C'era una volta, di Piero lumini

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Il giorno 14 dicembre 2017 Piero Lumini ci ha lasciati per sempre. Autore di innumerevoli articoli e libri sulla nostra passione, personaggio pregno di una umanità oggi sempre più rara, ha certamente avuto la fortuna di vivere la parabola più vitale ed eccitante della fase pionieristica della pesca a mosca. Per noi ha fatto tanto, è il momento di fare noi qualcosa per lui, non foss’altro che leggere la sua storia, una storia di pesca, di viaggi, di amicizie e di grandi e piccole avventure in fiumi di tutto il mondo. Questo suo articolo uscì in Fly Line 3/2012.


C’

era una volta... la pesca a mosca

Cinquant’anni di ricordi, di entusiasmi, di avventurose, o ritenute tali, uscite di pesca in luoghi “esotici”, in un primo tempo almeno nella mente, poi anche nella realtà geografica. Fiumi davvero selvaggi, fasi pionieristiche e scoperte affascinanti. Questo era lustri fa la pesca a mosca.

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Piero Lumini


L’Autore

Qui sopra: la prima volta nel fiume Unec, siamo nel 1970, allora più leggenda che realtà, qui a sinistra, sempre l’Unec, siamo nel 1977. UNEC - Questo magnifico chalk stream dove ho avuto la fortuna di pescare già dalla fine degli anni 60 ha subito delle trasformazioni incredibili. Oltre ad una discutibile gestione che ha teso più a soddisfare le esigenze di “cassa” che non a salvaguardare l’ecosistema nel suo insieme, le mutate condizioni idrogeologiche stanno compromettendo irreversibilmente il corso del fiume. In quegli anni ci muovevamo veramente all’insegna dell’essenziale. Attrezzature approssimative ed esperienza di pesca assai limitata. Il mio vissuto scoutistico e di alpinista ci permettevano di mettere a punto uscite con il minimo indispensabile: agili nei movimenti, senza una logistica complessa, accontentandoci dell’essenziale e con una buona dose di incoscienza. Non vi erano problemi di no-kill, concetto allora praticamente sconosciuto, quello che pescavamo ce lo mangiavamo e faceva parte del programma. Era una certezza che da lì a pochi anni le cose sarebbero cambiate, ed era proprio questa consapevolezza che ci spingeva a tentare sempre nuove avventure nei posti più impensati. Prendevamo una carta geografica, la più dettagliata che c’era in quel momento e tracciavamo un itinerario dove vedevamo indicati fiumi che presupponevamo contenessero trote e temoli.

E E

sortato da Roberto a scrivere della pesca a mosca “ieri e oggi”, in occasione dei 50 anni di Pam, mi sento un po’ un sopravvissuto in quanto di questi cinquanta ne ho trascorsi ben quarantacinque. Devo ammettere che sicuramente per chi come me ha iniziato questa avventura negli anni ‘60 deve ritenersi un privilegiato. I motivi sono molteplici, sia per quanto riguarda la qualità delle acque, sia per la quantità di pesci veri presenti nelle stesse e vuoi per la possibilità di vivere avventure veramente tali anche senza varcare i confini dell’impossibile. Inoltre non avendo a quel tempo la pesca a mosca una storia nel nostro Paese vi era la possibilità per chi ne aveva la capacità e lo stimolo di scriverne una. La pesca in genere mi ha sempre interessato essendo stato iniziato fin da piccolo da uno zio compiacente. Dopo un lungo silenzio durato fino alla maturità ho ripreso a pescare quasi a compensare l’abbandono dell’alpinismo

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Ci davamo un gran daffare, corsi in giro per l’Italia, pubblicazioni ad uso del Cipm (Club Italiano Pescatori a Mosca), collaborazioni con riviste e chi più ne ha più ne metta. Tutto sapeva di avventura, tutto era da scoprire, non esistevano pubblicazioni in lingua italiana e ci arrangiavamo con traduzioni approssimative dai sacri testi inglesi e l’inventiva personale era alla base di tutto. Reperire il materiale era comunque un evento. Partivamo in treno per Milano con liste dei vari amici per acquistare da Ravizza, Garue e Ghilardi (Milano era già più evoluta) l’indispensabile per praticare la nostra passione. Ogni gita di pesca era un’avvenQui sopra: il Maglia, in Basilicata; in basso al centro il Mingardo, sempre in Basilicata. Gli splendidi fiumi della Basilicata e della Calabria, quando li frequentammo negli anni ‘70, rappresentarono una sorpresa per la quantità di trote e per gli ambienti pressochè vergini. Successivamente il bracconaggio, il prelievo dissennato dell’acqua e l’assenza di una corretta politica del territorio hanno distrutto inesorabilmente il patrimonio alietico.

dovuto ai nuovi impegni famigliari che non mi permettevano di allenarmi. La scelta della pesca a mosca è stata consequenziale al desiderio di vivere in ogni caso un’esperienza che mantenesse un contatto reale con l’ambiente naturale. Avevo sentito parlare di questa difficile disciplina come la massima espressione della pesca in senso lato. Le sfide mi sono sempre piaciute, ma due furono i fattori determinanti: l’acquisto di un libretto sull’argomento edito dalla Hoepli, scritto dal dott. Cotta Ramusino e l’esigenza di fare una tesina sui gruppi spontanei, utile per un esame universitario di sociologia. Una locandina affissa in un negozio che invitava a iscriversi ad un fantomatico club di pescatori a mosca attras-

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se la mia attenzione. La tesina non uscì mai fuori, ma in compenso mi ritrovai iscritto a questo club del quale presto divenni anche un attivo animatore insieme ai compagni della prima ora, come Daveri, Pragliola ed altri volonterosi.

A fronte in alto: il no kill era un concetto sconosciuto, mentre erano parecchio apprezzate le proteine del fiume. Nelle foto piccole: i libri scritti dall’Autore nel corso degli anni.


tura, anche se allora difficilmente superavamo la frontiera italiana. La mia partecipazione al club durò una decina di anni, ma in seguito le molte anime che in quegli anni iniziavano a manifestarsi tendevano a cambiare il clima pionieristico e spontaneo della prima ora e personalmente non mi ritrovavo più in sintonia. In questo periodo che potrei racchiudere fra la metà degli anni 60 fino

ai primi anni 80 lo spirito che ci animava era uno spirito semplice, con la gran voglia di far partecipi gli altri di questa scoperta che era la pesca a mosca. Idealismo, è vero, ma fatto di concreta partecipazione. Con alcuni amici spinti dal sacro fuoco dell’avventura cominciavamo a spingerci con vari mezzi di fortuna su itinerari insoliti facendo campeggio libero in ambienti di pesca allora scono-

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Fiume Lim in Montenegro

Trota dalla bocca soffice

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Cimitero


LIM-TARA - Nella rivista Fly Line di settembre/ottobre ho letto un articolo di Marco Sportelli. Personalmente non credo di conoscerlo, ma mi ha fatto molto piacere leggere in positivo del suo viaggio nel Montenegro e della pesca nei fiumi, Tara, Moraça, Lim, ecc. Ho percorso quell’itinerario nel 1980 e francamente pensavo che tutto avesse seguito le stesse misere sorti della maggior parte delle acque della EX Yugoslavia. Speriamo che si inverta la tendenza.

Fiume Tara in Montenegro

Immagini del Buna a Mostar. Qui sopra e al centro in alto: Il Tara ed il Lim in Montenegro. Scoprimmo il Buna nel ‘79. Rimanemmo estasiati dalla bellezza di questo magnifico corso d’acqua e delle sue splendide trote dalla bocca soffice. Potrei dire che nella mia oramai lunga vita di pescatore di non aver mai trovato un fiume così affascinante. Per sei anni consecutivi siamo “riapprodati” sulle sue rive ma già dopo qualche anno le condizioni erano mutate. Con l’avvento della plastica e l’intensa cementificazione sulle rive, il fiume iniziava lentamente a morire. Abbiamo voluto fare un viaggio fra i ricordi e nel 2009 siamo ritornati a calpestare quei lidi. La guerra, la ricostruzione selvaggia e quanto altro ha trasformato il fiume in una discarica. L’ambiente circostante è contornato da un ammasso di rovine lasciate dalla guerra e come macabro contorno innumerevoli cimiteri.

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PESCA IN LAGO - Un momento di gioioso relax con Fosco Torrini a black bass in ciambella sul lago artificiale di S. Barbara nell’aretino. Le “ciambelle” erano fatte in casa ma i pesci erano doc tanti e grossi, era il 1983. Una diecina di anni dopo la società Enel che lo gestiva l’abbandonò mettendo in dismissione la centrale e questo ne segnò la morte alieutica per incapacità degli enti locali di salvaguardarne il prezioso ecosistema che si era sviluppato.

Appennino parmense, 1994

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TARO - L’appuntamento annuale con le cheppie era divenuto oramai un rituale. A maggio una telefonata dell’amico Renzo ci avvertiva che il momento era arrivato. La pesca di per sé non richiede una tecnica eccezionale , ma la quantità dei pesci che catturavi, la taglia e la combattività degli stessi, valeva certamente la pena. Una giornata di divertimento con una bella mangiata in compagnia degli amici era quanto di meglio si potesse desiderare. I lavori della TAV e il dissennato prelievo dei pesci con le reti alle foci degli affluenti del PO ridussero in poco tempo le risalite di questi bei pesci. Da quello che ho appreso, in questi ultimi anni le cheppie stanno lentamente risalendo di nuovo.


In Taro a cheppie, siamo nel 1991

Appennino parmense, 1994

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Sri Lanka

SRI LANKA - Tutto il mondo è paese, recita un vecchio proverbio. Quando nel ‘91 ci imbarcammo nell’avventura di Ceylon non avremmo mai immaginato che in uno sperduto paese sul limite dell’equatore potessero vivere e riprodursi delle trote. È vero che gli inglesi nelle loro colonizzazioni portavano anche la loro cultura. Ma da lì a pensare alla pesca a mosca il passo è grande. Sulle Horton Plain, un massiccio che si alza fino 2500 m gli

Sri Lanka

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inglesi avevano ricreato un Eden per la pesca. Abbiamo fatto appena a tempo a ripercorrere con non poche difficoltà quell’itinerario e pescare in un fiume da favola che scorre in mezzo alla giungla. Appena qualche anno dopo abbiamo avuto notizie da un nostro amico del posto che le fazioni in guerra, per ragioni a noi sconosciute, avevano distrutto la vecchia rest-house e bombardato il fiume.


Sri Lanka

KENYA - Essere invitato da un’importante azienda del settore a recarmi in Kenya per insegnare nuove tecniche di costruzione in una fabbrica di mosche era l’ultima cosa che mi sarebbe mai passata per la testa. L’esperienza è stata per me una fonte inesauribile di scoperte e una grande lezione di umiltà. Vedere le capacità di queste persone nel costruire qualsiasi tipo di artificiale con strumenti e mezzi che dire primitivi è poco è certamente servito a ridimensionare tutto il mio presunto sapere. Questa è stata per me un’esperienza umana di grande valore e sicuramente ciò che ho ricevuto è stato molto di più di quello che ho potuto lasciare.

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sciuti alla maggior parte dei mortali. L’inizio della collaborazione con la rivista “Pescare” verso la metà degli anni ‘70 rappresentò per me l’occasione di iniziare a scrivere periodicamente e nello stesso tempo maturò l’idea di iniziare un’esperienza editoriale italiana visto anche che erano stati fatti enormi progressi sia nella tecnica di lancio che nella costruzione degli artificiali e la pesca a mosca italiana stava assumendo una personalità sua propria. Con gli amici Del Buono e Gigli realizzammo il primo manuale per la costruzione delle mosche artificiali che fu pubblicato dalla “Olimpia” . Il manuale riscosse un grande successo ed ebbe anche il premio letterario del Coni per la letteratura sportiva. Questo fatto mi stimolò a proseguire su questa strada che è continuata costantemente fino ad oggi con la pubblicazione di undici lavori italiani ed una collaborazione con la Black & Black inglese. Nasce in questo tempo anche un sodalizio di amici con i quali ho diviso gioie e dolori di vita e di pesca. Dopo le prime esperienze con tenda e sacco-letto trasformammo un 238 FIAT , di seconda mano, in una specie di camper con il quale abbiamo percorso in lungo e in largo l’Italia, dai fiumi della Calabria alle risorgive del Friuli, vari paesi europei e attraversato la ex Yugoslavia dalla Macedonia alla Slovenia, sempre alla ricerca di fiumi e itinerari nuovi.

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ALASKA - Il mio primo viaggio in Alaska l’ho fatto accompagnando un gruppo di pescatori per conto di una compagnia di viaggi. Era il 1981 e devo dire che quando scesi dall’aereo ad Anchorage mi sembrò davvero di calcare le orme dei primi cercatori d’oro. La maggior parte delle case era di legno. Costruzioni basse e negozi caratteristici dove potevi trovare di tutto. Dalle slitte , alle pelli di volpe polare, alle trappole per i castori , fucili, canne da pesca, canoe, insomma tutto ciò che poteva servire per un’avventura vera. Lo stesso viaggio risultò avventuroso e ricco di sorprese nonostante che noi ci muovessimo con dei camper e quindi percorrendo strade sufficientemente normali e pescando nei fiumi che incontravamo. Siamo ritornati nel 2005 e ciò che abbiamo trovato non aveva pìù quel sapore di selvaggio ma piuttosto di una grande kermess turistica. Anchorage una metropoli con i grattacieli e una miriade di negozi per turisti con chincaglierie ricordo made in Cina. Una vera tristezza. Lungo le strade percorribili dove le cittadine allora contavano poche case in legno adesso è tutto cementificato con grandi supermercati e negozi di ogni tipo. È vero che lì si può ancora vivere un’avventura in mezzo alla natura selvaggia, ma solo avendo una grande disponibilità economica e utilizzando idrovolanti noleggiati dalle numerose compagnie turistiche locali. La collaborazione giornalistica con la rivista Pescare durata oltre 25 anni mi ha consentito di effettuare viaggi in vari paesi del mondo seguendo itinerari inconsueti e allargando così le mie conoscenze sulla pesca e non solo. Ha favorito innumerevoli incontri con molte personalità a livello nazionale e internazionale, il che certamente mi ha aiutato ad avere una visione più generale dei problemi. È in questi anni che ho girato per i vari club italiani, invitato a


Ritorno alle origini: anno 2009; rivisitazione delle sorgenti del Buna e del nuovo ponte di Mostar.

serate di costruzione e conferenze sulla pesca a mosca e anche questo mi è servito a rendermi conto della realtà italiana e dove stava andando la “mosca”. La pesca a mosca oltre ad essere stata un motivo di attività di tempo libero mi ha accompagnato con diversi gradi di intensità anche come un’attività professionale vera e propria. Alla fine degli anni ‘70 partecipai alla fondazione della società Roberto Pragliola srl occupandomi in prima persona della parte produttiva, sodalizio che è durato alcuni anni. Successivamente ho collaborato con varie aziende italiane ed estere nella messa a punto di materiali e attrezzature per la “mosca”. Accanto a questa attività se ne è sviluppata un’altra parallela relativa al gioco del golf, non come golfista, ma come tecnico esperto nella messa a punto e personalizzazione dei bastoni. Questa attività nata dalla partecipazione ad uno stage tenuto dalla “Golf Work” americana si concretizzò con la nascita della società “Golfissimo” realizzata assieme ad un amico di percorso incontrato durante l’esperienza Pragliola. È proprio in conseguenza di questo che vengo chiamato ha insegnare “tecnologia dei materiali e personalizzazione delle attrezzature” alla Scuola Nazionale Professionisti di

golf di Sutri dove sono rimasto per un ventennio. Oggi superati oramai i 70 anni ho ridotto notevolmente la mia attività nella società del Golf. Ho lasciato l’insegnamento alla Scuola, vado ancora a pesca con gli amici di sempre cercando di mantenere, con non poche difficoltà, lo spirito che ci animava all’inizio. Questo vuoi per le mutate condizioni fisiche dei soggetti, vuoi per le alterate e per certi versi irreversibili condizioni critiche in cui versa l’ambiente che ci circonda. Da qualche anno ho iniziato una fattiva collaborazione con la ditta “Stonfo” per portare avanti una linea produttiva di qualità nel settore della “mosca”. Per concludere questa carrellata, estremamente sintetica e incompleta, riporto alcune riflessioni che rappresentano il mio pensiero sulla pesca a mosca. La prima rilasciata non molto tempo fa ad un giornalista che mi poneva la seguente domanda: “Cosa abbia rappresentato per me la pesca a mosca”; la seconda tratta da un mio articolo uscito nel 1987 sulla rivista Pescare intitolato “Tecnologia al bivio”. Cosa abbia rappresentato per me la pesca a mosca.

È stata l’occasione di incontro con tante persone che hanno contribuito certamente a farmi crescere e ad arricchirmi umanamente e spiritualmente. Con alcune di queste si sono sviluppati rapporti di sincera amicizia e di condivisione che hanno resistito nel tempo e ad oggi sono motivo di verifica e di cammino comune. La pesca a mosca l’ho sempre concepita come un’appassionante e creativa attività del tempo libero dando a questa il valore che gli spetta. Nella vita vi sono cose ben più importanti: la famiglia, i figli, i nipoti, il lavoro, i problemi sociali, i rapporti con i propri simili e la crescita interiore. In questi ultimi 15-20 anni è indubbio che la pesca a mosca italiana ha fatto dei passi da gigante. A mio modesto parere però anzichè favorire un semplice e corretto sviluppo di questa disciplina si è voluto complicarla con contenuti tecnici estremi e questo a tutto svantaggio di una più ampia diffusione. È mia convinzione che la pesca a mosca, come quasi tutti gli sport cosiddetti di “nicchia”, pecchi di un “leaderismo” eccessivo. Tutti vogliono essere protagonisti. Manca la semplicità di rapportarsi con umiltà con sé stessi, con gli altri e con l’ambiente naturale. Lo “spirito” della “mosca” è fondamentalmente uno spirito semplice che ben si sposa con i ritmi della natura. Per le più svariate ragioni, dal lavoro di giornalista al piacere dell’avventura, ho avuto l’opportunità di visitare luoghi diversi e di pescare in tempi migliori nelle acque di mezzo mondo. Ma ritengo che in molti casi questa ten-

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denza esterofila rappresenti in questa società un tentativo di fuga dalla realtà per rincorrere illusoriamente sempre nuove emozioni. Questo fa perdere il gusto delle cose semplici e belle che ci circondano e distoglie dal lottare per i problemi di casa nostra. Tecnologia al bivio, 1987 È da vari anni che per motivi di lavoro sto seguendo un po’ dappertutto, dagli Usa ai vari paesi dell’Europa, le varie fiere espositive del settore pesca con un occhio particolare a tutto ciò che ha interessato ed interessa la pesca a mosca. Ho assistito alla definitiva scomparsa delle canne in bamboo, oramai relegate al ruolo di cimeli da collezione ed Ancor due spunti nostalgici ed emblematici: sopra, il ponte di Mostar sulla Buna, siamo nel 1982, ben prima della guerra. E chi mai l’avrebbe immaginata? Qui sotto: ancora il fiume Unec, con canna rigorosamente in refendu.

alla fulminea sostituzione con canne in materiali compositi come fibre di vetro e carbonio. Canne divenute strumenti di straordinaria efficienza e praticità. I ritmi moderati del lancio si sono trasformati in una velocizzazione sorprendente quasi a voler imitare il ritmo frenetico della vita moderna. E pensare che la pesca a mosca è di per sé una pesca di attesa e osservazione rispettosa dei fenomeni naturali. Nello stesso tempo ho visto fiorire un mercato estremamente sofisticato dell’accessoristica specializ-

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ta.

zata e generica in cui la piccola e media industria italiana in ogni caso non è riuscita a cogliere che pochi frutti. Indubbiamente, come avviene in ogni settore della ricerca tecnologica, vi sono state realizzazioni veramente rivoluzionarie ed altre che hanno lasciato il tempo che hanno trovato. Una cosa però è certa, che la pesca, da semplice sport alla portata di tutti, è passata ad un complesso gioco di attrezzature altamente sofisticate che in certi casi scoraggia coloro e particolarmente i più giovani, che volessero avvicinarsi a questa attività con la sola intenzione di godersi una piacevole giornata all’aria aper-

A onor del vero devo dire che il settore della mosca è quello che è rimasto tradizionalmente più “indietro”: sia perché rappresenta un mercato numericamente meno interessante rispetto a quello della pesca generica in quanto quest’ultimo avendo sviluppato un grande interesse per l’agonismo ha favorito anche l’esasperazione tecnologica. Sia anche per un certo retaggio etico e non ultimo che la pesca a mosca la si pratica

con poche semplici cose. Può sembrare un controsenso quest’ultima affermazione, pensando a tutti quegli “alberi di Natale”, me compreso s’intende, che si muovono lungo i fiumi con gilet stracolmi di ogni sorta di inutilità. Tutto questo è vero, ma in definitiva contro le dieci e più canne con o senza mulinello di un garista fermo sull’argine di un fiume, corredato di un’infinità di accessori e suppellettili, si contrappone, volendo, una semplice cannetta (una volta assai costosa, ora più abbordabile), un mulinellino molto semplice ed una coda di topo. Tutto il resto e mi riferisco agli accessori di uso, mosche, finali, scatole e quanto altro non rappresentano certamente un volume commercialmente appetibile. Fatte le dovute precisazioni, rimane il problema di fondo. Dove ci porta tutta questa tecnologia avanzata? Questo interrogativo genera molte perplessità. Non sarà che con tutta questa corsa tecnologica ci stiamo dimenticando del fattore più importante, ovviamente l’ambiente? Non sarebbe stato meglio e non sarebbe meglio porre più attenzione e produrre più sforzi nella ricerca di soluzioni che ci consentano in un prossimo futuro di usare queste attrezzature? Così facendo ci troveremo forse a “pescare col pensiero” davanti ad un tabernacolo in cui fanno spicco di sé: canne al boron, mulinelli in titanio, quadri di mosche e aneddoti ispirati all’etica del no-kill e della limpidezza delle acque... Che follia!


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