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La classe operala ha aperto Miro il governo la pio' grossa vertenza del dopoguerra
Dicevamo, nel numero scorso del giornale, che il governo e i padroni si sbagliavano di grosso se speravano in una accettazione passiva degli aumenti dei prezzi, ormai vertiginosi in tutti i settori. Dicevamo anche che era ora di passare a forme concrete di rifiuto di questi aumenti: possiamo affermare che qualcosa in questo senso si sta muovendo. Hanno cominciato a Torino a rifiutare le maggiorazioni degli abbonamenti tramviari e delle bollette della luce, e adesso questa forma di lotta si sta estendendo a Napoli, Asti, Cuneo e Bolzano.
I Consigli di fabbrica, gli organismi sindacali unitari hanno organizzato la protesta di massa e hanno preso in mano la direzione della lotta. A Torino gli operai pendolari che vanno ogni mattina nelle fabbriche di Agnelli hanno pagato l'abbonamento al vecchio prezzo: su ogni pullman due o più delegati si sono incaricati di raccogliere i soldi che poi i sindacati hanno versato alle aziende dei trasporti, rilasciando ai pendolari una ricevuta attestante l'avvenuto pagamento. Il risultato è stato immediato: la Giunta Regionale piemontese ha dovuto sospendere gli aumenti.
Questo ci fa capire che è utile trattare con le autorità regionali e comunali, quando c'è in piedi un forte movimento di massa, organizzato e unito. E' questa la condizione essenziale per ottenere vittorie sostanziali.
Anche contro aumento della luce, sempre a Torino, la Federazione Sindacale Unitaria ha fatto e sta facendo una propaganda capillare affinchè gli operai t;elle fabbriche paghino solo il 50% della bolletta utilizzando un modulo (già stampato in decine di migliaia di copie) su cui è scritto « Versamento secondo le indicazioni C.G.I.L., C.I.S.L., U.I.L. ». Contemporaneamente hanno luogo centinaia di assemblee e riunioni per spiegare il significato di questa forma di lotta. Anche qui si richiede una revisione globale delle tariffe: infatti l'aumento è sentito soprattutto dalle famiglie operaie e impiegatizie, mentre le grandi utenze segue
Non c'è compromesso con la borghesia che possa sanare guasti prodotti dai capitalismo e dalla decennale gestione democristiana. La sola via è rivoluzionaria
E' opinione diffusa che in Italia non solo le masse più povere e più sfruttate ma anche i ceti medi toccati dalla recente crisi, siano ormai stufi della Dc della sua direzione politica sul paese, dei suoi governi; e che conseguentemente stiano orientandosi a spostare le proprie preferenze ai partiti della sinistra tradizionale, il Psi ed il Pci.
E sembra pure che anche le masse cattoliche, soprattutto quelle operaie, vedano con chiarezza he la Dc tiene mano alla borghesia ed ai ceti parassitari del paese, che la sua politica fa a pugni col vangelo, e non si sentano più quindi tanto vincolati all'autorità ecclesiastica in materia elettorale: il recente referendum lo avrebbe sufficientemente dimostrato.
E' sorta allora, a dire di molti, una nuova coscienza che individua le responsabilità recenti e passate della d.c. nell'attuale crisi; che guarda con preoccupazione al futuro del paese lasciato in mano a tali dirigenti. Costoro, in 30 anni di governo, hanno spalancato completamente le porte al capitale straniero permettendogli di fare dell'Italia il proprio luogo di dominio, sia dal punto di vista economico (grandi industrie che hanno potuto trovare nel nostro paese un grosso mercato di sbocco per la loro produzione o che hanno potuto avvalersi della manodopera italiana a basso costo per arricchirsi ulteriormente diventando proprietaria di industrie italiane o impiantandone altre) sia dal punto di vista politico (l'Italia è completamente controllata da basi NATO e dalla d.c. ampiamente sovvenzionata oltre che « suggerita » da Washington: non è un caso che le svolte politiche autoritarie da parte della dc.c nell'Italia del dopoguerra siano avvenute in seguito agli incontri americani dei nostri primi ministri, primo fra tutti quello di De Gasperi nel '47).
Con la conseguenza che il nostro paese, servendo solo alla politica economica USA e dei loro più forti alleati, vive solo di riflesso all'espansione o alla cri-
si economica di questi colossi, paga le loro crisi, rimane soggetta alla loro politica imperialista, anche in tempi di cosiddetta espansione.
Ma ora molti cominciano a comprendere tutte queste cose, cominciano a comprendere l'inesattezza di certa propaganda anticomunista molto in voga soprattutto nell'immediato dopoguerra e fino a ieri, e vedono nelle forze di sinistra e soprattutto nel Pci forze risolute, ad eliminare il marcio dalla politica italiana, forze capaci di affrontarne i rimedi, di risanare e democratizzare la nostra società e le sue strutture, di dare magari finalità diverse e più giustificabili ed un respiro più ampio alla nostra politica economica.
Se ciò risponde a verità, se cioè questa nuova coscienza sta davvero emergendo, noi non possiamo che esserne contenti : più volte abbiamo provocato una riflessione critica sul modo di gestire la cosa pubblica da parte della democrazia cristiana e se qualcosa in questo
senso si sta quindi muovendo, non possiamo che dichiararci soddisfatti. Occorre chiedersi a questo punto se, anche ipotizzando un forte spostamento a sinistra dell'elettorato alle prossime consultazioni politiche, che molto probabilmente saranno anticipate rispetto alla loro naturale scadenza (il '77) (le amministrative comunali, provinciali e regionali si terranno invece l'anno prossimo), questo sia sufficiente per rendere automatico il decollo di una nuova società, più giusta, economicamente meno arretrata, politicamente meno sottomessa al capitale straniero e che eviti la presente crisi che ci sta investendo. Perchè diciamo questo? Perchè non ne siamo affatto convinti e principalmente per tre motivi.
Innanzitutto la gravità della situazione politica ed economica. Abbiamo parlato prima dello stretto legame esistente fra la politica americanaÜ ed il nostro paese che ne subisce economicamente gli alti e i bassi, che è costretto ad avallare po-
liticamente le sue scelte di imperialismo. Ma ora il sistema capitalistico sul quale si poggia la politica americana è entrato in una crisi che lo coinvolgerà fino In fondo, alle sue radici, al punto che sono In molti a sostenere che da questa sua crisi non potrà uscirne se non cambiando radicalmente il sistema.
Perchè questa crisi del capitalismo e da quali sintomi la si deduce? Per spiegare brevemente questo bisogna innanzitutto richiamare cosa sta alla base del sistema capitalistico.
Non degli obiettivi volti alla sopravvivenza ed al miglioramento stabile della
SPECULAZIONE EDILIZIA
umanità, me unicamente il profitto. Ed è il profitto che ha spinto i paesi capitalisti a due operazioni. Potevano sembrare (e così sono effettivamente sembrate a noi nel dopoguerra) il progresso, ma ora chiaramente mostrano la corda.
La prima di queste operazioni è stata quella di giungere al massimo guadagno con una produzione sfrenata che sfornasse ogni genere di » conforts » in gran quantità, quanti le masse non potessero nemmeno immaginare. Da qui il boom del settore delle automobili, dei frigoriferi, dei beni superflui di ogni gea pag. 7
CEM: una colossale truffa
Seimila milanesi, operai, piccoli artigiani, impiegati e pensionati, tutta gente il cui reddito in media non supera le centomila lire mensili, dovranno forse pagare per la seconda volta l'appartamento che, mettendo da una serie di società immobiliari tutte sciti a comperarsi. Questi lavoratori abitano le case costruite negli ultimi dieci anni da un aserie di società immobiliari tutte con nomi di fantasia come Narciso, Pettirosso, Mughetto, Genova superba, ecc. dietro alle quali in realtà si nascondeva un'unica società, il CEM(consorzio edilizio milanese).
Il tutto è cominciato oltre dieci anni fa. quando il 3 agosto 1960 fu fondato il CEM il quale nell'arco dei cinque o sei anni successivi fondò appunto circa duecento società immobiliari che operarono durante tutto il corso degli anni sessanta fino alla crisi sopraggiunta nel '68 quando molte di queste società vennero sciolte e altre sopravvissero fino al '71, anno in cui si fusero nella 'Lupietta' spa. Il modo di agire del CEM era semplice: quando decidevano di costruire un immobile costituivano una società che acquistava un'area di terreno.
Dopo aver ottenuto la licenza edilizia la nuova società appaltava il lavoro a una più imprese costruttrici e chiedeva ed in genere otteneva dalla Cassa di Risparmio un mutuo fondiario. Con i soldi ottenuti veniva finanziata la costruzione e spesso contemporaneamente venivano venduti gli appartamenti. Nei primi tempi i riuscì addirittura a vendere ancor prima di costruire. poi la cosa divenne più difficile.
Gli appartamenti venivano venduti gravati di ipoteca nei confronti del credito fondiario dalla Cassa di Risparmio. Fino al '68 le varie società continuarono a costruire centinaia di immobili in tutta la Lombardia. Se gli acquirenti pagavano in contanti il CEMsi obbligava a cancellare al più presto l'ipoteca gravante sull'appartamento senza tuttavia dare garanzie o termini. Nel caso di vendita rateale invece la società mandava all'acquirente le bollette dei versamenti delle rate di mutuo che, una volta incassate, avrebbero dovuto essere trasferite alla Cassa di Risparmio. In realtà però le quote per contanti ed i pagamenti rateali degli acquirenti non sono stati versati, almeno parzialmente per coprire il mutuo delle banche. L'immobiliare che ha venduto gli appartamenti, invece di versare al
LETTERE E OPINIONI Sugli
Credito Fondiario le rate di mutuo che i condomini regolarmente versavano, e di trasmettere le somme incassate per la cancellazione delle ipoteche, si è trattenuta i soldi.
Gli appartamenti quindi potrebbero anche essere messi all'asta, nonostante siano di legittima proprietà di persone che li hanno pagati dai quattro ai sette milioni. Solo nel 1970, quando il CEMcominciò a navigare in cattive acque, cominciarono a venire a galla tutte le magagne; i debitori cominciarono a saltar fuori come funghi e alla fine, da parte di privati, venne presentata al tribunale un'istanza di fallimento che venne però respinta dal magistrato. La commissione speciale condomini CEM, che si è costituita dopo tali fatti, sta ancora lottando per ottenere il fallimento del CEM, ma poichè in questa colossale truffa sono implicati 'nomi' di rilievo, non è neppure riuscita ad ottenere il dibattito sulla questione in tribunale, dibattito che con vari pretesti viene continuamente rimandato. Non vi è dubbio che gravi responsabilità pesano non solo sui truffator idel CEMe delle sue immobiliari di comodo ma anche sugli uomini politici che necessariamente hanno coperto molte verità con una connivenza di dubbia origine e infine sugli istituti di credito fondiario per il loro colpevole silenzio dinanzi a questa truffa che maturava sotto i loro occhi. Perchè la Cassa di Risparmio non è intervenuta subito come avrebbe dovuto quando le immobiliari non hanno versato le rate di mutuo alle varie scadenze ma ha aspettato due anni per poi operare un frazionamento del debito fra le 'porzioni' di immobili?
Perchè mentre precedentemente la Cassa di Risparmio si è rifiutata di ricevere versamenti a lei direttamente effettuati girandoli sul conto del CEM ora intende recuperare tutti i soldi dello scoperto da chi occupa gli alloggi?
E' quindi chiara la reale funzione di copertura che la Cassa di Risparmio ha svolto in questi anni nei confronti di quei truffatori di professione che si nascondono dietro al CEM.
Di fronte alla presenza di norme strutturate per favorire solo i più furbi e i più fori occorre una cosciente presa di posizione di tutte le fgrze veramente democratiche per impedire che si perpetri fino in fondo questa colossale truffa.
Caro Milanodieci, ho letto sull'ultimo numero l'articolo sugli asili nido. Sono pienamente d'accordo sulla necessità di precisare gli obiettivi delle lotte e di portarli avanti senza faziosità in base alle esigenze reali della popolazione. Vorrei per questo portare il mio contributo sul problema degli asili nido: ho dei dubbi sull'avanzare una rivendicazione sugli asili nido di carattere puramente quantitativo, cioè come numero di asili da piazzare in zona. Secondo me è una cattiva impostazione del problema considerare l'asilo nido solo in funzione della donna che lavora (problema reale, intendiamoci!). Chiedere tanti asili nido perché tante donne lavorano è un accettare il male minore per i lavoratori, è in fondo un sottomettersi alla logica dello sfruttamento; e gli sfruttati in questo caso sono sia la madre, sia il bambino che viene parcheggiato per molte ore in un ambiente per lui privo di senso senza un rapporto con la figura della madre che per il bambino piccolo è una parte di sè e una via necessaria al proprio rapporto col mondo.
Punto essenziale per una corretta impostazione del problema è partire dal bambino e dalla richiesta di luoghi che mirino al suo buon sviluppo affettivointellettivo-sociale (e non alla sua collocazione sicura). Se non mettiamo questo scopo in primo piano in un momento in cui la struttura psichica è da una parte particolarmente fragile e dall'altra recettiva come non mai, si possono avere sulle generazioni future delle conseguenze negative.
La stessa legge sugli asili nido n. 1044 pur nella sua contraddizione (nell'art. 1 parla di assistenza e custodia come funzione dell'asilo nido) punta poi sull'aspetto educativo del bambino il più personalizzato, approfondito e partecipato possibile (vedi art. 6). Bisogna quindi sforzarsi di leggere ed usare questa legge in questo senso puntando ad esempio: sulla ricerca di situazioni stimolanti le capacità del bambino nel suo momento di sviluppo e nella sua situazione personale e ambientale: ricerca che deve essere rinnovata di volta in volta dalla cooperazione di genitori-educatoriesperti;
sulla richiesta di personale realmente qualificato e numericamente sufficiente (si pensa ad una puericultrice ogni 4 lattanti e ogni 5 svezzati); sulla richiesta per la madre di tutta una serie di spazi lavorativi che le permettano di seguire il bambino all'interno del nido nei momenti più delicati per lui che, nei casi peggiori, la aiutano a non disinteressarsi del bambino una volta parcheggiato, ecc.
Mi sembra che accanto e forse prima della rivendicazione di molti asili nido si debbano portare avanti questo tipo di richieste sulla qualità dell'educazione del cittadino di domani.
Lotta dl massa contro H governo e II padronato
VERTENZA CON LA CONFINDUSTRIA
SALARIO GARANTITO
I recenti provvedimenti di Cassa Integrazione pongono un problema di salario grave per decine di migliaia di lavoratori per far fronte al costo della vita. Il problema della Cassa Integrazione non può essere affrontato dai lavoratori con lotte isolate ed estenuanti fabbrica per fabbrica.
Va aperta una vertenza generale per garantire ai lavoratori in Cassa Integrazione il pieno salario.
CONTINGENZA
Di fronte alla svalutazione del
salario del 25% una battaglia per aumenti salariali non è più rinviabile. Abbiamo di fronte due vie. O una lotta fabbrica per fabbrica che porta a una frantumazione del movimento che garantisce aumenti consistenti dove gli operai sono forti, aumenti parziali dove gli operai sono deboli: oppure aprire una lotta salariale generalizzata attraverso la unificazione del valore punto della contingenza al livello più alto portando cioè il valore punto del manovale dell'industria che è di 372 lire al livello d'impiegato
VERTENZA CON IL GOVERNO
1. PENSIONI
Il sindacato deve far rispettare l'impegno del Governo di agganciare le pensioni alla dinamica del salario. Cioè l'aumento del salario (salario contrattuale — superminimo collettivo aziendale — contingenza) che i lavoratori conquistano con le loro lotte.
Non si possono lasciare 7 milio-
ni di pensionati con pensioni bloccate a 45 mila lire al mese con il costo della vita che è aumentato del 25%.
2. PREZZI POLITICI
Stabilire per una serie di beni di prima necessità (pasta, pane, olio, zucchero) un « prezzo politico » bloccato per almeno un periodo di
di prima categoria di lire 948. Per garantire un aumento salariale che copre quello che è stato l'aumento del costo dela vita, la unificazione del valore punto deve riguardare tutti gli 88 punti scattati dal 1969 ad oggi.
Questa rivendicazione che interessa 15 milioni di lavoratori dipendenti assicura un aumento medio di 25 mila lire mensili e quote superiori per le categorie più basse. Questa conquista è già stata realizzata con la lotta nelle aziende siderurgiche pubbliche.
due anni. Stabilire il blocco delle tariffe pubbliche.
3. INVESTIMENTI
Contro la politica di recessione del governo (blocco degli investimenti e della spesa pubblica) rilanciare gli investimenti produttivi e sociali.
LA VERTENZA GENERALE E' LA CONDIZIONE INDISPENSABILE PER APRIRE SU POSIZIONI DI FORZA LE VERTENZE AZIENDALI E LA LOTTA SUI COSTI SOCIALI
VERTENZE AZIENDALI
Se un aumento salariale verrà garantito attraverso l'unificazione
della contingenza e il salario garantito, la linea rivendicativa di fabbrica potrà uscire dalla difensiva sul-
le condizioni di lavoro (orari, ritmi, cottimi, qualifiche contro i processi di ristrutturazione.
ASSEMBLEA NAZIONALE DEI DELEGATI PER DECIDERE LA VERTENZA
GENERALE - RICOSTRUIRE L'UNITA' POLITICA
DEI LAVORATORI - RILANCIARE L'UNITA' SINDACALE
Il sindacato si trova oggi di fronte a gravi responsabilità. Il patto federativo è in crisi. La cogestione da parte del PSI di tutti i provvedimenti antipopolari e l'illusione dei riformisti di poter contrattare con una battaglia al Parlamento la politica economica del governo si è riflessa all'interno del sindacato e ha disorientato i lavoratori.
E' necessario ritornare alla base, investire i lavoratori, i Consigli, delle scelte rivendicative e del modo in cui rilanciare il processo di unità sindacale.
Chiediamo subito la convocazio-
ne della Assemblea nazionale dei delegati, con potere decisionale, per definire la piattaforma generale, per rilanciare il movimento nella chiarezza degli obiettivi e l'unità sindacale.
La linea di lotta che noi proponiamo significa mettere in crisi lo attuale governo, rimettere in discussione l'attuale quadro politico, richiamare il PSI e il PCI alle proprie responsabilità.
Il padronato tenta, nello scontro di queste autunno, di far pagare la crisi ai lavoratori, battere il movimento operaio, ridar forza e cre-
dito al proprio partito, la Democrazia Cristiana, profondamente in crisi dopo 25 anni di gestione.
E' necessario quindi su questi obiettivi costruire con tutte le forze di sinistra uno schieramento di Nuova Opposizione sulla base delle esperienze di lotta che i lavoratori hanno compiuto unitariamente in questi anni. Uno schieramento che facendosi portatore dei bisogni materiali dei lavoratori e del bisogno di vivere e lavorare in modo diverso ,sappia portarli alla costruzione di una società nuova, una società comunista.
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nere, dell'edilizia, con gli annessi e connessi. E cosa è successo? Tutti hanno gridato al miracolo, al progresso, le automobili hanno richiesto la costruzione delle autostrade, l'edilizia ha richiesto nuovi conforts per la casa, tutto l'insieme ha richiesto salari 'e stipendi più alti: era davvero il miracolo! (Piuttosto era la fortuna della Dc e di chi dietro a lei e con lei sosteneva questo tipo di caotico, pazzesco sviluppo)Ç Ma da un po' di tempo a questa parte la produzione mondiale sta ristagnando perchè il mercato è ormai saturo di questi « bisogni », non si può produrre all'infinito automobili, autostrade, frigoriferi, televisori ecc. Stiamo toccando quindi il tetto di questo tipo di sviluppo.
Ne deriva che le industrie trainanti (automobili ecc.) non guadagnino più come prima, vadano in crisi ed è la crisi non solo dell'industria A, B o C, ma del sistema. Inoltre, mentre ci si dava da fare per procedere in questa direzione del « confort », non si pensava all'indispensabile; mentre ci si dava da fare per costruire autostrade, non si impegnavano fondi e non si facevano programmi per l'agricoltura, dove le risorse non si esauriscono; non si facevano piani per un più largo impiego dell'energia elettrica, per esempio nei trasporti (dove è molto meno costosa del petrolio e dei suoi derivati).
La seconda operazione che doveva essere ancora più letale per la sopravvivenza del modello di produzione ma anche per la nostra stessa sopravvivenza è stata quella dello sfruttamento indiscriminato e banditesco delle risorse e delle materie prime.
E cos ora stiamo galoppando verso l'esaurimento delle risorse minerarie con la conseguenza che il progresso e la ricchezza accumulata fino ad ora, legata solo allo sfruttamento di queste risorse, e non per esempio all'agricoltura, verrà ridotta a zero e sarà la miseria. Scrivevano su « milanodieci » del febbraio '73 (pagina 5).
— Ne viene di conseguenza che non l'aumento di popolazione ma la tecnologia, costruita pezzo per pezzo dal capitale, dall'attuale sistema di produzione, ha inventato nuovi processi, nuovi prodotti, nuovi bisogni. E poi li ha moltiplicati, per moltiplicare il proprio guadagno, incurante di indagare se servivano all'uomo. Di più, il capitalismo ha costruito la sua tecnologia facendo riferimento ad una scala di valori che derivano da rapporti so-
ciali fondati sullo sfruttamento e sulla disuguaglianza, ed ha costretto enormi masse di uomini a subire passivamente trasformazioni drastiche nel loro modo di vita, all'unico scopo di accrescere la accumulazione dei profitti —.
In questo momento in cui cominciamo a sentirci mordere dalla crisi sono presenti tutti i sintomi di questa caduta, dalla politica di ricatto degli Stati Uniti nei confronti dell'Europa, alla presa di posizione degli stati produttori di petrolio nei confronti delle grandi potenze e dei loro satelliti, dalla disoccupazione di massa al crollo della Borsa.
Occorre, non è il caso di ripeterlo due volte, intervenire subito direttamente imponendo ai governi ed ai padroni ed impedendo al capitale di far pagare ai paesi ed alle masse povere il costo della sua rovina. Ma questo non è possibile con un semplice allargamento dell'area di governo alle sinistre che sarebbero chiamate non a mutare tipi, indirizzi, modalità di produzione, ma ad avallare delle riforme che non toccano la radice della crisi e non impediscono il suo precipitare. Occorre che tutto il paese si mobiliti.
Un secondo motivo sta nel nostro convincimento che quello che effettivamente ha peso, incidenza per un reale cambiamento sociale, politico ed economico nel paese, è la forza reale del movimento operaio, la sua crescita, il suo radicamento nelle singole situazioni e non le sole trasformazioni del quadro politico al vertice del paese. Il voler confidare solamente in mutamenti di vertice è estremamente pericoloso per i cittadini che lo credono e per i partiti che lo auspicano. Non è solo la situazione cilena ad essere la dimostrazione lampante di questo. Ogni sinistra che è finora andata al governo senza avere alle spalle una for. te organizzazione rivoluzionaria è fallita. Tale organizzazione deve puntare fortemente nella crescita di organismi politici da !basso, come i CdF e i CUZ, capaci gestire lotte a livello della fabbrica e nella società, in modo tale da aggregare attorno alla classe operaia altri strati sociali, ceti medi produttivi, studenti, lavoratori marginali, pensionati, casalinghe, disoccupati; queste strutture devono però essere fortemente coese all'interno di un progetto politico complessivo che trovi nel partito il suo momento di sintesi e elaborazione.
Con la situazione politica ed economica attuale è poi evidente che: o il programma delle sinistre è chiaramente
editrice centro di documentazione di Pistoia
casella postale 53 - 51100 PISTOIA
c.c.p. 5/27769
scuola documenti
Contributo per le forze che lottano per una .seria alternativa nella scuola: riporta analisi della sinistra di classe, esperienze di base e documenti internazionali.
n. 3 marzo 1974 - Temi di discussione:
A. Monasta, La descolarizzazione perché? - Da ,un seminario di pedagogia ad un collettivo politico. La sinistra di classe e la scuola: Intervento di Lotta Continua. Esperienze di base: Convegno nazionale delle scuole popolari. - Intervento del Coordinamento collettivi romani di quartiere. Documenti di lotta: Comitato corsi abilitanti di Firenze. CdA di medicina di Pisa. Esperienze internazionali: La scuola in Albania. Un numero L. 500. Abbonamento annuo Lire 1.500 a quattro numeri.
Lotta di classe e integrazione europea
n. 2 L'uso imperialistico della crisi; Elmar Altvater: imprese multinazionali e classe operaia; Le contraddizioni del sindacalismo multinazionale. La Ford in Europa. Un numero L. 500. Abbonamento annuo a 4 numeri L. 1.500.
rivoluzionario e allora ai governo per via parlamentare non ci si arriva neppure, oppure si parte da un programma generico di risanamento politico ed economico, frutto di un compromesso con le istituzioni borghesi (capitale e complesso produttivo, esercito ecc.) e poi gradualmente si innesca un processo rivoluzionario di cambiamento del sistema (ma in questo caso si rischia nel primo momento di scoraggiare o addirittura smobilitare il movimento operaio invitato a non lottare per non bruciare il « compromesso » e noi nel secondo momento, qualora si lanci il programma rivoluzionario, si provoca a tal punto l'imperialismo che la repressione è un dato certo, tenendo soprattutto presente la forza dell'imperialismo ed il suo legame al fascismo internazionale, ed in special modo la situazione italiana dove l'antifascismo dei ministri democristiani è di sole parole. E' questo col movimento scoraggiato ed in disparte. Né vale affermare che il movimento operaio è saldo, è fortemente politicizzato e sa farsi carico dei sacrifici che gli sono imposti quando sono visti con una nuova finalità: quella di uscire dal tunnel della crisi con una faticosa e graduale inversione di tendenza, con una attuazione progressiva di un nuovo modello di sviluppo. E' vero anche (e di nuovo il Cile ce l'ha or-sfigurato) che così si indebolisce il grosso del movimento, lo si costringe a pag. 9
L'unificazione della contingenza
Come sempre, la miglior difesa è l'attacco. Ed oggi la classe operaia e le sue organizzazioni sindacali sono all'attacco sulla scala mobile.
Alla base delle rivendicazioni stanno due esigenze entrambe molto importanti. Una è- quella di restaurare, almeno in parte, il potere d'acquisto delle famiglie operaie gravemente menomato negli ultimi due anni, e soprattutto negli ultimi due mesi, dalla drammatica inflazione dei prezzi che ha decurtato salari e stipendi, pensioni e indennità di disoccupazione, mentre si sviluppa, contro le famiglie operaie, anche l'attacco all'occupazione, la minaccia della cassa integrazione guadagni. L'altra è quella di dare una nuova e più efficiente struttura al meccanismo della scala mobile, farne strumento di più efficace tutela del salario reale, dato che come abbiamo visto lo strumento si è molto deteriorato via via che l'inflazione procedeva. Il perfezionamento dello strumento è anche un mezzo per rendere meno conveniente per i capitalisti il ricorso all'inflazione.
La prima richiesta sindacale è quella dell'unificazione del punto di scala mobile. A partire dal 1951, il punto di continAenza prima uguale per tutte le categorie operaie e impiegatizie, si differenziò in modo da proporzionarsi alle differenze delle paghe contrattuali fra i diversi livelli della classificazione delle qualifiche. Anche in base ad alcuni ritocchi effettuati nel corso degli anni Sessanta l'attuale valore mensile del punto varia da 396 lire per la più bassa categoria operaia (prima categoria dello inquadramento unico, cioè quarta e quinta categcria operaia del vecchio inquadramento) a 710 lire per ia quinta categoria dell'inquadramento unico (ex seconda impiegati, parte degli operai specializzati, gli operai specializzati provetti e le categorie speciali di prima) per toccare le 948 lire per la sesta e la settima categoria dello inquadramento unico (ex impiegati di prima e di prima super). La richiesta sindacale è quella di portare, per il futuro, il valore del punto a 948 lire per tutti, salvo un periodo intermedio di allineamento provvisorio a 710 lire, cioè al livello degli impiegati di seconda. Ciò permetterebbe, per il futuro, un recupero più consistente del salario reale eroso dai prezzi. Si tratta di una rivendicazione ugualitaria sulla base del fatto che quando l'inflazione galoppa non si vede perchè l'impiegato di prima dovrebbe prendere più del doppio del manovale. Si aggiunga che il ventaglio dei valori del punto, cioè l'arco di valori che va da 396 lire a 948 per ogni punto, ha l'effetto di aumentare le differenze retributive fra le varie categorie impiegatizia e operaie che, a partire dal 1969, avevano verificato un notevole avvicinamento delle retribuzioni. In parte almeno l'unificazione del punto tende a ristabilire quei criteri di equità che hanno illuminato le grandi lotte a partire dal 196869.
Contro la richiesta di unificazione del
punto a 948 lire mensili si levano qua e là delle obbiezioni. Si osserva che se l'inflazione dovesse procedere ai ritmi affannosi cui ci siamo ormai abituati, la contingenza variabile in base alla scala mobile verrebbe ad avere una incidenza rilevante sulla retribuzione globale e finirebbe, come già nel 1946-47, con l'appiattire sensibilmente le retribuzioni fra le diverse categorie di lavoratori. Questo fatto, pur meritevole dal punto di vista delle aspirazioni ugualitarie, potrebbe avere serie conseguenze sull'unità del proletariato.
La necessità di una riparametrazione, cioè di ristabilire le distanze fra le dinecessità di una riparametrazione, cioè di ristabilire certe distanze fra le diverse qualifiche, può porsi in certi momenti. Ma questo non è il caso, oggi. Oggi dobbiamo difendere con intransigenza e priorità i redditi di lavoro più bassi, le categorie più bisognose. Oggi dobbiamo affermare la superiorità del criterio dei bisogni operai individuali e famigliari sul criterio delle gerarchie professionali, che sono per lo più funzionali a una organizzazione capitalistica del lavoro. La garanzia contro i guasti dell'inflazione deve valere per tutti, ma più che mai per quelli che hanno paghe minori e minori possibilità anche di difendere il loro posto di lavoro.
Un aspetto molto importante della unificazione del punto è quello di collegare ad un unico obbiettivo di lotta le più diverse categorie di lavoratori ,dell'industria, del commercio, dell'agricoltura, dei servizi, e quindi di ostacolare la ricerca di soluzioni settoriali e corporative. Vi era, e vi è ancora, la tentazione di rinunciare a una lotta generale e di affrontare la questione salariale sotto la prospettiva di differenziate azioni di fabbrica. E' chiaro che l'azione di fabbrica, ognuno per se stesso ,può dare risultati anche molto buoni a chi è più forte, o ha un padrone carico di facili profitti, ma avrebbe risultati scarsi o nulli in moltissime piccole e anche medie aziende, nelle aree di minor concentrazione industriale .Far lottare le grandi fabbriche non solo per se stesse ma per tutti non è solo una misura di solidarietà, non è solo una linea socialmente conveniente: si tratta anche, e soprattutto, di portare questa lotta sociale ad un livello politico, di assumere consapevolmente che non si tratta di una tradizionale lotta economica contrattuale, ma essa è destinata a premere, prima ancora di scatenarsi praticamente, per il solo fatto di essere annunciata, sul quadro politico complessivo del paese, sui rapporti fondamentali di forza fra le classi.
Questo vale anche, naturalmente, per la seconda richiesta sindacale che viene avanzata, quella di un immediato aumento salariale per tutti, in misura inversamente proporzionale alle paghe attualmente percepite, cioè più alto per le basse qualifiche e più basso per le qualifiche superiori, aumento che viene indicato, per l'immediato, nella misura
media di 20 mila lire mensili. Perché non chiedere direttamente un aumento salariale in cifra uguale per tutti? Questa domanda è stata posta anche a livello operaio. Infatti la richiesta salariale viene fatta sotto forma di rivalutazione dei punti di scala mobile scattati negli ultimi anni (dal 1969 ne sono scattati ben 88) in una misura che i sindacati non hanno precisato ma che si deve ovviamente commisurare all'esigenza di dare subito 20 mila lire di aumento medio. Perché scegliere il meccanismo differenziato della rivalutazione dei punti arretrati (o, come si dice, pregressi) di scala mobile, anziché un semplice e chiaro aumento salariale?
Le ragioni più valide appaiono essenzialmente due. La prima è che, utilizzando il meccanismo della scala mobile anziché quello dell'aumento in cifra uguale per tutti, si ottengono aumenti maggiori per gli operai meno pagati e quindi si realizza un fine di giustizia, quello della tutela particolare dei redditi più bassi.
La seconda ragione è che si cerca di ottenere, insieme all'aumento salariale, una modificazione nella struttura della paga. E la struttura della paga viene affrontata proprio nel suo punto di vista più delicato, quella della utilizzazione antioperaia dello strumento dell'inflazione. Il significato politico di una lotta salariale centrata sulla scala mobile diventa quindi evidente. I capitalisti (padroni e governo) cercano di avere mano libera nell'uso di tutti gli strumenti di politica economica, fra cui lo strumento dell'inflazione. La classe operaia, affermando le proprie esigenze vitali, contrasta nei fatti, e non solo con polemiche verbali, l'uso della inflazione, la contesta con la lotta. Se, come è sperabile, si arriverà prestissimo a uno sciopero generale sulla vertenza della scala mobile, sarà il primo vero grande sciopero generale politico dopo quello del 1960, poiché gli scioperi per le riforme erano tutto sommato solo scioperi dimostrativi mentre questa lotta è una lotta diretta al cuore del capitale e dei suoi strumenti politici. Non per nulla tutto l'equilibrio politico sembra vacillare di fronte alla constatazione che la pressione operaia, tramite le organizzazioni sindacali dell'industria, ha costretto le confederazioni, diversamente dalle amare vicende del principio dell'estate, a formalizzare l'apertura della vertenza. E' la linea CarliColombo, è la linea della coalizione di centrosinistra, quella che è messa in discussione. E' il confronto, il primo confronto aperto e generale, fra l'autonomia operaia e la politica dei redditi, intesa come subordinazione del comportamento della classe operaia all'esigenze complessive del sistema dell'accumulazione capitalistica. Si tratta di una vertenza minacciata dall'esterno e dall'interno del movimento sindacale. L'opposizione del governo italiano alle richieste sindacali è compatta. Più tenue l'opposizione padronale (Agnelli e la confineustria) solo
per quel che riguarda la possibilità di concedere aumenti salariali, data l'enorme crescita dei profitti nell'ultimo anno e la liquidità disponibile nelle grandi aziende. Ma i padroni possono fare concessioni salariali (e sperano che sia il governo, interessato alla politica di stabilizzazione nel quadro della reazione internazionale, a mettere un plafond alle richieste sindacali) solo in cambio di sostanziali concessioni da parte operaia su due punti decisivi: la disponibilità della forza lavoro, cioè la flessibilità della mano d'opera in fabbrica, e una modifica che desensibilizzi il meccanismo di scala mobile in modo da lasciar spazio alle manovre inflazionistiche del capitale, cioè da rendere più manovrabili i prezzi delle merci. Sono due punti essenziali sui quali si gioca l'autonomia operaia.
La vertenza è dunque complessa, non si deciderà solo sulle richieste sindacali, ma anche e soprattutto sulle contropartite richieste dai padroni e sug-
RIVOLUZIONE
gerlte dal governo e sulle quali si rlrichiederà la massima fermezza. E' su questi due punti, e non soltanto e neppure tanto sulla questione salariale, che all'interno del sindacato si avranno cedimenti :e manovre collegate con l'esterno. La vigilanza di massa su questi punti sarà essenziale. Ma soprattutto decisivo sarà il rapporto fra negoziato e movimento. Se il negoziato si svolgerà a boccie ferme, cioè senza lotta o con lunghe pause nella lotta, la partecipazione operaia alla gestione della vertenza sarà debole e la vertenza sarà compromessa. Se la vertenza dovesse essere condotta facendo uno sciopero generale ogni due mesi e basta, sarebbe meglio non cominciarla. Se invece l'unità della ve-tenza e l'unità della sua gestione si tradurrà in una continua lotta articolata nelle fabbriche e nelle provincie ,se nel corso della lotta si affermerà ancora una volta l'iniziativa dei consigli, di fabbrica e di zona, il significato politico della vertenza sarà realizzato.
Da sempre gli uomini hanno pensato alla rivoluzione come mezzo per sostituire con un ordine nuovo, come disse Gramsci, e finalmente « a misura dell'uomo » un ordine sociale e politico che si era andato cristallizzando o putrefacendo. Le rivoluzioni le hanno volute gli oppressi, le classi subalterne, quelle emergenti (come la borghesia che dal Medioevo acquista via via peso nella società fino alla presa del potere con la Rivoluzione francese), gli intellettuali progressisti e radicali in antagonismo con le classi dominanti, più o meno in disfacimento, che hanno poggiato il loro potere sulla sottomissione e sun sangue della stragrande maggioranza dei popoli. E' con Marx e con Engels, fondatori del socialismo scientifico, che il termine rivoluzione acquista un significato più preciso e si riempie dei contenuti nuovi espressi dalla pratica di lotta del proletariato, la classe destinata a contare sempre più nelle società industriali avanzate. II marxismo fornisce le prime indicazioni teoriche circa il superamento del capitalismo e il passaggio da un mondo retto dallo sfruttamento dell'uomo sull'uomo (questa, per Marx vera preistoria) al socialismo e al comunismo quando ognuno avrà secondo i suoi bisogni (questa la vera storia).
La parola Rivoluzione è entrata a far parte del patrimonio del movimento operaio internazionale. Negli anni recenti, in particolare dal '68 si è parlato frequentemente di rivoluzione. Il maggio francese e l'« autunno caldo » in talia, sono stati momenti caratterizzati da una forte spinta egualitaria partita dalla fabbrica e da una grande crescita del movimento degli studenti che ha cominciato a porre all'ordine del giorno l'urgenza di un nuovo sapere che scardini l'organizzazione reazionaria e gerarchica della scuola. Lavorare oggi per la rivoluzione significa: opporsi a qualsiasi pratica opportunista che cerchi mediazioni con chi gestisce il potere borghese vigente; contribuire a fare avanzare un blocco sociale alternativo, una nuova opposizione politica al sistema capitalista.
Per noi che abbiamo scelto il territorio come campo di intervento, agire da rivoluzionari vuol dire anzitutto denunciare e mettere ogni volta di fronte alle loro responsabilità quegli uomini politici che dovrebbero amministrarci; significa mobilitare i lavoratori sui problemi scottanti che ormai sappiamo e anche saper dare indicazioni operative per avviarli a soluzione.
da pag. 7 a gestire dei compromessi di cui non gli è sufficientemente garantita e chiara l'utilità e la possibilità dì vincere.
A nostro parere non si farà la rivoluzione in Occidente per un concatenarsi di cadute spontanee dei partiti borghesi come la Dc e per la crisi del capitale della quale approfittare per andare al governo, a meno che queste operazioni partano da un movimento già rivoluzionario, già organizzato, già in possesso e convinto di una strategia. E al momento attuale non solo questo movimento ha alle spalle un periodo di tregua che lo rende inerte, ma è continuamente dissuaso a darsi forme e modi di combattività per gestire in modo egemone la crisi del capitale e ribaltarla sul sistema.
Si tratta allora di rafforzare il movimento, di dargli questa strategia e questa organizzazione, bisogna cominciare dalla vertenza generale (vedi scheda a pag. ) che rovesci gli indirizzi di questo governo, che rafforzi il movimento operaio, che ridia fiducia ai lavoratori, che batta il disegno del padronato e del grande capitale, che gestisca tutta questa crisi in modo da imporre alla classe dirigente i modelli di una nuova società.
Tutti coloro che hanno interessi particolari da tutelare nel nostro paese (le grosse industrie straniere, il capitale e gli strati parassitari nostrani, i governi e le loro organizzazioni che tengono sotto controllo il nostro paese, la Democrazia cristiana italiana fedele interprete di quegli interessi e che ad essi deve il suo potere e la sua fortuna; tutti costoro sono ben consapevoli di quanto bolle in pentola e cioè, non solo l'aggravarsi della situazione economica nel mondo capitalistico, ma il profilarsi in Italia di nuove maggioranze parlamentari, di una nuova classe politica dirigente. E cosa credete che facciano? Hanno in mano un'arma potentissima, quella stessa che costituirà la loro morte: la gravissima crisi del sistema. Con una logica infantile e miope ma molto presente nella politica dei paesi capitalistici ed imperialisti adottano il metodo di chi vuol essere sempre l'ultimo a morire. La distruzione? D'accordo, ma prima quella degli altri, poi si vedrà. l'importante è che « io » sia l'ultimo a sopravvivere, in seguito troveremo altre soluzioni.
La determinazione di questi signori è dunque quella di tentare il tutto per tutto per franare e distruggere il movimento per fiaccare e distruggere il movimenun ulteriore impoverimento delle masse popolari, e questo non perché essi abbiano idoe chiare sui rimedi ipotetici per uscire dalla crisi, ma solo in forza della prepotenza di chi ha esclusivamente la preoccupazione di voler continuare a dominare.
Una nuova coscienza quindi non può limitarsi ad un cambiamento di opinione politica. ma deve arrivare a comprendere la gravità della crisi strutturale del capitalismo, a comprendere la necessità della lotta che serve al movimento operaio per rigettare sul capitale le sue crisi e per maturare una strategia rivoluzionaria; a capire l'urgenza di far cadere il governo e rintuzzare l'attacco del padronato e della borghesia.
La crisi generale della Chiesa di fronte al mondo d'oggi e ai cristiani che scelgono di lottare per il socialismo
Questo mese di ottobre vede riuniti a Roma i rappresentanti dell'episcopato mondiale per tenervi un sinodo, parola che significa 'convergenza' o 'convegno'. Si tratta di una struttura di partecipazione a carattere consultivo messa in piedi dopo la fine del concilio, una specie di parlamento temporaneo che in precedenza si era riunito altre tre volte. Il peso decisionale del sinodo è molto scarso, soprattutto dopo la doccia fredda che concluse l'ultima edizione, quella del 1974, che trattò del prete e della giustizia nel mondo: alla fine del loro lavoro i delegati (chiamati nella terminologia ecclesiastica 'padri sinodali') si sentirono dire che le loro proposte sarebbero state prese in benevola considerazione dal papa, cui comunque spettava ogni decisione. Sarà forse stato per la necessità di tenere conto di tutti, sta di fatto che decisioni non ne vennero: apparvero solo dopo un certo tempo due documenti piuttosto scialbi, molto lontani dagli interventi coraggiosi di certi vescovi. Fu una delusione cocente, e forse è anche per questo che l'attesa di questo sinodo non conosce il fervore e le speranze di tre anni fa.
Si tratta dunque di un'assemblea che non porterà, si pensa, ad alcuna svolta, e credo sbaglierebbe chi si attendesse dal sinodo decisioni importanti e vistose. Tuttavia, anche così ridimensionato, il sinodo non perde di interesse: vale almeno come scambio di opinioni e permette di verificare l'evoluzione dei vari episcopati, le progressive prese di coscienza delle diverse chiese che vivono nel mondo. A questo livello il lavoro dei vescovi è da seguire, anche perché l'argomento in discussione è di quelli che prendono dentro tutto perché toccano il cuore delle questioni. I vescovi discuteranno della evangelizzazione nel mondo d'oggi. In parole povere significa chiedersi che ci sta a fare la chiesa nel mondo, cosa deve dire e più ancora cosa deve fare, come deve dire il vangelo agli uomini del nostro tempo, come deve situarsi di fronte alle culture e a tutti quei fenomeni e movimenti che fanno la storia.
Chi ha vissuto dentro la chiesa in questi ultimi anni, o chi ha anche solo seguito le sue vicende dal di fuori, sa che questi problemi hanno arroventato le comunità cristiane che li hanno affrontati. sono stati causa di fratture e sofferenze !à dove non si è neppure permesso che li si affrontasse Movimenti come quelli delle comunità di base o dei cristiani per il socialismo sono delle pre
cise scelte che partono dalla risposta che si dà a questo problema: come dire, e, più ancora, come vivere il vangelo oggi. Sarà interessante vedere quali risposte daranno i rappresentanti dei vari episcopati. In attesa di conoscerle per farne eventualmente un bilancio, può essere utile fare qualche annotazione sulla risposta che ha dato l'episcopato italiano alle domande poste dalla segreteria del sinodo.
Ci sono, nel lungo documento diffuso qualche mese fa, cose che a tutta prima costituiscono una sorpresa gioiosa e che invitano a non disperare di nessuno. Sembra che anche i nostri vescovi abbiano ormai acquisito alcune esigenze che da tempo salgono dalla base più cosciente e che anni fa sarebbero suonate ancora eretiche. Fa piacere sentir dire che « affinché l'evangelizzazione sia efficace, è necessario conoscere l'uomo a cui essa è rivolta, la situazione storica in cui vive, i condizionamenti culturali sociologici a cui è sottoposto » (n. 1), addirittura che « la storia è un luogo teologico » (n. 76), cioè che l'agire di Dio si rivela nei fenomnei storici di oggi di tutti i tempi, non solo nella vicenda del popolo ebraico registrata nella Bib-
bia. Stupisce leggere che secondo i vescovi un « elemento che indica una apertura all'evangelizzazione in mezzo al popolo italiano è il pullulare di gruppi spontanei, di comunità di base, di gruppi di contestazione » (n. 20), come il rilevare che ‹, le parrocchie, in genere, non sono e non si sentono comunità in senso pieno » (n. 78). Si potrebbe continuare con citazioni di questo tenore che rivelano, si deve dirlo, una franchezza insolita. Ma bisogna pure dire che i vescovi italiani hanno perso il pelo ma non il vizio. Ognuna delle affermazioni che potremmo chiamare 'coraggiose' è contrappuntata e come neutralizzata da un'altra che rivela esitazione e paura. L'invito a prendere sul serio la storia è praticamente soffocato dalla messa in guardia contro lo « storicismo » che porta con sè il « relativismo della verità », avvertenza che si trova in un paragrafo che elenca una serie di atteggiamenti dell'uomo d'oggi da guardare con sospetto, tra i quali si trova anche la « tolleranza reciproca »! Come non vedere qui una chiesa che teme di dover abbandonare il suo scanno di distributrice di verità assoluta? Così, si dice ancora (ed era orali che il
linguaggio della filosofia medievale e anche quello della Bibbia non sono adatti ad annunciare il vangelo all'uomo d'oggi, ma quando ci si pone il problema di come vengono capiti i segni sacramentali, che pure sono una forma di linguaggio in gran parte legati al mondo della bibbia e della cultura rurale, si dice che si deve spiegare il segno! ». Ora, un segno che deve essere spiegato non è più 'segno': sarebbe come se per capire un cartello stradale io dovessi andarci vicino e leggervi la spiegazione che vi è scritta sotto. Ancora si dice che « l'impressione popolare è che la Chiesa sia ricca e potente » (n. 83), ma questo è dovuto a pregiudizi contro la chiesa— diffusi dalla cultura 'ufficiale' italiana » (n. 24); si dice addirittura che » altri pregiudizi sono nati in questi anni a causa dell'intervento della Chiesa nel campo politico, dovuto a necessità storiche contingenti! ». Coi « pregiudizi » si sistema tutto si evita elegantemente di fare un serio esame di coscienza: non c'è nel testo nessuna confessione di colpa, mai, a meno che non si debba intendere in questo senso la serie di inviti a ciò che la chiesa deve essere, supponendo allora che quello che deve essere ancora non è. Che è un modo di esprimersi 'obliquo'. Merita ricordare un'ultima cosa che rivela la timidezza di questo documento: l'analisi delle condizioni in cui vive l'uomo italiano mette in risalto molti mali (come il dover far tutto in fretta, la paura di perdere il posto di lavoro, il lavoro stesso monotono e massacrante e il fenomeno del pendolarismo), ma evita accuratamente anche solo di accennare ai guasti di struttura sociale che sono la causa di questa situazione che crea chiusure all'evangelizzazione. Si è sprecato tanto inchiostro a dire peste del comunismo, ma sembra che il solo pronunciare il nome del capitalismo bruci le labbra. Si aggiunga a questo la delusione di scoprire nell'analisi del mondo d'oggi un tono di pessimismo che sconcerta. Se pure è vero che la fede cristiana viene proposta a un uomo che ha bisogno di essere salvato, non si deve però mai dimenticare che secondo la stessa fede l'uomo è anche attore e costruttore della propria storia, è alleato, di Dio. Cosa significa scrivere che « l'uomo d'oggi sperimenta l'incapacità pratica in cui si trova di costruire un mondo più giusto più pacifico », proprio mentre tanta gente e interi popoli stanno prendendo coscienza che possono superare, insieme, la loro condizione di oppressi e diventare protagonisti della loro storia?
Non è forse questa la stessa esperienza centrale del popolo ebreo di cui parla la Bibbia? Non hanno insegnato niente le lotte dei lavoratori, le loro conquiste?
Proprio in questo oscillare tra il coraggio e la paura, questa incapacità di andare fino in fondo nella revisione del modo di analizzare le cose, il documento rivela la sua parte più debole. Ma qua là sembra che i vescovi abbiano acquisito qualcosa, e forse di più potranno imparare dall'ascolto di interventi di episcopati che da tempo sono parecchio più coraggiosi dei vescovi italiani.
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SCHEDE II *odo dei vescovi
Il sinodo dei vescovi fu istituito da Paolo VI il 15 settembre 1965. Diversi padri del concilio Vaticano II avevano chiesto che l'esperienza collegiale (cioè di responsabilità globale di tutti i vescovi con il papa) continuasse: alcuni però insistevano — basti citare il card. Siri, di Genova — nel non fare alcuna cosa che oscurasse il potere assoluto del pontefice romano; altri chiedevano invece che si ponesse fine al modo monolitico, autoritario e assolutista del governo papale. Mediando tra queste due correnti, il papa istituì il sinodo dei vescovi.
Il sinodo è essenzialmente un organismo che consiglia il papa sui problemi che il papa stesso sottopone al sinodo; non è un organismo sovrano, nè ad esso — come volevano alcuni vescovi — risponde in alcun modo la curia del suo operato. E' di due tipi: « generale » e « straordinario ». Al primo partecipano: i patriarchi ed altri metropoliti delle chiese cattoliche orientali: i rappresentanti delle conferenze episcopali del mondo (e cioè dei raggruppamenti dei vescovi di una stessa nazione o di nazioni vicine con scarso numero di cattolici); i cardinali della curia romana; dieci rappresentanti di tutti gli istituti religiosi del mondo.
La variante principale della composizione del sinodo straordinario è che ad esso non partecipano i vescovi eletti dalle conferenze episcopali per l'occasione, ma i presidenti delle stesse.
La proporzione dei vescovi presenti al sinodo è: uno, se la conferenza episcopale ha meno di 25 membri; due, se non supera i 50;tre se non supera i 100 quattro se supera i 100. L'Italia perciò, che ha circa 300 vescovi, invia sempre al sinodo quattro rappresentanti.
In tutto, i membri (« padri ») del sinodo generale sono poco più di 200; i vescovi eletti circa 150. I membri di nomina pontificia, aggiunti ai cardinali di curia, sono per ogni sinodo una ventina.
Il primo sinodo si tenne nel 1967: si discusse soprattutto del problema della fede e dell'ateismo. Il secondo nel '69: il tema dei lavori fu il rapporto tra S. Sede e episcopati del mondo. Il terzo nel '71: l'argomento: la giustizia nel mondo e i preti. Sul problema dei preti — e particolarmente nella discussione sul celibato — il sinodo si spaccò in modo clamoroso, dimostrando alla luce del sole le contraddizioni profonde in cui si dibatte una chiesa disposta a dissanguarsi sul celibato: cioè su un problema da lei stessa definito « marginale », ma in pratica considerato come assoluto.
Il tema del quarto sinodo è « L'evangelizzazione nel mondo d'oggi ». E' stato preparato un documento (Lineamenta, in latino) inviato nel '73 a tutti i vescovi del mondo: che ne pensate, si è chiesto, della evangelizzazione? In base alle risposte, è stato preparato un « Documento di lavoro » sul quale si baseranno i padri. Non sono previste votazioni, forse per evitare di dimostrare a tutti le crepe della chiesa cattolica romana. La parte « pratica » del documento sarà presentata ai padri da cinque vescovi (uno per ogni continente); quella teologia dal cardinale polacco W ojtyla. Segretario permanente del sinodo è un altro polacco, mons. Rubin; presidenti i card. Koenig di Vienna, Landazuri Ricketts di Lima. Zoungrana di Ouagadougou (Alto Volta).
Il vescovo brasiliano Lorscheider all'inizio del sinodo presenterà un « panorama » scollo stato attuale della chiesa nel mondo.
In pratica, i lavori sinodali si svolgeranno nei « Circuli minores », e cioè nei raggruppamenti linguistici, composti da una ventina di padri. In assemblea plenaria si confrontano poi i vari risultati, ed è qui che possono avvenire i confronti più imprevisti.
Se segue la tradizione, Paolo VI assisterà alle assemblee plenarie, ma senza parlare.
Basta con II pregiudizio sociale che emargina gli epilettici
La manifestazione che caratterizza l'epilessia è il ripetersi di crisi che hanno origine dal cervello.
La crisi epilettica è la manifestazione esteriore di una improvvisa modificazione dell'attività del sistema nervoso centrale.
Ancor oggi la crisi epilettica incute timore perché avviene indipendentemente dalla volontà, cioè sfugge al controllo e, nella maggior parte dei casi, altera o interrompe la coscienza del malato (cioè altera il suo modo di « esser presente »). Perché si verifica questa improvvisa « modificazione di attività » del sistema nervoso? Perché avvenga è necessario che alcune zone del cervello siano più eccitabili del normale: quando in queste si accumula una « eccitazione » così grande da arrivare ad invadere certe zone o a scaricarsi lungo determinate vie nervose, avviene la crisi. La crisi epilettica si scatena quindi in seguito a particolari condizioni del cervello: le cause che possono determinare queste condizioni sono molte e diverse.
Esistono malattie che provocano nel cervello condizioni capaci di scatenare crisi epilettiche: in questo caso la crisi è soltanto uno dei sintomi della malattia e le cure devono cercare di correggere la malattia in sè e non soltanto le crisi. Molte volte invece le crisi sono l'unico sintomo (cioè l'unica manifestazione) o comunque il sintomo più importante delle condizioni particolari in cui si trova il cervello: in questi casi la epilessia è considerata come malattia.
All'origine di queste forme, che sono quelle che vanno normalmente sotto il nome di « epilessia », stanno, come già detto, cause diverse che, dopo aver agito sul cervello lo lasciano in quelle condizioni di particolare eccitabilità che sono alla base dell'epilessia. Fra queste sono certamente importanti la mancanza di ossigeno durante il parto o subito dopo, le emorragie endocraniche (che hanno una certa frequenza nel periodo neonatale), i processi infiammatori che interessano la sostanza nervosa, i traumi cranici. In un numero importante di casi infine non è possibile trovare e nemmeno supporre quale sia la causa dell'epilessia. In ogni caso l'epilessia non deve essere considerata ereditaria: si può tutt'al più parlare in rari casi di una certa predisposizione familiare. !n queste forme di epilessia l'intelligenza e la personalità del malato non sono compromesse dalla malattia e possono venire alterate soltanto se le crisi assumono una frequenza particolarmente elevata ed una particolare gravità. Al di fuori della crisi l'epilettico è pertanto una persona del tutto normale.
Esistono molti farmaci capaci di curare l'epilessia che hanno una proprietà in
comune, che è quella di ridurre l'eccitabilità della cellula nervosa, ma differiscono fra loro perché il loro effetto principale si esplica su zone diverse del cervello e con meccanismi diversi. La stragrande maggioranza di questi farmaci, chiamati antiepilettici, non è tossica e può essere presa, a dosaggi appropriati, per lunghi periodi (molti anni) senza danneggiare l'organismo e tanto meno il sistema nervoso. Vi sono quindi molte probabilità di successo nella cura della epilessia; è però necessario che tanto il medico quanto l'ammalato dedichino pazienza e costanza alla cura, ricercando
il farmaco o l'associazione di farmaci efficace in ogni singolo caso poiché, nonostante siano noti gli effetti e l'efficacia dei singoli farmaci, esistono notevoli differenze individuali nel modo di rispondere alla cura.
Una volta ottenuta la scomparsa delle crisi, la cura deve essere continuata ancora per un lungo periodo perché il cervello ritorni a condizioni di eccitabilità normale (e non esagerata come prima della cura) ; trascorso un periodo sufficiente (alcuni anni) è possibile ridurre gradualmente le cure e, molte volte, sospenderle del tutto: si può quindi guari-
Cosa contro l'epilessia?
L'Associazione Lombarda per la Lotta contro l'Epilessia ha l'intento di riunire tra le proprie file chi soffra di crisi epilettiche, o chi abbia dei familiari epilettici, o infine chiunque sia sensibile ad un proplema così vasto e profondo.
Sei esseri umani su mille hanno delle difficoltà di tipo epilettico, e presentano delle crisi, anche se queste crisi possono essere molto diverse fra loro.
Si va dalla classica manifestazione di grande male, spettacolare e spesso terrorizzante per chi non sia al corrente di quanto sta accadendo, alla piccola assenza, che passo del tutto inosservata.
Attualmente, con opportune terapie, è possibile togliere le crisi a otto epilettici su dieci, restituendoli a una vita completamente normale.
Non normale è tuttavia la vita stessa dell'epilettico, anche a crisi eliminate, in quanto esiste un ben preciso pregiudizio sociale, che tende a confinare gli epilettici tra le persone mentalmente disturbate, il che non è assolutamente vero.
L'attività della pubblica assistenza, infine, dovrebbe affrontare il problema dell'epilessia con efficacia, organizzando centri di assistenza attrezzati e diffusi in modo almeno accettabile, situazione che oggi, esaminando l'intero territorio nazionale, non si può certo constatare.
Scopo dell'Associazione è quindi l'affrontare i problemi dell'epilettico, orientandolo su come arrivare a curarsi nel modo migliore e tenendolo aggiornato sui centri di terapia esistenti.
A terapia ultimata, l'Associazione intende occuparsi dei problemi non medici che l'epilettico può incontrare, problemi che possono coinvolgere il mondo della scuola, il mondo del lavoro, la sfera complessa e delicata delle difficoltà psicologiche e in generale il pregiudizio sociale, e che vanno affrontati anche sul terreno della sensibilizzazione e della presa di coscienza.
Scopo principale dell'Associazione è quello di affrontare i problemi sempre e soltanto dal punto di vista dell'epilettico, e quindi
assolutamente senza nessuna concessione a esigenze di altra natura.
Non pensiamo che nell'Associazione Lombarda per la Lotta contro l'Epilessia ci sia spazio per differenti angolazioni del problema. Questo è un discorso che vale per chiunque voglia venire fra noi, e intende affermare che nella nostra Associazione c'è lavoro per tutti e che c'è pure gloria per tutti, in quanto gloria e lavoro, nel caso, si identificano. Quando il lavoro nostro, o di qualcuno di noi, fa compiere all'Associazione un piccolo passo avanti, noi pensiamo che in realtà sono gli epilettici a compiere un piccolo passo avanti. E questa, per noi, è l'unica cosa che conti.
Chiunque legga queste righe può essere nostro socio, e la Associazione ha bisogno del lavoro e dell'apporto di tutti. Associarsi non è difficile: basta telefonare alla Segreteria, al numero 86.90.386 di Milano. Va detto che la Segreteria è gestita ancora con criteri un po' artigianali, e quindi, qualche volta, potrà anche non rispondere.
Si tratta di avere un po' di pazienza lavorando tutti insieme, noi siamo certi di riuscire a superare anche questa difficoltà Contiamo sulle adesioni della zona 10 così come contiamo sulle adesioni di tutti.
Il problema dell'epilessia è estremamente rilevante, e sicuramente lo si può affrontare in maniera corretta soltanto partendo dalla base, conducendo un lavoro di sensibilizzazione e di presa di coscienza di chi è immerso nel problema, e di qui proseguendo con modalità operative linearmente ortodosse, che ci portino a dialogare con chi si deve occupare istituzionalmente dei nostri problemi da posizioni di assoluta chiarezza, degne di persone che abbiano preso esatta conoscienza delle proprie difficoltà e dell'importanza de llavoro da compiere per superarle.
re definitivamente dall'epilessia. Non sempre tuttavia è possibile ottenere un successo completo: anche quando l'assenza di crisi è condizionata dalla continuazione della cura, l'epilettico è una persona valida, che può e deve condurre una vita normale e come persona normale deve essere accettato nella vita e nel lavoro, tanto quanto è accettato per esempio un diabetico compensato, che sta bene soltanto se continua a prendere l'insulina.
Anche quando, nei casi meno fortunati, non è possibile ottenere la guarigione, ma l'ammalato continua ad avere crisi, il più delle volte l'epilessia in sè non preclude una vita normale, anche se impone alcune limitazioni, soprattutto alle persone che non preavvertono le proprie crisi.
Chi non preavverte la crisi (e non ha quindi il tempo di mettersi in condizioni di non farsi male o di non fare involontariamente male agli altri) non deve arrampicarsi o camminare in luoghi esposti o nuotare al largo e non deve guidare un veicolo, e fin qui può arrivare l'epilettico cosciente con la sua maturità ed il suo senso civico. Ma poiché le stesse limitazioni sono imposte all'epilettico anche nel lavoro (e una persona, per essere e per sentirsi normale, deve poter lavorare e guadagnarsi la vita in autonomia) è necessario che il ragazzo epilettico studi con tutti gli altri ragazzi (il che dovrebbe essere ovvio, dopo quanto è stato detto, poichè le scuole italiane, oltretutto, raramente offrono il pericolo di una pertica su cui arrampicarsi) e che l'epilettico venga preparato per un lavoro che non lo esponga al pericolo di cadute o alla possibilità di essere ferito o ucciso da una macchina. E' soprattutto necessario accettare l'inserimento dell'epilettico in posti di lavoro adatti, non per beneficienza, ma perché le capacità di lavoro di un epilettico non differiscono dalle capacità lavorative delle persone non epilettiche.
E' ovvio ,ma è utile ribadirlo, che gli epilettici guariti, (cioè quelli che non hanno più crisi, sia che abbiano potuto cessare la cura oppure no) non entrano in discussione. Va anche detto, (anche se per importanza l'argomento meriterebbe spazio a sè), che in molti casi l'epilessia potrebbe essere prevenuta, innanzitutto con un adeguato controllo delle gravidanze, con una corretta assistenza al parto e nel periodo perinatale e, per quanto riguarda forme post-traumatiche, riducendo i rischi di infortunio accidentale e, sopratutto, da lavoro.
Da questo breve quadro emerge quanto sia complessa la problematica relativa dell'epilessia, nel cui quadro gli aspetti medici si intrecciano continuamente con quelli sociali. Risulta quindi assolutamente raccomandabile l'affermarsi di una Associazione di base, alla quale sia facile ricorrere per riceverne collaborazione o orientamenti di ogni tipo, in un clima di scambio di esperienze, di opinioni e di aiuto fra persone coinvolte nello stesso tipo di difficoltà
Cosìilpadrediunepilettica.
Sono il padre di un ragazzo diciottenne, affetto da epilessia, e lotto ormai da dodici anni contro questa malattia. Non sono ancora riuscito a guarire mio figlio, ma credo di aver ottenuto comunque un grosso risultato dandogli una vita normale, facendolo crescere privo di complessi e assolutamente non condizionato dalla sua malattia.
Oggi mio figlio è un ragazzo con molte amicizie, frequenta con buoni risultati la scuola, è molto sportivo anche a livello agonistico, (pratica atletica, sci, nuoto, tuffi, judo, pesca subacquea, vela) e parla con chiunque della sua malattia con estrema semplicità, così come altri potrebbero parlare di una loro ipertensione o di propri disturbi di fegato.
E' pieno di entusiasmi, è felice di vivere, e non è assillato dal problema di dover guarire a tutti i costi. Insomma, ha un comportamento che è esattamente il contrario di quello che, secondo l'opinione più diffusa, caratterizza l'epilettico classico, normalmente considerato appensivo, introverso, complessato, e condizionato.
Come ho ottenuto questo risultato?
Anzitutto, pur facendo ogni possibile sforzo per tentare di giungere a una guarigione, ho preso fin dall'inizio in considerazione l'ipotesi che la guarigione stessa potesse non essere raggiungibile, e ho quindi deciso che il mio compito di padre dovesse orientarsi soprattutto nell'insegnare a mio figlio a non considerarsi una vittima, un essere sfortunato con limitate possibilità di vivere una vita normale.
Conseguentemente, gli ho permesso qualunque attività fisica, anche se le sue particolari condizioni di salute avrebbero potuto configurarla come rischiosa, preoccupandomi con ciò più della sua felicità che non di eventuali fratture e ferite, che infatti, in questi anni, non sono mai venute a mancare.
Tutto questo non è stato facile perché il « sistema ), non solo non mi ha aiutato,
ma ha fatto di tutto per emarginare mio figlio.
Nella scuola elementare pubblica ho incontrato serie difficoltà con insegnanti che non lo volevano in classe, oggligandomi a lunghe trafile presso le autorità comunali, per vedere alla fine riconosciuá to il diritto di mio figlio a restare in una scuola elementare pubblica e normale.
Tutto ciò è servito comunque ben poco, perché in definitiva l'emarginazione avveniva poi all'interno della classe, e ho potuto risolvere il problema soltanto arrendendomi, e rivolgendomi a una scuola privata ,dove il ragazzo continua regolarmente i suoi studi.
Ho dovuto combattere contro parenti, contro amici e contro conoscenti che mi hanno ccnsiderato per anni un pazzo, che non amasse il proprio figlio.
Il mio comportamento, infatti, era all'opposto di quello tradizionale in questi casi, anche se io penso che fosse più ccrretto e infinitamente più amoroso.
Ho litigato con una quantità di persone che trattavano mio figlio come un ammalato e non come un individuo che è assolutamente normale per il 99,9°0 del suo tempo e che solo di tanto in tanto ha una crisi, così come altre persane possono avere mal di ventre o un accesso di tosse.
Ora sembra tutto semplice, ma sono stati anni difficili, in cui mio figlio ha anche pensato al suicidio.
La morale di questa storia è amara, e consiste nel dover ammettere che io ho potuto risolvere Questi nostri problemi perché appartengo a una deste privilegiata, in quanto ho avuto i mezzi materiali e le possibilità di lottare per affrontare le difficoltà da una posizione in ultima analisi particolarmente avvantaggiata.
Decine di migliaia di persone, in Italia, si dibattono nel mio stesso problema, e non hanno le possibilità di cui forturatamente io mi sono trovato a disporre, mentre le strutture sociali esistenti
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battersi) ed evitare soprattutto che la lotta diventi, come dicono i difficili — corporativa — (cioè isolata).
In effetti abbiamo notato come coloro che si stanno battendo per il parco-giochi siano coscienti che nulla viene regalato dall'alto, che le petizioni lasciano il tempo che trovano, che i" risultati si possono ottenere solo attraverso una mobilitazione costante ed in prima persona della gente interessata. Questo ci sembra importante perché può aiutarci ad uscire dal nostro individualismo, dal nostro appartamento-tana per incontrarci, discutere e avviare a soluzione insieme i problemi che sono di tutti noi in modo da ottenere oggi il parco-giochi e domani il Parco Martesana, i servizi sociali in una città più umana.
Questo è tra l'altro un ottimo modo per difendere i nostri salari e i nostri stipendi: quando, ad esempio, avremo un asilo dove poter mandare i nostri figli, non ci occorrerà più pagare le suore e così via (e nessuna « inflazione » padronale ci potrà vanificare queste conquiste).
Abbiano notato anche la tendenza a pensare questa mobilitazione come una forma di pressione sugli « organi competenti », a vedere nel Comune una sorta di nonno un po' cieco, un po' sordo e un po' tirchio che va pungolato, solleticato ecc., a considerare la « proprietà », la « legge » come divinità di fronte alle quali ritrarsi spaventati. Ora, che il Comune non sia qualcosa di neutrale, al di sopra delle parti, non è difficile constatarlo — senza fare discorsi troppo contorti — nella realtà del nostro quartiere. Pensiamo alle vicende della (ancora futura) scuola di via Cesalpino, del (futuro più che mai) asilo-nido di via Liscate e, dalla parte opposta, alla rigidità con la quale certi speculatori edilizi di nostra cono-
scenza ottengono le licenze...
E' quindi bene non farsi troppe illusioni. Si devono certo sfruttare le contraddizioni es;sLantl all'interno degli organi comunali, appoggiarsi ai funzionari che si dimostrano disponibili ecc. Ma dobbiamo essere sempre consapevoli che il Comune è in realtà una controparte (cioè un « nemico » cui imporre qualcosa con la forza della propria mobilitazione). Abituarci a contare sulle nostre forze che oggi ci appaiono forse piccole, ma che domani, se cominceremo a stare tutti insieme, tutti uniti... potranno « smuovere le montagne ».
Sarà anche necessario collegarci alle forze operaie che storicamente guidano la lotta contro quei nemici (padroni e loro rappresentanti) che, anche se con diverse facce, sono gli stessi con i quali abbiamo a che fare anche noi. Non è facile, certo, ma è importante cominciare a parlare tra noi e a muoverci in questa direzione.
Un ultimo punto è da chiarire se vogliamo condurre a buon porto oggi questa lotta e domani lotte più grandi « perché non rilanciamo — ad esempio — questo benedetto Parco Martesana, che significherebbe scuole, asili, verde per il nostro quartiere?). Non dobbiamo considerare la legge, la proprietà come ostacoli insormontabili, di fronte ai quali scoraggiarsi. Sappiamo che quella legge è la legge che premia gli speculatori, che permette di costrui re case-caserma per trarre il massimo profitto senza curarsi dei disagi derivanti dalla mancanza di servizi-sociali, che lascia inutilizzate le poche aree ancora disponibili per quelle che sono le nostre esigenze, che rapina anche in questo modo i nostri soldi.
A questa legge noi dobbiamo contrapporre la nostra legge, cioè i nostri diritti, in quanto uomini, ad avere abitazioni decenti e non costose, asili dove
poter lasciare i nostri bambini, scuole senza turni, spazi dove poter ritrovarsi e dove i nostri figli possano giocare in libertà. Se saremo in tanti a pensarla così , se saremo in grado di organizzarci e di mobilitarci in difesa di questi nostri diritti, anche gli ostacoli prima insormontabili ci sembreranno affrontabili.
Come incominciare dunque? La nostra proposta è che i cittadini che ora si stanno mobilitando per ottenere il parco-giochi, si diano una struttura (cioè in parole povere, si incontrino frequentamente, discutano e si diano un piano di lavoro) in modo da seguire passo-passo la vicenda, gestendola con la forza della loro mobilitazione. Nel frattempo fare il massimo sforzo di propaganda presso la gente del quartiere — anche con l'aiuto di noi che lavoriamo nel Comitato — perché si unisca alla lotta e la allarghi ad altri obiettivi. E' proprio il caso di augurare e augurarci buon lavoro! P.S. - Abbiamo sentito alcune persone interessate al problema del parco-giochi di via Zanardini fare oggetto principale delle proprie lamentele la « puzza », gli « spettacoli indecorosi » ecc. dei « barboni » e degli « zingari » che hanno i loro orti o il loro punto di incontro nell'area di quello che dovrebbe essere il Parco Martesana.
A parte la considerazione che il problema di costoro non può essere liquidato in modo qualunquistico (spesso si tratta di « emarginati », cioè di un prodotto della nostra società in disfacimento), personalmente ci danno molto più fastidio certi assessori democristiani o certi speculatori edilizi, loro sì che non mandano proprio un buon odore... E cosa dire allora di un Comune come il nostro che da decenni — tanto per fare un esempio — non ha mosso un dito per realizzare il fantomatico Parco Martesana?
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sono tali da non soccorrere in modo fattivo né gli epilettici né le loro famiglie. Anzi, in molti casi, i provvedimenti in proposito possono risultare negativi e controproducenti.
Dedico, insieme a tanti amici, parte del mio tempo alla Associazione Lombarda per la Lotta contro l'Epilessia, proprio per cercare di aiutare gli epilettici a risolvere i propri problemi e per contribuire, con gli altri soci della nostra iniziativa, a provocare la creazione di strutture adeguate a che ogni ammalato di epilessia sia posto nelle condizioni di ricevere l'aiuto che gli è indispensabile.
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Siamo nel 1974, si parla di civiltà e di progresso, e io ritengo in tutta semplicità che non sia ammissibile continuare ad accettare un « sistema » che non solo sostanzialmente ignora le necessità e i problemi degli epilettici, vale a dire, mediamente di sei cittadini su mille, ma addirittura logora fino all'esaurimento, creando mille difficoltà, chiunque voglia, a livello familiare o in capo da altri rapporti, aiutare gli epilettici stessi a superare il proprio dramma.
Francesco Castellano
Solo con la lotta si potrà conquistare la piena democrazia all'Interno dell'Anap-Ciso. Processare subito don Benattl e soci
Se dovessimo cogliere lo stato d'animo che caratterizza complessivamente il gruppo dei ragazzi presenti per l'anno scolastico 74-75 al Centro di addestramento professionale Anap-Ciso di via Adriano 60 dovremmo senz'altro dire che è di forte delusione. Delusione per tutto quello che era stato promesso a questi giovani che sono venuti all'Anap per imparare un mestiere, avere un posto di lavoro possibilmente al loro paese. Delusione e quindi scoraggiamento rispetto a quanto, dopo la lotta degli alunni dell'anno scorso a dicembre e la loro personale del maggio-giugno di quest'anno, era stato loro assicurato.
Assicurato innanzi tutto per quanto riguarda la democrazia all'interno del Convitto. E' vero infatti che con l'Assemblea del 20 giugno di quest'anno si era costituito un collegio di venti rappresentanti di allievi (i capi corso) con un presidente col compito e la facoltà di dibattere i problemi degli altri allievi per poi presentare alla direzione quanto era stato deciso; ma è anche vero che il Direttore del Ciso Casini ignora questo collegio e fa la voce grossa con i più deboli e con coloro che più difficilmente sono organizzabili. Così il collegio ed il suo presidente hanno dato quasi subito le s*-- dimissioni e solo a metà settembre il collegio si è ricostruito.
Ma l'atmosfera non è cambiata. Se ci teniamo molto ad insistere sul giornale sulla necessità di ottenere ed approfondire la democratizzazione all'interno del Convitto non è solo perché riteniamo che questo sia il solo metodo di educazione che deve essere presente in tutte le scuole ed in ogni ambiente, ma anche perché è il solo mezzo per far sì che questi alunni non siano troppo manovrabili dalla Direzione per fini che ci sono fin troppo noti (vedi Milanodieci dicembre 1973) e accettano così passivamente di andare a lavorare in Germania, di non lottare più per avere un posto di lavoro nella regione di provenienza o almeno in Italia o per il riconoscimento della qualifica professionale (ricordiamo per inciso che tuttora il titolo dell'Anap riconosciuto dal Ministero del Lavoro ha un valore puramente teorico in quanto l'alunno che esce da quel Centro viene assunto con la semplice qualifica di apprendista), di non lottare più per stabilire all'interno dell'Anap un rapporto più stretto, quanto indispensabile (riconosciuto in documenti della Regione Lombardia e del Sindacato) fra scuola professionale e vita sociale (invece all'Anap si lavora ancora su macchinari vecchi, non più usati dalle aziende, per cui la preparazione degli alunni è solo generica e teorica e non risponde alle esigenze delle aziende presso le quali dovrebbero
essere collocati; ancora, all'Anap lo studio delle materie scolastiche come l'Italiano, la Cultura generale, Educazione Civica è completamente sorpassato e non permette la considerazione e la discussione degli attuali problemi che si dibattono nella nostra società). Di non lottare più contro la gestione privatistica dell'Ente che ha una visuale solo dal proprio interesse e non di quello dei ragazzi, del meridione, dell'intero paese.
A questo proposito la Regione Lombardia ha dichiarato in un suo documento che « queste situazioni (di abuso e di clientelismo; — n.d.r.: si riferisce agli enti privati di addestramento professionale come l'Anap) vanno estirpate, riportando tutto il settore ad un regime di pieno controllo pubblico (Quaderni della Regione Lombardia).
Obiettivo 7: Una legge per la ristrutturazione della formazione professionale). E flotto questo profilo non bisognerà dimenticare che un altro fine da raccogliere attraverso la lotta per la democrazia all'interno dell'Anap-Ciso e quello della pubblicazione dell'ente, sotto il controllo della Regione, spazzando via don Benatti e soci (e speriamo che il processo a suo carico si faccia presto).
Una nota positiva ci viene invece dalla firma del contratto degli insegnanti degli istituti di addestramento professionale statali e privati (e quindi riguardanti anche l'Anap): assieme ai punti che toccano il trattamento economico del personale insegnante e non insegnante, esistono queste note qualificanti che dovrebbero essere poste subito in testa ad una piattaforma di rivendicazioni portata avanti da alunni ed insegnanti del Ciso nei confronti della Direzione.
La più importante è quella contenuta nell'art. 26 e riguarda la gestione sociale:
Presso ogni Centro, su iniziativa dell'Ente Gestore, entro 30 giorni dall'inizio dei Corsi, si costituisce al Comitato consultivo con il compito, nell'ambito della programmazione regionale di esprimere pareri in materia di:
Iniziative pedagogico-didattiche
Attività sociali, paraformative e assistenziali;
Pianificazione annuale delle attività formative.
Fanno parte del Comitato:
II Direttore o coordinatore del Centro
Un rappresentante del personale
Un rappresentante degli allievi
Un rappresentante sindacale designato dalla Federazione unitaria.
Un rappresentante del Comune ove ha sede il Centro
Un rappresentante delle famiglie
Un rappresentante delle organizzazio-
ni imprenditoriali o dei lavoratori autonomi
Un rappresentante della R.A.S.
Un rappresentante delle forze educative sociali promotrici del Centro.
Il rappresentante del personale viene eletto a maggioranza assoluta di tutto il personale del Centro. I rappresentanti degli allievi e delle famiglie vengono eletti a maggioranza nelle rispettive assemblee.
Il Comitato elegge nel proprio seno il Fresidente, il quale lo convoca ogni qualvolta lo ritiene necessario, o su richiesta di almeno tre dei componenti.
Le descrizioni vengono adottate a maggioranza assoluta dei componenti.
Il direttore del Centro esplica funzioni di segreteria del Comitato Consultivo e prevede alla prima convocazione.
Non è molto per un'autentica e sviluppata democrazia, ma è senz'altro un aspetto nuovo da sfruttare al massimo e per questo appare ,urgente che i giovani del Ciso superino ogni disorientamento e delusione e procedano ad una seria organizzazione delle ,loro strutture democratiche vigilando collettivamente contro le provocazioni e le strafottenze; denunciando e lottando contro quanto può essere lesivo della personalità di ciascun allievo e dell'unità degli. alunni.
Si tratta di riprendere anche con frequenza tutte le riunioni esterne, per tessere attorno alla lotta del Ciso una rete di sostegni e di simpatia.
Un'ultima nota per quello che riguarda la mensa. Fino a questo momento la Direzione è riuscita, col solito sistema dell'intimidazione, a non far funzionare quel controllo che alcuni allievi avrebbero dovuto esercitare sulla mensa a partire dall'Assemblea del 20 giugno u.s. ed oltre tutto ha cercato di tener lontani, dalla mensa degli alunni, gli insegnanti che proprio in base al recente contratto hanno ottenuto che « nei centri ove esiste l'orario spezzato ed è in atto il servizio di mensa, il personale può usufruire di tale servizio alle medesime condizioni degli allievi .
C.`.ifatti li ha mandati fino al 30 settembre alla Cooperativa Libertas di Crescenzago con un onere di L. 60.000 giornaliere, pur di tenerli fuori dai piedi; ora forse la spesa pare alla Direzione davvero eccessiva e quindi la Direzione ha concesso agii insegnanti di mangiare alla mensa nei giorni in cui lavorano anche al pomeriggio, ma in una saletta a parte. Anche qui, come per tutto quello che riguarda l'assistenza sanitaria, ci sarà molto da lavorare.
Invitiamo tutti i Cisini a servirsi di Milanodieci, come mezzo per sostenere la loro lotta. Rivolgersi ai redattori in via Caroli 8. Riunioni tutti i martedì ore 21.
Alle imprese non basta plu' II miliardo e mezzo preventivato per la costruzione del complesso scolastico. Per le aule della scuola dell'obbligo bisogna aprire una vertenza contro comune e la Regione
Come ognuno sa esiste la stretta creditizia e cioè l'impegno fermo del governo a non mollare quattrini a enti pubblici, a amministrazioni locali (provincie, comuni) per case, scuole, ospedali, opere varie di pubblica utilità.
Motivo di questa stretta è la crisi economica, che a detta dei governanti, si risolve aumentando i prezzi e non dando niente in contraccambio.
Ora, che esista la crisi, nessun dubbio, ma questa riguarda tutto il sistema (vedi articolo a pag. 4) ed è del pari evidente che non sono questi i modi per combatterla. Senza aggiungere che i soldi per queste « minutaglie » come scuole e servizi sociali necessari esistono (basta pensare a quanto viene speso inutilmente per i telefoni e le automobili private di assessori e ministri, basta pensare ai soldi pubblici dati ai partiti, a quelli per salvare Sindona e per quegli enti inutili che la Democrazia Cristiana non vuole eliminare); senza aggiungere che per le case basterebbe requisire tutti quegli appartamenti sfitti costruiti dai grandi speculatori e rimasti sfitti perché posti in affitto con cifre da capogiro. Dato questo, la storia della stretta creditizia sembra piuttosto un polverone per invitare alla rassegnazione e distogliere i cittadini dalla lotta.
In questa storia va anche collocato un decreto del Presidente della Giunta Regionale della Lombardia che per caso ci è capitato sotto gli occhi. Ne diamo qui sotto il testo:
Opere di edilizia scolastica eseguite da Comuni, Provincie ed altri Enti obbligati, con propri fondi di bilancio - Proroga inizio lavori - Comune di Milano - via Cesalpino - (Decreto del Presidente della Giunta del 5-6-74 - n. 406/LL.PP.).
IL PRESIDENTE DELLA REGIONE LOMBARDIA
Omissis Decreta:
Art. 1
E' prorogato di mesi 10 il termine di inizio dei lavori e delle espropriazioni stabiliti nel decreto di vincolo citato in premessa.
Art. 2
Il presente decreto, pubblicato per
estratto sul Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia, dovrà essere inserito a cura e spese dell'Ente espropriante nel Foglio Annunzi Legali della Provincia. Milano, 5 giugno 1974 p. Il Presidente L'Assessore ai LL.PP. e Trasporti Vito Sonzogni
Del resto il decreto ha avuto conferma del fatto che la prima gara di appalto è andata deserta, perché nessuno vuole impegnarsi a costruire il complesso di Via Cesalpino al prezzo superato di un miliardo e cinquecentomila. Stando alle cifre che girano nel campo edilizio le imprese chiedono generalmente un rialzo del cento per cento rispetto ai vecchi preventivi.
Certo, se la scuola fosse stata ubicata secondo le indicazioni dei Comitati di quartiere due anni fà senza bisogno di espropri e senza strette creditizie non solo sarebbe già in piedi ma l'avremmo pagata al vecchio prezzo. Una vecchia storia. Chi comunque ha le sue belle responsabilità in tutto questo, se ne sta zitto né bada agli impegni presi in pubgliche assemblee.
E' certo che nella vertenza cittadina contro il Comune e la Regione sull'aumento del costo dei trasporti, delle bollette della luce, del gas, dell'acqua, del riscaldamento, dei libri di testo, si deve inserire anche il punto che riguarda le aule della scuola dell'obbligo e dei nidi d'infanzia. Non dobbiamo lasciarci intimidire dalle manovre del Governo e del padronato: alcuni organismi sindacali l'hanno ben compreso (vedi Torino, Napoli, Bolzano, Asti, Cuneo) come pure alcuni Consigli Unitari di Zona di Milano (la Zona Sindacale Sempione): si tratta di essere con loro in questa lotta generalizzata e di inserire, oltre al pagamento di bollette e libri scolastici al prezzo vecchio, l'urgenza della scuola di Via Cesalpino come di altre scuole dell'obbligo a Milano.
Ma per far questo occorre che la categoria « genitori » si senta soprattutto appartenente alla categoria più vasta dei lavoratori cioè di coloro che si sono assunti il compito storico di lottare per la
conquista di un nuovo modo di vita. E' sbagliato vergognarsi o addirittura aver paura di dover lottare e conseguentemente di dover far » politica »: cinquant'anni fa il fascismo potè passare proprio per questa paura dei » socialisti », delle loro lotte, ed il grido « me ne frego » diventò il segno distintivo del bravo cittadino che fa i fatti suoi.
Questo errore non deve essere più ripetuto e per far questo bisogna avere coraggio di esprimere quanto già da tempo si è compreso: che senza una lotta perseverante e organizzata nulla sarà ottenuto.
Bisogna darsi quindi da fare nella fabbrica per rendere più combattivi i Consigli, spingerli verso una vertenza che comprenda tutti gii aspetti sociali, che difenda il già inadeguato salario conquistato in fabbrica contro la speculazione sulla casa, il caro affitti, il caro prezzo sui generi di prima necessità, per una scuola più qualificata e più egualitaria che non cominci a discriminare e a selezionare fin dalla più tenera età.
Bisogna darsi da fare anche nei quartieri dove operano i partiti e i comitati di quartiere: per i partiti c'è da dire che non tutti sono uguali; ci sono quelli che portano avanti gli interessi dei lavoratori, ce ne sono altri legati ai grossi funzionari, all'alto ceto impiegatizio, ai padroni; per quello che riguarda i Comitati di Quartiere essi hanno il compito specifico di, far presente al movimento operaio la necessità, le urgenze di alcuni obiettivi sul territorio e di far convergere su questi obiettivi i cittadini non organizzati in fabbrica.
La partecipazione alla vita dei partiti e dei comitati nei quartieri, alle loro riunioni, alle loro scadenze di lotta è indispensabile: non si può pensare che qualcosa possa nascere e sostenersi fino alla vittoria senza la partecipazione dei lavoratori alle lotte; e nessun obiettivo sentito come necessario in un rione, ma oggettivamente utile in tutta la città può ottenere una generalizzazione vincente se non attraverso l'impegno di tutto il movimento operaio organizzato dentro e fuori la fabbrica.