Libro di gio

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Con il contributo di

ISBN: 978-88-7847-308-9 © 2010 Monte Università Parma Editore

Antonio Franceschetti

Il libro di Giò Una generazione in gioco 25 anni della Polisportiva Gioco Parma

Progettazione e realizzazione grafica Simone Pellicelli

www.mupeditore.it

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Prefazione

Luca Pancalli: presidente Cip, vice-presidente Coni, pentatleta e campione prima del grave incidente del 1981, campione paralimpico pluridecorato, e soprattutto dirigente preparato, convinto, capace, comunicativo, propositivo. è un vulcano di iniziative, come sembra suggerire questo ritratto scattato nella sala consigliare del Comune di Parma il 26 marzo 2009, in occasione della consegna di un riconoscimento ufficiale per la collaborazione alla stesura del “Libro bianco su accessibilità e mobilità urbana”.

Guardarsi indietro, tornare con la mente agli inizi di una avventura e pensare che in effetti si è fatto molto, anche se poi quel molto può essere solo un obiettivo intermedio ed un traguardo temporaneo, perché dietro l’angolo ce n’è subito un altro, che va affrontato con lo spirito di sempre. Tutte le storie hanno un inizio che il più delle volte è difficile da interpretare, difficile da decifrare. In poche parole, tutti gli inizi sono un’incognita ma come tutte le incognite rappresentano una sfida continua, uno stimolo costante per riuscire a dare sempre il meglio, nella consapevolezza che dare il meglio, spesso, non è sufficiente. Molte cose sono cambiate dal 1983, anno in cui la Gioco Pol. Parma comincia a muovere i primi passi. Sono cambiate le persone, si sono moltiplicate le discipline, il numero di atleti praticanti, le figure alla guida della Polisportiva ma, soprattutto, è cambiata la società in cui viviamo e la ricezione, da parte della gente, di concetti quali disabilità o inclusione sociale. Non più concetti astratti ma idee concrete di un mondo che comincia a guardare sempre di più alla persona disabile come una ricchezza, capace di dare un contribuito fondamentale in tutti i campi, non ultimo, anzi, quello sportivo. Il merito di questo va a tutti coloro, come voi, che da anni si adoperano per diffondere quel concetto di cultura della normalità e per garantire pieni diritti a tutti. Diritti che non ci sono arrivati dall’alto ma che, altresì, abbiamo saputo conquistare ‘sul campo’ e lo abbiamo fatto grazie al lavoro di tutti voi, alla dedizione di chi continua a spendere tempo ed energie allo scopo di promuovere un concetto di sport che sia non solo momento agonistico ma anche aggregazione, che non sia solo ansia di risultato ma anche confronto sano, crescita sportiva ed umana. Questa deve essere la vostra consapevolezza, quella, cioè, di essere autentici protagonisti di una storia che avete cominciato a raccontare da più di 25 anni. Una storia fatta di sacrifici, di passione autentica, di lavoro e di amore per lo sport e per chi lo pratica, il tutto con il duplice fine di porre da un lato l’accento sulla centralità della persona, dall’altro di far crescere il movimento paralimpico, affinché conquisti, sempre più, lo spazio che merita. Alcuni giorni fa, durante i lavori della II Assemblea Generale Ordinaria Elettiva CIP, ho avuto modo di rivivere, attraverso immagini video, le emozioni dei Giochi Paralimpici Estivi di Pechino 2008 e mi sono ritrovato a pensare, ancora una volta, a quanto i successi del nostro movimento siano ascrivibili a tutti voi, quanto i traguardi raggiunti siano merito di coloro che operano sul territorio a livello capillare, quanto ci sia della vostra passione e del vostro spirito di ottenere obiettivi sempre più ambiziosi in tutto ciò che siamo riusciti a realizzare in questi anni. A tutti voi della Gioco Polisportiva Parma va pertanto il mio più sentito ringraziamento ed il mio augurio di tanti altri anni di attività a fianco del mondo sportivo, perché il successo di tutti continui ad essere il frutto del successo dei singoli. Roma, 26 febbraio 2009.

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Luca Pancalli

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sommario

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Prefazione di Luca Pancalli

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Mi presento Fiocco azzurro Lo sport fa bene a tutti e diverte Treni e autobus per tutti Non solamente campioni Tutti insieme appassionatamente Come si diventa grandi Sportivi e missionari Basket story Una casa vecchia per la sede nuova Dall’acquaticità alle grandi imprese natatorie Migliorare crescendo Da Don Gnocchi a Gioco Professionalità Special olimpics International (SOI) Sinergie Progetti e sponsor San Martino Eventi Wheelchair hockey Emozioni Fare centro Sport-al Parma Nuova sede per una nuova generazione in Gioco

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Atleti agonisti Responsabili e Professionisti

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Ringraziamenti

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Il libro di Giò Una generazione in gioco 25 anni della Polisportiva Gioco Parma

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Voi che leggete sappiate che queste pagine sono un dono. Sono frutto di esperienza di persone che insieme hanno trasformato in risorse quello che altri chiamano handicap. Fate in modo che questo libro venga letto da chi possa trarne vantaggio. Regalatelo a quella famiglia che ha bisogno di speranza e mandatela da noi: insieme, con i valori dello sport, riaccenderemo la gioia di vivere. Giò

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Mi presento

2008, Parma, Palaciti. La squadra della Gioco in azione durante una partita del Campionato di Basket in carrozzina, serie A2.

“Ciao, sono Giò. Vedi questo bel faccione sorridente, col naso a patatina, gli occhioni azzurri e tre ciuffetti ribelli di capelli biondi? Sono proprio io.” “Ma il tuo nome è Gioco. E allora Polisportiva è il tuo cognome?” “Diciamo che va bene così. Ma tu chiamami Giò, anche perché è un’abbreviazione di Giorgio, il vero nome che ha ispirato una ragazza a disegnare dei fumetti, dai quali è stato tratto il mio faccione. Particolari un po’ complicati, che forse ora non ti interessano. Ah, dimenticavo una cosa importante. Io ho scelto te come lettore principale perché sei un ragazzino curioso e vivace, perciò mi sei simpatico. Ma sono certo che insieme a te leggeranno questo libro anche i tuoi genitori e tutti i grandi che avranno l’occasione di averlo tra le mani. Anche le persone importanti che governano il Comune, che magari non ricordano… Fammi delle domande, perché io so tutto della Gioco Polisportiva. Non parlo mai di me stesso, ma in questo libro ho deciso di vuotare il sacco, dopo 25 anni. Vedrai quante cose ci sono dentro. Aiutami a tirarle fuori. Ne sarai sorpreso.” “Allora tu hai 25 anni?” “Sì, ma come per magia sono sempre uguale, non invecchio.” “Ma chi sei veramente?” “Io sono il logo, ossia l’immagine-simbolo di un’associazione, un gruppo di persone che insieme si divertono con tanti sport, uno più bello dell’altro.” “Per esempio?” “A me piace molto la squadra di basket. Dovresti vederli giocare. Sono veloci più che se avessero le gambe buone. Ah, dimenticavo di dirti che giocano sulla sedia a rotelle, ma questo non conta, sono davvero bravi e fanno tanti canestri. Alcuni corrono per le strade su una strana bicicletta. Io la chiamerei tricicletta, perché ha tre ruote grandi e invece di spingere con le gambe pedalano con le braccia. Hanno due spalle così. Devi vedere come vanno veloci. Per stargli dietro bisogna avere una bici da corsa e fare i 40 all’ora. E poi ci sono quelli che nuotano. Si allenano a Parma

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Fiocco azzurro

2009. Quarta Hand bike Marathon. Partenza sull’argine del Po a Polesine Parmense.

2008, Parma. Wheelchair hockey: azione di gioco in partita di Campionato.

e vanno a fare le gare nelle piscine in giro per l’Italia. Tornano sempre contenti e con tante medaglie.

tano dall’aereo col paracadute, legati insieme a un istruttore, perché loro non possono pilotare. E dicono che è molto divertente nuotare nell’aria prima che si apra il paracadute.”

Senti questa, che è proprio straordinaria. C’era una

Il pulmino della Gioco nel centro di Parma; sullo sfondo: il Battistero e il campanile del Duomo (2009).

“Emozionante!”

Il pulmino della Gioco è passato davanti al Teatro Regio.

Voglia di vincere e gioia di vivere. Ramona Broglia, Paolo Berni, Giuliana Spaggiari, Emanuella Vurchio con le assenti Lara Civa e Laura Boscaini formano il sestetto allenato dalla campionessa Chiara Zurlini nei campionati italiani del 2009.

dozzina di persone, medici, avvocati, ragionieri, tutta gente che lavora o studia all’Università. Però si muovono su una carrozzina elettrica guidando con un joistick. Un giorno dicono: “Tutti fanno sport, corrono, nuotano. E noi niente? Piacerebbe anche a noi fare una squadra.” Qualcuno ci ha pensato e ha inventato la squadra di hockey in carrozzina elettrica.

Emozionante discesa in tandem nel cielo di Cremona (2008).

“Andiamo con ordine. Ti divertirai a leggere le storie che ti racconto. Una puntata per volta. Tu mi aiuterai con le tue domande e io ti farò conoscere delle persone in gamba che ti risponderanno.”

Il monumento bronzeo a don Carlo Gnocchi nel chiostro dell’antico Convento dei Servi di Maria, sede scelta da don Carlo nel 1949 per la riabilitazione fisica, l’istruzione e l’inserimento sociale dei piccoli mutilati della seconda Guerra Mondiale.

“Fiocco azzurro perché vuoi raccontarmi la tua nascita?” “Certamente. Immagina il centro di Parma all’inizio del 1983, prima che il terremoto aprisse qualche crepa nei muri e facesse cadere calcinacci e comignoli. Il Duomo, il Battistero, la chiesa di San Giovanni, con i monaci benedettini, i magnifici chiostri e gli affreschi del Correggio. Il Teatro Regio, la basilica della Madonna della Steccata, il palazzo della Pilotta. Pochi passi più in là, la casa dove abitò Francesco Petrarca. Nelle vicinanze, la più bella chiesa barocca: S. Antonio. Lì vicino la piazza dei Servi…” “Perché dei servi?” “L’ordine religioso dei Servi di Maria; nella piazzetta c’è l’ingresso al loro antico convento, trasformato in istituto di cura: il Centro don Gnocchi, che nel 1982 ospitava un centinaio di ragazzi. “Che nome buffo. Perché si chiama così?” “Per ricordare un prete straordinario: don Carlo Gnocchi. Dopo la seconda guerra mondiale ha visto tanti bambini con braccia, gambe, occhi rovinati dalle bombe e molti avevano perso i genitori. Tanti li ha portati qui a Parma, per curarli e farli andare a scuola. Ha donato i suoi occhi, che gli sono stati prelevati appena morto per ridare la vista a due dei suoi ragazzi resi ciechi dalle bombe. Dopo hanno fatto la legge che consente di prelevare gli organi a un morto per far vivere un’altra persona, che altrimenti morirebbe; don Carlo è stato il primo.” “Era proprio un prete straordinario.” “Un prete santo. Il 25 ottobre del 2009, con una solenne cerimonia nel Duomo di Milano, la Chiesa l’ha proclamato Beato.” “Allora fa anche i miracoli?” “Il miracolo più grande l’ha fatto da vivo, fondando un’istituzione che ha salvato tanti giovani dall’emarginazione, dalla povertà, dall’ignoranza. Dopo alcuni anni don Carlo aveva cominciato a prendere anche ragazzi colpiti da altre malattie o incidenti e che perciò si muovevano in carrozzina oppure con le stampelle. Uno scuolabus faceva il servizio scolastico. Al pomeriggio uscivano e si ritrovavano al bar San Michele, nella centralissima strada della

Ma questo è niente. Alcuni di loro, intrepidi, si but-

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Repubblica. Si può dire che io sono nato lì, all’ombra degli splendidi baffi del barista Titti, che ascoltava i discorsi dei ragazzi e li incoraggiava a realizzare un loro sogno: quello di fare sport, invece di annoiarsi nel tempo libero. Cedo la parola a Nicola, oggi papà di una bellissima bimba, laureato e impiegato presso una grande azienda pubblica, allora studente quindicenne.”

1983. Nicola Perrotta al centro, con Pino Nodello e l’accompagnatrice Mariangela, negl’impianti sportivi dell’Esercito Italiano, alla Cecchignola di Roma, durante una pausa del Pentathlon.

“Ciao. Sono Nicola. Arrivai a Parma nel settembre del 1982 proveniente dal Sud. Avevo 15 anni. Il Nord Italia per noi meridionali significava efficienza, organizzazione e idee sempre nuove. Fui deluso nel vedere che a Parma non esisteva una Polisportiva per ragazzi disabili, anzi c’era addirittura diffidenza. Siccome nei tre anni precedenti ero stato un atleta della SPRO don Orione di Roma, parlavo molto dello sport individuale e di quello di squadra, specialmente con Rodrigo, che era il più entusiasta. Qualche mese dopo arrivò a Parma Pasquale, ragazzo quasi privo di tutt’e due le braccia e formidabile giocatore di ping-pong. A Roma eravamo nella stessa squadra. Con il suo sostegno ed esempio ho convinto quelli che non ci credevano: bastava vederlo giocare.” “Nicola, ti vedo commosso, hai quasi le lacrime. Perché?” “Pasquale era come un fratello per me: venivamo da un’identica sofferenza di vita, abbiamo condiviso fin da bambini le stesse emozioni ed esperienze. Purtroppo una grave malattia se l’è portato via nel 2003. E ora mi manca tanto. Ho dei ricordi stupendi. Pasquale a Tennis Tavolo faceva coppia con Renato; la presenza di un altro giocatore con caratteristiche fisi-

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che simili alle sue, lo rese più sicuro e più forte come atleta, tanto da essere convocato in Nazionale per i Campionati Europei di Tennis Tavolo. Nel frattempo si era specializzato anche a Nuoto dove si divertiva e si applicava in modo passionale; sull’Atletica, invece, pur avendo fatto tante gare, prevalse sempre quel suo caratteristico ozio che me lo rendeva tanto simpatico. Pensa che aveva ottenuto il record mondiale di Lancio del Giavellotto per persone senza braccia!” “È incredibile. Ma torniamo al racconto delle origini.” “Titti, il ‘nostro’ barista, ci ha sostenuto ed aiutato sin dalla prima ora. Poi furono coinvolti anche i responsabili del Centro don Gnocchi, i quali ci diedero libertà d’azione; credo che nessuno di noi abbia mai capito quale fosse il loro parere, almeno, io non l’ho mai capito... Eravamo ormai giunti a dicembre, inverno inoltrato; in quei 2-3 mesi non si era discusso d’altro. Bisognava tirare le somme. Fratel Gabriele ci disse che il tal giorno noi ragazzi, dopo i compiti e prima di cena, avremmo dovuto decidere a maggioranza. E il giorno arrivò. Eravamo in dodici: questo lo ricordo benissimo. Non ricordo, invece, i nomi di tutti i presenti, i favorevoli ed i contrari.” “Chi ha vinto?” “Sette favorevoli e cinque contrari. Ce l’avevamo fatta!!! Per un soffio! Per un soffio!” “E allora qual è la data ufficiale della nascita della Polisportiva?” “Il 3 gennaio del 1983.” “E che nome avete dato?” “Polisportiva don Gnocchi, perché nata all’interno dell’Istituto che ci ospitava.” “Ma poi avete cambiato nome.” “Sì, però questa è un’altra storia. Ciao, ci rivedremo.”

1984, Verona. Campionati Italiani di tennis da tavolo: Pasquale Ticca, in maglia scura, posa con tre compagni di squadra.

Lo sport fa bene a tutti e diverte

1983. Nella piccola palestra del Centro don Gnocchi, Nicola Vignola si allena al getto del peso, assistito da Armando Reggio, sotto lo sguardo vigile di Davide Romano.

“Giò, se ho capito bene, è nata una Polisportiva perché i ragazzi volevano fare tanti sport. Quando ti sei presentato mi hai parlato di basket, di ciclismo, di hockey, di paracadutismo, ma immagino che non sia sempre stato così. Raccontami le cose dall’inizio.” “I ragazzi hanno cominciato con gli sport che conoscevano e che sentivano all’altezza delle loro possibilità: atletica leggera, ping-pong e nuoto.” “Facevano subito le gare?” “No. Si sono organizzati per allenarsi. Hanno subito trovato gli allenatori. Per l’atletica si è reso disponibile Francesco, il loro fisioterapista. Per il ping-pong Giancarlo, autista di pullman, sempre allegro e scattante nonostante la sua mole fisica. E per il nuoto l’amico Giovanni, che aveva passato dei mesi con i ragazzi del Centro don Gnocchi quando si era fatto operare alla schiena; ogni sabato partiva in macchina dal suo lontano paesello e veniva ad allenarli in piscina; poi si è aggiunta la bella terapista Lorenza e, devo dirti la verità, dietro a lei i ragazzi più grandi facevano vasche su vasche senza mai stancarsi; non la superavano mai, sempre dietro!” “Bella, questa, voglio dire… l’allenatrice. Ma, Giò, quando dici atletica, intendi le corse, i salti, i lanci?” “Certamente. I ragazzi si allenavano principalmente con della ginnastica, per rafforzare i muscoli. Per il peso avevano a disposizione la piccola palestra dell’Istituto. Mettevano tappetini sul pavimento per non romperlo e si aiutavano per tenere ferma la carrozzina. Per le corse avevano bisogno della pista. Hanno chiesto al Comune di utilizzare la pista del campo-scuola. Sai cosa si sono sentiti rispondere? -Ma se non ce la fate nemmeno a camminare, volete anche correre?Questo capitava 25 anni fa, quando quelle persone venivano chiamate handicappate.” “Oggi è un’offesa dire handicappato!” “Proprio così. Dunque qualcosa è cambiato e certamente un po’ di merito è anche mio, perché pian pianino ho abituato la gente a vedere persone disabili che fanno imprese sportive e che vivono normalmente in mezzo agli altri.” “Dimmi delle gare.” “Calma. Prima i ragazzi hanno dovuto organizzarsi in associazione. Hanno eletto alcuni consiglieri e Titti ha accettato di fare il presidente e si è subito dato

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da fare per iscrivere alle gare gli atleti e per trovare i soldi per le spese.” “Che spese?” “Carrozzine da gara, che sono diverse da quelle su cui si vive. Trasferte in treno o in pulmino verso altre città, anche molto lontane, come Mestre, Roma, Bari. Tute e divise con gli stessi colori.”

Ma parliamo della prima gara. Ricordo che i ragazzi erano silenziosi, intimiditi, perché per la prima volta si confrontavano con altri atleti più esperti. Abbiamo pernottato in albergo e quella è stata una bella esperienza. Dopo un paio di partenze in piscina, ci siamo accorti che eravamo bravi. Finito il complesso di inferiorità, i ragazzi hanno dato il meglio classificandosi tra i primi. 15 medaglie, di cui sette d’oro e due primati nazionali! Tra le 15 società presenti, totalizzando i punti la nostra si è piazzata al quarto posto. Prima e unica rappresentante di tutta la regione Emilia Romagna.” “Come inizio, niente male! E poi dove siete andati?” “A Mestre e a Milano, per gare di atletica.

“Antonio, perché sorridi? Ti piace parlare di queste ragazze?” “Molto, soprattutto di Dora, che è stata mia moglie dal 1992.” “Hai detto ‘è stata’; e adesso?”

Dora è stata un dono per chi l’ha conosciuta e ha avuto la fortuna di ricambiare il suo amore e la sua amicizia.”

1983. Il gruppo posa con la prima divisa ufficiale all’interno dello Stadio Tardini di Parma. 1984, Roma, Cecchignola. Dora impegnata nel getto del peso.

“Qual è stata la prima gara?” “Nuoto, a Padova. Te la faccio raccontare da Antonio, che guidava uno dei pulmini messi a disposizione dall’Istituto.” “Ciao, giovanotto! Mi piace la tua curiosità. Rispondo subito volentieri. Ho accompagnato i ragazzi in tutte le trasferte per più di un anno e ho comprato una telecamera portatile per filmare le gare. Non ti dico quanto pesava quell’aggeggio a tracolla, che registrava su una cassetta VHS. Allora non c’erano i CD e neanche i DVD. E non ti dico nemmeno quanto costavano quelle cassette, che poi nel tempo si sono smagnetizzate. Pazienza.” “Che peccato! Oggi non si possono rivedere?” “Purtroppo no. Restano solo delle fotografie nelle quali compaio raramente, perché stavo… dietro la macchina fotografica.

1985, trasferta della Polisportiva in Germania. Dora posa felice tra i fiori di uno splendido parco.

1983, Roma. I muscoli di Pino Nodello si tendono nel getto del peso.

1983, Parma, piscina di Viale Piacenza. Prima foto storica della squadra di nuoto. A sinistra, in maglietta, l’allenatore Giovanni Balossino e ai suoi piedi gl’inconfondibili baffi del Presidente Ernesto Rosi. Ben visibile Margherita Casu, che cinque anni dopo gareggerà alle Olimpiadi di Seul.

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I ragazzi hanno gareggiato anche sotto la pioggia. Ormai non avevano più timore. Tra i più forti c’era Pino, molto bravo nelle lunghe distanze: cinque e dieci chilometri. Nel gruppo c’erano anche tre ragazze: oltre a Margherita, bravissima nel nuoto, c’era Donatella che correva in carrozzina e lanciava il peso; c’era anche Dora, che faceva solo le corse in pista sulla sua vecchia carrozzina.”

“Bravo, hai capito bene: è morta. Ma è bello che tu sappia chi era. Battezzata a Molfetta (vicino a Bari) con il nome Deodata: dono di Dio, fu sempre chiamata Dora, da Dorotea, che nella lingua greca ha lo stesso significato e fino a nove anni fu il dono più bello per i genitori. Ma il morbo di Pott (tubercolosi ossea) la costrinse alla carrozzina, sulla quale approdò al Centro don Gnocchi, dove fu subito socia entusiasta della nascente Polisportiva. Condivise le prime avventure di Atletica con i ragazzi, diventando la loro sorella maggiore. Il matrimonio, i nuovi impegni di famiglia, la casa di Carzeto e poi l’età e il progressivo deterioramento delle condizioni fisiche l’allontanarono dalla pratica sportiva, ma i vecchi amici erano intorno a lei per applaudirla quando tagliava l’ultimo traguardo della vita il 27 marzo del 2007.

“Antonio, mi stupisci. Parli della morte come di un fatto naturale.” “Perché è così. I grandi spesso se lo dimenticano e vivono come se non dovessero mai morire. Ma i soldi, la bellezza, il potere… non si possono portare nella tomba. Certo, è una sofferenza, un dolore, ma la morte è compresa nel ‘pacchetto’ della vita, fin dal nascere. Ma torniamo a noi, alle prime uscite piuttosto avventurose. I ragazzi utilizzavano le prime quattro carrozzine speciali comprate apposta, che subito si sono rivelate pesanti e superate. Ora cedo la parola a Claudio, uno dei protagonisti di quei primi tempi; vuole raccontarti un episodio interessante.”

2009. Claudio Marini, dopo 25 anni di militanza nel basket, continua a spargere allegria negli spogliatoi e in palestra.

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“Ciao, sono Claudio. Mi sono sempre divertito con i ragazzi della Polisportiva. Nelle gare davo il mio modesto contributo, ma per la compagnia, specialmente nelle trasferte, ero il numero uno. Senti questa. Tra noi c’era Vincenzo, detto lo Scienziato. Gli piaceva giocare a ping-pong e dava il suo contributo alla squadra correndo, si fa per dire, sulla sua vecchia carrozzina fatta a rovescio, con le ruote grandi davanti invece che dietro. Abbiamo provato a metterlo su una carrozzina normale, ma non riusciva neanche a muoversi.

Una volta c’erano tutti i corridori in carrozzina sulla linea di partenza, pronti per l’ultima gara di dieci chilometri. Arriva lo Scienziato che vuole partire anche lui, a tutti i costi, con la sua quattro ruote “fuori serie”. Tutti a dirgli di no, che la gara è lunga e dopo un giro di pista lui è morto. C’è voluta tutta per trattenerlo. Con lui in gara, si finiva dopo tre giorni. In quel momento lì era così pieno di entusiasmo che non distingueva più la differenza tra 100 metri e 10 chilometri.” “Claudio, ti saluto perché vedo che hai fretta. Mi racconterai qualche altro episodio?” “Certo. Arrivederci.”

Treni e autobus per tutti

1984, Modena. Vincenzo Tolentino taglia il traguardo sulla carrozzina ‘molto personale’.

1985, Germania: tecniche innovative? In Italia ci si arrangiava anche senza scivoli. Ma dopo la pubblicazione del ‘Libro bianco su accessibilità e mobilità urbana’ nel 2009, le cose dovrebbero andare meglio.

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“Giò, oggi vedo che certi autobus hanno una piattaforma per alzare le persone disabili e alla stazione ho visto un treno dove saliva uno in carrozzina. Una volta non era così?” “Una volta la persona disabile doveva arrangiarsi, facendosi aiutare da qualche volonteroso. Dagli autobus era esclusa. Noi abbiamo fatto molto per migliorare le cose. E molto resta ancora da fare. La piattaforma negli autobus oggi c’è, ma purtroppo non sempre funziona.” “Ma come facevate a spostarvi in treno?” “Te lo faccio raccontare da Sergio, che spesso accompagnava i ragazzi.” “Salve, sono Sergio e come vedi sono abbastanza robusto. La trasferta di Bari in treno resta memorabile. Il gruppo di ragazzi aspetta il treno alla stazione di Parma. Sono una ventina, tutti con una bella tuta uguale. Alcuni sono in carrozzina e portano sulle ginocchia il loro borsone. Quelli che camminano aiutano gli altri e spingono altre quattro carrozzine da gara vuote. Prima che arrivi il treno, si deve raggiungere il terzo binario e non c’è l’ascensore. Tutti giù per le scale, piano piano. Abbiamo imparato un sistema per scendere e salire le scale con la carrozzina, facendola impennare sulle ruote grandi e bilanciando il peso della persona. Ma ci vuole sempre molta forza. Sottopassaggio e poi tutti su, a forza di braccia e di schiena.” “Faccio fatica a immaginare queste manovre. E come avete fatto a salire sul treno? I gradini sono alti e le porte strette.” “Due uomini validi, uno sul treno e l’altro giù, prendiamo la persona dalla carrozzina e andiamo a depositarla sulla poltrona nel suo scompartimento. Un respiro profondo e poi la stessa cosa con un’altra persona.” “E le carrozzine vuote?” “Erano pieghevoli. Quelle ad uso della persona le abbiamo portate nel corridoio. Quelle da gara ce le hanno fatte stivare nella carrozza bagagli, che era più indietro. Il capotreno fremeva con il fischietto in bocca, ma ha dovuto aspettare.” “Poi a Bari?” “Calma. A Bologna si cambia.” “Tutto quel traffico?” “Peggio. Tutti giù, carrozzine prima e poi le persone. Per fortuna a Bologna c’è l’ascensore per cambiare

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banchina. Arriva il treno per Bari e si ripete la manovra di Parma. A Bari oramai eravamo esperti.” “Ma dopo un viaggio così non potevate fare le gare.” “Esatto. Ci aspettava una notte in albergo. Ma la sorpresa l’abbiamo avuta il mattino dopo. Per portarci allo stadio delle Vittorie, il Comune ci ha mandato un autobus. Tutti contenti facciamo per salire ma… quelli in carrozzina non possono, perché c’è un palo verticale in mezzo al passaggio.” “E come avete fatto?”

1985, Germania. Maurizio Zoppi posa scherzoso dietro a Davide Romano.

2009, Colorno. Imbarco degli atleti della Hand bike Marathon su autobus messi a disposizione dalla TEP, attrezzati con pedana con comando elettrico.

“Semplice. Davide era attrezzato. Tira fuori un cacciavite da sotto la sua carrozzina e toglie il palo. E l’autista contento, così l’azienda trasporti impara. Abbiamo riso insieme.” “Ma come ha fatto ad arrivare fino in alto?” “L’ha aiutato Maurizio, che aveva solo un piccolo difetto a un piede. Questo ragazzo si era aggregato al gruppo della Polisportiva sull’onda delle prime belle imprese agonistiche. Era diventato amico dei ragazzi. Stava bene con loro. Disponibile, generoso, pronto a dare una mano: era il suo modo di ricambiare la ricchezza di allegra vitalità che gli veniva dal gruppo e che gli faceva dimenticare la povertà spirituale di una vita logorata da frustrazioni. Ma non bastava la compagnia a colmare i vuoti dei suoi momenti di solitudine. Se n’è andato per sempre con quel treno, in quel giorno di Natale, per un viaggio senza ritorno. Della sua presenza amena ed originale è rimasto il ricordo.”

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“Giò, ho visto il vostro ultimo pulmino. È molto bello e grande, con disegnata la tua faccia e il nome.” “È bello, e soprattutto è ben attrezzato per trasportare nove persone. Possono salire con la carrozzina, perché gli abbiamo applicato una pedana elettrica. Lo può guidare anche uno senza gambe, salendo dall’interno sul sedile di guida girevole. Può caricare sul tetto tante carrozzine e biciclette…” “L’avete comprato? Deve costare molto!” “Pensa che ce l’hanno regalato i clienti di una grande azienda, rinunciando al regalo che di solito ricevevano per Natale. Noi abbiamo fatto eseguire gli adattamenti.” “Questo sì che risolve i problemi di trasporto, non come 25 anni fa…”

“Per noi è anche una questione di dignità di ogni singola persona, unica e originale. Questo pulmino può essere guidato da tutti; basta toccare una levetta e si cambiano i comandi di guida, con i piedi o con le sole mani. Se non è disponibile un volontario, lo può guidare anche uno in carrozzina. Sai che abbiamo ottenuto anche in piscina l’installazione di sollevatori per le persone che non possono camminare? Prima si doveva fare tutto a braccia.” “Bravo, Giò. Un po’ alla volta hai migliorato le cose.” “È vero, ma noi guardiamo avanti. Vogliamo che tutti siano considerati e rispettati perché sono persone, non perché più sani e più belli.”

“Vedo che ti commuovi. Se permetti, torniamo alle gare di Bari. Come sono andate?” “Molto bene. Venti medaglie d’oro, sei nuovi record nazionali e record mondiale di Pasquale nel lancio del giavellotto.” “Me l’aveva detto Nicola. Ma come ha fatto?” “Gli abbiamo applicato una fascetta di pelle al moncherino destro su cui poggiava la coda del giavellotto per il lancio. Aveva una grande flessibilità del busto. Pensa che i giudici gli volevano contestare il primato, perché sostenevano che l’attrezzo doveva essere lanciato con… la mano. Ora ti saluto. Spero tu abbia capito che sarebbe molto più semplice costruire case, stazioni, treni e veicoli tenendo subito presenti le necessità di tutti, senza doverli poi modificare per renderli accessibili alle persone disabili. Ciao.”

2009: la tecnologia applicata al nuovo pulmino ne consente l’uso autonomo e la guida anche alle persone su carrozzina elettrica.

Il pulmino della Gioco vuole essere a disposizione della città di Parma, con un progetto che vedrà in sinergia Enti ed Associazioni, per un utilizzo quotidiano senza paracarri mentali.

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Non solamente campioni

1983, Roma. Nicola Perrotta lancia la clava con la contestata tecnica ‘all’indietro’ che gli ha procurato la medaglia d’oro.

“Giò, mi racconti qualcosa di quei tempi per me così lontani, di quando non ero ancora nato? Mi sembra di sentire le storie dei pionieri…” “Eravamo proprio dei pionieri. Il coraggio non ci è mai mancato. Era la voglia di vivere, di affermarci e di divertirci insieme che ci spingeva a superare ostacoli, impegnandoci molto e senza paura dei rischi. Ci siamo “messi in gioco”, ossia abbiamo operato con convinzione decisi a tutto. Questo significa la frase dal doppio senso: una generazione in Gioco. Venticinque anni di lavoro serio, come ti ho detto, ma anche bello e divertente. Ma ecco qua il nostro amico Nicola, che ti racconta altre storie.” “Ci rivediamo. Appena messa in piedi la Polisportiva ero tra i più entusiasti e partecipavo a tutti i tipi di gare: nuoto, ping-pong, atletica. Mi sono specializzato nel lancio della clava, una specie di birillo di legno che viene lanciato al posto del peso da chi, come me, ha le braccia che non funzionano bene. Ho lanciato più lontano di tutti e meritavo la medaglia d’oro, ma per averla ho dovuto discutere molto con i giudici, perché ho inventato il lancio all’indietro, mentre tutti lanciavano in avanti. Con il mio sistema superavo anche quelli che avevano braccia più forti delle mie.” “Geniale! Sento sempre dire: chi non ha testa abbia gambe, ma tu hai rovesciato il detto e hai vinto perché sai usare la testa. Così giocavi anche a pingpong.” “Sì, e ho dei bei ricordi. Il mio carissimo amico Pasquale, quello senza braccia, era bravissimo, perché muoveva agilmente il busto.”

1983, Parma. Pasquale Ticca in allenamento.

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“Ma era nato così o c’è stato un incidente?” “È nato così. Anche Marco, che conoscerai, è nato senza gambe. Una malattia che si chiama focomelìa, per colpa di un farmaco che sembrava innocuo e invece produceva questi effetti nel bimbo che le madri avevano in grembo.” “L’hanno eliminata quella medicina?” “Certamente, però aveva già prodotto molti danni. Si chiamava talidomìde.” “Che brutto nome! Torniamo al ping-pong.” “Pasquale faceva coppia con Renato. Bravissimi entrambi. Sono andati in Germania con la squadra nazionale italiana per i Campionati Europei. Anche Rodrigo ci è andato; lui però era in carrozzina, come me, e con il braccio destro faceva miracoli.”

Guarda questa vecchia foto in bianco-nero: al centro un’enorme coppa dorata e un gruppetto di dirigenti e atleti che festeggiano la conquista dello scudetto nazionale di atletica. Un risultato eccezionale, se consideri che l’abbiamo vinta al secondo anno di attività.” “E questa foto con tutta questa gente?”

“Nicola, mi hai insegnato due parole nuove: una medicina cattiva e una terribile malattia. Però ho imparato che voi avete molta grinta e non vi ferma nessuno. Qualcuno è diventato campione?” “Sì, anche se non era questo lo scopo principale. Quattro ragazzi battevano tutti nella staffetta di nuoto e l’allenatore Giuliano era molto contento.

Era l’anno 1984 e le Olimpiadi si tenevano a Los Angeles. Subito dopo hanno fatto a New York le Olimpiadi per le persone disabili, che oggi si chiamano Paralimpiadi. Non ha preso medaglie, perché ha incontrato atleti più veloci di lui, i migliori da tutto il mondo. Ma è stato bravo lo stesso, perché solo lui da Parma è andato a quelle Olimpiadi.”

“Esatto. Si sono messi insieme una dozzina di ragazzi e hanno formato la squadra di basket in carrozzina, la prima squadra di questo tipo in tutta l’Emilia Romagna. Per fare un campionato sarebbero andati lontano, dove c’erano altre squadre simili. Hanno trovato un allenatore: il professor Antonio Ievolella, che sapeva tutti i segreti del basket e voleva bene ai giocatori come se fossero suoi figli. Ma questa è un’altra storia e meglio di me te la potrà raccontare Marco, con 25 anni di esperienza di basket!...”

1984, New York. Claudio Bardiani posa con altri atleti italiani paralimpici. E’ una foto storica, nonostante l’inquadratura poco felice del fotografo dilettante. 1984, Parma, chiostro del Centro don Gnocchi. Una rappresentativa della Santàl con i ragazzi della Polisportiva. Spicca il volto coreano del piccolo alzatore Kim Ho Chul.

“Al centro don Gnocchi c’era una festa. Erano venuti i giocatori della Santàl, la mitica squadra di pallavolo, con il famoso coreano Kim Ho Chul (più facile da pronunciare che da scrivere). In quell’occasione è stato presentato il nostro atleta Claudio Bardiani, che camminava male ma correva veloce e per questo lo mandavano in America per le Olimpiadi.

“Bravo! E l’anno dopo avete continuato con gli stessi sport?” “Di più. Qualcuno dei più vigorosi cominciava a stufarsi di gare di atletica e di nuoto. Cercavano qualcosa che li facesse divertire insieme, un gioco di squadra. E l’hanno trovato subito, quando Claudio è tornato dall’America. Prova a indovinare?” “Penso… al basket.”

1984. Nasce la squadra di Basket. La fotocomposizione è tratta da ‘L’Apollo Sportivo’.

1984, Parma. Al Circolo dei Veterani dello Sport si premiano i campioni dell’anno. Rodrigo Lupo, campione italiano di tennis da tavolo, conversa con Alberto Cova, campione italiano di atletica nei 5000 metri.

1984, Bareggio (MI). Finali nazionali di atletica. Coppa dorata del primo posto e scudetto tricolore per la giovane Polisportiva don Gnocchi, che comincia i festeggiamenti.

1984, Parma, campo scuola. Claudio Bardiani si allena ai 100 metri con il presidente.

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2007. Antonio Ievolella posa con Antonio Franceschetti e Pino Nodello all’inizio del campionato di serie B. Gli anni sono passati, ma i giocatori sono ancora i ‘suoi ragazzi’.

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Tutti insieme appassionatamente

2008. Campionato di serie A2. Azione di blocco. Sono ben visibili i particolari delle carrozzine speciali, leggere, sicure e… costose.

1984. La copertina de “L’Apollo sportivo”, disegnata da Francesco Soncini.

“Giò, vedo nelle fotografie che i giocatori di basket hanno carrozzine diverse.” “Hai visto bene. Quelle di tutti i giorni non sono adatte. Ma ne occorrevano tante. Tutti si sono messi a cercare dei benefattori, degli sponsor, degli amici, che dessero i soldi per comprarle. La città di Parma è stata generosa. Per i soldi c’è stato persino uno che ha pubblicato un libro. Eccolo qui.” “Ma sei Antonio, quello della telecamera. Hai scritto un libro? Com’era il titolo?” “L’Apollo Sportivo. Un gioco di parole sulla Polisportiva, per scherzare sul fatto che gli atleti devono essere belli e forti come il dio Apollo. Ho raccontato le prime gare dei ragazzi, quelle che ho anche filmato. Almeno nel libro sono rimaste. C’era un concorso con premio in denaro: ‘racconta la tua società sportiva’. Noi avevamo bisogno di soldi e io mi sono messo a scrivere. Mi è venuta un’idea un po’ strana: raccontare in versi, imitando gli antichi poeti, come Omero. Solo che i miei eroi erano i ragazzi. È un libro spiritoso che è stato illustrato in ogni pagina dall’amico Soncio. Ci sono anche dei bei ritratti delle ragazze, fatti dalla moglie del pittore. Un’agenzia di viaggi mi ha pagato le spese di stampa.” “Hai vinto il concorso?” “No. La giuria voleva… la brutta copia, non un libro stampato. Così l’ha messo fuori concorso.” “E il premio?” “Niente premio. Ho venduto molte copie del libro e ho portato il ricavato ai ragazzi.” “Si trova ancora quel libro, dopo tanti anni?” “Me ne sono rimaste poche copie, che considero preziose. Se vuoi te ne regalo una e ti ci scrivo anche la dedica. Però penso che per te sia una lettura un po’ difficile, perché ci sono le strofe, le rime… e il linguaggio non è sempre facile. Lo potresti leggere quando sarai alle scuole superiori. I miei amici si sono divertiti. I più pigri si sono accontentati di vedere le figure, che sono molto divertenti e raccontano con immagini quello che io ho raccontato in versi. Credo che chi si è divertito di più sia stato Soncio, il pittore. Ora ti saluto.” “Giò, raccontami qualche bella esperienza, dove si vede che tutti insieme vi siete divertiti.” “Pronto ai tuoi ordini. C’è Titti che ride tra i baffi perché ha poca voglia di parlare. Si era veramente ap-

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passionato quando ha messo in piedi la prima organizzazione della Polisportiva. Conosceva molte persone importanti e questo gli ha permesso di allargare l’attività, di farla conoscere alla città, di attirare nuovi soci e sponsor. Parla poco perché non vuole apparire. Ha sempre messo al primo posto i ragazzi e l’interesse dell’associazione. Un vero amico. Un padre.”

la birra. Di giorno si faceva qualche attività sportiva leggera, con il ping-pong o in piscina. A momenti facevo affogare lo Scienziato: non mi ricordavo che non sa nuotare e l’ho spinto in acqua. Nessun pericolo: è stato subito salvato. La sera si cantava: Armando e Pietro accompagnavano con la chitarra, Antonio soffiava nel clarinetto, un tedesco suonava il violino e un altro il mandolino.

Si è cimentato con gli studi, conseguendo il diploma di segretario d’azienda. È stato tra i soci fondatori della Polisportiva, impegnandosi nelle brevi corse su pista e nelle gare di ping-pong. Poi le due tappe più significative della sua autonomia: il lavoro alla biblioteca comunale nella sezione ‘emeroteca’ (i quotidiani) e finalmente il suo appartamento acquistato con risparmi e con mutuo. Ha saputo organizzarsi, circondandosi di amici disponibili e generosi. Ma le conseguenze della malattia progredivano, minando le sue resistenze, fino all’ultima Pasqua del 2009 passata nella città nativa con i familiari, che sono stati gli ultimi testimoni di una vitalità ormai priva di speranze terrene.” “Da come ne parli credo che tu gli abbia voluto bene.” “Certamente, e non solo a lui. Anche di altri ragazzi mi sono preso cura. Ma ora devo lasciarti. Ciao.”

1985, Germania. Lo “Scienziato” posa per ricordare Diogene, il saggio che dimorava in una botte. Vincenzo amava scherzare con gli amici: le sue battute rallegravano la compagnia.

1985, Germania. Il quintetto di suonatori accompagna le cantate serali.

2008. I capelli e i baffi imbiancati sono un valore aggiunto ai meriti del primo presidente: Ernesto Rosi, per gli amici Titti.

“Sono Titti e i baffi sono gli stessi, un po’ più bianchi. Voglio raccontarti l’esperienza del 1985: una settimana in Germania con i miei ragazzi. Avevamo fatto un gemellaggio. I tedeschi sono venuti da noi l’anno dopo. Un’esperienza molto utile: c’è da imparare dai tedeschi, che in questi sport sono più bravi degli italiani. Eravamo un bel gruppo affiatato. Viaggio in pullman, fino a Stoccarda. Guidava Giancarlo, che era anche l’allenatore di ping-pong e suonava il saxofono. Alloggiavamo in un ostello. Licia, neo diplomata in lingue, ci faceva da interprete. Al cibo tedesco non eravamo abituati, compensavamo con

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Si faceva la gara a chi andava a letto prima, perché in ogni stanza con due letti a castello c’era regolarmente uno che russava e non faceva addormentare gli altri. Abbiamo fatto una bella gita in battello sul Reno; ci aspettavamo un bel pranzo, invece ci hanno offerto qualche assaggino con del vino del Reno. A stomaco vuoto lo Scienziato si è ubriacato con un solo bicchierino di vino e faceva ridere tutti perché farfugliava qualche parola e poi gli cascava la testa che era diventata pesante.” “Rido anch’io, ma tu sei diventato serio. Perché?” “Perché il ricordo più recente dello Scienziato è doloroso. Vincenzo è morto all’inizio dell’estate del 2009. Voglio che tu sappia qualcosa della sua vita. 48 anni di vita non facile. Alla poliomielite che gli aveva devastato il fisico fin da bambino aveva opposto una grande voglia di vivere. L’abbiamo conosciuto a Parma, dove era giunto da Trinitapoli (Foggia) per curarsi, nei primi anni ottanta. Con grande coraggio si è sottoposto a un complesso e doloroso intervento chirurgico per stabilizzare la colonna vertebrale.

2009, Soragna, Giornata del Volontariato. Aperitivo presso Osteria Ardenga di Diolo.

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Come si diventa grandi

“Giò, io voglio diventare grande.” “Non c’è fretta. Vivi la tua età, che è molto bella e non torna più. In questa puntata voglio raccontarti come la Polisportiva è cresciuta, è diventata grande.” “Nel senso che è cresciuto il numero dei ragazzi?” “Non solo. Il numero è cresciuto, prima di tutto per il ‘passaparola’ tra gli amici che erano usciti dal Centro don Gnocchi. Inoltre, dopo le prime gare ufficiali le imprese sportive dei ragazzi si sono imposte all’attenzione della città. La Gazzetta di Parma ha cominciato a pubblicare qualcosa, soprattutto quando i giornalisti si sono accorti che la Polisportiva portava a Parma grandi risultati, medaglie, coppe, record. Poco alla volta sono entrate anche altre persone che con il don Gnocchi non avevano niente a che fare e avevano capito la serietà della Polisportiva. Ma questo è solo uno degli aspetti della crescita.” “E qual è l’altro aspetto?” “Quello qualitativo. Mentre si affermavano i risultati sportivi, crescendo in età ed esperienza i ragazzi crescevano anche in responsabilità. Fin da subito alcuni di loro erano nel Consiglio e si occupavano di organizzazione. Dopo solo due anni erano in grado di assumere la presidenza, che Titti ha ceduto volentieri, perché ha visto le capacità dei suoi ragazzi. Paolo, giovane ragioniere bancario di origini sarde, ha sostituito Titti e si è dato molto da fare. Ha reso stabili i settori avviati e ne ha messo in piedi uno nuovo.” “Quale?” “Gli piaceva molto nuotare, ma si era stufato di medaglie e di primati. Per divertirsi, insieme con i compagni di nuoto ha formato una squadra di pallanuoto, che partecipava al campionato italiano. Ma lamentava che le squadre erano poche e le trasferte erano troppo lunghe, fino a Napoli. I ragazzi ricordano

Una rara foto della squadra di pallanuoto.

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un episodio del 1997. Al termine del Campionato italiano giocavano lo spareggio per il primo posto, a Roma, al Foro Italico, contro la poderosa squadra del Santa Lucia. Massimo, di origini romane, il nostro più forte giocatore, ha subito fatto amicizia con i giocatori della squadra avversaria; ha accettato il loro invito a pranzo, dove si è divertito molto riempiendosi di cibi buoni e succulenti, abbacchio compreso. Dopo pranzo c’era la partita. A contatto con l’acqua Massimo è stato male. Inutile dire che non ha giocato e che gli avversari hanno vinto. Ma torniamo all’argomento. Dopo un paio d’anni Marco ha sostituito Paolo alla presidenza. Te lo presento e potrai rivolgere a lui le tue domande.”

dicato al basket. Nel 2004 mi hanno chiesto di fare ancora il presidente e l’ho fatto per altri quattro anni. Cos’altro vuoi sapere?” “Quanti anni dura un presidente?” “C’è una regola precisa, stabilita dallo Statuto dell’associazione: quattro anni. Ma il periodo può variare, per motivi che i consiglieri ritengono importanti.” “Tutti i presidenti sono persone disabili?” “Non necessariamente. Però ci sono sempre dei disabili nei posti di responsabilità. Questa Polisportiva è una delle poche dove i disabili stessi gestiscono attività per le persone disabili e anche per quelle che chiamano normodotate.” - Basta con questi discorsi! Sempre a parlare di disabili! “Ciao, Gaetano! Scusami, stavo rispondendo a questo piccolo amico che vuole sapere tante cose.” - Allora digli che siamo stufi di sentirci qualificare come disabili. Siamo tutti persone, ciascuno con le sue caratteristiche, coi suoi pregi e i suoi difetti. Nessuno è perfetto. Una volta ci chiamavano handicappati, come se il mondo fosse proprietà delle persone sane e belle, che non invecchiano mai. Ho già parlato troppo. Devo andare in banca a pagare l’iscrizione alle prossime gare e poi a prendere mia moglie che esce dal lavoro.

2008, Parma. Campionato di serie A2. Marco Nicolini, giocatore e allenatore, in fuga mentre Michele blocca l’avversario che insegue alle spalle.

“Dammi un cinque” (‘ciak’, le due mani si incontrano). Vedo che i tuoi occhi cercano le mie gambe. Inutile. Sono nato senza. Ti hanno già spiegato gli effetti del talidomide?” “Sì, come Pasquale e Renato e un altro Marco che è diventato avvocato. E anche tu sei avvocato?” “No. Sono dottore commercialista. Come vedi, non ci ferma nessuno. A me piaceva molto nuotare e correre in carrozzina; ho preso anche delle belle medaglie. Ma ancor di più mi piace il basket che pratico da 25 anni.” “Hai fatto il presidente?” “Sì, per un paio d’anni dopo Paolo. Poi mi sono de-

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“Niente paura. Ora che se n’è andato, ti assicuro che Gaetano ha la voce grossa ma il cuore d’oro. D’altronde ha ragione su questo punto. Noi siamo tutti affermati lavoratori, professionisti, padri di famiglia. Dov’è la differenza? Nelle gambe? Basta un incidente e non cammini più. La gente deve capire che ogni persona è unica e la diversità è una grande ricchezza per la società.” “Grazie, Marco. Mi hai detto delle cose interessanti. Però Gaetano mi aveva quasi spaventato.” “È spesso così burbero, ma in compagnia è allegro. Ha mille pensieri per la testa. Sente molto la responsabilità della Polisportiva.” “Cosa fa?” “Il segretario e tutti i problemi passano da lui. Lo apprezzerai quando lo conoscerai meglio. Ora guarda queste due foto. Quella in bianco-nero è stata scattata nello stadio Tardini di Parma nel 1983, in occasione della 1000 x 1000, staffetta di mille persone, ciascuna delle quali percorreva 1000 metri, organizzata dal centro Sportivo Italiano.”

“Quello in carrozzina è lo Scienziato!” “Sì, e chi lo spinge è Sergio. Quanti spettatori vedi?” “Che domanda! Ma c’è il deserto!” “E adesso guarda l’altra foto a colori.” “Sono quelli della tricicletta, mi sembra il traguardo. Quanta gente!” “Arrivano gli handbikers sulla piazza della Reggia di Colorno, piena di gente che li aspetta per applaudirli. Sono passati più di 25 anni da quel lontano 1983.” “Ed è cambiato tutto. Qui c’è gente, c’è festa, c’è colore. Là c’era un handicappato: una foto triste. Qui non c’è nessun disabile, anzi, quelli che tagliano il traguardo alla fine di una maratona sono molto più forti di quelli che guardano.” “Bravo. Hai capito benissimo cosa è cambiato in 25 anni e la Gioco è fiera di aver contribuito a questo successo.”

2009, Parma, Palacongressi. Gaetano Lo Presti in serena compagnia durante la ‘cena di lavoro’ prima della Hand bike Marathon. La sua costante presenza attiva come dirigente e come atleta ha fatto di lui uno dei pilastri della Polisportiva.

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Sportivi e missionari

Anni Novanta. Esibizione di basket in piazza, in mezzo alla gente.

Caro lettore, non voglio più impressionarti con incursioni di personaggi dalla voce grossa e con ragionamenti difficili. Parliamo di cose semplici. “Dei missionari?” “Qualcosa del genere. Missionario è uno che svolge un incarico, che viene mandato per un compito importante. Nel nostro caso la Polisportiva non è stata mandata da nessuno, ma ha sentito la ‘vocazione’, ossia la chiamata di altri che avevano bisogno e subito è andata sul posto a portare la propria esperienza. Ogni volta che racconto queste cose, i miei occhi brillano di azzurro.” “Chi vi ha chiamati e dove siete andati?” “Gente come noi, di altre città. I ragazzi della Polisportiva si divertivano a giocare, ma sentivano anche il bisogno di diffondere la conoscenza degli sport per disabili. Ne avvertivano i benefici effetti e volevano ‘contagiare’ gli altri.” “Ci sono tante persone in carrozzina che non fanno sport?” “Purtroppo sì. Ci sono persone chiuse in casa su una sedia a rotelle. Noi vogliamo coinvolgerle e far loro provare la gioia di vivere l’esperienza sportiva. Conosciamo persone che gli incidenti di macchina e di moto hanno costretto a lunghe sedute di riabilitazione e alla carrozzina per il resto della vita. Vogliamo raggiungerle e far loro vedere che lo sport è la miglior terapia per il corpo e per il morale”. “Raccontami qualche impresa missionaria.”

Anni Novanta. Altra piazza, altra gente. Il Libro di Giò

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“Appena due anni dopo che era nata, la squadra di basket si è affermata e fatta conoscere in tutta la regione. Si esibiva nelle piazze di piccoli paesi, in mezzo alla gente. A Reggio Emilia l’hanno chiamata per un torneo dimostrativo. Hanno fatto venire gente anche da Forlì. In poco tempo sono nate altre associazioni in regione, prendendo a modello questa di Parma che è stata la prima e che negli anni è sempre stata la più numerosa per settori di attività e per numero di soci.

“Fanno la riabilitazione, ossia si rimettono in sesto e imparano un nuovo modo di vivere, le persone che hanno avuto la spina dorsale spezzata da incidenti, come è successo a me.” “E voi gli facevate vedere che si può giocare a basket anche dopo l’incidente?” “Proprio così. Alcuni di loro provavano con noi in una palestra vicina al Centro. Poi hanno imparato e volevano mettere su una squadra. Alcuni di noi hanno lasciato la Polisportiva e hanno formato con loro una bella squadra, che poi non ha mai smesso e partecipa sempre al campionato.”

entrare e uscire dal luogo di detenzione, particolarmente faticosi per noi in carrozzina. Abbiamo fatto quello che potevamo. Purtroppo non abbiamo foto per documentare quelle giornate: nel carcere ci sono regole severissime.” “Ora capisco che siete stati come dei missionari. A parte l’attività eccezionale del carcere, avete trasmesso la vostra esperienza e avete indicato la strada giusta ad altre persone come voi.” “Era una cosa più forte di noi, istintiva. Non c’era bisogno di prediche, bastava l’esempio. Ora ti lascio perché vado al poligono di tiro, a Parma, dove vogliono eliminare alcuni ostacoli per le carrozzine, in modo che possano allenarsi e gareggiare tante altre persone disabili. Hanno bisogno dei miei consigli e

sono contento di rendermi utile. Ciao.” “Giò, siete stati bravi.” “Abbiamo fatto una cosa giusta e non ce ne vantiamo. Ci piacerebbe soltanto che non se ne dimenticassero, specialmente i politici e le persone importanti che fanno progetti per il futuro. Pensa che nelle prime trasferte incontravamo una trentina di società da tutta l’Italia. Oggi ce ne sono tantissime nella sola regione Emilia Romagna, sette solo a Parma e dintorni. Quando racconto queste cose il mio triplice ciuffetto biondo si agita di gioia, come fa la coda del cane quando è contento, la mia bocca allarga il sorriso e i miei occhi blu s’illuminano. Vorrei addirittura strizzarti l’occhio, perché vedo che mi capisci, ma come faccio? Sono stampato così!”

La squadra ‘missionaria’ degli Anni Novanta.

Anni Novanta. La piazza è stata trasformata all’occorrenza in un campo di basket.

A Reggio sono poi andati alcuni giocatori da Parma, tra i quali Walter. Hanno messo in piedi una bella squadra di basket e si sono fatta l’esperienza. Poi Walter si è staccato e a Parma con la Magik ha fatto una squadra di minibasket in carrozzina, di cui lui è allenatore. C’è qui Beppe, campione di tiro a segno con la pistola, che prima faceva anche basket. Senti cosa ti racconta.” “Ciao. Non ti parlo del tiro a segno, ma del mio ricordo come giocatore di basket. Anche la squadra di Villanova, nel piacentino, ha imparato dai parmigiani. Alcuni di noi una volta la settimana andavano a Villanova, nel Centro Spinale.” “Cos’è questo Centro?”

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“Ma è giusto fare subito sport dopo un incidente così grave?” “Ci vuole gradualità, poco alla volta. Però queste persone devono subito vedere che la vita non è finita, che la carrozzina non è una condanna e che sono possibili tante belle cose invece che stare chiusi in casa. L’attività sportiva è la miglior terapia, soprattutto dal punto di vista sociale. Se non lo vedono presto, rischiano di prendere cattive abitudini. Abbiamo pensato a tante persone, persino a quelle in carcere.” “Ci sono carcerati in carrozzina?” “Purtroppo sì. Per un paio d’anni, 1997 e 1998, abbiamo ottenuto dalla direzione del nuovo carcere di Parma il permesso di entrare. Abbiamo portato un bigliardino e un tavolo da ping-pong. Giocavamo con questi carcerati. Ci aspettavano. Con noi passavano ore divertenti e noi sentivamo che la nostra presenza era utile.” “Non avete continuato?” “Siamo stati assorbiti da altri impegni e ci pesava molto una lunga serie di controlli obbligatori per

2009, Soragna, Giornata del Volontariato.

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Basket story

2007. La squadra nazionale femminile di basket in carrozzina in ritiro. Con il n° 7 Anna Piccione e n° 5 Cecilia Faroldi, della Gioco.

“Giò, mi racconti la tua storia del basket?” “Ti accontento subito. La squadra ha cominciato umilmente in serie B, più che altro per divertirsi. Poi i ragazzi sono diventati bravi e hanno capito che per continuare a divertirsi bisognava imparare e acquistare esperienza di gioco. Marco è diventato così bravo che nel 1989 è stato convocato nella squadra nazionale italiana. È stato il primo, ma non l’unico della Polisportiva. In seguito altri hanno ricevuto questo onore; mi vengono in mente alcuni nomi: Davide, Antonio, Michele e le donne: Cecilia, Anna e Ana Maria, giocatrici della Polisportiva e convocate nella nazionale femminile. Ecco qui Cecilia. Puoi farle delle domande.” “Cecilia, qui a Parma avete anche una squadra femminile?” “No. Qui e in tutte le squadre delle associazioni giochiamo insieme, maschi e femmine. Invece a livello nazionale le squadre sono distinte.” “Perché Ana Maria si scrive con una enne sola?” “Perché è di origine rumena.” “Sei brava a giocare?” “Abbastanza, ma non ho molta esperienza. Per questo passo molto tempo in panchina, come le altre ragazze. Certe partite sono molto impegnative, abbiamo avversari fortissimi e l’allenatore spesso deve mettere in campo i giocatori più esperti. Alla fine di agosto del 2009 noi tre abbiamo partecipato ai Campionati Europei. È stata un’esperienza bellissima. Anche un onore per noi e per la Gioco. Ma ora ti saluto. Devo andare al lavoro. Faccio la centralinista e prendo le prenotazioni per le visite mediche. Ciao.”

2007. Cecilia Faroldi, nazionale, in allenamento.

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“Giò, siete sempre stati in serie B?” “Ti faccio rispondere da Marco.” “Serie B? Neanche per sogno. Nel 1992 abbiamo vinto il campionato e siamo saliti in serie A1, la massima serie, rimanendoci fino al 2000, salvo una parentesi nel ’97.” “Siete andati anche all’estero?” “Come no? Più di una volta. Nel 1989 siamo andati negli Stati Uniti, nel Texas, insieme con i ragazzi di Reggio Emilia. Esperienza eccezionale. Abbiamo giocato e ci siamo divertiti. Una sera abbiamo fatto uno scherzo a Beppe, fumatore. C’erano sensori di fumo dappertutto. Siamo andati in cucina a fumare, di nascosto. Dopo di noi arriva Beppe e domanda se lì si può fumare. Gli rispondiamo di sì e ce ne andiamo. A metà sigaretta scatta l’antincendio, arriva subito la guardia notturna, lo becca sul fatto, con la sigaretta accesa e gli punta addosso un pistolone lungo così. Pare che Beppe da allora abbia smesso di fumare. Evento eccezionale quello del 1994: a Vienna la nostra squadra ha vinto il “Torneo del Giubileo”, battendo squadre di livello europeo. Due anni dopo, essendo tra i primi in classifica al termine del campionato di serie A1, abbiamo meritato di giocarci la Coppa con le migliori squadre europee.” “Forti! Sarebbe come la coppa Uefa di calcio? E dove siete andati?” “Proprio così. Si chiama Coppa Vergawen e l’abbiamo giocata ad Atene.” “Siete andati in aereo?” “Sì, ma c’è stato da discutere. Pensa che i regolamenti di allora prevedevano che sull’aereo ci fosse il posto per una sola persona in carrozzina. Abbiamo ottenuto di viaggiare insieme, con tutte le carrozzine da passeggio e da gara. Non è stato facile. Sono corse telefonate tra i responsabili del volo e le autorità dello Stato. Forse è stata questa la vittoria più grande, perché la Coppa non l’abbiamo mai vinta. In seguito, grazie a questo fatto, sono state cambiate le norme.” “E dopo il 2000 siete rimasti in serie B?” “Ci furono problemi e per due anni la squadra si sciolse e i giocatori andarono nelle squadre delle città vicine, Reggio Emilia e Villanova. Tornarono nel 2002 e ricominciarono dalla serie B, dove acquistarono molta esperienza. Nel frattempo erano cambiati anche gli allenatori. Nel 1994 il prof. Antonio Ievolella è stato sostituito

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da Daniele, poi da Danilo e poi da Tonino (ma non credere che dietro a questo nome ci sia un omino piccolo piccolo, tutt’altro: c’è un quintale e mezzo di bontà, di generosità e… di appetito). Davide, con l’aiuto di Francesco, ha proseguito questa serie di allenatori che si alternavano ogni due anni. Dal 2004 l’allenatore sono io. Nella primavera del 2008 la squadra ha terminato il campionato di serie B al secondo posto in classifica. Ha disputato i play off con le ultime due squadre della serie superiore e si è guadagnato il posto nella serie A2.”

pagni abbiamo molta esperienza, ma gli anni sono passati e pesano sulle nostre braccia. Voglio attirare dei giovani nella squadra. Ci sono giovani costretti alla carrozzina da gravi incidenti, soprattutto automobilistici. Voglio che ritrovino la gioia di vivere e di stare insieme attraverso lo sport. Mi fai venire in mente un bravissimo giovane: Cristian. Originario di Fontevivo (Parma), dov’era consigliere comunale sui banchi della minoranza, da anni un incidente l’aveva costretto alla sedia a rotelle. Tuttavia non ha mai perso il suo ottimismo e la voglia di vivere. Ha continuato a coltivare le sue passioni: politica, studi e sport. Ha giocato per qualche stagione nella squadra di Basket della Gioco, rivelando grande passione e spirito competitivo. Si è spento improvvisamente il primo dicembre 2008, prima di vedere i suoi studi coronati da una meritata laurea, che l’Università gli ha voluto ugualmente attribuire.

mente la sera si attracca. Ma il torneo era già finito e la squadra che dovevamo incontrare era appena ripartita con l’aereo per tornare a Roma. Il comandante è stato bravo, ci ha fatto pernottare sulla nave che sarebbe partita il giorno dopo. Niente partita di basket, ma tutta la nave a nostra disposizione.”

1990. La squadra di basket protagonista delle vicende qui narrate, con il presidente Roberto Cervi e l’allenatore Antonio Ievolella.

“E tu chi sei? Mi sembra di averti visto in un ufficio postale.” “Sono Massimo, lavoro alle poste. Mi sono sempre divertito con la Polisportiva. Sono stato un campione di Nuoto. Il nostro record nella staffetta non l’hanno ancora battuto. I compagni ogni tanto mi prendono in giro, perché ne ho combinata una grossa in una partita di basket.”

Cristian Mori 2007. Marco Nicolini.

“Ma non ci capisco più niente con le serie A e B.” “Ci sono tre serie. Nel calcio si chiamano A, B, C. Nel nostro basket: A1, A2, B. È una questione difficile da spiegare, ti basti sapere che le serie A hanno più spazio sui giornali.” “E adesso mentre leggo siete in A2?” “Non più. L’ultimo campionato è stato durissimo. Abbiamo vinto una sola partita. Siamo stati bravi e competitivi, però ultimi e adesso siamo in serie B. Stiamo cercando di ringiovanire la squadra. Io e i miei com-

Ma torniamo alle cose divertenti. Ecco qui Claudio che ha sempre voglia di scherzare e ti regala uno dei suoi ricordi.” “Ciao. Senti questa. Trasferta in Sardegna. Giocavamo in A1, doveva essere il ‘98. Siamo partiti con la nave da Genova. Le previsioni meteo non erano delle più rassicuranti: mare forza nove! Ci siamo informati. Si parte? Sì, si parte. Eravamo sulla Grimaldi, una nave abbastanza grossa, da crociera. Ho guardato il mare: era nero. Arriviamo a Porto Torres. Non danno l’autorizzazione all’attracco. Fermi tutti sulla nave. Final-

2008. Claudio Marini al centro, tra Sebastiano Franchina e Massimo Sillani.

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“C’è da ridere?” “Oggi sì, ma in quel momento mica tanto. Nell’incontro Parma-Reggio, Gufo rimette la palla dal fondo e la passa a me. Sono voltato verso il mio canestro, non mi accorgo che i compagni sono partiti per l’azione di attacco. Tutti i giocatori sono alle mie spalle. In un istante mi sento solo davanti al canestro e prima di essere attaccato metto a segno. Facile. Sì, però nel mio canestro, ma non l’ho capito subito. Silenzio improvviso e stupore in tutta la palestra. Gufo continuava a gridarmi: -Che cosa hai combinato!!?- L’allenatore Davide dalla panchina urla: -Sei diventato matto!?- E io meravigliato: -Perché, cosa è successo?- Di colpo ho capito tutto. L’ho veramente fatta grossa! Dentro di me mi sono sentito un magone, una ferita, un colpo forte che a momenti mi mettevo a piangere. Tutti gridavano: -Hai fatto canestro, bravo, bravo, ma dalla tua parte!-. A quel punto mi sono messo a ridere.

Tutto sommato, alla fine mi è andata bene perché ho vinto un piccolo trofeo come miglior realizzatore del torneo di basket in carrozzina.” “Il campionato e il torneo sono la stessa cosa?” “No. Il campionato dura un’intera stagione, con partite di andata e ritorno, come tutti gli sport importanti. Un torneo dura pochi giorni, giusto il tempo perché le squadre iscritte s’incontrino con partite a eliminazione, che si giocano nello stesso posto. A Parma abbiamo organizzato un torneo internazionale nel 1993, con squadre da Francia, Germania, Olanda. Nel 1999 abbiamo organizzato le finali di Coppa Italia, con le quattro migliori squadre, noi siamo arrivati secondi.” “Massimo, hai i capelli bianchi. Giocherai ancora?” “Penso di lasciare il posto a ragazzi più giovani. Metterò la mia esperienza a disposizione della squadra. Ciao. Vado al lavoro.”

Una casa vecchia per la sede nuova

2008, Parma, Palaciti. Spettacolare azione in partita di Campionato, serie A2.

Il presidente Roberto Cervi ha vissuto intensamente gli anni dei grandi cambiamenti.

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“È capitato quando c’era Marco presidente. Se gli dico che è stato “in gamba” lui ride. E con lui ridono la moglie e i suoi cinque figli, specialmente l’ultimo, Pippo, anche se è l’unico a non capire ancora, perché troppo piccolo.” “Cos’è capitato?” “Un problema di crescita. Tu cresci e l’anno dopo non ti va più bene niente: scarpe, pantaloni, magliette…” “Sì, e i genitori mi comprano cose nuove un po’ più grandi.” “È capitata la stessa cosa anche alla Polisportiva. Il numero delle persone era cresciuto e le attività erano tante. Era aumentato il settore di nuoto, perché Giuliano, il mago delle piscine, sapeva insegnare a nuotare persino ai bambini con gravi problemi fisici e mentali, che venivano da tutte le parti della città, anche da fuori. Per tutta questa gente e per i nostri progetti era diventato troppo ristretto lo spazio che il Centro don Gnocchi poteva mettere a disposizione.” “Ma il Centro è molto grande.” “È vero, ma l’ufficio della Polisportiva era una stanzetta di tre metri per quattro. Tutto il Centro era occupato per le numerose attività di cura e riabilitazione. Il cortile era un parcheggio per auto, sempre pieno. Occorreva una sede diversa, che esprimesse anche visivamente l’autonomia della Polisportiva, cresciuta ormai d’importanza anche agli occhi della cittadinanza e degli enti locali, come il Comune, la Provincia, le aziende che sponsorizzavano le attività, le altre associazioni.” “E cosa avete fatto? Avete costruito una sede nuova?” “Sarebbe stato impossibile. Occorrevano troppi soldi. Marco e Roberto, il presidente che lo ha sostituito, hanno intrapreso trattative con il Comune di Parma. Te ne parla Roberto, che oggi collabora con la Magik basket, dove suo figlio Giorgio gioca a minibasket in carrozzina.” “È stata una battaglia dura. Il Comune non voleva capire le nostre esigenze. Pensa che una volta siamo andati tutti insieme alla sala della Giunta comunale e siamo rimasti là fin quando hanno deciso di ascoltarci. Abbiamo ottenuto in uso la vecchia portineria dell’ex Eridania, in Viale Barilla 29. Felici del successo abbiamo preparato i locali per la nuova sede. C’era molto da fare. Tutti al lavoro, ognuno secondo le sue

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capacità. In poco tempo abbiamo rimesso in sesto l’edificio rendendolo adatto agli uffici ed accogliente per il pubblico.” “Roberto, tu sei in piedi, ma molti sono in carrozzina. Come hanno fatto a fare quei lavori?” “Tu non hai visto niente. Devi vederci quando lavoriamo. Dove non ci portano le gambe arrivano le braccia e la testa. Presi dall’entusiasmo, abbiamo fatto di tutto e di più. Non solo abbiamo restaurato la vecchia palazzina, ricavandone uffici per noi, ma abbiamo adattato spazi per altre associazioni, come l’Anglat, l’associazione Paraplegici e la Gedisco (genitori con figli disabili scolari).”

per tutti. Di conseguenza vengono anche costruiti dei meccanismi che risolvono il problema: elevatori, servo-scale, piattaforme mobili per pulmini e autobus…”

“Solo con la fantasia?” “Quando la fantasia è accompagnata dalla volontà, i sogni diventano realtà. Dopo di me è toccata a Davide la presidenza, ma il progetto continuava e tutti si davano da fare per realizzare il sogno. Abbiamo chiesto al Comune quel vecchio capannone. Il Comune non si decideva a darcelo, perché – diceva – non era sicuro. Quando finalmente siamo riusciti a strappargli il permesso, abbiamo trovato la ditta che ha rifatto le fondamenta con il cemento armato e poi ci siamo messi tutti a lavorare, per svuotare, pulire, scrostare, costruire tramezzi e impianti di acqua, luce e gas, intonacare, imbiancare, collocare infissi, acquistare attrezzature, arredare… Se ti dico quanto abbiamo speso, forse ti meravigli: cento milioni, che allora era il prezzo di un appartamento. Gaetano, che teneva i conti e cercava sponsor, lo sa meglio di me.”

Era vita. In quell’ambiente tutti erano uguali, la parola handicappati era sparita, tutti si sentivano a casa loro, guardati e stimati come persone. Ognuno dava quello che poteva del proprio tempo e delle proprie capacità e ciò che riceveva in cambio era tanta gioia e soddisfazione. Ora ti saluto, devo andare in Comune per cose importanti.”

Anni Novanta, Parma. Quattro dirigenti dell’Anglat a un banchetto in piazza Garibaldi: Anna Piccione, Leonardo Passiatore, Massimo Dodi e Armando Reggio.

“E l’associazione para…” “Paraplegici: sono le persone che hanno perso l’uso delle gambe e stanno in carrozzina, come Davide, Margherita, Beppe. Si sono uniti in associazione per meglio risolvere tanti problemi.”

1992. Grazia Proscia e Fabio Giarelli all’ingresso della palazzina, ex portineria Eridania in Viale Barilla 29, adattata a sede della Polisportiva. Nelle targhe sono visibili l’Anglat e l’associazione Paraplegici, che condividevano gli spazi ad uso uffici.

“Cos’è l’Anglat?” “Ti risponde Armando, responsabile della sezione provinciale e grande giocatore di basket.” “È un’associazione che si occupa specialmente di norme per i disabili che guidano l’automobile. In Italia ha molti soci, perché si interessa dei loro problemi di trasporto sui mezzi pubblici. Dà consigli a chi vuole prendere la patente e deve scegliere le modifiche sulla propria auto per guidare senza l’uso delle gambe. Spinge il parlamento a fare delle leggi sulla mobilità

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“Roberto, dimmi ancora dei vostri lavori.” “Quello che ti ho raccontato era solo l’inizio. Avevamo bisogno di spazio per stare insieme e per allenarci. Abbiamo visto un vecchio capannone, pieno di vecchi macchinari, tutto scrostato e quasi cadente. Con la fantasia l’abbiamo trasformato in una bella palestra, tutta pulita e rimessa a nuovo, spaziosa ed accogliente.”

1991. Il capannone prima della ristrutturazione.

1992. L’interno del capannone trasformato in palestra polivalente.

“Ciao. Ci si rivede. Non ti spaventare, so anche sorridere: ho allevato due figli. Mi piace ricordare le cose belle che abbiamo realizzato allora, anche se oggi mi danno preoccupazione, perché nella sede attuale siamo stretti e non c’è spazio per la gente. Ma torniamo a quei tempi. Eravamo felici, perché avevamo realizzato la nostra casa. Avevamo una bella palestra, con dentro nuovissime attrezzature per potenziare i muscoli. Là dentro ci allenavamo e facevamo cene (avevamo una cucina splendida), tombolate, teatro; giocavamo a calciobalilla; organizzavamo incontri e feste con la gente del quartiere.

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Dall’acquaticità alle grandi imprese natatorie

“Giò, cosa vuol dire acquaticità?” “Ti risponde uno specialista: Giuliano. Per tanti anni ha fatto l’istruttore, con splendidi risultati.” “È presto detto. Una persona, specialmente nell’infanzia, non sa nuotare e addirittura ha paura dell’acqua. L’istruttore, o istruttrice, la porta in piscina, dove l’acqua è bassa, e gioca insieme. Ridendo e scherzando, la paura passa. L’istruttore sa vedere le capacità nascoste e piano piano le tira fuori. Insegna i movimenti giusti e questa persona si diverte e impara a nuotare.” “Può fare anche le gare?” “Se ha capacità e buona volontà e soprattutto se trova soddisfazione nel nuoto, può diventare atleta e passare nella categoria agonistica. Gareggerà in competizioni ufficiali, potrà prendere medaglie e soprattutto starà bene e sarà soddisfatta.”

2008, Parma, piscina di V.le Piacenza. Corso di acquaticità di ogni sabato pomeriggio.

1988. Meeting di nuoto a Parma, organizzato dalla Polisportiva don Gnocchi. In piedi: il sindaco Mara Colla, Sandro Meli, Roberto Cervi. In maglietta bianca spicca Giuliano Giacopinelli. In primo piano: Fabio Giarelli e i piccoli campioni Laura Lentini e Giorgio Cervi.

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“Mi racconti la storia di qualcuno?” “Volentieri. Prima, però, devo confidarti una cosa incredibile. Lo sai che alcuni campioni di nuoto non sanno nuotare?” “Impossibile!” “E invece ho scoperto che alcuni erano bravissimi in piscina, dove si è sempre sicuri di toccare il fondo con i piedi, ma in acque aperte, come in mare dove non si tocca, perdono la sicurezza e devono essere soccorsi. È capitato negli allenamenti della squadra

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di pallanuoto. Ci siamo accorti che qualcuno nuotava solo vicino ai bordi della vasca, che è più profonda perché i giocatori non devono mai toccare il fondo. Ogni tanto si appoggiavano ai bordi… Da questa esperienza è nata la volontà di creare un settore di acquaticità. Infatti la prima qualità di un nuotatore è che si trovi bene nell’acqua, senza paura. L’esempio più brillante, anche se ormai meno appariscente perché passato alla storia, è Fabio, che vedi nella foto al centro seduto in carrozzina, con una medaglia d’oro al collo, segno delle sue innumerevoli vittorie nelle gare di nuoto e soprattutto in quella gara con se stesso che è la vita. Se vuoi saperne di più devi leggere il suo primo libro, dove racconta la sua storia di nuotatore, in vasca e nella vita.” “Come s’intitola?” “Altalenando”. Glielo ha pubblicato l’editore Antonio Battei nel 1995. Fabio è un monumento di buona volontà. Lavora, scrive poesie, pratica nuoto amatoriale per mantenersi in forma.”

Io non sapevo nemmeno cosa significasse la parola fisioterapia, ma nella piscina di Viale Piacenza l’approccio all’acqua è fondamentalmente un gioco, per cui, alla fine, mi sono divertito moltissimo. La mia prima istruttrice era come mia sorella: dolcissima e paziente; così che alla fine decisi che avrei fatto quello che volevo: praticamente nulla!

Paolo Berni

ni ce Chiara Zurli 2010. L’allenatri a squadr in azione con la Giuliana Spag giari

Lara Civa

Il piccolo Mariano familiarizza con l’acqua.

Ma l’anno successivo la musica cambiò del tutto. Io avevo solo sette anni e venni assegnato ad un nuovo istruttore. Si chiamava Stefano. Quando sbagliavo mi sollevava di peso e mi rigettava in acqua. Che fatica! Quanti pianti! Finalmente venni assegnato al ‘mitico’ Giuliano: fu lui a prepararmi con costanza, pazienza e competenza. Ancora oggi ricordo che, di fronte alle mie paure, era sempre lì di fianco a me: mi ha ripreso ma sempre motivando quelle sue ‘sfuriate’ benevole, mi ha sempre dato fiducia ed accompagnato a mete sempre più alte. Tutti i traguardi che ho raggiunto nel nuoto li devo soprattutto a lui.

Laura Boscaini

Sonia Filisetti

2010, gennaio. Fabio non demorde. Emanuell

a Vurchio

“E ora ti presento Mariano, che ha la sua bella storia da raccontare.” “La mia è proprio la storia di uno che dall’acquaticità è diventato campione per caso. All’inizio della scuola elementare mia madre ha avuto la brillante idea di iscrivermi alla Polisportiva: un’ora di nuoto tutti i sabati. Ogni volta mi ripeteva: ‘Il nuoto ti aiuterà ad usare il braccio sinistro (io infatti sono portatore di emiparesi), quindi devi farlo! È una buona fisioterapia.’

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roglia

B Ramona

1988. Giuliano Giacopinelli istruttore in vasca.


Il 9 aprile 2000 la mia prima gara. C’erano tutti: mia madre, mia sorella, i miei nonni e soprattutto Giuliano, che, quando salii sul podio, non riuscì a trattenere quelle lacrime che invece io rigettavo a fatica in gola. Altrimenti che campione sarei stato?

Non importa! A Pugnochiuso quest’anno ho abbassato il mio tempo di gara di quasi un minuto; ciò vuol dire che ho ancora dei margini su cui lavorare e non mi voglio certo tirare indietro. Dimenticavo! Già dall’anno scorso ho iniziato una nuova esperienza: la vela. Uno sport emozionante nel quale ho ancora tutto da imparare, ma che voglio praticare quando, anziché gareggiare, ho voglia di farmi cullare dalle onde. Ora ti saluto. È stato un piacere raccontarti la mia storia. Ti lascio con il ‘mitico’ Giuliano.”

Ma la cosa più importante è stata un’altra: quelle gare erano il risultato dell’impegno che la Polisportiva aveva messo nel far gareggiare anche i piccoli, che prima erano esclusi dalle gare. Giorgio e Laura con i loro brillanti risultati hanno convinto la Federazione a orientarsi verso le categorie giovanili. Questa è stata la grande vittoria della Polisportiva.”

1988. Giorgio Cervi con medaglia e coppa.

“Hai parlato dei piccoli. E quelli grandi non hanno vinto niente?” “Per chi ha passione, vincere è importante, ma spesso conta di più partecipare per competere con i migliori. Nell’estate dello stesso anno ho portato i miei migliori nuotatori a competere nelle acque di Sestri Levante e del lago di Garda, in vere e proprie maratone di nuoto. Con me c’erano Paolo, l’ex presidente, Gianni e Davide, futuro presidente (lui, paraplegico, a sole forze di braccia, voleva anche attraversare lo Stretto di Messina!); infatti non era nuovo alle imprese straordinarie. Era campione italiano nello stile rana e già tre anni prima aveva partecipato ai campionati europei a Stoke Mandeville, vicino a Londra, piazzandosi tra i migliori con un rispettabile settimo posto.

2007. Mariano sulla barca a vela.

2007. Mariano Scauri gioisce per la medaglia d’oro.

Qualche anno dopo sono passato all’agonismo. I traguardi sono pian piano arrivati da soli: campione regionale nei 50 stile libero, poi nei 100 e quest’anno (2008) nei 200. Mi alleno con costanza due volte la settimana e questo mi ha permesso da ormai tre anni di partecipare alle gare nazionali. Purtroppo non mi sono mai qualificato a livello nazionale, ma si sa, anche nella vita c’è sempre qualcuno che corre più forte di te.

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“Ciao, Mariano! Sei bravissimo! Ed ora, Giuliano, raccontami di qualcun altro.” “Ti accontento subito. Laura e Giorgio: la coppia più bella e più… bagnata del mondo. Del mondo, sì, perché sono arrivati a competere a livello mondiale, in Francia, nel 1990. Erano piccoli e io gli avevo insegnato a stare in acqua, poi a nuotare.” “Ma per i campionati mondiali e le Olimpiadi io ho visto solo persone grandi.” “Adulti. Hai ragione. Ma quelli erano i primi campionati mondiali per giovanissimi disabili. Laura e Giorgio erano diventati bravi, tanto che la Federazione li aveva convocati con la squadra nazionale. Giorgio è salito sul podio, dove gli hanno appeso al collo la medaglia di bronzo per i suoi 50 metri dorso. Ha sfiorato il podio con i 50 metri stile libero, e così è stato per Laura, quarta nei 50 stile e dorso. Il mio rammarico è quello di non averli accompagnati, per motivi di lavoro. C’erano i loro genitori, che mi hanno portato le foto e i filmati. Dev’essere stata un’esperienza indimenticabile.

Gianni Pistonesi, Giuliano Giacopinelli, Davide Romano e Paolo Pirisi. Negli anni ’90 sono stati protagonisti di memorabili imprese di fondo in acque aperte di mare e di laghi.

1988. Laura Lentini con medaglia e coppa.

Se proprio vuoi sentir parlare di campioni, ti presento Margherita. Ha una bella storia da raccontarti.” “Ciao, Margherita, raccontami.” “Dopo l’incidente che mi ha tolto l’uso delle gambe, il nuoto è la mia passione. Ho fatto anche gare di atletica e ho vinto qualche corsa. Ma le soddisfazioni più grandi le ho avute dal nuoto, grazie soprattutto a Giuliano, che mi ha sempre stimolato.

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1988, Seul. Foto storica di Margherita Casu alle Paralimpiadi.

del paracadutismo, stimolata e sostenuta dal mio compagno Giuliano. Ora ti saluto. Vado in piscina per tenermi in forma. Il nuoto mi rilassa, dimentico tutte le preoccupazioni della vita quotidiana e del lavoro.”

Anni ’90. Giuliano Giacopinelli alle spalle dei suoi due campioni: la paralimpica Margherita Casu e il mondiale Davide Romano.

1988, Seul. Margherita Casu con una compagna paralimpica e le accompagnatrici coreane.

Ho anche la fortuna di avere un carattere forte e indipendente. Ho vinto tutte le gare possibili in Italia e la Federazione mi ha convocata per rappresentare la squadra italiana alle celebri Olimpiadi di Seul, nella Corea del sud, nel 1988. Fu un’esperienza indimenticabile. Erano le prime Olimpiadi per disabili organizzate in grande stile. C’era per noi un villaggio nuovo, che dopo è stato assegnato come abitazione alle persone disabili. Porte larghe, ascensori, bagni comodi… Ogni disabile aveva una persona addetta a lui. Molti controlli e… un cibo a cui era difficile abituarsi. Ti confesso che ho perso qualche chilo. Però dal punto di vista sportivo sono stata soddisfatta. Ho sfiorato il podio per una frazione di secondo e mi sono dovuta accontentare di uno splendido quarto posto.” “Adesso nuoti ancora?” “Certamente. Ho continuato a praticare il nuoto, abbandonando con l’età il settore agonistico. Mi sono dedicata alla canoa e ho provato anche le emozioni

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2008. La nuotatrice paralimpica Margherita Casu continua a praticare nuoto per stare bene. Qui è fotografata nello stile rana, il suo preferito.

“Giò, so che hanno fatto le Olimpiadi per i disabili, anche se ho visto solo la cerimonia di apertura. Era molto bella, a Pechino…” “Si chiamano Paralimpiadi, ‘Olimpiadi parallele’ per le persone ‘con diversa abilità’, come si usa dire. È un grande passo avanti, anche se la TV italiana si è dimostrata incapace di dare il giusto risalto alle splendide imprese degli atleti paralimpici. Lascia che ti dica la mia soddisfazione nel constatare che le Olimpiadi per le persone disabili segnano un passo avanti nella civiltà. Fa’ un passo indietro con me. Lo sport moderno, secondo il barone De Coubertin che ha fatto rinascere le Olimpiadi, è nato poco più di cento anni fa come espressione di forza e di vigore: l’atleta era un uomo giovane e sano; le donne erano escluse.” “Davvero erano escluse? Perché?” “Il barone aveva copiato il modello greco antico, quando solo gli uomini giovani e forti gareggiavano e le donne erano escluse. La cultura ha progredito. Dapprima le Olimpiadi hanno incluso le donne spor-

tive, in seguito gli atleti anziani e, infine, quelli disabili. Il mio sogno è quello di vedere una sola grande Olimpiade, dove tutto il mondo ammira e applaude grandi atleti che a forza di volontà hanno meritato di esibirsi a quel livello.” “Sarebbe bello, così tutto il mondo vede. Sarà così la prossima Olimpiade?” “C’è ancora tanta strada da percorrere, la strada della civiltà che porta a stimarci tutti per il fatto di essere persone. ‘Handicappati, disabili, diversamente abili…’ sono maschere dietro le quali nascondiamo le nostre paure. Dico queste cose per i grandi. Tu sei piccolo, non hai queste paure e sei ben disposto a far crescere un mondo più civile. Mantieni questo sguardo innocente, anche quando sarai adulto: è la forza che può cambiare il mondo. Noi crediamo nello sport, perché il vero sportivo ha lo sguardo di un bambino, il cuore di un leone e la gioia di una fanciulla. Lo sport ha potuto persino fermare le guerre. Ha abbattuto le barriere razziali e siamo certi che in futuro contribuirà anche ad abbattere quelle mentali.”

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Migliorare crescendo

“Caro lettore, crescendo si cambia. È legge di natura.” “Giò, ma io sono sempre io!” “Precisamente. Cambiano le forme, ma non la sostanza. La Polisportiva ha saputo adeguarsi ai tempi, alle nuove richieste, senza cambiare il suo spirito originario, che si può esprimere nel motto ‘lo sport per tutti’. I ragazzi erano cresciuti, tutti lavoravano, molti si erano sposati, alcuni avevano figli. Avevano smesso di fare le gare di atletica leggera, di ping-pong e di pallanuoto. C’era stato un inizio di tiro con l’arco, ma presto aveva lasciato posto al tiro a segno, dove con la pistola si distingueva Beppe, che hai già conosciuto e che ha qualcosa da dirti.” “Vuoi parlarmi del tiro con la pistola?” “Non adesso. Voglio che tu sappia cos’abbiamo fatto con l’associazione Paraplegici, insieme con la Polisportiva. Abbiamo girato per tutta la città di Parma con le carrozzine, per rilevare gli ostacoli: gradini, marciapiedi non regolari, buche, attraversamenti pedonali, parcheggi, accessi agli edifici pubblici e alle chiese… Consegnavamo questi rilievi alle autorità comunali, affinché provvedessero a rimuovere le ‘barriere architettoniche, applicando le nuove leggi.” “Cosa sono le barriere architettoniche?” “Gradini e dislivelli, che diventano ostacoli per le carrozzine, per le mamme con il passeggino, per le persone anziane che camminano male o hanno mal di cuore, per i ciechi… Bisogna eliminarle, affinché la città sia accogliente per tutti. E questo costa soldi.” “Ma Giò, non potevano arrivarci prima, quando costruivano, e fare le cose bene subito?” “Bravo, sei molto intelligente, molto più di quelli che hanno costruito pensando di risparmiare. Infatti dopo hanno speso il doppio per le modifiche. Ma intanto abbiamo ottenuto che la città cambiasse, diventando accessibile a tutti, e quindi più vivibile.”

Anni ’90. Tre foto con protagonista Beppe Colao documentano un intenso lavoro dell’associazione Paraplegici e della Polisportiva per identificare le barriere architettoniche della città e segnalarle al Comune con la richiesta di eliminarle.

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“È così che avete ottenuto tanti risultati?” “Uno dei risultati più importanti è la fiducia che la gente ha nei nostri confronti e la buona riuscita delle manifestazioni che organizziamo a Parma. La Federazione affida ogni anno alla Polisportiva l’incarico di organizzare una importante gara di nuoto. Vengono sempre più di cento ragazzi da diverse città della regione.

Ho visto una ragazza che gareggiava da sola e ce la metteva tutta come dovesse superare le concorrenti: ho capito che voleva superare se stessa ed era felice di ricevere i complimenti dell’allenatore a fine gara. In un’altra batteria i più veloci erano già arrivati e l’ultimo, molto distaccato, ha continuato con il suo ritmo fino alla fine, sostenuto dal tifo assordante degli spettatori.”

1989, Praga. Documento dell’impresa automobilistica.

1989, Parma. In due scatti è documentata la manifestazione per le vie del centro per sensibilizzare i cittadini e l’amministrazione al diritto di tutti a una “città migliore”. Venti anni dopo sarà pubblicato il “Libro bianco su accessibilità e mobilità urbana”, tappa storica del capovolgimento della cultura sulla disabilità.

“Beppe, vedo che voi in carrozzina siete allegri, vivete bene, come gli altri. Fate un mucchio di cose…” “Ci riteniamo normali, normalissimi, solo che invece di consumare le suole delle scarpe consumiamo le gomme delle carrozzine e invece di andare per le scale usiamo l’ascensore, come tanta altra gente. Quando eravamo più giovani abbiamo compiuto imprese che alla gente sembravano incredibili. Nel 1989 siamo andati in quattro fino a Praga, a bordo di un’Alfa Romeo preparata per le corse, con tutti i comandi a mano: io, Armando, Davide e Pino. Tutti frequentavamo a Reggio Emilia la scuola di pilotaggio di Clay Regazzoni, il grande pilota di Formula Uno, che dopo l’incidente continuava a correre su vetture speciali. In Cecoslovacchia abbiamo partecipato a gare importanti, ottenendo premi e riconoscimenti. Dovevi vedere la gente di quelle parti: non avevano mai visto persone in carrozzina scendere e salire su vetture da competizione. Spalancavano gli occhi così! Ma ecco qui Marco, che ha qualcosa da dirti a proposito di cambiamenti.”

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“Ci si rivede. Cos’hai da dirmi?” “Che siamo andati a scuola, per imparare. Volevamo fare le cose giuste per le persone con disabilità fisica e mentale.” “Ma voi eravate già bravi.” “È vero. Però non basta essere un bravo giocatore. Per insegnare agli altri nel modo giusto occorre una seria preparazione, altrimenti si rischia di provocare dei danni. Per questo motivo da sempre ci siamo preoccupati di formare i nostri tecnici e oggi possiamo vantare un buon numero di istruttori specificamente preparati dal CIP, tanto nel nuoto quanto nel basket.”

2008, Parma, piscina di V.le Piacenza. Istruttori di nuoto in azione al sabato pomeriggio.

2008, Parma, meeting di nuoto. Matilde Gazzi premiata dall’assessore provinciale Emanuele Conte. 2008, Parma, meeting di nuoto. Una partenza.

L’organizzazione è perfetta, una batteria dietro l’altra. Dovresti vedere l’entusiasmo dei ragazzi, la voglia che ci mettono, i gesti di esultanza a fine gara, i complimenti dei loro allenatori, la medaglia al collo esibita con orgoglio e baciata, gli applausi e gl’incoraggiamenti dalla tribuna piena di spettatori.

“Mi piacerebbe vedere una di queste gare.” “Sono aperte al pubblico. Di solito in aprile in una piscina di Parma. I nostri ragazzi sono bravissimi, ammirati e lodati dalla Federazione e dalle altre associazioni per il loro comportamento, oltre che per i risultati. E questo è il frutto dell’impegno che mettiamo continuamente, per essere sempre all’altezza delle nuove situazioni.”

2008, Parma, meeting di nuoto. La piscina di Via Moletolo affollata di spettatori.

2008, Parma, meeting regionale di nuoto. Il gruppo completo dei nuotatori della Gioco, con il presidente Marco Nicolini, istruttori, genitori, accompagnatori, dirigenti, autorità.

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Da don Gnocchi a Gioco

1994. Esce il primo Giornalino della Gioco, nel quale compare una bellissima striscia, di cui riportiamo l’inizio. Il logo della Gioco è frutto di una successiva rielaborazione.

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“Caro lettore, questa è la mia puntata speciale. Sì, perché parliamo proprio di me, del mio nome: Giò, come Gioco.” “È così importante il nome?” “Intanto, ma forse lo sai già, nella tradizione di tutti i popoli, da sempre, il nome identifica la persona, l’animale, l’oggetto. Di più: è l’oggetto stesso. Ricordi la prima pagina della Bibbia? Dopo aver creato l’uomo, Dio gli ordina di chiamare gli animali a uno a uno e di dare a ciascuno il nome. Nel nome è indicata l’essenza stessa dell’essere nominato. Ti faccio un altro esempio, sempre dalla Bibbia. La parola ‘angelo’. Sai cosa significa?” “È facile: è un messaggero con le ali mandato da Dio. Come l’arcangelo Gabriele che è andato dalla Madonna.” “Invece no. La parola angelo viene dalla lingua greca antica e nella Bibbia ha tre significati, non separabili: colui che manda il messaggio, il messaggero e il messaggio stesso. Vedi dunque come il nome è carico di importanza?”

“E il tuo nome?” “Il mio nome ‘Gioco’ è nato ufficialmente nel caldo mese di luglio del 1992, ed è tutto un programma. I ragazzi della Polisportiva don Gnocchi hanno fatto un’assemblea generale per discutere il cambio del nome, dopo che avevano cambiato sede. Alcuni erano molto legati al Centro don Gnocchi, dove erano stati curati, avevano studiato ed erano cresciuti. Non volevano saperne di cambiare. Ma le persone che si erano inserite dopo, sostenevano che si dovesse cambiare il nome.” “E perché volevano cambiare il nome, visto che don Gnocchi era stato un prete tanto in gamba?” “I motivi erano diversi. Uno diceva che ormai la Poli-

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sportiva era cresciuta e non doveva identificarsi con il Centro in cui era nata. Un altro portava un esempio tragicomico: un pulmino era stato regalato alla polisportiva, ma era finito al Centro don Gnocchi, per via del nome. Altri facevano rilevare che il Centro stava diventando una specie di ospedale per la riabilitazione e che di ragazzi ne erano rimaste poche unità, mentre la Polisportiva si era specializzata in attività sociali, ricreative e sportive.”

Anche il nome mi piace, scritto sotto il mio bel faccione, che da allora è comparso dappertutto: sui manifesti e sugli striscioni, persino sulle carte da lettera e sul pulmino. Io continuo a sorriderti dalle pagine di questo libro, sempre uguale, anche se gli anni passano. Ma ti posso assicurare che non è passata la voglia di esprimere vitalità e di contagiare quelli che oggi conducono una vita nascosta e probabilmente infelice, perché non hanno ancora scoperto che possono vivere una vita normale e gratificante.” “Allora il nome Gioco è stata la scelta giusta.” “Certamente. L’anno dopo, su un giornale si potevano leggere queste parole del presidente Davide: ‘Il nuovo nome è stato scelto appositamente per suggerire, fin dal primo impatto, che il mondo dei disabili è anche allegria e che attraverso lo sport si possono acquisire nuova vitalità, nuovi interessi, grinta e voglia di confrontarsi con gli altri.’ Una scelta vincente.” “Io continuerò a chiamarti Giò.” “Va bene così. Da qui in avanti non dirò più ‘la Polisportiva’, e nemmeno ‘la Polisportiva Gioco’. Dirò semplicemente ‘la Gioco’, come ormai dicono tutti.” “Giò, evviva la grammatica: la Gioco invece che il gioco. È un bel… gioco di parole!”

1983. Il primo gagliardetto, disegnato dai ragazzi con l’aiuto del prof. Francesco Soncini. Il primo cerchio olimpico contiene una carrozzina. Sotto corrono parallele le due impronte di piedi e le due impronte delle ruote di carrozzina: fin dall’inizio le idee erano chiare.

“E che nome volevano dare?” “I più attivi avevano proposto nuovi nomi, dei quali ne rimanevano due: POLISPORTIVA VITHA e GIOCO POLISPORTIVA. In quell’assemblea, dopo dibattiti infuocati, si passò ai voti, come prevedeva lo Statuto dell’associazione. Nel verbale dell’11 luglio 1992 sta scritto: ‘Il presidente fa presente che la maggioranza dei soci preferisce il nome ‘Gioco Polisportiva’, con 29 voti favorevoli, 12 contrari e 11 astenuti.’ Così è nato il mio nome. Poi è capitato che una ragazza disegnava dei fumetti per il giornalino della ribattezzata ‘Polisportiva Gioco’. Fantasticando sul volto di un protagonista, è uscita la mia faccia. È piaciuta a tutti e ti devo dire che… piace anche a me.

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Gagliardetto di anni successivi. In cinque triangoli sono stilizzati i cinque settori della Polisportiva: nuoto, pallanuoto, basket, tennis da tavolo, atletica. Il triangolo al centro in basso identifica la città di Parma, con il Duomo e il Battistero.

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Professionalità

“Giò, cominci subito con una parola difficile!” “Non spaventarti: la parola sembra difficile, ma le cose sono semplici.” “Posso indovinare? Vuol dire fare il professore!” “No. Qui nessuno fa il professore, tanto meno io. Professionista è uno che ha studiato e si è esercitato per fare bene il suo lavoro. Eseguire un lavoro con professionalità significa semplicemente eseguirlo bene.” “Vuoi parlare ancora dei lavori nella sede nuova?” “No. Voglio parlarti di allenatori e istruttori. La Polisportiva, fin dalle origini nel 1983, ha avuto allenatori non solo volenterosi, ma anche professionalmente preparati. Avevano ottenuto diplomi e brevetti, con studi universitari o con corsi speciali per istruttori di nuoto e per allenatori di basket e di tennis tavolo: Giancarlo, allenatore di tennis tavolo; Giovanni, il primo allenatore di nuoto; Giuliano, allenatore di nuoto per molti anni; il professor Ievolella, allenatore di basket; Francesco e Lorenza, fisioterapisti e preparatori atletici.

1984. Tre volti storici di allenatori: Giuliano Giacopinelli e Lorenza Beltrami (nuoto), Francesco Dall’Olio (atletica).

1984. Giovanni Balossino (a destra, il primo istruttore di nuoto), con Giuliano e Lorenza. In carrozzina Vincenzo Sfregola (atletica, tennis da tavolo, basket e… chitarra).

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Nel tempo, altri si sono avvicendati in questi importanti ruoli, dopo adeguata preparazione e frequenza di corsi di specializzazione organizzati dalla Federazione o dal Coni (Comitato Olimpico Nazionale Italiano). Il settore del nuoto e dell’acquaticità, che è il più esteso e continuativo nel tempo, ha sempre avuto numerose figure di istruttori e istruttrici.” “Ho capito che diventavano come maestri di nuoto e di basket.” “E di ogni altra disciplina sportiva. Hai capito bene. Ed erano bravi, anzi, sono bravi ancora oggi. Quello che voglio dirti in modo molto chiaro è la costante attenzione che i dirigenti della Polisportiva hanno avuto per le persone, di tutte le età, con qualunque patologia.” “Ancora una parola difficile.” “Scusami, potevo dire malattia oppure disabilità.” “Fammi degli esempi di professionalità.” “Gli istruttori di nuoto hanno usato schede speciali per ogni persona, dove annotavano attente osservazioni relative alla situazione di partenza, ai vari interventi per ottenere miglioramenti, ai comportamenti in acqua e fuori, ai rapporti con l’istruttore e con gli altri… Hanno cercato di conoscere i genitori dei ra-

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1985, Stoccarda. Giancarlo Soliani, il primo allenatore di tennis da tavolo, posa scherzosamente tra Armando Reggio e Pino Nodello.

gazzi per stabilire con loro la continuità educativa. È così che hanno ottenuto risultati a volte sorprendenti, come ti ho già raccontato. Ma anche senza parlare di risultati agonistici, c’è sempre stato un progresso, riconosciuto dai genitori, che hanno continuato per anni ad affidare i loro figli agli istruttori della Polisportiva.” “Solo nel nuoto?” “Allo stesso modo gli allenatori delle altre discipline sportive hanno utilizzato l’osservazione di ogni partita o gara per trarne materia per ‘lezioni’ sul campo di allenamento. Molta importanza per tutti gl’istruttori hanno avuto gli studi di psicologia, utili per conoscere le persone e soprattutto per costruire con loro i forti legami di squadra.

Anni Novanta. L’allenatore di basket Antonio Ievolella, sotto la cui guida è nata e cresciuta la squadra, fino ai campionati di serie A e alla coppa Vergawen.

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Il dottor Sandro Meli è stato anche presidente della Gioco e ha ottenuto il brevetto di ‘classificatore’ medico. Un lavoro in più per lui, svolto sabato e domenica, per visitare gli atleti disabili e stabilire il punteggio ufficiale che consente la partecipazione alle gare. Un lavoro di alto profilo professionale e di grande responsabilità. Ma vedo che l’argomento ha fatto avvicinare Gaetano, che tra i soci della Gioco è stato il più grande amico e collaboratore di Sandro.” “Proprio di lui voglio parlarti. Vivace e innovativo è stato il contributo professionale portato dal dottor Meli nell’associazione.” “Cos’ha fatto?” “Entrato nel 1985 come medico sportivo della Gioco, presto accettò l’incarico di consigliere. Conobbe a Roma Luca Pancalli e tornò portando alla Gioco due importanti successi: la delegazione provinciale Anglat e il titolo di prima società sportiva con Centro di avviamento allo sport per disabili riconosciuto dalla Fisha in provincia di Parma. Nella ristrutturazione della sede sociale sfoderò con passione la sua vasta riserva di doti: dirigente, imbianchino, muratore, facchino… Presidente della Gioco dal 1993 al ‘98, ottenne per l’associazione il riconoscimento di Centro di avviamento per corsi di istruttori di nuoto FISD di primo livello. Curò la nascita del settore Acquaticità. Conseguì il titolo di ‘medico ufficiale classificatore per atleti Fisd’. Fu consigliere nazionale del settore SOI nella Fisd. Molte volte al lavoro e alla sua vita privata antepose la crescita e il bene della Polisportiva. Troppo presto e improvvisamente un gravissimo malore se l’è portato via nella torrida estate del 2008.”

“Gaetano, vedo che ti dispiace tanto.” “Anche gli amici più cari si devono inesorabilmente lasciare. Ma, credimi, è doloroso. Però quello che di bello hanno fatto ti resta dentro, come un faro, per sempre.” “Hai tracciato un ritratto molto professionale del dottor Meli, ma immagino che tu possa raccontarmi qualche episodio interessante.” “Anche divertente. Quando si era in compagnia lui era il numero uno. Nel 1994 eravamo a Roma per rappresentare l’Emilia, mentre la Federazione istituiva i Centri di Avviamento allo Sport in tutte le regioni italiane. Ci hanno messi a dormire in quattro in una camera; io e altri due eravamo siciliani, lui solo del nord. “ “Mi sembra di essere Garibaldi alla conquista dell’Italia!” fu la sua battuta. Noi tre eravamo a letto da un po’ e lui continuava a girare.

“Vieni a letto” gli dicevamo. E lui: “Ma siamo a Roma, andiamo a fare un giro.” E noi: “È tardi. Siamo a piedi.” “Ci penso io.” Furtivamente entra nella camera degli amici toscani, già addormentati, che erano venuti in macchina, e prende le chiavi dell’auto; poi via per Roma. Una gita notturna allegra e indimenticabile, fino alle quattro del mattino. Al rientro: stessa manovra furtiva per le chiavi.” “Ma i toscani avranno visto dopo che la benzina era calata?” “In riserva! Ma tutto è finito in un ristorante, dove il dottor Meli ha offerto la cena, allegra più che mai.” “Ho capito che sapete fare bene le cose serie, ma vi piace anche divertirvi in compagnia.” “La compagnia era più facile nella vecchia sede. Ma non abbiamo perso la speranza… Ciao!”

1994. Al centro il dott. Sandro Meli, presidente della Gioco e ‘medico classificatore nazionale’; la sua è stata la Presidenza più lunga.

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Special Olimpics International (SOI)

“Cominciamo subito con l’inglese!” “Si tratta delle prime Olimpiadi di nuoto per ragazzi con disabilità intellettiva, denominate con la sigla SOI (Special Olimpics International), organizzate a Parma dalla Gioco nel 1996.” “Ora puoi continuare.” “Preferisco far continuare Pietro, perché gli piaceva scattare foto e ha seguito l’avvenimento da vicino.”

1996, Parma. Prima storica Special Olimpics di nuoto organizzata dalla Gioco. Concentramento in piazza Duomo.

“Ciao, sono Pietro. Gli amici scherzano volentieri sulla mia abilità di fotografo, dicono che ci metto un secolo per consegnare le foto, ma non capiscono che io devo prima finire il rullino.” “Cos’è il rullino?” “Oggi con le digitali compatte puoi scattare tante foto fin che vuoi, non costano niente, ma una volta si usava un rullino di pellicola da 24 o da 36 fotogrammi, poi si faceva sviluppare e stampare su carta e ogni foto costava. Però ero bravo. Pensa che quando si è sposata Dora ho visto Claudio in difficoltà per i gradini, gli ho preso la macchina fotografica di mano e ho fatto tutto il servizio del matrimonio.”

1996, Parma, Piazza Duomo. SOI: la partenza del tedoforo da Piazza Duomo dopo la Messa Solenne alla presenza delle Autorità religiose e civili.

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“Raccontami del SOI.” “Una manifestazione veramente speciale, fissata nei miei fotogrammi, purtroppo di qualità molto inferiore al digitale che non era ancora sul mercato. Ma è indelebile e chiaro il ricordo nella mia memoria e, mi

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dicono, nella memoria dei soci della Gioco e anche dei cittadini di Parma che hanno avuto la fortuna di essere presenti.” “Io pensavo che gli atleti delle Olimpiadi avessero soltanto dei problemi fisici, come gambe e braccia…”

1993. Pietro Di Buono al centro tra Massimo Sillani e Antonio De Nora.

1996, Parma. SOI: prosegue la sfilata per le vie del centro.

“E tu le hai viste e fotografate. Cosa ricordi?” “Tre giorni intensi di manifestazioni, finalizzate alle gare di nuoto. Società da tutta l’Italia, con divise e bandiere. Santa Messa in Cattedrale presenziata dal Vescovo e con la presenza delle principali autorità: Prefetto, Presidente della Provincia, Sindaco di Parma. Ricevimento ufficiale in Comune. Sfilata con accompagnamento della banda musicale per le vie del centro di Parma fino alla piscina di via Zarotto.”

ti, dirigenti, accompagnatori. Mobilitati molti alberghi della città e dintorni. Molto soddisfacente il coinvolgimento di sponsor e donatori. Grande disponibilità della cittadinanza. Assai attivi i genitori dei ragazzi nell’organizzazione e nel reperimento di fondi. Contenti i dirigenti della Gioco, che hanno ricevuto i complimenti dalla Federazione.” “Fermati, Pietro. Perché hai raccontato così? Sembra una filastrocca, un elenco.” “Perché volevo evitare di emozionarmi al ricordo di quei tre giorni. Mi venivano in mente le facce dei ragazzi, sorridenti, soddisfatte; l’entusiasmo dei genitori e dei presenti; il calore della città…”

“In seguito si è ripetuta una bella cosa così?” “Non uguale. Ma abbiamo organizzato ogni anno una manifestazione di nuoto, con la presenza di tanti ragazzi SOI. Lo vogliamo fare ancora, se la gente ci aiuta, perché l’impegno è molto grande. Dopo quella bella manifestazione, il settore SOI ha assorbito la maggior parte delle attività della Federazione. L’esperienza del 1996 è stata e resterà indimenticabile negli annali della Gioco e della città di Parma. Ora ti saluto. Un amico mi aspetta: andiamo a vedere una macchina fotografica digitale. Chissà che non mi venga la voglia di comprarla.”

1996, Parma. SOI, premiazione dopo le gare: una delle numerose squadre provenienti da altre città.

1996, Parma. SOI: la sfilata ufficiale.

“Si tratta di Olimpiadi Speciali. Già l’anno prima la Federazione aveva cominciato a dare spazio, importanza e soldi per l’attività rivolta ai disabili mentali, per esempio i ragazzi down. Dopo un anno di esperienze ha deciso di effettuare delle piccole olimpiadi SOI. Ha cercato le società disponibili e preparate per tali eventi. La Gioco è stata scelta per le Olimpiadi di nuoto. In quella eccezionale circostanza i dirigenti, completamente presi nell’organizzare tutto in modo perfetto, hanno dimenticato di interessare Televisione e Stampa locale. Un errore che in seguito hanno cercato di non ripetere.”

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1996, Parma. SOI: la sfilata è preceduta dalla banda musicale.

“E le gare di nuoto?” “Tutte sulle distanze di 25 metri. Perfetto l’apparato tecnico per le batterie e i cronometraggi. Giudici di gara con la divisa bianca e il cronometro in mano. Premiazioni solenni con l’inno d’Italia. Eccellente l’accoglienza per tutti i partecipanti: atle-

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Sinergie

“Ancora una parolona!” “Non ti spaventare. Sinergia vuol dire lavorare insieme.” “Ma la Gioco lavora?” “Sì, la Gioco lavora per organizzare attività sportive affinché le persone possano ‘giocare’ divertendosi e crescendo insieme. Dopo tanti anni di lavoro e di successi, la Gioco si è imposta all’attenzione della città. Chi voleva organizzare qualcosa di bello per migliorare la cultura nei riguardi della disabilità, non poteva fare a meno della Gioco.” “Per esempio?” “Associazioni di volontariato ed enti pubblici, come i Comuni, la Provincia, il Provveditorato agli Studi (che ora si chiama Centro Servizi Amministrativi), l’Università, si sono interrogati sui problemi della disabilità e hanno cercato risposte nuove insieme alla Gioco. In questa puntata ti voglio far conoscere alcuni progetti realizzati insieme.” “Ho visto i tuoi appunti. Mi lasci mettere i titoli? E dopo tu spieghi.” “D’accordo. Vai!”

“Centro estivo di Bedonia”

1996. Attività del centro estivo di Bedonia: la pesca sportiva.

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“I ragazzi down ed altri con gravi disabilità sono molto simpatici, però i genitori spendono molte energie per loro e ogni tanto hanno bisogno di qualche giorno di riposo per ricaricarsi. I dirigenti della Gioco hanno capito il problema e hanno fatto un progetto con Comuni, Enti ed associazioni. Durante l’estate del 1996 hanno dato un po’ di libertà alle famiglie, portando i ragazzi in montagna a Bedonia per un breve periodo. Erano ospitati nei locali della scuola elementare, dove dormivano e mangiavano. Si divertivano tutto il giorno con giochi all’aperto e passeggiate. Aria buona, esperienza sociale, avviamento all’autonomia nelle piccole cose quotidiane. E un po’ di sollievo per i genitori, pronti a riprendersi i figli per la vita quotidiana.” “Tutti gli anni l’hanno fatto?” “L’anno seguente l’esperienza dei corsi estivi si è ripetuta, con due turni di due settimane ciascuno. Un mese bellissimo, che ha richiesto un enorme impiego di energie e tanta passione. L’anno dopo la passione c’era ancora, ma sono mancate le risorse e il centro estivo è stato gestito da altri.”

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Hand Bike Marathon ‘Mondo Piccolo’, sul percorso Bici Parma Po

“Che peccato! Mi sembra una cosa tanto bella. Anch’io d’estate sono andato in un centro estivo, dove mi sono divertito molto. Ci facevano fare dei giochi e abbiamo raccontato tutto su un bel quaderno, pieno di disegni colorati.” “Immagino che i tuoi genitori ti ci manderanno ancora. Ma voltiamo pagina per dare spazio ad altri progetti.”

2008. “Nautibus”. Giochi didattici in acqua.

1996. Attività del centro estivo di Bedonia: la premiazione in riva al laghetto

“Sportscuolainsieme”

1996. Attività del centro estivo di Bedonia: la passeggiata nei boschi.

“Dammi un cinque” “Sai che quando fai spesa al supermercato ti danno dei punti per un regalo finale. Quei punti valgono soldi e la Coop ogni anno dà la possibilità ai compratori di rinunciare al regalo per devolvere la somma a beneficio di gruppi e associazioni che ne facciano domanda. Nell’estate del 2003 la Coop Consumatori Nordest, in collaborazione con Forum Solidarietà, vuole realizzare dei progetti utili alle comunità locali che fanno attività di promozione ed educazione attraverso lo sport. L’associazione “Va’ Pensiero”, insieme con la Gioco, è la più attiva nel formulare il progetto e nel seguirlo fino in fondo. Nel 2004 tutto si conclude: circa 15 mila euro è la somma destinata dalla Coop alle società premiate, che decidono l’assegnazione alla “Va’ Pensiero”, su suggerimento di Stefano, presidente della Gioco. Con quei soldi l’associazione ha potuto sostenere le proprie attività a favore di persone disabili.”

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“Per due anni consecutivi, 2004 e 2005, la Polisportiva Gioco ha partecipato attivamente alla realizzazione del progetto denominato Sportscuolainsieme, organizzato dal CIP Provinciale, occupandosi del settore natatorio, mentre l’Uisp si è occupata dell’attività motoria di base (pre-judo), la società La Farnesiana ha curato la scherma e la Magik basket il minibasket. Il progetto ha visto coinvolte una decina di scuole medie di Parma, la Federazione italiana sport disabili (Fisd) in collaborazione con il Csa (ex Provveditorato agli Studi), il Coni, il Comune e la Provincia. Hai mai provato a camminare con gli occhi chiusi, come se fossi cieco? Oppure a cercare di capire quello che dicono tappandoti le orecchie come se fossi sordo? Oppure a compiere gesti e cercare di muoverti con le gambe legate come se fossi su una carrozzina?” “No, ma penso sia difficile.” “ Difficile e divertente. I bambini dovevano provare a fare ginnastica e a nuotare come se fossero ciechi, o sordi, o paralizzati alle gambe, per sperimentare le difficoltà e l’impegno dei loro compagni meno fortunati. È stata una serie di esperienze bellissime. La più divertita è stata una bimba down, che ha potuto fare ginnastica con i compagni. Le diversità erano sparite.”

“Nautibus: nuoti con me?” “Questo progetto ha portato dieci classi della scuola primaria di Traversetolo ‘G. D’Annunzio’, in piscina in un divertente corso di acquaticità ed un’importante esperienza di integrazione. La particolarità del progetto, infatti, è stata quella di coinvolgere tutti gli alunni disabili della scuola, i loro compagni ed insegnanti in attività in vasca, grazie all’esperienza degli istruttori della Gioco Polisportiva. Mentre si ottenevano importanti risultati sul piano riabilitativo, si sperimentava la possibilità di giocare e divertirsi insieme nell’acqua, di fare esperienza delle possibilità e dei limiti, delle paure e dei progressi di ciascuno e di tutti.” “Con chi ha lavorato la Gioco?” “La realizzazione è stata possibile grazie all’Amministrazione Comunale, al finanziamento di Forum Solidarietà e di una ditta di Traversetolo. Un bravo fotografo in collaborazione con l’Istituto d’Arte ‘Toschi’ ha curato una bella mostra nella Corte Civica di Traversetolo. È stata così apprezzata che poi ha fatto il giro delle scuole.”

“Perché Mondo Piccolo?” “È dedicata a Giovannino Guareschi, che in queste terre ha ambientato i racconti di don Camillo e Peppone.” “È una maratona vicino al Po?” “Proprio sull’argine, 42 chilometri in linea, tutta asfaltata, ideale per le biciclette e per l’hand bike, quella che si spinge a mano. C’è qui Emanuele, che è stato assessore provinciale allo sport. Scoppia dalla voglia di raccontare.” “Quello lì, con una pancia così e con il codino ai capelli?” “Proprio lui. Ma ha un cuore più grande della pancia e una risata esplosiva.”

2009. Argine del Po a Polesine Parmense. Emanuele Conte, ex assessore provinciale e convinto sostenitore della Hand bike Marathon “Mondo Piccolo”, intervistato da Antonio Franceschetti subito dopo la partenza della quarta edizione.

2009. Il via alla quarta edizione della Hand bike Marathon.

“Ciao, sono Emanuele. A parlare della Hand Bike Marathon mi commuovo. Dirò solo le cose più importanti. Prima edizione: 2006. L’ha voluta la Gioco, ha chiesto la collaborazione dell’Uisp…” “Cos’è?” “Una grande organizzazione di società sportive dilettantistiche.

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Vogliamo migliorare ancora e farla diventare internazionale.” “Sono sicuro che ci riuscirete, basta vedere come ne parli.”

Progetti e sponsor

2009. I primi concorrenti sfilano sull’argine del Po, assistiti da ciclisti sulle due ruote.

Io lavoravo in Provincia. Sembrava impossibile, ma io ci ho creduto. L’abbiamo progettata e realizzata insieme. C’era poca gente a vedere tutti quegli hand bikers che correvano, accompagnati da ciclisti su due ruote. Negli anni successivi abbiamo migliorato l’organizzazione. Sono stati coinvolti i cinque Comuni del percorso, le scuole e tantissimi volontari. Parma, piscina di Via Moletolo, estate 2008. Dispositivi per la discesa in acqua e la risalita di persone disabili, fatti installare dall’Assessore G. P. Bernini (Agenzia Politiche a favore dei disabili).

2009. Il ‘terzo tempo’. Dopo la gara si banchetta tutti insieme all’ombra nell’area del Colorno Baseball.

Un magnifico ‘terzo tempo’ è stato offerto dal Rugby Colorno nel 2008 e l’anno seguente dal Baseball Colorno. L’ultima edizione è stato un grande successo, anche di pubblico: la più grande e la più bella maratona che c’è in Italia. Ho passato la giornata con tutta quella gente. Bella la gara ma ancor più bella la festa, tutti insieme, centinaia di persone, senza differenze.

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“Giò, e queste foto cosa dicono?” “Leggi la risposta nella didascalia. Da molti anni abbiamo chiesto ai gestori delle piscine di installare dispositivi per facilitare alle persone disabili l’ingresso e l’uscita dall’acqua. Finalmente, nell’estate 2008 l’assessore G. P. Bernini ha potuto soddisfare questa richiesta, inaugurando due sistemi, come vedi nelle foto. Abbiamo constatato che il migliore è quello a carrello con seggiolino e piccola gru, attivato da una batteria. L’altro è un’imbragatura sospesa a un motorino elettrico che scorre in alto, dove purtroppo la condensa dell’umidità crea continui problemi.” “Ma quello sembra una rete da pesca!” “Proprio così, e con dentro un bel pesce grosso! Non è il massimo dal punto di vista estetico, nel senso che non tutte le persone amano farsi vedere in quel modo. Ma almeno è utile, quando funziona. Comunque c’è sempre il carrello con il seggiolino.” “È certamente più comodo ed è anche bello!”

2005. Scuola di vela. Sandro Meli al timone, con Tonino Medioli e Gaetano Lo Presti.

2005. Scuola di vela.

“La Gioco è giovane, perché guarda sempre al futuro, progetta e vuole realizzare, con l’aiuto finanziario di persone, Enti e Aziende che ci credono.” “Mi fai degli esempi?” “Nei primi anni aveva progettato squadre di atletica, di nuoto, di basket, di pallanuoto, di ping-pong; ha realizzato tutto questo, con lo scopo di far star bene tanti ragazzi e di aiutarli ad avere fiducia in se stessi e a inserirsi responsabilmente nella società come persone attive.” “Io credevo che avesse progettato di vincere le Olimpiadi e i Mondiali…” “No, no, no. I risultati sportivi sono arrivati come conseguenza dell’impegno quotidiano a migliorarsi e ad affrontare insieme i problemi della vita. Di anno in anno la Gioco ha fatto progetti adatti alle nuove esigenze. Alcuni sono stati sviluppati in sinergia con altre forze, come ti ho già raccontato. Ha anche elaborato progetti per i suoi ragazzi, per far funzionare i vari settori di attività e per attivarne dei nuovi mai pensati prima.” “Per esempio?” “Costruire una barca a vela per le persone disabili.” “Non ci credo.” “Eppure il progetto è stato fatto e richiede molto tempo, perché prima le persone disabili devono provare a salire su una barca a vela insieme con un equipaggio di esperti. Devono provare a navigare, facendo le manovre comandate. In questo modo verranno fuori tutti i problemi, che non sono pochi, come puoi immaginare, soprattutto se le persone sono in carrozzina. Si studieranno le modifiche da apportare alla barca. E qui la sinergia è importantissima. Alcuni ragazzi hanno passato giornate su una barca attrezzata…” “Dove?” “Dalle parti di La Spezia, esattamente a Porto Lotti. Hanno visto paesaggi stupendi e si sono divertiti molto. Il dottor Meli ha preso il brevetto per navigare. Ci vorrà ancora tempo perché il progetto possa dare risultati.” “Altri esempi?” “Mettere in piedi una nuova squadra, come l’hockey in carrozzina. Oppure far partecipare la squadra di basket al Campionato italiano. Oppure organizzare una grande manifestazione sportiva, di nuoto, o di

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hand bike, o di basket. E ancora: stampare un giornale che racconti tutte queste cose. Produrre un video in cui si vedono le varie attività, le partite, le gare…” “Ma quanti soldi ci vogliono per realizzare tutti questi progetti?” “Tanti. Ma occorre soprattutto l’impegno di molte persone. È per questo che la Gioco presenta dei progetti a chi può finanziare. Sono gli sponsor. Sono loro che aiutano la Gioco. Ma vorrei accennare alcuni progetti speciali, nei quali la Gioco si è molto impegnata senza ricevere un Euro, solo perché crede nel valore delle persone.” “Ho sbirciato nei tuoi appunti. Mi lasci mettere i titoli?” “Ne hai facoltà.”

“Borsa lavoro” “Ci sono persone diventate disabili per malattia o per incidente. Alcune hanno perso il lavoro. Altre lo cercano per la prima volta. Hanno bisogno di periodi più o meno lunghi di esercizio lavorativo, per allenare e rinforzare le facoltà mentali, per imparare le pratiche di ufficio, come scrivere lettere e tenere la contabilità, nella speranza di recuperare l’abilità lavorativa e l’efficienza mentale, per potersi di nuovo inserire nel mondo lavorativo. Si rivolgono all’Agenzia Disabili del Comune, che fa un progetto con la Gioco. Queste persone si rimettono lentamente al lavoro negli uffici della Polisportiva, collaborando con la segreteria e con la redazione del giornale.”

“Ciao, Enrico. Cosa fai?” “Gioco a hockey con la carrozzina elettrica. Per alcuni anni ho fatto pratica nella segreteria della Gioco. Ho imparato tante cose. Poi mi sono presentato a un concorso e ho vinto. Adesso lavoro da impiegato. Mi faccio portare al posto di lavoro sulla mia carrozzina elettrica. Da poco ho il mio alloggio e sono completamente autonomo. Verrai a vedere la mia squadra quando gioco nel campionato?” “Certamente, Enrico. Ciao!” “Caro lettore, ci siamo capiti? Volevo dirti che progetti e sponsor vanno d’accordo. Niente sponsor, niente progetti. E spero che lo ricordino anche quelli che possono disporre di tempo libero: il tempo speso per gli altri è quello che ti dà le maggiori soddisfazioni.”

2007. Enrico Pastore durante una partita di Wheelchair hockey.

“Accoglienza disabili temporanei per riabilitazione” “Sovente capita che una persona, dopo un incidente o un’operazione, ha bisogno di nuotare per riprendere il tono muscolare e rimettersi in sesto. Questa si chiama terapia riabilitativa, che dura un certo tempo. Questa persona si rivolge all’Agenzia Comunale per i disabili o all’Azienda Sanitaria, da dove viene indirizzata alla Gioco, che mette a disposizione istruttori e spazi-acqua.”

2008. Enrico Pastore nel chiostro del Centro don Gnocchi.

2008, Parma, piscina di Via Moletolo. Giovanni Cuccuru caparbiamente impegnato nel lento recupero dell’efficienza fisica, dopo il gravissimo incidente di alcuni anni prima.

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“Qualcuno ha trovato poi lavoro?” “Sì, e questi sono stati i risultati che maggiormente ci danno soddisfazione. Sono vittorie grandi, più dei Mondiali e delle Olimpiadi, perché con il lavoro la persona disabile dimostra di essere alla pari degli altri e si rende autonoma. Un esempio per tutti: Enrico.”

2009. Il nuovo pulmino donato dai clienti dell’azienda SINED, che da anni rinunciano al pacco-regalo natalizio per azioni come questa.

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San Martino

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“Giò, la so tutta. La nebbia a gl’irti colli…” “piovigginando sale… L’hai imparata anche tu. La sappiamo tutta a memoria, vero? Ma non è il caso di ripeterla qui. Tutti i lettori la conoscono, soprattutto i più vecchi. Ma forse tu non sai che una volta, quando non c’erano i grandi palazzi condominiali con gli appartamenti di oggi, la gente conduceva una vita da poveri contadini in vecchie case in affitto con dentro le cose essenziali. Capitava spesso che dovessero traslocare, o perché il padrone li cacciava, o perché cercavano un altro lavoro e quindi un’altra casa. Il momento migliore per il trasloco era l’undici novembre, giorno di San Martino, perché c’era di solito un po’ di bel tempo e i lavori dei campi erano fermi.” “Ora ricordo. Fare San Martino vuol dire traslocare. L’ho visto nel film ‘l’albero degli zoccoli’.” “Proprio così. È toccato anche alla Gioco, perché il padrone ci ha cacciati via.” “E chi era il padrone? Non eravate voi, dopo tutti quei lavori che avete fatto?” “I lavori li abbiamo fatti noi, e abbiamo speso tanta fatica e tanti soldi. Ma la proprietà era sempre del Comune di Parma.” “E perché vi ha cacciati via?” “Il Comune ha fatto un progetto per riqualificare il quartiere…” “Riqualificare? Cosa vuol dire?” “Adattare edifici e strade alle nuove esigenze. Certi palazzi vecchi vengono abbattuti, altri ristrutturati. Si creano negozi, cinema…” “Cos’hanno fatto dove c’era la vostra sede?” “Tante cose: un parco, l’auditorium, l’ufficio per i matrimoni civili…” “Sono cose belle. Ma anche la vostra palestra e gli uffici erano cose belle e utili per la gente.” “Noi non avevamo niente in contrario per la riqualificazione del quartiere, ma gli amministratori del Comune, Sindaco per primo, non erano le stesse persone che ci avevano concesso i locali in questione. Si erano, diciamo così… dimenticati di noi. Purtroppo la lettera di sfratto ci è arrivata proprio mentre in città si svolgeva un’importante manifestazione per ‘l’anno europeo delle persone disabili’. Noi eravamo presenti come organizzatori, insieme a tante associazioni ed Enti. Ci siamo sentiti presi in giro. Ci siamo rifiutati di abbandonare i locali, fino a quando il Comune ha capito che avevamo bisogno di un’altra sede. Non è stata una cosa semplice e sono passati

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dei mesi. È stato come un braccio di ferro; si erano persino interrotti i lavori di riqualificazione. Poi il Comune si è deciso a trovarci un’altra sede, che è quella attuale nel Palasport.” “Ci sono stato, quando ho fatto la visita di medicina sportiva. Ma ho intravisto solo due stanze. Non avete più la palestra e le attrezzature per l’allenamento e per le feste.” “Purtroppo è così. Abbiamo accettato quelle due stanze solo perché non sapevamo dove andare e anche perché il Comune ha riconosciuto il valore degli edifici che avevamo ristrutturato a nostre spese e ci ha diminuito l’affitto. Però, come hai visto, sono locali adatti solo per uffici. Non ci si può fare altro. A malincuore abbiamo traslocato. Abbiamo portato tavoli, sedie, computer, armadietti, documenti, coppe, trofei, targhe, quadri. Ci siamo adattati nelle due stanze del Palasport, dove la gente viene malvolentieri, perché non c’è spazio per stare insieme come nella vecchia sede. In più per le carrozzine ci sono parecchie rampe. Uno in carrozzina va in bagno e deve lasciare la porta semiaperta. D’inverno il riscaldamento non funziona e bisogna accendere una stufa elettrica. D’estate non funziona il condizionatore. Se manca la corrente

lasport. Scivoli

2008. Parma, Pa

l’ascensore non funziona e le persone in carrozzina cosa fanno? Inoltre, e questo è il cacio sui maccheroni, il Comune ha messo in vendita il Palasport.” “Però nella nuova sede siete riusciti a fare tante cose.” “Ci mancherebbe altro! Abbiamo lavorato soprattutto come ufficio, mantenendo i vari settori di attività, anzi, facendone nascere degli altri. Non potendo svolgere attività sociale, abbiamo dato vita a stupende iniziative.” “Quali?” “Hand bike, Hockey, Vela, Paracadutismo e un giornale nuovo, ma ti racconterò nelle prossime pagine. Per ora ti basti capire la cosa più importante: abbiamo perso la dimensione sociale della Gioco. Non ci troviamo quasi mai insieme. Quando uno arriva in questa sede non sa dove fermarsi per fare due chiacchiere o per discutere su progetti importanti. Qui si viene solo per sbrigare le pratiche d’ufficio, l’iscrizione ai corsi e poi via subito. Vai a rivedere la nona puntata: tutte quelle belle attività con i ragazzi e con il quartiere, sparite.” “Perché non cercate un’altra sede?” “Bravo. È da un po’ che ci proviamo.”

2008. Parma, Pa lasport. Una de lle rampe di accesso agli uffici della Gioc o.

Il bagno 2008. Parma, Palasport. ttarsi. ada ono dev li abi a cui i dis

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2008. Parm a all’ascenso , Palasport. La ram pa intern re. ap

2007. Parm

a, Palasport

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. L’ufficio di

segreteria

della Gioco .

2007. Pa

La redazione rma, Palasport.

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. port-al Parma”

del periodico “S

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Eventi

2009. Flavio Spaggiari, responsabile del settore Hand bike, sull’argine del Po si prepara alla partenza della Marathon.

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“Giò, cosa sono gli eventi?” “Sono fatti importanti. La Gioco organizza ogni anno almeno una grande manifestazione di nuoto. Da quando è nato il settore dell’hand bike organizza anche una bella maratona sul Po. Noi li chiamiamo eventi.” “Delle gare di nuoto mi hai già parlato. Immagino che siano state tutte belle.” “Certamente. Di solito si concludevano con un bel pranzo, a volte anche con una bella festa, con musica, canti e balli.” “Ma i ragazzi non andavano più nelle altre città a fare le gare? Le facevano solo a Parma?” “Quella di Parma era una, importante, ma andavano in tutti gli altri posti dove le società organizzavano gare. E ottenevano sempre dei bei risultati, tornavano con le loro medaglie e portavano la coppa nella sede. Se vieni le puoi vedere, sono proprio tante. Ma perché parlo con i verbi al passato? Queste cose si fanno sempre; ancora adesso, mentre tu leggi, i dirigenti della Gioco sono in contatto con la Federazione e con tutte le società, si telefonano, mandano e-mail con il computer, prenotano alberghi per il pernottamento, chiamano i giudici di gara, cercano sponsor…”

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“Ho capito. Emanuele mi ha già raccontato, con molto entusiasmo, la Maratona sul Po. Ha detto che è la più bella in Italia. Vorrei sapere altre cose su questo sport.” “Chiedi a Flavio che è appassionato ed è anche responsabile dell’organizzazione.” “Flavio, tu vai sulla bicicletta a mano. Hai due spalle grandi, chissà come vai forte.” “C’è chi va più forte di me. Da quando ho perso una gamba in un incidente d’auto mi piace uscire in compagnia. Si fa gruppo. Si macinano chilometri rispettando i ritmi di tutti. Si chiacchiera. È una passeggiata. Si stabiliscono mete diverse, si vedono paesaggi sempre belli, si osservano cose che in macchina non si vedono. Si sperimenta a volte la sensazione di essere in armonia con la natura verde e silenziosa, respirando aria a pieni polmoni. C’è anche la fatica, il sudore, ma in un contesto soddisfacente, per cui si desidera poi uscire ancora per rinnovare il benessere.”

“Parli come un poeta, ma voi fate anche le gare.” “Tante gare e maratone, in tante città diverse: Carpi (che è stata la prima in Italia nel 1992), Treviso, Roma… La più bella è la nostra. La chiamiamo ‘Hand Bike Marathon Mondo Piccolo’, e già ti hanno spiegato perché.” “Sì, i paesi di don Camillo e Peppone!” “Bravo. Ogni anno è sempre più bella. La prepariamo insieme ai cinque Comuni interessati. Collaborano con noi altre associazioni. Le scuole sono interessate; i bambini e la gente vengono nei paesi a vederci passare. Nel 2008 ci ha aiutato il Rugby di Colorno, che ha messo a disposizione gli spogliatoi e un grande tendone per il pranzo. Avevano organizzato un pomeriggio di giochi e musica, ma durante il pranzo il tempo si è guastato ed è sceso un diluvio, che ha persino danneggiato qualche attrezzatura. Sono stati bravissimi: hanno servito il pranzo per quasi duecento persone, affrontando la pioggia che li ha inzuppati tutti, mentre noi stavamo felici al coperto.” “Quanti corridori siete?”

no. Era l’anno 2007, in una clinica di Brescia. C’era con noi anche Norberto, che ha imparato con noi questo sport e poi ha voluto fare un’impresa straordinaria attraversando gli Stati Uniti in hand bike, sulla famosa route 66, dall’Atlantico al Pacifico.” “Allora avete anche dei campioni?” “Qualche volta sì. Ma non è questo il nostro scopo. Corriamo insieme per divertirci e stare bene.” “Come ai primi tempi della Polisportiva. Non è cambiato niente, solo i mezzi più moderni.” “Bravo, hai capito qual è lo spirito della Gioco.”

2009, Colorno. L’arrivo dei primi due concorrenti che scendono dal ponte sulla piazza della Reggia Ducale. Hanno completato il percorso di 42 kilometri in un’ora e 13 minuti.

“Sulla vostra bici a tre ruote può andare anche uno che ha le gambe buone?” “Certo. C’è una categoria apposta.” “Nelle foto vedo alcuni che corrono sdraiati, altri seduti.” “Dipende dai muscoli, soprattutto addominali e dorsali, e dalle gambe. Pensa che abbiamo fatto una visita medica speciale, dove su una bici di prova ci hanno detto qual è la posizione migliore per ciascu-

2008. Dopo la terza edizione della Hand bike Marathon si banchetta all’asciutto nel capannone del Colorno Rugby, mentre fuori imperversa un diluvio memorabile.

2008. La squadra di Hand bike al completo, con Emanuella e Giuliana, prima di una gara.

2006. Hand bikers della Gioco in allenamento intorno al lago di Resia.

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“Il nostro è un gruppetto di una dozzina di persone. Ci sono anche due ragazze: Giuliana ed Emanuella, che sono pure brave nuotatrici. Nella maratona sul Po vengono un centinaio di concorrenti da tutta l’Italia.” “Vanno forte?” “I primi vanno fortissimo. Senti questa. Ci accompagnano tanti ciclisti dilettanti su due ruote, con bici da corsa, ma quasi nessuno vuole mettersi dietro ai primi hand bikers, perché fanno una media di 40 all’ora. Vanno sparati, come i ciclisti al Giro d’Italia.”

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Wheelchair hockey

2008. Monica Lippolis durante una partita.

“Giò, ci risiamo con i paroloni. Hockey lo capisco, ma l’altra parola?” “Significa sulla carrozzina elettrica.” “Me ne hai parlato un po’ nella prima pagina. Voglio saperne di più.” “Ecco chi può soddisfare la tua curiosità. Ti presento Monica, laureata in giurisprudenza, portiere della squadra; si diverte a scrivere la cronaca delle partite.” “Ciao, sono Monica. Anche se non posso camminare come te non ho mai perso la voglia di studiare e di affermarmi, come i miei compagni di squadra. Quasi tutti abbiamo titoli di studio e lavoriamo. Cosa ti interessa?” “Giò mi ha raccontato com’è nata la squadra e ha aggiunto che dopo le partite fate il ‘terzo tempo’, ossia mangiate e bevete insieme agli avversari e ai tifosi. Questo è bello. Ma come fate a giocare?” “Nella palestra viene delimitato un campo con spondine di legno, in modo che la pallina non si allontani. Siamo cinque contro cinque, di cui uno in porta. Le due porte sono piccole e basse: basta che ci passi la pallina, che è simile a quella da tennis, ma è dura e non rimbalza, perché deve rotolare sul pavimento, non volare. Se si alza, l’arbitro fischia fallo. È un gioco di squadra. Dobbiamo passarci la pallina e cercare la rete avversaria.” “Come fate con la carrozzina elettrica e le braccia che hanno poca forza?” “Qualche giocatore ha un braccio buono e può usare la mazza. Tutti gli altri hanno una paletta applicata alla pedana, per passare la pallina e tirare. Abbiamo anche il casco protettivo.” “Fate il campionato?” “Certamente. Andata e ritorno. Ci sono 18 squadre in Italia, divise in gironi secondo le zone geografiche, per evitare viaggi troppo lunghi. Nel nostro girone ci sono squadre di Torino, Genova, Bologna, Monza. Le squadre che vincono i gironi partecipano alle finali: allora sì che c’è da viaggiare, ma per ora non è il caso nostro. Le trasferte sono impegnative per il trasporto. Ma abbiamo degli amici volontari che ci aiutano, con Tonino in testa.” “Siete bravi? Fate tanti goal? Vincete molte partite?”

2008. Parma. Wheelchair hockey: azione di gioco in una partita di Campionato.

“Siamo bravissimi, perché non molliamo mai, anche

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se abbiamo sempre perso perché siamo la squadra più giovane e ancora inesperta. Quando facciamo un goal esultiamo come se avessimo vinto. Abbiamo vinto una sola partita, l’ultima del campionato nella primavera del 2009. È stato il premio più grande per noi e per i dirigenti. Continueremo.”

2008. Parma. Wheelchair hockey: riscaldamento prima della partita.

“Verrò a vedervi. Giò mi ha detto che i vostri amici fanno un tifo infernale. Dove giocate?” “Nella palestra di via Pintor, a Parma, dove ci alleniamo.” “Immagino che dovrete fare molti allenamenti se volete vincere.” “Certo. È il quarto anno che ci alleniamo. Il primo anno, nel 2005, abbiamo studiato le regole e fatto delle prove. Abbiamo capito il gioco, ma la cosa più bella è che siamo diventati amici. Ogni allenamento iniziava con il circolo: ognuno poteva dire quello che voleva, così abbiamo imparato a conoscerci e a rispettarci. Siamo una dozzina, usciamo insieme e ci divertiamo. Le vittorie arriveranno con il tempo, l’esperienza e l’impegno. Qualcuno con noi ha cambiato modo di vivere e adesso è più felice.”

2008. Parma. Wheelchair hockey: ultime indicazioni dell’allenatore prima dell’incontro.

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“Visto che non puoi raccontarmi le vittorie… raccontami qualche altra cosa.” “Una volta l’arbitro mi ha cacciata fuori dal campo perché… era sparita la pallina. Si era incastrata sotto la carrozzina, per una vite che sporgeva leggermente e aveva impedito che il tiro dell’avversario andasse in rete. Ma in un’altra partita abbiamo visto che il portiere avversario aveva la carrozzina troppo bassa e dopo due reti annullate e le nostre proteste l’arbitro si è deciso a far rispettare le regole. I nostri dirigenti hanno ottenuto dalla Provincia un box per ricoverare le carrozzine elettriche da gara. È stato collocato all’esterno della palestra. I lavoratori del cantiere della scuola gli hanno subito scaricato davanti cumuli di terra e macerie, mentre uno studente innamorato gli ha scritto sopra con lo spray il suo messaggio. La vicinanza di una scuola importante non è bastata a insegnare la buona educazione.”

La squadra di Wheelchair hockey della Gioco, al termine del suo terzo Campionato, concluso con la prima partita vinta (2009). Da sinistra: Giuliana Costanzo, Patrizia Lai, Monica Lippolis, Graziella Vitale, Marco Trivelloni, Nicolò Maini, Francesco Ilardo, Michele Timpano, Licinio Belli. Assenti: Simonetta La China, Marco Barba, Enrico Pastore. In piedi: allenatore, dirigenti e accompagnatori.

Emozioni

“Giò, non sarà mica la pagina delle lacrime, questa?” “Niente lacrime, tutt’altro. Certamente hai sperimentato che la pratica sportiva, oltre ai tanti benefici fisici e sociali, dà anche delle emozioni.” “Per esempio?” “Quando tenti di superare gli avversari, come in una gara di nuoto o di atletica. Quando con la tua squadra vuoi vincere la partita. L’esultanza della vittoria. Il dispiacere della sconfitta. Ma ci sono tante altre emozioni bellissime, quando vuoi provare un’esperienza nuova, quando vuoi superare te stesso.” “Anche per le persone disabili è così?” “Uguale. Come tutti. Anzi, certe esperienze sono ancora più emozionanti, quando il disabile fa una cosa che pochi fanno e che sembrava impossibile.” “Basta con la teoria. Voglio i fatti.” “L’automobilismo, di cui ti ho già parlato. Alcuni ragazzi con disabilità intellettiva hanno provato le emozioni dello sci. Altri, anche se privi dell’uso delle gambe, hanno sperimentato la canoa. Una ragazza in carrozzina, Simonetta, con le braccia un po’ malate, oltre a giocare con la squadra di hockey voleva tirare di scherma. L’abbiamo affidata alla società ‘La Farnesiana’, specializzata nella scherma. È diventata bravissima e ha conquistato il titolo di campione nazionale nella sua categoria.” “Ma si può gareggiare con due società diverse?” “Certamente. Non è l’unico caso. Ramona, bravissima nell’equitazione, si è aggregata alla nostra squadra di nuoto, riportando risultati brillanti con un braccio solo. Le emozioni non finiscono mai. Forse l’esperienza emotivamente più intensa, perché fortissima, brevissima e molto particolare è quella del lancio con il paracadute.” “Mi hai detto che qualcuno ci ha provato. Ma come hanno fatto senza l’uso delle gambe?” “Il paracadutista istruttore, molto esperto, ha imbragato la persona e l’ha legata davanti a sé con delle cinture, in modo da formare come un solo corpo. L’aereo ha portato tutti a 4500 metri di altezza, poi uno alla volta si sono lanciati i paracadutisti, singolarmente oppure in coppia come ti ho spiegato. Hanno fatto una capriola nell’aria e poi con le braccia si sono bilanciati come si fa nell’acqua, perché a quella velocità di discesa l’aria diventa quasi come l’acqua della piscina.” “Sì, ho provato a mettere la mano fuori dal finestrino dell’automobile ai cento all’ora.”

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“Proprio così. Per un po’ di secondi hanno come nuotato nell’aria, poi l’istruttore ha tirato la cordicella e il paracadute s’è aperto e lo ha pilotato fin sulla zona di atterraggio, dove alcuni aiutanti esperti hanno fatto in modo che Marco e Giuliana non toccassero terra con le gambe.” “Solo loro hanno provato?” “Anche Margherita, che non smette di cercare emozioni cimentandosi in tutte le imprese possibili. Con Marco e Giuliana c’erano degli amici accompagnatori, che si sono lanciati legati a un istruttore.” “Questo è avvenuto all’aeroporto di Parma?” “No, perché c’è traffico aereo. A Cremona è possibile, perché l’aeroporto è piccolino e c’è proprio una

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scuola di paracadutismo di gente di Parma. Roberto e Valerio, bravissimi istruttori, sono diventati nostri amici e sono disponibili a far provare queste forti emozioni a chi vuole.” “Ho visto un video bellissimo. Ma come hanno fatto a fare le riprese per aria?” “Un fotografo paracadutista si lancia insieme, con una piccola telecamera fissata sul casco. Quello che lui vede con gli occhi viene anche ripreso. È molto bravo a nuotare nell’aria in modo da vedere sempre la persona da riprendere.” “Giuliana e Marco non hanno avuto paura?” “Tutt’altro. Volevano rilanciarsi subito, ma siccome ogni lancio costa, aspettano altre occasioni.”

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1 - Anni Novanta. Canoa sul lago di Mantova. 2 - Simonetta La China, campionessa italiana di scherma, gioca anche nella squadra di Wheelchair hockey. Qui è ritratta in un momento di preparazione a una partita del Campionato 2006-2007. 3 - 2008. Aeroporto di Cremona. Giuliana Costanzo si accinge a salire sull’aereo per il lancio. 4 - 2008. Aeroporto di Cremona. L’atterraggio assistito di Marco Trivelloni. 5 - 2009, Montebelluna. Giuliana Spaggiari in gara. 6 - 2009. Una bracciata di Emanuella Vurchio in gara. 7 - 2009. Una partenza dorso di Ramona Broglia in gara.

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Fare centro

“Caro amico lettore, se mi hai seguito nelle pagine precedenti, hai capito come lavora la Gioco: accoglie le persone e come in un patto di amicizia offre loro la possibilità di miglioramenti e di benessere. Non fa questo per farsi vedere o per sentirsi lodare.” “Però, Giò, si vede quello che fate.” “Non c’è dubbio. Certe cose non si possono nascondere…” “…come una squadra di basket, o di hockey, di nuoto o di pallanuoto, come le bici a tre ruote che sfrecciano per le strade e attraversano i paesi…” “Esatto. Anche se devo confidarti che certe cose meno appariscenti sono a volte quelle più importanti. Alludo ai cambiamenti nelle persone. Gente che prima sembrava rassegnata a una vita chiusa e sulla carrozzina e invece con noi ha ripreso fiducia in se stessa e negli altri. Questi risultati li sappiamo solo noi ed è a questo che miriamo. Tuttavia il CONI, il CIP, i Comuni, gli Enti e le Associazioni hanno visto il nostro impegno e lo hanno premiato, con targhe, coppe e diplomi che ingentiliscono e rallegrano le fredde pareti di cemento degli uffici.” “Ora mi devi spiegare le sigle.” “CONI sta per Comitato Olimpico Nazionale Italiano. Raggruppa tutte le Federazioni sportive. CIP sta per Comitato Paralimpico Italiano, è collegato al Coni, si occupa di sport per le persone disabili. Prima si chiamava diversamente: FISHA (Federazione Italiana Sport Handicap), dal 1980 al 1990, poi ha cambiato nome in FISD (Federazione Italiana Sport Disabili) fino al 2003, quando è diventata CIP. La Gioco è affiliata al CIP, con il quale organizza le attività, le gare, le manifestazioni.” “Posso vedere qualche diploma?” “Ti accontento subito con qualche fotografia degli originali che puoi trovare in sede.” “Sono questi riconoscimenti che spiegano il titolo della puntata? Avete fatto centro!” “Bravo. E tanto per giocare sulle parole, ti racconto una cosa che… non c’entra (nel senso che non ci entra, che non sta nell’argomento di cui parliamo) e che però… centra. Centra il bersaglio. Cedo la parola a Beppe, il nostro campione di tiro a segno con la pistola.” “Ora mi vedi in carrozzina, ma da giovane ho fatto il servizio militare ed è allora che ho imparato a usare

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le armi. Poi ho lavorato fino a quando un grave incidente sul lavoro mi ha privato dell’uso delle gambe. Ho conosciuto i ragazzi della Polisportiva fin da quando è nata, 25 anni fa. Ho provato molti sport: atletica, ping-pong, tiro con l’arco, basket, ma solo nel tiro a segno ho trovato piena soddisfazione.” “Fai delle gare?” “Gare e campionati, in Italia e all’estero. Nel 1991 sono stato convocato nella nazionale italiana. Ho partecipato ai campionati internazionali di Londra classificandomi al 4° posto assoluto. Una grande soddisfazione. Da allora per qualche anno ho gareggiato sempre con la nazionale italiana, fino al 2006: gli anni passano per tutti… anche per me.” “Ti alleni? E dove?” “Al poligono di tiro, a Parma. Lì ho trovato molti amici.” “Ma tu sei l’unico che fa tiro a segno nella Gioco?” “Proprio così. Penso che ognuno pratica lo sport che gli è più congeniale.” “Mi sembra di essere un giornalista che ti fa l’intervista.” “Se vuoi parliamo anche di giornalismo, magari in un’altra puntata. Per ora posso lasciarti questa dichiarazione. Ho avuto premi e riconoscimenti, ma le soddisfazioni più durature mi sono venute per altri motivi, che ora ti spiego. Nella Gioco ho ricoperto più volte ruoli di responsabile e consigliere. Ho sempre creduto in questa società che tanto ha dato alla città di Parma e tanto ai numerosi ragazzi che l’hanno frequentata. Adesso con entusiasmo collaboro alla redazione del nostro giornale ‘Sport-al Parma’ e sono contento del contributo che posso dare.”

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2009, Parma, Poligono di Tiro. Beppe Colao in allenamento.

2007, Bologna. Beppe Colao al tiro nella gara di Campionato Italiano.

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Sport-al Parma

“Caro lettore, la Gioco è come il vino spumante nella bottiglia: più cerchi di tapparlo, più ti scappa. Da anni costretta dentro quattro muri di un ufficio, è esplosa in nuove attività. Sono nati i settori di hand bike e di hockey in carrozzina, sono attivi i settori promozionali di vela e di paracadutismo e finalmente è nato un giornale, un periodico, dopo tanti tentativi più o meno riusciti degli anni precedenti.” “Si chiama come nel titolo: Sport-al Parma? Me lo spieghi?” “Te lo faccio spiegare da Beppe, non il campione del tiro a segno, un altro Beppe, un professore in pensione, che da quando abita a Monticelli Terme ha rivoluzionato il paese costruendovi un centro sociale chiamato Punto Blu. Lascio la parola a lui.”

2007. Il primo numero del periodico “Sport-al Parma”.

2008. Beppe Dello Russo.

“Ciao. Sono nato in Puglia, ma da una vita sono da queste parti.” “Sei mancino?” “Sì, la destra me l’ha portata via un residuato bellico quando ero un ragazzino. Per questo sono venuto a Parma, al centro don Gnocchi, dove ho imparato che se dài una mano alle persone giuste, loro diventano il tuo braccio destro. Insieme abbiamo realizzato tante cose stupende, e non abbiamo mai finito.” “È vero che hai fatto un giornale?” “Il giornale del Punto Blu, che è diventato il giornale di Monticelli. Forte di questa esperienza, volentieri ho detto di sì quando Gaetano mi ha chiesto se lo aiutavo a fare il giornale della Polisportiva.” “Da solo?” “Ho subito trovato amici e collaboratori: una decina di giornalisti, molto noti a Parma, che mi hanno assicurato il loro aiuto. E mi sono appoggiato al mio amico Antonio, anche lui professore in pensione, al quale ho insegnato quello che io ho imparato.” “Perché avete fatto un giornale nuovo e perché l’avete chiamato così?” “È spiegato nel sottotitolo: sportivamente altro, ossia raccontare cose sportive, ma non solo. Vogliamo interessare le società sportive minori, quelle che hanno meno visibilità sui quotidiani. Vogliamo diffondere l’immagine positiva della persona disabile che fa sport e si occupa dei problemi degli altri. Vogliamo dare visibilità alla Gioco, che per oltre 25 anni ha

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operato con umiltà e costanza, dando un contributo determinante nel migliorare il modo di guardare la persona disabile. Ci occupiamo anche delle cose che non vanno bene, nella rubrica “il nodo al fazzoletto”; segnaliamo il problema a chi deve risolverlo e torniamo alla carica finché non si risolve.” “Mi racconti una cosa finita bene?” “Certo. Il mio amico Antonio da molto tempo si lamentava che la porta del condominio era stretta, la carrozzina non passava e lui doveva aspettare che qualche persona gli aprisse l’altra mezza porta. Ha passato anche qualche notte fuori. Ci siamo mossi con il giornale e in poco tempo Antonio è stato accontentato. Hanno rifatto la porta, più larga. Eccolo in due foto, prima e dopo.”

“Come fate a stampare il giornale?” “Nell’ufficio abbiamo messo dei computers con dei programmi apposta per impaginare il giornale. Raccogliamo gli articoli e le foto che i nostri collaboratori ci mandano via e-mail. Completiamo scrivendo quello che riteniamo opportuno di volta in volta. Quando vediamo che sul computer il giornale è pronto, con gli articoli e le foto, lo carichiamo in una chiavetta e lo portiamo alla tipografia, che ce lo stampa.”

2007. Una fase della spedizione in abbonamento postale di “Sport-al Parma”.

“E poi li vendete?” “Li spediamo per posta, più di un migliaio. Molti li regaliamo, a scopo promozionale. Chiediamo alla gente di abbonarsi e cerchiamo inserzionisti, ossia amici che ci sostengono finanziariamente in cambio della pubblicità che gli facciamo.” “Tu sei il capo e farai sempre questo giornale?” “L’ho solo avviato e mi sono già staccato, perché sono molto occupato e ho visto che ormai hanno imparato. C’è anche l’altro Beppe che ci lavora per le immagini e soprattutto Jerry, che è bravissimo nella grafica. Loro poi troveranno altri collaboratori. Quando sarai cresciuto potrai dare una mano anche tu.” “Che bello, fare il giornalista!” “Magari potrai specializzarti in informatica e occuparti di aggiornare il sito internet della Gioco, sul quale ci sta anche il giornale.” “Affare fatto. Però dammi il tempo di crescere!” “Certamente. Intanto ho visto che i ‘ragazzi’ della Gioco continuano ad essere effervescenti. Hanno prodotto un bel DVD che in soli 22 minuti racconta 25 anni di storia della Polisportiva. L’ho visto, è bellissimo. Filmati, commenti e musica stupendi. Profes-

sionali, tanto per capirci. Spero che riescano ad abbinarlo a questo libro, così potranno vedere e divertirsi anche i tuoi amici che non hanno tempo o voglia di leggere. Ti saluto. Mi aspettano a Monticelli.” “Al Punto Blu? Verrò a trovarti.” “Ci sono tanti ragazzi là. Fanno giochi e doposcuola. Ciao, ti rivedrò volentieri.” “Ciao, Beppe!”

2009. Beppe Dello Russo ritratto al Punto Blu di Monticelli Terme, durante la premiazione del secondo Corso per cuochi.

2007, settembre. Parma. Antonio è pensieroso: non può passare da solo dalla porta del condominio.

2007, ottobre. Parma. Antonio è felice: può finalmente passare. È stato sciolto il “nodo al fazzoletto”. 2008. Lavoro di squadra per la spedizione di “Sport-al Parma”.

2008. Redazione del giornale: il maestro e l’apprendista.

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Genitori e figli

2009, Noceto (PR). La dottoressa Laura Lentini nel suo studio.

“Giò, ma cosa c’entrano i genitori se lo sport lo facciamo noi?” “Te le compri coi tuoi soldi le scarpe da calcio o la tuta da judo? Chi ti porta in macchina alla partita o in palestra? Chi paga l’iscrizione ai corsi di nuoto?” “Be’, questo si sa, i genitori ci sono apposta…” “I genitori pensano anche ai soldi e ai trasporti, ma fanno cose più importanti di cui tu neanche ti accorgi, proprio perché tutto ti sembra normale. E quando c’è un figlio disabile i loro impegni sono ancora più grandi.” “Perché devono stargli sempre vicino?” “Non solo. L’argomento è delicato e vorrei te ne parlasse Laura.” “Quella dei mondiali di nuoto? Ma lei era una bambina, cosa ne sa?” “Era una bambina, allora. Oggi è una dottoressa, laureata in psicologia. Ha fatto studi proprio su questo argomento e lavora per aiutare le famiglie con figli disabili. In queste foto la vedi nel suo studio, con accanto la mamma. Laura è stata sempre aiutata e stimolata dai genitori, con i quali ha fatto tanta strada. Pensa che non abita più con loro: una scelta impegnativa decisa insieme. Ma lascio parlare lei.” “Eccomi, sono Laura. Hai letto questo libro fin qui, bravo, e mi hai ritrovata, cresciuta.” “Io non pensavo… dottoressa… lei…” “Dammi pure del tu. Ti dirò tante cose a proposito dei genitori che hanno figli disabili. Ho vissuto queste esperienze sulla mia persona e sono felice di aiutare altre famiglie con il mio lavoro.” “Tu sei nata così o hai avuto un incidente?” “Alla nascita sembravo normale, ma si sono accorti subito che qualcosa nei movimenti non andava. Bravissimi i medici, che hanno trovato la causa, l’hanno detto ai miei genitori nella maniera giusta (purtroppo devo dirti che non tutti i medici hanno questa delicatezza) e hanno saputo guidarli bene affinché io crescessi nel modo migliore.” “Come fai ad aiutare le famiglie?” “Spiego ai genitori certe cose a cui non pensano, perché troppo preoccupati per la salute del figlio. Dico loro che la prima risorsa per affrontare i problemi nuovi è dentro di loro, nel loro progetto di coppia. Devono parlarsi e percorrere insieme un cammino difficile, facendosi aiutare anche dagli altri. Questo cammino ha cinque tappe, come le dita della tua

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mano. Ecco qua: il pollice. In primo luogo devono affrontare la diagnosi fatta sul bambino dai medici, che certe volte piomba addosso ai genitori come una sentenza di condanna, tutto il contrario dei loro sogni quando aspettavano la nascita del figlio. Lo immaginavano bello e sano, invece…” “Si arrabbiano?” “Non ancora. La prima reazione (secondo dito) è quella di negare il fatto, cercano di convincersi che i medici si sono sbagliati. Poi capiscono (terzo dito) e sono presi da un immenso dolore, contro cui non possono fare niente, si arrabbiano, si sentono isolati, si danno la colpa a vicenda marito e moglie e se la coppia non è ben solida arrivano anche a separarsi.”

Laura Lentini con la mamma.

“Dunque, prima di sposarsi devono essere disposti anche ad accettare un figlio non sano.” “Bravo, hai capito bene: questo è amore vero. Quando due si sposano non devono farlo solo per una vita piacevole e comoda. E veniamo al quarto dito. Se la coppia è forte, supera la crisi e cerca fuori gli aiuti: scuola, servizi sociali, cure specialistiche, gruppo di amici, attività sportive… “ “Per questo molti genitori mandano i figli alla Gioco a fare acquaticità.” “Così è stato anche per me e per Giorgio. Hai visto che traguardi abbiamo raggiunto? Ed eccoci al quinto ed ultimo dito: l’accettazione attiva. I genitori coinvolgono anche gli altri figli, se ve ne sono, perché non devono sentirsi trascurati a vantaggio solo del più debole. Così la famiglia cresce unita. Ma non finisce

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tutto qui. C’è una vita davanti. Arrivano difficoltà nuove. I genitori devono incontrare altri genitori con problemi simili. Devono scambiarsi le esperienze. Si fanno aiutare da specialisti, non solo medici, ma anche psicologi, come me.” “E tu cosa gli dici?” “Li faccio parlare. Devono narrare la loro storia. Io li guido a capire, a vedere meglio prima di tutto se stessi, a guardarsi in un modo diverso e più profondo. Dopo è più facile risolvere i problemi dei figli. Più i genitori crescono e sono forti, più vantaggi hanno i figli, specialmente quelli disabili. Così è stato per la mia famiglia e per molte altre. I miei genitori mi hanno aiutato a fare un percorso simile a quello che hanno fatto loro. Anche per me non è stato facile capire i miei limiti, accettarli, superare la rabbia per non poter giocare come gli altri, reagire e costruire la mia vita con le risorse che mi restavano e che i genitori mi hanno stimolato a scoprire.” “Sei stata bravissima, anche i tuoi genitori. Io non credevo…” “Conosco famiglie molto simili alla mia. Storie diverse, ma tutte simili in quel percorso che ti ho spiegato sulle dita di una mano.” “Vorrei conoscere qualche altra storia.” “Ti accontento subito perché Giò mi sorride e dice che c’è solo l’imbarazzo della scelta. Lui mi suggerisce le storie di Patrizia e di Monica, due ragazze stupende. E ci fermiamo lì, altrimenti dovremmo scrivere un altro libro.” “Monica, quella dell’hockey, che scrive anche sul giornale?” “Esatto. Cominciamo da lei. Eccola.”

2009, Soragna, Giornata del Volontariato. Primo piano di Monica Lippolis durante la partita amichevole con la squadra di Albenga.

“Mi sei simpatico con le tue domande curiose.” “Dimmi dei tuoi genitori e se fai l’avvocato e dove abiti.” “I miei genitori sono meravigliosi. Mi hanno dedicato molto tempo durante la mia infanzia, tra fisioterapia, interventi chirurgici e visite mediche, senza mai dimenticare mio fratello Lorenzo, che per merito loro non si è mai sentito emarginato come spesso accade a molti fratelli dei portatori di handicap. Mi hanno insegnato a non pretendere che tutto mi sia dovuto a causa della mia disabilità. Hanno lottato contro tutto e tutti per garantirmi una perfetta integrazione scolastica. Ricordo ancora con immensa gratitudine la discussione fatta in consiglio di classe per evitare che venisse approvata una gita a Pompei proposta da docenti poco attenti alle mie esigenze. Hanno sempre assecondato le mie tantissime passioni, qualcuna ammetto che è un po’ pazza. La loro severità ha aumentato la mia caparbietà e tenacia nel perseguire i miei obiettivi. L’unica cosa che fatico a comprendere del nostro bellissimo rapporto è la loro difficoltà ad accettare la mia voglia di indipendenza. Grazie a loro sono stata una bambina felice e penso di essere diventata una donna matura e responsabile, capace di affrontare la vita anche se dal basso di una carrozzina. Oggi lavoro nell’ufficio legale di una grande azienda ed abito ancora nella casa dei miei genitori. Il loro amore li porta a volermi evitare ogni difficoltà, ma così forse mi impediscono di gustare la pienezza della vita. Non vedo l’ora di spiccare il volo, come un uccello dalla gabbia aperta.” “Sei forte, Monica. Ce la farai.” “Grazie. Ora ti lascio con Patrizia, mia compagna di squadra.” “La mia storia è lunga e Giò mi ha detto di farla stare in poche righe. Come facciamo?” “Immagino che tante cose siano simili alla storia di Monica. Perciò dimmi solo quelle diverse.” “Ottima idea. Per cominciare ti dico che sono nata in Sardegna e che quella bellissima regione, come altre dell’Italia del sud, era un po’ indietro in fatto di mentalità e di cure per persone disabili. Io ho preso la poliomielite da piccola e ho avuto la fortuna di una famiglia che ha potuto portarmi a Bologna, Parma, Firenze, Roma alla ricerca di strutture adatte al mio

caso per interventi chirurgici, riabilitazione, tutori ortopedici (scarpe speciali, busti, carrozzine), e per la scuola, a volte accolta a volte rifiutata. Allora molte famiglie tenevano i figli disabili nascosti in casa. Se ne vergognavano per pura ignoranza. Quei pochi che si vedevano in giro, se sostavano in carrozzina vicino ad una chiesa venivano regolarmente scambiati per mendicanti. I miei genitori non mi hanno mai tenuta nascosta. Mi hanno fatto studiare anche in istituti privati, a pagamento. Negli anni ’80 ho frequentato il liceo artistico. Mia madre mi accompagnava ogni giorno e poiché la scuola era piena di gradini mi portava su per le scale in braccio. Ho cominciato a partecipare a movimenti pacifisti e non violenti, coltivando un certo spirito di ribellione, coscienza sociale e solidarietà . Mi ricordo le stupidate che ho raccontato a mia madre per giustificare la mia partenza per una marcia pacifista a Roma. Ho attraversato periodi di crisi. Con la mia disabilità mi chiedevo cosa potessi fare per gli altri. Abitavo lontano dalla città, ero isolata. Terminata la scuola superiore, consigliata anche da amici, decisi di affrontare seriamente i miei obiettivi: università, laurea, lavoro, autonomia. Iscritta alla facoltà di Medicina e chirurgia non ero per nulla facilitata alla frequenza. Sono sempre stata uno spirito ribelle e la mia famiglia preoccupata per me mi aveva chiuso in una bellissima gabbia di vetro che mi stringeva sempre di più. Partii per Parma per continuare gli studi in medicina e inseguire il mio sogno: fare il medico, seppure in carrozzina ma medico.” “E ci sei riuscita?” “Certamente.” “Grazie, Patrizia. Verrò a vederti quando giochi le partite di campionato di hockey e farò il tifo per la tua squadra.” “Ne abbiamo bisogno! A proposito, devo aggiungere che l’esperienza sportiva nella Gioco per me è bellissima. Faticosa all’inizio, perché gli allenamenti seguivano un’intensa giornata di lavoro e di studio, però mi hanno aiutato gli amici volontari e i compagni di squadra. Il gioco di squadra somiglia al mio lavoro di medico presso la Direzione Sanitaria dell’Azienda Ospedaliera di Parma: il risultato finale è frutto dell’impegno di ciascuno, chi fa gol non è più importante degli altri che gli hanno servito la palla.”

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“Caro lettore, riprendo la parola per concludere questa pagina. I genitori non nominati, quasi nascosti nei racconti delle figlie, sono il simbolo di tutte quel-

le migliaia di genitori che affrontano con impegno situazioni difficili e accompagnano i figli alla loro piena realizzazione.”

Nuova sede per una nuova generazione in Gioco

2009, Soragna, Giornata del Volontariato. Azione di gioco durante la partita amichevole con la squadra di Albenga.

2008. Palasport. Ufficio di segreteria: la stufetta elettrica sostituisce l’impianto di climatizzazione da anni inefficace.

2008. Palasport. Ufficio di redazione. Negli spazi ristretti si lavora per preparare il materiale di premiazione della Hand bike Marathon.

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Il Libro di Giò

“Giò, troppe parole. Non ci capisco più niente.” “Andiamo con ordine. Secondo te, in queste due stanze del Palasport che noi chiamiamo uffici, si può organizzare una festa per la gente del quartiere?” “Impossibile. Non c’è spazio, non c’è la cucina, mancano le attrezzature…” “OK. Si può organizzare una cenetta con duecento soci della Gioco?” “Peggio ancora.” “Possiamo far salire trenta persone in carrozzina, con un solo ascensore, con scivoli a non finire, con un bagno solo per loro, per di più stretto, con un parcheggio distante…” “Basta, ho capito, volete una sede come quella vecchia di Viale Barilla.” “Vogliamo essere vivi in un quartiere, insieme alla gente, senza differenze, pronti ad accogliere tutti, ogni giorno, disponibili ad animare feste e gioiosi momenti di ritrovo.” “E lo sport?” “Anche quello, se c’è abbastanza spazio. Altrimenti le attività sportive si fanno altrove, nelle piscine, nelle palestre …” “Ma il Comune quando vi aveva fatto fare San Martino non vi aveva promesso?…” “Esatto. Ci speriamo ancora. Sarebbe bello che leggendo questa pagina tu potessi dirmi che hai visto la nuova sede, spaziosa, piena di gente.” “Sarei contento e ci verrei a giocare. Ma spiegami il resto del titolo: una nuova generazione in Gioco.” “Semplice. Quelli che nel 1983 erano ragazzi, oggi hanno circa 50 anni. Per 25 anni, il tempo di una generazione, hanno dato, molto. Ora invecchiando hanno ancora tante idee, ma meno forze. Chiedono che altri giovani si affianchino e prendano il loro posto, per continuare nella stessa strada, con lo stesso spirito, con rinnovato entusiasmo, senza paura, mettendosi in gioco…” “Mettersi in gioco vuol dire rischiare?” “Proprio così. La Gioco è un patrimonio di valore inestimabile, perché non è un edificio, ma è fatta di persone, che credono nei valori delle persone, tutte, senza differenze basate sull’abilità o disabilità. Questo patrimonio costruito in 25 anni non deve andare disperso. Ci deve pur essere una nuova generazione che lo eredita e lo accresce.” “Ma già avete fatto nascere a Parma e in regione altre società sportive…”

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“È vero, ma non ci basta. Con la nostra attività, mettendo insieme disabili e non, abbiamo cercato di ridurre e cancellare le differenze, abbiamo contribuito ad abbattere le barriere più pericolose: quelle mentali. Vogliamo essere sempre attivi e attenti ai pro-

blemi della gente, a volte scocciando le persone che governano…” “Siete dei rompiscatole?” “Quando occorre. Per costruire. Per migliorare. Per ‘giocare’ insieme. Per essere Gioco.”

2009. Dopo la festa di chiusura del 25° anno di attività, la bimba con in mano il DVD del 25° della Gioco manda un messaggio di speranza e di continuità.

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atleti agonisti

I professionisti e giornalisti volontari, i responsabili a vari livelli nella gestione della Gioco, gl’istruttori e i tecnici qualificati, gli atleti agonisti, sfilano in ordine alfabetico sotto gli occhi del lettore adulto intenzionato a trovare una risposta al quesito che s’impone al termine di questa bella storia: ma dove ha trovato la Gioco le ingenti risorse umane necessarie a una così vasta e qualificata attività? Giò risponde con i numeri e i nomi, in due distinti elenchi, chiedendo scusa per le inevitabili omissioni e per qualche inesattezza. La forza della Gioco sono le persone. ATLETI

SETTORE

Ciaccia Vito

Nuoto

Civa Lara

Nuoto

Colao Giuseppe

Atletica

Comità Pasquale

Atletica

Corradi Stefania

Nuoto

Costanzo Giuliana

Wheelchair hockey

Curatolo Michele

Nuoto

De Angelis Norberto

Hand bike

De Fazio Angelo

Atletica

De Gregorio Antonio

Basket

Del Frate Natalie

Nuoto

De Magistris Federico

Nuoto

De Nora Antonio

Nuoto

Delpiano Francesco

Nuoto

Dicorato Damiano

Atletica

Diemmi Michela

Nuoto

Di Mauro Sebastiano

Atletica

Di Nella Roberto

Nuoto

Domenicone G.Paolo

Atletica

Alabrese Sergio

Nuoto

Allegretti Tommaso

Basket

Allio Renato

Atletica

Andreotti Francesca

Nuoto

Andriani Nicola

Atletica

Donato Vito

Nuoto

Antonaci Salvatore

Atletica

Doto Raffaele

Pallanuoto

Antonini Walter

Basket

Ducoli Giulio

Atletica

Ardemagni Marco

Basket

Fagioli Luca

Basket

Artoni Renzo

Hand bike

Faroldi Cecilia

Basket

Avinio Mario

Atletica

Basket

Fascina Luciano

Atletica

Bardiani Claudio

Atletica

Tennis Tavolo

Ferrari Manuel

Basket

Baroni Matteo

Nuoto

Ferrari Matteo

Nuoto

Bassi Maurizio

Basket

Filisetti Sonia

Nuoto

Belaeff Alessandro

Atletica

Follini Gian Marco

Atletica

Belli Licinio

Basket

Nuoto

Franchina Sebastiano

Basket

Bergenti Marco

Nuoto

Pallanuoto

Franzago Stefano

Atletica

Berni Paolo

Nuoto

Fricano Patrizia

Nuoto

Bianchi Alessandro

Nuoto

Galvani Mariachiara

Atletica

Bortone Domenico

Atletica

Gamberini Marta

Nuoto

Boscaini Laura

Nuoto

Gazzi Matilde

Nuoto

Bottazzi Danilo

Basket

Giacopinelli Mattia

Nuoto

Broglia Ramona

Nuoto

Giarelli Fabio

Bronzoni Claudio

Nuoto

Brozzi Natascia

Nuoto

Buonavoglia Andrea

Basket

Buscemi Giovanni

Atletica

Calzolari Enrico

Nuoto

Castriotti Franco

Basket

Casu Margherita

Atletica

Catena Donatella

Atletica

Cervi Giorgio

Nuoto

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Il Libro di Giò

Nuoto

Tennis Tavolo

Nuoto

Nuoto Hand bike

Basket

Nuoto

Hand bike

Basket

Wheelchair hockey

Tennis Tavolo

Tiro a segno

Pallanuoto Nuoto

Atletica

Basket

Pallanuoto

Tiro con l’arco Nuoto Nuoto

Nuoto

Basket

Nuoto

Atletica

Tennis Tavolo

Goresi Marcello

Atletica

Nuoto

Pallanuoto

Guatelli Davide

Nuoto

Gurrado Vincenzo

Basket

Ilardo Francesco

Basket

Incerti Dina

Nuoto

La China Simonetta

Wheelchair hockey

Lai Patrizia

Wheelchair hockey

Lanzilotti Pietro

Atletica

Lazzaro Raffaele

Nuoto

Hand bike

Nuoto

Il Libro di Giò

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Lentini Laura

Nuoto

Pompini Luciano

Nuoto

Leonetti Francesco

Nuoto

Proscia Grazia

Nuoto

Ligorio Michele

Basket

Racanelli Andrea

Basket

Lippolis Monica

Wheelchair hockey

Raimondo Stefano

Nuoto

Loppi Massimo

Basket

Reggio Armando

Atletica

Lo Presti Gaetano

Nuoto

Pallanuoto

Restuccia Domenico

Basket

Losciale Aldo

Atletica

Nuoto

Reviati Chiara

Nuoto

Lupo Rodrigo

Atletica

Tennis Tavolo

Rizzi Gian Maria

Nuoto

Magnani Filippo

Nuoto

Robustelli Paolo

Tennis Tavolo

Maini Nicolò

Wheelchair hockey

Romano Davide

Atletica

Malangone Gerardo

Basket

Russo Thomas

Nuoto

Mambriani Luca

Nuoto

Sacchetti Valerio

Basket

Mambriani Michele

Basket

Salvemini Dora

Atletica

Manfredi Maicol

Nuoto

Santi Sandro

Tennis Tavolo

Manghi Barbara

Nuoto

Santilli Maria

Tennis Tavolo

Mariano Francesco

Atletica

Nuoto

Scauri Mariano

Nuoto

Marini Claudio

Atletica

Basket

Sfragano Giacomo

Basket

Masiello Nicola

Nuoto

Sfregola Vincenzo

Atletica

Tennis Tavolo

Massari Angelo

Hand bike

Sillani Massimo

Atletica

Nuoto

Mazza Carolina

Nuoto

Silvi Antonio

Nuoto

Pallanuoto

Mazzoni Francesca Rita

Nuoto

Simonini Imer

Nuoto

Atletica

Melegari Thomas

Wheelchair hockey

Sottili Sabrina

Nuoto

Men Chrin Yaran

Atletica

Spaggiari Flavio

Hand bike

Menegatti Marco

Atletica

Spaggiari Giuliana

Nuoto

Hand bike

Merlino Fabio

Wheelchair hockey

Squillante Domenico

Nuoto

Pallanuoto

Miraglia Antonio

Tennis Tavolo

Straniero Rosaria

Nuoto

Mora Davide

Nuoto

Tedeschi Francesca

Atletica

Mora Federica

Nuoto

Tesauri Andrea

Nuoto

Mori Cristian

Basket

Ticca Francesca

Atletica

Morini Giulia

Nuoto

Ticca Pasquale

Atletica

Nicolini Francesco

Basket

Timpano Michele

Wheelchair hockey

Nicolini Marco

Atletica

Nuoto

Basket

Tolentino Vincenzo

Atletica

Nodello Giuseppe

Atletica

Nuoto

Basket

Trivelloni Marco

Wheelchair hockey

Panebianco Giuseppe

Nuoto

Umo Rodolfo

Nuoto

Pasini Nicolò

Nuoto

Valente Luca

Nuoto

Pastore Enrico

Wheelchair hockey

Valente Luigi

Atletica

Pellegri Laura

Nuoto

Varoli Elena

Nuoto

Perrino Antonio

Atletica

Vignola Nicola

Atletica

Perrotta Nicola

Atletica

Vitale Graziella

Wheelchair hockey

Pertino Salvatore

Nuoto

Vitali Luca

Nuoto

Petrignano Salvatore

Nuoto

Vitelaru Ana Maria

Basket

Piarulli Tommaso

Atletica

Voghera Barbara

Nuoto

Piccione Anna

Basket

Vurchio Manuella

Nuoto

Picucci Francesco

Nuoto

Zaccarelli Mattia

Nuoto

Pirisi Paolo

Nuoto

Pallanuoto

Zanardi Olmo

Nuoto

Pistonesi Giannino

Nuoto

Pallanuoto

Zoppi Maurizio

Atletica

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Il Libro di Giò

Hand bike

Nuoto

Nuoto

Nuoto

Tennis Tavolo

Pallanuoto

Tennis Tavolo

Nuoto

Basket

Nuoto

Basket

Nuoto

Hand bike

Basket Basket

Pallanuoto

Pallanuoto

Tennis Tavolo

Hand bike

Nuoto

Pallanuoto

Il Libro di Giò

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Responsabili e professionisti

Aimi Nadia Aldigeri Pier Giorgio Alfieri Gabriele Amatobene Walter Amedani Alice Anedda Alberto Antoniazzi Maurizio Antonini Walter Artoni Bruna Avinio Mario Balestrazzi Gabriele Balossino Giovanni Barozzi Sara Bassi Maurizio Bellè Gian Franco Bellingeri Carlo Bellingeri Rita Beltrami Lorenza Bergenti Marco Bertoni Francesca Bettordi Paolo Bianchi Cristian Bianchi Guido Bigi Rossella Bocchi Danilo Bottazzi Danilo Bottioni Matteo Briguglio Roberto Burani Silvia Bussetta Giovanni Bussolati Davide Caivano Innocenzo Calabrese Francesco Campari Giovanni Capretti Alessandro Carini Giulia Carlassare Anita Casu Margherita Catellani Anna Lisa Cavalca Fabio Cavalli Monica

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Il Libro di Giò

Cavalli Stefano Cavallo Francesco Cerri Francesca Cervi Roberto Civa Delfonte Ilaria Colao Giuseppe Coperchini Massimiliano Copertini Chiara Corlianò Michela Cornara Corrado Croce Vincenzo Croce Vittorio Cuccuru Giovanni Curatolo Michele Daffadà Sonia Dal Zio Stefania Dallargine Rosaria Dall’Olio Francesco Del Sante Claudia Delia Antonio Dello Russo Giuseppe Di Buono Pietro Di Rini Alessio Durante Daniele Esposito Giuseppina Fagioli Luca Ferrari Lorenzo Ferrari Stefania Ferri Mirella Follini Franco Franceschetti Antonio Frontera Mariateresa Gagliardi-Rotelli Samuela Galeazzi Marco Galluccio Filippo Gandolfi Giorgio Ghillani Devilio Ghillani Luca Ghiretti Giulia Giacopinelli Giuliano Gibertini Daniele

Greci Michela Grom Igor Grom Ludmila Huller Filippo Ievolella Antonio Imbimbo Stefano La Manna Fausta Lentini Danilo Leoni Elisa Li Vigni Rossella Lippolis Monica Lo Presti Francesco Lo Presti Gaetano Lo Presti Gerlando Lo Presti Natale Longhi Lorenzo Lurisi Roberto Macannelli Corrado Mambriani Valentina Mancino Ilaria Manghi Mariangela Maresi Luca Marra Daniela Masia Giovanni Medioli Tonino Melegari Danila Meli Sandro Melli Gianni Menegatti Marco Menozzi Massimo Migliardi Giulia Min-hin Nadege Montali Camilla Montanini Carlotta Monti Gianna Morestori Luigi Morini Corrado Mulè Antonio Nicola Andrea Nicolini Francesco Nicolini Marco

Notari Ilaria Novelli Lorenzo Pacifico Danilo Pagliari Riccardo Panato Demis Panciroli Francesca Panizzi Andrea Panizzi Francesco Panizzi Mirco Parente Nicola Pasquali Gian Carlo Pastore Enrico Pattini Federica Pattini Remo Pellicano Antonio Pertino Salvatore Piancastelli Chiara Piazza Elisa Picone Fabrizio Pignoli Paolo Pinardi Sebastiano Piovani Sandro Pirisi Paolo Pizzarotti Angelo Pizzarotti Ilaria Posillipo Giuseppe Postiglioni Lucia Proscia Grazia Provini Piero

Ranalli Deborah Rasera Veronica Restori Creso Reverberi Angela Reverberi Renata Righelli Andrea Rolli Davide Romano Davide Rosi Ernesto Rossi Monica Rovesti Elia Rubertelli Simone Salsi Cristiano Salvi Luca Santoni Sandra Sani Guido Saponara Francesco Sarcone Maria Teresa Sartorio Lorenzo Scarpino Luigi Scarpone Michelina Schianchi Mattia Schiavo Mariangela Sessi Paolo Sfravago Giacomo Simboli Daniele Soliani Giancarlo Soncini Francesco Soncini Licia

Sottili Stefano Spaggiari Alessandro Spaggiari Flavio Spaggiari Giuliana Tagliavini Marco Tei Marianna Tirri Barbara Tonellato Lorenza Trivelloni Gian Carlo Trolli Michele Truglio Giovanna Turilli Serena Ugolotti Barbara Villa Margherita Vivo Flavia Volante Luca Zabert Claudia Zanardi Mauro Zanini Giuseppina Zanino Pier Zattra Sergio Zavattiero Chiara Zerbini Roberta Zonca Francesca Zuccalà Marika Zucconi Anna Lisa Zurlini Chiara

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RINGRAZIAMENTI

Ringrazio il prof. Giuseppe Dello Russo: un vulcano di idee e di realizzazioni; è sua l’idea di un libro per il 25° della Gioco, sua anche la spinta a scrivere un testo breve e facilmente leggibile che non si limitasse a cronologia commemorativa, sua soprattutto l’ispirazione di fondo: il carisma del beato don Carlo Gnocchi che nel corso dei 25 anni i suoi ex hanno recepito e trasfuso in opere determinanti per arrivare al nuovo concetto di persona, secondo il quale le storiche etichette di handicap, disabilità, diversamente abile… si possono appendere come cappotti obsoleti al chiodo di quelle istituzioni pubbliche e private che ancora oggi amano isolarsi in cima a inaccessibili scale. Grazie a Gerlando Lo Presti, esperto grafico, che mi ha tormentato per mesi vedendo che il progetto iniziale era disomogeneo e inconcluso; lo ricambierò tormentandolo a mia volta, perché il buon risultato finale, come nello sport, si ottiene dopo lungo cimento. Grazie al caro amico e collega prof. Mario Chiesa (brutta omonimia!) docente di Letteratura Italiana all’Università di Torino, che apprezzando l’idea originale del racconto dialogato mi ha obbligato a rifarlo da cima a fondo per renderlo più lineare. Grazie al carissimo collega prof. Corrado Pin, specialista di Storia della Serenissima, autore di pregevoli pubblicazioni, che mi è stato prodigo di critiche costruttive come già 40 anni fa quando il mio linguaggio inesperto si cimentava con una tesi di laurea su fra Paolo Sarpi, l’oggetto delle sue diuturne ricerche e attenzioni. Grazie a Giuseppe Colao, campione di Tiro a Segno, infaticabile nella ricerca di vecchie fotografie da scannerizzare e affiancare al testo, con infinite ore di lavoro: insieme abbiamo fatto centro. Grazie a Gaetano Lo Presti, memoria storica della Gioco e colonna dell’Associazione. Le sue precisazioni e i suoi ricordi mi hanno consentito di colmare le lacune del materiale d’archivio, incompleto e disordinato. Grazie a tutti coloro che in diversi modi hanno risposto alla mia richiesta di informazioni. I loro racconti e testimonianze mi hanno dato spunti per rendere il racconto più vivo e saporito. Grazie a tre dottoresse, tre splendide donne, e alle loro famiglie: Patrizia Lai, Monica Lippolis, Laura Lentini. Il loro contributo di esperienza, di vita, di sapere ha prodotto il capitolo “Genitori e figli”. Grazie all’assessore Giovanni Paolo Bernini, dell’Agenzia per le persone disabili del Comune di Parma. Dopo aver pubblicato il “Libro bianco sull’accessibilità e mobilità urbana” ha visto nel “Libro di Giò” lo strumento idoneo a divulgare nelle scuole elementari e medie la nuova cultura sulla disabilità. Da questa sua fiducia inizia un nuovo capitolo di collaborazione tra la Gioco e il Comune di Parma, aperto ai più promettenti sviluppi. Grazie a Duccio Grimaldeschi, che ha creduto nel progetto e con la sua squadra di grafici esperti l’ha trasformato in questo pregevole libro. Entrambi pensiamo che il MUP abbia aggiunto una piccola perla a una delle sue collane editoriali. Un grazie particolare a Luca Pancalli, presidente nazionale del Comitato Italiano Paralimpico, già grande atleta e ora infaticabile motore di progetti innovativi, icona di una grande fede nella ‘persona’: ha apprezzato il progetto di questo libro mentre ancora era in gestazione e nella prefazione ha voluto evidenziare i meriti del lungo impegnativo cammino della Polisportiva Gioco. Venticinque anni dopo “L’Apollo Sportivo”, questo “Libro di Giò” si pone sullo stesso binario di documentazione di quanto realizzato dalla Polisportiva, con una originalità: il linguaggio facile e dialogato nella prospettiva di una capillare azione educativa che coinvolga tanti piccoli studenti con i loro insegnanti e genitori. Grazie infine a una persona che mi ha visto e sostenuto in questo lavoro durato mesi di ricerca tra vecchie carte e incalcolabili ore al computer per comporre, ordinare, riscrivere, completare, rielaborare, correggere, modificare, aggiungere… Il suo nome è scritto nel cielo con la grafica delle meteore che lo punteggiano nelle notti prima del ferragosto, insieme a quello del nipotino che con la sua poca voglia di leggere mi ha dato l’idea di scrivere questo libro per lui. Lo leggerà? Non importa, almeno potrà guardarlo: le fotografie parlano anche per chi… non ha tempo per leggere. Antonio Franceschetti

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Polisportiva Gioco Parma Onlus Codice fiscale 92015100347 Partita IVA 01695650349 Indirizzo della sede legale Via Silvio Pellico, 14/a - 43125 Parma Tel. e Fax 0521/984058 e-mail info@giocopolisportiva.it - redazione@giocopolisportiva.it Sito Internet www.giocopolisportiva.it Iscrizione all’Albo Provinciale Associazione Promozione sociale/Volontariato n. 19511 del 17/04/1998 Questo libro non è in vendita Viene distribuito gratuitamente nelle scuole nell’ambito di un progetto in sinergia tra il Comune di Parma e la Polisportiva Gioco Parma, come investimento sui ragazzi di oggi affinché migliori la cultura relativamente a ogni forma di disabilità. Immagini, fotografie e testo sono di proprietà della Polisportiva Gioco Parma onlus, abilitata a ricevere il 5 per mille della dichiarazione dei redditi e libere donazioni a sostegno delle proprie attività.

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Finito di stampare nel mese di febbraio 2010 presso XXXXXXXXXXXX - XXXXXXXXX

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