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Sommario
Studi in corSo
Divagazioni su un documento d’archivio (Antonio Rodinò di Miglione), 7; Un Dantino manoscritto nell’Archivio Caetani (Davide Fucci), 15; Le sollevazioni dei convittori del Seminario Romano nel primo Seicento (Francesco Franconi), 18; Da un possibile Caravaggio all’Abate Brughi: collezionisimo e committenza dei Pasqualoni (Michele Cuppone), 20; Il carteggio di Carlotta Ondedei Caetani (Ilaria Sferrazza), 26; Dal feudo a Roma: Domenico Fiorentini al servizio dei Caetani (Maria Barbara Guerrieri Borsoi), 30; «Quando son partito da Sezze ho potuto dire con certezza che il numero dei miei amici era maggiore di quanto credevo». Il viaggio elettorale di Onorato Caetani del 1872 (Roberto Battistelli), 36; La coppia imperiale tedesca e la coppia reale italiana al palazzo Caetani di Roma nel 1893, (Michael Matheus) 39
Le collane, 46; Archivio, 48; Attività di formazione, 51; Convegni, concerti, laboratori, 52; Edizioni fuori collana, 59; Finanziamenti e convenzioni, 59; Mostre, 59; Restauri e acquisizioni, 60; Social e sito web, 62; Schede di libri, 63
Studi in corso
Divagazioni su un documento d’archivio
Ogni archivio riserva sempre qualche sorpresa, e l’Archivio gentilizio Caetani non ne è certo avaro; l’intensa e benemerita opera di schedatura informatizzata che ormai sta volgendo a termine, comportandone una sia pur velocissima rilettura di tutti i duecentomila documenti del Fondo generale, si è rivelata ottima occasione per strane e talora divertenti trouvailles.
Qualche tempo fa, da un foglio ripiegato di corrispondenza indirizzata a Francesco IV (1594-1683), autorevole ed austero esponente del casato, grande di Spagna, insignito del Toson d’oro, governatore di Milano e viceré di Sicilia, ha fatto capolino… un fiore essiccato dell’anemone Caetani, varietà da lui appassionatamente coltivata. Questa volta il ritrovamento è molto meno romantico, ma ugualmente stupefacente: si tratta di un foglio (AC, Fondo generale 1598, n. 13074.) con un firmano o decreto del Gran Signore, il sultano dell’Impero turco, debitamente tradotto, datato dall’Imperial palazzo in Costantinopoli il dì x6 della luna Rabiel Achir (Rabi el Awwal) 1007 dopo la morte del n.ro Santo (è da intendersi non la morte di Maometto, ma l’Egira, quando
Maometto abbandonò La Mecca per recarsi a Medina, corrispondente al nostro 622, data d’inizio del calendario islamico basato sull’anno lunare di 354 giorni: quindi il 16 Rabî AlAwwal 1007 corrisponde al 17 Ottobre 1598 del calendario gregoriano). Il documento in realtà non aumenta le nostre conoscenze storiche, riferendosi a fatti noti e più volte pubblicati, ma è interessante per le vicende e i personaggi che ci ricorda, e soprattutto è intrigante la sua presenza qui. Ma eccone la trascrizione:
Copia del comandam.to della concess.ne del Ducato di Nixea, tradotto di lingua turca in Italian
Sultan Mehemet An Figlio di Sultan Murat An Nelli eletti buoni, e seguaci della disciplina, e osservanza di Cristo Carlo Cigala residente in Messina nel fine Iddio elega il meglio. Venendoti il mio imperial comandamen.to, con il mio Imperial segno, e sacro nome saperai come dal prudent.mo valoross.mo fideliss.mo e del mio Imperio ferma Colonna, al quale Ns. Iddio ha concesso la sua gr(atia), Prima Visir Azzem (Azzem = Gran Visir), ed adesso Visir, e capitan tuo fratello Sinam Bassa, il qual Ns. Iddio accresca, e guardi, ha’ mandato alla mia imperiale et eccelsa porta Lettere, dicendo che desiderando egli godere in queste bande Voi, e la sua madre, che vi volessi concedere in vita tua il Ducato di Nixea, come lo teneva e possedeva prima in sua vita Ioseph Ebreo, e fartene
gratia, et a questa richiesta di mia Imperiale libera volontà te l’ho concesso e fatto gr(atia) q(ue)sto giorno X della luna di Rabiel Achir (Rabi al Awwal) MVII di detto Ducato di Nixea in vita tua. Voglio dunque che senza tardare ne indugiare punto te ne debbi venire con tua madre et altri che vorrai nel sud. Ducato di Nixea, acciò quelli popoli non patiscano di governo, et in vita tua goderlo, e governarlo con quella giustizia che si conviene ad uomini timorosi di dio, e così saperai e darai fede al mio Imperial sacro segno. Data nel mio Imperial palazzo in Costantinopoli il dì x6 della luna Rabiel Acsir (Rabi el Awwal) 1007 dopo la morte del n.ro Santo.
Quando ci si è imbattuti in questo foglio, trovandomi come è frequente in Fondazione ed avendo ormai assunto – per deformazione non professionale ma amatoriale – la funzione di prezzemolino in ogni saporita minestra archivistica (come, più o meno tra le righe, mi è amichevolmente rimproverato da qualche autorevole collega), mi è stato sottoposto; e il contenuto ha destato in me una serie di ricordi e connessioni storiche, mentre mi colpiva e non poco la singolarità della sua presenza in archivio.
Ma veniamo in primo luogo ai protagonisti – che mi hanno appunto destato ricordi e connessioni – sia quelli diretti, sia anche quelli indiretti e ovviamente in questo foglio sottaciuti, di cui ci occuperemo in un secondo tempo.
Il primo ovviamente è Sultan Mehemet An Figlio di Sultan Murat An (l’appellativo ‘han’ ricorre con significato di potere o prestigio nel nome di alcuni sultani ottomani): autore
del firmano è Mehmet III, che regnò dal gennaio 1595 alla sua morte a fine dicembre 1603, figlio di Murad III (che aveva regnato dal dicembre 1574 alla morte a gennaio 1595) e pronipote del grande Solimano. Il secondo, e in realtà il personaggio più interessante, è Sinam Bassà o pascià, o meglio Čigala-Zade Yū suf Sinā n pascià (che se vogliamo tradurre sarebbe Yusuf o Giuseppe –nome assunto alla sua conversione all’Islam – figlio di Cigala genovese), col nome da cristiano Scipione Cigala o Cicala (1543/48-1603); personaggio ben noto e su cui si è scritto molto, e anche cantato (v. Gino Benzoni, Cicala, Scipione, DBI vol. 25, 1981, ad vocem; Pippo Lo Cascio, Sinam Baxà alias Scipione Cicala. Il messinese al servizio dei Turchi alla Sublime Porta di Costantinopoli e la cultura musulmana in Europa, Messina, Giambra ed., 2007; e per il contesto familiare e i rapporti col fratello Carlo e le vicende di quest’ultimo Domenico Montuoro, I Cigala, una famiglia feudale tra Genova, Sicilia, Turchia e Calabria, in «Mediterranea – Ricerche storiche», VI, 2009, pp. 277-302; e Fabrizio De André, Sinan Capudan Pascià, in Crêuza de mä, 1984). Solo al terzo posto potremmo considerare il destinatario della lettera, Carlo Cigala, fratello di Scipione, poi signore di Gimigliano e principe di Tiriolo in Calabria, e insieme a lui la madre Lucrezia.
Infine, ma presente nel nostro foglio solo per relationem e quindi più che
un protagonista potremmo dirlo una comparsa, Ioseph ebreo: è un personaggio intrigante e ben noto agli studiosi del Mediterraneo, appartenente ad una famiglia ebrea di origine portoghese convertita al cristianesimo e
poi tornata all’ebraismo, i Mendes o Nasi, famiglia che rivestì importanti ruoli finanziari (e non solo) tra Europa e Impero ottomano: è conosciuto con i nomi di Joao Miguis (o Miquez) o Giuseppe Nasi, banchiere
e agente diplomatico turco, protetto da Solimano il Magnifico e soprattutto dal figlio Selim II ma anche dal nipote Murad III, e promotore anche di un insediamento ebraico a Tiberiade – dove impiantò la coltura del gelso – peraltro non ben riuscito. Qui compare come duca di Naxos (o Nixia) e delle sette isole (feudo vitalizio, come usava nell’Impero turco) ricevuto da Selim nel 1566 che tenne fino alla morte nel 1579 (v. Fernand Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, Torino, Einaudi, 1965, pp. 723-724 e passim, David Abulafia, Il grande mare. Storia del Mediterraneo, Milano, Mondadori, 2016, pp. 423-426). Dalla sua citazione mi si è aperta – prima ancora di averne conferma dalle fonti – la trascrizione in Naxos del toponimo Nicea nella copertina del nostro documento (reca la data 1598 e la scritta Ducato di Nicea, nonché la notazione Consultato da G. Caetani 1929) o Nixea nel testo, che a prima vista mi aveva fuorviato.
Siamo nella seconda metà del XVI secolo: nel Mediterraneo, agli scontri tra flotte delle potenze cristiane – e intendiamo essenzialmente la spagnola cui in certo modo si univa quella della Repubblica di Genova, ormai sotto la piena influenza della Spagna, la veneziana e quella dei Cavalieri ospedalieri gerosolimitani che perduta Rodi nel 1523 avevano ottenuto Malta da Carlo V quale re di Sicilia, prendendone così il nome – con flotte musulmane, la turca o
ottomana, e quelle dei pirati barbareschi che in un modo o l’altro facevano comunque capo alla Sublime Porta, si mischiavano azioni di corsa da parte dei barbareschi ma anche dai Cavalieri di Malta e da galee armate da gentiluomini genovesi o di altre realtà cristiane minori: gli uni e gli altri accusati di pirateria dalla parte avversa.
Tra qualche anno avremo la vittoria cristiana a Lepanto nel 1570 – dove Onorato IV Caetani, nonno del nostro Francesco, si era illustrato al comando dei fanti imbarcati sulle galee pontificie comandate dal cognato Marcantonio Colonna e ne aveva ricavato sia pure dopo anni il prezioso riconoscimento del Toson d’oro – ma se il pericolo turco sembrava essersi dopo Lepanto attenuato, in realtà e almeno per diversi decenni era lungi dall’essere finito.
È in questo scenario di contrapposizione tra due mondi e due fedi, ma anche di analoghi modi di agire, di intrecci, di conversioni ed abiure (e anche se ovviamente le prime presuppongono le seconde, l’accento si pone sulle une o sulle altre, a seconda di chi ne parla) di comodo o necessità spesso, e più volte solo di facciata, in un mare che ci si rivela infine luogo di incontri ancor più che di contrasti, che inizia la storia di Scipione Cigala, che diverrà Čigala-Zade Yūsuf Sinā n pascià e più correntemente Sinam Bassà o pascià.
La famiglia Cigala o Cicala, antichi patrizi genovesi, si era stabilita in un
suo ramo nel regno di Sicilia a Messina, con Visconte, figlio di Carlo e di Catetta Doria, nato nel 1504, che è presente a Messina, tra il 1535 ed il 1543, dove si era stabilito alternando alle attività commerciali e bancarie la più lucrosa «guerra di corsa» nei confronti delle galee barbaresche (e qualche volta anche di quelle di Venezia, eterna concorrente, per non dire nemica, di Genova in Oriente) con due galee da lui armate: si sposò con la figlia di un bey (o governatore) turco da lui catturata in una scorreria nel 1538 e da essa ebbe almeno tre o quattro figli maschi, e tre femmine: due di essi, Scipione nato tra il 1545 ed il 1547 e Carlo nato nel 1556 sono tra i nostri protagonisti. Nel 1561, Scipione giovinetto, imbarcato una galea al comando del padre
Visconte in uno scontro con pirati barbareschi comandati dal corsaro (e ammiraglio ottomano) Dragut, viene catturato insieme al padre e condotti entrambi a Costantinopoli. Visconte secondo alcuni fu riscattato e tornò a Messina ma più probabilmente – rimasto ferito al momento della cattura – morì nel dicembre 1564, nel carcere delle Sette Torri a Istanbul, mentre Scipione, dopo un primo periodo da schiavo nelle galere, dato in dono da Dragut al sultano Solimano, fu destinato al Serraglio. Comincia da qui la carriera del nostro: abbracciata la fede musulmana, già nel 1575 diviene agà dei giannizzeri e l’anno dopo sposa una figlia dell’influente Ahmed pascià e della figlia della ricca «sultana vecchia» Mihrimah, unica figlia di Solimano il Grande, e vedova del ricchissimo Rüstem pascià: rimasto vedovo, ne sposerà nel 1581 la sorella restando quindi legato all’aristocrazia (se così si può chiamare) turca anche se la morte di Ahmed pascià e di Mihrimah ne indeboliranno la posizione. Le sue capacità militari e la sua determinazione lo fanno, nonostante varie traversie, arrivare all’altissimo grado di ammiraglio della flotta turca o Kapudan pascià nel 1591 e governatore o beglerbey «dell’isole, dell’Arcipelago e delle marine»: le sue imprese provocano soprattutto lo sdegno dei baili veneziani che ricollegano questa accanita guerra di corsa verso la Serenissima anche alla sua origine genovese mai rinnegata.
Allo stesso tempo, però, corrono voci su suoi contatti con la maggiore potenza cristiana, la Spagna, anch’essa in qualche modo rivale nei confronti di Venezia, voci aggravate dalla notizia che Carlo Cigala, suo fratello minore, partito nell’aprile del 1593 da Messina, dopo una misteriosa tappa a Ragusa, era giunto, ai primi di settembre, a Costantinopoli, per caldeggiare un atteggiamento neutrale del sultano verso la Spagna, deviandone l’aggressività verso Venezia. Ma l’ambasceria di Carlo ha effetti molto passeggeri, perché la politica turca muta a favore (o almeno, a minor danno) di Venezia e Sinam Bassà con la sua flotta attacca le coste ioniche della Calabria meridionale e giunge nell’agosto 1594 di fronte a Messina, dove chiede gli sia concesso di vedere la vecchia madre, ma non viene accontentato; saccheggia allora Reggio e si dà a sbarchi e scorrerie sulle coste, ma i Veneziani (e forse non a torto, a pensar male si fa peccato ma s’indovina) temono che sia piuttosto fumo negli occhi; a Reggio la popolazione ebbe tempo e modo di mettersi in salvo, con i loro averi, e la flotta spagnola comandata da Giannandrea Doria arrivò con gran ritardo: forse la missione di Carlo qualche effetto l’aveva riportato. Intanto, tornato a Costantinopoli – nelle alterne e tumultuose vicende della politica turca – il nostro Sinam Bassà cade in disgrazia e perde il capitanato del mare; ma anche questa volta le sue capacità militari lo fanno ‘risorgere’:
nel 1595 è di nuovo Kapudan pascià, e nell’ottobre 1596 è nominato gran visir (vezir-i-azâm) collocandosi, così, al vertice della gerarchia ottomana, per essere retrocesso a visir restando Kapudan poco dopo.
Sinan Bassà intanto, grazie a visite del fratello, riceveva notizie dei familiari rimasti a Messina e più volte manifestò il desiderio di incontrare l’ormai anziana madre. Infatti, da documenti, conservati nell’Archivio Segreto Vaticano (Nunziatura di Napoli), abbiamo preziose informazioni sulla corrispondenza intercorsa tra Sinan Bassà e il pontefice Clemente VIII, con il viceré duca di Maqueda e, tramite questi, con la madre, oltre che sugli incontri sempre più frequenti con il fratello Carlo. Infine grazie all’intervento anche di Clemente VIII – che sperava in un ritorno di Sinan Bassà alla fede cristiana, con conseguenti ripercussioni sulle mire espansionistiche ottomane – cui si era rivolta tramite due nipoti gesuiti, Antonio e Vincenzo Cigala, Lucrezia riuscì ad incontrare il figlio nel settembre 1598: Sinan ricevette la madre con i congiunti sulla sua galea ancorata con la flotta ottomana nello Stretto di Messina, di fronte a Pellaro, e anche qui dell’incontro si dettero diverse versioni o interpretazioni, da parte cristiana ventilando la conversione del pascià, da Sinan invece di aver cercato di convincere il fratello, e più tardi dirà di tutta la famiglia, a farsi turco (vedi Ilario Rinieri, Clemente VIII e Sinan Bassà Cicala: studio stori-
co secondo documenti inediti, «Civiltà Cattolica», Roma 1898).
Ma è solo una parentesi, riprendono scorrerie, abbastanza fiacche peraltro, sulle coste calabresi nel 1599, ma nel settembre di quell’anno vi è il suo coinvolgimento nella cosiddetta «congiura di Calabria». Anche se le versioni del tempo son diverse, e si ingigantiscono nella corrispondenza delle autorità spagnole e dei diplomatici, sono indubbi i rapporti almeno con Maurizio de Rinaldis, capo militare della congiura, se non con lo stesso Campanella; ma la pronta e spietata repressione spagnola affidata a Carlo Spinelli, principe di Cariati, manda a monte il piano, e nel settembre Sinan Bassà, con la flotta dinanzi a Stilo, attende invano segnali che lo spingano ad intervenire sbarcando sulle coste calabresi, e deve rientrare a Costantinopoli. Tra questi due episodi si incunea il nostro documento, il cui contenuto era già noto alle fonti dell’epoca, e forse da posticipare al gennaio dell’anno seguente, se vogliamo credere ad un dispaccio del bailo veneto Girolamo Capello del 15 luglio 1600 in cui riporta copia della corrispondenza tra i fratelli Cigala ed addirittura la lettera del sultano, in data 25 gennaio 1599, con la quale concesse a Carlo il ducato di Nixia o Naxos «in sua vita con pato però di portar la madre in queste bande» in un testo sostanzialmente identico al nostro documento, tanto da far pensare che questo possa essere un Avviso di quelli che cir-
colavano all’epoca, precursori delle prime Gazzette (dispaccio riportato dal Rinieri, pp. 78-79 e fino a p. 87; la corrispondenza dei baili veneziani a Costantinopoli in Archivio di Stato di Venezia, Dispacci del bailo di Costantinopoli al Senato, filza 51 ad annum). E dal tenore della corrispondenza emerge, da un lato, l’eco degli avvenimenti calabresi e del ruolo giocato da Sinan, e dall’altro il coinvolgimento del re di Spagna nell’accettazione dell’investitura di Nixia da parte di Carlo. E a comprova di un Mediterraneo luogo di incontri e incroci ancor più che di contrasti, non ci resta che fare un altro breve accenno agli interventi di Clemente VIII, e alla corrispondenza di questi con i cugini Vincenzo e Antonio Cigala gesuiti, recatisi nel maggio 1600 a Nixia a parlar con Carlo e con Sinan Bassà, in ordine all’ipotetica auspicata conversione di Sinan e a grandi concessioni da fargli di territori ottomani che lui avrebbe recuperato.
Nel febbraio 1606, dopo varie traversie, Sinan Bassà muore, e già prima la concessione del ducato di Nixia a Carlo sembra essersi vanificata.
Breve meteora in Oriente, i genovesi Cigala! Dureranno ben di più nel regno di Napoli.
Ma torniamo al nostro documento: ho cercato inutilmente di ricostruire come questo foglio – quand’anche sia uno degli Avvisi circolanti all’epoca – fosse finito nell’Archivio Caetani; a questo punto entrano in gioco due protagonisti indiretti e sottaciuti.
Possibile che la vicenda abbia interessato Francesco Caetani, viceré di Sicilia dal 24 settembre 1662 al 9 aprile 1667, che durante la sua carica riprese l’antica consuetudine di alternare la presenza tra le due maggiori città del Regno, Palermo e Messina, confermando e concedendo privilegi a quest’ultima? Ma eran passati più di 60 anni, e ad essere di bocca buona potrebbe trattarsi di un interesse molto postumo per vicende che avevano interessato Messina: e quindi la sua presenza come viceré, lungi da essere una prova è tuttalpiù uno sbiaditissimo indizio, e il mistero continua… Ho ragionato anche su altre possibili connessioni: Francesco IV, oltre ai legami con Messina dove la famiglia Cigala continua ad essere presente, nel 1641 diventa un feudatario calabrese, come qualche decennio prima i Cigala, acquistando il ducato di San Marco (oggi San Marco Argentano in provincia di Cosenza). Da parte sua, nel luglio 1610, Carlo Cigala, come abbiamo visto prima, aveva acquistato la Terra di Tiriolo e quella di Gimigliano, in Calabria Ultra, nell’immediato hinterland di Catanzaro, centro primario per il commercio e la lavorazione della seta. Che Francesco IV, a conoscenza delle vicende dei Cigala già da Messina, abbia provato la curiosità di saperne di più delle strane vicende di Carlo – di cui potremmo dire, era divenuto… collega – tra Naxos, Istanbul e la Calabria? E che a questo si debba la presenza del documento oggetto delle nostre
divagazioni nell’Archivio Caetani? Anche questo secondo collegamento non solo non può essere considerato una prova; ma al massimo un altro ancor più sbiadito indizio, e il mistero continua…
Ultima connessione, arrampicandosi un po’ sugli specchi: Tommaso Campanella, l’altro protagonista sottaciuto, frate domenicano, e tra i maggiori filosofi italiani con Bernardino Telesio e Giordano Bruno; ma anche… (e mi si perdoni questo linguaggio attualizzante) agitatore politico. È legato al nostro Sinan pascià, e lo abbiamo visto, per essere stato costui coinvolto nel 1599 nella «congiura di Calabria» ad opera di Maurizio de Rinaldis e – anche se sempre negò – dallo stesso fra’ Tommaso che della congiura era promotore o quanto meno «padre spirituale»; e al tempo stesso è doppiamente legato alla famiglia Caetani: per una sua lettera al cardinal Bonifacio del 1616 (cfr. Tommaso Campanella, Lettere, a cura di Germana Ernst, Olschki, 2010), di accompagnamento all’Apologia pro Galileo, e altra del 31 marzo 1621 (cfr. AC, Fondo generale, 1621 marzo 31, n. 1862) ma anche e soprattutto per la presenza nella quadreria Caetani del ritratto del nostro, opera di Francesco Cozza (vedi da ultimo Duccio K. Marignoli, 22. Ritratto di Tommaso Campanella, in Duccio K. Marignoli e Giovanna Sapori, a cura di, Fondazione Camillo Caetani. La Collezione, Dipinti. Sculture. Disegni, Roma, De Luca Ed. d’Arte, 2024, pp.
131-133, con bibl. precedente). Sappiamo che la presenza del ritratto in casa Caetani non ha una sicura origine, ma probabilmente fu donato dal sacerdote Antonio Papa, che lo aveva avuto dal Cozza, di cui era parente e esecutore testamentario, in vista –o meglio nella speranza – della sua nomina a vescovo di San Marco, avvenuta nel 1685, per la quale nomina poteva contare l’appoggio del feudatario, che alla data doveva essere più che Francesco IV, o il figlio Filippo II, il nipote Gaetano Francesco, che portava il titolo di duca di San Marco per anticipata successione del nonno. A questo punto, tanto più che il nostro Francesco, morto nel 1683, scompare forse troppo presto dalla scena, l’ipotesi che i legami di Campanella, di cui si aveva allora il ritratto, con Si-
nan Bassà abbiano in qualche modo a che vedere con la presenza del nostro documento nell’Archivio Caetani, è ancor meno di uno sbiaditissimo indizio, direi solo una coincidenza (e con buona pace di Perry Mason, ‘l’avvocato del diavolo’, le mere coincidenze esistono!). E il mistero continua… Ma è arrivato il momento di chiudere la nostra ricerca, che spero di riprendere e approfondire in altra sede: se possiamo rallegrarci che il documento ci abbia stimolato a curiose (e spero interessanti) divagazioni tra la storia del Mediterraneo e vicende familiari, in primis di casa Caetani, dobbiamo riconoscere di non aver risolto – almeno finora – il mistero della sua presenza nell’archivio!
a ntonio rodinò di M igLionE
Un Dantino manoscritto nell’Archivio Caetani
Da quando il portiere Osvaldo Carpifave, nel 1976, pose fine ai suoi trentatré anni di latitanza sottraendolo alla compagnia di polvere e «caffè non tostato (…) del 1941», il manoscritto della Commedia oggi conservato a Roma nell’Archivio Caetani, conservato dalla Fondazione Camillo Caetani, ha avuto alterne fortune: all’immediato interesse suscitato dal ritrovamento –e alla necessità di spiegare la supposta
ma dubbia paternità ficiniana delle note a margine – rispose la monografia di P. O. Kristeller (1983), corredata degli autorevoli pareri di A. C. de la Mare (1981) e Augusto Campana (1981), seguita però da una parentesi di oblio che il manufatto subì fino all’inizio del nuovo millennio.
Le pubblicazioni in preparazione a nuove edizioni del poema dantesco quali quelle di Sanguineti (2001) e
Inglese (2016), unite al rinnovato interesse dovuto all’approssimarsi del settimo centenario dalla morte del Poeta, hanno favorito un riavvicinamento critico a tutto tondo verso il codice Caetani: all’inizio del millennio Pomaro (2001) arricchiva dei marginalia di Ricc. 1031 – codice in minuscola cancelleresca, collocato da Boschi Rotiroti (2004) all’ultimo quarto del XIV secolo – la produzione del copista Caetani, cui da Witte (1862), a suo tempo, era stata attribuita la stesura di Laur. 90 sup. 132; Bertelli (2007), confermando il parere di Witte e la novità di Pomaro, rinnovava la descrizione degli elementi codicologico-paleografici e proponeva di identificare il copista con Luigi di ser Michele Guidi, le cui figura e opera erano appena state brillantemente ricostruite da Teresa De Robertis (2006); la stessa, nel 2016, negava risolutamente quest’identificazione, rigettando i connotati dell’uomo dietro alla penna nell’oscurità.
In ultimo, in una tesi di laurea condotta sotto la supervisione di
Riferimenti bibliografici
Marco Cursi presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Roma “La Sapienza”, Valentina Fele si è interessata al codice Caetani, rendendo nota, sul bollettino 2016-2017 della Fondazione Caetani, l’identificazione di «un gran numero di carte palinseste» –come già Gelasio Caetani e l’expertise di Campana avevano rilevato.
Inserita in un piccolo corpus assieme ad altri diciannove – dei più di ottocento – esemplari manoscritti dell’opera dantesca, selezionati sul criterio della piccola taglia (somma di altezza e larghezza del manufatto), la Commedia Caetani è oggi oggetto di ricerche di ambito paleografico-codicologico da me condotte all’interno di una tesi di laurea magistrale presso l’Università di Napoli Federico II, ancora sotto la supervisione di Marco Cursi.
In questa sede possono già essere resi noti alcuni piccoli risultati: da una parte, si confermano l’identità della mano che verga corpo testuale, chiose e varianti marginali, la presenza di almeno un foglio palinsesto in ogni fascicolo, l’attribuzione al copi-
Barbi M. 1932, La lettura di Benvenuto da Imola e i suoi rapporti con altri commentatori: I. Il ms. Ashburnhamiano 839 e il cod. Caetani, in «Studi danteschi», XVI, pp. 137-56.
Bertelli S. 2007, La Commedia all’antica, Firenze, Mandragora, pp. 55-56, 132, 158.
Campana A. 1981, Osservazioni sul codice Caetani della Commedia, in O. Kristeller (a c. di), Marsilio Ficino letterato e le glosse attribuite a lui nel codice Caetani di Dante, Roma, Tipografia Città Nuova, pp. 65-76.
de la Mare A. 1981, Parere della Signorina Albinia de la Mare della Bodleian Library, Oxford, sul Codice Caetani di Dante e le sue glosse (26 giugno 1979), in O. Kristeller (a cura di), Marsilio Ficino letterato e le glosse attribuite a lui nel codice Caetani di Dante, Roma, Tipografia Città Nuova, pp. 63-64.
sta Caetani di Laur. 90 sup. 132 e delle varianti e integrazioni di Ricc. 1031, nonché l’impossibilità di attribuire le copie a Luigi di ser Michele Guidi; dall’altra, sembrerebbe potersi delineare una successione cronologica fra i tre manufatti finora assegnabili al nostro copista.
Uno spoglio sistematico delle integrazioni e delle varianti presenti sui tre codici suggerisce che il manoscritto Caetanense si collochi esattamente nel mezzo fra la raccolta di variae lectiones registrata nel Ricc. 1031 ed il codice Laurenziano; la quasi totalità delle variae lectiones del primo dei due codici fiorentini, infatti, compare a testo sia del secondo sia del Caetani, ma, allo stesso modo, la maggior parte delle varianti annotate nel Caetani o viene recepita dal testo laurenziano oppure ne compare a margine, a sua volta sotto forma di varianti testuali, o ancora è sì recepita a testo da Laur., ma con la corrispondente lezione del Caetani annotata come variante.
Nella maggior parte dei casi, il Caetanense segnala in margine varianti che erano presenti nel testo di Ricc. e sarebbero comparse anche in quello di Laur.; in numerosi altri, la lezione caetanense è in accordo con Ricc., ma sarebbe poi stata la variante corrispondente annotata in margine ad essere scelta dal copista per il testo di Laur.; in soli tre casi, invece, una variante del Caetani non è in alcun modo legata né alle lezioni di Ricc. e Laur., né alle variae lectiones presenti nei rispettivi margini.
Queste e ulteriori verifiche, non presentabili in questo luogo a motivo di brevità, inducono a ritenere che il copista Caetani non fosse un semplice operatore amanuense, ma un vero e proprio ‘editore’ antico del testo dantesco che trascriveva per sé: l’apparato di chiose presente nel Caetani basato sull’edizione ashburnhamiana del commento benvenutiano, le varianti e integrazioni attestate anche su Ricc. e Laur., ed il loro rapporto fra sé e le diverse lezioni a testo, testimoniereb-
De Robertis T. 2006, I percorsi dell’imitazione. Esperimenti di littera antiqua in codici fiorentini del primo ’400, in I luoghi dello scrivere da Francesco Petrarca agli albori della società moderna, Spoleto, Fondazione CISAM, pp. 109-134.
De Robertis T. 2016, I primi anni della scrittura umanistica. Materiali per un aggiornamento, in R. Black, J. Kraye, L. Nuvoloni (edd. by), Palaeography, Manuscripts Illumination and Huamanism in Renaissance Italy: Studies in Memory of A. C. de la Mare, London, University of London Press, pp. 55-86: 60
Inglese G. 2016, Dante Alighieri, Commedia, revisione e commento a cura di G. Inglese, Roma, Carocci.
Pomaro G. 2001, Analisi codicologica e valutazioni testuali nella tradizione della Commedia, in Per correr miglior acque. Bilanci e prospettive degli studi danteschi alle soglie del nuovo millennio, II, Roma, Salerno Editrice, pp. 1055-1068: 1062-1063.
Sanguineti F. 2001, Dantis Alagherii Comedia. Edizione critica per cura di Federico Sanguineti, Firenze, SISMEL.
bero così un lungo processo di collazione, di cui fanno fede l’evoluzione stessa della mano e degli usi grafici del nostro copista – in particolare l’oscillazione fra gli allografi di d, e il passaggio dalla nota tironiana 7 all’ & – e le varianti innovative del Caetani recepite dal codice Laurenziano.
Il nostro uomo, d’altronde, sarebbe stato autore di un lavoro tanto valido che ancora Karl Witte e Michele Barbi (1932) gli riconobbero, secoli dopo, l’ottima qualità testuale dei suoi prodotti.
davidE Fucci
Le sollevazioni dei convittori del Seminario Romano nel primo Seicento
Tra i manoscritti dell’archivio Caetani custodito dalla Fondazione Camillo Caetani troviamo carte relative a due episodi che nel corso della prima metà del Seicento destarono un certo scalpore nel contesto educativo romano, e non solo. Si tratta delle rivolte dei convittori del Seminario Romano, al tempo gestito dai gesuiti, del 1631 e del 1647.
Le carte in questione comprendono il racconto La Revolutione del Seminario Romano in tempo di Urbano VIII Barberino (ovvero quella del 1631), a cui segue La revolutione del Seminario Romano seguita nell’anno 1647. Lo studio di queste carte si inserisce nell’ambito del progetto di dottorato in corso presso Sapienza Università di Roma sotto la direzione della prof.ssa Elena Valeri e del prof. Emanuele Colombo, concernente il Seminario Romano nel suo primo secolo di attivi-
tà. La ricerca vuole soffermarsi sia su alcuni sviluppi caratterizzanti di lungo periodo (accennati nelle righe seguenti), sia sull’autorappresentazione identitaria che mediante il racconto dell’istituto i padri della Compagnia elaborano dell’ordine stesso.
Fondato su iniziativa di Pio IV nel 1565 come modello per i nuovi seminari tridentini, il Seminario Romano assunse una forma ibrida in cui all’educazione dei futuri preti venne affiancato un convitto d’educazione per giovani nobili, che riuscì a coinvolgere le più rinomate famiglie di tutta la penisola. Tramite diversi tipi di fonti, per lo più conservate negli archivi della Compagnia, è possibile ricostruire il contesto sociale dell’istituto, in cui compare all’appello il nome di diversi membri della famiglia Caetani (sia tra gli alunni che tra i numerosi ospiti delle iniziative teatrali da questi messe in scena).
L’aspetto del collegio nobiliare assume un peso sempre maggiore nel corso del Seicento sia nell’organizzazione della vita interna, che nell’autorappresentazione elaborata dai padri del Seminario. La presenza dei convittori nobili si rivela ben presto problematica per la definizione di un equilibrio interno con la «componente clericale», come dimostrano rivolte ed episodi violenti sia tra gruppi di giovani che tra studenti e gesuiti. In fondo il fine originario del Seminario non venne mai formalmente accantonato, influenzando regole e attività interne mal sopportate dalla componente aristocratica (che spesso nutriva ben altre ambizioni rispetto alla carriera ecclesiastica). Di sicuro interesse è quindi lo studio dell’organizzazione disciplinare, di cui le rivolte narrate nei documenti sopra citati rappresentano gli episodi di maggior gravità. Non entrando troppo nel dettaglio dei fatti, la sollevazione del ’31 viene ricondotta a una congiura ordita da un gruppo di convittori in seguito all’espulsione di uno studente dopo alcune tensioni con un prefetto di camera. L’evoluzione dei fatti porta alla fuga del rettore e alla presa di possesso della struttura da parte dei giovani, cosicché si renderà necessario l’intervento delle autorità cittadine per riappacificare la situazione. La seconda rivolta ha dinamiche simili. In seguito a presunte ingiustizie che vedono protagonista qualche convittore, sarà organizzata una sommossa da cui scaturisce nuovamente la fuga
di alcuni padri seguita da quella degli stessi giovani, che si andranno a rifugiare in palazzi di fiducia della città. Dell’eco che produssero questi eventi danno testimonianza le numerose carte, manoscritte e a stampa, rintracciabili negli archivi. Da un confronto momentaneamente in corso con altre fonti è possibile attribuire il racconto relativo al 1631 ad Agostino Mascardi, rinomato intellettuale del tempo, che in questa occasione si firma come Leonardo Nardino di Nardo. Si trattava dunque di una produzione inserita nell’ambito dell’antigesuitismo del tempo, in cui la parte del torto viene fatta ricadere sui padri del Seminario. Se il testo del Mascardi ebbe un discreto successo a livello di circolazione, lo stesso non si può dire della risposta dell’ordine. Al momento, infatti, le uniche carte che ho potuto ritrovare sono manoscritte, e non elaborano un racconto definito ed ‘ufficiale’ in grado di contrapporsi a quello degli antagonisti. Queste produzioni vengono dichiaratamente inquadrate come una risposta agli scritti diffamatori circolanti, e sembrano più destinate ad una lettura interna alla Compagnia e alle autorità ecclesiastiche. Qui le colpe maggiori ricadono sui giovani convittori, e lo svolgersi dei fatti assume dinamiche differenti e meno retoriche rispetto ai libelli prodotti al di fuori dell’ordine gesuita.
In particolare le fonti gesuitiche indicano negli autori di tali voci i protestanti d’oltralpe, spostando lo scontro su un terreno confessionale
di portata europea. Come studiato da Sabina Pavone, sono d’altronde questi gli anni in cui si rafforza il fronte polemico antigesuita in tutto il continente1 Dato il prestigio del luogo, popolato da influenti famiglie nobili italiane ed europee, attaccare il Seminario e la sua gestione poteva essere un’efficace via per gettare in discredito l’intero ordine. Proprio sulla caratterizzazione cetuale faceva leva il titolo del secondo libello, rin-
tracciabile a stampa come La nobiltà difesa per la precipitosa riforma del Seminario Romano. Nel complesso si tratta di interessanti vicende che evidenziano il collegamento della storia del Seminario ai più ampi fenomeni storico-religiosi d’età moderna, di cui la riflessione degli studiosi dovrà tener conto ai fini di una sua corretta interpretazione.
FrancESco Franconi
1 S. Pavone Giano bifronte: la Compagnia di Gesù fra Imago primi saeculi (1640) e antigesuitismo secentesco, in T. M. Mc Coog (a cura di), Ite inflammate omnia. Selected historical papers from conferences held at Loyola and Rome in 2006, Roma, Institutum Historicum Societatis Iesu, 2010, pp. 229-254; e Ead. Le astuzie dei gesuiti. Le false Istruzioni segrete della Compagnia di Gesù e la polemica antigesuita nei secoli XVII e XVIII, Roma, Salerno Editrice, 2000.
Da un possibile Caravaggio all’Abate Brughi:
collezionismo e committenza dei Pasqualoni
Presso la Fondazione Camillo Caetani, nell’Archivio Giustiniani Bandini (d’ora in poi GB), si conservano importanti documenti relativi ai Pasqualoni, e più in particolare quelli relativi al ramo di Lorenzo (GB, sez. amministrativa, bb. 396, fasc. 1943, 397, fasc. 1944; Fig. 1).
Originari di Accumoli e presenti a Roma dall’inizio del XVII secolo, molti di loro furono uomini di legge. Una figura di spicco fu Domiziano, che nel 1647 ottenne il patronato del-
la cappella di San Carlo Borromeo in San Lorenzo in Lucina. Presbitero e giureconsulto sono i titoli con cui egli era ricordato nell’epitaffio, abraso come tutti gli altri con i restauri del 1858, quando i Vigneri subentrarono nel patronato del sacello. Grazie anche alle trascrizioni pubblicate da Pier Luigi Galletti nel 1760 sappiamo che i busti marmorei raffigurano, oltre a Domiziano, il padre Fulvio e il fratello Aureliano, entrambi giureconsulti, e il fratello medico Pompo-
nio. Probabilmente andrà individuato in uno dei due centrali il ritratto del fondatore della cappella, collocato «dalla parte della epistola» secondo gli annali della famiglia (GB, sez. amministrativa, b. 397, fasc. 1944, vol. 2).
Di Domiziano va ricordata un’antica amicizia con Agostino Tassi, di cui fu avvocato e dal quale acquistò diverse opere, prima di finire in tribunale nel 1619, con il secondo che arrivò ad accusare il primo di aver tentato di assassinarlo (P. Cavazzini, Painting as Business in Early Seventeenth-Century Rome, University Park 2008, pp. 133-134). Nella collezione dell’illustre giureconsulto e presbitero figurava in particolare «un quadro di prospettiva grande del Tasso rappresentante l’imbarco di S. Elena imperatrice in tela di 7 e 5 [palmi] creduto del Tintoretto stimato scudi 120», il cui ultimo proprietario noto, nel settembre 1726, è Carlo Felice (GB, sez. amministrativa, b. 396, fasc. 1943, voll. 1, cc. 132v, 135v, 210r, 4, c. 31r).
La storia del «Cristo flagellato alla colonna» attribuito a Caravaggio acquisito da Domiziano è stata approfondita da chi scrive nell’ambito di una ricerca, i cui esiti sono pubblicati in Scritti in onore di Alessandro Zuccari. Contributi inediti, a cura di P. di Loreto, Roma 2024. Si presentano qui alcune novità per le quali, quando non è specificata altra fonte, il rimando implicito è agli annali compilati da Benedetto Pasqualoni per gli anni 1520-1732.
Nel 1650, due anni dopo la morte di Domiziano, vi fu una prima divisione dei suoi dipinti fra i pronipoti. A seguito di liti, essa fu ripetuta dopo alcuni anni e curiosamente, estraendo sempre a sorte, entrambe le volte il Cristo alla colonna toccò a Lorenzo, che morì nel 1704. L’opera ricompare nel 1710 nella collezione del fratello superstite Giovanni Battista, descritta come «un quadro in tela di sette, e cinque [palmi] con cornice dorata liscia rappresentante Nostro Signore alla colonna». Il dipinto è menzionato per l’ultima volta l’11 ottobre 1714, in relazione a un’asta pubblica (Archivio di Stato di Roma, d’ora in poi ASR, Notai dell’AC, vol. 3275, c. 193rv). Da una rilettura del documento appare che ad aggiudicarsi il quadro – insieme a più di altri duecento pezzi, pagati 700 scudi – furono il conte Angelo Odoardo Bernabei e la moglie Costanza Cecilia Colomba Pasqualoni, nipote di Giovanni Battista.
Non è possibile stabilire con precisione quando avvenne la seconda divisione dei dipinti (GB, sez. amministrativa, b. 396, fasc. 1943, vol. 1, cc. 135r-136v). Chi scrive ha pensato inizialmente al novembre 1675, quando in effetti vi fu una «divisione di mobili, case, censi, e possessioni» ancorché, a ben vedere, essa riguardava il solo territorio accumolese e nel relativo atto notarile non si accenna ai quadri (Ivi, cc. 97r-103r). La questione, piuttosto complessa, sarà approfondita in altra sede, ma si può
Aureliano 1571 - 1636
Filippo 1601 - 1650
Fulvio 1631 - 1679
Lorenzo 1634 - 1704
Properzio 1637 - 1697
Filippo
Giuseppe 1676 - 1681
Fulvio 1541 - 1612
Pomponio 1572 - 1646
Giovanni Battista 1640 - 1712
Pomponio ? - ante 1600?
Lorenzo ? - ?
Giovan Francesco ? - ante 1600?
Properzio ? - 1595/96
Domiziano 1575 - 1648 ? ? - ante 1595
Carlo
Pomponio 1647 - 1693
Fulvio 1683 - 1683
Giovanni 1608 - 1611
Filippo Giacomo 1692 - 1693
Gabriele 1768 - 1771
Antonio 1726 - 1732
Giovanni 1639 - 1713
Filippo? ante 1587 - ?
Giuseppe
Aureliano 1641 - 1642
Andrea Flaviano 1702 - 1703
Domiziano 1727 - 1818
Benedetto 1771 - post 1788
Fig. 1. Albero genealogico della famiglia Pasqualoni.
anticipare che le assegnazioni appaiono effettuate tra il 14 maggio 1675 e il 1676-1677.
A complicare le cose, vi è traccia di una «nova divisione delli quadri et altri mobili ereditarii del medemo [Domiziano], che si trovavano sino dalli 28 8bre 1677» (Ivi, c. 159r). Ad ogni modo, la divisione nella quale Lorenzo divenne per la seconda volta proprietario del Cristo alla colonna, proprio per essere l’unica riportata – e descritta analiticamente – nelle carte dell’Archivio Giustiniani Bandini, corrisponde con ogni probabilità a quella definitiva. Avrebbe avuto meno senso, del re-
Andrea 1614 - 1675
Domiziano 1666 - 1715
Benedetto 1703 - 1753
Giovanni 1731 - 1778
Pompeo 1734 - 1738
Carlo 1775 - 1777
Paolo 1778 - 1791
Domenico
Antonio 1668 - 1714
Carlo Felice 1711 - post 1747
Egidio 1738 - 1739
Luigi (Giuseppe) 1776 - 1777/78?
Pietro 1740 - 1811
Fulvio 1777 - 1778
Luigi 1746 - 1754
Luigi Innocenzo 1778 - 1780
sto, conservare memoria solo di decisioni superate.
La tela, come detto, ricompare nell’inventario del 1710 di Giovanni Battista, quando abbandonò Roma e la sua ricca quadreria gravato da ingenti debiti. In tale occasione il Cristo alla colonna, stimato 300 scudi nella divisione del 1650 e in quella successiva, pur restando il pezzo più prezioso della collezione fu valutato 70 scudi. La nuova stima fu fatta da due pittori accademici di San Luca, Benedetto Luti e Giovanni Paolo Melchiorri, lontani da un certo gusto per la pittura caravaggesca che invece dovette avere Domiziano, il quale, fra gli altri,
Properzio 1779 - 1804
possedette quadri di van Honthorst, Spadarino, Gentileschi e Caroselli.
Tenendo conto del valore complessivo di 800 scudi dei dipinti che, nel 1713, erano stati assegnati prioritariamente alla cognata Costanza Fabiani, furono quasi una ventina i soggetti con i quali l’avvocato aveva contratto un debito, per un totale superiore a 15.000 scudi (ASR, Tribunale dell’AC, vol. 4692, c. 207r). Fra questi compaiono il conte Bernabei e la moglie Costanza Cecilia Colomba Pasqualoni, che non aveva ricevuto i quattromila scudi della dote promessi nei capitoli matrimoniali dagli zii Giovanni Battista e Lorenzo. Nell’agosto 1714 la coppia si aggiudicò all’asta l’abitazione dell’avvocato in angolo tra via della Croce e via Belsiana, acquistata da Domiziano nel 1622 (ASR, Depositeria urbana, bb. 90, vol. 1, c. 30, 101, 330). Con il suo valore di seimila scudi l’immobile superava abbondantemente il credito dotale di Costanza Cecilia. Contestualmente, il marito conte si accollò alcuni debiti di Giovanni Battista e nel 1719 la casa fu venduta a Giovanni Leoni. Ancora oggi sul cornicione e sull’ingresso di via Belsiana campeggiano i simboli araldici dei Pasqualoni, il cui stemma è costituito da tre monti con un genio che stringe nella mano sinistra tre spighe di grano e nella destra un cartiglio con il motto Soli Deo.
Per quanto riguarda le committenze dirette, sono documentati due dipinti richiesti per la chiesa accu-
molese di Santa Maria della Misericordia: un soggetto ignoto per il quale Properzio, zio di Domiziano, nel 1586-1587 versò a «messer Rocco pittore» due acconti, e un «quadro di S. Anna» destinato specificatamente all’altare di famiglia, pagato nel 1598 a tale Marc’Antonio Acquastruccio dai fratelli di Domiziano (da Aureliano su mandato di Pomponio).
Jacopo Curzietti ha pubblicato alcuni acconti, per un totale di 126 scudi, che lo scultore Giovan Francesco de Rossi ricevette tra il 1648 e il 1657 dall’eredità di Domiziano per i suoi lavori nel sacello di famiglia in San Lorenzo in Lucina. Il primo pagamento è da riferirsi ai busti di Pomponio e Domiziano e grazie agli annali si può precisare anche che gli ultimi due (16 e 10 scudi) sono relativi a degli «angeli in marmo». Inoltre, tra il 6 maggio 1661 e il 17 marzo 1668 lo scultore continuò a percepire diverse somme, per un totale di ulteriori 128,85 scudi (con qualche discordanza, sia pur non eccessiva, rispetto alle singole date e importi indicati in scritture di epoca precedente: GB, sez. amministrativa, b. 396, fasc. 1943, vol. 1, cc. 121r, 122rv).
A quasi trent’anni dall’avvio del cantiere in San Lorenzo in Lucina, inaspettatamente, si registra un ultimo e isolato pagamento per de Rossi, che il 12 ottobre 1676 ricevette «per resto del prezzo de’ ministri fatti de bisavo Fulvio, e nonno Aureliano Pasqualoni, scudi 13,21, e scudi 8 per resto
legio Nazareno.
delli 2 angeli posti in detta cappella, in tutto scudi 21,60». Sono, in assoluto, tra le ultime opere documentate dello scultore.
L’ultima commissione artistica dei Pasqualoni è testimoniata da un pagamento dell’aprile 1721 per un quadro di Giovanni Battista Brughi, detto l’Abate Brughi, più prolifico e apprezzato come disegnatore e mosaicista. Si tratta dell’«impresa» che, in qualità di membro dell’Accademia degli Incolti, Benedetto commissionò quando era convittore al Collegio Nazareno. Il dipinto corrisponde evidentemente al Sileno ebbro e provocato da due
pastori e una ninfa ancora conservato presso il Collegio (Fig. 2), dove compare lo stemma della famiglia, una tela che di recente è stata attribuita a Giacomo Triga (A. Negro, Il ritratto segreto, catalogo della mostra, Roma, Accademia Nazionale di San Luca, 6 aprile-20 maggio 2004, Roma 2004, pp. 82-85). Sulla roccia in basso a destra sono appena leggibili alcune lettere del cognome del committente, al di sopra dell’iscrizione che ne indica il nome accademico (il Provocato): ben tre righe di testo sono state nascoste ridipingendo e rimodellando la stessa roccia. Si tratta forse di
Fig. 2. Giovanni Battista Brughi, Sileno ebbro e provocato da due pastori e una ninfa, 1721, Roma, Col-
una damnatio memoriae legata alla condotta di Benedetto, il quale «Partì dal Collegio in occasione che andò a villeggiare per le vacanze autunnali del 1721, senza alcun atto di civiltà, e convenienza» (Roma, Biblioteca e Fondo antico e Archivio del Collegio Nazareno, vol. 471, Alunni e convittori entrati in Collegio dal 1630 al 1774, c. 110).
Sarà forse il caso, infine, di accantonare la suggestione che l’ingresso del Cristo alla colonna nella collezione di Domiziano fosse legato al rapporto personale (e all’ostilità) tra Caravaggio e il «notaio» Mariano Pasqualoni di Accumoli, che l’artista aggredì nel luglio 1605 a piazza Navona. Compulsando le carte dell’Archivio Giustiniani Bandini, in effetti, non è mai comparso il nome del notaio, che dovette appartenere a un altro ramo della famiglia.
Non contribuiscono a chiarire la questione i libri parrocchiali accumolesi, sopravvissuti nel corso dei secoli a diversi sismi. I battesimi, ad esempio, sono registrati a partire dal 1580, ma è molto probabile che Mariano sia nato prima, ipotizzando che fosse più o meno coetaneo di Merisi (nato nel 1571). Né di quell’epoca si conservano Stati delle Anime, Libri dei Matrimoni e delle Cresime. Come se ciò non bastasse, per i defunti spesso sono assenti dati anagrafici quali il nome del padre, l’età al decesso e la professione: in tal senso, non fa eccezione l’unico «Marianus» Pasqualoni incontrato nei libri del-
le parrocchie di San Pietro e di San Lorenzo. Questa singolarità, amplificata dal fatto che il nome Mariano risulta essere raro in tale contesto (oltre a lui c’è una Mariana, anche lei Pasqualoni), rende particolarmente interessante per le vicende caravaggesche quest’unico «Marianus», deceduto il 13 maggio 1622 e sepolto nella locale chiesa di Sant’Agostino (Archivio Storico Diocesano di Rieti, Vicariato di Accumoli, b. 15, Morti, vol. 18, San Pietro, Morti 1600-1678, c. 18r). La più antica traccia della sua presenza ad Accumoli è del marzo 1612, quando nacque la primogenita Margherita. Dalla moglie Mattia Moscati ebbe altri tre figli: Gregorio (1615-1632, morto a Roma), Paolo (1617-1635) e Margherita (1620-1621), omonima della sorella morta nel 1617, tutti registrati presso la parrocchia di San Pietro.
È significativo, oltretutto, che per il notaio Mariano ferito da Caravaggio non sia mai specificato il nome del padre nei documenti che lo vedono presente a Roma tra il 1601 e il 1606. Ciò accade persino per l’unico «Marianus» accumolese, quando nel 1619 muore la madre Dionora, registrata come «mater Mariani Pasqualoni» e non come moglie o vedova dell’uomo, a tutt’oggi ignoto, che fu il padre naturale di suo figlio (Ivi, c. 14v). Tutto ciò, in definitiva, induce a pensare che non si tratti di un’omonimia.
M ichELE cupponE
Il carteggio di Carlotta Ondedei Caetani
Nel corso dei miei studi relativi alla vita culturale della famiglia Caetani tra Sette e Ottocento è apparso sempre più evidente il ruolo giocato dalle Caetani ‘acquisite’, ossia dalle consorti dei duchi, spesso risultate al centro di molte scelte, attività e relazioni. Molte delle dame Caetani erano donne dalla forte personalità, finemente educate nelle corti dei loro palazzi; ciò le rendeva capaci di dividersi tra gli impegni imprescindibili che il loro ruolo richiedeva, quello che viene conferito dal matrimonio e dalla società, e la libera scelta di dedicarsi con appassionata convinzione a coltivare interessi non superficiali per le arti.
Molte di loro, tra cui Carlotta Ondedei, hanno lasciato un segno evidente della loro presenza nella storia della casata: se da un lato è evidente l’abilità nelle relazioni personali e sociali e il contributo alla amministrazione dei feudi Caetani con non poche difficoltà finanziarie, lo specchio della loro personalità si vede anche negli eleganti ritratti, nelle competenze letterarie e nel rapporto privilegiato con alcuni artisti.
Come spesso accade, le notizie relative a queste nobildonne, alle loro committenze e alla partecipazione nella gestione della vita famigliare,
emergono di riflesso, attraverso quelle riguardanti le figure maschili. Per poter ricostruire le loro vicende sono dunque necessarie una pluralità di fonti per dare luce a un panorama attivo –e non meno fondamentale – per poter comprendere appieno fenomeni culturali e artistici e nondimeno sociali.
Uno dei nuclei documentari più interessanti in questo senso, conservati nell’archivio storico della famiglia presso la Fondazione Camillo Caetani di Roma, sono i carteggi. Nel caso in cui il numero delle lettere sia consistente, come frequentemente accade, è possibile avere un’idea di alcuni aspetti della vita quotidiana e di quello che comportava il ruolo della duchessa.
A seguito di alcune ricerche in occasione di un convegno nel 2022, per il quale ho esaminato alcune lettere di Carlotta Ondedei Caetani conservate presso la Fondazione Camillo Caetani, ho ritenuto utile continuare l’indagine, poiché la corrispondenza preservava un numero cospicuo di carte, pressoché inedite, e utili per poter delineare in maniera ancora più incisiva il personaggio. Si tratta di una raccolta di circa 260 lettere, parte del Fondo Generale, che comprende quelle ricevute e quelle inviate dalla duchessa, in un arco cronologico che va dal 1723 al 1769
(quindi anche successivamente alla sua morte che avvenne nel gennaio del 1752); la parte più consistente copre un arco temporale tra gli anni Quaranta e Cinquanta del Settecento. Si tratta tuttavia di una ricerca ancora aperta.
Carlotta Ondedei nasce a Pesaro il 23 aprile 1723, figlia del conte Zongo Ondedei e della nobile riminese Teresa Cima. Crebbe in un ambiente in cui le arti erano state sempre apprezzate, educata in questo contesto intellettualmente vivace. Il matrimonio con Michelangelo I Caetani avviene nel 1737, quando aveva solo quattordici anni contro i più di cinquanta anni del futuro marito. Le precedenti nozze del duca non avevano avuto eredi e chiaramente questa era la motivazione della scelta di una sposa così giovane.
Già Luigi Fiorani ne aveva individuato la personalità brillante soprattutto in riferimento alla formazione di monsignor Onorato Caetani, secondogenito della Ondedei e fine intellettuale (L. Fiorani, Una figura dimenticata del Settecento romano. L’abate Onorato Caetani, «Studi Romani», XV, 1, Gennaio-Marzo 1967). Nella tesi di dottorato incentrata sullo stesso argomento, anche Francesco Leonelli ha dedicato spazio alla figura della duchessa e ha pubblicato due lettere a lei indirizzate dal filosofo ed economista napoletano Antonio Genovesi, che le invia dei volumi, e dall’archeologo toscano Ridolfino Venuti che scrive per avere supporto e presentare il suo lavoro al re di Napoli e alla regina grazie alla sua intercessione. Oltre a dimostrare
la qualità dei rapporti della nobildonna si dà conto delle relazioni culturali che rimarranno fondamentali per i suoi figli (Francesco Leonelli, Onorato VI e la cultura romana di fine Settecento, Università degli Studi Roma Tre, 2016). Ma a parte queste due notazioni non ci sono stati fino ad ora altri approfondimenti sulla sua personalità. È stata questa la ragione che ha motivato chi scrive a proseguire le indagini archivistiche per esaminare il maggior numero possibile dei documenti riferiti alla duchessa.
Carlotta Ondedei manteneva, come di consueto, i contatti ufficiali con i parenti e con la nobiltà in varie città – Pesaro, Napoli, Caserta, Firenze, Bologna… – e tante sono le richieste di raccomandazione, di protezione, di favori, di aiuto che le pervengono. Nel 1750 riceve due lettere da papa Benedetto XIV.
Dalla lettura di queste carte è emerso poi come la giovanissima duchessa fosse interpellata in questioni che riguardavano la vita quotidiana, ma anche l’amministrazione dei feudi. Numerosi sono gli scambi epistolari con gli amministratori locali, che fanno capo a lei per discutere di argomenti prettamente ‘maschili’, o meglio appannaggio del duca, secondo quanto si è abituati a pensare. I più frequenti sono quelli con i ministri di Cisterna, Filippo Gabrielli e Placido Mariotti, con cui tratta frequentemente di denaro e di affari di vario genere. In questa serie di carteggi si nota che il duca
Michelangelo I Caetani (1685-1759) spesso risiede a Cisterna invece che a Roma e per questa ragione non viene coinvolto nelle fervide attività intellettuali promosse dalla duchessa. Michelangelo I a Cisterna si dedica a molte imprese, fa costruire una villa (non più esistente) dove vive quasi stabilmente e, dopo aver alienato il palazzo di famiglia di Roma a via del Corso, ceduto ai Ruspoli, acquista la villa sull’Esquilino che diviene il luogo favorito in cui la duchessa risiede e organizza incontri eruditi, adunanze letterarie, esperimenti scientifici e balli. Carlotta trova probabilmente a Roma la sua libertà e viaggia assidua-
mente tra Roma, Napoli e il feudo di Sermoneta.
Molte sono le lettere in cui vari personaggi si rivolgono alla duchessa quando il duca non è presente, dal tono di alcune si percepisce la sua capacità di iniziativa. È anche questo un modo per affermarsi, per dimostrare le sue qualità personali. Di fronte però alle attività pubbliche e a queste mansioni impegnative la partecipazione alla vita cultura diventa una specie di contropartita.
Alle comunicazioni ufficiali, infatti, si affianca poi un altro genere di lettere, quelle in cui si parla di libri, in cui le dedicano poesie, che accom-
pagnano l’invio di volumi o la informano sulle pubblicazioni recenti con la richiesta di scambiare opinioni in merito, in cui si fa continuo riferimento alla sua sensibilità e cultura, e non solo per compiacenza. A questo ambito possiamo ascrivere le lettere scambiate con Giovanni Battista Bassi Basso, letterato di origini pistoiesi che trascorse molti anni a Napoli al servizio della corte e membro della Accademia ercolanese. Nelle quattro missive conservate, scambiate con la duchessa nella primavera del 1749, scrive di Napoli e delle conoscenze comuni, invia un sonetto (purtroppo non conservato) e fa continui riferimenti agli interessi letterari di lei.
Accanto a questa ricostruzione della personalità attraverso gli scritti, l’immagine della duchessa, in tre diversi momenti della sua breve vita, ci è trasmessa da tre ritratti conservati nelle collezioni di palazzo Caetani (Steffi Röttgen in Fondazione Camillo Caetani. La collezione. Dipinti, sculture, disegni, a cura di Duccio K. Marignoli, Giovanna Sapori, De Luca, 2024).
Il bellissimo ritratto ufficiale dipinto da Ludovico Mazzanti (olio su tela, cm 205x132, inv. 627) venne probabilmente realizzato in occasione delle nozze, data la ricchezza delle vesti, rese in maniera virtuosistica con riflessi di luce caratteristici del pittore, e il bocciolo di rosa che tiene in mano, come suggerisce Steffi Röttgen nella scheda del recentissimo catalogo. Dal volto traspare la giovane età dell’effigiata, ulteriore elemento a favore di
una datazione precoce relativa all’arrivo a Roma della nobile pesarese. Il quadro, a figura intera, venne probabilmente realizzato nella villa dei Caetani all’Esquilino. Non si conosce la fonte attributiva di questo dipinto al Mazzanti che però può essere affermata su base stilistica. Un ulteriore elemento a favore di questa attribuzione è dato dal fatto che il Mazzanti lavora in ambito romano come ritrattista per gli Albani, imparentati sia con gli Ondedei sia con i Caetani. Un secondo ritratto di Carlotta Ondedei (olio su tela, cm 63x47, inv. 971), probabilmente un po’ più tardo, si allontana leggermente dalla fisionomia del precedente, ma c’è da considerare che la resa del volto non è di altissimo livello e la duchessa è sicuramente più grande di età. Si tratta di un ritratto a mezza figura che rappresenta la duchessa con i capelli incipriati e un prezioso abito da società in raso celeste bordato di ermellino.
L’ignoto artista esprime al meglio le sue capacità nei dettagli dell’abito e degli accessori. La Ondedei sfoggia preziosi gioielli con perle e diamanti che compongono una parure con diadema, orecchini e spilla (tra i documenti relativi alla Ondedei c’è anche un minuzioso elenco di preziosi a lei appartenuti, AC, Misc 297/795).
Il terzo ritratto è quello realizzato da Pompeo Batoni e rimasto incompiuto a causa della morte della duchessa (olio su tela, cm 75x56, inv. 944). Carlotta viene raffigurata allegoricamente in veste di Diana, un di-
retto riferimento agli ambienti poetici dell’Arcadia, di cui era membro, e delle accademie accolte nei giardini della sua villa all’Esquilino. La gravità della perdita per gli artisti da lei protetti riecheggia nelle parole scritte dal pittore Pompeo Batoni al di lei figlio monsignor Onorato in una celebre lettera che accompagna il suddetto ritratto al momento della consegna ai famigliari successiva alla sua scomparsa.
Certamente non bisogna trascurare che si inserisce in una tradizione di familiarità e generosità delle relazioni dei Caetani con gli artisti. Come scrive Giovanna Sapori che ha curato l’edizione del catalogo delle opere Caetani, il brano della lettera è: «Un’espressio-
ne di grata memoria e nello stesso tempo una rievocazione dei difficili inizi e di vicende personali, raccontate con un tono umile e commosso (veritiero nel sistema delle convenzioni del tempo), che mette in risalto un tratto quasi inaspettato della personalità del magnifico pittore dei Grandtourists e dei grandi committenti romani».
Con la sua morte tutta la fervida attività culturale si interruppe bruscamente ma l’eredità della duchessa sarà accolta e proseguita dai due figli Francesco e Onorato, come già ricordato e può ancora essere rintracciata nei preziosi materiali di archivio.
iLaria SFErrazza
Dal feudo a Roma: Domenico Fiorentini al servizio dei Caetani
Per un nobile romano accordare protezione ai sudditi del proprio feudo era quasi un obbligo sociale.
Questo atteggiamento poteva manifestarsi in vari modi, di valore anche molto differente, ma normalmente consisteva nel procurare lavoro, direttamente o indirettamente, al protetto. Come è ben noto, Francesco Caetani, duca di Sermoneta, si accorse presto delle potenzialità di Antonio Cavallucci (1752-1795), figlio di un fabbro attivo nella cittadina del suo feudo, e
gli offrì occasioni risolutive per la sua professione: in particolare l’opportunità di realizzare il ciclo di dipinti nel palazzo alle Botteghe Oscure da poco comprato, che lo proiettò con successo nel panorama artistico romano.
Certamente più modesta era la personalità di un altro pittore di Sermoneta, poco più anziano di Cavallucci, Domenico Fiorentini (17471820), di Alessandro e Anna Camilla Della Valle. Nel 1768 Fiorentini era già a Roma e quindi, probabilmente,
deve essersi formato qui, o almeno aver perfezionato nella capitale la sua capacità di dipingere. Un testo del 1787 lo dice allievo di Pompeo Batoni, affermazione non credibile alla luce delle opere che Fiorentini ha lasciato (si veda Graziella Sica, Fiorentini Domenico, in DBI, 48, 1997, ad vocem; Angela Negro, Giovan Domenico Fiorentini da Sermoneta. Un pittore tra barocchetto e neoclassico, in Sermoneta e i Caetani a cura di Luigi Fiorani, Roma 1999, pp. 361-371).
Tra le opere a lui riferite conservate a Sermoneta, la più significativa
è la decorazione ad affresco dell’Oratorio dei Battenti (o dei Flagellanti), adiacente alla Cattedrale, che reca la firma «DOMIN.VS FLORENTINVS INV. PINX ». Vincenzo Scozzarella, già direttore del piccolo museo ospitato nell’oratorio, riferisce il restauro e la decorazione del locale al 1770-71 (si veda https://www.compagniadeilepini.it/musei/museo-diocesano-artesacra/; e Alessandro Lusana, Arte nel complesso monumentale di S. Maria, in Il Museo diocesano di Sermoneta, a cura di Ferruccio Pantalfini, Sermoneta 2009, pp. 23-44).
Fig. 1. Domenico Fiorentini, Altare con quadro raffigurante il Crocifisso tra la Madonna, san Giovanni e la Maddalena, tra le statue dei santi Pietro e Paolo, Sermoneta, oratorio dei Battenti.
Sulla parete di fondo è simulata un’abside con un altare riccamente decorato e ornato con un quadro raffigurante il Crocifisso tra la Madonna, san Giovanni e la Maddalena (Fig. 1). Lo fiancheggiano statue policrome degli apostoli Pietro e Paolo, e sono dipinti altri Santi e Storie evangeliche sulle pareti e l’Assunzione di Maria tra due riquadri con Angeli recanti cartigli sulla volta. Si ritiene che tutto il ciclo sia stato esemplato su un altro precedente di Alessandro Melelli (1625-30), artista del quale non si conosce attualmente alcuna opera certa, sebbene l’espressione usata da Fiorentini – «invenit» – sembri negarlo, e restaurato nell’Ottocento. Frammenti di una figura visibili proprio sotto il S. Giovanni attestano che esistette una decorazione precedente, ma almeno l’altare deve essere stato un’invenzione di Fiorentini; le ridipinture sono pesanti, ad esempio nei visi e nelle braccia dei telamoni. Inoltre la forte espressività dei personaggi nel quadro sull’altare è lontana dai modi del pittore nelle opere successive, mentre gli angioletti superiori appaiono più vicini ai suoi standard. I caratteri stilistici sono genericamente riferibili al barocchetto romano. Negli anni Settanta il pittore riuscì comunque a mandare qualche opera nel Lazio meridionale, ad esempio un dipinto raffigurante San Silviano, uno dei santi protettori di Terracina, conservato nell’omonima chiesa, ai margini della cittadina, corredato dall’iscrizione «DOMINICUS FLO/
RENTINUS INV./ ANNO IUBILEI./ XT. 1775». Il quadro, in pessime condizioni, con ampie cadute della pellicola pittorica, è un’opera devozionale molto tradizionale che mostra il santo illuminato dalla grazia divina, mentre nel fondo compaiono il mare e la città di Terracina, per alludere al suo arrivo qui dall’Africa, grazie alla protezione di Dio. I paramenti, il pastorale e il libro a terra ne sottolineano il ruolo di vescovo. Stilisticamente l’opera sembra memore di esempi di Sebastiano Conca, ma diluiti in un linguaggio corsivo e non privo di incertezze. La fisionomia del santo può confrontarsi con quella di Sant’Abondio guarisce una fanciulla (Roma, San Pietro) e san Giuseppe nella Circoncisione di Gesù (Bassiano, San Nicola), entrambi del 1784 (cfr. Maria Barbara Guerrieri Borsoi, Due dipinti di Domenico Fiorentini nella Sagrestia Ottoboni di S. Pietro in Vaticano, in «Studi di Storia dell’arte», 31, 2020, pp. 225-230).
L’opera di Terracina risulta dunque un più attendibile punto di partenza per valutare lo stile e i caratteri di Fiorentini, rispetto all’oratorio di Sermoneta, e a confronto con quanto fatto dopo attesta un sostanziale permanere di modi nella sua attività tra gli anni Settanta e Ottanta.
Nel 1779 Fiorentini riuscì ad ottenere un incarico dai Caetani. In quel momento erano in corso nel palazzo davanti a Santa Lucia dei Ginnasi, da poco comprato, opere di rinnovamento decorativo. Tra l’altro vi lavorava
Giuseppe Todran, al quale si devono, ad esempio, le porte dell’appartamento nobile, come reso noto da Alvar Gonzàles-Palacios (Arredi e ornamenti a Palazzo Caetani, in «Proporzioni», 5, 2004, pp. 184-228). In anni successivi Todran operò come miniaturista ed effettivamente quanto di lui resta a palazzo Caetani mostra un disegno fine e delicato. Todran dipingeva sempre con uno o due aiuti, dei quali non è indicato il nome, ma forse Fiorentini fu uno dei suoi collaboratori come suggeriscono le ricevute dei pagamenti.
Palazzo Caetani aveva già una ricchissima e prestigiosa serie di dipinti murali che erano stati fatti realizzare dai Mattei. Fra questi sono da ricordare gli affreschi di due stanze riferibili a Taddeo Zuccari, in parte sopravvissuti, dedicati alle imprese di Alessandro Magno e studiati da Patrizia Tosini (La decorazione tra Cinquecento e Seicento al tempo dei Mattei, in Palazzo Caetani storia arte cultura, a cura di Luigi Fiorani, Roma 2007, pp. 141-170). Il primo ambiente, adiacente allo splendido salone con paesaggi di Brill, reca ancora al centro la scena delle Nozze di Alessandro e Rossane, mentre i quattro ovali che lo circondavano sono stati staccati, restaurati e sono conservati in un ambiente vicino.
La prima stanza fu restaurata dal pittore Rocco Feltrini nel giugno 1778, ma il pagamento gli fu corrisposto solo il 30 dicembre 1780 (Archivio Caetani, Fondo economico, 691, giust. 20 con ricevuta 5). Costui
raschiò la volta e la dipinse color perla, intervenne sulle cornici e chiese di essere pagato 7,50 scudi «per avere ripuliti li cinque quadri in detta volta cioè li quattro ovati e il quadro di mezzo tutti istoriati di figure e ripresi dove mancavano e quello di mezzo rifatti diversi pezzi di novo e dato sopra la tempera per spese e tempo».
Abbiamo qualche notizia su questo decoratore (nato circa nel 1723): nel 1749 era certamente già in attività, nel 1758 lavorò a San Giuliano dei Fiamminghi e nel 1765-66 negli appartamenti Rezzonico sul Campidoglio. Bisogna sottolineare che in questi anni l’architetto al servizio del Popolo romano era Carlo Puri de Marchis, lo stesso professionista attivo per i Caetani come revisore dei conti relativi al palazzo, che potrebbe aver favorito la chiamata di Feltrini.
Costui raschiò anche la volta della seconda anticamera, ma non intervenne sui dipinti. Vi lavorò invece Fiorentini, su «cinque ottagoni, uno originale rappresentante l’incontro di Cleofine [Cleofe] Regina dell’Indie con Alessandro il Grande nelle sponde dell’Idaspe, un altro la metà mancante terminato, altri tre interamente riattati» (Archivio Caetani, Fondo economico, 689, giust. 1, giust. 11 con ricevuta 7: ebbe 25 scudi).
La scena in condizioni meno gravi (Fig. 2) era stata interpretata come Alessandro con le prede della battaglia di Isso. Gli altri tre ottagoni mostrano la Vittoria di Alessando Magno su Poro re dell’India, Alessandro rifiuta l’acqua
offertagli durante l’attraversamento del deserto, Alessandro attraversa l’Idaspe con l’esercito (o Alessandro si imbarca per l’Oceano) mentre al centro c’è l’Incontro di Alessandro con il sacerdote Iaddo.
Quest’ultimo tema deriva dalle Antiquitates iudaicae di Flavio Giuseppe mentre gli altri hanno come riferimento il testo Historiarum Alexandri Magni Macedonis di Quinto Curzio Rufo.
Mi sembra indubitabile che il ‘restauratore’ abbia ripreso le stesse storie presenti precedentemente e di cui doveva rimanere una traccia. Nonostante l’affermazione di Fiorentini che il riquadro con l’incontro tra Alessandro e la regina (Fig. 2) fos-
se parzialmente conservato, esso rivela bene la mano del pittore di Sermoneta. La scena centrale sembra avere, nella visione dal basso, una irregolarità nell’intonaco tra la figura del sacerdote e quella del condottiero (che ha anche un braccio di abnorme lunghezza) e forse la parte destra di questo riquadro potrebbe essere quella parzialmente conservata a cui accenna il pittore.
Al di là della modesta qualità di questi dipinti, il dato saliente è che i Caetani abbiano voluto comunque conservare le preesistenti pitture cinquecentesche. Sembra difficile ritenere che si volesse contenere l’impegno economico complessivo del nuovo allestimento, che fu decisamente ingente,
Fig. 2. Domenico Fiorentini (su una traccia di Taddeo Zuccari), Incontro tra Alessandro Magno e la regina Cleofe, Roma, palazzo Caetani.
tanto più che fu comunque necessario affrontare alcune spese per preservare i dipinti dello Zuccari, artista prestigioso e i cui interventi nel palazzo Mattei erano addirittura citati da Vasari.
Il 12 luglio 1780 Fiorentini ricevette dalle mani del maestro di casa Filippo Peschieri 10,25 scudi «per mia ricognizione di un Pensiere e disegno da me fatto per la volta della cammera del letto nobbole del p.o appartamento del suo palazzo [del duca] che per alcune riflessioni non è stato eseguito, et è restato in mie mani detto disegno in caso di risoluzione» (Archivio Caetani, Fondo economico, 691, giust. 1, giust. 12 con ricevuta 6).
Il pittore era riuscito ad ottenere un incarico: aveva presentato un disegno che era stato respinto, ma aveva ricevuto circa la metà della cifra che un anno prima gli era stata corrisposta per dipingere più o meno interamente cinque scene. Non poco, se si pensa che nel 1784 due grandi quadri per la basilica vaticana, ordinati dal Capitolo, gli furono pagati 110 scudi. Per quel che sappiamo la volta della camera da letto della duchessa Elena Albani, sposatasi nel 1779 con Filippo III Caetani, fu invece dipinta da Antonio Cavallucci, attivo in questi stessi anni nel palazzo, e naturalmente Fiorentini non aveva alcuna possibilità di competere con il ben più dotato conterraneo.
Comunque, il rapporto professionale con la potente casata sembra aver favorito l’attività di Fiorentini che è decisamente più nota nei de-
cenni successivi, con dipinti eseguiti a Roma e più ampiamente nelle zone periferiche dello Stato, che vanno riemergendo. Si segnala, ad esempio, il poco noto Martirio di san Lorenzo (Fig. 3) nell’omonima chiesa di Gerano, databile dopo il 1804, la cui attribuzione è suffragata da una menzione ottocentesca (resa nota da don Giovanni Censi nel 2005), ma soprattutto dallo stile che non ha subito alcuna variazione, nonostante l’ormai imperante maniera neoclassica.
M aria Bar Bara guErriEri Bor Soi
Fig. 3. Domenico Fiorentini, Martirio di san Lorenzo, Gerano, San Lorenzo.
«Quando son partito da Sezze ho potuto dire con certezza che il numero dei miei amici era maggiore di quanto credevo»
Il viaggio elettorale di Onorato Caetani nel 1872
Il 10 marzo 1872 Onorato Caetani, figlio del duca di Sermoneta Michelangelo e della duchessa polacca Callista Rzewuska, si aggiudicò il seggio parlamentare del Collegio elettorale di Velletri (n. 506) prevalendo, al II turno, sul bibliotecario e già commissario governativo Ettore Novelli. Una vittoria in rimonta, che vide l’aristocratico romano sconfitto alla prima votazione (95 contro 128 voti) e trionfatore al ballottaggio (251 contro 136 voti). Fu l’inizio di una stagione che vide Caetani sedere a Montecitorio, insieme al padre durante il primo biennio, fino al 1900, quando lasciò lo scranno da deputato per quello senatoriale, tenuto fino alla morte nel 1917. Uomo della destra liberale legato a personalità del calibro di Quintino Sella e, soprattutto, Antonio di Rudinì, e di quella nobiltà romana capace di ritagliarsi un ruolo politico di primo piano nell’Italia postrisorgimentale, ricoprì la carica di ministro per gli Affari esteri dopo la disfatta di Adua, tra la primavera e l’estate del 1896, e di sindaco di Roma tra il 1890 e il 1892. L’elezione dell’allora
principe di Teano stabilizzò un collegio tanto strategico nell’area romana, visto che abbracciava l’intera zona pontina e buona parte di quella lepina per un totale di 11 Comuni e oltre 52.000 abitanti, quanto turbolento per via dell’instabilità che lo aveva travagliato negli ultimi due anni.
Nel novembre del 1870, all’alba dell’XI legislatura, Michelangelo Caetani prima aveva prevalso al ballottaggio sull’avvocato Vincenzo Tancredi e poi lasciato vacante il seggio, optando per quello di Trastevere. Le suppletive svoltesi nel gennaio successivo, tra lo stesso Tancredi e Raffaele Colacicchi, avevano dato un responso non valido secondo il parere della Giunta per la verificazione delle elezioni, al pari di quelle tenutesi a marzo e, soprattutto, tra maggio e giugno, condizionate da una serie di episodi di corruzione che avevano permesso a Colacicchi di rimontare e sconfiggere Novelli al ballottaggio. Durante l’estate del 1871 un gruppo di elettori aveva denunciato ufficialmente una serie di irregolarità tali da spingere la Camera dei deputati a segnalare l’ac-
caduto alla Corte d’Appello di Roma che avviò un’inchiesta giudiziaria. Alla luce di quanto emerso dalle indagini, all’inizio del mese di febbraio del 1872 la Camera dei deputati approvò le conclusioni presentate dalla Giunta per le elezioni, secondo le quali le consultazioni erano «risultate infette da vizio sostanziale», riconducibile alle «somministrazioni di viaggio e vitto agli elettori» a tutto vantaggio di Colacicchi.
In un’epoca ancora priva di canali strutturati di partecipazione politica (partiti), fondati sulla membership e capaci di incanalare le istanze provenienti dall’elettorato fino all’interno delle istituzioni, il rapporto tra il notabile che sedeva alla Camera e il collegio di provenienza era fortemente personale. Esaltava un simile aspetto il sistema elettorale maggioritario uninominale a doppio turno (majority system), mutuato dalla legge sabauda del 1848 che restringeva il corpo elettorale a 2 elettori ogni 100 abitanti, concedendo il diritto di voto esclusivamente agli uomini di età superiore ai 25 anni, alfabeti e contribuenti per mezzo di 40 lire annue, e divideva, dopo le parziali modifiche del 1860 e del 1870, il territorio nazionale in 508 collegi. In ognuno veniva eletto il singolo candidato che fosse stato capace di ottenere la maggioranza assoluta dei voti al I turno oppure la maggioranza semplice al II turno rispetto allo sfidante. Tanto per aver un’idea della dimensione parziale e ristretta nella quale si giocava la con-
tesa elettorale, è sufficiente costatare come nel collegio di Velletri, composto nel 1870 da 52.488 persone, nel 1872 vi fossero soltanto 590 elettori iscritti, di cui poco più della metà si recò alle urne (350 al I turno, 396 al ballottaggio). Il carattere elitario e personale della partecipazione politica, già particolarmente evidente in sede di campagna elettorale, veniva infine suggellato dal «viaggio elettorale», sovente compiuto dal deputato dopo le elezioni nel collegio di appartenenza.
Non rimase esente da questa prassi Onorato Caetani il quale ha lasciato nella corrispondenza con il padre una vivida testimonianza del viaggio compiuto a Sezze e a Bassiano tra il 19 e il 20 maggio 1872. I momenti descritti da Onorato portano alla mente l’arrivo a Donnafugata del principe di Salina ne Il Gattopardo, a cominciare dall’arrivo a Sezze, avvenuto a bordo del «legno» (la carrozza) del sindaco Zaccheo, anch’egli presente al fianco del principe insieme a due assessori, con la scorta di «oltre dodici cavalieri» dell’alta società locale capeggiati dal conte Cerroni. Lungo il tragitto, annota Onorato, «per lo meno la metà della popolazione attendeva il nostro arrivo», mentre in piazza la carrozza si fermò ad omaggiare la banda della Guardia Nazionale intenta ad eseguire la marcia reale e «un’immensa bandiera tricolore». Giunto nella casa del sindaco, dove alloggiava, il principe di Teano fu accolto con i migliori rispetti e in suo onore fu data una
cena infinita. Stridente era il contrasto tra la stanza dedicata al nobile romano, nella quale – si legge nel diario – «ogni possibile conforto era stato preparato per me» e le vie del borgo attraversate dalla carrozza, talmente strette, tortuose e sporche da essere definite dal principe «un immenso intestino».
L’indomani, salendo a cavallo verso la vicina Bassiano, incastonata sul versante pontino dei monti Lepini, l’accoglienza fu ancora più sfarzosa. All’ingresso del paese, gli abitanti avevano preparato un «arco di trionfo tutto intrecciato con fiori e foglie» e un altro «arco di rami d’alberi e fiori» posto proprio nel luogo in cui lo attendeva il sindaco, la Giunta e la Guardia Nazionale. Sceso da cavallo, Onorato prese «il braccio del Sindaco» e si recò in Municipio, attraversando la folla, dove si intrattenne con gli assessori prima di cimentarsi in un lauto banchetto. La visita del deputato assunse un’aura per certi versi salvifica, come si nota dall’epigrafe dedicata dai bassianesi al principe di Teano e posta all’ingresso del paese in occasione della visita. In realtà, Onorato non ne fece menzione al padre nei suoi resoconti ma l’iscrizione fu conservata dalla moglie Ada Wilbraham in una raccolta di documenti. L’epigrafe recava la data del 18 maggio, mentre sappiamo dal racconto del principe al duca Michelangelo che la visita ebbe luogo il 20. Non è possibile stabilire se una simile discrepanza fosse dovuta ad un errore
di datazione dei cittadini di Bassiano oppure ad una improbabile duplice visita del principe in giornate differenti. Sta di fatto che per il notabilato locale, Onorato era il simbolo di un «lussureggiante rigoglio» dalle ceneri del passato regime
La sera del 20 il principe fece ritorno a Sezze, dove le autorità organizzarono in suo onore uno spettacolo pirotecnico sotto gli sguardi attoniti della gente, verosimilmente a maggioranza contadina. L’attenzione innocente dimostrata dalla popolazione per i fuochi d’artificio destò, in un certo senso, l’ammirazione del principe, il quale così scrisse al padre, riferendosi al discorso tenuto in municipio: «L’eloquenza obbligatoria è peggio dell’istruzione obbligatoria». Prima di lasciare Sezze, Onorato non mancò di partecipare alla messa «come onesto deputato di destra» –specificò al duca suo padre – figlio della Roma papalina.
Il diario di viaggio di Onorato funge da testimonianza incontrovertibile di quel legame personalistico ed elitario che caratterizzava il sistema politico e i meccanismi di formazione e organizzazione del consenso, in una fase storica ancora lontana dall’affermazione dei partiti di massa e imperniata sulla centralità della classe dirigente liberale quale partito della Nazione, da cui restavano estranee le ali estreme clericali, da un lato, e repubblicane (non ancora socialiste) dall’altro. Lo stesso Caetani confidò al duca Michelangelo che, alla luce
del grande successo riscosso, «quando son partito da Sezze ho potuto dire con certezza che il numero dei miei amici era maggiore di quanto credevo». Tuttavia, a differenza del tipico notabile borghese, Onorato non veste i panni dell’avvocato di provincia emancipato, bensì quelli del principe di Teano, erede del nobile casato dei Caetani, capace di unire il modus operandi aristocratico di chi
possedeva quelle terre da secoli ad una comunicazione politica fatta di rapporti interpersonali volti a curare gruppi di potere locali ristretti, tipici del deputato borghese ottocentesco chiamato a muoversi in prima persona all’interno di un contesto ancora privo di appartenenze ideologiche e apparati burocratici.
roBErto BattiSt ELLi
La coppia imperiale tedesca e la coppia reale italiana al palazzo Caetani di Roma nel 1893
Nel 1901 l’influente quotidiano in lingua tedesca di Baltimora (Maryland, USA) riportava la seguente notizia: «Ninfa è di proprietà del Duca di Sermoneta, del casato dei Caetani, al quale appartenne Bonifacio VIII, l’ultimo papa che abbia aspirato ad una monarchia universale della Chiesa; anche Sermoneta, visibile in lontananza in cima ad una collina, appartiene a quel Duca. E nel salotto della sorella di questo aristocratico, l’archeologa contessa Ersilia CaetaniLovatelli, tanto amabile quanto dotta, è appeso un quadro di Ninfa e delle altre tre città di questa famiglia».
Non sorprende dunque che ad alcuni membri della famiglia Caetani sia riservato un ruolo importante in un progetto interdisciplinare sulla storia
di Ninfa, città delle rovine, e dei suoi dintorni nel corso del lungo secolo XIX (sul progetto cfr. https://vergleichendelandesgeschichte.geschichte. uni-mainz.de/ninfa-la-pompei-delmedioevo/). In una prospettiva storico-letteraria sono attualmente oggetto di studio, tra le altre cose, due romanzi tedeschi d’intrattenimento, che ebbero un grande successo di pubblico e sono ambientati a Roma e dintorni nel periodo antecedente la Prima guerra mondiale. In entrambi i testi la descrizione di Ninfa ha un ruolo chiave. Inoltre vi si trovano continue allusioni ad altri possedimenti dei Caetani ed alla storia di questa famiglia, anche al loro palazzo romano in via delle Botteghe Oscure. Ospiti prominenti dei Caetani scrissero del salotto cosmo-
polita intrattenuto in questo palazzo da Michelangelo Caetani, e di quello di sua figlia Ersilia nel vicino palazzo Lovatelli. Fino al 1915 il salotto di Ersilia fu il punto d’incontro di numerosi esponenti della scienza, letteratura, arte e musica, tanto da renderlo il salotto principale di Roma ed uno dei più importanti in Italia. Per le rilevanti posizioni ricoperte nel mondo della politica e della cultura, Michelangelo Caetani e suo figlio Onorato figuravano molto spesso tra le personalità romane ed italiane oggetto di attenzione da parte della stampa internazionale.
Nel 1893 la famiglia ed il loro palazzo romano finirono in un modo spettacolare al centro dell’attenzione, soprattutto dell’opinione pubblica tedesca. L’imperatore e l’imperatrice di Germania fecero un viaggio in Italia in occasione delle nozze d’argento della coppia reale italiana. Già settimane prima di questa visita i giornali quotidiani pubblicarono resoconti sul fitto programma di questo viaggio a Roma e Napoli, che sarebbe durato diversi giorni e avrebbe tenuto conto anche degli interessi personali della coppia imperiale nel campo scientifico e culturale. In questa sede non ci si soffermerà sull’importanza politicodiplomatica di questa visita, che fu arricchita anche da eventi scientifici e di politica culturale.
Nell’aprile del 1893 la coppia imperiale tedesca onorò della sua presenza solo due famiglie aristocratiche romane andando a visitarle nei loro palazzi. La partecipazione ad un
ballo in casa del principe [Alfonso] Doria Pamphilj [il 26 aprile] fu intesa a dare un segno di apprezzamento della sua funzione di «presidente del Comitato d’onore per i festeggiamenti delle nozze d’argento dei sovrani e del torneo equestre» (KZ). In alcune parti dei resoconti dei giornali tedeschi si diede tuttavia particolare rilievo, descrivendolo con molta cura, allo splendido ballo offerto la sera del 25 aprile dal duca Onorato Caetani nel suo palazzo romano.
Quella sera vi fu l’incontro tra l’imperatore ed il duca, un evento che venne poi illustrato in una xilografia. Il disegno dal quale essa venne ricavata è probabilmente opera del caricaturista, illustratore e giornalista italiano Luca Fornari. Nella scritta sotto alla xilografia si leggono i nomi di sei persone. Prima di tutti è menzionato il padrone di casa, il duca Onorato Caetani, dal 1872 deputato al Parlamento e sindaco di Roma dal dicembre 1890 fino al novembre 1892. Sullo sfondo è raffigurato l’ingresso degli ospiti più importanti di questo ballo, la regina Margherita con l’imperatore Guglielmo II, e l’imperatrice Augusta Vittoria con il re Umberto I. Sul margine destro della xilografia è messo in rilievo il rappresentante della monarchia asburgica, l’arciduca Ranieri d’Austria, un noto mecenate delle arti e della scienza. Servendosi del popolare mezzo della prospettiva spaziale, al Fornari riuscì di raggruppare dinamicamente le persone raffigurate nel salone e metterle in relazione tra loro.
Grazie alla collocazione di Onorato e delle due coppie regnanti su una linea diagonale, il padrone di casa e i suoi ospiti più importanti vengono messi in relazione tra loro e collocati in un rapporto visivo e contenutistico. L’interlocutrice del duca volta le spalle all’osservatore, e così non si sa chi sia la persona con la quale questi conversava. Oltre allo stesso Onorato, sono soprattutto sua moglie e sua sorella ad essere oggetto del resoconto giornalistico qui preso in considerazione, al di là degli ospiti reali e imperiali. Onorato Caetani è «il capo dell’unico antico casato principesco romano che abbia accettato senza riserve il nuovo ordine di cose… L’attuale duca, coniugato con una gentildonna appartenente ad una famiglia di conti inglesi, conosce bene la Germania, e in particolare è un ospite ben gradito alla Corte di Weimar» (AZ). Il rapporto, cui si accenna qui, di Onorato con il granduca Carl Alexander di Sassonia-Weimar-Eisenach, con il quale già suo padre era stato in contatto, si manifestò anche in occasione della sua visita a Roma. Dal canto suo, anche Ada Bootle Wilbraham, la consorte di Onorato, una nobildonna inglese e dama di corte della regina Margherita, organizzava numerosi eventi sociali nel palazzo di famiglia, ai quali invitava anche intellettuali tedeschi, come ad esempio Ferdinand Gregorovius. In onore del granduca di Weimar ella ospitò una serata musicale, durante la quale fu eseguito un brano musicale di suo figlio Roffredo
Nel 1893, «oltre alla stretta cerchia di corte e al corpo diplomatico, anche la società romana poté rendere un caloroso omaggio alla coppia imperiale, ospite di riguardo a palazzo Caetani. Il duca, che nella sua qualità di amministratore del Comune di Roma ha ottenuto buoni risultati finanziari, è anche un amministratore prudente e diligente dei propri beni e il suo cospicuo patrimonio non è stato scosso da speculazioni arrischiate, come invece è avvenuto ad altri nobili romani» (KZ). Dopo un accenno al ruolo importante avuto da suo padre, Michelangelo Caetani, anche nel consolidamento delle finanze familiari, i lettori e le lettrici della Kölnische Zeitung appresero inoltre: «Il duca è una figura molto simpatica alla sensibilità tedesca: alto, con una folta barba grigia e un’espressione benevolmente seria, porta semplici occhiali sul naso spesso e potrebbe passare per un professore tedesco. Inoltre, la nostra patria non gli è affatto sconosciuta: la sua selezionata biblioteca contiene le migliori opere tedesche di scienze naturali e geografia, accanto a libri inglesi e italiani, ed egli stesso ha viaggiato in Germania in diverse occasioni» (KZ). In tal modo si faceva allusione all’impegno del duca nel promuovere l’insegnamento della geografia nelle scuole italiane e lo studio delle scienze geografiche in Italia e in vari paesi europei.
Nella stampa tedesca veniva dato rilievo anche alla sorella di Onorato, «la contessa vedova Locatelli, i cui studi archeologici sono apprezzati e sono stati anche tradotti in tedesco».
Ella «è socio onorario dell’Istituto Archeologico Germanico e la sua casa è aperta agli studiosi tedeschi in modo molto ospitale» (AZ). Su proposta degli archeologi tedeschi Wilhelm Henzen e Eduard Gerhard, nonché dello storico Theodor Mommsen (tutti e
tre frequenti ospiti dei Caetani), nel 1864 Ersilia era stata accolta tra i soci onorari dell’Instituto di corrispondenza archeologica. La trasformazione di quest’ultimo prima in una istituzione prussiana (1871), poi nell’Imperiale Instituto Archeologico Germanico. Sezione romana (1874) destò qualche preoccupazione non solo da parte italiana. Anche il comportamento dell’imperatore Guglielmo II durante la sua prima visita a Roma nel
Franz von Lenbach, Studio pe il ritratto di Onorato Caetani, carboncino e gessetti colorati, Fondazione Camillo Caetani, n. inv. 917.
1888 aveva provocato la sensibilità nazionale italiana, che si era espressa in critiche e talvolta in derisioni. Per contro, nel 1893 si constatava: «Una simpatica particolarità, che distingue l’attuale visita dell’Imperatore a Roma da quella del 1888, è la festa che l’ex sindaco di Roma (…) ha dato in onore delle loro Maestà nel suo antico e venerando palazzo in Via delle Botteghe Oscure» (KZ).
Peraltro, talune personalità, che anche a palazzo Caetani avevano eccellentemente incarnato il legame tra la cultura e la scienza italiane e quelle tedesche, non erano più in vita in quel momento. Nel gennaio 1886 un ospite frequente e molto gradito a palazzo Caetani, Franz Liszt, padrino di Roffredo Caetani, lasciò Roma e si spense sei mesi dopo. Due anni prima della visita della coppia imperiale era deceduto anche Ferdinand Gregorovius. Lo storico della Roma medievale, cittadino onorario dell’Urbe, aveva creato un nuovo genere di descrizione storico-letteraria di paesaggi e luoghi. Tra le sue opere sono anche le pagine in prosa e versi dedicate a Ninfa, Pompei del Medioevo, la città delle rovine coperta dalla vegetazione, che ebbero una decisiva importanza per la percezione e la ricezione internazionale di questo possedimento dei Caetani. Sin dagli anni ’50 dell’Ottocento Gregorovius era stato in rapporti di amicizia con Michelangelo Caetani e con i di lui figli, Ersilia ed Onorato. Dopo la morte di «Don Michele» (1882) Gregorovius rimase in uno stretto
rapporto soprattutto con Ersilia, che aveva definito «la donna più dotta di Roma e forse d’Italia». Questa pioniera nel mondo della scienza e della cultura, dominato dagli uomini, che nel 1879 era stata accolta come prima donna nella Accademia dei Lincei, rimase una personalità ricercata e onorata anche dopo la visita a Roma della coppia imperiale. Nel 1894 l’Università di Halle le conferì il dottorato honoris causa. Ella fu la prima donna ad ottenere tale titolo in quell’ateneo e la seconda in tutta la Germania. La visita a palazzo Caetani di un anno prima aveva probabilmente soprattutto lo scopo di esprimere la stima e la riconoscenza della coppia imperiale nei confronti del duca, di sua moglie e di sua sorella, ma era anche un atto dimostrativo di un certo corteggiamento nei confronti di queste tre personalità di spicco e con una rete internazionale di contatti.
icha EL M athEuS
Gli articoli di stampa sulla festa da ballo a palazzo Caetani, sopra citati, sono tratti da due quotidiani a diffusione nazionale, la Allgemeine Zeitung di Monaco (AZ) e la Kölnische Zeitung (KZ). La xilografia qui riprodotta apparve in due versioni nella rivista illustrata «Ueber Land und Meer», pubblicata settimanalmente a partire dal 1858. Ivi si trova inoltre un ampio resoconto, con testi e immagini, del viaggio in Italia della coppia imperiale tedesca.
È in preparazione una versione più ampia di questo contributo, con rinvii alle fonti ed alla bibliografia. La traduzione di queste pagine è di Anna Maria Voci.
Collana concepita per accogliere in una serie organica le pubblicazioni sui diversi fondi dell’intero corpus documentario della famiglia.
Volumi pubblicati
1. C. Fiorani, Il fondo economico dei Caetani duchi di Sermoneta, 2010.
2. G. Bassani, M. Caetani, «Sarà un numero bellissimo». Carteggio 19481959, a cura di M. Tortora, 2011.
3. La rivista «Commerce» e M. Caetani. Direzione di S. Levie, I. Briefwechsel mit deutschsprachigen Autoren, hrsg. von K. Bohnenkamp und S. Levie, 2012.
4. La rivista «Commerce» e M. Caetani. Direzione di S. Levie, II. G. Ungaretti, Lettere a M. Caetani, a cura di S. Levie e M. Tortora, 2012.
5. La rivista «Commerce» e M. Caetani. Direzione di S. Levie, III. Letters from D.S. Mirsky and Helen Iswolsky to M. Caetani, 2015.
6. La rivista «Commerce» e M. Caetani. Direzione di S. Levie, IV. Correspondance française. Paul Valéry – Léon-Paul Fargue – Valery Larbaud. Édition présentée et annotée par È. Rabaté et S. Levie, 2016.
7. La rivista «Commerce» e M. Caetani. Direzione di S. Levie, V. Correspondance française. Marguerite Caetani, Jean Paulhan et les auteurs français. Édition présentée et annotée par L. Brisset et S. Levie, 2017.
8. C. Giorcelli, «Botteghe Oscure» e la letteratura statunitense, 2021.
9. P. Op de Coul, Roffredo Caetani compositore. La vita, le opere, il tempo, 2022.
10. Pasolini. Critica e cultura, a cura di P. Falzone e M. Tortora, 2023.
11. M. Vaquero Piñeiro, «Un territorio che sta sul nascere». I Caetani di Sermoneta e la trasformazione agraria della pianura pontina, secc. XIX-XX, 2024.
12. Gadda. Tra caso unico e modello, a cura di G. Nisini e M. Tortora, 2024.
Arte, archeologia e storia urbana a cura di Giovanna Sapori
Ideata per accogliere studi su temi in diverse forme e misure connessi alla famiglia Caetani.
Volumi pubblicati
La pittura del Quattrocento nei feudi Caetani, a cura di A. Cavallaro - S. Petrocchi, 2013.
1. G. Ioele, Prima di Bernini. Giovan Battista Della Porta scultore, 2016.
2. G. Sapori, L’Album amicorum Caetani e le sue immagini. Aristocrazia germanica e viaggi di istruzione a fine Cinquecento, con una nota tecnica di Maria Cristina Misiti, 2019.
Atti e rendiconti a cura di Caterina Fiorani
Raccoglie gli atti dei convegni che si sono svolti presso il palazzo Caetani.
Volumi pubblicati
1. Luigi Fiorani, storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta. A un anno dalla morte, a cura di C. Fiorani e D. Rocciolo, 2013.
2. Giorgio Bassani, critico, redattore, editore, a cura di M. Tortora, 2012.
3. Il Novecento di Marguerite Caetani, a cura di C. Fiorani e M. Tortora, 2017.
4. Avanguardia a più voci. Scritti per Jacqueline Risset, a cura di U. Todini, A. Cortellessa, M. Tortora, 2020.
5. Ungaretti intellettuale, a cura di E. Mondello e M. Tortora, 2021.
Archivio
Il fondo Pergamene dell’archivio Caetani: una prima revisione
Il lavoro di revisione del fondo pergamenaceo dell’archivio Caetani ha avuto inizio dalla ‘cattura’ del contenuto dei sei volumi dei Regesta Chartarum, l’opera curata da Gelasio Caetani in collaborazione, fra gli altri, con Cesare Ramadori e destinata a rendere fruibile il materiale pergamenaceo riguardante la famiglia Caetani. Conviene a tal proposito puntualizzare che i curatori della pubblicazione non vi inclusero soltanto le pergamene conservate nell’archivio di famiglia, ma anche un nucleo di quelle dell’archivio Colonna appartenute ai Caetani, nonché, in modo tanto ambizioso quanto problematico e cionondimeno significativo, «estratti di alcune pergamene inedite di altri archivi, che interessino direttamente le vicende di Casa Caetani» (Regesta Chartarum – d’ora in poi Regesta –, vol. I, p. xvii). I sei volumi passati in rassegna non esauriscono il patrimonio che Gelasio intendeva rendere pubblico e che, pur essendo difficile quantificare a priori, egli ipotizzava di riuscire a comprendere in dieci volumi di circa 400 pagine ciascuno. L’incompiutezza dell’opera, motivata dalla scomparsa del suo ispiratore, ha dato ragione dello svolgimento di questo lavoro, il cui scopo è quello di individuare quante e quali pergamene siano rimaste escluse dalla pubblicazione. Un dato, questo, la cui reperibilità è complicata dalla più recente storia archivistica del fondo. Tale fondo, così come l’intero archivio, fu riordinato nell’ultimo decennio del XIX secolo da Leone Caetani, fratello di Gelasio, che contrassegnò i documenti con una numerazione progressiva senza tenere conto degli ordinamenti precedenti e produsse uno schedario cartaceo, tuttora conservato. Secondo una delle ipotesi correnti, il criterio che avrebbe ispirato la nuova numerazione
dei documenti sarebbe quello, puramente estrinseco, della dimensione delle pergamene: quanto più il numero di corda è alto, tanto più grande dovrebbe essere la pergamena. Tale tendenza è indubbiamente riscontrabile a colpo d’occhio, ma uno sguardo più attento rivela casi di incoerenza: ne sono un esempio le pergamene-rotoli n. 3146-3149, le più grandi del fondo, eppure seguite da un numero consistente (quasi 300!) di documenti più piccoli. Comunque sia, il criterio alla base del nuovo ordinamento influenzò anche la ricollocazione fisica dei documenti, che tuttora si trovano sistemati in armadi nell’ordine corrispondente al numero progressivo impresso nel verso di ciascuna pergamena.
Constatata in seguito l’inadeguatezza del nuovo ordinamento rispetto agli scopi di ricerca e consultazione dell’archivio, Gelasio scelse di riorganizzare logicamente la documentazione secondo l’ordine cronologico e, per non movimentarla nuovamente, creò un sistema di concordanze tra la numerazione del fratello e la data di ciascuna pergamena in modo da agevolare al contempo la ricerca storica e il reperimento dei pezzi: ciascuna voce nei Regesta è infatti identificata attraverso la combinazione numero di corda (in alto a destra) / data (in alto a sinistra, preceduta da C-).
Ne consegue che, pur sapendo che i Regesta includono in linea di massima tutta la documentazione di Casa Caetani fino al termine del 1522, non è possibile individuare immediatamente quali siano materialmente le pergamene successive e quindi, almeno in linea teorica, inedite. L’opportunità di tale precisazione trova ragione nella specificità della materia diplomatistica e precisamente nella questione delle copie, nonché nelle finalità dello strumento di edizione voluto da Gelasio e nel conseguente taglio che scelse di dargli. Non si può infatti trascurare che i Regesta furono prodotti per «mettere a disposi-
zione dei cultori di studi storici il contenuto più importante del nostro archivio» (Regesta, vol. I, p. xvii ) e che dunque per questo l’interesse di Gelasio si rivolgeva ai fatti, alla storia testimoniata dalle carte piuttosto che alla produzione di un’edizione diplomatisticamente, oltre che filologicamente, impeccabile. Si badi infatti che solo le pergamene di data anteriore al 1200 e le carte dei conti di Caserta furono trascritte integralmente, mantenendo la grafia e l’interpunzione originaria, mentre il resto compare sotto forma di estratto o compendio. Date queste premesse, quando più pergamene testimoniano il medesimo accadimento, se da una parte è naturale che tale circostanza sia stata restituita in edizione nella maniera più sintetica possibile, dall’altra ciò non è avvenuto senza conseguenze. Infatti, solo in corrispondenza della voce relativa all’atto originale, nelle annotazioni sotto il regesto si dà conto della pergamena-copia e delle formule aggiuntive di autentica o di corredo che essa contiene (il discorso è cioè valido principalmente nel caso di pergamene che portino copia autentica di un atto presente in un’altra pergamena; diversamente, quando un atto si legge in copia in una pergamena che lo cita ad esempio per giustificare quanto in essa disposto, non vi è nessuna segnalazione della copia nelle annotazioni sotto il regesto).
Dal momento che non è raro incontrare copie posteriori al 1522 così segnalate, emergono ora con maggiore chiarezza due dati: innanzitutto, che non tutta la massa indistinta di documentazione successiva al 1522 dev’essere considerata inedita; in secondo luogo, e assai significativamente, che il problema dell’individuazione degli inediti non si risolve identificando fisicamente, negli armadi, le pergamene non pubblicate, ma consiste nella ben più sostanziale individuazione di quali fatti di Casa Caetani non sono ancora noti agli studiosi per il tramite di questo tipo di documentazione.
Dopo aver passato al vaglio i Regesta (nelle loro voci principali e poi nelle annotazio-
ni sopradescritte) e aver rintracciato tutte le pergamene in essi citate, è stata creata una scheda elettronica per ciascun documento. Si è proceduto poi al confronto delle schede manoscritte dell’antico schedario (distribuito in due cassetti e riportante per ciascuna pergamena il numero progressivo e i dati cronologici – talvolta anche il regesto –, ma purtroppo interrotto al mese di settembre del 1600) con quelle elettroniche appena create e, attraverso la combinazione di segnatura e data, si sono individuate quali pergamene non figurano ad alcun titolo nell’edizione. Per completare infine la revisione sono state svolte le stesse attività di screening su un antico inventario del fondo in formato vacchetta (interessante anche perché porta traccia delle persone impegnate nello studio di ciascuna pergamena, e cioè Barbato, Federici, Ramadori, Sciaky) e sul volume dei Varia limitatamente al materiale pergamenaceo lì edito e a quello descritto nelle pagine introduttive. Sia detto per inciso che secondo l’originario progetto di Gelasio, nei Varia avrebbero dovuto essere pubblicati i documenti cartacei più importanti dell’archivio di famiglia e in un volume a parte le pergamene del cosiddetto Fondo Pisano, una collezione di cartapecore acquistate nel 1898 e relative ai Gaetani di Pisa, molte delle quali sono prodotti del falsario Galgano di Pisa risalenti alla fine del Quattrocento. Gelasio decise in seguito di pubblicare le pergamene autentiche del Fondo Pisano tra le carte dei Varia e di descrivere le false nei paragrafi introduttivi dedicati al Fondo. La stampa dei Varia, iniziata nel 1933 e presto interrotta per la morte di Gelasio, fu completata a cura della Biblioteca Apostolica Vaticana nel 1936 (vd. Varia, pp. viis. con rinvii).
Non è inutile a questo punto approfondire il modus operandi degli editori dei Regesta e dei compilatori dello schedario e dell’inventario, illustrando al contempo alcune scelte effettuate nel corso del lavoro.
Riguardo al primo punto, come lascia intendere quanto detto a proposito del focus tenuto nella pubblicazione, gli editori dei Re-
gesta hanno ragionato per atti: anziché rappresentare l’unità documentaria (ossia ciascuna pergamena nella sua unità, corrispondente a un singolo numero nell’ordinamento di Leone), l’hanno scissa nelle sue unità di contenuto, cioè ne hanno pubblicato separatamente gli atti che eventualmente contenga in copia (salvo i casi, già menzionati, in cui si tratti di atto e corrispondente autentica, per cui l’atto di autentica non è pubblicato separatamente, ma segnalato e condensato nelle annotazioni presenti in corrispondenza dell’atto. Eccezioni anche in tal caso comunque non mancano, come dimostrano le autentiche pubblicate e.g. in Regesta, vol. I, p. 223, da confrontare e.g. con op. cit., vol. I, p. 163, prg. n. 647).
Per questa ragione è possibile rinvenire nei Regesta più voci con la medesima segnatura. Per compilare le schede elettroniche, invece, si è ragionato per pergamene, accorpando in un’unica scheda le descrizioni degli atti presenti nell’unità fisica. Inoltre, coerentemente con la prospettiva Caetano-centrica e con l’implicito intento celebrativo con cui i curatori operarono, di una pergamena per così dire ‘composita’, contenente cioè più atti, vennero pubblicati in maniera indipendente soltanto quelli a vario titolo d’interesse per i Caetani e, qualora tali atti si leggano solo in copia (perché l’originale è andato perduto o è conservato altrove), l’atto-copia è stato datato come se fosse originale: in altri termini, si crea una corrispondenza del tutto fuorviante tra la segnatura del documento e la sua datazione in quanto riferita non all’atto di copia testimoniato nella pergamena bensì all’atto in essa copiato. L’effetto principale è una generale retrodatazione del patrimonio manoscritto, esemplificata, tra gli altri, dal caso della prg. n. 2344: evidentemente interessati a far conoscere l’atto relativo alla città di Civitanova più che la sua successiva autenticazione, gli editori hanno estrapolato l’atto dall’autentica, l’hanno pubblicato indipendentemente da essa, cui fanno riferimento soltanto nelle annotazioni, e hanno associato alla segnatura 2344 la data dell’atto relativo
alla città di Civitanova (1325) anziché all’autenticazione (1408). Un esempio ancora più significativo per la sfasatura cronologica tra atto documentato e data di redazione della copia è quello della prg. n. 913, un foglio palinsesto del XVII secolo datato tuttavia al 1325 come l’atto in esso copiato. Casi non solo ambigui come questi, ma metodologicamente errati, si hanno infine nei Varia, laddove alla trascrizione integrale della pergamena contenente un atto in copia corrisponde la datazione dell’atto in essa copiato anziché della copia (vd. e.g. Varia, p. 58, F.P. 3229: alla fine della trascrizione si legge la data del 1454.V.31, ma alla segnatura è associata la data del 1389.XI.4 dell’atto in essa copiato).
Come emerge da quanto detto, la pratica di dare priorità all’evento testimoniato dal documento anziché al documento in sé incide inevitabilmente, distorcendolo, sul calcolo dell’arco temporale coperto dal fondo Pergamene, con effetti che interessano anche la stima del valore economico del patrimonio dell’archivio Caetani. In questi casi nelle schede elettroniche si è scelto di correggere la datazione e di adeguare il rinvio alla fonte con i necessari riferimenti.
Riguardo, invece, al secondo punto, va segnalato sia l’alto tasso di errori di datazione nello schedario sia il fatto che i compilatori non operarono con sistematicità: infatti, delle schede riferite alle pergamene-copia, alcune portano solo la data della copia o degli atti copiati, altre le date della copia e degli atti copiati; talvolta sono riportate solo alcune delle date citate nella pergamena, talvolta tutte, anche qualora si riferiscano ad atti non editi separatamente. Anche l’inventario non è scevro di errori di datazione.
In conclusione, i risultati dell’indagine possono così essere sintetizzati: a fronte di una consistenza totale di 3457 unità documentarie, risultano pubblicate 1540 pergamene, coprenti l’arco cronologico 981.VII1660.III.10 (escludendo le falsificazioni); rimangono inedite (o pubblicate soltanto parzialmente – è il caso delle copie di atti:
talvolta non sono pubblicate le formule di contorno che autenticano o precisano il contesto in cui la copia è stata prodotta, altre volte manca anche o soltanto l’indicazione delle segnature e delle annotazioni del documento) 1917 pergamene, coprenti l’arco cronologico [XIII] sec.-1855.III.30.
Non si può escludere (credo anzi probabile) che fra i documenti inediti vi siano copie o originali di atti pubblicati: se in qualche caso si è già proceduto ad accertarsene (si è ad esempio riconosciuta nella prg. n. 2812
una copia della prg. n. 3111 e nella prg. n. 2852 l’originale dell’atto datato 1300.X.3 leggibile in copia nella prg. n. 2243), per il resto sembra necessario ricorrere a uno studio puntuale e ravvicinato degli originali, che richiederà senz’altro non poche risorse di tempo ed energia. Solo al termine di un simile lavoro sarà possibile selezionare i documenti che potrebbero meritare la pubblicazione e progettare il completamento dei Regesta.
Attività di formazione
Eu funding for culture
La Fondazione Camillo Caetani il 2 dicembre 2024 ha accolto gli studenti del corso in Eu funding for culture tenuto da Luciano Monti, docente nell’ambito del Master Art Law dell’Università LUISS School of Law. Il pomeriggio si è articolato in due momenti: il primo dedicato alla visita guidata in lingua inglese del palazzo Caetani e della sede della Fondazione; il secondo, invece, ha visto l’alternarsi delle lezioni di Luciano Monti (sullo stato degli archivi privati in Italia, la loro conservazione e il processo di digitalizzazione in atto con la presentazione del Rapporto 2024 “Hidden archives” cofinanziato dall’Unione Europea e curato dalla Fondazione RiES) e di quelle di Caterina Fiorani (sul reperimento delle risorse finanziarie per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio storico-culturale). Alla luce del successo riscontrato durante l’incontro di dicembre, la Fondazione Ca-
millo Caetani ha già programmato un secondo appuntamento per marzo 2025.
La Fondazione Camillo Caetani prosegue l’attività delle visite didattiche riservate alle scuole di ogni ordine e grado di istruzione. Nel mese di ottobre sono stati accolti gli alunni della scuola secondaria di primo grado dell’Istituto comprensivo Padre Semeria, che insieme alla loro professoressa Maria Vittoria Franco hanno partecipato a una lezione sull’importanza delle fonti storiche tenuta dalla direttrice dell’archivio. Gli alunni, oltre al patrimonio storico-artistico del palazzo Caetani, hanno potuto osservare documenti antichi come i libri mastri, le pergamene e i più contemporanei celebri volumi, con dediche autografe alla principessa Marguerite Caetani.
La Fondazione Camillo Caetani e la scuola
Convegni, concerti, laboratori
Il sistema delle arti nell’Italia della Restaurazione (1814-1823)
In occasione del bicentenario della morte di papa Pio VII Chiaramonti (1742-1823), e in collaborazione con l’École Française di Roma e con l’Istituto Svedese di Studi Classici, Adrián Almoguera, Giovanna Capitelli, Carla Mazzarelli hanno organizzato il convegno Dopo Napoleone. Il sistema delle arti nell’Italia della Restaurazione (1814-1823), che si è tenuto a Roma, presso la Fondazione Camillo Caetani, dal 15 al 17 gennaio 2024. Il convegno ha focalizzato l’attenzione su un momento cruciale della storia dell’arte italiana: i mutamenti storico-politici e culturali che caratterizzarono il sistema artistico della penisola italiana negli anni compresi fra il ritorno di Pio VII al soglio pontificio nel 1814 e la sua morte avvenuta il 20 agosto del 1823. L’obiettivo del convegno è stato quello di creare una riflessione transdisciplinare, dove la storia dell’arte ha incrociato la storia politica e culturale, attraverso lo studio delle vicende delle istituzioni, dei cantieri, delle questioni di stile e delle carriere nei principali centri di creazione e produzione artistica della penisola italiana.
Le conferenze dell’Arcadia
È proseguita anche nel 2024 la collaborazione scientifica e culturale tra l’Accademia dell’Arcadia e la Fondazione Camillo Caetani. Gli incontri che si sono tenuti a palazzo Caetani durante il ’24, secondo un principio di sempre più stretta collaborazione tra Arcadia e Fondazione Camillo Caetani, sono i seguenti: – Vico poeta in Arcadia (e dintorni) di Raffaele Ruggiero;
– Le «miserie umane». Percorsi di un tema mariniano di Clizia Carminati;
– L’origine sinistra dell’Arcadia (secondo Luigi Groto) di Bernhard Huss;
– La crisi della passione. Forma poetica e progetto musicale nei duetti di Metastasio di Lucio Tufano;
– L’altra Arcadia: paesaggio, miti e storia di una regione dell’antica Grecia di Albio Cesare Cassio
Pasolini nelle lingue del mondo
Il 19 e il 20 gennaio 2024 la Fondazione Camillo Caetani ha accolto i lavori del convegno internazionale di studi dal titolo Pasolini nelle lingue del mondo. Un’opera tradotta e da tradurre. L’iniziativa è stata ideata e curata da Angelo Fàvaro e Maura Lacantore, e si è inserita all’interno delle celebrazioni del centenario di Pier Paolo Pasolini.
Francesco Perri romanziere e politico
Francesco Perri è stato uno scrittore apprezzato durante gli anni Trenta, nonché un uomo con una certa sensibilità politica e uno spirito democratico, tanto più eccezionale alla luce del contesto storico in cui è vissuto, ossia il regime fascista. Per questa ragione la rivista «Mosaico italiano» gli ha dedicato un numero monografico, curato da Elisiana Fratocchi e Daniel Raffini. Il volume è stato presentato presso la Fondazione Camillo Caetani lunedì 12 febbraio 2024: oltre ai due curatori, sono intervenuti Pierangelo Lombardi, Giulia Perri, Fabio Pierangeli, Francesco Violi.
11 maggio 1860: inizia la storia d’Italia
Nel pomeriggio del 27 febbraio 2024 la Fondazione Camillo Caetani ha ospitato la
presentazione del volume 11 maggio 1860 di Luigi Mascilli Migliorini (Laterza).
Il libro ricostruisce la leggendaria giornata di Marsala, quando è davvero iniziata tutta la storia dell’Italia unita. Alla presenza dell’autore, il libro è stato discusso da Marina Formica e Mario Di Napoli.
Levitede’pittori,scultorietarchitetti (Roma 1642)
Il 10 marzo 2024, presso la sala convegni del palazzo Caetani, è stato presentato il volume Le vite de’ pittori, scultori et architetti (Roma 1642) di Giovanni Baglione. Ne hanno parlato Liliana Barroero, Nicola Navone e Alessandro Zuccari, insieme a Simonetta Prosperi Valenti, a cui è spettato il compito delle riflessioni conclusive.
Conoscenza e territorio
La Fondazione Camillo Caetani ha organizzato, nel pomeriggio del 10 aprile 2024, una tavola rotonda dal titolo Conoscenza e territorio, prendendo spunto dal volume Spoleto in pietre curato da Giovanna Sapori e Bruno Toscano e realizzato dalla Fondazione Marignoli di Montecorona.
Alla presenza dei curatori, ne hanno discusso Luciano Arcangeli, Massimo Ferretti, Orietta Rossi Pinelli, nonché molti ricercato-
ri e giovani studiosi, che nel corso del pomeriggio hanno animato la discussione.
Il Mediterraneo, Roma e Urbano VIII
Il 7 maggio 2024 la Fondazione Camillo Caetani ha ospitato la III e la IV sessione del convegno internazionale di studi dal titolo Il mondo mediterraneo e Roma. Connessioni e conflitti nell’età di Urbano VIII e oltre (16231669).
Il convegno è stato promosso del Comitato nazionale per le celebrazioni del IV centenario dell’elezione papale di Urbano VIII (1623-2023), riconosciuto dal Ministero della Cultura, con la collaborazione scientifica e il sostegno finanziario della Fondazione Camillo Caetani, dell’Istituto Nazionale di Studi Romani, dell’Istituto Storico Austriaco di Roma, del Dipartimento SARAS di Sapienza Università di Roma, del Dipartimento di Storia, Patrimonio culturale dell’Università di Roma Tor Vergata, e dal Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Roma Tre. L’iniziativa è stata anche patrocinata dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica, dall’Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea del Consiglio Nazionale delle Ricerche e dal Dipartimento di Scienze della Comunicazione dell’Università degli Studi di Teramo.
L’obiettivo del convegno è stato quello di focalizzare l’attenzione sul ruolo del Mediterraneo, inteso come crocevia di culture, religioni e persone, e sulle sue molteplici connessioni con la Roma barocca durante il pontificato di Urbano VIII e quelli dei suoi immediati successori.
Pietro Tripodo. Tra classicismo e modernità.
Pietro Tripodo è stato uno dei poeti più colti e attivi del panorama letterario romano degli anni Settanta e Ottanta. Per questo motivo, il 9 maggio 2024, la Fondazione Camillo Cae-
tani ha organizzato un seminario il cui scopo fosse quello di indagare la sua opera da molteplici punti di vista. Nel pomeriggio di studi si sono succedute le relazioni di Ignazio Visco, Corrado Bologna, Lorenzo Calafiore, Eleonora Rimolo.
Archivissima 2024
L’evento Archivissima del 2024 ha avuto come tema proposto Passioni. La Fondazione Camillo Caetani ha reso proprio tale messaggio, rinnovando la sua partecipazione con un video e un podcast dal titolo Passion Flower. Francesco IV Caetani condotto e diretto da Idalberto Fei.
Il video ha come protagonista Francesco IV Caetani, un uomo che riaffiora dal lontano Seicento raccontandoci non solo la sua ambizione politica – governatore di Milano, viceré di Sicilia, grande di Spagna – ma anche la sua passione per i fiori, al punto di dare ad uno di loro il suo nome: l’Anemone Caetani.
Mi buenos aires que Rìo
Il 14 maggio 2024 la Fondazione Camillo Caetani ha presentato il libro di poesie Mi buenos aires que Rìo del Maestro Domingo Notaro. Alla presenza dell’autore, ne hanno discusso Rino Caputo, Pietro Montani, Mariarosaria Colucciello, Simonetta Prosperi Valenti e Marco Bechis.
Durante l’evento sono state lette da Alessia Deligios e Antonio Scalici alcune poesie di Notaro.
Donne nelle stamperie veneziane del Rinascimento
In collaborazione con la Fondazione Ernesta Besso, la Fondazione Camillo Caetani ha organizzato il 21 maggio 2024 la presentazione del volume Alle donne che niente sanno. Mestieri femminili, alfabetizzazione e stampa nella Venezia del Rinascimento di Tiziana Plebani.
Insieme all’autrice, hanno discusso del libro, e delle questioni che esso solleva, Anna Ansaloni e Marina Caffiero.
Il 24 maggio 2024 ha avuto luogo la IV edizione dei Colloqui dottorali di italianistica, organizzati dalla Fondazione Camillo Caetani, in collaborazione con le scuole di dottorato di quattro università romane: Roma Tre, Sapienza, Tor Vergata, Lumsa. In questa occasione, a cinquant’anni dalla pubblicazione de La storia, si è discusso di Elsa Morante e la storia del romanzo (modelli, ricezione, riscritture, rapporti culturali)
Elsa Morante e la storia del romanzo
Il colloquio si è articolato, come di consueto, in due momenti: il primo è stato di carattere seminariale, con un piccolo gruppo di relazioni, tenute da Elena Porciani, Gianluigi Simonetti, Tiziana de Rogatis e Monica Venturini; il secondo momento prevede la pubblicazione di un volume, al quale parteciperanno – oltre le relatrici e i relatori –
Colloqui dottorali di italianistica IV edizione
Elsa Morante e la storia del romanzo (modelli, ricezione, riscritture, rapporti culturali)
A cinquant’anni dalla pubblicazione de La storia Seminario e Call for paper
dottorande e dottorandi, rispondendo a una call for papers. Il volume uscirà nel 2025, e sarà pubblicato da Edizioni di Storia e Letteratura.
Arte, criminalità e religione nell’Italia del Rinascimento
Il 28 maggio 2024, nella sala convegni del palazzo Caetani è stato presentato il volume Storia di un ebreo convertito. Arte, criminalità e religione nell’Italia del Rinascimento di Tamar Herzig, edito da Viella e co-vincitore del Premio Internazionale Cherasco Storia 2024. Alla presenza dell’autrice, con l’introduzione di Daniele Ravenna, ne hanno discusso Luciano Arcangeli, Sante Guido e Massimo Moretti.
Rinascimento tra Lucrezia Borgia e i Caetani
Il 12 giugno 2024 a palazzo Caetani si è tenuta la presentazione del volume Sermoneta nel Rinascimento tra Lucrezia Borgia e i Caetani, curato da Anna Esposito e Giovanni Pesi-
Fondazione Camillo Caetani, via Botteghe Oscure 32
Fondazione Camillo Caetani, via Botteghe Oscure 32
I Colloqui dottorali di italianistica si articolano in due momenti. Il primo ha carattere seminariale, prevede un piccolo gruppo di relazioni, e coinvolge i dottorandi e le dottorande delle università romane. Il secondo momento trova sbocco invece in un volume, che facendo tesoro di quanto emerso nel seminario approfondisce aspetti, temi, elementi: al volume si può partecipare rispondendo al call for papers.
ri, ed edito da Viella. Con l’introduzione di Marco Vendittelli, ne hanno discusso Maria Teresa Caciorgna e Tommaso di Carpegna Falconieri.
Roffredo Caetani compositore. La vita, le opere, il tempo
Il 20 giugno 2024 si è tenuta, nella residenza dell’Ambasciatore del Brasile presso la Santa Sede, al piano nobile di palazzo Caetani, la presentazione del volume Roffredo Caetani compositore. La vita, le opere, il tempo di Paul Op de Coul, edito da Edizioni di Storia e Letteratura.
La presentazione, con interventi di Luciano Arcangeli e Andrea Penna, è stata allietata dall’esecuzione musicale del Maestro Marco Scolastra, che ha eseguito al pianoforte brani del duca musicista Roffredo Caetani e di altri compositori a lui contemporanei.
Il madrigale italiano da Petrarca a Monteverdi
La Fondazione Camillo Caetani nel settembre 2024 ha ospitato la seconda edizione del ciclo di seminari, conferenze e concerti dal titolo Italia mia. Il madrigale italiano da Petrarca a Monteverdi. Anno II. Monteverdi, Gesualdo e la «seconda prattica».
Organizzato in collaborazione con l’Associazione Ghimel, Italia mia è stata un’occasione particolare in cui musicisti, musicologi, letterati, cantanti e strumentisti professionisti, studenti o semplici appassionati si sono incontrati per studiare, discutere, analizzare e soprattutto eseguire il repertorio madrigalistico italiano.
Onorato Caetani e Fortunato Bartolomeo De Felice
In collaborazione con la Fondation De Felice di Yverdon e con la Società Italiana di Studi sul Secolo XVIII, la Fondazione Camillo Caetani ha organizzato, il 23 e il 24 settembre 2024, due giornate di studi dal titolo Onorato Caetani e Fortunato Bartolomeo De Felice: ricerche su una corrispondenza nell’età dei Lumi.
La giornata di studi ha avuto un duplice obiettivo scientifico: da un lato, favorire un confronto internazionale (messa in comune di fonti e documenti, ipotesi di lavoro, ecc.) che permettesse una prima contestualizzazione del carteggio Caetani-De Felice e la valorizzazione del fondo Caetani; dall’altro lato, tracciare delle linee guida per estendere le ricerche non solo sulla circolazione e la ricezione delle opere di De Felice in Italia, ma anche sui legami che De Felice e Caetani stringono con la cultura erudita e cattolica dell’Illuminismo italiano.
L’incontro è stato anche l’occasione per approfondire la rete epistolare di Onorato Caetani, i suoi rapporti con editori e stampatori, in particolare con le Efemeridi letterarie di Roma, e più in generale il contesto intellettuale romano degli anni Settanta e Ottanta del Settecento.
Il papato breve di Adriano VI
Il 17 ottobre 2024 la Fondazione Camillo Caetani ha ospitato la presentazione del vo-
lume Il papato breve di Adriano VI. Storia, religione, arte, cultura, a cura di Giuseppe Crimi, Anna Esposito e Harald Hendrix. Alla presenza dei curatori, ne hanno discusso Irene Fosi, Paola Cosentino e Leen Spruit.
L’Arcadia, una repubblica delle lettere e della società
Il 30 e il 31 ottobre 2024 la Fondazione Camillo Caetani ha ospitato il seminario, proposto e curato dall’Accademia dell’Arcadia, dal titolo Una repubblica nelle sue parole: Arcadia, 1690-1772. L’incontro ha preso le mosse da un lavoro di repertoriazione dei testi in poesia e in prosa, in «toscano» e in latino, recitati dagli arcadi durante le «ragunanze» al Bosco Parrasio e/o andati a stampa sotto l’insegna dell’Arcadia, dal 1690 al 1768, anno della pubblicazione del terzo volume degli Arcadum carmina. Il seminario ha anche voluto focalizzare l’attenzione sul contributo dato dagli arcadi non solo alle varie discipline letteraria, ma anche alla politica e alla società dell’ultimo Seicento e del Settecento.
Carlo Placci, dilettante e cosmopolita
La Fondazione Camillo Caetani conserva un busto raffigurante Carlo Placci, scolpito da Gelasio Caetani. L’opera dimostra una certa frequentazione tra la famiglia Caetani
e lo scrittore di Faenza. Non stupisce, allora, che la Fondazione Camillo Caetani, il 14 novembre 2024, abbia presentato il volume Carlo Placci. Dilettante e cosmopolita di Giorgio Villani. Del libro hanno discusso Benedetta Craveri, Jacopo Pellegrini, Luca Pezzuto.
Un documentario su Bassani a palazzo Caetani
Nella giornata del 14 novembre 2024 la sede della Fondazione Camillo Caetani è stata l’ambientazione di una sessione di riprese cinematografiche per la realizzazione di un docufilm dal titolo Giorgio Bassani, in gran segreto. Il documentario, prodotto dalla compagnia cinematografica Civetta Movie e con la regia di Toni Trupia, ha per protagonisti principali gli eredi dello scrittore, Paola ed Enrico Bassani, figli di Giorgio.
Giudici poeta intellettuale
Nel 2024 si è celebrato il centenario della nascita di Giovanni Giudici, con diverse iniziative, tra cui tre convegni, organizzati dall’Università di Milano, l’Università di Genova e la Fondazione Camillo Caetani, che si sono concentrati rispettivamente sulla produzione poetica, sui rapporti con altri scrittori, e sull’attività intellettuale. Quest’ultimo si è appunto tenuto a palazzo Caetani il 21 e il 22 novembre, e ha avuto come titolo Giudici poeta intellettuale. L’iniziativa, che ha avuto un eccezionale successo di pubblico (in presenza oltre che online), ha visto succedersi diversi relatori, tra cui Alberto Cadioli e Giulio Ferroni.
I Caetani e la pianura pontina tra Otto e Novecento
Il 28 novembre 2024 la Fondazione Camillo Caetani ha presentato il volume «Un territorio che sta sul nascere». I Caetani di Sermoneta e la trasformazione agraria della pianura pontina, secc. XIX-XX di Manuel Vaquero Piñeiro. Il volume, edito da Edizioni di Storia e Letteratura e inserito all’interno della collana «Archivio Caetani», è frutto di studi e ricerche promosse dalla Fondazione e condotte sui materiali d’archivio, custoditi a palazzo Caetani. Del volume hanno discusso Emanuele Bernardi e Gaetano Sabatini, con la moderazione di Luciano Palermo.
Edizioni fuori collana
Nel dicembre 2024 è uscito il volume Fondazione Camillo Caetani. La collezione. Dipinti, Sculture, Disegni, a cura di Duccio K. Marignoli e Giovanna Sapori, per De Luca Editori d’Arte. Il volume presenta la completa catalogazione scientifica dei dipinti, delle sculture e delle opere grafiche di proprietà della Fondazione.
Finanziamenti e convenzioni
Con l’aiuto dei contributi emessi dalla Regione Lazio per gli istituti culturali, la Fondazione ha finanziato l’attività di schedatura informatica del Fondo Caetani contemporanei, composto da 20 serie, in cui spiccano le serie di corrispondenza del duca Onorato Caetani (1842-1917) e del duca Roffredo Caetani (1871-1961). Gli inventari prodotti offrono così un facile reperimento di una tale importante documentazione.
La Fondazione è stata iscritta alla Tabella delle istituzioni culturali ammesse al contributo ordinario annuale dello Stato per il triennio 2024-2026.
I progetti di ricerca per le borse di studio emesse dalla Fondazione sono definitivi. Per
la borsa di storia dell’arte si sta lavorando su Gli Altieri nel XVII secolo: una famiglia antica romana ai vertici del potere; in ambito letterario le ricerche si concentrano su Carlo Cassola e il romanzo degli anni Cinquanta: narrazione, editoria e politica; in campo storico è in corso un progetto dal titolo Tra Dio e Cesare. Trasformazioni e resistenze della noblesse pontificia nella Roma napoleonica (1809-1814).
Nel 2024 la Fondazione Camillo Caetani, in partenariato con la Fondazione Roffredo Caetani, ha erogato una borsa di studio a Virginia Lizzi che presso l’Istituto Centrale per il Restauro ha curato i lavori di restauro della Pala di Sant’Antonio di Tullio e Girolamo Siciolante.
Mostre
Opere Caetani al Museo di Roma
La Fondazione ha concesso in prestito il Ritratto di Onorato Caetani (inv. n. 967), dipinto da Angelica Kauffman, e il Ritratto di Michelangelo Caetani bambino (inv. n. 1810),
realizzato da Bianca Milesi. Le due opere sono state destinate alla mostra Roma pittrice. Artiste al lavoro tra XVI e XIX secolo, che si è svolta presso il Museo di Roma in palazzo Braschi dal 24 ottobre 2024 al 23 marzo 2025, prorogata fino al 4 maggio 2025.
Restauri e acquisizioni
Il banchetto della regina Artemisia
L’intervento conservativo sull’arazzo Il banchetto della regina Artemisia è un affascinante viaggio nel mondo dell’arte e della storia, un processo delicato e metodico che richiede grande attenzione, soprattutto considerando lo stato di conservazione dell’opera, piuttosto precario. Questo straordinario arazzo presenta numerosi rammendi e un patchwork di frammenti provenienti da altri arazzi, che non solo compromettono la sua struttura, ma creano anche un impatto visivo molto forte e, talvolta, disarmante.
Per affrontare questa sfida, i restauratori si stanno dedicando a un’analisi approfondita, volta a valutare attentamente le condizioni dell’opera. Ogni dettaglio viene esaminato per identificare i materiali originali e le
tecniche di tessitura impiegate, in modo da rispettare la sua autenticità. Quando possibile, i rammendi inadeguati vengono rimossi con la massima cautela, preservando i preziosi pezzi originali. Importante è anche la fase di consolidamento e la stabilizzazione della struttura, un’operazione fondamentale per garantire la durabilità dell’opera nel tempo. Tecniche di supporto, come il fissaggio su un telaio, vengono applicate con precisione meticolosa, seguite da un’accurata rifinitura che mira a ripristinare l’aspetto estetico dell’arazzo, mantenendo intatta la sua integrità storica.
Il risultato finale di questo impegnativo intervento sarà un’opera restaurata che non solo rinascerà nella sua bellezza originale, ma sarà anche pronta a raccontare la sua storia per le generazioni future.
A novembre 2024, presso la casa d’aste Bolli & Romiti, è passato in asta un ritratto con lo stemma Caetani nell’angolo superiore sinistro (olio su tela, 50x60 con cornice). Segnalato dal presidente Antonio Rodinò di Miglione, il quadro è stato acquisito da chi scrive e donato alla Fondazione Camillo Caetani. L’identificazione del personaggio è stata resa possibile grazie a un’altra versione di qualità leggermente migliore già appartenente alla Fondazione (cfr. Ritratti dei Caetani, a cura di G. Sapori e I. Sferrazza, in Fondazione Camillo Caetani. La collezione. Dipinti, sculture, disegni, a cura di D. K. Marignoli, G.
Sapori, Roma, De Luca Editori, 2024, p. 334, n. 24), e mostra Bonifacio III Caetani (17891857). Figlio di Francesco V, fu capostipite del ramo dei Caetani della Fargna a seguito del matrimonio con Luisa della Fargna nel 1822, ramo estinto agli inizi del Novecento. L’esistenza di due copie anonime della stessa effigie potrebbero far pensare che esistesse anche una ulteriore primaria versione, oggi non rintracciata, utilizzata come modello per quello che sembra essere poi diventato il ritratto ufficiale del marchese Bonifacio.
duccio K. M arignoLi
Ritratto di Bonifacio III
Social e sito web
Il sito web: statistiche visitatori
L’esame delle statistiche del sito fondazionecamillocaetani.it per l’anno 2024 mostra una crescita nei visitatori totali (15.013, + 30% ca.) e nel numero di pagine visitate (26.046, + 40% ca.) rispetto all’anno precedente.
Riportiamo di seguito la lista delle 10 pagine più viste nel 2024.
La tendenza alla crescita si riscontra anche nel traffico in ingresso da motori di ricerca, piattaforme social (Facebook, Instagram), università, pagine Wikipedia, fondazioni e istituti di cultura. Google è il motore di ricerca più usato per trovarci.
Il sistema di sicurezza fondato sul controllo a due fattori 2FA – simile ai login bancari – ha scremato i tentativi di accesso fraudolento, facendo registrare un calo degli attacchi hacker di ca. 35%.
Un costante monitoraggio degli accessi e il relativo blocco di indirizzi IP legati ad attività illegali ci ha permesso di avere un anno relativamente sicuro.
Il sito gode di maggiore sicurezza grazie anche alla creazione di backup periodici dei contenuti pubblicati e del database generale Mysql. In questo modo è possibile ripristinare l’impianto web anche dopo una breccia informatica.
Pagine social
Dall’aprile 2021 la Fondazione Camillo Caetani è approdata su Facebook, aprendo la sua pagina al fine di pubblicizzare maggiormente le proprie iniziative e di condividerle con un pubblico sempre più ampio. Constatato il successo di Facebook, grazie al quale è aumentato il numero di utenti in sala studio, dei partecipanti alle visite guidate, degli spettatori agli eventi, ad esso è stato collegato un profilo Instagram. La scelta si è imposta come necessaria per intrecciare ancora di più un dialogo con i giovanissimi ai quali potrebbe forse sfuggire la notizia edita su sito web, mentre più facilmen-
te vengono intercettate le news a portata di smartphone.
Entrambi i profili sono arrivati a contare circa cinquecento followers. A completare il ventaglio social, il cana-
le Youtube della Fondazione che continua a dimostrarsi ampiamente visualizzato. Qui, in una sorta di Editoria multimediale, sono consultabili i convegni, i laboratori, i seminari e i concerti organizzati dalla Fondazione.
Schede di libri
Massimiliano Tortora, Tra realismo e persistenze moderniste, Ledizioni, 2024
Continua la collaborazione scientifica ed editoriale tra la Fondazione Camillo Caetani e il CEMS (Centre for European Modernism Studies). In questo caso si tratta del volume di Massimiliano Tortora, che con una serie di affondi, indaga le persistenze del modernismo all’interno del romanzo degli anni Cinquanta: una stagione in cui il realismo sembra essere un dogma da rispettare. Trovano spazio in questo libro alcuni interventi su Bassani e su «Botteghe Oscure», che riguardano più da vicino gli interessi della Fondazione Camillo Caetani.
Lauro Marchetti, Memorie di Ninfa, Allemandi, 2024
Lauro Marchetti è la memoria di Ninfa: appena ventenne, nel ’70, viene assunto dalla famiglia Caetani, divenendo poi nel 1976 Segretario Generale della Fondazione Roffredo Caetani. E da allora, fortunatamente, dalla Fondazione e dal giardino non si è mai allontanato. Per questo motivo il suo Memorie di Ninfa giunge prezioso: è un libro che coniuga il ricordo personale con il dato storico, la traiettoria affettiva con l’elemento pragmatico, la favola con la storia. Ed è un libro che merita di essere letto sia da chi deve ancora visitare Ninfa (quasi si trattasse di una guida), sia e forse soprattutto da ha già visitato il giardino.
Finito di stampare nel giugno 2025 da Digital Team s.r.l.