto di consigliare a chi avesse quest'ultimo problema è il bigliardo.
Probabilmente tutti conoscono le regole di questo nobile gioco, comunque per eventuali assoluti profani ne parlerò in breve. Si tratta di colpire con una stecca una biglia posta su un tavolo verde corredato di sponde buche e birillini (appunto il bigliardo) in modo che colpisca una seconda biglia che a sua volta deve andare in buca, abbattere i birillini o toccare un pallino, facendo attenzione che la prima biglia non faccia le prime due cose citate. Questo non è il solo gioco a bigliardo, ve ne sono molti altri e sono sempre possibili delle varianti, è però il più classico e il più diffuso. Comunque enunciate le regole del bigliardo s'è detto poco o nulla; la sua bellezza non deriva infatti dalla particolare sagacia dell'inventore delle regole stesse bensì dall'atmosfera che si crea intorno al tavolo. Atmosfera dovuta alle luci, ai sempre esistenti istanti di tensione fra l'effettuazione del colpo e il risultato, :al geometrico scorrere delle biglie bianche sul panno verde.
È appunto perchè è un gioco d'atmosfera come nessun'altro, il bigliardo è influenzato dal luogo nel quale si pratica. può essere utile quindi parlare dei tavoli da bigliardo della zona. La nostra è una zona ben servita, ve n'è di tutti i gusti: il bigliardo raffinato, quello professionistico, quello alla buona.
A un principiante, che quindi ha bisogno di tranquillità io consiglierei il bar posto in via Spallanzani circa di fronte alla fermata della 56.
Lo consiglio perchè pure io ho iniziato lì e mi ha lasciato dei buoni ricordi; vi si respira un'aria famigliare
e non chiedono la carta d'identità, cosa inutile per chi non avesse l'età consentita, come me allora. Il tavolo e le stecche sono buone e raramente c'è qualcuno a osservare il gioco, vantaggio da non trascurare. Dopo un tiro sbagliato, un commento ironico di uno spettatore può portare a conseguenze imprevedibili: chissà come gli spettatori sono sempre campioni in qualunque gioco. Accanto, in via Melzo, vi è "l'Accademia Biliardi".
È un locale fra i più noti non solo a Milano, ed è un posto ottimo per osservare il gioco (consumazione obbligatoria in questo caso) meno buono per giocarci. Il giovane che riesce a trovare un tavolo libero si sente schiacciare dalle personalità biliardistiche presenti e in tutto e per tutto le imita, per cui si allaccia un grembiulino in vita e sempre inizia con un sicuro colpo di gesso alla punta della stecca quattro minuti buoni di concentrazione prima di ogni tiro.
Comunque quando si accinge a tirare arriva lo scocciatore.
È un elemento negativo, ben vestito con i baffi in genere, sigaretta col bocchino e un'aria da insegnante che fa capire ai giocatori che non hanno ingannato nessuno uniformandosi ai campioni. Lo Scocciatore, dicevo, indicando un punto della sponda, quasi sempre dice che colpendo nel punto indicato con forte effetto ad allargare non può che venire uno splendido sette sponde con castello, pallino e messa (per un assoluto profano dirò che è il massimo ottenibile). Il tiro non riesce mai e lo scocciatore spiega dove abbiamo sbagliato, dopo un altro paio di tiri così lo scocciatore si allontana sentendosi non capito. Dopo un po' ne arriverà un altro, non stupitevi se è uguale al primo, è il lungo tempo trascorso all'Accademia bigliardi che li uniformizza in
questo modo. Nella stessa via, più in là vi è un'altra sala bigliardi aperta da poco; è più elegante, ma manca quel qualchecosa che l'accademia ha e che solo il tempo può dare. Lì lo scocciatore è più giovane in genere. Un'altro bigliardo interessante è situato nel bar di piazza Lavater. Lo definirei un bigliardo signorile. L'ambiente è perfetto: i giocatori si muovono nella penombra, alle vetrine tende in tono con il panno, due grandi specchi sopra alla stecchiera, appoggiati alle pareti divanetti in cuoio o finto cuoio (non ho mai indagato). È il locale dove è più facile immaginare di essere non in un bar, bensì vestiti in frac in una villa ottocentesca attendendo la cena; per questo lo ritengo il locale migliore; come ho detto il bigliardo è un gioco d'atmosfera.
Bar che invece io sconsiglierei sono quei bar con la sala del gioco in cantina. In genere ci si arriva attraverso un lungo e buio budello in discesa e la sala non è molto più illuminata, naturalmente non ci sono finestre e l'odore di chiuso impregna ogni cosa. In questi luoghi così tetri poi, dopo mezzanotte si solleva il panno del bigliardo come fosse il coperchio di una bara e compare un vampiro con la stecca in mano. Non sono mai stato presente al fatto, pera la voce circola insistentemente, e pare degna di fede.
Bar di questo tipo sono quello alla fine di via Spallanzani e il bar "Palermo" in piazza Bacone. Vi sono molti altri bigliardi nella zona, come in via Plinio, dove alle pareti vi sono bellissime piastrelle, o al bar delle ACLI in via Cadamosto, l'ideale per la domenica mattina, quando la maggior parte dei bar è chiusa; bisogna però conoscere qualcuno dei soci-. Parlare di tutti è impossibile, spero però di aver reso almeno un'idea delle possibilità della zona e comunque di aver spezzato una stecca in favore del bigliardo.
Camillo Biancardidente?"
"Ma con i tre miliardi che Rizzol i si fa dar da Piccoli è facile, con quelli tirati su con le sottoscrizioni un po' meno".
D. "Non mi pare che sia una questione di soldi l'indipendenza di giudizio e d'informazione, semmai il discorso è inverso".
R. "Bè allora ti dirò che abbiamo invitato 15 volte Fontana e non è mai venuto".
D. "Parliamo delle entrate: come funziona la vostra pubblicità?"
"Non siamo legati a nessuna concessionaria: quella poca che abbiamo (5 o 6 minuti al giorno) ce la tiriamo su noi".
D. "E per quanto riguarda il noleggio di spazi pubblicitario - elettorali e cioè, la trasmissione a pagamento di programmi prodotti dai vari partiti che coinvolge le tivù private di questi tempi per un giro di miliardi?"
"A noi non ha chiesto ancora nulla nessuno, comunque in caso si presentasse l'occasione credo che accetteremmo, indipendentemente dal partito che ce lo proponesse: ai fascisti non daremmo sicuramente nessuno spazio, ma a tutti quelli dell'arco costituzionale sì".
D. "Allora, per le elezioni cosa farete?"
R. "Cercheremo di documentare tutto quanto avviene in Lombardia, registrare, trasmettere, informare".
D. "E per quanto riguarda in generale il problema del sovraffollamento
dell'etere e la sua regolamentazione, voi cosa auspicate?"
"È un problema che ci ha toccato da vicino: anche noi abbiamo avuto le nostre interferenze, dovute a Tele Orobica che da Bergamo trasmette su Milano con la stessa nostra frequenza. Per ovviare a questo inconveniente siamo stati costretti ad installare un ripetitore di un Kilovat, che è la massima potenza esistente in Lombardia".
"E il progetto di regolamentazione?"
R. "Il progetto di legge è caduto e si tratta di ricominciare tutto da capo; comunque è difficile pensare che una legge possa in breve tempo sistemare la confusione che c'è attualmente nell'etere".
"Un tentativo di collaborazione delle emittenti tra di loro e tra loro e gli enti locali è stato formulato al Convegno promosso dalla Regione Lombardia il 9 aprile scorso. Voi ci siete andati?"
"Sì, anche se non abbiamo fatto interventi. Ritengo che sia un discorso interessante da aprire, anche se il fatto che il convegno giungesse proprio sotto elezioni lo rendeva un po' sospetto. La Regione, comunque, come l'Ente Locale in generale, è un organismo del quale noi cerchiamo di documentare l'attività e di cui vorremmo essere in parte una funzione, ma il modo di esserlo, di articolare questo discorso, è ancora tutto da trovare".
Giuseppina RastelliPORTA VENEZIA
di Enrico Moroni
Redazione: F. Alberti, E. Giannasi, L. Vincitorio, M. Sparacino, A. Capelli, L. Pagani, C. Oldrini, F. Albanese - Hanno collaborato: C. Montalbetti, R. Ponti, Azzolini, G. Rastelli, C. Biancardi, S. Siena, A. Strik Lievers, B. Negroni, R. Fidenzi - Direttore responsabile: Roberto Cenati - Autorizzazione Tribunale di Milano
n. 43 del 3/2/79 - Redazione e Amministrazione: via S. Gregorio 48, Milano - Stampa: Coop. "Il Guado", 20020 Robecchetto con l nduno (Mi),Te1.0331/881475

Paggi. 8
Proroga degli sfratti: esclusi i commercianti
Giovedì 29 marzo alla Camera DC e governo tripartito, con l'apporto determinante dei demonazionali, sono riusciti, con uno scarto di appena 7 voti, ad imporre la grave decisione che esclude dalla proroga degli sfratti gli immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione: negozi, botteghe artigiane, alberghi, studi professionali.
L'emendamento migliorativo originariamente approvato la settimana prima alla Camera su proposta comunista, e successivamente cancellato da una maggioranza di centro destra al Senato, era stato riproposto nell'aula di Montecitorio giovedì 29 marzo.
I comunisti sono stati parte essenziale dello schieramento delle forze a sostegno dell'emendamento ritenuto indispensabile in un momento in cui è facile prevedere una acutizzazione dei tentativi, peraltro già in atto, di applicare in modo indebitamente estensivo, e quindi ricattatorio, i motivi di giusta causa per esigere gli sfratti da negozi e botteg he.
In sostanza il PCI proponeva che gli sfratti per negozi, botteghe e uffi-
ci, diventati esecutivi tra la metà del '75 e il 29 Luglio '78, o dopo questa data (che è quella dell'approvazione della legge sull'equo canone), ma con provvedimenti presi sulla base della legislazione precedente, non avvenissero in ogni caso prima del 31 dicembre 1979.
La proposta, di fronte al fenomeno macroscopico delle disdette denunciato dalla Confcommercio, veniva accolto con soddisfazione dagli ambienti del ceto medio produttivo.
Giudizi positivi, in particolare, venivano espressi dalla Confesercenti,l'associazione che organizza gli operatori del settore commerciale (dettaglianti, operatori turistici, alberghieri) e dalla Confederazione Nazionale dell'Artigiano (CNA).
L'approvazione di questa importante norma rivestiva un particolare interesse per la nostra realtà di zona, superata solo dalla zona I (centro storico), per quanto riguarda la concentrazione commerciale.
A Porta Venezia infatti, dove risiede meno del 4,5% della popolazione di Milano, è localizzata una rete distributiva che può essere stimata intorno all'8% del complesso della
Lazzaretto 8: respinta altra speculazione
Questa è la storia di uno di uno dei tanti immobili degradati della zona 3, del quale la proprietà ha tentato più volte di fare la vendita frazionata, servendosi di quelle "benemerite" società immobiliari, specializzate in tali operazioni.
L'operazione però questa volta non è riuscita e i tentativi, che, in diverse forme e da parte di diversi soggetti, sono stati fatti da 7-8 anni a questa parte, sono sempre falliti per l'opposizione decisa e compatta di tutti i 72 inquilini di via Lazzaretto 8.
prezzi favorevoli, anzi stracciati; assumendosi per giunta l'onere di effettuare tutti i lavori di ripristino".
"In forza di tali promesse — continuano gli intervistati — avevano proposto a tutti dei compromessi di vendita, previo, naturalmente, il versamento da parte degli inquilini di un congruo anticipo".
A questo punto subentra la pronta denuncia del comitato che mette in guardia tutti gli inquilini dal rischio, una volta firmato il compromesso e versato l'anticipo, di trovar-
struttura commerciale del a città.
Vi sono 3.500 punti di vendita con 16.000 addetti per un complesso di più di 100.000 mq. di superficie.
Numerosi sono anche gli artigiani: circa 3.000 - 4.000.
Ancora una volta, invece, quelle forze di centro destra con alla testa la DC e con l'appoggio fondamentale di Democrazia Nazionale, che si proclamano paladine degli interesi dei ceti produttivi, si son poste con il loro atteggiamento , a tutela della rendita e proprio di quella più parassitaria.
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tro immobile in via Sabotino, dove tutti gli inquilini sono rimasti "truffati dalla stessa immobiliare".
"Nel momento attuale — continuano i due intervistati — i problemi principali che ci troviamo di fronte sono quello dell'equo canone e del risanamento dell'immobile". Per quanto riguarda l'equo canone, la nuova proprietà lo ha calcolato utilizzando il parametro 'manutenzione normale', mentre gli inquilini, e basta un colpo d'occhio per rendersene conto, sostengono giustamente che l'immobile è in condizioni scadenti. Per tale motivo hanno respinto in modo compatto le richieste della proprietà e affisso un tabellone, nell'atrio di entrata dello stabile, sul quale. viene indicata la differenza, per ogni inquilino, tra la somma richiesta e quella effettivamente dovuta.
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Questo è certamente uno dei pochi casi, non solo in zona 3, ma anche a Milano, in cui non solo la proprietà e le immobiliari non sono riusciti a realizzare i loro intenti speculativi, ma sono stati battuti dalla mobilitazione unanime di tutti gli inquilini.
Ha certamente un grande significato l'azione e la lotta che il comitato inquilini e l'intero caseggiato di via Lazzaretto, 8 ha portato avanti in questi anni e il nostro giornale ha ritenuto quindi opportuno dedicarvi un articolo, perchè anche gli altri inquilini della zona 3, che si trovano in analoghe situazioni, si rendano conto che è possibile resistere in modo democratico alla logica speculativa della proprietà e delle società immobiliari. Ci siamo quindi recati a intervistare due membri del comitato inquilini di via Lazzaretto 8 — Claudio Achilli e Rocco Masulli — che ci hanno parlato delle vicissitudini e della situazione del loro caseggiato, di quello che è stato fatto finora e di quali sono gli obiettivi che il comitato intende raggiungere con la sua azione. Innanzitutto bisogna dire che i tentativi di vendita frazionata sono stati, ad oggi, da poco più di sette anni, ben quattro. Ha iniziato la Gabetti, è arrivato poi un certo ragionier Sacco, quindi l'immobiliare Lolaedil e infine, il sig. Francesco Dorata, che dichiara di essere il nuovo proprietario.

"Particid'armente pericolosa — ci dicono i dt e membri del comitato — e subdola è stata l'azione tentata dalla Lolaedil. Infatti questa immobiliare aveva fatto promesse di vendere il casegpiato agli stessi inquilini a
si invischiati nella tattica cara alle immobiliari di fare tante belle promesse prima e di non mantenerne nessuna dopo la firma, quando ormai l'acquirente è rimasto incastrato. Ed infatti poco dopo si scopre che i lavori di ripristino si riducevano alla semplice tinteggiatura del cortile interno, tralasciando qualsiasi lavoro di effettiva manutenzione e che il prezzo "favorevole" indicato per l'eventuale acquisto dell'appartamento sarebbe poi stato raddoppiato o triplicato se l'inquilino avesse richiesto gli effettivi lavori di rifacimento che si rendevano necessari, considerando che l'immobile era ed è in condizioni, a dir poco, scadenti. Gli inquilini si sono anche rivolti alla commissione casa della zona 3, che ha convocato la Lolaedil al fine di concordare amichevolmente il blocco delle vendite frazionate, senza però ottenere alcun risultato positivo. Il dubbio sull'intento fraudolento e fors'anche truffaldino dell'immobiliare diventa certezza quando, dopo essere riuscita a far firmare il compromesso a tre dei 72 inquilini dello stabile ed aver intascato l'anticipo, la Lolaedil scompare letteralmente dalla circolazione, facendo perdere le sue tracce (si dice che forse le persone fisiche che la costituivano sono andate in Brasile?!) o lasciando per giunta il portone di entrata smontato e abbandonato nel cortile della casa. La pronta mobilitazione di tutto il caseggiato, già sperimentata nei due precedenti tentativi di vendita frazionata, ha così impedito che la Lolaedil riuscisse nel suo intento, come era invece accaduto in un al-
Rispetto poi al risanamento, tutto il caseggiato ha deciso alla uinanimità di pretendere immediatamente dalla proprietà l'inizio dei lavori di ripristino di tutte quelle strutture essenziali, che, data l'età dell'immobile e l'incuria con cui è stato tenuto sinora, sono in un vero e proprio stato di disfacimento. In particolare, i pavimenti e le scale che cadono a pezzi, i plafoni e i muri che si scrostano; le tegole del tetto, le gronde e i canali pluviali che sono completamente da rifare. Per non parlare poi dei gabinetti di ringhiera e del portone di entrata che, da quando è stato tolto dalla Lolaedil circa un anno fa, non è ancora stato rimesso al suo posto, facendo (e ci sarebbe da sorridere, se la cosa non fosse così grave e vergognosa) dell'immobile di via Lazzaretto 8, una vera e propria "casa aperta" a tutti.
Silvano Siena
Conclusa vertenza per l'applicazione dell'equo canone in via Plinio 8
L'assemblea degli inquilini di via Plinio 8, con l'appoggio del Sunia, ha vinto un'importante lotta con l'amministrazione dello stabile che, a proposito dello stato manutentivo, considerava come normali (coefficiente 1) degli appartamenti che obiettivamente sono da considerarsi mediocri (coefficiente 0,8%).
Basti pensare che lo stabile è privo di ascensore, di riscaldamento, e che la manutenzione è molto scadente.
L'assemblea è impegnata ora in una discussione e verifica delle spese. È questo un esempio di come la lotta democratica degli inquilini, se organizzata, riesca a strappare importanti conquiste sancite da una legge, certo migliorabile, che rappresenta un notevole passo avanti riguardo al problema della casa.
L'assemblea degli Inquilini di Via Plinio 8
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Lavoratori di colore a Milano
In Italia, paese per tradizione di emigrazione, si registra oggi un fenomeno nuovo: quello della immigrazione di cittadini stranieri in cerca di lavoro.
È un processo avviatosi negli anni '70 che si è fatto sempre più corposo e che sarebbe stato inimmaginabile nel passato.
I dati più diffusi parlano di mezzo milione di stranieri presenti sul nostro territorio.
A Milano e provincia si calcola che la presenza di stranieri si aggiri attorno alle 50.000 unità.
I paesi da cui provengono: ogni
parte del mondo
A questo proposito appare netta una prima divisione nel tipo di immigrazione: da una parte quella dai paesi CEE, dalla Svizzera, dagli USA, dal Giappone e dall'altra quella dagli altri paesi mediterranei, latino americani, asiatici e africani.
Nel primo gruppo ci sono poco più di 20.000 persone (i dati si riferiscono a Milano e provincia), di cui più della metà è inserita nel mondo degli affari, a tutti i livelli, non solo dirigenziale o tecnico, ma anche di medio impiego, di semplice dattilografa.
È un modo per alcune aziende estere di garantirsi orari di lavoro al di fuori delle norme contrattuali e assoluta assenza di rivendicazioni e scioperi.
Nel secondo gruppo composto dp circa 25 - 30 mila persone (parliamo sempre della realtà di Milano e provincia), ci sono circa 5.000 latino americani, 3.000 jugoslavi, 5.000 arabi (egiziani, tunisini, libici, marocchini), 3.500 tra eritrei, etiopici e somali, circa 800 turchi, 500 capoverdiane, 400 salvadoriani, 300 filippini, 1.500 studenti greci, alcune centinaia di studenti giordani, siriani, palestinesi (studenti che in buona parte sono al tempo stesso lavoratori per poter vivere e mantenersi agli studi).
È di questo secondo gruppo, me-
no garantito, più sfruttato e meno inserito nella realtà milanese che vogliamo occuparci.
Italia: alto tasso di disoccupazione ed immigrazione
Il carattere nuovo e apparentemente contraddittorio del fenomeno è costituito appunto da questo fatto: come può coesistere in sostanza una costante disoccupazione indigena rilevante (1.500.000 di cui 1.200.000 giovani), con l'afflusso di lavoratori stranieri? Per capire ciò, bisogna risalire ai fatti e alle motivazioni che concorrono a determinare il flusso dei lavoratori stranieri, certamente molteplici e complesse.
La novità: richiesta di lavoro non coperta dal mercato interno
Una delle ragioni è sicuramente da individuare nella presenza di una richiesta di lavoro non coperta da lavoratori italiani.
Si tratta certo di mansioni e di lavori umili, faticosi, dequalificati, in settori deboli o particolari della nostra economia: la grande maggioranza è impiegata nel terziario inferiore, specie nel servizio domestico. Questo tipo di attività è rifiutato in particolare dai giovani, formati per anni in una scuola che crea aspettative diverse da quelle che il mercato del lavoro può offrire.
I posti di lavoro occupati dai lavoratori stranieri (parliamo sempre dei provenienti dai paesi in via di sviluppo) non corrispondono alle aspettative delle leve giovanili che rifiutano di regredire in settori di attività dequalificate.
È sulla base di questa contraddizione, tra aspettative dell'offerta di lavoro e realtà della domanda, che si inserisce il problema del lavoro agli stranieri.
Non vi è dunque "furto" di posto di lavoro da parte degli stranieri: vi è per loro uno spazio.
Il lavoro nero
Cio tuttavia non è sufficiente a spiegare la complessità del fenomeno; sarebbe semplicistico in sostanza scaricare su un atteggiamento per cosi dire aristocratico dei lavoratori italiani la causa del prodursi dell'immigrazione straniera.
Molto più articolate sono le motivazioni del fenomeno. Basti pensare al ruolo e alle scelte delle multinazionali, alla massiccia presenza, questa sì sottraente occupazione italiana, di impiegati trasferiti nelle aziende che operano in Italia, dalle rispettive case madri.
Dobbiamo allora chiederci se non si è di fronte alle conseguenze delle scelte praticate in questi anni, della diffusione, che ha assunto proporzioni macroscopiche, valutata in oltre 6 milioni di addetti, di una economia sommersa, fatta di lavoro nero, di rapporti precari, come risposta alle conquiste sempre più avanzate compiute dal movimento sindacale sul piano economico - normativo e dei diritti sociali e democratici. Dobbiamo chiederci se non è la conseguenza di una scelta precisa finalizzata al ripristino in termini nuovi, di una elasticità dell'uso della forza lavoro e al tempo stesso di riduzione dei costi sfuggendo al rispetto delle norme e ai diritti contrattuali.
È necessario quindi, come è stato ribadito al convegno su "i lavoratori stranieri nell'area milanese", organizzato dalla Federazione milanese CGIL - CISL - UIL del 3 aprile scorso, un nuovo impegno del sindacato per la tutela dei lavoratori stranieri, la cui difesa si intreccia strettamente con la battaglia per eliminare il racket della manodopera, il lavoro nero, per il controllo del mercato del lavoro, e con ciò stesso per dare garanzie e certezza ai lavoratori stranieri in Italia.
a) Quali problemi incontra il lavoratore straniero a Milano?
Si è costituita una sezione alla "Lepetit"
Per la prima volta il 4 Maggio dello scorso anno i dipendenti della Dow - Lepetit, la nota società farmaceutica sita nella nostra zona, hanno commemorato Roberto E. Lepetit, morto di stenti il 4.5.45 in un campo di concentramento in Germania. L'obiettivo che si erano posti i promotori dell'iniziativa era quello di formare una sezione ANPI all'interno dell'azienda e di commemorare il 25 Aprile. L'obiettivo è stato recentemente raggiunto con la costituzione della Sezione ANPI, che conta 50 iscritti, intitolata "Roberto E. Lepetit"; anche quest'anno il 4 Maggio avverrà la commemorazione di Lepetit, nell'Auditorium dell'azienda, alla cerimonia hanno dato la loro adesione, Parlamentari e lo stesso Sindaco di Milano.
In occasione del 25 Aprile - Anniversario della Liberazione il Comitato della Sezione A.N.P.I. recentemente costituitasi ci ha inviato l'articolo che pubblichiamo.

Celebrare il 25 aprile non può essere un solo formale atto di omaggio e anche di riconoscenza nei confronti di chi ha dato i suoi anni di gioventù e soprattutto nei riguardi di chi ha poi dato tutto di se stesso immolandosi in nome della LIBERTA.
Quella LIBERTA, quella DEMOCRAZIA conquistate giorno per giorno, sofferte giorno per giorno da chi ha fermamente creduto ed ancora oggi crede nonostante gli atti di terrorismo, di violenza e tentativi di eversione che dalla tragica strage di piazza Fontana anno per anno, mese per mese e giorno per giorno vanno ad accrescersi.
Mentre cerco di dare questo mio contributo nello stendere nel migliore dei modi questo articolo, mi tornano alla mente con un'insistenza che rendono non facile il mio compito, quelle parole racchiuse nella sua ultima lettera scritta da GUIDO GALIMBERTI, fucilato il 21 novembre 1944 dai fascisti nel cimitero di Cosa Volpino (BG), indirizzata ai suoi figli: "Cari figli, ora non potete leggere questo mio ultimo saluto, ma lo leggerete un tempo nel quale potrete comprendere, allora apprenderete in questo foglio la morte di vostro padre e saprete che è morto da soldato e da italiano e che ha combattuto per avere un'Italia Libera. Spero che non piangerete quan-
do leggerete questo mio scritto. Addio che un bacio giunga a voi, spero che quando sarete grandi la mamma vi farà imparare ad amare l'Italia.
L'amerete con tutto il mio cuore! Addio - Guido —"
In questo scritto, in questo ultimo pensiero, in queste ultime e poche parole rivolte ai figli da questo Patriota, penso e ne sono convinto che ci sia tutto quanto, oggi più che mai, ci debba servire non solo per farci riflettere su di alcune cose, ma soprattutto per ritrovare in primo luogo in tutti noi, quegli ideali, quell'amore verso il nostro Paese che purtroppo giorno per giorno, nostro malgradc, vengono meno e ciò lo riscontriamo quotidianamente.
Penso che non sia solo sufficiente, anche per tutti noi, che crediamo fermamente nelle istituzioni civili e democratiche che sono poi il fondamento della nostra Costituzione, conquistate solo con la Resistenza, limitarsi facendo un semplice esame di coscienza per constatare con quale convinzione, con quale contributo e con quale partecipazione difendiamo e salvaguardiamo ciò che ci è stato dato dalle lotte della Resistenza, in modo tale da non tradire quegli stessi ideali per i quali Guido Galimberti ha creduto, ha combattutto ed è caduto, così come tantis-
Il permesso di soggiorno
I problemi sono innumerevoli. Primo, il rapporto con la questura per il permesso di soggiorno.
Data la carenza legislativa in materia, anche se in teoria ogni decisione viene accentrata dal Ministero dell'Interno, vi è sempre stato uno spazio di discrezionalità alquanto ampio lasciato ai singoli Uffici competenti della Questura.
Non dappertutto, in Italia, si è usato di questo spazio in modo adeguato, specie nel passato. Dobbiamo comunque registrare oggi un diverso atteggiamento del Servizio stranieri del Ministero dell'Interno.
b) Il nulla osta al lavoro Collegato all'autorizzazione al soggiorno è il nulla osta al lavoro, rilasciato dall'Ufficio Provinciale del Lavoro.
Anche qui, la normativa vigente, che consiste in alcune circolari del Ministero del Lavoro, lascia spazio ad una certa discrezionalità. Normalmente lo straniero per venire a lavorare in Italia, deve ottenere, nel suo paese d'origine, il visto di ingresso per motivi di lavoro, dietro richiesta della ditta italiana che vuole assumerlo.
Fanno eccezione i cittadini CEE, Svizzeri e di San Marino, gli stranieri coniugati con italiane e, secondo la circolare 128, qualsiasi altro caso valutabile a discrezione dell'Ufficio.
A Milano, in questo ultimo periodo, occorre riconoscere che si è già fatto uso dello spazio di discrezionalità concesso dalla circolare ministeriale.
Ad alcuni eritrei, che per ragioni politiche non possono rientrare nel loro paese a meno di rischiare la morte, è stato rilasciato il nulla osta; così è stato fatto per qualche argentino e qualche altro caso.
Si tratta oggi di estendere questo spazio a tutti coloro che si trovano già in Italia per lavoro.
Occorre comunque pensare ad una nuova normativa, ma non più
parcellizzata in circolari del Ministero del Lavoro e circolari del Ministero dell'Interno.
c) Il problema del lavoro
Abbiamo già visto in che settori i lavoratori stranieri sono prevalentemente impiegati. Per quanto riguarda le retribuzioni, esse variano a discrezione del datore di lavoro.
In genere vale per tutti il ricatto: "o questo o niente".
Numerosi sono gli esempi fatti nel corso del convegno sindacale recentemente svoltosi a Milano. In una trattoria il lavoratore straniero assunto, secondo le dichiarazioni del proprietario, "per pietà", faceva di tutto, dal cuoco al lavapiatti, al cameriere, e veniva retribuito con i pasti, un letto e qualche spicciolo per le sigarette.
Dare il letto per la notte diminuisce di molto il salario: il fatto che uno straniero dorma ad esempio in un garage per sorvegliarlo di notte, è già considerato una grossa fetta di salario.
Casi di ricatto, di minacce, sono frequenti, Si arriva spesso a ritirare il passaporto al lavoratore per sfruttarlo più liberamente. Il fatto stesso che lo straniero non possa mettersi in regola a causa della stretta normativa in materia è fattore di ricatto e sfruttamento.
A parte i casi estremi come quelli citati (tuttavia abbastanza estesi) le retribuzioni variano a seconda del lavoro (domestico o lavapiatti, muratore o scaricatore). Andiamo dalle 100 - 150 mila mensili alle 300 - 350 mila. In casi rari queste cifre vengono superate.
Inutile sottolineare che a queste retribuzioni non si aggiungono nè assicurazioni sociali, nè pagamento delle ore straordinarie, nè pagamento delle ferie. Anzi, quasi sempre, non vi è orario di lavoro determinato e spesso non vi sono ferie.
R. Cenatisimi altri.
Solo nell'esaltazione e nel convincimento dei valori del pluralismo e dell'autogoverno, la sete di LIBERTA e di GIUSTIZIA che alberga in ognuno di noi può acquisire una dimensione reale e non illusoria. Cerchiamo di ripensare, anche sforzandoci, cosa è stata e quanto è costata la Resistenza. Non possiamo senza alcun dubbio avere delle incertezze circa la strada da seguire. Dobbiamo senza alcun dubbio avere delle incertezze circa la strada da seguire. Dobbiamo debellare ogni tentativo di diseguaglianza per battere quelle remore conservatrici mettendo fine ai privilegi, lavorando però convinti per una società diversa, dove non vi sia posto nè per lo sfruttamento, nè per il parassitismo, nè per il corporativismo, ovvero ridando un senso alla nostra battaglia politica, quello stesso senso che ha caratterizzato le lotte per la Liberazione.
Questo è il vero, fondamentale e determinante contributo che ognuno di noi deve dare senza alcuna esitazione ed incertezza per difendere e rafforzare le nostre istituzioni democratiche.
Per il Comitato della Sezione A.N.P.I. 'Roberto Enea Lepetit"
Quando nel novembre del '76 abbiamo cominciato a riunirci alla libreria Ponte Tre, noi del 'Coordinamento donne del Partito Comunista', non sottovalutavamo le difficoltà cui senza dubbio saremmo andate incontro nella realizzazione del Consultorio della nostra zona.
IL CONSULTORIO pubblico, delle donne, dei cittadini, di tutte le forze sociali del quartiere disposte ad un discorso nuovo sui problemi della coppia, sulla sessualità, sul ruolo della donna nella famiglia e nella società, sulla salute e la prevenzione, sull'aggregazione e soprattutto con la volontà concreta di portare i problemi personali in una dimensione più allargata e socializzante.
La nostra iniziativa, che ha visto col tempo la partecipazione delle altre forze politiche della zona, ha fatto sì che il problema diventasse prioritario all'interno dello stesso Consiglio di Zona, e l'impegno comune ci ha consentito finalmente di reperire i locali da destinare a Consultorio presso la sede del SIMEE, in via Settembrini, e di prevedere finalmente ... la prossima apertura del servizio per settembre.
Ma cosa significa per noi 'CONSULTORIO'? Non certo l'ottenimento di un efficientissimo ma impersonale servizio sanitario, un dispensario per la pillola, o, peggio, soltanto un ufficio cui fare riferimento per la certificazione degli aborti; certo, ci sono anche questi tra i compiti della istituzione, ma per quanto ci concerne la vera innovazione sta nel ruolo del consultorio nella zona, che è quello della informazione sui metodi contraccettivi, sul nuovo rapporto
uomo - donna - società, sulla salute fisica e mentale, fuori e dentro le realtà sociali e di lavoro della nostra zona. Prioritario è a nostro avviso un lavoro di ricerca e di studio all'interno del nascente comitato di gestione, sulle realtà sociali della zona verso cui finalizzare e dirigere gli sforzi della 'equipe' di medici ed operatori (psicologo, ass. sociale, ass. sanitaria, ginecologo; pediatra) che opereranno all'interno del consultorio.
Questo porterà forse a individuare negli anziani, ad esempio, un importantissimo campo di intervento, o negli emarginati, o 'nelle casalinghe, Come aggregare questa gente? Come raggiungerla? Proprio per fare in modo che il consultorio non resti uno strumento tecnico funzionante ma slegato della nostra realtà di zona, è necessario che come cittadini, come utenti, ci rendiamo conto che il consultorio è anche nostro, e che quindi è con la partecipazione concreta alle iniziative ed alle scelte del comitato di gestione, che determineremo l'esito positivo di questa esperienza.
Esperienza che ci è costata tanto lavoro, ma che oltre alla soddisfazione per questi primi risultati ottenuti, ci offre anche la possibilità di lavorare ancora insieme per realizzare quello che è uno dei fini più importanti del consultorio: l'aggregazione delle forze sociali e delle realtà della zona per superare insieme le difficoltà, non chiudendosi nel privato, ma socializzando le esperienze.
Le Commissioni Femm. del PCI della zona 3
"Impegno del PCI per il consultorio"
La riforma della
Centro culturale via Settembrini 4
macchina Comunale Il significato di una battaglia
Il dibattito di questi anni, ben in anticipo sull'obbligo di legge per la ristrutturazione contenuto nel decreto Pandolfi ha rivelato una concordanza di valutazioni sull'inadeguatezza delle attuali strutture e procedure dell'apparato comunale, così come unanime è stato l'intendimento che dalla ristrutturazione si dovranno ottenere servizi più razionali, più efficienti, più economici e più rispondenti alle esigenze di un Comune moderno e consapevole del proprio ruolo verso la comunità amministrata, il comprensorio e la Regione.
Ciò nel quadro di una concezione dell'attività amministrativa che fuoriesca dalla ordinarietà, si trasformi in vera e propria opera di governo locale, sostanziata da programmi e obiettivi ben definiti. È in rapporto a tali obiettivi che si tratta di far corrispondere strutture funzionali e finalizzate in modo adeguato.
A ciò si riferisce una proposta in corso di elaborazione, che dovrà essere discussa e approvata dal Consiglio Comunale entro il 30 giugno, previo il più ampio dibattito possibile nella città e nell'Ente.
Si può dire peraltro sin da ora che le caratteristiche fondamentali della nuova struttura organizzativa richiamate evidentemente solo per titoli, dovranno riguardare i seguenti aspetti:
articolazione dell'organizzazione in settori e unità specialistiche in modo da consentire la ricomposizione dell'intero processo tecnicoamministrativo attraverso il superamento dell'attuale suddivisione in Ripartizioni e Servizi Tecnici; flessibilità della struttura sulla base di un raggruppamento dei settori e delle unità specialistiche in Dipartimenti intesi come strutture di coordinamento programmatico, Dipartimenti che si rapportano quindi permanentemente con le scelte programmatiche — annuali o poliennali — dell'Amministrazione; partecipazione dei cittadini mediante il raccordo e lo stimolo al processo complessivo di decentramento, sulla base di una individuazione di un preciso modello organizzativo di zona tale da rendere pienamente operativo il decentramento stesso; partecipazione dei lavoratori al processo di produttività sociale, soprattutto attraverso gli obiettivi di riorganizzazione del lavoro che concretamente devono accompagnarsi alla definizione del nuovo modello generale organizzativo.
L'articolarsi di questa complessa operazione ha però chiaramente bisogno di una volontà politica molto forte e di tempi lunghi per dare il tempo necessario alla nuova struttura di consolidarsi.
Inoltre per garantire tale disegno, l'intero apparato deve basarsi su un livello di professionalità assai elevato e ciò presuppone uno sviluppo qualitativo della preparazione e della riqualificazione del personale.
In questo quadro è da considerare assai grave la battuta d'arresto configurata dal rinnovo contrattuale: la riconferma della tradizionale struttura del salario, con una fortissima dinamica orizzontale (120%) legata solo all'anzianità, senza i doverosi riconoscimenti di professio-
nalità, può divenire una palla al piede di difficile rimozione per una politica di serio sviluppo professionale.
Si tratta di operare dunque un'inversione radicale di tendenza e fissare con chiarezza nei propositi di riforma della macchina comunale, gli obiettivi che dall'intera operazione si vogliono ottenere e cioè soprattutto una maggiore funzionalità ed aderenza al nuovo ruolo del Comune nella società attuale. Insisto che non va mai assolutamente dimenticato il fatto che oltre che di strutture e di procedure si deve parlare di persone; occorre riconvertire il Comune, ma anche i dipendenti, riguadagnarli al ruolo di operatori sociali, farne i protagonisti della ristrutturazione e della vita dell'Ente. Si impone un'opera di sensibilizzazione del personale sui problemi della città e sul ruolo del dipendente comunale al servizio della comunità amministrata, facendolo uscire dal lavoro anonimo e di routine; in definitiva occorre che il dipendente veda i risultati del suo impegno quotidiano e se ne Senta compartecipe. Sarà necessario sollecitarne l'iniziativa e promuoverne una maggiore responsabilizzazione; a questo scopo si impone lo sviluppo da parte dell'Amministrazione di corsi, anche periodici, di riqualificazione del personale per poter procedere praticamente alla piena utilizzazione del personale stesso attuando criteri effettivi di mobilità orizzontale.
In ogni caso la ristrutturazione dell'apparato comunale non si potrà mai considerare ultimata sia perchè, qualunque essa sia, sarà sempre perfettibile, sia per il prevedibile sviluppo dell'attività comunale nei prossimi anni che abbisognerà di strutture estremamente flessibili e che siano continuamente adeguate ai compiti nuovi e diversi che dovranno essere svolti.
La contestuale costituzione del coordinamento del sistema informativo dovrà consentire inoltre di disporre di un sistema delle informazioni adeguato alle esigenze di programmazione e di gestioone che abbiamo richiamato.
In ogni caso, la proposta in corso di elaborazione vuole rappresentare solo l'avvio del complesso intervento di ristrutturazione.
A ristrutturazione avviata sarà opportuno verificare di continuo la rispondenza con i principi e gli obiettivi che la ispirano ed anche la effettiva incidehza che si sarà ottenuta sulla funzionalità ed efficienza dei servizi. Solo una permamente spinta di base, solo una sollecitazione continua dei cittadini, solo un impegno adeguato dei lavoratori, possono garantire che l'impegno degli amministratori e dei tecnici in questa ardua opera di riforma potrà rendere più funzionale l'intero apparato comunale e awiarne una sua profonda e. strutturale trasformazione: da strumento garantiste a strumento con funzioni gestionali e partecipate, uno strumento in definitiva coerente con la più ampia e generale battaglia della trasformazione democratica del Paese in ogni campo.
È di questi giorni la notizia che i giovani del Centro Sociale della zona 3 hanno finalmente ottenuto una sede: da settembre saranno, sembra, agibili alcuni locali al pianterreno di via Settembrini 4. Vorremmo fare alcune riflessioni sul significato di questa battaglia, portata avanti dai giovani per quasi due anni, proprio al fine di ottenere un loro spazio in zona. L'iniziativa è partita da un'analisi della condizione giovanile nel nostro quartiere: la zona 3 ha al suo interno molti giovani cittadini: in zona abitano migliaia di giovani, e per di più il quartiere è un forte bacino di utenza per giovani provenienti anche da altre zone, per la presenza di scuole medie e superiori, di uffici, di piccole imprese. Malgrado questa alta componente giovani,e, in zona non esistono strutture che rispondano pienamente alle esigenze dei giovani. Non abbiamo strutture ricreative, sportive, culturali sufficienti a coagulare e a interessare i giovani. Il problema è particolarmente grave oggi, vista la generale situazione di disgregazione creatasi tra i giovani, la diffusione di sentimenti di indifferenza e individualismo, e il crescente successo di falsi valori corrispondente a una caduta di tensione ideale verso i problemi più urgenti della società.
C'è quindi, da parte dei giovani, un rifiuto di tutto ciò che è pubblico, una grande sfiducia nelle istituzioni e di conseguenza, un ritorno al privato, privilegiato rispetto al politico. Ed invece il problema degli sbocchi da dare ai giovani è essenzialmente politico: lasciare che, come nella nostra zona, i giovani si ritrovino solo nei bar o nelle discoteche, che non sappiano come risolvere i loro problemi di occupazione, arrivando a fare lavoro nero o addirittura dandosi alla malavita, è una scelta politica. I giovani comunisti hanno optato per una via diversa: per ridare fiducia nelle istituzioni, per far prendere coscienza ai giovani che i problemi e le contraddizioni sono risolubili solo collettivamente, lavorando per un mondo diverso, hanno pensato che fosse utile creare un luogo di ritrovo per tutti i giovani dove poter discutere, organizzare iniziative e prendere posizioni sui grossi problemi sociali e politici esi-
anche se non sol-
stenti in zona 3, tanto in zona 3. I giovani comunisti hanno quindi deciso di battersi per la realizzazione di un centro sociale in zona, attraverso scelte politiche ben precise: innanzitutto collegandosi con altri gruppi operanti nel quartiere, socialisti e cattolici, e con tutti i giovani interessati all'iniziativa, e poi lavorando ín collaborazione con le istituzioni, rappresentate dal Consiglio di zona. Ottenere una sede non è stato problema facile: ci sono state forti resistenze a livello cittadino da parte di forze conservatrici, ostili a iniziative che implicano fiducia nei giovani, e nella loro volontà di proporre nuovi valori politici e culturali. Sono state fatte petizioni, firmate da centinaia di cittadini, per sollecitare da parte delle autorità decisioni a favore del centro, si sono organizzate feste, seminari teatrali, spettacoli, marce non competitive, per cominciare a intervenire concretamente sul territorio.
Oggi possiamo fare un bilancio positivo del nostro lavoro: abbiamo ottenuto una sede e, nello stesso tempo, il consenso e la partecipazione di moltissimi cittadini alle nostre iniziative. Crediamo di poter af-
fermare che un'organizzazione politica non si qualifica soltanto per le decisioni prese a livello nazionale, ma anche per gli atteggiamenti e le prese di posizione che concernono semplicemente la vita di un quartiere.
Si tratta di posizioni conseguenti a scelte di fondo, che, come nel caso del nostro centro sociale, derivano dalla convinzione che oggi è necessario proporre attraverso punti di aggregazione decentrati, un nuovo modello di vita, in cui gli uomini affrontino collettivamente loro problemi.
Anna CapelliLa FGCI invita i giovani della zona a partecipare alla festa popolare di sabato 19 maggio ore 19,00 in p.le Bacone
Le strutture sociali della nostra Zona
FORZE POLITICHE E SOCIALI
Partiti e Organizzazioni politiche
Partito Comunista Italiano (PC1t, Sezione A. Banfi, via Sirtori 33, tel. 2715211 - Sezione Engels, via S. Gregorio 48, tel. 667491 - Sezione Russo, via Paisiello, tel. 2041974; Partito Socialista Italiano (PSI), Sezione Venezia, Casel lo di Porta Venezia; Democrazia Cristiana (DC), Sezione Venezia, via L. Settala 27, tel. 2719681; Organizzazioni sindacali Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori (CISL), via A. Tadino 21, tel. 2046241; Comitato Unitario di Zona (CUZ) CGIL-

CISL-UI L, Centro Storico Venezia (zone 1-3), piazza Umanitaria 5 (zona 1), tel. 592546.
Associazioni e gruppi a carattere sociale e politico Associazione Radicale 12 Maggio, c/o libreria Ecumenica, stazione metropolitana Lima, tel. 793159; Centro Sociale, viale Piave 9; Centro Italiano Femminile (CIF), Circolo decanale, via Settale 25, tel. 221890; Collettivo donne di Porta Venezia, via Tadino; Coordinamento Genitori Democratici (CGD), via Stoppani; Unione Donne Italiane (UDI), Circolo di zona, viale Piave, 6.
SERVIZI SANITARI
Comunali
Servizio igiene mentale età evolutiva (S IM E E), via L. Settembrini 32, tel. 272334; Servizio medicina ambiente del lavoro (SMAL),plurizonale: zone 1-3-10, via Padova 118 (zona 10), tel. 2829992; Servizio sociale di zona, via Capranica 7 (zona 11), tel. 2362645; Consultorio: non esiste. Amministrazione Provinciale Centro assistenza recupero tossico-dipendenti (CART), via L. Settembrini 32, tel. 272334; Centro di igiene mentale (CIM), plurizonale: zone 3-10, via L. Settembrini 32, tel. 208212.
Apertura anticipata dei centri "Milano Estate" Eletto il comitato di gestione per il consultorio
Quest'anno le lezioni nelle scuole elementari e medie termineranno il 31 Maggio per permettere lo svolgimento delle elezioni politiche del 3 giugno e quelle Europee del 10 giugno.
Come di consueto, quindi, le scuole vengono utilizzate come sedi elettorali. Questa forzata vacanza dei ragazzi certamente procura dei disagi in molte famiglie, soprattutto in quelle dove entrambi i genitori lavorano. Negli ultimi 10 anni questo "problema" è apparso più evidente per i ripetuti ricorsi alle elezioni anticipate e per le votazioni relative al referendum.
Non ci risulta che sia stata presa in considerazione la possibilità di trovare altre sedi idonee per l'installazione dei seggi elettorali in alternativa alle scuole; personalmente
penso invece che uno sforzo in tal senso andrebbe fatto pur tenendo conto delle difficoltà oggettive nel trovare degli spazi sufficienti per la sistemazione dei seggi che per esempio, nella nostra zona sono un centinaio. La Ripartizione Educazione, ci ha confermato che, proprio in considerazione della chiusura anticipata delle scuole i Centri di Milano Estate Scuola per le elementari verranno aperti dal 13 /14 giugno anzichè dal
2 luglio come negli anni scorsi. Non è ancora certo per la nostra zona se la scuola ove verrà organizzato il Centro sarà come per l'anno passato la scuola di via Mezzofanti. Al più presto, comunque, la Ripartizione invierà a tutte le scuole le necessarie istruzioni ed indicazioni.
L. V.
Consiglio di Zona: Vittoria Cialfi, Loredana Celiberti, Elisabetta Nigris. Coordinamento Femminile: Jolanda Maggi. CUZ zona 3: Frida Gurini, Giuliana Michelino. CIF: Melotti.UDI:!sa Buzzi Carini. Decanato: Dr. Zurlení. Colettivo Femminista: Rachele Sutton.
Manca la designazione del Distretto scolastico. Il C. di Z. ha dato incarico al coordinatore della Commissione Igiene, Dr. Di Roberto, di seguire con attenzione i lavori del Comitato di Gestione del Consultorio in questa fase di avvio.
Intervista al presidente del Consiglio di Zona 8
Affori Bruzzano Comasina
Cominciamo con questo numero una serie di servizi sulle 20 zone di Milano, al fine di dare al nostri lettori elementi di conoscenza seppure sommari, sulle caratteristiche delle zone, i loro problemi e li modo In cui una grande città come la nostra li affronta.
Abbiamo intervistato il presidente del Consiglio di Zona 8 (Affori Bruzzano Comasina), Adamo Marilena del P.C.I. (29 anni), laureata in filosofia, di professione insegnante, è consigliere di zona 'dal 1972.

Dal 1978 è presidente del Consiglio di Zona 8. Adamo Marilena è l'unica donna presidente di Consiglio di Zona, dei 20 esistenti a Milano.
li Consiglio di Zona 8 ha sede in Viale Attori 21. Nella zona esce anche un periodico di informazione democratica ABC (Affori Bruzzano Comasina), che i cittadini possono trovare ogni mese nelle edicole.
D. Quali sono le caratteristiche e i problemi più urgenti della zona 8?
R. La zona 8, con poco più di 52.000 abitanti, è una zona della periferia milanese e come tale ne condivide caratteristiche e problemi, anche se con elementi di specificità che le sono propri. Ad esempio, la presenza di 2 quartieri, Affori e Bruzzano, ex Comuni, con un nucleo ancora forte e omogeneo di "milanesi" che conservano una propria fisionomia culturale, tradizioni, come le feste di paese.
La zona, oltre a questi due centri è composta da alcuni quartieri di edilizia popolare o sovvenzionata come il Comasina, parte della stessa Bruzzano, il Bovisasca, sorti alla fine degli anni 50 e ampliatisi via via, con popolazione prevalentemente immigrata: credo che la nostra sia una delle zone con maggior presenza di edilizia pubblica di Milano.
Nell'insieme, anche se vi sono alcuni insediament. di ceto medio o medio - alto, la nostra è una zona prevalentemente popolare e operaia, che si esprime politicamente, per i Partiti di sinistra, che da anni ottengono la maggioranza, sia alle politiche che alle amministrative. Anche nel referendum dello scorso anno, è stata una delle zone di Milano in cui hanno vinto i "no" all'abrogazione del Finanziamento pubblico ai partiti.
Dal punto di vista del Lavoro, abbiamo alcune grandi fabbriche come la OerliKon Italiana, il Rotocordere, la Max Meyer, uno stabilimento SIR; ma soprattutto esiste, in particolare ad Affori, un ricco tessuto di piccole fabbriche e artigiani, che, anche se spesso ha compromesso lo sviluppo razionale della zona da un punto di vista urbanistico, rappresenta, a nostro avviso, una presenza preziosa, che, va mantenuta. Questo è stato uno degli obiettivi che abbiamo perseguito nell'elaborazione delle nostre proposte per la variante al PRG di Milano in larga misura accettate dall'Amministrazione.
Mi chiedevi quali sono i problemi più urgenti della zona; come puoi immaginare sono numerosi e richiedono un impegno continuo da parte del Consiglio, dei cittadini e delle loro organizzazioni. Limitiamoci a 3 questioni molto concrete intorno alle quali il Consiglio sta lavorando negli ultimi tempi: 1) Case Minime, 2) Riutilizzazione delle strutture del Paolo Pini (ex Ospedale psichiatrico), 3) intervento nel settore ricreativo - culturale.
Per gli abitanti delle Case Minime di Bruzzano eealizzate come case provvisorie in periodo fascista e lasciate come "case dei poveri" nei trent'anni di centro - sinistra a Milano, siamo riusciti finalmente ad ottenere il trasferimento in un nuovo lotto di edilizia popolare ormai quasi pronto, che ci permetterà di procedere all'abbattimento delle vecchie strutture, per realizzare una nuova "casa parcheggio" destinata cioè a permettere il risanamento del degrado.
Siamo impegnati per ottenere dalla Provincia alcune delle strutture del Paolo Pini, che, in seguito alla legge 180 sulla Psichiatria, deve essere destinato ad altri usi.
Il Consiglio di zona ne chiede la gestione per collocarvi sia l'Unità sanitaria Locale con i relativi servizi, sia un centro sociale destinato ad attività ricreativo sportive.
Sono mesi che la nostra attività è tesa ad aggregare gli organismi di tipo associativo che operano in zona nei settori ricreativo - sportivo - culturali sia per individuare e portare avanti programmi comuni, sia per gestire democraticamente le struttu-
re private e pubbliche della zona.
Riteniamo infatti che, parallelamente alle giuste richieste di nuove strutture, sia fondamentale questo nostro tentativo di razionalizzare l'esistente valorizzando appieno quello che da subito è disponibile.
D. Su quale maggioranza si regge il C.d.Z. e quali sono i rapporti tra le forze politiche?
R. La maggioranza del Consiglio è composta da PCI, PSI, PSDi, ma nella formulazione delle linee programmatiche sono state coinvolte, anche le altre forze, tant'è vero che la DC coordina 2 commissioni di lavoro: si tratta quindi di una maggioranza aperta.
D. Che giudizio dai sull'operato dell'amministrazione comunale di sinistra costituitasi dal 1975?
R. È una domanda che richiede una analisi molto più approfondita di quanto ci permetta questa sede: cercherò di essere breve, sapendo già di essere schematica. A mio parere va dato un giudizio largamente positivo: questa giunta ha realizzato in 4 anni cose che le altre Amministrazioni non hanno realizzato in 10 ed in un periodo particolarmente difficile in Italia per gli Enti Locali. Basti ricordare il PRG, il piano dei trasporti, quello commerciale: tutta una serie di strumenti indispensabili ad avviare una amministrazione della città fondata sulla programmazione e non sull'improvvisazione. Inoltre è stato fatto uno sforzo rilevante per risanare la situazione finanziaria, lasciata in condizioni disastrose dalla passata amministrazione. Per quello che ci riguarda infine, come Consigli di zona, va ricordato che per la prima volta dal 1969 abbiamo un regolamento sul decentramento e le delibere quadro che, approvate a giugno, pèrmetteranno il trasferimento di reali poteri alle zone: quest'anno poi abbiamo fatto la prima esperienza di "Bilancio di zona", passo in avanti decisivo non solo per i Consigli di zona, ma per la partecipazione democratica dei cittadini nella gestione della cosa pubblica.
Tutto questo non deve farci dimenticare le "cose non fatte" e i limiti che ancora ci sono e che vanno superati al più presto. Mi limito a citare la mancata riforma della macchina comunale: ci troviamo ancora ad operare con un apparato burocratico vecchio nella concezione, del tutto inadeguato a rispondere agli interventi riformatori nel campo dei servizi, accentrato e quindi in contraddizione con la realtà del Decentramento. Mi auguro che anche questo obiettivo venga raggiunto entro 1'80 dall'amministrazione.
D. Qual è secondo te il ruolo dei Consigli di zona in una grande città come Milano, alla luce dei nuovi poteri che ad essi verranno attribuiti?
R. Esiste un problema politico amministrativo di fondo, quello cioè che non si può pensare di continuare ad amministrare una città di 1.800.000 abitanti in modo centralizzato, nè dal punto di vista politico, nè da quello burocratico. Ci si deve quindi seriamente avviare alla formazione di vere e proprie piccole municipalità che permettano di collegare amministrativamente la città con il suo hinterland. Ma nel tener conto di questa esigenza non si deve dimenticare la grande spinta alla partecipazione che hanno rappresentato e ancora rappresentano i Consigli di zona: essi quindi devon continuare ad essere momenti di partecipazione, ma anche "moltiplicatori" di partecipazione, estendendo e non esaurendo in se stessi il processo di decentramento.
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Un voto ragionato
solvere i problemi che la crisi economica e sociale rendevano sempre più acuti, era un governo di unità nazionale basato sull'intesa e la collaborazione di tutte le forze democratiche. Bisognava cioè trovare il modo di associare il movimento operaio nel suo complesso alla direzione del Paese. E su questa strada ci si è effettivamente mossi, pur con difficoltà, ritardi e resistenze da parte delle forze più conservatrici, italiane e straniere, che vedevano così messe in discussione le loro posizioni di potere e di privilegio. E le re,pstenze sono diventate sempre più acute man mano che si svolgeva il processo di avvicinamento del PCI al governo. Più acuto diventava l'attacco terroristico armato, nelle sue diverse forme. culminato il 16 marzo '78 con il rapimento dell'on. Moro, il giorno stesso della costituzione della maggioranza di solidarietà democratica. Ma le resistenze non si sono espresse solo con il terrorismo: dalle parti più diverse ed impensate si è, volutamente o no, lavorato per mettere in crisi e disfare la debole .unità così faticosamente costruita. Basti rapidamente ricordare le scandalose fughe di Freda e Ventura o di Kappler, le polemiche "ideologiche" sulle matrici del terrorismo, gli esami di democrazia fatti al PCI, i polveroni sollevati ad ogni approvazione di leggi di riforma, dall'aborto all'equo canone, dalle pensioni alla riconversione industriale, al preavviamento al lavoro dei giovani disoccupati.
Ma più grave di tutti è stato l'atteggiamento del partito di maggioranza relativa e del suo governo monocolore, volto a rallentare i tempi di attuazione delle leggi già approvare dal Parlamento, quando non a svuotarle di ogni contenuto. Così è stata la controffensiva reazionaria sui patti agrari, sulla riforma della scuola e dell'Università, sulla legge Realebis, sulla riforma della Polizia.
La maggioranza si è dunque progressivamente deteriorata ed ha perduto ogni carica innovativa, fino al suo definitivo scollamento a proposito dei voti sull'ingresso dell'Italia nello SME o sulla nomina ai vertici degli Enti pubblici e nella commissione Inquirente, con la formazione di maggioranze diverse da quella che sosteneva il governo, di centrosinistra o addirittura centriste.
Il PCI richiedeva a questo punto una verifica politica tra i partiti di maggioranza. Si giungeva così all'ultima crisi di governo. Da allora si è costantemente manifestata nella DC la pervicace volontà di sciogliere le Camere e di andare alle elezioni.
Sono state rifiutate tutte le proposte volte alla ricostruzione della maggioranza. È stata respinta la possibilità di un governo comprendente il PCI. sono stati respinti accordi minori, come l'immissione di indipen-
denti nella compagine governativa, o come gli accordi per risolvere situazioni locali - Trieste, Calabria, Campania - particolarmente delicate.
Certo in questo la DC è stata favorita anche dalla debolezza ed incertezza di altri partiti che hanno troppo rapidamente accettato i suoi veti, ponendosi in una ambigua posizione di equidistanza. Ma è comunque chiaro che le responsabilità principali ricadono sul partito dello scudocrociato. E di questo terranno conto gli elettori.
Un rafforzamento elettorale della sinistra è infatti indispensabile per battere le resistenze conservatrici che, sotto le insegne dei Fanfani, dei Bisaglia, dei Donat - Cattin, hanno preso il sopravvento nella DC. Tale partito si presenta oggi all'elettorato senza una proposta per il futuro. Chiede solo voti per continuare a governare, per continuare a gestire ii suo sistema di potere e sottopotere. Al suo interno si riaffacciano proposte non nuove e molto pericolose per la democrazia, come quella dell'on. Piccoli, presidente del partito, che vorrebbe modificare il sistema elettorale per trasformare un partito di maggioranza relativa (come è la DC) in un partito di maggioranza assoluta, con buona pace del pluralismo e dei partiti minori, condannati a scomparire. Per il resto la DC non fa altro che sognare riedizioni del centro - sinistra o addirittura del centrismo anni '50. Si tratta di velleità che non tengono conto di quanto sia cambiata da allora la nostra società. Sono illusioni pericolose ed inutili a risolvere il problema del governo dell'Italia.
L'unica proposta seria e responsabile rimane quella di un governo di unità nazionale di cui faccia parte a pieno titolo tutta la sinistra; compreso il PCI. L'esperienza compiuta dal '76 ad oggi dimostra infatti che le soluzioni intermedie hanno ormai esaurito la loro funzione, che è stata anche parzialmente positiva, pena lo svuotamento della politica stessa di unità nazionale. Per governare l'Italia di oggi è necessario cambiare, trasformare, rinnovare lo Stato e la società. Bisogna rispondere alle domande ed ai bisogni della gente. Bisogna affrontare sul serio la crisi economica, sociale e morale che ci attanaglia drammaticamente. Bisogna lottare strenuamente contro il terrorismo, l'eversione e la violenza di ogni colore, forma e segno, seguendo l'esempio dell'operaio comunista Guido Rossa e del giudice democratico Emilio Alessandrini.
Per fare ciò è necessario il contributo di tutti gli onesti e democratici. Perciò è necessario battere la destra democristiana. Togliere voto alla DC, questo è necessario oggi per il bene del nostro Paese.
R. F.
Per un'Europa democratica
Popoli che si sono combattuti aspramente e che ancora conservano reciproche diffidenze, si recheranno a votare nello stesso giorno per uno stesso Parlamento.
È un fatto ed un impegno di pace limitato certamente ad una piccola parte del mondo, ma dalla quale sono purtroppo venute le due più micidiali guerre mondiali della storia umana.
Andando alle urne il 10 giugno ognuno di noi si renderà conto, in modo diretto e personale, che la sorte e il destino del nostro paese, di tutti noi, è anche collegato a quanto succede negli altri paesi dell'Europa occidentale. Si comprenderà meglio come sia importante avere una politica economica che affronti la disoccupazione delle giovani generazioni e l'evasione fiscale, uno Stato funzionante sia nel debellare il terrorismo che nel garantire la sicurezza dei cittadini. Certo eleggeremo un Parlamento europeo con poteri limitati, ma dall'elezione popolare nasce di fatto un potere che può imporre un cambiamento nel modo di funzionare della comunità.
Per troppo tempo ha prevalso un tecnicismo assurdo che ha avvantaggiato solo i gruppi di potere e le economie più forti. Siamo arrivati al paradosso che nella politica agricola della CEE un paese debole come il nostro ha finanziato l'agricoltura della Germania occidentale.
Tutto ciò può cambiare — anzitutto introducendo la democrazia nella comunità aumentandone il bilancio per affrontare interventi nelle regioni povere, per affrontare la disoccupazione giovanile, che è vasta anche negli altri paesi europei, infine per controllare le società multinazionali che con le loro decisioni improvvise determinano sconvolgimenti economici e ricorrenti speculazioni sulle monete. II problema che abbiamo di fronte non è quello di "restare in Europa" — in Europa ci siamo — il problema è come starci. Se continuare a rimanere subalterni, ammantandosi di un europeismo retorico e piagnorie, come ha sempre fatto sostanzialmente la D.C., o cogliere l'occasione per essere protagonisti di un processo come chiedono i comunisti, che crei in Europa un potere democratico attivo sia per risolvere le questioni che ci sono, sia per favorire la distensione, il disarmo, la cooperazione internazionale.