
55 minute read
NOTIZIE DAI RIFUGI
L'Adige | 2 Luglio 2020
p. 31
Rifugi senza ferrate: è polemica
PRIMIERO Plexiglas in quota, prenotazioni obbligatorie, distanze e mascherine: che il Covid 19 abbia complicato la vita (anche) nei rifugi, è ormai risaputo. Quello che sta emergendo ora, tuttavia, è anche una serie di problemi indirettamente legati al coronavirus. È il caso del Primiero, con i rifugi dell'area meridionale delle Pale che si ritrovano monchi: privi di praticamente tutte le ferrate per cui in molti salgono appositamente in quota, pernottando al Pradidali o al Velo della Madonna. Il lockdown ha bloccato ogni attività anche nelle settimane in cui tradizionalmente la Sat cura la manutenzione dei sentieri e dunque la tabella di marcia è ora in netto ritardo. È capitato così il peggio: ovvero che proprio la Sat, vista la situazione di non piena di sicurezza delle vie attrezzate, abbia chiesto la chiusura delle ferrate a ridosso dell'apertura dei rifugi. Che nelle Pale hanno aperto i battenti sabato 27. Due giorni dopo la comunicazione della Sat all'amministrazione comunale di Primiero San Martino, a seguito della quale, il giorno dopo, ovvero alla vigilia delle aperture dei rifugi, il sindaco Daniele Depaoli non ha potuto che emettere le ordinanze con cui è stata disposta la non percorribilità delle ferrate Nico Gusella, Velo, Dela Vecia, del Passo di Ball, del Porton. Amaro lo sfogo di Duilio Boninsegna , anima del Pradidali: «È inutile che venga elogiato il lavoro in quota di noi rifugisti in questo periodo non facile, se poi apriamo e la burocrazia ci chiude sentieri e ferrate! C'è una coppia di finlandesi che sta arrivando, proprio per affrontare itinerari in quota. Con che coraggio dirò loro che sono arrivati per niente? Capisco che la sicurezza sia prioritaria ed è giusto, ma sono le tempistiche a lasciare perplessi. Il via libera per le ispezioni in quota e la manutenzione è arrivato dalla Provincia il 27 maggio. Perché muoversi solo ora? Dopo quasi 30 anni a gestire rifugi alpini, mi sento davvero preso in giro». Boninsegna, che ha già dovuto affrontare in queste settimane problemi a causa della parziale impossibilità di usare la teleferica dopo la frana caduta dal Cimerlo, precisa di non volersela prendere con il Comune, «che non può che emettere ordinanze in base alle indicazioni che fornisce la Sat, in questo particolare ambito. Pare che già venerdì possa partire qualche primo intervento. Speriamo. Ero fiducioso sulla stagione nonostante tutto, ma alle ferrate non possiamo rinunciare, così di punto in bianco».
Trentino | 2 Luglio 2020
p. 33
Rifugi aperti, ma i sentieri per arrivarci sono chiusi
raffaele bonaccorso PRIMIERO SAN MARTINO Rifugi aperti e sentieri chiusi. Sembra una battuta, ma è la verità. E sui social si scatenano i commenti. I fattiIl Comune di Primiero San Martino di Castrozza ha emesso una ordinanza di chiusura di una serie di sentieri proprio nel gruppo Dolomitico delle Pale di San Martino. Il 25 giugno, l'Ufficio sentieri della Società alpinisti tridentini (Sat di Trento) con una comunicazione ha segnalato una situazione di pericolo causa danni alle attrezzature fisse e quindi ha chiesto la chiusura di alcuni sentieri per effettuare la manutenzione. A questo punto il Comune non ha avuto altra scelta che emettere l'ordinanza di chiusura dei seguenti sentieri. Si tratta di nomi di località e numeri che sembrano strani e non dicono nulla ai profani, ma che agli alpinisti appassionati delle montagne Dolomitiche ogni citazione è "un colpo al cuore": Sat n. E715 sentiero attrezzato del Passo di Ball, nel tratto Passo di Ball (quota 2451) e Col delle Fede (q. 2277, bivio E702); Sat n. E739A, via ferrata del Porton, tutta, da Rifugio Pradidali (Q. 2280 bivio E715) alla Forcella del Porton (q. 2420 E714 - E739); Sat n. E714 via Ferrata "Nico Gusella", tutta, da Passo di Ball (q. 2443, b E715 alla Forcella del Porton (q. 2420, bivio E739 - E739A); Sat E739, via ferrata del Velo, tutta, dal Rifugio Velo della Madonna (q. 2331, bivio E713 - E742) alla Forcella del Porton (q. 2420, bivio E714 - E739A); Sat n. E739B, via Ferrata della Vecia, tutta, dalla località Cadin Sora Ronz (q. 2000, b. E721) alla quota 2400 (b. E739). Diciamo subito che la competenza sui sentieri chiusi sopracitati è della Sat di Trento che ad oggi mercoledì primo luglio non ha dato l'incarico per provvedere per i lavori necessari per il ripristino; siamo in luglio, mese importante per i rifugi che hanno fatto di tutto per riaprire in sicurezza... Ed ecco l'ordinanza di chiusura di una serie di sentieri che sono estremamente vitali per l'attività dei rifugisti.I commenti socialSu Facebook Duilio Boninsegna, che gestisce il Rifugio il Rifugio Pradidali, sbotta con un commento che provoca tutta una serie di altre critiche arrabbiate. «Tutti a dire "i nostri rifugisti eroici, tenaci" - scrive Boninsegna - tanto lavoro e fatica e spese a 2500 metri per adattare i rifugi alle norme Covid-19: plexiglass, separé, igienizzanti, nastri adesivi colorati, cartelli dappertutto ... poi si apre e la burocrazia ci chiude sentieri e ferrate!! Bella immagine turistica per le montagne trentine!!! Come se un falegname entrasse in laboratorio la mattina, accende le macchine, ma non ha legno da lavorare. Dopo quasi 30 anni a gestire rifugi alpini mi sento davvero preso in giro!! Preciso che non è colpa degli
amministratori comunali, che anzi, nel limite delle loro possibilità hanno sempre cercato di darci una mano, loro sono costretti ad emettere queste ordinanze!! Speriamo comunque di risolvere al più presto la situazione!». E Filippo scrive: «A dir la verità avevo visto una comunicazione della Sat queste e per quanto mi sembrasse assurdo ho pensato, speriamo sistemino in un paio di giorni la "Gusella", ma poi ho visto che c'è anche il "Porton", "Passo di Ball", "Col delle fede" ... cioè bloccano quasi tutte le vie di comunicazioni tra rifugi e rifugi a San Martino... a me sembra veramente pazzesco in un anno in cui bisognerebbe sfruttare qualsiasi possibile giornata per lavorare col turismo...». E seguono decine e decine di commenti all'insegna del «pazzesco», «incredibile», «inammissibile», «ma come si fa ...». Purtroppo proprio in un momento come quello attuale che fa seguito alla crisi creata dalla pandemia Covid-19, succede anche questo.
Corriere del Trentino | 2 Luglio 2020
p. 2
Rifugi, si lavora con la clientela italiana «Ma sono calati molto i pernottamenti»
Guido Sassi TRENTO Il 20 giugno la Sat ha festeggiato l’apertura estiva dei rifugi, ma la data è legata più alla tradizione che all’effettiva operatività delle stesse strutture. Infatti, nonostante la pandemia di Coronavirus durante la scorsa primavera abbia messo in dubbio la possibilità di aprire al pubblico in estate, gli oltre trenta rifugi satini e anche le strutture non gestite dal club alpino stanno ormai lavorando da qualche settimana. Anche il rifugio Vioz, posto a oltre 3500 metri di quota, ha dato il via alla stagione ieri, e solo al Boè il cantiere per la ricostruzione del vecchio rifugio (in adeguamento alle norme anti Covid) impone di posticipare l’inaugurazione a data da destinarsi. Alcune strutture, come il rifugio Velo della Madonna e il Rosetta alle Pale di San Martino, hanno posticipato allo scorso fine settimana per alcuni adeguamenti strutturali. «Siamo contenti di come sono andati questi primi giorni — spiega Elisa Bettega del Velo —. C’è molta gente che gira in montagna: molti veneti, come tradizionalmente succede dalle nostre parti, ma arrivano anche gli stranieri. Abbiamo avuto qualche tedesco e alcuni spagnoli, prenotazioni che sono iniziate ad arrivare verso la fine del lockdown». In Brenta l’afflusso sembrerebbe minore, o per lo meno diverso: «Come pernotti abbiamo avuto un grosso calo — racconta Roberto Manni, del rifugio Graffer al Grostè —. Noi abbiamo aperto il 18 giugno e il secondo fine settimana è andato meglio del primo, anche perché nel frattempo hanno riaperto gli impianti di risalita. È un turismo non locale ma italiano, stranieri per ora non se ne vedono». Sembrano operare meglio le strutture facilmente raggiungibili a quote più basse, come il Maranza alla Marzola, uno dei primi a riaprire a metà maggio: «È andata benissimo — conferma il gestore Paolo Betti —. Ho tanti lombardi, veneti, piemontesi: è un turismo legato allo slow food, gente che viene per una vacanza orientata al mangiare bene. Fanno delle piccole escursioni, vanno in cerca di prodotti tipici. Dal punto di vista del rispetto delle norme si notano gli atteggiamenti più diversi: c’è chi ha un po’ “mollato” psicologicamente, chi invece addirittura mostra un eccesso di precauzioni. A volte semplicemente la gente si dimentica di mettere la mascherina e bisogna ricordare loro come comportarsi». Il primo mese sembra essere andato bene anche per Roberto Leonardi, del Potzmauer ai Masi Alti di Grumes: «Non ci lamentiamo. Mancano i tedeschi, abbiamo tanto turismo “mordi e fuggi”, ma la gente apprezza la possibilità di godere del nostro prato e — visto tutto lo spazio che abbiamo — riusciamo a servire bene i pasti e a fare rispettare le norme». Mancano gli stranieri anche nell’Alto Garda, come al rifugio Pernici: «Oramai questa non è più quasi stagione da tedeschi — sottolinea Marco De Guelmi — ma sarebbe tempo per i turisti dell’Est, che invece mancano. Noi abbiamo aperto da tre settimane, ma abbiamo tanta clientela dal Trentino, tanti locali. Arriva gente da Rovereto e dalla Busa». Un po’ tutti i gestori concordano nell’affermare che la gente si informa maggiormente per programmare anche la semplice gita: «Telefonano, anche se noi riusciamo a gestire bene comunque i pasti. Le prenotazioni sono utili soprattutto per i pernotti e le cene» indica il gestore della struttura a Bocca di Trat.
Corriere dell'Alto Adige | 2 Luglio 2020
p. 2
Nei rifugi tornano i turisti d’oltralpe Ma è difficile gestire le emergenze
Guido Sassi BOLZANO Se il turismo d’alta quota in Trentino sembra muoversi verso una stagione caratterizzata da un misurato ottimismo, in Alto Adige la situazione pare anche migliore, in virtù di riaperture che si sono attuate in anticipo rispetto al resto d’Italia e per una vicinanza ai confini e un’affinità culturale che favorisce gli arrivi dell’area germanica. Le prime aperture a Bolzano si sono registrate intorno a Pentecoste e ormai anche i rifugi che operano a quote più elevate stanno lavorando regolarmente, pur con qualche ritardo negli equipaggiamenti: «Sono arrivati i kit di sanificazione anti-Covid — conferma
Martin Niedrist, responsabile dei dodici rifugi gestiti dall’Alpenverein Südtirol — ma mancano ancora gli ozonizzatori. Per il resto tutte le strutture hanno implementato le misure indicate nelle linee guida: sono stati ridotti i coperti e i posti letto, tutti quelli che vengono a dormire hanno l’obbligo di portarsi il proprio sacco letto». Le nuove norme sono state accolte di buon grado dai turisti e il rispetto delle stesse è piuttosto diffuso: «Ovviamente non è semplice garantire il rispetto delle distanze, ma tutti si impegnano e il fatto di avere delle regole certe e condivise ha agevolato il lavoro dei custodi. Anche per le prenotazioni, la gente ha preso l’abitudine di telefonare o controllare su internet le disponibilità nella strutture. E per ora nessuno si è presentato febbricitante, non abbiamo registrato casi sospetti di Coronavirus». I turisti sembrano arrivare, seppure con i ritardi del caso: «I confini con l’Austria hanno aperto solo il 15 giugno, per cui all’inizio salivano solo sudtirolesi. Ora però si iniziano a vedere le prime prenotazioni, soprattutto per luglio e agosto, degli stranieri di lingua tedesca: austriaci, svizzeri, tedeschi. È una crescita lenta, molo lenta, ma sembra che stia riprendendo». Prudenza e un distinguo importante anche da parte del Cai di Bolzano, nella figura del presidente Riccardo Cristofoletti: «Siamo moderatamente soddisfatti, anche se bisogna dire che abbiamo ricevuto molte disdette per i limiti temporanei alla circolazione che l’Austria aveva imposto. Ora aspettiamo di vedere cosa succederà con le prenotazioni che in questo periodo arrivano solitamente da turisti di lingua tedesca. Tendenzialmente sono prenotazioni per weekend lunghi, tre-quattro giorni a mezza pensione. Ai miei rifugisti dico che bisogna avere pazienza perché qualcosa si sta muovendo, ma è presto per avere un quadro completo della situazione». Cristofoletti ritiene che tutto sommato ci sia una discreta osservanza delle regole: «I custodi mi dicono che bene o male le norme all’interno dei rifugi vengono rispettate. Però vedo ancora troppa gente che ha un atteggiamento menefreghista, che si dimentica di indossare la mascherina quando arriva al tavolo quando ci sono altre persone, o comitive di ragazzi che stanno tutti insieme ignorando il distanziamento sociale». Ci sono anche vuoti normativi da superare: «Il tema delle capanne sociali, dei bivacchi e del comportamento da tenere durante le emergenze per maltempo rimane spinoso. Noi abbiamo una bella struttura autogestita all’Alpe di Siusi ma non possiamo usarla perché non possiamo garantire la sanificazione, mentre nei bivacchi ufficialmente non si potrebbe proprio entrare. Ma cosa deve fare un gruppo di alpinisti sorpreso da una bufera? Rimane fuori perché non si possono rispettare le distanze? Ricordiamoci che bivacchi e rifugi nascono per garantire un riparo in caso di necessità e non si può derogare a questa funzione. Per lo stesso motivo, in caso di maltempo i rifugisti faranno entrare gli escursionisti nelle strutture gestite perché la sicurezza va garantita, è una questione di buon senso».
L'Adige | 3 Luglio 2020
p. 6
Cimon della Pala, la salita del 1870
Tre giugno 1870, una data di rilievo per la storia dell'alpinismo dolomitico e ancor più per le origini del turismo nel Primiero: sono trascorsi centocinquant'anni da quel venerdì, quando un alpinista inglese e due guide, Santo Siorpaes di Cortina d'Ampezzo e Christian Lauener di Lauterbrunner (svizzero, dell'Oberland bernese) misero piede per primi sulla vetta del Cimon della Pala , montagna simbolo delle Pale di San Martino, ponendo la parola fine ad una "sfida" nata in seno all'Alpine Club di Londra. Originario della contea di Durham, l'inglese era Edward Robson Whitwell che, nemmeno trentenne, si era unito al più esperto Francis Fox Tuckett, alla sorella Elizabeth Tuckett e ad altri viaggiatori e aveva lasciato la capitale britannica il 13 maggio per una lunga "vacanza alpinistica" nell'allora Tirolo italiano. La "sfida" - o tale era sembrata a Whitwell che l'aveva raccolta - era nata dopo che Leslie Stephen, rispettato membro dell'Alpine Club oltre che critico letterario, docente ad Oxford e papà di Virginia Woolf, aveva visitato il Primiero traendone un'impressione vivissima. Dopo aver salito quella che oggi è chiamata Cima di Ball - intitolata al primo, grande descrittore delle Alpi -, Stephen aveva scritto un accattivante articolo sulle Pale di San Martino per l' Alpine Journal , l'organo del club, concludendo con l'auspicio che il Cimon e le altre vette del gruppo venissero risparmiate dagli alpinisti e lasciate alla loro magica solitudine. Whitwell, preso da «subitaneo desiderio» di vedere le Pale e, se possibile, «tentarne la scalata», unitosi alla comitiva Tuckett giunse nel Primiero il 26 maggio e, con l'esperto "Frank" Tuckett e le due guide, effettuò il primo tentativo partendo da San Martino, ma non riuscì ad oltrepassare il punto dove si era arenato l'alpinista viennese Paul Grohmann. Adocchiato il canale ghiacciato fra il Cimon e la Vezzana, fu quindi deciso di tentare da quel versante, nonostante l'aspetto incutesse un certo timore. Giunto il momento di tentare, Tuckett, a causa di uno strappo muscolare dovette rinunciare all'impresa e così, a trascorrere la notte ai piedi della cima, in una baracca abbandonata, salirono Whitwell, Siorpaes e Lauener. Dal racconto dell'ascensione, scritto poi da Whitwell per l' Alpine Journal , si intuiscono le difficoltà affrontate in quella radiosa giornata di 150 anni fa: basti solo pensare che la cresta raggiunta dal trio dopo oltre tre ore di arrampicata si rivelò più bassa della vetta, cosicché i tre pionieri dovettero scendere per circa 90 metri alla ricerca di un altro passaggio. Alle undici, finalmente, calcarono la sommità dominando dall'alto la foresta di Paneveggio e cercando di identificare le vette che si innalzavano attorno a loro prima di iniziare la discesa con tutta la cautela necessaria. Oltre al racconto di Whitwell, l'impresa è stata illustrata dalla mano di "Lizzie" Tuckett, la sorella di Frank (quest'ultimo fellow della Royal Geographical Society ed etnografo, oltre che socio dell'Alpine Club): nel delizioso album Zigzagging amongst Dolomites l'autrice ha disegnato l'«ascesa difficile» al Cimon corredando i deliziosi schizzi con brevi testi come questo: «Si arrampicano su un camino e sono felici di scoprire che non è spazzato dalle valanghe!» "Zigzagging" fu pubblicato a Londra l'anno dopo e, naturalmente, la salita del Cimon contribuì a far conoscere le Dolomiti agli alpinisti, non solo britannici. Lizzie morì nel 1872.
Passarono sei anni prima della seconda ascensione ad opera di Alberto de Falkner, Cesare Tomè e il conte Welsperg con le guide Siorpaes, Della Santa, Callegari, Brentel e Brandstaetter. Sulla cima trovarono gli ometti di pietra eretti da Whitwell e il suo biglietto da visita, che venne raccolto e rinchiuso in una bottiglia insieme ai loro nomi. In occasione del centenario della salita al Cimon, nel 1970, la sezione Sat di Primiero San Martino di Castrozza diede alle stampe un volume rimasto fondamentale e curato da Giuliano Conci, Giovanni Meneguz ed Enrico Taufer, Il Cimon della Pala nel centenario della prima ascensione 1870-1970 , con la traduzione del racconto di Whitwell a cura di Angelo Orsingher.
Alto Adige | 5 Luglio 2020
p.23
Rifugi in crisi: pochi turisti e quasi nessuno ci passa la notte
davide pasquali bolzano. Se qualcuno riteneva che quest'anno, dopo il virus e il lockdown, il problema fosse solo poter riaprire rispettando le norme di sicurezza, si sbagliava di grosso. Perché i rifugi altoatesini sono in grossissime difficoltà, come quelli dell'intero arco alpino. Pochi turisti, escursionisti locali al massimo mordi e fuggi, il tempo - che già nelle ultime estati non era il massimo - quest'anno è peggio del solito e certo non aiuta. Le difficoltà maggiori riguardano i pernottamenti in rifugio, che valgono almeno triplo quando funzionano: pre-cena cena e dopocena, dormire, colazione. Tanto che al Cai Bolzano questa settimana sono fioccate le richieste di ritocco al ribasso delle tutt'altro che esose quote stagionali pagate per l'affitto delle strutture in quota da parte dei gestori. E allora, visti i prospettati scarsi introiti, al Cai ora come ora si è fermi coi lavori non urgenti: si attende la fine della stagione per tirare le somme. Ma si teme.È il quadro, tutt'altro che rassicurante, fornito da Sergio Massenz, l'uomo di riferimento sui rifugi della sezione di Bolzano del Club Alpino Italiano. Al Cai di lui dicono semplicemente questo: «Parlando di Sergio si dovrebbe mettere in grande risalto l'importanza che ha per la sezione di Bolzano il grande lavoro che sta facendo. Senza di lui veramente saremmo in grande difficoltà con i lavori nei nostri rifugi. È una persona estremamente competente e attenta. Eccezionale l'attenzione e la meticolosità che mette nel suo lavoro, che svolge con grande cuore e dedizione». Lo fa sempre, e quest'anno ancora di più. Un impegno gravoso - anche per adeguarsi alle norme anti contagio - che purtroppo al momento non sta ripagando un granché. «Per i gestori», chiarisce senza mezzi termini Massenz, «questo è un periodo di gran difficoltà. Un momento particolare, perché si sommano più fattori. Ovviamente, come per tutti, c'è da fare i conti con questa magagna del Coronavirus. Ne hanno sofferto tutti, ma in quota è ancora peggio. Prima i confini erano chiusi e il turismo è venuto a mancare, poi li hanno riaperti ma gente in giro ce n'è poca». E gli italiani? «Non si muovono facilmente». È così, accade in tutta Italia. I bolzanini, da sempre grandi viaggiatori, in questi ultimi giorni confermano anche al nostro giornale: poca gente in spiaggia a Jesolo anche se il mare quest'anno è da favola; alla torre di Pisa o nella piazza del palio di Siena si è completamente soli; in Sardegna metà alberghi chiusi; a Pompei il deserto. Accade lo stesso in Dolomiti. Tornati i motociclisti, ma non si tratta di escursionisti che salgono in quota a consumare, almeno che non ci sia una seggiovia che li scodelli davanti al rifugio. Massenz poi rincara la dose: «Un altro vero problema è che la stagione finora non è stata favorevole. Da diverse estati ormai il meteo non è più lo stesso di un tempo. Quest'anno è anche peggio degli ultimi anni. Si vede il meteo incerto e così non si parte o si parte con l'ansia che se non torni presto te la becchi sulla schiena: temporali quasi tutti i giorni. Poi le temperature in quota sono basse, non invogliano». Insomma, per sintetizzare: niente stranieri o quasi tranne qualche inossidabile germanico, italiani se ne vedono pochetti anzichenò, ci sono i locali ma non a frotte. «E comunque è quasi sempre una toccata e fuga». Massenz, in qualità di responsabile dei rifugi del Cai Bolzano, gira, vede. E i rifugisti confermano. «La gente arriva su, consuma qualcosa in fretta e scappa via. Almeno in certi rifugi il passaggio c'è, di giorno non ci si lamenta, ma tanti rifugisti sono messi malissimo per quanto riguarda i pernottamenti». Quasi a zero.Massenz fa qualche esempio: «Al Corno del Renon o al Rifugio Chiusa, di giorno se la cavano benino, ma poi al pomeriggio scappano via tutti. Niente pernottamenti». Peggio ancora va in altri rifugi in quota, più difficili da raggiungere. «Il Bolzano al monte Pez, in cima allo Sciliar, o il Puez in Gardena soffrono da matti. Si trovano in quota, non è possibile raggiungerli coi mezzi». Se il meteo non aiuta, semplicemente non ci si va. «E ormai siamo a luglio inoltrato». E si sa che a metà agosto il tempo cambia, in quota inizia l'autunno, spesso e volentieri arrivano le prime nevicate. Massenz negli scorsi giorni è stato su, al Puez, a montare il fotovoltaico. Il gestore continua a telefonargli: «Oggi solo 7 persone». La vita, in alta montagna, è già di per sé difficile. «L'affitto di queste strutture, per questo motivo, è contenuto, ma se non c'è movimento diventa un problema pagare anche un affitto basso». La difficoltà maggiore è l'assenza di pernottamenti. «È con questo che il gestore incassa, con la mezza pensione: cena, dormire, colazione». E poi si sa, al rifugio si arriva presto, magari pure si pranza, ci si fa un paio di birrette prima di cena, la grappetta dopo cena. Ma in pochi, anzi quasi nessuno, pare voglia rinchiudersi negli angusti rifugi, dove lo spazio è ancora minore che in fondovalle.Sulle strade, gente comincia ad essercene, almeno al finesettimana. Raduni di Ferrari, di Porsche, grupponi di motociclisti. «Ma è gente che non sale in quota». E allora, scatta pure la questione personale: «Se lo hai preso, ma non c'è giro, spendi più di quello che incassi. Se non l'hai preso, di giorno, con l'afflusso, sei con l'acqua alla gola». In media, quest'anno i rifugi, almeno quelli del Cai Bolzano, hanno ingaggiato la metà dei dipendenti rispetto al solito.«Gli unici a cavarsela, in questi frangenti, sono i rifugi a gestione familiare». Meno spese, ci si rientra. E di giorno non va male a chi sta a un'ora e mezzo dalla strada, tipo il Chiusa, o è appiccicato agli impianti, come il Kostner al Vallon. Gli altri sono in sofferenza. «Avremmo tanti lavori da fare, ma finché non c'è movimento, i rifugi vanno male e non si incassano le quote... Faremo un incontro a fine
stagione, per capire come poterci muovere». E si pensi: da noi sulle Alpi Orientali va ancora abbastanza. «Sulle Occidentali, dove gli avvicinamenti sono molto più lunghi, semplicemente non si sale».©RIPRODUZIONE RISERVATA
Messaggero Veneto | 6 Luglio 2020
p. 05
Zaini e mascherine pienone nei rifugi a un metro di distanza
Udine Complice la giornata di sole, oltre agli amanti della montagna anche molte famiglie hanno trascorso la prima domenica di luglio nei rifugi alpini. L'hanno fatto rispettando le regole anti Covid applicate dai gestori delle strutture a costo di dimezzare i posti ai tavoli e il numero dei pernottamenti. All'appello mancano gli stranieri bloccati dall'emergenza sanitaria nei loro Paesi. Ieri, comunque, la gente è arrivata: dal Marinelli al Pordenone, tutti i rifugi sono stati quasi presi d'assalto dalla gente che quest'anno identifica la montagna come una sorta di zona "Covid free". Sappiamo che non è sempre così, ma il fatto di poter camminare in veri e propri angoli di Paradiso, offre maggiori garanzie a chi teme il contagio da coronavirus. Nell'ultimo fine settimana è entrata in funzione anche la telecabina del Canin e il rifugio Gilberti ha visto arrivare un maggior numero di persone che a piedi non se la sarebbe sentita di affrontare la salita da Sella Nevea. Irene Pittino le ha accolte con la cortesia di sempre, il resto l'ha fatto il panorama mozzafiato che si può apprezzare da quella che viene considerata la porta di ingresso al Parco delle Prealpi Giulie. Identica la situazione al Marinelli, ai piedi del Monte Cogliàns, dove Caterina Tamussin non manca di raccomandare il rispetto delle misure di prevenzione indicate in più punti della struttura. Nonostante il cantiere in corso per la messa in sicurezza della strada che attraversa la val Cimoliana, in molti hanno raggiunto pure il rifugio Pordenone a 1.240 metri di altitudine, nel parco delle Dolomiti friulane. Marika Freschi e Ivan Da Ros hanno servito piatti tipici preparati in casa, auspicando di accogliere anche gli stranieri. Da queste parti, prima dell'emergenza sanitaria, arrivavano canadesi, inglesi, tedeschi e austriaci, tutti in cerca del Campanile di Val Montanaia.I più coraggiosi, invece, hanno seguito il percorso che conduce al rifugio De Gasperi dove si arriva solo a piedi. Ma anche qui l'emozione è garantita, il paesaggio è davvero unico come uniche sono le architetture storiche conservate in angoli della Carnia, che riportano indietro nel tempo. --© RIPRODUZIONE RISERVATA
Messaggero Veneto | 7 Luglio 2020
p. 33 edizione Pordenone
Val Cimoliana, sistemata la strada di accesso
cimolais La Val Cimoliana ritorna lentamente alla normalità dopo i gravi dissesti della tempesta Vaia, datata ormai fine ottobre 2018, ma i cui strascichi sono in molti casi ancora evidenti. Con largo anticipo rispetto alla originaria tabella di marcia, sono infatti terminati i lavori di sistemazione della strada di accesso. Si tratta di interventi tampone che rendono fruibile la carreggiata, ma che richiederebbero ancora svariati milioni di euro di opere per un suo completo riassetto. Per il momento, comunque, il piano carrabile risulta assestato e l'itinerario che porta al Campanile di Val Montanaia è nuovamente agibile. In questo modo, sarà possibile accedere anche con mezzi di soccorso al cuore del Parco naturale delle Dolomiti friulane: il recente allentamento delle disposizioni contro il coronavirus ha spinto numerosi alpinisti a frequentare l'area, aumentando l'eventualità di infortunio. Venerdì pomeriggio l'area è stata visitata dal governatore della Regione, Massimiliano Fedriga, e da numerosi suoi assessori, con il responsabile della Protezione civile, Riccardo Riccardi, in testa. Il sopralluogo ha preso atto dello stato di avanzamento dei numerosi cantieri post Vaia operativi lungo la strada interna. L'asse stradale è gestito dal Comune di Cimolais e non è liberamente transitabile per evitare l'inquinamento. --F.Fi.© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 12 Luglio 2020
p. 25
Cisterna da 12 mila litri aumenta lo stoccaggio dell'acqua a servizio del Rifugio "Dal Piaz"
Raffaele Scottini Feltre Il rifugio "Dal Piaz" riduce al minimo il rischio di ritrovarsi con i rubinetti a secco. È stata messa in posa una nuova cisterna da 12 mila litri per lo stoccaggio dell'acqua, che rappresenta un passo in avanti importante per l'approvvigionamento idrico della struttura del Cai e rendere ancora migliore il servizio agli escursionisti che soprattutto in questi mesi caldi frequentano numerosi le Vette Feltrine.«L'obiettivo è rendere il Dal Piaz più autosufficiente», commenta il presidente della sezione del Club alpino italiano di Feltre
Ennio De Simoi. «Quello dello stoccaggio dell'acqua è un problema per i rifugi in quota. Abbiamo la fortuna che il Boz può contare sul torrente che scorre vicino, mentre per portare l'acqua al Dal Piaz c'è un sistema di alimentazione abbastanza complesso che parte da Busa delle Vette e supera un dislivello di una certe importanza attraverso una catena di pompaggio», spiega. «La nuova cisterna da 120 ettolitri aumenta la capacità di stoccaggio per andare incontro alle necessità del rifugio, sia perché ha una maggiore fruizione rispetto al passato, sia perché di fronte alle nevicate meno copiose, l'acqua è diventata più carente per cui bisogna approfittare quando c'è e accumularla».Maggior fruizione da parte degli ospiti significa maggior consumo, quindi bisogna stoccare più acqua e questo serbatoio è utile in chiave preventiva, per evitare il rischio di chiusura per carenza idrica. L'intervento si inserisce in un pacchetto di lavori in corso in questi giorni, che comprendono anche il rifacimento e potenziamento del sistema di smaltimento delle acque reflue provenienti dalla fossa imhoff attraverso un impianto di subirrigazione per permettere la dispersione nel terreno in modo ecologico.Questo tipo di depurazione non è solo un comodo sistema di smaltimento, ma un vero e proprio trattamento depurativo naturale. «La vasca imhoff andava adeguata per renderla più efficiente», commenta il presidente del Cai. «Sempre in una logica di incremento del numero delle presenze al rifugio». Inoltre, è stato cambiato posto al bivacco invernale. Si tratta di quattro posti, che sono stati dal porticato su una struttura già esistente e precedentemente impiegata per altri usi, mentre nel porticato verrà ricavato un magazzino.«Abbiamo dovuto rifare anche i getti di cemento, effettuando diversi trasporti da Croce d'Aune in elicottero», dice Ennio De Simoi. «I lavori dovrebbero essere conclusi per fine mese». Si tratta di un intervento da 30 mila euro in totale. C'è un contributo del Cai centrale, un altro del Parco delle Dolomiti per quanto riguarda la parte idrica e il 50 per cento è a carico della sezione di Feltre. --© RIPRODUZIONE RISERVATA
Alto Adige | 12 Luglio 2020
p. 12
Rifugi a rischio focolai, la denuncia delle guide
«I gestori sono ligi, i turisti altoatesini e dal resto d’I- talia pure, così gli austriaci, ma gli altri stranieri, in particolare i germanici, non rispettano le re- gole. Quasi nessuno indossa la mascherina o osserva il distan- ziamento sociale. Così facendo i rifugi alpini adesso rischiano di trasformarsi in nuovi focolai del Covid-19». È la denuncia di Guido Colombetti, bolzanino, noto a livello internazionale pri- ma come park designer e event manager per Obereggen e altre stazioni invernali, e poi come compilatore di apprezzate gui- de di snowboard-alpinismo e arrampicata sportiva. Di profes- sione in estate fa l’accompagna- tore di media montagna, ossia la guida escursionistica. Se fino a giugno la situazione era tranquilla, almeno dallo scorso finesettimana i flussi tu- ristici si sono intensificati. La testimonianza lampante ieri mat- tina, proprio in centro a Bolza- no: pioggia in quota, tutti giù in città. Code di centinaia di perso- ne appiccicate e senza mascheri- na da Ötzi, sotto i Portici tutti ammassati, e anche qui quasi nessuno con la mascherina. Accade purtroppo lo stesso in quota. E va bene sui sentieri, do- ve c’è spazio a sufficienza, non così nei rifugi, specie alla sera. Guido Colombetti, in un’ac- corata missiva scritta nella gior- nata di ieri all’Unione albergato- ri e pubblici esercenti, alla Pro- vincia, al Governo, all’Alpenve- rein, al Cai Bolzano e al Cai na- zionale, scrive: «Sono una gui- da escursionistica Amm, nato e cresciuto in Alto Adige, vivo a Dobbiaco. Dopo il periodo di quarantena, dove tutta Italia ha fatto l'unica cosa che si poteva fare per evitare ulteriori morti e fermare il diffondersi della pan- demia, ad oggi, girando per i ri- fugi alpini dell'Alto Adige con miei clienti, è con grande ram- marico che rilevo questo in pra- ticamente tutte le occasioni: all'interno dei rifugi alpini la maggior parte delle persone provenienti dalla Germania non rispettano le normative an- ti Covid-19... Ma la maggior par- te dei nuovi focolai europei non sono proprio in Germania?» In quattro differenti rifugi dell'Alto Adige, prosegue Co- lombetti, «non ho visto un ger- manico indossare una mascheri- na o rispettare la distanza, men- tre gli italiani o gli austriaci o gli escursionisti di altre nazionalità nel 90 per cento dei casi lo fan- no». Difficile distinguerli, obietterà qualcuno. Vero nien- te, chiarisce Colombetti, «solo loro parlano in Hochdeutsch». Colombetti cita il rifugio Fi- renze in Gardena, la malga Tuff sopra il laghetto di Fié, il rifugio Genova ai piedi delle Odle ecce- tera. Tutti visitati nell’ultima settimana con i propri clienti, che quest’anno non sono i soliti tantissimi stranieri, bensì gli italiani, sempre più numerosi. La guida si domanda: «Forse è stato un caso o forse no, ad ogni modo, come la mettiamo? Vogliamo avere una nuova on- data magari proprio durante le vacanze di Natale? Direi che così siamo sulla buona strada...» L’accompagnatore di media montagna è senza parole: «Stia- mo facendo una bruttissima fi- gura con tutte le persone che ri- spettano il prossimo seguendo le normative in vigore». La guida escursionistica tiene a sottolineare: «I gestori dei rifugi hanno sempre la mascheri- na e sono ben attrezzati con gel lava mani eccetera, ma non ne ho visto uno chiedere di indos- sare la mascherina a chi non ce l'ha». Questo, sostiene, non è un bell'esempio per l'Alto Adi- ge. «È uno schiaffo in faccia a chi per mesi ha lottato negli ospedali e a tutti noi che per due mesi ci siamo chiusi in casa mentre fuori splendeva il sole». Per conto suo, questa estate Colombetti non accetterà turi- sti provenienti dalla Germania «e così consiglio di fare anche ai miei colleghi. Preferisco guada- gnare di meno, ma rimanere in salute». La guida nella sua email di ieri chiede urgente- mente a club alpini e Provincia di fare qualcosa, «altrimenti le conseguenze le pagheremo di nuovo noi tutti magari chiuden- doci in casa per altri 2 mesi...»
p. 17, segue dalla prima
Il virus contro i rifugi Pernottamenti crollati
Un'estate difficile ma, soprattutto, diversa. L'emergenza Covid-19 ha lasciato in eredità ai rifugisti trentini una stagione anomala. Segnata non solo da un calo generalizzato dei pernottamenti, ma anche da veri e propri picchi di presenze non facilmente gestibili. L'estate in quota è partita ufficialmente lo scorso 20 giugno ed il primo mese di attività permette di tracciare un primo, parziale, bilancio. Che lascia una fotografia dai tratti eterogenei: in alcune realtà le cose sono andate meglio di come si potesse temere, in altre le difficoltà sono davvero pesanti: è il caso soprattutto delle strutture più in quota che legavano la loro attività alle uscite di scuole di alpinismo, completamente ferme quest'estate. Numeri preoccupanti. La stagione non è ancora a metà, ma i numeri del primo mese di aperture non possono che far scattare un campanello d'allarme. In alcune realtà il calo dei pernottamenti si attesta anche al 50% rispetto agli anni precedenti. C'è anche chi se la vede ancora peggio: «Siamo qui in due. Chi è stato qui ha di certo presente cosa voglia dire, il fatto che bastino due persone per gestire il rifugio», spiega malinconicamente Romano Ceschini, dai 3.025 metri del rifugio Caduti dell'Adamello alla Lobbia . Dove il grosso dei pernottamenti lo garantivano le scuole di alpinismo: «Tutte ferme quest'anno. Sale qualcuno nei fine settimana ma non basta certo a recuperare le prenotazioni mancanti. Andiamo avanti comunque, sperando nel 2021». Ai 2.600 metri del Passo Principe , nel Catinaccio, Sergio Rosi snocciola dati spietati: «Come sta andando? Lavoriamo al 50%», spiega mentre prepara i tavoli per le colazioni, in un venerdì mattina piuttosto fortunato: la sera del 16 luglio è arrivato un gruppo di amici lombardi di otto persone. Grasso che cola. «Il problema è che per ora si tratta di piacevoli eccezioni. Da una notte, due al massimo. E per chi vive soprattutto di pernottamenti è un problema». Boom nei fine settimana. «Al sabato, alla domenica, il viavai è fitto. Ma si tratta di un traffico che raramente garantisce entrate. C'è chi si ferma a mangiare, ma la maggior parte di chi arriva per la gita di un giorno, porta con sè i pasti. Tanta gente, ma che non lascia il segno per quel che riguarda gli incassi». «I fine settimana? Un ferragosto dopo l'altro», conferma poco più a sud Roberta Silva del Roda di Vael . «Per il resto la situazione è tranquilla. Fin troppo. Mi aspettavo qualcosa di più, del resto se mancano gli stranieri non può che essere così. Sono loro a garantire tradizionalmente pernottamenti di più notti». «Con i pernottamenti siamo fermi. Praticamente zero», conferma Mario Desilvestro, al Gardeccia , mascherina d'ordinanza addosso. «Rifugisti mascherati e disperati», prova a scherzare mentre serve ai tavoli esterni caffè e cappuccini: «Il grosso sono il servizio bar e qualche pasto a pranzo, ma poco di più per ora. Speriamo la situazione migliori». Al Vallaccia , in cima alla Val Monzoni, Jacopo Bernard è soddisfatto: «Devo dire che va più che bene, le presenze sono cresciute rispetto all'anno scorso. È una clientela differente rispetto al passato, gente che si siede fuori e si gode la gita, concedendosi qualche sfizio in più. Per quanto riguarda le regole covid sono molto rispettosi gli italiani, ma gli stranieri ci chiedono perché usiamo le mascherine». Nel gruppo delle Pale la stagione è partita ad handicap, con le ferrate il Pradidali e il Velo della Madonna chiuse e sistemate a tempo di record: «Qualche arrivo straniero inizia ad esserci», spiega Duilio Boninsegna (Pradidali) che dalla sua ha un inguaribile ottimismo: «Facciamo quel che si puo, certo è più dura rispetto agli anni scorsi ma la gente arriva. Anche qualche olandese, qualche belga. Erano qui nei giorni della polemica proprio con il Belgio, che aveva sconsigliato viaggi in Trentino: ne abbiamo sorriso assieme. Per noi è un'estate anomala. Dobbiamo gestire degli infrasettimanali con poca gente è dei fine settimana con la ressa, con non poche difficoltà anche a gestire le misure di siciurezza, tra chi ha e non ha la mascherina, chi si arrabbia per doverla mettere e chi si arrabbia vedendo chi non la indossa». «C'è chi ha letteralmente paura e se vede gente all'interno non entra - spiega Emanuele Tessaro al Brentari, in Cima d'Asta - per fortuna siamo riusciti ad allestire un chiosco esterno proprio per venire incontro a chi preferisce restare all'esterno». In alta Val di Sole, la situazione non è diversa dal resto del Trentino: «Grandi numeri nei fine settimana, presenze limitate dal lunedì al venerdì», conferma dal Larcher , ai piedi del Cevedale, Manuel Casanova. Mirco Dezulian, al Denza ai piedi della Presanella, nelle prime settimane di aperture ha dovuto fare i conti con la chiusura della strada che ha limitato gli accessi. «Ora va meglio. Soprattutto alla domenica. La gente che sale in giornata è tanta, ma per noi è difficile poter fare loro un servizio come si deve. I pernottamenti sono quello che sono, ma almeno per ora il tempo prova a darci una mano». In Brenta Alberto Angeli descrive una realtà non molto diversa: «Le presenze dei fine settimana sono numerose, ma non si può dire lo stesso dei pernottamenti durante la settimana. Ora l'importante è lavorare al meglio, fare quello che possiamo, poi tireremo le somme. Prepararci per questa stagione strana non è stato facile, vedremo a fine estate come sarà andata». Dall'altra parte della Rendena, al Segantini . Per quel che riguarda le strutture di proprietà della Sat, i conti i gestori li faranno anche con i vertici dell'associazione di via Manci. La presidente Anna Facchini alla vigilia dell'avvio della stagione aveva specificato come, in autunno, si valuterà caso per caso se vi siano i presupposti per rivedere i canoni d'affitto delle strutture. La sensazione, purtroppo, è che in svariati casi non possa che essere così, pena la resa da parte di alcuni gestori.
L'Adige | 23 Luglio 2020
p. 17
«Mancano soprattutto gli alpinisti» Martin Riz spiega come cambia il modo di lavorare
Pienoni nei fine settimana e poca folla tra un fine settimana all'altro. «Diciamo pure deserto, in certe giornate. Ma il problema non è solo di numeri, di incassi. È anche e soprattutto di tipologie differenti di presenze. E cambia anche il tipo di lavoro per noi rifugisti». Martin Riz gestisce il rifugio Antermoia da tre anni. «Sarebbe ingiusto lamentarsi, finora le cose sono sempre andate bene e non è cosa da poco per un neofita. Certo, la situazione di quest'anno è nuova per tutti, immagino anche per chi vive e lavora in rifugio da molti più anni rispetto a me e alla mia famiglia». Sarà anche un neofita dei rifugi, Riz, ma non certo della montagna: scialpinista, guida alpina, soccorritore, il suo è senza dubbio un punto di vista qualificato. «La clientela che fino ad ora sta mancando è quella degli alpinisti o comunque degli escursionisti che salgono in quota per permanenze prolungate o traversate. Frequentatori esperti, o comunque consapevoli di cio che la montagna e un rifugio offrono e richiedono. Lavorare invece con gli escursionisti che ci raggiungono nei fine settimana è inevitabilmente diverso e richiede anche da parte nostra un impegno differente».
L'Adige | 23 Luglio 2020
p. 17
«Chi diversifica soffrirà meno» Il presidente delle guide alpine, Martino Peterlongo
Anche in montagna, per azzardare un paragone ardito, funziona come in economia: nelle crisi si salva chi diversifica. Non il rischio, in questo caso, ma la clientela. A spiegarlo è Martino Peterlongo, presidente del Collegio delle guide alpine del Trentino: «Quest'anno stanno mancando veri e propri blocchi di clientela. Pensiamo ad esempio a chi non può fisicamente arrivare, come gli americani. Ci sono colleghi che negli anni avevano saputo conquistare la fiducia di clientele consolidate e in queste circostanze sarebbe un valore aggiunto. Ma quella che fino a pochi mesi fa poteva apparire senza dubbio come una sicurezza, è divenuto un punto debole. Per questo dico che chi ha saputo diversificare soffrirà meno, a differenza di chi magari si vedrà privo della clientela di riferimento». Peterlongo è comunque ottimista. «Il bilancio per ora, per la nostra categoria, non può che essere parziale. C'è ancora agosto, c'è ancora settembre, vedremo tra un paio di mesi come sarà andata davvero. Certo, con gran parte degli stranieri che non arriveranno e una nicchia importante come quella dell'attività dei gruppi - penso alle scuole di alpinismo del Cai - che sarà del tutto azzerata, le premesse non sono incoraggianti».
p. 19
Il nuovo Brentei sarà pronto nel 2021
L'escursionista che sale ai 2.182 metri ai Brentei in quest'estate 2020 trova un cantiere. Il "Maria e Alberto ai Brentei", storico rifugio di proprietà del Cai di Monza, è in ristrutturazione. Un lavoro che andrà a migliorare il rifugio, sia dal punto di vista strutturale, che per quanto riguarda l'accoglienza. Il preventivo dei lavori è di oltre 2 milioni di euro, affidati alla Legno House di Caldonazzo, azienda con una lunga esperienza in lavori nei rifugi. Ieri lo stato dell'arte del cantiere è stato presentato da Giovanni Curzel e Mauro Campregher, titolari con Paolo Curzel dell'azienda. I lavori sono iniziati il 4 maggio, post Covid e preceduti da alcuni sopralluoghi per la collocazione del cantiere. Il progetto del nuovo rifugio ai Brentei è stato redatto dallo studio dall'architetto Riccardo Giacomelli, che lo ha elaborato in team con altri progettisti e con i tecnici e i dirigenti del Cai di Monza. Il presidente monzese Mario Cossa è salito ieri ai Brentei, per condividere con lo staff che segue ed esegue i lavori l'incontro con la stampa. Il nuovo Brentei, se i lavori proseguiranno con i ritmi attuali, sarà utilizzabile almeno in parte già da metà della stagione 2021. La struttura, come ha ricordato Giacomelli, ceo di Alpstudio, è stata pensata tenendo presente i cambiamenti climatici e la complessità dell'offerta di un rifugio come il Brentei, nel cuore del Gruppo Brenta e alla base di pareti e vette dove si è scritta la storia dell'alpinismo dolomitico. Inoltre il progetto è stato realizzato considerando la possibilità di avere stagioni più lunghe dei classici tre mesi dal 20 giugno al 20 settembre. Proprio i cambiamenti climatici consentono di frequentare le montagne in tarda primavera e agli inizi dell'autunno. 41
In primavera inoltre il nuovo Brentei, creato con una tridimensionalità, potrà offrire ospitalità ai sempre più numerosi sci alpinisti e sarà una struttura modulare. Rimarranno invariati i posti letto, ossia 99, saranno ripulite le facciate in pietra eliminando i volumi aggiunti in legno, con la creazione di una sala da pranzo a sbalzo sulla Val Brenta, dotata di 100 posti, con un'ampia vetrata con vista sul Crozzon di Brenta e sul Canalone Neri. Mario Cossa ha ricordato come i lavori ai Brentei siano possibili grazie al contributo della Provincia di Trento. «Il Cai di Monza - ha detto Cossa - ha pensato e ripensato a come ristrutturare il rifugio condividendolo con i progettisti, i gestori, la famiglia Leonardi e ora in corso d'opera, per alcune migliorie, con Legno House il futuro Brentei. Il progetto prevede la salvaguardia della parte storica, le due sale interne e la collocazione adiacente al rifugio del bivacco che rimarrà dedicato a Catullo Detassis». «I lavori procedono alacremente - hanno detto Curzel e Campregher - siamo stati fortunati con il meteo, che ci ha permesso per esempio di fare nelle giornate programmate i carichi con l'elicottero. Abbiamo terminato il tetto, sul quale in questi giorni si sta ultimando la copertura in lamiera. Sono stati fatti tutti gli sbancamenti e, teniamo a sottolinearlo, tutto il materiale delle demolizioni interne e stato portato a valle e conferito in discarica. Stiamo lavorando alla realizzazione della nuova scala più ampia. Al rifugio lavorano da 12 settimane 7-8 persone a seconda delle necessità, che rimangono in quota per 5 giorni. In funzione del meteo i lavori proseguiranno fino all'inizio dell'autunno». È intervenuto Piergiorgio Pallanch, amministratore delegato di Lagorair, che ha effettuato in questi tre mesi 800 rotazioni, con l'elicottero, un Ecureuil B3, con partenza dalla malga di Vallesinella e che opera con un equipaggio composto da pilota e due coadiutori al servizio del cantiere. Nella fase attuale si predisporranno gli impianti tecnologici, elettrico e idraulico, con riscaldamento a pavimento nel piano terra e nel primo e secondo piano. Per quanto riguarda l'energia elettrica si sta ipotizzando di portare ad alcuni rifugi del Brenta l'alimentazione da valle con una linea elettrica e l'uso di pannelli fotovoltaici o solari termici dipenderà da questa scelta futura.
L'Adige | 28 Luglio 2020
p. 19
Realizzato negli anni Trenta poi ristrutturato e affidato nel 1949 alla gestione di Bruno Detassis
Il primo rifugio, un capanno, fu realizzato negli anni Trenta del secolo scorso da Gigioti Bolza. Negli anni successivi la piccola costruzione divenne rifugio e con lo svilupparsi dell'alpinismo meta dei pionieri dell'arrampicata. Al termine del secondo conflitto mondiale l'alpinismo si sviluppò ed il Gruppo Brenta e le sue pareti divennero teatro di imprese che hanno fatto storia. La struttura venne acquistata da Gian Vittorio Fossati Bellani, industriale tessile e alpinista monzese, che la ristrutturò e la donò al Cai di Monza, che affidò nel 1949 la gestione a Bruno Detassis (1910 - 2007), il re del Brenta. Bruno rimase titolare della gestione fino al 2000, quando passò al figlio Claudio che rimase ai Brentei fino al 2008. Dal 2009 gestisce il Brentei la famiglia di Luca Leonardi, con la moglie Antonella ed i figli Michele e Gabriele. I Leonardi sono consapevoli di avere nella gestione del Brentei una eredità importante, quella del grande uomo e alpinista Bruno Detassis, che ha solcato un secolo di alpinismo e ha fatto del Brentei una scuola di vita. «Siamo consapevoli - dice Michele - di essere parte di questa storia, impegnati a portare avanti i valori della montagna. Il Brentei che si sta realizzando sarà una struttura moderna e accogliente dove entreranno gli alpinisti moderni, noi ricorderemo loro da dove veniamo». U.M.
Trentino | 28 Luglio 2020
p. 18
Il rifugio Brentei «raddoppia»
andrea selvaval brenta l rifugio Alberto e Maria ai Brentei raddoppia: non solo perché avrà una sala da pranzo panoramica a sbalzo sulla val Brenta, con la capienza raddoppiata; non solo perché avrà un bivacco invernale nuovo che l'estate potrà servire come sala polifunzionale; ma anche perché l'obiettivo è quello di tenerlo aperto anche durante la stagione invernale. O meglio: in autunno e a inizio primavera, contando sulle stagioni che non sono più quelle di una volta a causa del cambiamento climatico. E contando anche sulla crescente voglia di andare in montagna tutto l'anno.I lavori in corsoIl cantiere prevede un intervento complessivo di 2,4 milioni di euro (per lo più a carico della Provincia autonoma di Trento) ed è partito in maggio: «L'obiettivo iniziale era di lavorare continuando a tenere aperta la struttura» spiega Mario Cossa, presidente del Cai di Monza. «Ma poi è arrivata l'epidemia Covid a cambiare le carte in tavola. Viste le nuove regole abbiamo deciso di saltare una stagione e dare un'accelerata ai lavori, garantendo nel frattempo un punto di ristoro esterno alla struttura». La nuova tabella di marcia prevede quindi di terminare il grosso dei lavori entro questa stagione, per proseguire con l'impiantistica e con le finiture l'estate prossima quando il rifugio dovrebbe aprire al pubblico».Storia e futuroIl Brentei non è un rifugio qualunque. Aperto nel 1947 (quando venne donato al Cai di Monza dall'imprenditore lombardo Gian Vittorio Fossati-Bellani, che l'aveva costruito partendo da un piccolo capanno), rispetto ad altri rifugi ben più antichi ha una storia tutto sommato recente. Ma questo fu per cinquant'anni il rifugio di Bruno Detassis, custode del Brenta (oltre che del rifugio) in un
luogo dove sono state scritte tante pagine di storia dell'alpinismo trentino. A testimoniare questa storia resterà il corpo originale (con la vecchia sala da pranzo che diventerà un locale dedicato a Detassis) mentre il futuro sarà rappresentato dagli ampliamenti moderni, progettati dall'architetto trentino Riccardo Giacomelli e dall'ingegnere lombardo Emanuele Gramegna. Michele Leonardi, che assieme ai fratelli ha ereditato la gestione dalla famiglia Detassis la vede così: «Forse qualcuno potrà pensare che si tratti di un'architettura ardita, ma tra vent'anni i giovani arriveranno quassù e osservando il panorama dalla vetrata della sala da pranzo diranno semplicemente: che bello».Legno e vetroL'antico contenitore in pietra è stato "svuotato" e riempito con solai e tramezze in legno. A eseguire l'operazione c'è la Legno House di Caldonazzo, con Giovanni Curzel assieme al fratello Paolo e al terzo socio Mauro Campregher. Lavorare a 2.182 metri di quota non è facile: «A maggio ci siamo dovuti fare largo nella neve per partire il prima possibile con i lavori. La speranza è di continuare fino a metà ottobre o anche in più in là» racconta Giovanni Curzel. Il rifugio è servito da una teleferica, che però è assolutamente insufficiente per le esigenze del cantiere. Così l'elicottero della Lagorair, in particolare il lunedì e il venerdì, lavora al servizio della ristrutturazione. La previsione è di effettuare, nell'ambito delle due stagioni di lavori, un totale di 1.600 voli da Malga Brenta Bassa (dove c'è la base a valle del cantiere) fino alla conca della val Brenta in cui c'è il rifugio Brentei. Il progetto originale è passato attraverso una serie di revisioni, anche sulla base delle indicazioni fornite dalla ditta edile che si sta specializzando in interventi di ristrutturazione d'alta quota, in particolare nel Gruppo delle Dolomiti di Brenta.©RIPRODUZIONE RISERVATA
Trentino | 28 Luglio 2020
p. 18
Il presidente del Cai di Monza: «Un progetto coraggioso»
val brenta «Per avviarci in un progetto del genere ci voleva un certo coraggio» spiega Mario Cossa, presidente del Cai di Monza che è proprietario del Rifugio Brentei. «Non solo per il peso finanziario dell'operazione (resa possibile solo dall'intervento della Provincia autonoma di Trento) ma anche perché abbiamo voluto guardare al futuro assieme ai gestori che ritengono giustamente di guardare avanti. Il rifugio ha una storia, ma è giusto pensare un po' più in là: dobbiamo fare tesoro della tradizione e di tutto quello che c'è stato in questo posto, ma dobbiamo pensare in prospettiva. A quello che è adesso, ma anche a quello che sarà nei prossimi anni: è giusto che noi che siamo la parte più vecchia della nostra associazione ci lasciamo influenzare dal pensiero dei soci più giovani, che sanno guardare avanti. Questo processo richiede anche un po' di coraggio». Il rifugio è inserito nell'area del Parco naturale Adamello Brenta che ha dato il via libera al progetto e alle modalità di gestione del cantiere con i voli in elicottero. Il rifugio continuerà ad essere alimentato con un generatore di corrente, mentre l'acqua proviene da sorgenti d'alta quota.
Corriere del Trentino | 28 Luglio 2020
p. 6
Brentei, in due anni nuovo look: «Sconvolgere l’idea di rifugio» Il cantiere sulle Dolomiti del Brenta. Nuova sala da pranzo da 105 posti con vetrate
Tommaso Di Giannantonio CAMPIGLIO Più o meno ogni quindici minuti un elicottero della Lagorai sbuca dal velo di nubi che si poggia sulle Punte di Campiglio, arriva sul grande prato di Malga Brenta Bassa e attende che alcuni operai aggancino alla catena di verricello una vasca metallica contenente infissi, sabbia o cemento. Poi risale per circa mille metri e lascia il carico al Rifugio Brentei a 2.182 metri di quota, dove lo aspettano gli operai di Legno House. Un cantiere — ieri mattina aperto agli organi di stampa — che va avanti ormai da tre mesi e sarà smontato tra massimo due anni, prima dunque dei trenta mesi previsti prima dell’emergenza Covid. Da quasi cent’anni il Rifugio «Maria e Alberto al Brentei» — di proprietà della sezione di Monza del Club alpino italiano (Cai) dal 1947 — è uno dei principali punti di riferimento per gli escursionisti e gli alpinisti che decidono di avventurarsi nelle Dolomiti di Brenta. Più volte oggetto di lavori di ristrutturazione, è passato da essere un piccolo capanno a diventare una baita di montagna, fino a trasformarsi nel secondo dopoguerra in un vero e proprio rifugio. Ma oggi tempi e modi della frequentazione della montagna sono mutati e così anche il rifugio Brentei si appresta a cambiare volto, mirando ad allungare la stagione «estiva» di oltre un mese e offrendo ai visitatori una nuova sala da pranzo da 105 posti (non più 45) con vetrata panoramica. «Il progetto tiene conto sia dei cambiamenti climatici, che stanno mutando la sta gionalità della frequentazione di alcune parti del Brenta, e sia della nuova complessità di offerta dei rifugi di montagna», ha spiegato l’architetto Riccardo Giacomelli dell’Alpstudio, uno dei due progettisti insieme allo studio tecnico associato di ingegneria e architettura di Monza. Un restyling che per l’80 per cento è stato finanziato dalla Provincia di Trento con un contributo di un milione e 844 mila euro (il costo totale dell’opera è di 2 milioni e 200 mila euro) e che in fase di progettazione era già stato al centro delle polemiche. Alcune associazioni ambientaliste come Italia Nostra aveva infatti parlato di una sorta di snaturamento della funzione originaria del rifugio di
montagna. E in effetti, «si tratta di un progetto che sconvolge il rifugio (che mantiene sempre 99 posti letto, ndr )», ha commentato lo stesso Mario Cossa, presidente della sezione Cai di Monza. «Ma è arrivato il momento di pensare a cosa è il rifugio oggi e a quale sarà il suo sviluppo futuro — ha proseguito —. Per questo la ristrutturazione mira ad ammodernare il rifugio Brentei, cercando di mantenere il più possibile la sua parte storica». La vecchia sala da pranzo sarà infatti mantenuta come spazio di convivialità e dedicata a Bruno Detassis, celebre alpinista e storico gestore del rifugio dal 1949 al 2000. Mentre la nuova sala si aprirà ai massicci montuosi con una grande vetrata da cui si potrà scorgere Monte Cevedale e Cima Presanella e ammirare le cime Tosa e Crozzon, Brenta Alta, Brenta Bassa e il canalone Neri. La ristrutturazione dovrà terminare entro due anni, e non quindi tra due anni e mezzo per via dell’emergenza sanitaria, che ha costretto i gestori del rifugio a chiudere completamente la struttura questa stagione, permettendo così un’accelerazione dei lavori. Nell’ambito dei lavori è inoltre previsto lo spostamento del bivacco in un’altra posizione per motivi di sicurezza. «Il rifugio ormai non è più un punto di partenza ma è spesso un punto di arrivo per gli escursionisti», ha sintetizzato Michele Leonardi, che insieme al fratello Gabriele e ai genitori Luca e Antonella gestisce il rifugio Brentei dal 2009.
L'Adige | 13 Luglio 2020
p. 34
La strana estate dei rifugi alpini
ANNIBALE SALSA montagna Un'estate anomala, questa, soprattutto per gli effetti sul turismo. L'imprevedibilità dell'emergenza sanitaria, terribile scacco nei confronti della supposta onnipotenza della scienza e della tecnica, ha colto tutti di sorpresa. La teoria del «Cigno nero», relativa alla presenza di eventi non prevedibili, ha trovato una sua applicazione inaspettata. CONTINUA A PAGINA 38 Riportandoci improvvisamente a riflettere sulla fragilità della condizione umana. Con troppa disinvoltura e sicurezza - due stati d'animo supportati dai cosiddetti «saperi previsionali» - ci siamo congedati dalla studio della storia e della filosofia, antidoti al dogmatismo di ogni tipo, ivi compreso quello tecnocratico. Se guardiamo alla montagna scopriamo che essa, quanto a vivibilità e sicurezza da contagio, possiede vantaggi non riscontrabili in altri contesti territoriali e ambientali. I grandi spazi, utili al distanziamento fisico (non certo sociale!) delle persone, stanno dando qualche speranza alle terre alte le quali, in ogni epoca, hanno dimostrato di possedere una maggiore resilienza rispetto alle terre basse e, soprattutto, alle grandi agglomerazioni urbane. È per queste ragioni che, al sopraggiungere del fatidico anno Mille, la paura delle fine del mondo alimentata dalla dottrina del millenarismo ha fatto scattare una corsa verso i territori montani. La montagna alpina, nel basso medioevo, incominciava ad essere percepita come un luogo più sicuro rispetto all'età antica tendenzialmente oro-fobica. La mobilità delle persone iniziava a privilegiare le vie alte, al di sopra di quei fondovalle che diventeranno le principali vie d'accesso nell'età moderna. Tornando all'oggi, limiti e regole restrittive per prevenire i contagi riguardano anche le strutture di accoglienza in alta quota come rifugi e capanne. A tal proposito, mi piace sottolineare il significato di parole come «rifugio» o «capanna» nelle loro identità di significato e nelle loro differenze etimologiche. Nel primo caso, la parola «rifugio» si trova maggiormente utilizzata nelle Alpi Occidentali italiane e francesi (réfuge), mentre quello di «capanna» ha un più forte radicamento nelle Alpi Centrali lombarde e ticinesi o nel resto della Svizzera sia francofona («cabane»), sia tedescofona (Hutte), oltre che in Sudtirolo, in Austria e in Baviera. A prescindere dalla forma linguistica, il significato di base è comunque sempre lo stesso e rimanda alla funzione del rifugiare, dell'accogliere, del custodire materialmente e simbolicamente chi si avventura per le montagne. Per questi motivi la chiusura dei rifugi, dettata dalle misure anti-covid, poteva apparire inopportuna seppur comprensibile. Il rifugio, infatti, non può respingere chi si trova disperso fra le montagne tant'è vero che esiste, in ogni struttura, un locale accessibile direttamente a chi deve trovarvi rifugio in extremis. Tuttavia, per effetto della riduzione delle misure di distanziamento, si spera che i nostri rifugi/capanne possano assolvere, anche in questa strana estate, quella funzione per la quale sono stati pensati e costruiti: presìdi e sentinelle dell'alta montagna. Ma un pensiero riconoscente deve essere rivolto ai loro eroici gestori che, fra mille difficoltà e sacrifici, tengono aperte le porte all'accoglienza di chi frequenta la montagna. Una curiosità che riguarda ancora i rifugi, scarsamente nota anche fra gli abituali frequentatori delle montagne dell'arco alpino, merita di essere menzionata in quanto dà l'idea della precarietà dell'ambiente alpino. Come noto, le Alpi non sono una catena di montagne che ricade su di un'unica nazione, a differenza degli Appennini. Lo spazio alpino interessa ben otto Stati che dalla Francia a ovest si prolungano fino in Slovenia ad est. Questa configurazione geografica ha sempre creato qualche problema di confine, non soltanto fra nazioni straniere ma anche fra regioni e provincie dello stesso Stato. Tralasciando le guerre che, dal XVIII° secolo, si sono combattute sulle Alpi per stabilire le frontiere sulla linea dello spartiacque principale e che hanno visto passare intere regioni da uno Stato all'altro, in area dolomitica la questione della Marmolada è stata a lungo al centro di un contenzioso amministrativo fra Trentino e Veneto. Passi dolomitici come il Pordoi, diviso per decreto governativo nell'anno 1923 fra Trento e Belluno, ancora oggi vedono la casa alpina del CAI tagliata in due parti dal confine che separa le rispettive regioni con i Comuni di Canazei e Livinallongo. O ancora il Rifugio Europa alla Venna, diviso fra Austria e Italia a est del Brennero e "unificato" a seguito della nascita dell'Europa senza frontiere. Tuttavia pochi sanno che, già da qualche anno, il ghiacciaio del Plateau Rosa fra Cervino e Monte Rosa si sta spostando a causa del parziale scioglimento della copertura glaciale. Questo fatto rischia di veder trasferire il rifugio Guide del Cervino (3480 m) dall'Italia alla Svizzera, dal Comune valdostano di Valtournenche a quello vallesano di Zermatt, come già accaduto per la stazione d'arrivo della funivia del Furggen. Risulta da un recente comunicato di Swiss Info del 18 maggio che è in corso, da parte elvetica,
una verifica sul confine mobile fra i due Stati. Già in un accordo sottoscritto fra Svizzera e Italia nell'anno 2008 si faceva riferimento al concetto di "confine mobile" per la presenza di superfici effimere quali sono i ghiacciai. Intanto, in attesa del pronunciamento da parte della commissione italo-elvetica, i lavori di ristrutturazione del rifugio sono stati sospesi. Tale pronunciamento, previsto per fine maggio di questo anno, è stato rinviato a fine novembre a causa dell'emergenza covid-19, come comunicato dall'Ufficio Federale Svizzero. Le ipotesi ventilate fanno riferimento ad una possibile permuta di superfici alla luce di quanto già successo il 24 luglio 1941 a seguito della stipula di una Convenzione fra Svizzera e Italia destinata, fra le altre cose, a sanare la questione relativa ad una porzione di superficie svizzera su cui insisteva il Rifugio-Capanna Regina Margherita del CAI, il più alto rifugio d'Europa (4554 m) sul Monte Rosa. A questo punto non ci resta che sperare, seppur illusoriamente, che questa strana estate sia meno calda che in passato e che il ghiacciaio arresti così il suo arretramento.
Gazzettino | 15 Luglio 2020
p. 30
Ricognizione area per controllare cantieri, rifugi e presenze turistiche
Un pugno di uomini addestrati e il supporto di un elicottero: con questi mezzi i carabinieri sono riusciti, in solamente 40 minuti, a svolgere controlli e verifiche in montagna. A piedi o in fuoristrada sarebbero servite diverse giornate. I militari della squadra del soccorso alpino della compagnia di Cortina, con il personale di un velivolo del 14. Elinucleo, hanno controllato cantieri in quota, sulla Tofana; hanno verificato i bivacchi Tiziano, Musatti e Fanton, nell'area delle Marmarole, così selvaggia, lontana da vie di comunicazione, impianti e rifugi; si sono accertati dell'eventuale presenza di cordate alpinistiche sulle pareti di Pomagagnon, Cristallo, Tre Cime di Lavaredo, Sorapis, Monte Piana, Marmarole. C'è stato un passaggio al frequentato lago del Sorapis, con il rifugio Vandelli. Per accelerare al massimo le operazioni, i militari sono scesi e risaliti con l'elicottero in hovering, sospeso a pochi centimetri dal suolo, senza dover atterrare. Nei bivacchi sono state accertate le condizioni di manutenzione dei ricoveri e la presenza di viveri, delle scorte essenziali per escursionisti in difficoltà. Sulle pareti rocciose è stata verificata la percorrenza sulle varie vie alpinistiche, se ci fossero persone in difficoltà, ma non è stato rilevato di preoccupante. E' stato fatto anche un controllo sul numero di persone presenti in montagna, anche verificando l'affollamento dei parcheggi delle auto. Al rifugio Auronzo, alla base delle Tre Cime, l'area di sosta per i veicoli è un importante indicatore, ma nella ricognizione dall'alto si è verificato che siamo ancora lontani dal periodo di massima affluenza. (mdib) © riproduzione riservata
Corriere delle Alpi | 19 Luglio 2020
p. 38
«Bivacchi chiusi questa estate e affitti "congelati" ai rifugisti»
PIEVE DI CADORE «Per quest'anno i bivacchi delle Dolomiti», ha affermato il presidente del Cai Veneto, Renato Frigo, «a causa del Coronavirus, non saranno utilizzabili, contrariamente ai rifugi: lì si potrà entrare, dormire e mangiare, anche se la loro capienza è stata ridotta del 60%. Per ovviare a questa minore produttività, a tutti i proprietari dei rifugi che sono in gestione a privati o associazioni è stato chiesto di non chiedere il pagamento degli affitti fino a settembre. Per quanto riguarda i bivacchi, queste strutture sono nate come risorse di emergenza per accogliere una persona in difficoltà o stanca. Bisognerà fare senza». La comunicazione è arrivata al termine dell'incontro che si è tenuto ieri a Pieve nell'ambito della manifestazione "Boschi di carta", organizzato dal Comune per valutare i comportamenti umani in montagna dopo il Coronavirus. All'incontro c'erano il sociologo e filosofo della montagna Annibale Salsa, lo pneumologo specialista in malattie respiratorie e presidente Aimar Stefano Nardini, il direttore di Confindustria Belluno Dolomiti Andrea Ferrazzi e il presidente del Cai Veneto Renato Frigo.È stato quest'ultimo che, parlando dell'intenso lavoro fatto durante la quarantena per valutare la possibilità o meno di tenere aperti i rifugi, ha affermato che «all'inizio della epidemia, quando si è trattato di valutare la chiusura delle attività, priorità era stata data all'economia, con tutti i problemi legati alle chiusure; non appena la situazione è andata sotto controllo, in cima alla lista è stata posta invece la persona umana, con i problemi sanitari da superare per uscire dalla pandemia e salvare vite».L'affermazione di Frigo, se all'inizio non ha sollevato obiezioni, è stata invece contestata successivamente da Andrea Ferrazzi.«Nessuno», ha affermato, «a Belluno ha mai posto in secondo piano il valore della salute dei cittadini. Sono stati giorni molto pesanti», ha aggiunto, «durante i quali non è stato facile pensare alla chiusura delle aziende, ma mai nessuno ha messo in secondo piano la salute. I nostri industriali hanno fin da subito capito che la situazione era grave e sono stati tanto responsabili che hanno fatto tutto il loro dovere per prevedere per i dipendenti le migliori soluzioni di sicurezza prima di riprendere il lavoro. Una conferma di questo comportamento virtuoso», ha concluso, «l'abbiamo avuta durante le ispezioni di controllo effettuate, perché nessuna azienda bellunese è stata mai sanzionata».Molto interessanti anche gli altri interventi dai quali è emerso che solo con un controllo collettivo dei comportamenti sarà possibile convivere senza traumi nel dopo Coronavirus, eliminando sia da parte delle autorità e sia da parte dei cittadini gli eccessi che si sono visti in questi mesi. --vittore doro