RISK 12

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Risk forzato ed ampliato dal silenzio della Qdr sulla possibilità che tali operazioni non siano a conduzione nazionale americana, ma quanto meno internazionale (Nato, Onu od altro). La tendenza americana ad operare autonomamente dagli alleati e dalle organizzazioni internazionali di cui fanno parte pone grossi problemi politici e di coordinamento che la Qdr semplicemente ignora. Ciò peraltro si accompagna alla constatazione della opportunità di costruire nuove architetture multilaterali di sicurezza regionale, a partire ad esempio da reti di sistemi difensivi contro i missili balistici, ma inclu-

Dalla fine della Guerra Fredda, lo scenario di riferimento usato dal Pentagono per pianificare le Forze al suo comando puntava a disporre di capacità sufficienti a condurre in contemporanea due guerre “regionali” (così definite per distinguerle dalla passate guerre mondiali). Oggi invece il Pentagono si è esercitato su tre diversi scenari, ognuno volto a esaltare l’importanza di disporre di diverse capacità dendo anche l’estensione di garanzie dissuasive e difensive e l’approntamento di maggiori capacità per condurre operazioni di contrasto, distruzione e se necessario di contenimento dei danni collegati alle armi di distruzione di massa e alla loro proliferazione. Inevitabilmente, una tale politica porterà ad estendere notevolmente il numero e l’importanza degli impegni americani nei confronti dei paesi alleati ed amici, 14

accrescendo anche le probabilità di impiego delle Forze e la rigidità del loro dispiegamento. Vi è qui una possibile contraddizione con la ricerca di una maggiore flessibilità e libertà di impiego e con il dimensionamento delle Forze disponibili che può essere corretta solo da una maggiore cooperazione e integrazione delle Forze alleate, a condizione però che ciò sia reso politicamente, strategicamente e tecnologicamente possibile. Un aspetto particolare di questo problema traspare anche da altri documenti e dichiarazioni dell’amministrazione americana. Così ad esempio, nella sua Npr (la Nuclear Posture Review, appena completata dal presidente Obama), oltre a ribadire l’obiettivo del disarmo nucleare generale e completo (del resto già sottoscritto nel Trattato di Non Proliferazione e affermato più o meno sinceramente da una lunga serie di Presidenti americani), ribattezzato con linguaggio più evocativo “opzione zero”, si modifica la dottrina nucleare inserendo una sorta di principio di no-first-use (rinuncia all’uso per primi dell’arma nucleare contro gli avversari), “alleggerito” e corretto dalla affermazione che tale principio non vale nei confronti di stati che non siano parte del Tnp o che siano in violazione di esso. La cosa non è stata molto commentata, ma potrebbe in realtà nascondere alcuni problemi destinati ad accrescere le divisioni tra alleati e a complicare il lavoro in corso nella Nato per definire il nuovo Concetto Strategico. Si afferma in particolare che tale rinuncia corrisponde alla nuova realtà di una diminuita minaccia convenzionale, in particolare in Europa, cosicché, ad esempio, non è più necessario ipotizzare l’uso di armi nucleari contro un attacco condotto da un avversario in posizione di schiacciante superiorità convenzionale. Ma se questo può essere vero per quel che riguarda ad esempio la Germania o l’Italia, ormai lontane dalla vecchia linea del fronte, non può essere invece applicato ad altri paesi membri della Nato, come le Repubbliche Baltiche, che infatti hanno guardato con notevole trepidazione all’intervento militare russo in Georgia e all’assenza di una risposta militare occidentale, ovvero ad un alleato fortemente esposto


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