Notiziario trimestrale delle Sezioni del Club Alpino Italiano di Alessandria, Acqui Terme, Casale Monf., Ovada, San Salvatore Monf., Tortona, Valenza Autorizzazione Trib. di Casale n. 155 del 27.2.1985 - Direttore Responsabile Diego Cartasegna - Direzione e Amministr. Via Rivetta, 17 Casale Monferrato Redazione Stampa Tipografia Barberis snc San Salvatore Monferrato “Spedizione in a. p. art. 2 comma 20/c legge 662/96 - Filiale di Alessandria” Anno XXIII - Num. 3 - LUGLIO 2012 __________________________________________________
AVVENTURA IN MAREMMA Tre giorni in Toscana, nel parchi della Val di Cornia, in provincia di Livorno. Questa è stata una delle ultime esperienze vissute, dal 4 al 6 maggio scorsi, dai soci della sezione CAI di Ovada. Un’esperienza un po’ diversa, in un ambiente particolare, quello delle colline toscane dell’immediato entroterra. Non ci sono state grandi cime da scalare (la massima vetta raggiunta è stata il monte Calvi, poco più di 600 metri), ma in compenso c’è stata, almeno per i primi 2 giorni, un’immersione nella “Wilderness” maremmana, in un paesaggio con rare tracce umane (e molte tracce di cinghiali). Il contrasto fra la fascia costiera, turistica e popolata (a breve distanza c’erano Piombino, Follonica, S. Vincenzo) e l’interno selvaggio è stato l’elemento che ha colpito di più i sedici soci che hanno vissuto questa avventura. Sono stati percorsi nei primi due giorni almeno una cinquantina di chilometri, prima sui sentieri che da Castagneto Carducci conducono a Campiglia Marittima, poi nel “parco dei Montioni”, con un breve sconfinamento in provincia di Grosseto. L’ultimo giorno è stato un po’ meno avventuroso, ma ugualmente interessante con la visita ad una miniera nel parco archeominerario di S. Silvestro ed alla necropoli etrusca di Populonia.
Mont Blanc du Tacul, parete est: goulotte Gabarrou-Albinoni e Modica-Noury
ATTRAVERSO UNA STELLA
Era una fredda mattina di febbraio, avevamo da poco aperto il negozio quando ad un tratto entrò l’amico Paolo Rinaldi. Aveva con sé quattro libri, più precisamente quattro guide d’arrampicata riguardanti il gruppo del Delfinato e quello del Monte Bianco. Con essi una lettera dal seguente contenuto: “Li ho conservati con orgoglio, con amore e commozione fino ad oggi, poi leggendo sul mensile del CAI le tue salite, descritte mirabilmente dal tuo socio, ho capito che Matteo avrebbe voluto che li conservassi tu. Leggendo i suoi appunti mi sono accorto di quanto fosse già bravo così giovane e che forse il suo amico di avventure di 14 anni fa avrebbe magari avuto voglia di ripetere qualche sua salita fatta in solitaria”. Non trovai le parole per ringraziarlo, mi commossi e lo abbracciai. Oltre le guide quante pagine di quaderno scritte da lui con l’elenco minuzioso dei passaggi da lui compiuti su molte vie, una vera miniera di suggerimenti. Da quell’incontro passarono settimane quando un giorno vidi su un sito alpinistico che una cordata italiana aveva scalato la via Gabarrou-Albinoni al Mont Blanc du Tacul, il canale dove perse la vita Matteo il 23 ottobre 1997. Inviai subito un sintetico sms ad Emanuele, amico e compagno di avventure, scrivendo: “Ti informo che hanno scalato la GAB-ALB”. Dopo qualche minuto la risposta fu altrettanto sintetica: “Prepara gli sci”. Uomo d’altri tempi pensai. Così il 25 febbraio 2012 partimmo per Courmayeur con un’auto carica di attrezzatura e di sogni. Arrivammo alle 22.30 circa, sistemammo i viveri sul tavolo ed iniziammo la divisione del materiale. In un angolo della camera vidi le piccozze ed i ramponi di Ema ancora sbeccati e stanchi dall’ultima salita alla nord delle Jorasses. Quindi doverosa limatina e poi in branda. La sveglia suonò alle 5 e, dopo una ricca colazione, ci dirigemmo velocemente verso Chamonix. Primi al parcheggio, primi alla biglietteria e naturalmente in pole position anche per la prima salita in telecabina. Una luce rosso fuoco illuminò la punta dell’Aiguille du Midi. Finita la discesa dell’aerea crestina sommitale, mettemmo gli sci ai piedi, direzione Mont Blanc du Tacul. Ci fermammo per mettere le pelli di foca in prossimità della Pointe Lachenal per poi risalire il pendio sottostante l’ambito itinerario. Ema attaccò a sinistra il crepaccio terminale per poi scompa-
rire sotto ad una luce incandescente. Percorremmo i primi 250 metri in conserva protetta, in seguito, una svolta a sinistra ci introdusse nel vivo della salita. La sera prima ero andato a letto con dei sintomi influenzali che inevitabilmente si fecero presto risentire. Affrontai il resto della goulotte febbricitante. Presi il comando di un tiro, con la laica benedizione del mio socio: “Alè homo, alè!”. Lo dovevo a Matteo. Cercai di tenere duro, a breve un sogno si sarebbe realizzato. Del resto un’invernale sul Bianco è sempre tanta roba! Grazie alle soste già attrezzate, iniziammo la lunga serie di corde doppie che ci ricondussero agli zaini saggiamente vincolati agli sci. Non ci restava che scendere lungo La Mer de Glace. Prestammo attenzione al crepaccio del Gros Rognon, molto simile al salto Angel. Cercai la concentrazione, richiamando tutte le energie rimaste. Il mio compagno mi incoraggiò ripetutamente, standomi vicino nei tratti più critici. La febbre mi indolenzì le gambe e venni assalito presto da dei terribili crampi. Mentre la luce del crepuscolo dava l’ultimo bacio al profilo mozzafiato del Dru, finalmente raggiungemmo la stradina nel bosco alla luce delle nostre pile frontali. Il sole era ormai tramontato da una quindicina di minuti, il tempo necessario per aggirare gli ultimi buchi. Ho il ricordo di questo ultimo tratto di strada percorso quasi in apnea… Ma ad un tratto una luce, un rumore assordante… era un mostro meccanico che mi veniva incontro. Solo dopo mi accorsi che era un gatto delle nevi ad inizio turno. Ero un po’ suonato! Era la fine di un giorno grande. Tolsi gli sci sulla statale per Argéntiere, la mia pila illuminò il volto di Ema, che mi sorrise: avreste dovuto vederlo, aveva la faccia di un moccioso che l’aveva appena combinata grossa. Segue a pag. 2
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Sezione di Ovada