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Un anno di scelte consapevoli e crescita

di Pierangelo Andreini - Vicepresidente ATI

Difficile dire quali siano le prospettive economiche globali del nuovo anno (questo articolo è stato redatto il 12 dicembre NdR), ma è facile prevedere che una ripresa della Cina potrà volgerle indubbiamente al meglio, attenuando gli effetti negativi del ristagno atteso, un po’ dappertutto, che vede Stati Uniti, Regno Unito ed Eurozona sulla soglia della recessione. Una rimonta possibile, quella del Paese di Mezzo, tuttavia non scontata, stanti le difficoltà, recenti e attuali, che attraversa l’economia cinese, amplificate dal diffondersi di nuovi casi di infezione da SARS-CoV-2 a Pechino e in altre grandi città, dal cambiamento della strategia per contrastare la temuta nuova insorgenza della pandemia e dalle connesse restrizioni che possono penalizzare logistica e trasporti. C’è da dire poi che, se la Cina ha affrontato un anno difficile, i dodici mesi che stanno per terminare sono trascorsi altrove in modo spesso assai peggiore. Questo per effetto di una geopolitica sconsiderata che ha determinato un calo diffuso del tenore di vita, in molti casi drammaticamente accentuato e crescente, come nella martoriata Ucraina. Dunque, uno scenario incerto, dove numerosi paesi in via di sviluppo sono ad alto rischio di insolvenza e centinaia di milioni di persone non dispongono di acqua potabile, servizi igienici e di energia commercializzata (elettricità e combustibili per cucinare). Una situazione variamente segnata, quindi, dall’aumento delle disuguaglianze e dell’iniquità sociale e dal conseguente allargamento dell’area della povertà, che rende aleatoria la stima dei fondamentali economici e condiziona fortemente l’evoluzione del mercato dell’energia. Ancor più quello del petrolio, dove di nuovo l’incognita della Cina, che è il maggiore importatore mondiale di greggio, potrà fare la differenza, specie in caso di altri lockdown che ne riducano la domanda, rallentandone l’economia. A ciò si aggiunge la proibizione dell’Unione europea, entrata in vigore nei primi giorni di dicembre, di importare il petrolio russo via mare e il price cap concordato tra UE, G7 (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti) e Australia. Un giro di vite ulteriore per limitare la capacità della Federazione Russa di finanziare la guerra in Ucraina con misure di severità crescente, di cui la seconda stabilisce il divieto per gli operatori dei servizi marittimi (trasporti, assicurazioni, finanziamenti, intermediazioni) che hanno sede nei paesi firmatari di spedire il petrolio proveniente dalla Russia a paesi terzi se il greggio viene acquistato a un prezzo superiore al tetto stabilito di 60 dollari al barile. Provvedimenti che incideranno, pertanto, pesantemente sul mercato per una duplice ragione. Innanzitutto, per le quantità interdette, già di per sé molto rilevanti, visto che la Commissione Europea ritiene che il blocco dell’invio marittimo, ora introdotto, determina l’embargo della quasi totalità, oltre nove decimi, del greggio russo sin qui destinato all’Europa, cui si somma, dopo il 5 febbraio, quella dei prodotti petroliferi raffinati. Poi, per i minori introiti che genera il price cap sulle vendite della

Russia, attraverso i servizi dei paesi vincolati dall’accordo, che saranno tanto più cospicui quanto più il prezzo di mercato sarà alto, attualmente (12 dicembre NdR) intorno ai 76 dollari al barile (in media tra WTI e Brent). Questo perché la massima parte degli armatori che gestiscono navi petroliere e delle compagnie assicurative che emettono polizze per proteggerne il trasporto hanno sede nei paesi del G7. In tal modo, l’imposizione di un tetto al prezzo del petrolio russo che le navi possono trasportare e gli assicuratori possono assicurare estende le restrizioni al di fuori dell’Europa e degli altri paesi, come USA e Regno Unito, che hanno già interdetto le importazioni, dato che il naviglio rimanente, mosso e assicurato da organizzazioni diverse, per esempio cinesi, è in grande minoranza. Una situazione che la Russia sta cercando, ovviamente, di contrastare con varie iniziative, tra cui l’acquisto di petroliere, incontrando tuttavia grosse difficoltà, perché essa manca dei servizi necessari, non solo per il trasporto, ma anche per assicurazioni, finanziamenti, ecc., di cui in larga misura non dispone direttamente. Servizi che non le è facile sostituire nel breve-medio periodo e ancor meno può farlo il G7 plus, l’alleanza di 20 paesi in via di sviluppo riunitisi nel 2010, per ricevere il milione di barili al giorno destinati a questi paesi fragili in base agli accordi intervenuti con la loro associazione.

L’arma a doppio taglio: il petrolio

Un handicap grave, considerato che con una produzione registrata in agosto di circa 11 milioni di barili al giorno la Russia rimane il secondo produttore di petrolio al mondo, sotto gli USA e poco sopra l’Arabia Saudita, che sopravanza sempre di meno, e visto che la sua economia poggia fortemente sulla vendita di greggio e prodotti raffinati ad altri paesi. Lo dicono i dati dell’Agenzia internazionale per l’energia (AIE) secondo i quali la Federazione a ottobre ha esportato 3/4 della produzione, di cui poco più della metà in Europa, ora quasi del tutto bloccata, come il resto che è ristretto fortemente, per lo meno sulla carta. L’imposizione del tetto al prezzo di vendita del petrolio interessa, infatti, numerosi acquirenti in misura maggioritaria e obbliga la Russia ad accettare un introito minore di quanto il mercato le consentirebbe o ad accumulare scorte, rinunciando a queste cessioni, visto che Mosca ha detto che non intende accettare limiti di sorta. Così correndo il rischio di gravi ricadute economiche, che sta cercando di attenuare o evitare acquistando mezzi di trasporto propri, come sopra accennato, e ricercando accordi con fornitori di servizio alternativi e patti diversi con vecchi e nuovi compratori di greggio e raffinati. Una possibilità reale, che rende lo scenario ancor più imprevedibile e incerto, perché la provenienza del greggio può essere cambiata agevolmente, in quanto, a differenza del gas, il petrolio viaggia soprattutto via nave. Vale per la Russia che, scontato il problema dei servizi, può vendere il suo petrolio ad altri, come per l’UE, che può procurarselo altrove. La prima può fornire il suo petrolio a Cina, India e Turchia, per esempio, e lo sta già facendo in misura crescente. La seconda comprarlo, sempre per esempio, dall’Arabia Saudita e da altri produttori del Golfo Persico, cosa che notoriamente già avviene. Comunque sarà, se le quantità non si compenseranno l’ammanco di greggio ridurrà la disponibilità di petrolio e raffinati e determinerà l’aumento dei prezzi. Una situazione da evitare e la ragione per cui, temendola, quello del barile è sceso per il momento di poco, intorno ai 76$ sopra detti, nonostante il tetto a 60 sia stato annunciato da tempo. La stessa ragione per cui le nuove sanzioni ora adottate (12 dicembre NdR) sono tali da non far cessare del tutto le forniture di greggio russo verso l’Europa e altre parti del mondo, le quali, altrimenti, ci farebbero concorrenza acquistandolo dai nostri fornitori.

Di qui l’avvenuta conferma dei 60$, il cui effetto reale, in termini di minori ricavi della Russia, manifesterà la sua entità però solo nel tempo. Per abbreviarlo Polonia e Ucraina avevano proposto, infatti, di fissarla a 30, per ridurre in tal modo da subito fortemente gli introiti. Tuttavia, 60 comporta comunque un danno notevole, dato che la quotazione del petrolio russo, Crude Ural Oils, è scesa sotto i 54$ e che alcuni osservatori sostengono che Mosca stia già vendendo il suo greggio a meno di 50. Per questa ragione l’Esecutivo comunitario prevede di valutare bimestralmente la portata delle nuove sanzioni e di proporre, se sarà necessario, un abbassamento del price cap del 5% rispetto alle condizioni effettivamente praticate dai fornitori russi ai loro clienti, cosa peraltro non facile da accertare. Pertanto l’impatto dei nuovi provvedimenti aumenta e non riduce l’incertezza e, non a caso, nella riunione dell’OPEC+ del 3 del mese, l’Organizzazione dei 13 Paesi Esportatori di Petrolio più i 10 alleati, comprendenti la Federazione Russa, che in parte li guida, ha deciso di prendere tempo e di mantenere invariati i livelli di produzione, già ridotti nell’incontro di ottobre di 2 milioni di barili, cui rispondono gli attuali prezzi di mercato. Per adesso, perché il calo delle esportazioni di greggio russo e suoi raffinati, che vuole l’Occidente, influenzerà inevitabilmente le quotazioni del petrolio nel 2023, le quali potrebbero scendere, ma anche crescere notevolmente, attenuando la speranza di ridurre l’inflazione, in varie economie compresa la nostra, ora intorno alle due cifre. Visto che l’arma delle sanzioni è una spada a doppio taglio difficile da maneggiare, che offende l’aggressore, ma può offendere anche l’aggredito. Come è successo nel mercato parallelo del gas, dove la riduzione dei flussi di forniture dalla Russia verso l’Europa ha elevato i prezzi del metano in misura tale che, pur avendocene venduto meno, ne ha ricavato di più.

Proprio per evitare il ripetersi di questo paradosso il varo dell’embargo sul greggio russo è stato fatto coincidere con l’entrata in vigore di un tetto sul prezzo. In quanto le entità in gioco, sopra accennate, che conferma l’International Energy Forum, sono imponenti: 3 milioni circa di barili al giorno di cui l’UE risulta complessivamente priva per effetto di quest’ultimo embargo e delle misure precedenti. Una mancanza che deve essere compensata con inevitabili riflessi sul mercato che potrebbero portare a una nuova impennata delle quotazioni.

Dirimere i contrasti e governare la complessità con il dialogo e il sapere

Così l’economia globale, sempre più complessa, prostrata dalla pandemia e alle prese con le due transizioni, digitale ed ecologica, che il conflitto in corso stressa ulteriormente con le sanzioni e gli embarghi adottati per spegnerlo, è sempre più instabile e difficilmente prevedibile. Perché le interdizioni crescono e si susseguono su un percorso teso a indebolire l’economia russa di cui quelle ora varate sono solo un passaggio. Esse attuano, relativamente al petrolio, il disposto dall’ottavo, settimo e sesto pacchetto di sanzioni approvati in ottobre, luglio e giugno. Sono, come detto in premessa, un’ulteriore stretta per esercitare una pressione crescente sull’economia russa con interdizioni progressive che interessano categorie sempre più eterogenee di beni, restrizioni alla navigazione e all’attracco ai porti unionali, servizi, compresi quelli di ingegneria, architettura, di informatica, legali, nuovi soggetti che vengono esclusi da ogni relazione economica. Ancor più si propone di fare in questa direzione il prossimo, nono pacchetto di sanzioni, recentemente annunciato, che riguarderà quasi 200 persone ed enti russi, comprendenti ministri, governatori, politici, forze armate, banche per inceppare la macchina finanziaria, nuovi controlli e restrizioni sulle esportazioni, in particolare per i prodotti richiesti dalle attività minerarie o per usi militari, civili e propagandistici. L’obiettivo è chiaro ed evidente, quello di costruire un muro che isoli la Russia, indebolendo le sue relazioni economiche e gli scambi, con provvedimenti progressivi che accrescano il suo spessore e solidità. Tuttavia il cammino potrebbe essere lungo, denso di insidie e di feedback, e il prezzo da pagare il freno al progresso, per non dire la sua decrescita, volendo escludere la catastrofe di una guerra conclamata che coinvolga l’intero Occidente. Un esito, questo, che Mosca vuole evitare peraltro, come ha ripetuto il presidente Putin nei giorni scorsi, affermando però che l’operazione militare speciale, cioè la guerra in atto conseguente all’invasione russa dell’Ucraina, si protrarrà nel tempo fino al raggiungimento degli obiettivi prefissati e allontanando in tal modo la speranza di una rapida evoluzione positiva. Difficile prevedere, quindi, tornando alle parole con cui ho iniziato questa riflessione, come andrà il prossimo anno. Sicuramente lo è per me. Ciò che so è che le barriere inaspriscono il dialogo e rallentano l’avanzamento della civiltà. E ciò che mi appare è che il mondo non sembra sufficientemente consapevole della gravità della tragedia in corso, che minaccia il pianeta, pregiudica la vita e il benessere dell’attuale generazione e ipoteca il futuro della prossima.