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SCENARI/ACQUA Un anno sfidante

SCENARI/ACQUA

UN ANNO SFIDANTE

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PRODUTTORI E DISTRIBUTORI HORECA VEDONO NELLA STAGIONE ESTIVA IL MOMENTO PIÙ FAVOREVOLE PER RIAVVICINARSI ALLE PERFORMANCE PRECOVID, MA DEVONO FARE I CONTI CON I PESANTI INCREMENTI DEI COSTI. IL VUOTO A RENDERE SI CONFERMA UN MODELLO DI BUSINESS EFFICACE PER GARANTIRE QUALITÀ E SERVIZIO AL PUBBLICO ESERCIZIO

DI GIULIA COLOMBO

Inumeri sono quelli del primo mercato del beverage italiano, in netta risalita dopo la frenata causata dalla pandemia. Certo, i problemi non mancano alla voce costi di produzione – per l’impennata dei prodotti energetici e quindi dell’incidenza di trasporti, vetro, Pet, ecc – ma l’acqua confezionata resta fondamentale per tutti gli anelli della filiera. È un prodotto che contribuisce a creare il posizionamento del pubblico esercizio, oltre a fidelizzare – attraverso la formula del vuoto a rendere – il gestore al distributore. Ed è anche un campione del made in Italy, visti i successi ottenuti oltreconfine grazie alla capacità di legare la qualità all’origine e all’identità territoriale.

I numeri, dicevamo: quelli del 2021 hanno mostrato la capacità di reazione del settore. In base alle rilevazioni effettuate da IRI nel canale grossisti,

le vendite a valore sono aumentate del 27,1% sul 2020 a

fronte di un incremento del 23,5% a volume. Confermata la netta prevalenza dell’acqua naturale: nell’ambito delle confezioni in vetro e dunque del vuoto a rendere, la naturale ha il 57,7% di quota a valore (+31,6% nel 2021 rispetto all’anno precedente), mentre la gassata è attestata al 29,2% (+25,9%) e l’effervescente naturale all’11,1% (+27,8%). Limitata la penetrazione della leggermente frizzante, con 1,9% di incidenza (+30,6%).

L’ANDAMENTO DELLE VENDITE

La stagione estiva è il momento migliore per riavvicinarsi alle performance del pre-Covid. E il mercato è arrivato all’appuntamento in buona forma: i mesi primaverili hanno mostra-

to incrementi importanti rispetto al 2021, quantificati da alcuni addetti ai lavori nell’ordine del +25% a va-

lore. Il gap ancora da recuperare è sintetizzato bene da due cifre e cioè -16,1% a valore e -12,9% a volume, che emergono dal confronto tra il 2021 e il 2019. Confrontando il primo bimestre 2022 con il corrispondente 2020 – che va considerato anch’esso un periodo pre-pandemico, alla stregua del 2019 – la diminuzione è pari a -14,7% a valore e -16,1% a volume. Ma anche in questo caso è di conforto l’andamento rispetto al primo bimestre 2021: +70,4% a valore e +51,9% a volume.

Trend che si replicano in maniera simile in due dei principali canali di sbocco nell’ambito del pubblico esercizio,

cioè i bar diurni e i ristoranti. In base ai dati IRI i primi hanno visto aumentare i volumi del 27,4% nel 2021 rispetto all’anno precedente, ma con ancora un 24,2% da recuperare a fronte del 2019. Nel primo bimestre del 2022 hanno però messo a segno un incremento addirittura a tre cifre e cioè +101,7% a valore (con 19,6% da recuperare rispetto al primo bimestre 2020), che si traduce in +98,3% a volume (-18,5% rispetto allo stesso periodo del 2020). Nei ristoranti IRI ha misurato relativamente all’intero 2021 un incremento a volume del 28% sul 2020, con un gap pari al -19,5% rispetto al 2019. Ma di nuovo molto positivo è stato il primo bimestre 2022: +152,4% a valore sull’analogo periodo del 2021 (con un divario ridotto all’11,4% rispetto al primo bimestre 2020) e +131,6% in volume (-16,1% a fronte del primo bimestre 2020). Interessante l’aspetto dei formati, che sottintende a una serie di dinamiche commerciali rilevanti per la categoria. Nei bar

diurni le bottiglie in plastica incidono per l’81,5% dei volumi, mentre nei ristoranti è il vetro a prevalere con oltre

il 62% sempre a volume. Per quanto riguarda invece il prezzo medio, nel 2021 nel canale grossisti è stato di 0,28 euro al litro (+2,9% sul 2020 e -3,8% sul 2019), nei bar diurni di 0,36 euro al litro (-0,2% sul 2020 e -1,0% sul 2019), nei ristoranti di 0,47 euro al litro (+4,0% sul 2020 e +3,7% sul 2019).

LE DIMENSIONI DEL COMPARTO

La rilevanza del mercato dell’acqua minerale emerge in tutta la sua chiarezza guardando al comparto nella sua interezza. Sul fronte produttivo in Italia si contano 120 aziende, con alcuni grandi gruppi e molte piccole e medie imprese a carattere familiare, che commercializzano circa 300 diverse etichette. Gli addetti arrivano a circa 45mila, tra diretti e indiretti. La

produzione annua, secondo i dati di Mineracqua, è stata nel 2021 pari a 15,2 miliardi di litri, per un giro d’affari di circa 2,9 miliardi di euro, mentre l’export, fiore all’occhiello del settore, ha raggiunto circa 1,5 miliardi di litri, pari a un

saldo commerciale di 600 milioni di euro. Se vari decenni orsono erano in pratica le sole S.Pellegrino e Panna a fare da portabandiera dell’acqua minerale made in Italy in giro per il mondo – puntando sostanzialmente sull’Horeca di fascia alta (grandi hotel, ristoranti rinomati, locali del jet set internazionale) cui si è aggiunta nel tempo la presenza in catene della distribuzione moderna – oggi la pattuglia di marchi tricolori che hanno saputo farsi apprezzare a livello globale è molto

più nutrita e comprende nomi, tanto per citarne alcuni, come San Benedetto, Ferrarelle, Galvanina, Lurisia, Surgiva.

Quanto all’Italia i distributori rappresentano un anello fondamentale della filiera, gestendo un’offerta molto ricca in termini di marchi e variegata anche sotto il profilo dei

formati. La collaborazione con più produttori di acqua confezionata è una scelta obbligata per un distributore Horeca, che ha la necessità di garantire una scala prezzi ampia, così da poter rispondere alle esigenze di una clientela composita, fatta di pubblici esercizi con localizzazioni, target e tipologie di servizio molto diversificate. Inoltre, l’acqua – come già accennato – è un prodotto che qualifica la proposta commerciale e dà al consumatore l’immediata percezione del posizionamento del locale. Disporre di un catalogo ben assortito dà modo al distributore di assecondare le richieste di quei ristoratori che vogliono differenziarsi dalla concorrenza, con un’acqua di qualità in un packaging distintivo. E qui veniamo

al tema dei formati: i distributori gestiscono sia quelli più generici – la classica bottiglietta da 0,50 cl in Pet – sia quelli sempre in plastica, ma esclusivi per l’Horeca, fino

ad arrivare alla bottiglia in vetro con vuoto a rendere. Un modello di business che merita un approfondimento per l’importanza che riveste per i grossisti e gli stessi produttori.

IL MERCATO DEL VUOTO A RENDERE

Il mercato del vuoto a rendere è caratterizzato da dinamiche molto particolari, che non si prestano ad essere riassunte in dati medi. Ecco, quindi, che risulta difficile stabilire una catena del valore per l’acqua minerale in bottiglia di vetro. Le

cifre variano in base all’area geografica – ma qui un’indicazione è possibile darla e cioè che al Nord il prezzo è più elevato rispetto al Sud – e al formato della bottiglia

stessa. Ovviamente anche il tappo a vite e quello a corona hanno costi diversi e c’è da giurare che una fase di forte inflazione come quella attuale favorisca le oscillazioni. In linea di massima, si può dire che nel vuoto a rendere il prezzo di una bottiglia acquistata dal grossista va da 0,15 a 0,40 euro franco fonte. Per quanto riguarda i volumi, indicativamente un ristorante acquista tra le 10mila e le 15mila bottiglie all’anno. L’acqua con vuoto a rendere mantiene intatto uno degli elementi che hanno convinto tante aziende produttrici a proseguire con questa formula di vendita: essere un valido

meccanismo di fidelizzazione del ristoratore o gestore

del punto di consumo, non fosse altro per il fatto che il prodotto è soggetto a cauzione. Anche su questo punto in verità una regola precisa non esiste: le trattative del distributore con l’esercente stabiliscono se la cauzione viene versata concretamente e il suo ammontare. Stessa cosa può dirsi per

il numero di “giri” delle bottiglie prima della loro restitu-

zione per essere destinate al riciclo: si tratta di un fattore discrezionale. Fermo restando che capita di vedere bottiglie già palesemente “rigate” ma ancora tenute in circolo, di norma la loro vita dovrebbe limitarsi a una decina di utilizzi, al concludersi dei quali andrebbero rese e riciclate.

L’AUMENTO DEI COSTI

Nella stagione estiva la voglia di normalità stimola i consumi fuori casa e fa assaporare la ripresa, però il mercato dell’acqua minerale è costretto a fare i conti con una serie di problematiche. A partire dall’incremento dei costi delle materie prime, dell’energia e dei trasporti, aumentati ancora di più dall’inizio della guerra in Ucraina. Il gas metano è cresciuto del +417%,

il Pet utilizzato per le bottiglie del +92%, il vetro del +33%,

il legno per i pallet del +108%. In particolare per il vetro la questione è complessa: l’impennata dei costi energetici ha costretto numerose vetrerie in giro per l’Europa a sospendere la produzione e già nel mondo del vino è scattata l’emergenza per la difficoltà a reperire bottiglie di determinati formati. Anche l’aumento del costo dei trasporti (+20%) è un fattore che penalizza fortemente il settore dell’acqua confezionata, dal momento che rappresentano una voce significativa su prodotti dalla bassa marginalità intrinseca. Alcuni operatori fanno notare tuttavia come alcuni “distinguo” vadano fatti. Il prezzo del trasporto, per esempio, dipende dall’applicazione del prezzo franco destino o franco fronte: se nel primo caso è compreso in fattura, nel secondo è pagato dal distributore al trasportatore, in base alla distanza da coprire e con tariffe diverse.

L’OMBRA DELLA PLASTIC TAX

All’orizzonte, poi, la tassa sulla plastica:

l’ipotesi di 450 euro a tonnellata peserebbe fortemente su un prodotto come l’acqua minerale naturale che

ha un basso valore aggiunto, tanto che nei discount viene venduto a un primo prezzo di 10 centesimi al litro. “Questa tassa inciderebbe sui clienti finali causando un prevedibile crollo dei consumi – commenta Ettore Fortuna, Vicepresidente di Mineracqua – e oltre a frenare gli investimenti da parte delle aziende, metterebbe di riflesso a rischio l’occupazione del settore. Tuttavia, dopo quattro rinvii consecutivi negli ultimi tre anni, auspichiamo che il Governo decida di abrogare la tassa. Rispetto alle condizioni economiche in atto nel passato, il contesto economico attuale è infatti fortemente variato in termini penalizzanti per le imprese, e l’introduzione di nuove tasse non appare certamente coerente con la necessità di superare al più presto la difficile congiuntura che stiamo vivendo”.

In attesa di conoscere le decisioni dell’esecutivo rispetto alla plastic tax, il forte incremento dei costi ha costretto

i produttori di acqua minerale a rivedere i loro listini. Una prima tornata di aumenti c’è stata a fine del 2021, ma da allora la situazione è ulteriormente peggiorata e dunque nelle scorse settimane molte aziende hanno comunicato nuovi ritocchi al rialzo dei prezzi praticati ai distributori. Difficile dire che cosa riserva il futuro, considerate le tante variabili – non ultima la guerra in Ucraina – che possono condizionare l’andamento dell’economia e i comportamenti di consumo. Di certo la categoria dell’acqua minerale manterrà un primato di rilevanza economica e anche simbolica nel mondo beverage.

LA QUALITÀ FA LA DIFFERENZA

Acqua minerale vs. acqua filtrata: il dibattito non è recente e ha a che fare con la salubrità dell’acqua servita nei locali pubblici e con i parametri che ne regolamentano la potabilità. Molti consumatori non sanno che si tratta di acque con origini e caratteristiche distinte e disciplinate da leggi diverse. “L’acqua minerale proviene da un giacimento profondo,

protetto e incontaminato – spiega Ettore Fortuna, Vicepresidente di

Mineracqua –. È pura batteriologicamente all’origine e non è soggetta a trattamenti di disinfezione, oltre a essere imbottigliata all’origine. L’acqua

di rubinetto ha origini diverse, come laghi e fiumi, e proprio per questo motivo deve essere soggetta a trattamenti di potabilizzazione e di di-

sinfezione. Anche i parametri da rispettare sono diversi e l’acqua potabile, se non rispetta i limiti fissati dalla legge per alcuni contaminanti, può ricevere dal Ministero della Salute la deroga a poter essere ugualmente distribuita”. Insomma, il consumatore avrebbe diritto ad essere informato sulla qualità di ciò che beve, ma gli atteggiamenti a dir poco “disinvolti” adottati talora nei pubblici esercizi non aiutano a fare chiarezza: “Diversi ristora-

tori scelgono di servire acqua potabile affinata – continua Fortuna –

spesso in bottiglie che richiamano quelle delle acque minerali naturali. Questo effetto confondente può trarre in inganno il consumatore, quindi sarebbe necessaria maggiore trasparenza da parte degli operatori del settore”. Indubbiamente l’acqua filtrata rappresenta una minaccia sotto vari aspetti. Sottrae valore non solo ai produttori, ma all’intera filiera, con ricadute pesanti per i distributori Horeca. L’acqua confezionata è un prodotto dalla marginalità limitata, ma che movimenta volumi importanti, tali da rendere la categoria fondamentale sotto il profilo economico. Inoltre, la

frequenza di consegna consolida il rapporto tra distributore e gestore del punto di consumo, aspetto centrale in un mercato che vive molto

di conoscenza e fiducia reciproca. L’acqua filtrata, riducendo le opportunità di contatto, mina le fondamenta di questa collaborazione. E per di più a fronte di una qualità che andrebbe valutata con maggiore attenzione.

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