Tramutola_LE CHIESE DEL BORGO

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Proprietà letteraria riservata 1a edizione: 2013

L’utilizzo di fotografie, mappe, illustrazioni e affini è ad esclusivo uso illustrativo.

FOTOAMATORI

tramutolesi

Credits I Fotoamatori tramutolesi sono: Francesco Calabrese, Salvatore D’Elia, Vincenzo Lo Sasso, Antonio Noviello, Roberto Pisano, Carmelo Sabino Gli scritti sono a cura di: Padre Antonio Savone Antonio Noviello Maria La Salvia Santino G.Bonsera LEUKANIKà - rivista lucana di varia cultura, Anno X, Numero Speciale “Tramutola. Un tesoro ritrovato”, Circolo Culturale Silvio Spaventa Filippi, Premio Letterario Basilicata

Tramutola

LE CHIESE DEL BORGO Un percorso tra le chiese di Tramutola SUI PASSI DEI P E R C O R S I PROCESSIONALI M A R I A N I


La Madonna

dei

Miracoli


160째 anniversario

17 maggio

2013


Introduzione di Padre Antonio

IL PROGETTO -

Come parroco della comunità cristiana di Tramutola, sono onorato nell’essere stato chiamato a presentare questa piccola guida dei luoghi religiosi di questo paese dell’Alta Val d’Agri. Essa nasce dalla passione che ha accomunato un gruppo di giovani ai quali sta a cuore far conoscere il notevole patrimonio artistico-culturale che fa capo all’espressione religiosa della vita tramutolese. Non credo sia ardito riconoscere che nella maggior parte dei nostri paesi, fatte le debite eccezioni, la ricchezza artistico-culturale degli stessi, è legata proprio alla dimensione religiosa che tanto ha permeato la vita e la storia dei nostri antenati. Ricordo ancora la prima volta in cui - proprio agli inizi del mio ministero qui a Tramutola - i giovani che si ritrovano sotto il nome di Fotoamatori tramutolesi, condivisero con me il loro intento di produrre un’apposita pubblicazione che facesse da punto di riferimento per un itinerario attraverso le chiese di Tramutola. Una tale pubblicazione non ha la pretesa di essere un manuale storico. Attraverso le foto delle varie Chiese e Cappelle corredate di alcune note, la cui realizzazione si deve al prof. Santino Bonsera (di origine tramutolese), a cui va il grazie di tutta la comunità, si vuole testimoniare come, attraverso l’estro di artisti locali, Tramutola ha sentito il bisogno di fare memoria di ciò che andava vivendo nella sua vicenda di fede. La devozione ai vari santi, infatti, nasce sempre sul terreno della riconoscenza e della gratitudine per quanto singoli, famiglie o l’intera comunità avevano ottenuto in un momento di prova. Come gli antichi patriarchi di biblica memoria avvertivano l’esigenza di erigere una stele nei luoghi in cui avevano fatto esperienza di Dio, così i nostri antenati hanno addirittura caratterizzato la toponomastica con nomi legati alla santità. Ripercorrere l’itinerario delle varie cappelle, quindi, non è soltanto la proposta per una visita turistica ma è anche l’occasione per condividere il sentire di un popolo che ha scelto di attraversare le strettoie della propria storia in compagnia degli amici di Dio. Padre Antonio Savone


Tramutola Val d’Agri LE CHIESE DEL BORGO

FOTOAMATORI

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Arrivato il momento di rendere noto il proprio lavoro, i Fotoamatori tramutolesi si rivolgono al Parco Lucano Appennino Lucano Val d’Agri Lagonegrese e alla Fondazione Eni Enrico Mattei che, colta la potenzialità del loro lavoro, hanno scelto di supportare l’iniziativa. Il Parco, con le sue note attività di promozione del territorio, e la Fondazione Eni Enrico Mattei nell’ambito del progetto del portale valdagri - anch’esso volto alla valorizzazione della Val d’Agri - quindi hanno colto l’occasione per far emergere il talento e le idee di cui la Valle è piena.

IL PROGETTO

Il progetto nasce dall’iniziativa dei Fotoamatori tramutolesi, gruppo costituitosi qualche anno fa e composto da giovani appassionati di fotografia. A seguito della loro attività si ritrovano a raccogliere un enorme mole di materiale fotografico, soprattutto a tema religioso. Tramutola, infatti, proprio per le sue origini benedettine, è un borgo ricco di chiese grandi e piccole e di molte cappelle di famiglia. Confrontandosi, allora con il Parrocco e con studiosi del luogo, iniziano a raccogliere anche le informazioni relative alle chiese e ai due appuntamenti mariani che caratterizzano la vocazione religiosa tramutolese. Partendo quindi dal percorso processionale della Madonna dei Miracoli e della Madonna della Barca, il gruppo ricostruisce un percorso turistico-religioso, un file rouge che porta il visitatore ad incontrare le 13 chiese oggetto di questo lavoro.


La storia di Tramutola è in qualche modo intrecciata a quella della Badia Benedettina di Cava dei Tirreni, che nel tenimento di Tramutola possedeva la grànca di S.Pietro, detta Priorato di S.Pietro, e alle vicende della potente e irrequieta famiglia feudale dei Sanseverino, feudatari della contea di Marsico e principi di Salerno. L’Abbazia cavense, che in epoca normanno-sveva era stata una potenza economica e politica, oltre che faro di civiltà e di spiritualità benedettina, dal XIV sec. entrava in una fase di stasi e di declino e dal 1393, elevata la chiesa della SS. Trinità a cattedrale, si avviava verso un lungo periodo di grave crisi morale e patrimoniale. Non più presieduta da un abate monaco, essa era concessa in Commenda a cardinali, i quali ne affidavano l’amministrazione a propri fiduciari, in genere familiari, i quali erano esclusivamente interessati a percepire le rendite e a trarre il maggior profitto economico possibile, mentre il cardinale commendatario se ne stava lontano, a Roma o nelle grandi diocesi. Per oltre un secolo, la gloriosa abbazia benedettina cadde in una grande decadenza. Tale situazione perdurò sino alla fine del XV sec. quando, soppresso l’Ordo Cavensis, dispersi i monaci del vecchio ordine nelle varie dipendenze, l’Abbazia fu assorbita dalla Congregazione di S.Giustina di Padova. Nel delicato passaggio dall’una all’altra Congregazione benedettina, Tramutola fu coinvolta nei torbidi che interessarono il Regno di Napoli. La ribellione di Antonello Sanseverino prima e del figlio Roberto dopo, feudatari in capite regis del feudo di Tramutola, consentirono all’abate di Cava, che dal 1154 possedeva il priorato di S.Pietro, di rivendicare il possesso feudale e la giurisdizione episcopale anche su Tramutola, in base a documenti fatti risalire al XII secolo. Il Monastero cavense nella lite giurisdizionale con il regio fisco e l’Università ebbe la meglio e così prese il controllo religioso e temporale del paese, questo limitato alla giurisdizione civile, quest’ultima tuttavia in condominio con il

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Tramutola Val d’Agri LE CHIESE DEL BORGO

Dal 1505 il monastero di Tramutola, dopo oltre duecento anni, tornava ad ospitare una piccola comunità monastica che divenne il centro della vita religiosa, economica, sociale e culturale del paese. A capo del clero vi era ora un monaco priore che curava gli interessi del monastero ed esercitava funzioni di superiore del clero. Una severa azione disciplinare o lo stretto controllo cui venivano sottoposti i sacerdoti consentirono di riportare ordine nel clero: non veniva più tollerato che sacerdoti e clerici andassero per il paese cum sarachis, vel habitu colorato, ma clericaliter nigri coloris; non era più consentito ai sacerdoti di effettuare servizi vili o di andare a lavorare alla giornata sotto mercede; era proibito dir messa nelle cappelle private nei giorni festivi ed estraniarsi quindi dalla vita parrocchiale (venghino alla Parrocchia, ordinava il vicario abbaziale, ad intendere le prediche et altri ordini); si disponeva, inoltre, che tutti i sacerdoti, secondo turni mensili, erano tenuti a dare pronta assistenza di notte e di giorno, agli ammalati e ai moribondi. Una pedagogia religiosa energica dispiegava l’abate per mezzo del suo vicario anche nei confronti del popolo attraverso la catechesi ed il controllo dell’osservanza del precetto festivo, dell’astensione nei giorni festivi da qualunque lavoro rusticum vel urbanum, e l’educazione dei fanciulli, obbligati a frequentare le lezioni di dottrina cristiana: ogni giorno, in ora stabilita, i clerici processionaliter dispositi si recavano per vicos et plateas del paese per raccogliere i ragazzini - acciuffare per i capelli o per le orecchie i riottosi – e condurli, o trascinarli, in chiesa per l’ora d’istruzione. Oggi i sistemi cui ricorrevano i monaci per obbligare i cittadini a compiere quello che si riteneva, in generale, un dovere di tutti possono apparire autoritari, ma tenendo presenti la mentalità e la sensibilità dell’epoca, erano indubbiamente gli unici efficaci; una pedagogia si direbbe necessariamente autoritaria per ingentilire i costumi, diradare la nebbia della superstizione, inculcare una religiosità più cristiana. Ne guadagnò la moralità pubblica e quella privata. In pochi decenni si vide spirare in questo paese un soffio di vita nuova: nella comunità rifioriva la vita spirituale, si affermavano modelli di vita civile e morale più alta. Molti sono gli indizi di uno slancio nuovo della comunità tramutolese verso interessi culturali ed artistici: le famiglie più ricche

LA STORIA - Tramutola

conte di Marsico, reintegrato nei suoi possedimenti a seguito del Trattato di Blois del 1504. Fino a quel momento i rapporti tra il Priorato di S. Pietro di Tramutola e l’Abbazia erano molto affievoliti; la cura delle anime nelle chiese da essa dipendenti veniva affidata al clero locale, che era tenuto a corrispondere un censo annuo all’Abbazia. Anche la Chiesa parrocchiale di Tramutola, de iure patronato della Badia di Cava, nel 1497 risulta affidata a sacerdoti secolari, che nel 1503 erano in n. di 5 più un diacono. In questo anno, infatti, l’abate di Cava fece condurre una inchiesta sul clero tramutolese, dalla quale emersero gravissime carenze morali dei cinque sacerdoti che officiavano. Quasi tutti i preti risultavano inviliti in modelli di vita che non si differenziavano da quelli dei laici di cattiva reputazione. Per molto tempo questi sacerdoti erano stati abbandonati a se stessi, senza un efficace controllo da parte dell’autorità ecclesiastica, sia per la lontananza dell’Abbazia sia per la particolare situazione di transizione che stava attraversando negli ultimi anni del Quattrocento il cenobio, aggregato dal 1497 alla Congregazione di S.Giustina di Padova. Il popolo non era migliore dei sacerdoti: l’inchiesta mise in luce costumi che non si potevano definire cristiani e una mentalità superstiziosa e dedita alle pratiche magiche.


mandavano i propri figli a studiare a Napoli, come risulta dal numero di doctores che a metà del Cinquecento vivacizzarono la vita pubblica del paese; l’Università si svenava per avere artisti rinomati e far eseguire opere d’arte nelle chiese e cappelle di sua proprietà; Confraternite e cittadini collaboravano per arricchire le chiese di quadri e statue; la borghesia paesana costruiva cappelle gentilizie e faceva eseguire quadri con i propri stemmi. Delle venticinque chiese e cappelle extra Matricem Ecclesiam che questo paese vantava alla fine del ‘700, oggi sono rimaste in piedi e aperte al culto meno di una decina, in genere depauperate nel tempo delle emergenze artistiche. A queste, vanno poi aggiunte le 20 cappelle ed altari cui erano annessi i benefici ecclesiastici eretti nelle chiese, anch’essi dotati soprattutto di quadri che i patroni avevano fatto eseguire da artisti lucani e napoletani. Insomma, un notevole patrimonio culturale che il tempo, o piuttosto l’avidità degli uomini ha disperso. L’alto numero dei luoghi di culto testimonia di un passato non solo di progresso economico e sociale, ma anche di fervido sentimento religioso, effetto della pedagogia culturale e religiosa svolta dai Padri Benedettini di Cava, che hanno contribuito ad infondere una religiosità più cristiana, a sollecitare interessi culturali, a fare apprezzare la cultura, l’arte e il decoro, a formare una più elevata coscienza civile. Di tutto questo, ripetiamo, non ci resta quasi nulla. Molte cappelle sono andate in rovina, altre abbattute per ricavare locali di uso domestico, alcune ancora in piedi, ma abbandonate; quadri, polittici e statue trafugati o venduti. *** Un patrimonio che si era venuto accumulando dalla fine del Quattrocento, incrementato notevolmente nei secoli Cinquecento e Seicento e che oggi possiamo soltanto conoscere, in buona parte, attraverso la descrizione che ne viene fatta ne l’Inventaria, Revelationes ac Descriptiones Ecclesiae Terrae Tramutulae et Cappellarum ac Beneficiorum intus et extra ipsam Collegiatam vigore Edicti emanati ab Abbaziali Auctoritate Sacri et Regalis Monasterii SS.mae Trinitatis Cavae sub die 1 Mensis Augusti 1723, e che in questa sede cerchiamo di riassumere ripercorrendo, in un certo qual modo, l’ambiente storico, religioso, civile e culturale in cui esse furono acquisite. Non è un risarcimento di ciò che è stato perduto, ma la conoscenza, nella illusione che una qualche riflessione o ammonimento si possa trarre dalle colpe del passato, a beneficio dei giovani, che per fortuna sembrano più sensibili dei padri al problema della conservazione della natura e dei beni culturali. Prof. Santino G.Bonsera

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Tramutola Val d’Agri LE CHIESE DEL BORGO

Le devozioni mariane


Ogni comunità è caratterizzata da date che ricordano eventi sociali o religosi che finiscono con l’identificarla. Tramutola, un paese collinare a 650 metri sul livello del mare, di eventi sociali ne avrebbe da ricordare e raccontare come l’esser stato il primo paese ad issare il Tricolore, oppure ad aver dato i natali a musicisti come Ferroni, al giurista e scrittore di storia greco-romana Andrea Lombardi, ed altri ancora di cui si è persa la memoria e il ricordo appartiene solo a qualche intellettuale o addetto ai lavori. Tramutola, caratterizzata da una vivacità partitica a volte molto contrapposta, ha trovato il suo baricentro nella festa del 17 maggio in onore della Madonna dei Miracoli. Questo paese, proprio perchè di origine benedettina, da secoli ha nutrito una forte devozione verso la Madre di Gesù. Non a caso una delle Chiese più importanti dal punto di vista storico-artistico, quella del Rosario, racconta la storia di Maria dall’annuncio dell’Angelo alla gloria tra gli Angeli e i Santi in un polittico datato 1671 di pregevole e raffinata bellezza. Il popolo tramutolese aveva “maturato” nel corso dei secoli, una forte devozione alla Madonna. Ecco perchè nel 1853, quando la comunità patì per una forte siccità che avrebbe impedito ogni tipo di coltivazione - allora si consumava solo ciò che si produceva - pensò bene di pregare Maria e di impetrare la grazia della pioggia. Si rivolsero al clero e il 17 maggio si ritrovarono davanti alla Chiesa Madre. Quale stupore quando videro una fiamma che usciva dal petto dell’effige che sostava sulla soglia della Chiesa! Poi iniziò la Processione, la stessa di oggi, per le vie del paese. Si legge dagli atti del Miracolo, che a partire da Via Roma i portatori della statua furono, ancora una volta, colpiti da un altro segno divino. In quel punto per la prima volta, i portatori sentirono il “peso” della statua. Essi avrebbero voluto procedere, ma si sentivano impediti da una forza

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superiore. Sembrava proprio che la Madonna volesse sostare un po’ di più! Questo particolare fenomeno si verificò per altre tre volte lungo Via Garibaldi e un’ultima volta al rientro in Chiesa. A ricordo di queste “soste”, il popolo volle apporre vicino quelle case una piccola lapide con un logo Mariano e la data 17 maggio 1853. Alle 15 di quel 17 maggio iniziò a piovere. Una fitta e benefica pioggerellina che dissetò quegli aridi terreni. Tramutola tutta, anche i non credenti, videro in quella pioggia la provvida presenza della Madre del Savatore. Così il 17 maggio divenne, ma solo per qualche anno, l’unica festa dedicata alla Madonna.

PROCESSIONI_La Madonna dei Miracoli

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PROCESSIONI_La Madonna dei Miracoli

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Successivamente, le date son molteplici, un gruppo di tramutolesi emigrati in Brasile, voleva essere presente a tramutola per il 17 maggio. Il viaggio risultò pericoloso, i “barconi”... allora come oggi ... ed i tramutolesi in pieno oceano, spaventati, ancora una volta si rivolsero a Maria. Sani e salvi essi approdarono, ma raggiunsero Tramutola in ritardo. Chiesero allora, in quanto “protagonisti” di un altro Miracolo, di poter fare un’altra Processione per onorare la Madonna, per ricordare il mancato naufragio. Proprio per questo vollero che l’effige fosse riposta in una barca di fiori. Da allora a Tramutola ci sono ben due feste diversificate in onore di Maria. Tutti gli ospiti che giungono del nostro paese restano stupefatti nel sentire questa storia e sbalorditi esclamano: ”Una processione con l’effige di Maria in una barca di rose in un paese di montagna?!?”. Son ben 160 anni che Tramutola tutta trova nel 17 maggio la sua data più importante. È la festa di tutte le famiglie tramutolesi vicine e lontane.

Maria La Salvia

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Chiesa di San Rocco

Chiesa di San Giovanni

Cappella di San Matteo

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Chiesa del SS.mo Rosario

Chiesa di San Vito

Cappella di San Francesco

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Chiesa Madonna di Loreto

Cappella della Madonna di Nives

Cappella di San Giuseppe

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Cappella di Santa Lucia

Cappella di San Domenico

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Cappella di San Michele Arcangelo

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LEGENDA

Chiesa Madre SS.TrinitĂ


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MAPPA_i percorsi e le Chiese

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A chi per la prima volta si reca a Tramutola non sfugge la eccentricità della Chiesa parrocchiale rispetto all’abitato, un tempo inserita nel complesso abbaziale di tipo fortificato, la cui separatezza dal paese era sottolineata dall’unico accesso costituito dall’ampio arco sul quale poggiavano le torri dell’abbazia e della corte civile. La collocazione extra moenia rappresenta una particolarità o, se si vuole, una anomalia, rispetto alla consueta forma urbis dei nostri paesi, in cui la Chiesa parrocchiale occupa, in genere, il baricentro e la posizione cacuminale; singolarità prodotta dalla storia di questo paese, le cui origini si fanno risalire al 1144, quando il vescovo di Marsico dona ai Benedettini dell’Ordo Cavensis l’antica chiesa di rito greco di S.Pietro di Tramutola dotata di un cospicuo patrimonio, e alla successiva donazione nel 1153 da parte di Silvestro, conte di Marsico, di un esteso territorio annesso alla chiesa. Negli anni immediatamente successivi all’insediamento benedettino, da alcuni documenti notarili dell’epoca abbiamo indizi sicuri di un incremento demografico certamente dovuto al richiamo esercitato dalla presenza dei monaci sui contadini che preferiscono mettersi sotto la defensio del potente abate di Cava per sottrarsi alle angherie di signori laici. Tutto lascia pensare che Giovanni di Marsico, monaco cavense, che a nome e per conto dell’abate Marino di Cava ha chiesto ed ottenuto concessione della chiesa di S.Pietro per servire come hospitium per i monaci che transitano per la valle, in effetti persegua un preciso progetto di insediamento. Sta di fatto che l’abate Marino nel 1163 fa costruire ex novo fundamine un’altra chiesa, poco discosta da quella di S.Pietro, contigua al monastero eretto tra il 1153 e il 1154, su un poggio poco rilevato. Nel 1166 questa nuova chiesa viene consacrata ad honorem Sanctae Trinitatis da Giovanni vescovo di Marsico e un tempo monaco di Cava, titolo di dedicazione che è uguale a quello della Badia cavense. Non abbiamo notizie di interventi sulla struttura della chiesa sino al 1496, quando l’arciprete Antonio De Luca e il vicario Andrea Cestaro

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fanno eseguire lavori di riparazione, come attestava la iscrizione, che si poteva leggere sino a qualche tempo fa sulla cornice dello stemma litico infisso sul portale dell’ingresso principale della chiesa: “A.D. M.IV.D ANT. DE LUCA ARCHIPRESB. I.D.- ANDREAS CESTARUS V. (Anno Domini 1496 Antonius De Luca Archipresbiter iuris doctor Andreas Cestarus Vicarius)”. Nel corso del Cinquecento, la Chiesa Madre si arricchisce di altari e si amplia con la costruzione di cappelle laterali sia sul lato destro, nell’ordine, a partire dall’ingresso: cappella di S.Antonio di Padova (1589); cappella di Tutti i Santi, costruita nel 1531 attaccata all’antico campanile, rovinato alla fine del ‘500 e ricostruito soltanto negli anni Sessanta del secolo scorso; infine, la Cappella del Santissimo Sacramento costruita dall’Università nel 1525; sia sul lato sinistro: addossata al muro perimetrale del corpo principale, nel 1532 viene costruita la Cappella di Santa Maria del Carmine e, più avanti, la Cappella della Natività della Beata Vergine, rovinata a seguito dei lavori di ampliamento della Chiesa e ricostruita nel 1621 con il titolo di S. Benedetto, di ius patronato della famiglia Panella. La costruzione di cappelle e di altari all’interno della chiesa determina un certo disordine nella dislocazione degli stessi e crea problemi di funzionalità, per cui nel 1592, come risulta da una relazione di visita pastorale, viene data una nuova sistemazione e si amplia il coro (da una relazione del 1723, si desume che il coro era collocato davanti all’altare maggiore). Nonostante gli ampliamenti, alla fine del ‘500 la chiesa risulta ancora insufficiente per le necessità di una

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popolazione che nel 1595 supera i quattromila abitanti. Il popolo preme sull’abate perché autorizzi la costruzione di una nuova chiesa parrocchiale nel centro del paese, anche per i disagi che i fedeli sono costretti ad affrontare per recarsi in chiesa nei mesi invernali e per le difficoltà che incontrano bambini ed anziani a causa della lontananza dall’abitato. Non cede l’abate alle richieste del popolo, perché più facilmente i monaci possono esercitare il controllo sugli irrequieti tramutolesi e sugli stessi sacerdoti, accentrando in uno stesso luogo potere religioso e civile. Indubbiamente, nell’ordinario v’è anche la viva preoccupazione per la catechesi. Alla fine, per l’intervento deciso della Santa Sede, l’abate è costretto ad autorizzare l’erezione di una chiesa parrocchiale nel paese, ma per problemi economici non se ne fa nulla. Si decide allora di ampliare e ristrutturare l’antica chiesa della SS.ma Trinità. I lavori vengono portati a termine nel 1628. Ricostruita, dunque, secondo i dettami del Concilio Tridentino in materia di architettura sacra, la chiesa è in stile tardo-rinascimentale e presenta un impianto a tre navate, la nave centrale più alta e più larga e le due laterali che si affiancano come due ali piegate. La facciata ha un portale centrale architravato sormontato da lunetta, al centro lo stemma del vescovo commendatario dell’abbazia di Cava cardinale Prospero Carafa, di cui abbiamo fatto cenno più sopra (che molti confondono con lo stemma della Badia di Cava), e due portali minori lapidei laterali, corrispondenti all’ingresso delle navi minori. Il basamento sostiene una doppia coppia di lesene con capitelli di tipo ionico collegati da un cornicione a modanatura incavata. Sopra il cornicione, a sottolineare il secondo livello della facciata, si sviluppano altre due coppie di lesene con capitelli corinzi. Il diverso ordine dei capitelli del secondo livello fa supporre che questi elementi siano stati rifatti in sede di restauro nel 1731 a seguito del terremoto del 1730. Al centro si apre un finestrone a volta. L’ultimo cornicione sostiene il frontone che ha al centro un fregio triangolare. Nell’interno, cinque archi a tutto sesto, sostenuti da possenti colonne in muratura, s’inseguono su ciascuno dei due lati della nave centrale, conferendo al tempio un senso di maestosa grandezza. Un cornicione che corre al di sopra degli archi delimita in alto l’aula centrale in due ordini; in quello superiore si alternano finestre e spazi occupati da dipinti di santi. La volta, sino alla disgrazia del recente intervento del Provveditorato alle Opere Pubbliche, era arcuata nel punto di attacco al muro, in raccordo con la volta dell’abside, soluzione che oltre a conferire armonia stilistica e ad alleggerire la pesantezza della struttura, determinava anche una perfetta acustica. La chiesa, nelle sue caratteristiche strutturali e stilistiche - a parte lo sfregio stilistico compiuto come si è detto, dall’ultimo intervento sulla volta - è rimasta immutata sino ad oggi. I successivi interventi resisi necessari a seguito di eventi sismici non hanno riguardato la struttura, ne hanno alterato alcunché delle sue caratteristiche architettoniche, quali oggi le osserviamo. Un tempo ricca di statue, di quadri e di pregevoli arredi sacri, come si rileva dalle visite pastorali e dalla relazione redatta nel 1723, oggi tra le opere di maggior pregio si possono ammirare: la bellissima statua della Madonna dei Miracoli, di fattura settecentesca, restaurata e indorata nel 1952; il trono marmoreo della Madonna terminante con una cupola parabolica che si eleva al di sopra dell’altare maggiore, opera eseguita per il 1° centenario dei fatti miracolosi operati dalla Vergine; il grande Crocifisso e il coro ligneo del Seicento, già del monastero francescano del Carmine; la statua di San Francesco, recentemente restaurata; il Polittico della

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Deposizione di Antonio Stabile commissionato dall’Università nel 1569 per la cappella del SS.mo Sacramento di ius patronatus della stessa Università. È l’opera più antica e artisticamente più pregevole conservata nella nostra Chiesa e una delle più famose opere dello Stabile, ora ricollocato nella sua pristina sede, in testa alla nave laterale di destra. Il polittico ha una struttura lignea esapartita intagliata e indorata, divisa in due ordini: in quello superiore vi è rappresentato la SS.ma Trinità attorniata da una folla di santi e sante; prima che venissero asportati, la scena centrale era fiancheggiata da due pannelli laterali raffiguranti l’Arcangelo Gabriele e la Vergine. Il primo ordine del polittico è occupato, nel riquadro centrale, dalla Deposizione, dipinto di straordinaria forza evocativa del dolore mistico “con il corpo di Cristo incavato e reso in magrezza in un contesto scenico incline all’austerità contemplativa”. Ai lati della scena centrale, due pannelli raffiguranti San Cataldo e San Giovanni Battista. Alla base del polittico si intravede una scritta che leggo: “PII VIRI TR. F.F, che sciolta si legge PII VIRI TRAMUTULENSES FIERI FECERUNT; A.Miraglia, Antonio Stabile, 1992, legge: PII VIRI T. TIE …569; Dopo la ricostruzione parziale della scritta in sede di restauro da parte della Soprintendenza della Basilicata, le lettere sono state così restituite: PII VIRI T.T. F.F. 1569, dove al posto delle lettere T.T. io leggo TR.”. Sotto questa scritta, in parte erasa se ne intravede un’altra. Nel 1919 la Capella del SS.mo Sacramento cambia titolo in quello del Sacro Cuore e al posto dell’antico polittico della Seposizione viene scavata una nicchia in cui trova alloggiamento la statua del Sacro Cuore. Il polittico viene spostato nell’abside della navata centrale. Durante i lavoro di rimozione viene finalmente alla luce la base del polittico incassata nella muratura dell’altare e rovinata

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Prima che la Chiesa fosse restaurata nel 1953, esisteva ancora il grande quadro su tela raffigurante la SS.ma Trinità con il Padre e il Figlio che incoronavano Maria Vergine al centro circondata da Serafini; in basso a destra vi erano le figure di S. Pietro e di S. Alferio, a sinistra quelle di S. Benedetto e di Santa Scolastica. Questo grande quadro è così descritto: “Al Capo di detta Chiesa verso oriente sotto di un arco ben grande sta collocato un quadro dipinto in tela, con cornice di legno anco dipinta. In esso quadro alla summità stà dipinta la SS. ma Trinità e trà il Padre e l’unico Suo Figlio signore Nostro la SS.ma Vergine Maria che viene coronata dal detto padre e Figlio con diversi serafini, sotto delle cennate figure sono dipinte dalla parte destra Pietro apostolo con la chiave in mano, e dietro di esso S. Alferio, e dalla parte sinistra di quella il Patriarca S. Benedetto e S. Scolastica”. È un quadro che, ragazzino, ricordo di aver visto ancora verso gli anni cinquanta. Quale fine abbia fatto non saprei. Sin dall’alto Medioevo, si era soliti consentire ai signori di elevare altari e cappelle all’interno delle Chiese. Le motivazioni erano di ordine religioso, ma anche pratiche in quanto si legavano alla cappella o all’altare beni immobili esenti dal fisco e allo stesso tempo costituivano un cespite di entrata per il patrono. Il diritto di patronato era trasmissibile per eredità o per lascito. Le Cappelle di Tutti i Santi, di S.Antonio, di S.Michele Arcangelo, dell’Immacolata Concezione, della SS.Annunziata, di S.Antonio da Vienna, di S.Maria del Carmine e di S.Benedetto sono infatti costruite all’interno della chiesa.

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dalla calce. Originariamente nella base erano raffigurati due angeli alla estremità, S.Pietro, S.Antonio di Padova. S.Caterina a destra; a sinistra S.Paolo, S.Francesco d’Assisi, S.Lucia. Degli otto quadretti se ne recuperano quattro: S.Antonio di Padova, S. Francesco d’Assisi, S.Pietro e S.Paolo oggi conservati nella Sacrestia.


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01_Chiesa del SS.ma Trinità (chiesa Madre)

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La Chiesa del SS.mo Rosario (1575 d.C.) conserva ancora la pala intagliata e indorata che si eleva dall’altare sino al soffitto, con quattro colonne tortili che reggono un cornicione che fa da base al secondo ordine. Nel primo ordine, tra le colonne, in dieci quadri sono rappresentati a destra i Misteri Gaudiosi, i Misteri Dolorosi a sinistra; nel secondo ordine i Cinque Misteri Gloriosi; alla sommità, separata dall’ordine sottostante, la rappresentazione del Paradiso con diversi Serafini che tengono in mano vari strumenti musicali. Al centro si apre la nicchia ove è collocata la statua lignea, alta m. 1,62 ca. della Madonna del Rosario con il Bambino in braccio; al di sotto della nicchia, sono scolpiti S. Domenico a destra, S. Caterina a sinistra. Alla base di ciascuna colonna, si legge la legenda: “A.D. 1671; COFTS &; CIVES; INSTAT,” che sciolta si legge: “Anno Domini 1671, Confratres et Cives Instauraverunt”. Sulla volta del soffitto vi erano vari affreschi: al centro la Beata Vergine Maria con il Bambino, ai due lati S. Domenico e S. Caterina; due Serafini reggenti la corona della Madonna; ai quattro angoli i quattro evangelisti. Nella Chiesa si conservava anche un’altra statua lignea della Madonna del Rosario, argentata, stellata, dipinta di diversi colori, con in testa il diadema, più maneggevole di quella collocata nella nicchia della pala, statua che ogni domenica veniva esposta nella Chiesa Matrice e usata nelle processioni (ora si trova nella Chiesa Madre col titolo di Madonna dei Miracoli); sul muro di destra vi erano le statue lignee di S. Domenico e di S. Caterina, ambedue di altezza, m. 1,40 ca.; un quadro su tela, alto m. 2,20 largo m. 1,70, nel quale erano rappresentati la Madonna in atto di adorazione del Bambino e sul suo lato sinistro S.Giuseppe. La scena era affollata di Angeli, uno dei quali reggeva un cartiglio con le parole “Gloria in excelsis Deo”, e dai Magi, da pastori ed armenti. La chiesa conservava anche lo stendardo di seta effigiato con l’immagine della Beata Vergine e una Croce alta di legno che la Confraternita usava nelle processioni. Vi sono delle Cappelle di ius patronato nella Chiesa del Rosario come quelle di S. Giuseppe e di S. Rocco.

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02_Chiesa del SS.mo Rosario

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02_Chiesa del SS.mo Rosario

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02_Chiesa del SS.mo Rosario

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La chiesa della Madonna di Loreto era in origine una cappella gentilizia, edificata verso la metà del XV secolo dalla Famiglia Troccoli. Attualmente è di proprietà della parrocchia di Tramutola. Addossata per due Iati a edifici privati, presenta un’unica navata di forma pentagonale irregolare (circa 3.10 mt di larghezza x 6.30 mt di lunghezza). Sulle pareti laterali, circa a metà della lunghezza, sono state ricavate nel XVII secolo due nicchie con cornici in stucco, attualmente prive di statue. Sulla parete sinistra sono ancora visibili un arco tamponato, presumibilmente sede, in origine, di un altare laterale e alcuni frammenti di affreschi, di cui non risultano comprensibili le raffigurazioni. Sulla parete destra sono, invece, chiaramente leggibili tre affreschi ben conservati che rappresentano una S. Caterina, una S. Lucia e una Madonna del Latte. AI di sopra di essi, all’altezza di circa 2 metri da terra, si aprono due finestre rettangolari che illuminano la chiesa. La parete di fondo, attualmente, non presenta alcun altare o decorazione. Il tetto, ad una sola falda, ha una struttura lignea in abete, costituita da sette mezze capriate e soprastante tavolato, recente intervento della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici della Basilicata. La pavimentazione originaria è andata perduta e attualmente risulta del tutto mancante. La facciata principale, dal semplice disegno, è caratterizzata da essenziali cornici di intonaco tinteggiate di bianco, che delimitano i cantonali e le aperture; la porta d’ingresso rettangolare in legno di castagno è sormontata da un oculo di circa 30 cm. In sommità la facciata è conclusa da una superficie muraria triangolare che fa sia da timpano che da vela campanaria, come si può dedurre dalla caratteristica apertura ad arco, sede di una campana andata perduta. La facciata laterale, anch’essa dal semplice disegno, presenta un cornicione con più ordini di coppi per tutta la sua lunghezza e delle essenziali cornici d’intonaco intorno alle finestre. Su entrambe le facciate ricorre una zoccolatura di circa 50 cm di intonaco dall’arriccio grossolano.

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03_Chiesa della Madonna di Loreto

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a sinistra: “[...]La Vergine ripresa nell’atto di allattare il figlio siede su di un seggio basso squadernato in fuga prospettica. Indossa una tunica rossa con scollo tondo rifinito da un alto bordo decorato ed è avvolta da un mantello azzurro ornato con decorazioni stampigliate. Fa da sfondo un panneggio di tessuto rosso decorato con motivi circolari. Seguendo precise istanze devozionali, dettate dalla volontà del committente, l’ignoto frescante realizza una interessante “Madonna del latte”, seduta in trono, secondo un antico tipo iconografico, già presente nelle icone della Panaghia Galaktotrophousa bizantina, diffusa in area occidentale, soprattutto a partire dal XII secolo, come attesta la Madonna in trono affrescata nella Chiesa rupestre di Santa Lucia alla Malve di Matera.“ a destra: “[...] Si tratta delle Sante Lucia e Caterina d’Alessandria chiaramente identificabili attraverso gli attributi iconografici, espressione di una religiosità e di un culto popolare profondamente sentiti nella nostra Regione come attestano, tra l’altro, le poco leggibili iscrizioni incise alla base dei riquadri, “Cladonia sua moglere f.f.….. pie devote de S. Chaterina.....” (fig. 9) La Santa Lucia reca sul capo la corona reale e nelle mani la palma, il libro e la coppa con gli occhi, simbolo del suo martirio. La Santa Caterina presenta chiaramente gli strumenti del supplizio, la ruota dentata e la spada sulla testa del suo carnefice, l’imperatore Massenzio. [...] Riportando la nostra attenzione sulle Sante Lucia e Caterina non può non colpire il linguaggio arcaico e stereotipato delle figure, affidato ad una organizzazione spaziale quasi frontale, simmetrica di gusto tardo manieristico. Le immagini campeggiano in primo piano, monumentali, sui fondi astratti ed uniformi. Presentano le stesse fattezze, le stesse acconciature; sono identiche nei gesti, nelle espressioni e perfino negli abiti realizzati con colori freddi ed aciduli giocati sui toni del rosso, del verde e dell’ocra. La semplicità compositiva, il disegno nitido e preciso, l’aria sognante delle Sante che rivolgono lo sguardo allo spettatore fanno pensare ad un artista locale influenzato dalla bottega di Antonio Stabile, artista lucano che nella seconda metà del 1500 opera in molti centri della Basilicata.”

03_Chiesa della Madonna di Loreto

I dipinti murali della piccola Chiesa di Santa Maria di Loreto a Tramutola ritornano dopo molti anni alla fruizione della città grazie al restauro, eseguito con fondi ministeriali, negli anni 2009-2010, a cura della Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici.


Le notizie più antiche dicono che la Cappella del Rosariello (attualmente detta di Santa Lucia per la tradizione di aprirla al pubblico il 13 dicembre) fu restaurata nel 1724 dalla famiglia dei Danza. Questa fatto, quindi, lascia presumere che la sua fondazione sia da ritenersi più antica. In occasione di tali restauri la cappella fu dotata di un quadro a olio (ancora oggi presente e necessitante di restauro) raffigurante la Madonna del Rosario con ai piedi S. Domenico, S. Caterina, S. Lucia e S. Appollonia. Dalle Rivele del Catasto Onciario si evince che la cappella era jus patronato della Famiglia Marigliano e del Magnifico Rocco Danza e né erano cappellani Rev. Sac, Don Paolo Danza e Don Alberico Marigliano, i quali ne gestivano le rendite provenienti dagli affitti dei beni immobili e mobili legati alla cappella. Nel 1924, in occasione del trasporto della statua della Madonna del Soccorso venerata nella cappella attigua al vecchio cimitero, vi furono fatti ulteriori lavori di restauri. La cappella si presenta ad una sola aula con l’altare di fronte alla porta di entrata, ed è illuminata da due finestrelle poste ai lati dell’altare. Sulla parete di sinistra entrando è posto il quadro ad olio dedicato alla Madonna del Rosario e sull’altare è posta la statua della Madonna del Soccorso. Il soffitto della cappella è realizzato con perlinato in legno di recente realizzazione posto a 3.50 m da terra che né ha abbassato l’altezza. Al disopra di tale tavolato è posta la struttura del tetto, che è formata da un trave maestra di colmo, da travi secondarie poste ad un interasse di circa 110 cm spingenti sulle murature laterali, da listelli trasversali alle travi (jattole) posti al passo di 45 cm e infine dal manto di copertura in coppi di laterizio. Tutta la struttura oramai da anni, in molti punti, è esposta alle intemperie, sia per il marciume del legname sia per le rotture e le sconnessioni dei coppi. La facciata principale presenta un portale in pietra grigia lavorato a cornice sormontato da un architrave in pietra grigia senza lavorazioni con una scritta che ricorda i restauri del 1724. Le facciate sono concluse da un cornicione a romanella composto da un mattone e da due file di coppi, in molti punti danneggiato.

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04_Cappella di Santa Lucia

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La Chiesa di San Rocco, costruita nel 1530, e l’ospedale, edificato invece nel 1633 (contrada Cesine di sopra), sono di ius patronato della Badia di Cava. Ancora nel 1723 la chiesa si dice trovarsi extra moenia, di ius patronato del Monastero della SS.ma Trinità, nel luogo detto “le Cesine di sopra” e propriamente all’incrocio di Corso Umberto con la strada statale per Montesano. L’ingresso era costituito da un portale in pietra lavorato, al di sopra del quale, sulla facciata esterna, vi erano affrescate: in mezzo la Deposizione, a ponente l’immagine di S.Carlo e verso levante l’immagine di Santa Sofia. Un’altra porta più piccola, a borea, serviva per chiudere dal di dentro il portone centrale. Conteneva diversi quadri, tra i quali un S. Sebastiano (m.. 1,52, largo m. 1 ca:), S. Biagio martire decollato, alto m. 2,34, largo m. 1 ca.; la Madonna dei sette Dolori con la Deposizione e le tre Marie, inoltre S. Sofia e S. Carlo Borromeo. Sull’altare maggiore la statua lignea indorata di S. Rocco. Non sappiamo se sia quella stessa ancora esistente; sui due altari laterali, vi erano, rispettivamente, la statua dell’Addolorata e il Crocifisso. Sul soffitto erano affrescate le immagini di S. Sebastiano, S. Oronzo e S. Sofia. Nella cappella annessa all’ospedale, sull’altare vi era una quadro della Beata Vergine. La Chiesa e l’ospedale furono abbattuti nel 1891 per la costruzione della rotabile TramutolaMontesano. Fu poi ricostruita presso il Convento dei Cappuccini. L’“Hospidale” . Annesso alla Chiesa di San Rocco vi era “l’Hospidale consistente in stanze nove, sottane, mezzane e soprani con gradiata et cortile di dentro con il pozzo dell’acqua. In una delle stanze soprane vi sta un altare con la pietra e senza apparato con il quadro dove vi sta scolpita l’immagine della B.V. e un crocefisso. Una cassa con cinque habiti dentro vecchi, due habiti di rosso panno et una tovaglia di seta rossa. Un letto con due mataracci vecchi pieni di capizzi, quattro lenzuola vecchie, due coverte, una di lana e l’altra di lino vecchio. Dentro il cellaro una tina vecchia. Spendeva, tra l’altro, per spese agli ammalati e spetiaria 10 ducati, e carità 1 ducato l’anno”. Alle spese di mantenimento contribuiva anche l’abate di Cava, destinandovi i proventi dell’orto di circa due stoppelli che l’Abbazia possedeva “alle pantane”.

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05_Chiesa di San Rocco e Hospidale

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Annesso all’ospedale, vi era un monte frumentario: nell’anno 1723 distribuiva ai cittadini centonovanta tomoli di grano con l’interesse di due misure a tomolo. Dal 1741 iniziava la decadenza anche del Monte frumentario, gestito dai maggiorenti del paese i quali, per le loro ruberie, nel 1794 ne determinarono il collasso.

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05_Chiesa di San Rocco e Hospidale

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05_Chiesa di San Rocco e Hospidale

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La Cappella di San Vito fu eretta nel 1541 su richiesta di alcuni cittadini di Tramutola i quali, per motivi di profonda devozione verso il Santo, dotarono la cappella di lascito testamentari e con la rendita assicurarono la costruzione e il mantenimento decoroso della stessa. Le carte antiche ci dicono che i cittadini Ruggiero Pascarelli, Mario Tarfuglia e Sicoranzio Cinciarelli chiesero e d ottennero dall’abate Guevara il permesso di costruire fuori dell’abitato, nella contrada delle Cesine di Sotto, una cappella in onore di San Vito. In seguito divenne sede di una Confraternita che si prodigò di costruire accanto ad essa una piccola casa che serviva come abitazione all’Oblate (una sorte di monaco laico di casa), il quale aveva anche il compito di mantenere pulita la Chiesa. Come si rileva dalla iscrizione incisa sull’architrave, nel 1734, fu restaurata essendo procuratore di essa Mastro Cristoforo Priculo. Nel 1725, dal Procuratore fu chiesto all’Abate De Albrizio di introdurre nella festa del Santo una “Perdonanza” e di esentare dal pagamento delle tasse di pasteggio tutti i vari venditori di qualsiasi genere che vi fossero intervenuti. La perdonanza consisteva nell’obbligo di girare per tre volte attorno all’altare conducendo dei cani, che avrebbe preservato dall’attacco del terribile morbo della “rabbia”. Inoltre si facevano girare all’esterno della Cappella muli, asini, ed altri animali. Questa Chiesa fino agli anni seguenti la II Guerra Mondiale, conservava la sua struttura originaria: molto bassa, con un tempiato in legno, in cui si custodiva una statua a mezzo busto di un santo erroneamente attribuito a S. Crescenza ma sicuramente era il busto di S. Vito che all’altezza del cuore ed in mezzo al petto recava un foro indorato, creato molto probabilmente per contenere quell’antica Reliquia del Santo. Sull’altare in muratura, in una nicchia con cornici in rilievo, vi si custodiva la statua di San Vito in costume romano attorniato da due cani, in una mano teneva un libro e nell’altra la palma del martirio. All’esterno del magnifico portale in pietra litica ed in mezzo alle due palme vi era uno stemma in pietra con l’effigie del Santo.

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06_Chiesa di San Vito

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Verso il 1948-49 in seguito al voto fatto da alcuni cittadini della Contrada per aver ottenuto una grazia, si decise di apportare restauri alla Cappella. Furono contattati tutti i mastri muratori ed altri artigiani del paese i quali offrirono una o due giornate di lavoro gratis e i possessori di “carri e traini” con l’aiuto di operai (anche di donne operaie) offrirono il trasporto della calce, della sabbia e delle pietre. Quindi con il concorso a turni stabiliti di tutti questi volontari, naturalmente con il tacito consenso dell’Arciprete don Costantino De Nictolis, si procedette allo smantellamento del tetto e del tempiato. Furono sopraelevati i muri perimetrali in altezza e fu ricostruito il tempiato in legno. Si ricostruì inoltre la romanella ai muri perimetrali e nella facciata si creò un cornicione con la trabeazione seguendo la linea del tetto a due falde. La vela che recava nel suo vano la piccola campana posta sull’antica facciata, non venne più ricostruita. La campana fu posta nel vano del tetto e nel timpano della trabeazione fu creato un occhio per farne uscire il suono. Sulla punta del tetto fu sistemata una croce in ferro prelevata dall’antico cappellone del vecchio Campo Santo. La Cappella divenne più luminosa ed accogliente e l’arciprete donò due angioletti in legno porta candele che giacevano abbondanti nella Chiesa Parrocchiale furono posti sull’altare. Altri radicali restauri sono stati apportati negli anni sessanta quando fu comprata una nuova statua del Santo in sostituzione in quella antica. Altri restauri sono stati eseguiti su interessamento dell’attuale Parroco don Michele Palumbo.

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La Cappella di Santa Maria ad Nives, detta anche popolarmente Madonna della Rosa o anche Madonna delle scalelle, fondata nel 1646, di ius patronato del Capitolo. Nella nicchia, ove nella parte superiore vi era affrescato il Padre Eterno di colore celestino e rosso, vi era la statua della Madonna di stucco d’altezza palmi cinque, vestita di colore turchino e rosso; reggeva sul palmo della mano il Bambino con la veste di colore rosso; sulla parete, un quadro dipinto su tavola rappresentava la Madonna con il Cristo in braccio. La chiesetta aveva anche un piccolo coro, costituito da sedili e in parte cassapanche. La cappella non aveva dotazione di beni, per cui il Rev.do Capitolo concesse il ius patronato a Domenico Aurelio Brando. Ricordo che negli anni ‘50, una signora tramutolese emigrata in America, forse erede dei patroni della cappella, fece eseguire una statua in gesso, da collocare nella chiesetta, ma non saprei precisare per quale motivo si fosse resa necessaria questa statua, se cioè quella preesistente fosse stata rubata o rovinata. Era tuttavia scarsamente artistica, tanto che l’Arciprete Don Costantino De Nictolis ebbe non pochi dubbi sulla opportunità di consacrarla. E “brutta” la nuova statua, tutta bianca, sembrava pure al ragazzetto di 11-12 anni che ogni domenica la osservava nel corridoio della sacrestia dove l’Arciprete l’aveva “parcheggiata”.

07_Cappella di Santa Maria ad Nives

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08_Cappella di San Domenico

La Cappella di San Domenico Guzman costruita in “contrada delle Cesine” (attigua alla casa e ai terreni dei Tavolaro). Sull’altare era un dipinto su tela con la figura di San Domenico, la Madonna del Rosario con due angeli che Le reggevano la corona in capo, due altri angeli con il Rosario in mano e Serafini e un cagnolino con in bocca una face accesa. Sul soffitto era affrescata l’immagine della Madonna del Carmine con il Bambino in braccio e sotto i piedi le anime del Purgatorio. Dietro l’altare vi era l’affresco raffigurante San Nicola di Bari, sul muro opposto all’altare un altro affresco con la scena di San Michele Arcangelo che schiacciava sotto i piedi Lucifero; all’entrata, sotto il soffitto era affrescato lo stemma della famiglia Tavolaro con il nome del fondatore della cappella, Don Domenico Tavolato (Bolla di erezione 1.3.1532).


La Chiesa di San Giovanni Battista, antica cappella, nel 1556 fu assegnata alla Confraternita del SS.mo, restaurata ed ampliata nel 1608, come si legge sul cornicione della facciata: “HOC DIVI JO: BAP[TIS]TE TEMPLUM D. ANTONIO TROCCOLO RECTORE, PROCURATORIBUS D. MARCO ANTONIO TABOLARIO ET JO: MARCO RAMAGNANO CONFRATERNITATIS SS.MI CORPORIS CHRISTI INSTAURARI AMPLIFICARI FECIT A.D. 1608”. La chiesa conservava un polittico ligneo alto m. 3,90 e largo m. 3,12 ca.; dalla base si partivano quattro colonnine intagliate, dorate, che distinguevano tre quadri: quello di mezzo rappresentava la nascita di San Giovanni, nei laterali San Francesco di Paola a destra, a sinistra San Francesco d’Assisi; nel secondo ordine, poggianti sulla cimasa del primo ordine, si elevavano, in corrispondenza di quelle sottostanti, altre quattro colonnine che distinguevano la nicchia ove era posta la statua lignea di San Giovanni rappresentata con l’indice alzato della mano destra, e i due quadri laterali con le immagini di San Pietro e San Paolo. Sulla cimasa del secondo ordine, un semicerchio in cui veniva rappresentato il carnefice che mostrava la testa del Santo a Salomé, la quale col dito indicava Erode. Alla base, in bassorilievo, vi erano scolpite a destra una Santa Vergine, a sinistra un Santo Martire, in mezzo San Giovanni Battista, a mezzo busto, che battezzava Cristo nel Giordano. Sulla sinistra del polittico vi erano dipinti, a sinistra lo stemma dell’Università, al centro della Casa reale regnante al centro, a destra lo stemma della Badia di Cava. (Ecco un’altra testimonianza che Tramutola, contrariamente a quel che ritengono i grandi studiosi locali, aveva il suo stemma civico che non era - e non poteva essere - uguale a quello della Badia di Cava!).

09_Chiesa di San Giovanni Battista

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La Cappella delle Stigmate del Glorioso S. Francesco d’Assisi, fondata da Ferdinando Panella nel 1722, fu eretta in Beneficio con bolla abb.le 28 settembre 1722 (Reg. Bull. %°, f. 139:). Si trovava nella contrada della Piazza, presso le case e il palazzo dei Panella. Larga dai venti palmi circa, altezza sino al tempiato palmi 22, lunga palmi 28 circa, si accedeva dalla

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10_Cappella di San Francesco

strada pubblica che fiancheggiava la Piazza. Conservava un quadro con San Francesco che riceve le stimmate; ai lati S.Pasquale e il beato Pietro abate di Cava. Nella cappella vi era inoltre una statua di argento, che fu consegnato alla Badia di Cava dopo una transazione con la famiglia Panella.


11_Cappella di San Giuseppe

La Cappella di San Giuseppe, di ius patronato della famiglia Fittipaldi, originariamente era stata costruita nella Chiesa Madre, addossata pilastro dell’ultimo arco di sinistra della navata centrale, da dove fu rimossa nel 1592 a seguito dei lavori di ristrutturazione del coro (che era davanti all’altare maggiore) e per ordine del vicario trasferita nella Chiesa del Rosario. I compatroni non persero tuttavia i diritti di patronato sul luogo ove era stata costruita la cappella, tanto che Antonia Scarciello, una delle compatrone, vi fece costruire un sepolcro. Sotto la nicchia conservava un quadro su tela che misurava in larghezza palmi sei e mezzo circa ed in altezza palmi otto e mezzo circa, in cui erano rappresentati la Beatissima Vergine in atto d’adorare il Bambin Gesù e sulla sinistra della Madonna San Giuseppe e sul lato opposto un personaggio, forse un re Magio, oltre al bue e all’asinello; la scena era affollata di Angeli, uno dei quali reggeva un cartiglio sul quale erano riportate le parole: “Gloria in excelsis Deo”, da pastori con al seguito i loro armenti.


La Cappella di San Michele Arcangelo, costruita nella nave laterale della Chiesa Matrice nel 1691, di ius patronato delle famiglie Cesareo, Fusari ed altri, fu eretta in Beneficio ecclesiastico con Bolla del 15 marzo 1691, Reg. Canc., f° 153. L’altare era collocato sul muro della nave laterale in corrispondenza con il primo arco della navata centrale. Sopra l’altare si elevava un gradino di stucco, che faceva da base a due colonne anch’esse di stucco che incorniciavano la nicchia, ove era collocata la statua lignea dell’Arcangelo, le cui vesti erano indorate. L’Arcangelo è rappresentato in atto di scacciare dal Paradiso Lucifero, schiacciato sotto i piedi e minacciato con la spada alzata sulla testa dell’angelo ribelle. Al di sopra della cornice della nicchia, vi era dipinto un triangolo con in mezzo rappresentato Dio Padre. Ricordiamo una simile statua collocata però nella Chiesa del Rosario. Non sappiamo se esiste ancora.

12_Cappella di San Michele Arcangelo

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La Cappella di San Matteo, di ius patronato della famiglia Savone, fu fondata con atto di dotazione del 20 Ottobre 1721, erezione in Beneficio con bolla abbaziale del 12 aprile 1722, con facoltà di far celebrare le messe da un cappellano ad nutum. Era dotata dei seguenti beni:

• • •

un castagneto nel luogo detto “li Castelli” di tomola otto, (a qualche centinaia di metri dalla Chiesa di S.Maria ad Nives, in un angolo di una porzione di questo castagneto, di proprietà di mia nonna Clementina Savone, erano ancora visibili, emergenti dal suolo di alcune decine di centimetri, mura che gli archeologi dell’Ottocento chiamavano “pelasgiche”. La pianta della costruzione era ben conservata); un territorio a “Vallone Cupo” di tomola dodici; un territorio a “Tempa de li porci” di tomola quattro; da diversi debitori per censi docati 4.

Prof. Santino G.Bonsera

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13_Cappella di San Matteo

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