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MAGAZINE anno VI numero 29 Marzo/Aprile 2012

DIABETE l’autocontrollo della glicemia

speciale

LE MALATTIE ALLERGICHE

nei bambini

TENDINITE un rischio per gli sportivi intervista Alena Seredova


UTILE PE TUTTA R LA FA MI IN TA GLIA N OCCA TE SION I

Caldo&Freddo Il cuscinetto in gel che sostituisce la borsa del ghiaccio e dell’acqua calda • Terapia del caldo: dolori muscolari e cervicali e in tutti i casi in cui si richieda una somministrazione di calore. • Terapia del freddo: contusioni. distorsioni, ematomi, strappi muscolari, mal di testa, mal di denti, febbre, punture di insetti e in tutti i casi in cui si richieda una somministrazione di freddo.

Disponibile da Aprile

Per la salute e la bellezza del tuo corpo Solo in Farmacia www.miafarmaciaitalia.it


editoriale

anno VI - numero 29 Marzo/Aprile 2012 copia omaggio

anno VI numero 29 Marzo/Aprile 2012

MAGAZINE

Editore Consorzio MIAFARMACIA Via Emilia 237 San Lazzaro di Savena - Bologna Tel. 051 6279621 Registrazione Tribunale di Bologna n. 7688 del 26/07/2006 Direttore Responsabile Cesare Bellavitis Marketing e Pubblicità Daniela Ziering Sintini daniela.ziering@miafarmacia.org Commerciale Alessandro Benassi alessandro.benassi@miafarmacia.org Redazione Marina Dall’Olio Antonella Ciana Chantal Rocca redazione@miafarmaciamagazine.it Collaboratori scientifici in questo numero: Flavia Massaro Fiorenza Pompoli Claudio Tacconi Franca Paola Marchesini Salvatore Vaccaro, Emanuela Casini Silvia Calzolari Giampaolo Ricci, Elisabetta Calamelli Valeria Manicardi Grazia Rocca, Alessandra Solari Lelio Rubbini Elena Cerruto Grafica e impaginazione Supporti Grafici 40024 Castel San Pietro Terme - Bologna Stampa Mediagraf s.p.a. Ringraziamo tutti coloro che hanno collaborato alla nostra iniziativa editoriale comprese le Aziende che hanno aderito con la loro inserzione

DIABETE l’autocontrollo della glicemia

Spirito di servizio nonostante tutto.

In questo editoriale potrei commentare ancora i diversi avvenimenti che colpiscono un po’ tutte le categorie di lavoratori, come la crisi economica che continua a fare oscillare le borse finanziarie di tutto il mondo, lo spread tra titoli di stato, le ripetute manovre che hanno già messo a dura prova gli italiani e che dovrebbero servire per mettere a posto il bilancio dello Stato, ma poiché tutto è sempre rimesso in discussione e ogni categoria è sempre sotto esame, preferisco parlare d’altro pur rimanendo nel nostro contesto. Secondo l’ultima indagine condotta dall’Osservatorio sulla professione attivato dalla Federazione degli Ordini dei farmacisti in collaborazione con la Sda Bocconi School of Management circa il 34% degli intervistati si reca in farmacia dalle 2 alle 3 volte al mese; l’83% ha l’abitudine di recarsi sempre - o almeno prevalentemente - presso la stessa farmacia e cita tra le motivazioni il rapporto di fiducia con il personale; il 63% dei cittadini afferma di sentirsi tutelato e dichiara che il farmacista “non cerca di vendermi i prodotti più cari”; buoni i giudizi per correttezza e gentilezza (64,3%). Le affermazioni “mi serve con attenzione” , “ha avuto nei miei confronti un approccio riservato…” sono state condivise dal 60%. Alle domande: “l’ambiente è gradevole, è ampio e spazioso, è moderno” i cittadini intervistati hanno risposto in maniera positiva anche per quanto riguarda i locali di vendita. Un sondaggio andrebbe letto nella sua interezza, ma già questi sono dati importanti che dimostrano come la Farmacia in questi anni, nonostante le mille difficoltà, ha mantenuto un ottimo livello di servizio, dando risposte adeguate alle esigenze dei cittadini. Il riconoscimento del nostro impegno per continuare ad essere un punto di riferimento fondamentale per la tutela della salute non soltanto delle categorie deboli, come anziani e malati cronici, ma di ogni cittadino, se arriva in anni di grande incertezza, come quelli che stiamo vivendo, è davvero una doppia soddisfazione per tutta la categoria e per questo motivo vorrei ricordare come, in alcuni casi, il nostro spirito di servizio antepone a qualsiasi altra logica la necessità di assicurare assistenza alla popolazione. Nella notte del naufragio della Costa Concordia, tra le prime strutture a entrare in azione per prestare i soccorsi alle persone c’era la farmacia dell’isola del Giglio che è stata fondamentale per fornire prodotti per l’infanzia e per le medicazioni, perché le scorte del 118 si andavano esaurendo. Quanto ai medicinali, su indicazione del medico del Giglio sono stati dispensati immediatamente i farmaci del caso, a cominciare dagli ansiolitici visto lo stato di grande stress degli scampati alla tragedia. Un intervento tempestivo e provvidenziale, che sottolinea ancora una volta il ruolo di primo referente sul territorio del farmacista. Tutto questo mentre il Governo e il Parlamento continuano a discutere per approvare norme che, se non oggettivamente valutate, faranno implodere la rete delle farmacie. Dott. Cesare Bellavitis

TENDINITE un rischio per gli sportivi

speciale

LE MALATTIE ALLERGICHE

INTERVISTA Alena Seredova

NEI BAMBINI

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Probiotici attivi per l’equilibrio della flora intestinale Miliardi di fermenti lattici utili in caso di squilibri della flora batterica dovuti a: turbe intestinali ✔ trattamenti antibiotici ✔ alimentazione scorretta ✔


sommario

Psicologia

7 Stress... impariamo a gestirlo

dermatologia

11 Come cambia la pelle dopo gli "anta"

medicina

14 I benefici del caldo e del freddo 18 Uguali o diversi? (gravidanze gemellari) 31 Diabete: l'autocontrollo domiciliare della glicemia 35 Vivere con la Sclerosi Multipla

associazioni

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La pelle ha bisogno di molte cure a tutte le etĂ

16 ADMO (Ass.ne Donatori di Midollo Osseo)

alimentazione

21 Latte: sai quale scegliere?

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Floriterapia

25 Fiori di Bach per una gravidanza serena

speciale

26 Le malattie allergiche nei bambini

Come orientarsi nella scelta del latte tra i diversi tipi

ortopedia

40 La tendinite

danzaterapia

43 La Medicina del Corpo-Cuore

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Intervista a...

Alena Seredova

Speciale

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News

Gli esperti ci informano...

News

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Lettere

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Allergie: i sintomi spesso si manifestano nei primi anni di vita

Ăˆ vietata la riproduzione totale o parziale di ogni contenuto di questa pubblicazione senza l’autorizzazione dell’editore. Tutti i punti di vista espressi in questa pubblicazione sono quelli dei singoli autori e non riflettono quelli delle strutture a cui essi appartengono o dell'editore. Errori di stampa o refusi involontari di trascrizione presenti nella rivista saranno corretti a pagina 50, del prossimo numero, se segnalati alla redazione o all'editore.

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psicologia

Dott.ssa Flavia Massaro Psicologa a Milano e Mariano Comense www.serviziodipsicologia.it

Impariamo a gestirlo Lo “stress” sembra essere il male del secolo: chi, almeno una volta, non si è definito “stressato” per spiegare e giustificare il nervosismo e altri comportamenti poco educati, o cambiamenti di atteggiamento improvvisi che provocano malumore e fastidio anche nelle persone vicine? In realtà, lo stress è la risposta soggettiva alle situazioni che perturbano l’equilibrio dell’organismo e si può dividere in:  eustress, che aumenta la concentrazione e sostiene la reazione fisiologica di adattamento;  distress, che ha effetti negativi perché è eccessivo, protratto nel tempo e consuma, per così

dire, tutte le energie dell’individuo portandolo a logorarsi e anche ad ammalarsi. Lo stress è una risposta utile dell’organismo perché è necessario che corpo e mente reagiscano agli eventi esterni, ma per non essere dannoso deve essere sia adeguato alla situazione, sia “scaricato”: accumulare tensione infatti porta al distress e a conseguenze negative per il corpo e per la psiche. A volte però con il termine “stress” si indicano erroneamente condizioni di malessere che in realtà dipendono da altre cause come, ad esempio, dall’ansia. Sintomi come la tachicardia, la cefalea, la gastrite, la fame d’aria ecc.

possono dipendere dalla risposta dell’organismo a una situazione stressante, ma anche essere avvisaglia di un Disturbo d’Ansia: per questo motivo quando il disagio supera la soglia della tollerabilità è importante sottoporre il problema ad uno Specialista, per accertare l’eventuale presenza di un disturbo psicologico che, in quanto tale, va diagnosticato e trattato opportunamente. Anche in assenza di una psicopatologia - anzi, senza aspettare di sviluppare una psicopatologia - è molto utile richiedere l’intervento di uno Psicologo per spezzare il circolo vizioso dello stress e agevolare il recupero della calma e della tranquillità.

Condizioni che generano stress Lo stress quindi non è altro che la risposta individuale e soggettiva a eventi che richiedono un adattamento da parte dell’organismo (inteso come unità corpo-mente). Tali eventi, denominati “stressor”, possono essere di diversa natura: fisici, psicologici e sociali. Esempi di stressor possono essere il brusco rialzo della temperatura esterna, il cambio di fuso orario dopo un viaggio, la necessità di raggiungere un obiettivo considerato difficile (come dimagrire), qualunque cambiamento di vita

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psicologia

(termine degli studi, lavoro nuovo, matrimonio, trasloco ecc.). è importante sottolineare il fatto che qualunque condizione che richieda un riadattamento genera stress, anche se si tratta di un cambiamento apparentemente positivo (come la nascita di un figlio o una promozione sul lavoro). Per questo, a volte le persone non riescono a spiegarsi il malessere che provano ritenendo, erroneamente, che un cambiamento in positivo non possa generare alcun disagio. Considerare invece qualunque”perturbazione” dell’equilibrio preesistente come fonte di stress, permette di comprendere meglio cosa sta succedendo e di reagire di conseguenza.

I sintomi Il distress si sviluppa attraverso 3 fasi: allarme, resistenza, esaurimento. La risposta iniziale all’evento stressante configura uno stato d’allarme che porta l’organismo a resistere, ma questa resistenza è limitata nel tempo e, se la situazione permane immutata, si sviluppa distress e si arriva all’esaurimento delle energie e allo sviluppo di patologie psicosomatiche. Chi vive una situazione stressante sviluppa tipicamente una serie di sintomi sul piano sia psichico, sia corporeo. A livello mentale possiamo osservare agitazione, difficoltà di concentrazione e disturbi dell’attenzione, pensieri ossessivamente rivolti allo stressor che disturbano la tranquillità giorno e notte. Sul piano fisico è possibile riscontrare sintomi come mal di testa, mal di schiena, reflusso gastroesofageo, dolori addominali, nodo alla gola, disturbi respiratori (sen-

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sazione di soffocamento o peggioramento dell’asma), dermatiti, vampate di calore, tachicardia e insonnia. L’elenco potrebbe proseguire perché ogni individuo sviluppa sintomi peculiari i base alla propria personalità. Lo stress può inoltre incidere sull’organismo provocando ipertensione: ricordo che in molti casi l’ipertensione è resistente ai farmaci proprio perché la causa non è di natura fisica, ma psicologica e come tale deve essere trattata se si vuole agire efficacemente per raggiungere dei valori pressori che non siano pericolosi per la salute. è importante sapere che lo stress fa produrre al nostro corpo alcuni ormoni (cortisolo e adrenalina) che agiscono direttamente su alcuni organi (ad esempio, determinando la tachicardia) e che indeboliscono il sistema immunitario: per questo motivo la persona stressata può andare incontro sia al peggioramento di patologie preesistenti, sia contrarre più facilmente virus stagionali (come raffreddore e influenza). Quando l’organismo è soggetto a una costante stimolazione a causa dello stress e della produzione abnorme di ormoni a esso collegati, il distress porta allo sviluppo di disfunzioni e, come detto sopra, il funzionamento dei singoli organi si altera fino a sviluppare vere e proprie malattie psicosomatiche.

Non solo psicoterapia Per evitare che lo stress logori e porti ad ammalarsi è necessario intervenire consultando uno Psicologo che, dopo aver esaminato la situazione potrà proporre

un piano di lavoro per raggiungere un equilibrio migliore. Non tutte le situazioni in cui lo stress e l’ansia colpiscono, però, richiedono una psicoterapia: la scelta della soluzione più appropriata dipende dalla gravità del problema e anche dalla sua durata. Ovviamente intervenire tempestivamente rende molto più facile il recupero, perché se si attende troppo e il problema diventa cronico, la situazione peggiora e anche la soluzione può essere più complessa e impegnativa. Quando non siamo di fronte a una vera e propria psicopatologia, l’intervento può consistere in un ciclo di colloqui di counseling psicologico o di sostegno psicologico volti ad aiutare la persona perché possa chiarire a se stessa cosa sta succedendo nella sua vita, cosa può modificare per ripristinare una situazione di serenità, come cambiare atteggiamento se questo porta a vivere in maniera eccessivamente negativa i cambiamenti e gli imprevisti della vita.

è particolarmente indicato anche l’apprendimento di tecniche di autodistensione e rilassamento come il Training Autogeno, che permettono di smorzare la carica emotiva di fondo, con la quale le persone “stressate” affrontano ogni situazione, e di reagire in modo più calmo alle situazioni che creano nervosismo e che fanno aumentare rabbia, malcontento e sensazione d’impotenza. Imparare a utilizzare una tecnica di rilassamento consente, infatti, sia di gestire i momenti critici, sia di modificare stabilmente il proprio atteggiamento nei confronti del mondo e degli altri: diventare più calmi significa anche diventare più “fermi” e capaci di dire dei “no”, di affermare il proprio punto di vista e di non subire passivamente le situazioni che causano stress. In poche parole, consente non solo di eliminare lo stress, ma anche di costruire e incrementare la propria assertività prevenendo ulteriori ricadute.

I rimedi naturali L’intervento psicologico può essere integrato dall’impiego di prodotti naturali per contrastare gli effetti dello stress. Fitoterapia Le piante utilizzate per combattere lo stress sono valeriana, passiflora, biancospino, luppolo, tiglio e camomilla. Questi estratti vegetali hanno effetto ansiolitico, antispastico, ipnoinducente con alcune differenze da pianta a pianta: per questo motivo è importante consultare il farmacista o il medico prima di scegliere quale rimedio utilizzare, ed evitare l’autocura. Floriterapia Prodotti come Emergency (Green Remedies) e Rescue Remedy (Bach Flowers) sono molto utili nei momenti di crisi: non contengono principi attivi perché agiscono secondo i principi della medicina vibrazionale e agiscono efficacemente quando l’emotività prende il sopravvento e la calma sembra solo un miraggio. Testo raccolto da Marina Dall’Olio




dermatologia

Dott.ssa Fiorenza Pompoli Specialista in Dermatologia e Venereologia (Bologna)

come cambia la pelle dopo gli Ecco alcuni consigli per prevenire secchezza, pigmentazione irregolare e piccole patologie I due tipi di invecchiamento

Col passare degli anni la pelle va incontro a modificazioni a livello cellulare e strutturale che si traducono in un progressivo mutamento dell’aspetto esteriore. Nella donna in particolare, a partire dai 50 anni (periodo che generalmente corrisponde alla menopausa), subentrano inoltre fattori ormonali che influiscono negativamente sul rinnovamento cutaneo e sull’idratazione, accelerando la perdita di collagene e di fibre elastiche e inducendo un’anomala distribuzione della melanina. Ecco allora che i tessuti superficiali si presentano avvizziti, rilassati, come svuotati, fino a cambiare l’aspetto del viso modificandone l’ovale.

Non è soltanto il trascorrere del tempo il principale responsabile della senilizzazione cutanea: se infatti c’è un invecchiamento cronologico (età-dipendente), c’è anche il cosiddetto “fotoinvecchiamento”, dovuto a fattori ambientali rappresentati in prevalenza dalla luce ultravioletta, oltre ad altre cause accessorie come le infezioni (virali, batteriche e fungine) e l’inquinamento atmosferico. Inoltre gli ultravioletti causano alterazioni distinte e separate che interessano il tessuto elastico, il collageno e la matrice dermica. Ovviamente i due processi di senilizzazione della pelle si sovrappongono nelle parti del corpo esposte continuamente alla luce del giorno, mentre in quelle solitamente coperte la pelle invecchia

più fisiologicamente e quindi più lentamente, dato che segue esclusivamente ritmi biologici geneticamente determinati e subisce meno l’influenza delle radiazioni solari e altri agenti ambientali.

I "RADICALI" LIBERI In entrambi i processi d’invecchiamento, comunque, è certo

che siano coinvolti anche i cosiddetti “radicali liberi”, sottoprodotti chimici di provenienza diversa in grado di danneggiare cellule e strutture biologiche varie: le forme “libere” che derivano dal metabolismo ossidativo sono quelle coinvolte in tutti e due i tipi di invecchiamento.

Come è fatta la nostra pelle Man mano che il tempo passa, tutti i tessuti corporei hanno una ridotta capacità di rigenerarsi: anche la pelle, così, diventa più sottile e disidratata. Vediamo come è composta: R epidermide, lo strato più superficiale, formato da cellule indurite dalla presenza di cheratina con la funzione primaria di protezione. A sua volta è formato da diversi strati di cellule che si riproducono continuamente per sostituire quelle che muoiono e si staccano; R derma, lo strato interno, con la funzione primaria di nutrimento e ossigenazione dell’epidermide e la presenza di collagene ed elastina; R ipoderma, tessuto sottocutaneo, con la funzione di isolare la pelle, renderla mobile rispetto alle strutture più profonde e garantire scorte di lipidi.

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dermatologia dopo i 60 anni

Già a partire dai 25 anni la pelle diventa più sottile, più fragile e meno luminosa, con la formazione di linee sottili e rughe d’espressione a livello della fronte e del contorno occhi. Via via che il tempo passa, le rughe si accentuano e si ha una perdita progressiva di compattezza, perché la rigenerazione delle cellule è più difficoltosa, l’idratazione naturale è rallentata e l’epidermide si assottiglia perdendo elasticità. Nella pelle degli anziani tutti i segni dell’età si accentuano: le rughe formano solchi profondi, il colorito diventa spento, i tratti del viso meno armoniosi. In particolare, si hanno:  secchezza cutanea, dato che a livello dell’epidermide si verifica una progressiva alterazione della funzione barriera della pelle, con conseguente perdita di maggiori quantità d’acqua. Inoltre, la giunzione dermo-epidermica si appiattisce, diminuendo gli scambi nutritivi e idratanti dal derma all’epidermide;  pigmentazione irregolare, per via della melanina che non è più prodotta in modo costante e regolare. Questo favorisce la formazione di macchie brune e, dal mo-

mento che l’epidermide subisce una perdita di spessore globale fino al 50% e il rinnovamento cellulare rallenta, i melanociti con elevata concentrazione di pigmenti scuri sono più vicini alla superficie cutanea e, quindi, più visibili.

predisposizione alle dermatiti dell'anziano Dal punto di vista dermatologico, gli anziani possono essere interessati dalle stesse patologie che colpiscono le altre fasce di età, tuttavia nella cute si verificano numerosi cambiamenti biochimici che predispongono alla cosiddette dermatosi dell’età geriatrica:  la dermatite xerotica, o eczema asteatosico, è causata dalla pelle più secca, perché le ghiandole sebacee diventano più voluminose ma producono meno sebo;  il cronoinvecchiamento è dovuto a un rinnovamento cellulare rallentato e alla riduzione del numero dei melanociti;  il fotoinvecchiamento: nelle zone esposte al sole la cute è ispessita, rugosa, giallastra, ruvida e discromica.

prurito senile Le cause di prurito dell’anziano possono essere di diversa natura: il prurito xerotico è dovuto essenzialmente alla cute secca e ai frequenti lavaggi, che indeboliscono ulteriormente il film idrolipidico. Anche le infezioni da candida sono frequenti negli anziani, specie nei diabetici. Il pemfigoide bolloso è una patologia autoimmune che colpisce più frequentemente oltre i 70 anni (l’organismo riconosce come “non-self” delle proteine di adesione dell’epidermide alla membrana basale e fabbrica degli anticorpi contro se stesso). L’eczema da stasi è molto frequente nei pazienti anziani affetti da insufficienza venosa degli arti inferiori e può dare prurito e discromia alle gambe.

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cosa fare Per rallentare il processo d’invecchiamento della pelle si può fare molto. La prima regola è quella di condurre una vita sana ed equilibrata, sia per quanto riguarda l’alimentazione sia per le abitudini, come ad esempio non fumare, non eccedere con gli alcolici, dormire a sufficienza, fare sport, esporsi al sole con moderazione, Poi, oggi abbiamo a disposizione una gamma completa di preziosi prodotti di Cosmetica e Integratori efficaci da utilizzare ben prima che il tempo abbia fatto i suoi danni: come per le malattie, anche qui è fondamentale la prevenzione. Per quanto riguarda l’invecchiamento fotoindotto, fin da giovani è essenziale applicare una corretta protezione solare diversificata a seconda del proprio tipo di pelle. Poi, aggiungiamo alla nostra dieta una quantità adeguata di antiossidanti, dei quali è stata dimostrata scientificamente l’efficacia protettiva, come il beta-carotene e altri carotenoidi, le vitamine A, C ed E, oltre ad alcuni nutrienti quali il selenio e lo zinco, già naturalmente presenti nel nostro organismo. Infine, rivolgiamoci ai buoni prodotti cosmetici che troviamo in Farmacia, a partire da quelli che detergono correttamente la pelle, tutti in

grado non solo di migliorare l’idratazione dello strato corneo e il rinnovamento cellulare, ma anche di aiutare a stimolare i fibroblasti (le cellule del tessuto connettivo) nella loro sintesi di collagene e di elastina. Non dimentichiamo poi che vi sono molti trattamenti estetici, da praticarsi esclusivamente dal Dermatologo, che si avvalgono di tecnologie innovative, come il laser, la luce pulsata, la radiofrequenza, o il peeling o, ancora, la tossina botulinica e le iniezioni di acido ialuronico per le rughe di espressione oppure per ripristinare volumi che col passare del tempo si sono affievoliti.

serietà ed efficacia vanno a braccetto Per concludere, è importante ricordare che la professionalità, la formazione e l’esperienza dell’operatore dell’estetica sono elementi fondamentali per un corretto inquadramento del grado d’invecchiamento cutaneo e il conseguente corretto uso della metodica da adottare. Altrettanto importante è rivolgersi alle Strutture giuste, dopo un’adeguata consulenza dermatologica, nell’acquisto e nella fruizione di cosmetici e integratori. Testo raccolto da Antonella Ciana


NON EVITA I COLPI, MA AIUTA A SUPERARLI.

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medicina

Idelbenefi ci caldo e del freddo Dott. Claudio Tacconi Medico di Medicina Generale (Bologna)

Che caldo e freddo possiedano un potere terapeutico naturale è ben noto fin dall’antichità. Basti pensare che i popoli più antichi usavano il calore come analgesico per i dolori muscolari: la “stone therapy” (terapia con le pietre), infatti, era conosciuta dai Sumeri e dagli Egiziani, che massaggiavano la zona dolorante con pietre calde per trovare sollievo dal dolore. Anche la terapia del freddo è una

Termoterapia

Il caldo e i suoi effetti

Il caldo può avere molteplici applicazioni, ma attenzione: il suo uso deve essere assolutamente riservato a lesioni in cui è terminata la fase acuta dell’infiammazione. I suoi principali effetti: • Effetto emodinamico: causando l’aumento del flusso sanguigno, favorisce l’eliminazione delle scorie accumulate nei tessuti, incrementa l’ossigenazione e offre un maggior apporto di sostanze nutrienti.

Crioterapia

Il freddo e i suoi effetti

Spesso il freddo è la miglior terapia di primo intervento in caso di trauma, ma oggi la crioterapia è quanto mai sviluppata grazie alle moderne tecnologie e viene utilizzata anche in molti campi della Medicina. Ecco i suoi effetti più importanti: • Effetto emodinamico: causando una diminuzione dell’irrorazione sanguigna locale tramite la vasocostrizione, può essere d’aiuto nel diminuire l’edema postoperatorio e post-traumatico. • Effetto metabolico, perché la diminuzione della temperatura riduce localmente il metabolismo tessutale: rallentando l’attività

delle tecniche più antiche e conosciute: da secoli essa viene utilizzata nel controllo delle emorragie, nella riduzione delle tumefazioni, in trattamenti anestetici e antidolorifici... Questo perché l’energia termica è la più facile da applicare in fisioterapia e consente di ottenere molteplici benefici grazie agli effetti fisiologici del caldo e del freddo. Ma come orientarsi tra la borsa del ghiaccio e la boule dell’ac-

qua calda, per usare i due simboli più noti a indicare i più comuni strumenti di refrigerazione e di riscaldamento terapeutico? In sintesi, la scelta tra ghiaccio e boule è in funzione della causa: in presenza di una scarsa irrorazione del sangue ci vuole il caldo, che crea vasodilatazione; se invece si tratta di uno stato infiammatorio, si ricorre al freddo. Ma vediamo nello specifico le possibili situazioni.

• Effetto metabolico: il calore accelera tutte le reazioni biochimiche dell’organismo aumentando enormemente l’apporto di ossigeno e nutrienti a livello dei tessuti, ciò che si traduce in un aumento del metabolismo a livello della parte trattata. • Effetto analgesico e miorilassante: in caso di dolore cronico, il caldo sembra capace di abbassare l’attività dei recettori del dolore periferici. • Aumento dell’elasticità tessutale: l’effetto è particolarmente evidente a livello di

capsule articolari, tendini, muscoli e in tutte quelle strutture in cui sono presenti molte fibre collagene. Il calore, come detto, è uno dei metodi più antichi per alleviare il dolore ed eliminare spasmi e contrazioni. Dato che diminuisce la rigidità delle articolazioni, riduce gli spasmi muscolari, esercita un effetto analgesico e aumenta la circolazione del sangue, è consigliato in caso di lombaggini, sciatalgie, dolori muscolari e addominali, rigidità muscolare e mialgie reumatiche.

delle cellule illese dal trauma, il freddo consente la conservazione della loro integrità nel periodo che segue un danneggiamento del tessuto, al tempo stesso inibendo l’attività dei mediatori dell’infiammazione. • Effetto analgesico e miorilassante, dato che riduce la velocità di conduzione dello stimolo dolorifico a livello dei nervi periferici; inoltre il rallentamento della sensazione di dolore riduce lo spasmo muscolare dopo un trauma. Il freddo allevia lo spasmo muscolare, il dolore traumatico e l’infiammazione acuta, inducendo una lieve anestesia locale; può poi essere utile in caso di ferite sanguinanti, riducendo il flusso sanguigno locale del 50% dopo 10 minuti. Dunque, si usa per dare sol-

lievo nelle patologie dolorose accompagnata da gonfiori e infiammazioni, per le piccole contusioni, i microtraumi (strappi muscolari, distorsioni, slogature) e le lievi emorragie. Infine, dà sollievo al mal di testa e al mal di denti, allevia le infiammazioni cutanee localizzate ed è indicato anche per le punture di insetti. Per concludere, negli ultimi anni diverse ricerche cliniche hanno scientificamente dimostrato come molte patologie dolorose possano essere curate tramite l’uso del calore e del freddo, ciò che ha portato allo sviluppo di tecnologie innovative sempre più mirate e accessibili a tutti, grazie alle Farmacie che ne sono dotate e che sono in grado di fornire preziosi consigli su un loro utilizzo corretto ed efficace. Testo raccolto da Antonella Ciana

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associazioni

voce del verbo donare L’Associazione dei Donatori di Midollo Osseo è attiva nel nostro Paese dal 1990. Un’attività di volontariato che mira alla sensibilizzazione della popolazione italiana, affinché persone di buona volontà permettano a bambini, giovani, uomini e donne di riagguantare la propria vita. Costituita nel 1990 per volontà di un gruppo di persone fortemente motivate a creare, anche in Italia, una valida banca dati di donatori volontari, ADMO (Associazione Donatori Midollo Osseo) ha come scopo principale quello di informare la popolazione italiana sulla possibilità di combattere le leucemie e altre malattie del sangue (linfomi, mieloma, talassemia) attraverso la donazione e il trapianto di midollo osseo. Sono molte le persone che ogni anno in Italia necessitano di trapianto, ma purtroppo la compatibilità genetica è un fattore raro, che ha maggiori probabilità di esistere tra consanguinei. Per coloro che non hanno un donatore consanguineo, dunque, la speranza di trovare un midollo compatibile per il trapianto è legata all'esistenza del maggior numero possibile di donatori volontari tipizzati, dei quali cioè siano già note le caratteristiche genetiche. Si valuta che in Italia siano necessari circa 1.000 nuovi donatori effettivi all'anno. Una stima destinata ad aumentare notevolmente, se si tiene conto che il trapianto delle cellule staminali emopoietiche, presenti nel midollo osseo, è attualmente al centro di ricerche anche nel campo dei tumori solidi, mentre stanno diventando di routine alcune applicazioni in campo genetico, come nel caso delle talassemie.

Il ruolo dell’Associazione in Italia In questa realtà, ADMO svolge un ruolo fondamentale di stimolo e coordinamento: fornisce agli interessati tutte le informazioni sulla donazione del midollo osseo e invia i potenziali donatori ai centri trasfusionali del Servizio Sanitario Nazionale, presso i quali sono sottoposti alla tipizzazione HLA, che avviene con un semplice prelievo di sangue. Da qualche tempo, però, alcuni centri stanno procedendo con una metodologia alternativa, ovvero il prelievo del DNA dalla saliva. I dati vengono poi inviati al Registro Italiano Donatori Midollo

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Osseo (IBMDR), nel più assoluto rispetto della normativa sulla privacy. L'Associazione è arrivata a coprire, nel tempo, l'intero territorio nazionale grazie alla costituzione di ADMO regionali, associazioni autonome, ma con uguale statuto, in un secondo tempo riunitesi nella Federazione Italiana e coadiuvate da sezioni e gruppi. Oggi, ADMO Federazione Italiana è un'organizzazione senza scopo di lucro, che si occupa del coordinamento e dello scambio di informazioni fra le ADMO regionali e dei rapporti con gli organi centrali (come Assessorati e Ministeri) e con organizzazioni sanitarie estere.

La cultura della donazione e i giovani Per creare una cultura della donazione e sensibilizzare soprattutto i giovani, ADMO ha messo a punto una strategia di comunicazione che si è rivelata vincente, sul piano dell’incremento del numero di potenziali donatori. Video e spot pubblicitari trovano spazio, oltre che in eventi mediatici di forte impatto, anche nel sito internet della Federazione. ADMO è arrivata anche su Facebook, il social network più cliccato, con la volontà di parlare ai giovani. Nel corso del 2011, due grandi eventi hanno visto crescere il numero dei potenziali donatori al di sopra di ogni aspettativa: ad aprile, il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto Guardia Costiera ha deciso di sostenere ADMO organizzando una campagna d’informazione sulla donazione e il trapianto di midollo osseo rivolta ai propri militari. A conclusione dell’attività informativa è stata organizzata la giornata nazionale di sensibilizzazione, per coinvolgere anche gli abitanti delle località marittime protagoniste dell’evento. A settembre, invece, i volontari ADMO, con la complicità dei clown di corsia aderenti alla federazione nazionale VIP Italia Onlus, attraverso l’iniziativa che ha coinvolto molte piazze italiane - “Ehi, tu! Hai midollo?” - hanno portato alla tipizzazione ben 1.859 potenziali donatori e raccolto le adesioni di 973 giovani di buona volontà, pronti a mantenere la promessa in un momento successivo all’evento. (Altre info www.admo.it) Testo raccolto da Marina Dall’Olio


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Leggere attentamente il foglio illustrativo. Autorizzazione del 04/08/2011

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medicina

Tutto quello che dovete sapere se aspettate due gemelli In media, il 2% delle gravidanze sono gemellari, ma il numero è destinato a crescere perché, negli ultimi anni, il ricorso alle tecniche di fecondazione assistita li sta incrementando in maniera esponenziale, tanto da arrivare intorno al 20-25%. Ma non è solo questo il motivo del loro aumento: un altro fattore importante è rappresentato, infatti, dall’età della gestante, poiché sopra i 35 anni la possibilità di dare alla luce dei gemelli aumenta costantemente. E oggi, come ben sappiamo, per cultura e motivi socioeconomici si tende a procrastinare il più possibile la data del lieto evento. Insomma, se la mamma ha meno di 25 anni la possibilità di avere dei gemelli è meno della metà di quando ne ha più di 35, senza contare l’incremento dovuto alle cure contro l’infertilità.

Il mondo dei gemelli... al microscopio La gravidanza gemellare è un evento che avviene per ovulazione multipla oppure per divisione di uno zigote. Nel primo caso, la frequenza è intorno al 70-80%: accade quando due cellule uovo vengono fecondate da due diversi spermatozoi, ciò che produce i gemelli dizigoti, ovvero geneticamente diversi. Questi due zigoti si impiantano nella parete uterina separatamente, e questo determina una gravidanza gemellare bicoriale, cioè con due placente separate. Si tratta di un evento, come detto, direttamente proporzionale all’aumentare dell’età materna e influenzato dalla familiarità sulla linea materna (mentre quella paterna non incide). La

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gravidanza monozigote, invece, avviene per la divisione della cellula fecondata dopo alcuni giorni dal concepimento. In base al giorno della divisione, poi, abbiamo gemelli che hanno in comune la placenta. Mentre la gravidanza gemellare monovulare è un evento puramente casuale (dal 3 al 5 per mille delle gravidanze), quella biovulare è legata a fattori genetici e può variare molto da popolazione a popolazione.

Quando si ricorre alla scienza Oggi le gravidanze gemellari sono molto più diffuse che in passato, grazie al ricorso alle cosiddette tecniche di PMA (Procreazione Medicalmente Assistita), che consistono nella stimolazio-

Dott.ssa Franca Paola Marchesini Specialista in Ginecologia e Ostetricia (Bologna)

ne delle ovaie, attraverso trattamenti ormonali, a produrre più ovociti che verranno poi fecondati in vitro e successivamente introdotti in utero. Il tentativo è di inserire 2 o 3 embrioni per ottenere almeno una gravidanza, ma spesso accade che attecchiscano tutti gli embrioni ottenendo, così, gravidanze non solo gemellari, ma anche plurigemellari. Di conseguenza, la gestazione e il parto si accompagnano ad alcune differenze rispetto a quella monozigote, soprattutto in termini di rischi e assistenza clinica.

I rischi Come detto, durante la gravidanza gemellare (soprattutto plurigemellare) la mamma e i feti possono correre alcuni rischi.

Vediamoli:  aumento della probabilità di aborto;  aumento della probabilità di morte in utero e, più in generale, di mortalità perinatale, in particolare nelle gravidanze monocoriali, in cui la percentuale è stimata intorno al 10%, mentre in quelle monocoriali-monoamniotiche si raggiunge il 40-50%;  incremento dell’incidenza di malformazioni congenite fetali, sia in termini di difetti strutturali che di cromosomopatie (di circa 1,5 volte nei gemelli monocoriali);  frequenti anche i disturbi di restrizione (riduzione) della crescita fetale e la possibilità, nei gemelli monocoriali,


medicina tanto ai tentativi di fecondazione in vitro, quanto bensì alle terapie farmacologiche di induzione dell’ovulazione. I rischi fetali e materni (anche in termini di mortalità) sono talmente elevati che molti Centri offrono la riduzione selettiva del numero di embrioni, che generalmente viene portato a due. Il monitoraggio clinico della gravidanza gemellare, ad esempio, richiede un numero di controlli clinici molto più frequenti (ostetrici, ma anche internistici e cardiorespiratori), ematochimici e strumentali (principalmente ecografici anche di secondo livello), con flussimetria e cervicometria: la prima permette di valutare lo stato di salute del feto attraverso l’analisi del flusso del sangue che lo nutre, la seconda consiste in un esame transvaginale per misurare la lunghezza del collo uterino a 19-22 settimane, permettendo di riconoscere molti dei casi che potran-

no evolvere in un parto prima del termine. Una particolare attenzione deve essere poi prestata anche all’alimentazione, che deve essere adeguata alle particolari richieste nutrizionali, e allo screening delle malformazioni fetali. Quanto al parto, esso è indubbiamente un momento di importante criticità sia in termini di epoca della nascita (in alcuni casi a maggior rischio materno e/o fetale è raccomandata anche una nascita anticipata a 32-34 settimane) che in termini di modalità (vaginale o mediante taglio cesareo). In molti Istituti il parto vaginale è generalmente consentito quando le condizioni materne locali (collo uterino e canale del parto) sono favorevoli e i feti sono di buon peso e in buona salute, entrambi in presentazione cefalica. Altri consentono il parto anche quando il secondo gemello è in presentazione podalica. Non esistono dati definitivi a questo proposito.

Mangiare per due? No, mangiare meglio di una trasfusione feto-fetale (cosiddetta TTTS, Twin to Twin Transfusion Syndrome), che può essere acuta o cronica e con esiti spesso purtroppo drammatici;  frequenza aumentata anche per i sintomi neurovegetativi (nausea, vomito), l’incremento ponderale, l’astenia, i disturbi dell’alimentazione e quelli respiratori, i dolori addominali e le pubalgie;  molto più frequenti anche, purtroppo, alcune patologie ostetriche materne, tra le quali annoveriamo l’anemia, il parto prematuro, la rottura prematura delle membrane, il diabete e l’ipertensione gestazionali, l’emorragia del post-parto.

Gravidanze plurifetali: gestazione più breve Dalla gravidanza gemellare ci si può inoltre attendere un’insorgenza più frequente di un parto prematuro: la gestazione, infatti, termina normalmente 3-4 settimane prima della 40a settimana. L’epoca del parto, peraltro, è comunque influenzata fortemente anche dal numero dei feti: tanto più sono, quanto meno dura la gestazione.

... e problemi assistenziali più lunghi Le gravidanze plurifetali costituiscono un serio problema assistenziale: nonostante gran parte dei Centri di Medicina della Riproduzione tenti di evitarle, la loro incidenza è ormai legata non

Il vecchio aforisma che prescrive di “mangiare per due” è stato da tempo superato: è più ragionevole dire che la donna in gravidanza non deve mangiare “per due”, ma deve mangiare “due volte meglio”. La gravidanza gemellare è comunque una situazione in cui l’apporto di micronutrienti può essere non adeguato al fabbisogno. In questo caso, su consiglio del Medico, si può ricorrere ai numerosi integratori alimentari che troviamo in Farmacia. In particolare, va aumentato l’apporto di Acido folico (Vitamina B9), Calcio e Fosforo, oltre ad altri minerali come il Ferro, lo Zinco e il Rame (perché l’assunzione di ferro può ridurre la biodisponibilità di questi ultimi); la Vitamina C, inoltre, incrementa l’assorbimento del ferro. Fra le altre sostanze fondamentali per una gravidanza gemellare ottimale ci sono inoltre gli acidi grassi essenziali della serie Omega 3. Infine, altrettanto importanti risultano essere la Vitamina B12 e la Vitamina D.

I gemelli… tra mito e realtà La mitologia greca conosceva diversi casi di gemelli, i più famosi dei quali erano Castore e Polluce, figli di Zeus e di Leda. I due Dioscuri, nati da un unico “uovo” (quindi detti monoovulari o monozigotici), pur essendo molto simili mostravano però una differenza di non poco conto: uno (Castore) era mortale; l’altro (Polluce) no! Esaù e Giacobbe, i figli di Giacobbe e Rebecca di cui ci parla la Bibbia, erano invece due gemelli biovulari, ovvero dizigotici. Testo raccolto da Antonella Ciana

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alimentazione

Latte: sai quale

scegliere?

Seconda parte

Come abbiamo visto nel precedente articolo, il latte è l’alimento fondamentale per i lattanti. Alcuni suoi costituenti provengono dalla mammella dell’animale ed altri direttamente dal sangue: proprio tramite questi potrebbero essere trasferiti microbi nocivi e sostanze chimiche indesiderate. Un allevamento sano e naturale dell’animale è quindi molto importante, ma altrettanto importante è il procedimento di pastorizzazione del latte, che permette di eliminare le fonti di rischio provenienti dagli eventuali microbi nocivi presenti.

Cosa vuol dire "pastorizzato"? La cosiddetta pastorizzazione indica il processo di lavorazione che sottopone il latte alle temperature di 72°-85° per pochi secondi per poi raffreddarlo rapidamente. Con questo trattamento vengono distrutti tutti i microorganismi patogeni eventualmente presenti nel latte crudo e una parte dei microorganismi saprofiti (responsabili delle alterazioni del latte), senza però eliminare i lattobacilli, capaci di fermentare il lattosio con produzione di acido lattico. Ecco perché il latte pastorizzato non si conserva a lungo (2-3 giorni dopo l’apertura del contenitore) e può essere consumato senza alcun ulteriore trattamento termico; va comunque conservato tra 0°C e 4°C e, a contenitore chiuso, per una settimana. La Legge italiana distingue tre categorie:

1 Latte fresco pastorizzato: quando la pastorizzazione avviene una volta sola ed è fatta entro 48 ore dalla mungitura. 2 Latte pastorizzato: il processo viene fatto più volte e dopo le 48 ore della mungitura. 3 Latte fresco pastorizzato di “alta qualità”: prodotto in aziende specificamente autorizzate, possiede elevate qualità igieniche e ha un contenuto nutritivo più elevato.

Come orientarsi tra i diversi tipi? Ecco le diverse categorie della preziosa bevanda: Latte a lunga conservazione: quando è trattato a temperature più alte che distruggono tutti i microorganismi responsabili della sua alterazione, quindi non richiede la catena del freddo.

Dott. Salvatore Vaccaro Team Nutrizionale Azienda Ospedaliera “Arcispedale Santa Maria Nuova” (Reggio Emilia) Dott.ssa Emanuela Casini Biologa, Nutrizionista (Modena)

Latte UHT: è uperizzato, ovvero sottoposto a temperature molto elevate (sopra i 135°C) per soli 5 secondi, al fine di prolungarne i tempi di conservazione (3-6 mesi) senza alterarne il valore nutritivo. Dopo il trattamento viene omogeneizzato e conservato in tetrapak. Latte sterilizzato a lunga conservazione: viene sterilizzato in bottiglie di vetro a circa 115-135°C per 15-20 minuti, poi omogeneizzato. Si conserva oltre i 6 mesi, ma parte delle vitamine termolabili (soprattutto la B1) vanno perdute. Latte modificato: quando si aggiungono o si tolgono alcune sostanze dal latte intero. Può essere quindi scremato se gli è stato sottratto quasi completamente il grasso (che deve essere inferiore allo 0,3%), oppure parzialmente scremato, quando i grassi sono ridotti all’1,5-1,8%. Si ha poi il latte delattosato quando il

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alimentazione

lattosio è stato scisso per almeno il 75% in glucosio e galattosio, così da essere tollerato anche da chi è privo dell’enzima “lattasi”. Latte trasformato: si ottiene dal latte intero o scremato e ha un volume ridotto rispetto a quello di partenza, ma con un valore nutritivo inalterato. Può essere in polvere oppure condensato. Il primo si ottiene dall’eliminazione dell’acqua e, proprio come per il prodotto fresco, può essere intero, parzialmente scremato o scremato. Il secondo si ottiene riducendo l’acqua fino a un terzo o un quarto del volume, con o senza aggiunta di zucchero: con il 18% di zucchero si impedisce la crescita dei microorganismi, senza zucchero deve invece essere prima confezionato e poi sterilizzato. Va consumato rapidamente subito dopo l’apertura. Latte speciale: si ottiene con l’aggiunta di particolari fermenti lattici, quelli che fanno parte della normale flora intestinale e che aiutano a mantenere uno stato di benessere. Latte con Omega 3: questi ultimi sono acidi grassi fondamentali per l’organismo che svolgono, tra l’altro, un’importante funzione antiaterosclerotica. Si ottiene o alimentando le vacche con una dieta appropriata o aggiungendoli direttamente nel latte, cosa che si preferisce perché consente di ottenere un prodotto di qualità costante e senza stressare il metabolismo animale.

Bevande a base di latte Sono costituite da latte liquido (magro, semigrasso e intero), spesso omogeneizzato, al quale vengono aggiunti particolari ingredienti. Questi realizzano una varietà di gusti e ne permettono una più larga utilizzazione durante la giornata. Le bevande più in uso, prodotte anche su scala industriale e in questo caso imbottigliate e sterilizzate per una migliore conservazione, sono quelle ottenute con l’aggiunta di caffè, cioccolata, sciroppi di frutta (ad esempio lampone, mandorla, fragola, ecc.) o con l’aggiunta di aromi (come anice, menta, vaniglia e fiori d’arancio).

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Dal latte, una fonte di vita: lo Yogurt Questo alimento prezioso è un cibo di origine antichissima tradizionalmente orientale, introdotto in Europa dai Bulgari intorno al 700 d.C. Circa 2500 anni fa gli Yogi indiani dicevano che il dahai (lo yogurt dell’India orientale) era il “cibo degli dei”. Il medico greco del secondo secolo a.C., Galeno, già allora affermava che lo yogurt fosse un ottimo purificatore dell’eccesso di bile e lenitivo nei bruciori di stomaco. Inoltre, nei Paesi arabi, in Asia centrale e nel bacino del Mediterraneo orientale era da sempre conosciuto sotto tanti altri nomi e spesso usato come ingrediente acido per i cibi più svariati. La diffusione nel mondo occidentale risale ai primi del ‘900, grazie a un biologo di origine russa, Ilyia Metchnikoff, premio Nobel 1908: durante le sue

ricerche sull’invecchiamento precoce, egli constatò che alcune fasce della popolazione della Bulgaria, nonostante si nutrissero prevalentemente di yogurt e avessero quindi un’alimentazione carente di molti altri fattori nutritivi, erano tuttavia più longeve della popolazione americana. Tutto merito di due bacilli lattici, il Lactobacillus bulgaricus e lo Streptococcus thermophilus, di cui è ricca questa crema densa e dal gradevole sapore acidulo. Ma vediamo come nasce lo yogurt: i metodi per la sua preparazione variano da nazione a nazione, a seconda delle abitudini e delle preferenze, ma fondamentalmente questo prezioso alimento è il prodotto della fermentazione e coagulazione del latte, operate, appunto, dai due microorganismi (Lactobacillus bulgaricus e Streptococcus thermophilus) che vengono introdotti simultaneamente nel latte pastorizzato e che sono presenti, vivi e vitali in centinaia di milioni per ogni grammo di prodotto finale. Lo yogurt può essere preparato a partire da latte intero (con almeno il 3% di grassi), parzialmente scremato (con un contenuto in grassi fra l’1,5% e il 2%) o scremato (con percentuale in grassi inferiore all’1%), conservando lo stesso valore nutritivo del prodotto di partenza. Per conferirgli una particolare consistenza cremosa, è possibile aggiungere al latte di partenza della crema di latte; inoltre esso è disponibile anche alla frutta, al malto, ai cereali e in forma compatta o da bere e, ancora, in molti altri tipi per tutti i palati… Lo yogurt viene raccomandato nei disturbi intestinali, dato che la presenza di fermenti lattici vivi è in grado di collaborare al riequilibrio della flora batterica intestinale; proprio per preservarne la vitalità, si raccomanda di trasportarlo e conservarlo fra gli 0° e i 4°C. Chi vuole può anche farlo da sé in casa, a partire da latte intero o parzialmente scremato, mediante l’aggiunta degli speciali fermenti lattici e tenendo il latte coperto in frigorifero per 2-3 giorni. Testo raccolto da Marina Dall’Olio


Gradevole gusto arancia

Componenti attivi Ginseng

Pappa reale Propoli

Azione Stimolante generale, aiuta ad aumentare la resistenza dell’organismo e a migliorare le difese immunitarie. Aiuta a ripristinare l’energia fisica. Aiuta ad aumentare la resistenza dell’organismo dalle aggressioni esterne.


news

Scoperti tre nuovi geni che influenzano l’insorgere dei melanomi

GLI ESPERTI CI INFORMANO... 24

C’è anche la firma dell’Azienda Usl di Cesena nella ricerca scientifica internazionale, pubblicata sulla prestigiosa rivista “Nature Genetics”, che ha portato alla scoperta di tre nuovi geni in grado d’influenzare l’insorgere dei melanomi cutanei anche in persone o parti del corpo poco esposte al sole. Lo studio, che ha coinvolto un team di ricercatori internazionali coordinati da Tim Bishop, professore di Epidemiologia Genetica al Cancer Research Centre dell’Università di Leeds e ha visto la partecipazione per l’Italia dell’Unità Operativa di Dermatologia dell’Ospedale Bufalini di Cesena e del Dipartimento di Genetica dell’Università di Genova, ha permesso di individuare mutazioni genetiche che giustificherebbero l’insorgenza di melanomi indipendentemente dal fototipo, dal colore di occhi e capelli e dal numero di nevi delle persone e anche in assenza di eccessiva esposizione alle radiazioni ultraviolette. “Ogni anno in Italia 6.000 persone subiscono la diagnosi di melanoma – spiega il dott. Donato Calista, responsabile

Meno sale per prevenire le malattie del rene Le malattie renali - che sono quasi sempre caratterizzate da pressione arteriosa elevata e dalla perdita di proteine nelle urine - sono contrassegnate da una progressiva perdita della funzione dei reni che porta alla dialisi e al trapianto. La terapia con certi farmaci che abbassano la pressione, chiamati ACE-inibitori, protegge il rene e, quando riesce a ridurre la perdita di proteine renali, rallenta e a volte arresta l’evoluzione sfavorevole di queste malattie. Purtroppo la terapia con ACE-inibitori, da sola, a volte non basta a arrestare la progressione dell’insufficienza renale, e il rischio della dialisi diventa concreto. Un eccessivo consumo di sale, rende difficile il controllo adeguato della pres-

dell’Ambulatorio Dermatologia Melanoma dell’Ausl di Cesena – la maggior parte dei quali è causata da un’eccessiva esposizione alle radiazioni ultraviolette. Fino a qualche mese fa non ci spiegavamo come alcuni melanomi potessero insorgere in persone che nell’arco della loro vita si erano esposte pochissimo al sole o in sedi usualmente protette dalle radiazioni ultraviolette, come le natiche o le superfici plantari. La scoperta dei tre nuovi geni è stata possibile dal confronto dei geni fra 3.000 pazienti affetti da melanoma e 8000 soggetti sani. È stimabile che gli italiani portatori delle mutazioni recentemente scoperte siano meno del 4% della popolazione generale”. Il primo gene, denominato MX2 (Mixovirus Resistance 2), era fino a oggi conosciuto perché collegato allo sviluppo della narcolessia, una malattia neurologica che produce una profonda stanchezza e

sonnolenza diurna. Il secondo, noto con l’acronimo ATM (Ataxia Telangiectasia Mutated), regola il ciclo di riparazione del DNA. La proteina prodotta da tale gene è in grado di identificare la presenza di un danno nel DNA e di trasmettere il messaggio di pericolo a quei sistemi cellulari che sono deputati al ripristino del normale equilibrio vitale: il mancato funzionamento della proteina, per effetto della mutazione genetica, non permette questo controllo vitale. Il terzo gene, CASP8 (Caspasi 8), regola la morte programmata cellulare (apoptosi). La sua mutazione porta all’immortalizzazione delle cellule stesse che quindi, proprio perché incapaci di morire ma in grado di riprodursi continuamente, portano alla formazione del tumore. “Le applicazioni nella pratica clinica di tali risultati sono ancora in fase di valutazione, non essendo possibile modificare in alcun modo il corredo genetico dell’individuo - sottolinea il dott. Calista - per questo, dal punto di vista della prevenzione del melanoma, rimangono validi tutti i consigli fino ad ora forniti dai dermatologi: ovvero, adeguata protezione dalle radiazioni UV e soprattutto auto sorveglianza attraverso il controllo metodico della propria pelle”.

sione arteriosa e questo può avere risvolti negativi sulla funzione del rene. Fino ad oggi però non si avevano dati precisi sul ruolo del sale nella progressione delle malattie renali. I ricercatori del Centro Anna Maria Astori dell'Istituto Mario Negri di Bergamo, in collaborazione con ricercatori olandesi dell'UMCG (University Medical Center Groningen) hanno ora trovato che nei pazienti in terapia gli ACE inibitori che consumano troppo sale, la proteinuria non scompare anche se la

pressione arteriosa è ben controllata. Ciò è emerso dall’analisi dei dati raccolti con lo studio clinico REIN: si è visto che la funzione renale dei pazienti che consumavano quantità eccessive di sale subiva un significativo peggioramento e una più rapida progressione verso uno stadio avanzato dell’insufficienza renale. è come se un elevato consumo di sale, anche a fronte di un controllo ottimale dell'ipertensione, compromettesse l'azione degli ACE-inibitori sulla proteinuria e ne annullasse l'effetto di protezione sul rene. In conclusione, seguire una dieta a moderato contenuto di sale è un requisito necessario per ottenere una protezione efficace del rene in tutti i pazienti. I risultati dello studio dei ricercatori bergamaschi e olandesi sono già stati pubblicati sul Journal of the American Society of Nephrology (JASN). www.marionegri.it


floriterapia

Fiori di Bach

per una gravidanza serena

La gravidanza per ogni donna è un momento importante, quasi una verifica della sua personalità: per 9 mesi la futura mamma vive l’ansia dei nuovi compiti che l’attendono, sperimenta sensazioni e sensibilità particolari, mette a fuoco punti di forza e debolezze del suo carattere. La fragilità emozionale, legata non solo all’assetto psichico, ma anche alle fluttuazioni ormonali, può aprire la strada a stati d’animo negativi. Con i fiori di Bach la donna in gravidanza può superare stati d’animo come ansia o paura, variazioni del tono dell’umore, sensi di colpa o di inadeguatezza, frustrazioni e insicurezze, senza effetti collaterali. Vediamo insieme i rimedi floreali più utili alla donna in questa fase della sua vita.  Rescue Remedy, come “rimedio per le emergenze” può essere consigliato a quelle future mamme che vivono la loro condizione come un evento inatteso, davanti al quale si sentono impreparate, perché è efficace nell’elaborazione dello shock, aiuta a livello psichico a vivere una serena e consapevole maternità. è un rimedio efficace anche contro le nausee e l’insonnia, per il parto e il post-partum, può favorire l’allattamento (nel rapporto simbiotico tra mamma e bambino).  Agrimony è un rimedio indicato contro l’ansia qualora il carico di aspettative da parte dell’ambiente famigliare si ripercuota negativamente sulla donna in attesa. è efficace contro i disturbi digestivi e intestinali, dermatiti e pruriti legati alle celate difficoltà relazionali.  Walnut è adatto per superare l’ansia legata agli equilibri ormonali, soprattutto nei primi mesi della gravidanza; contribuisce a stabilizzare le funzioni biologiche, i sintomi ad andamento fasico o ciclico o legati alle variazioni atmosferiche o energetico-ambientali.  Crab Apple è un autentico cocktail depuratore delle scorie mentali che si accumulano a seguito di eccessive preoccupazioni, di atteggiamenti dietologicamente scorretti o di abusi viziosi a carattere gratificante e compensatorio.  Mimulus è il fiore di Bach necessario per affrontare la paura della malattia gravidica e/o del parto e per i disturbi neurovegetativi.  Rock Rose è il rimedio più specifico per situazioni di panico.  Red Chestnut è riservato alle neomamme che temono per la salute del loro bambino e che eccedono in atteggiamenti protettivi.

Dott.ssa Silvia Calzolari Medico Chirurgo, Pediatra, esperta in Omeopatia, Omotossicologia e discipline integrate, Floriterapeuta Studio medico Castel San Pietro Terme (BO) www.taonuovavita.it

Al vasto panorama di disturbi emozionali che possono comparire in gravidanza partecipa anche la depressione, assai frequente nel postpartum. Un ottimo cocktail in tale situazione può essere costituito da Olive per rafforzare l’assetto energetico, Sweet Chestnut per stimolare le reattività psichica e White Chestnut per riattivare la lucidità mentale. La floriterapia di Bach è una terapia a impatto psico-energetico e la sua efficacia è legata a una corretta interpretazione e a una corretta posologia del metodo originale di Bach; quindi è sempre consigliabile che la neomamma si affidi ai consigli dell’esperto. In generale, il fiore di Bach può essere assunto sia puro che diluito; l’utilizzo di un diluito, che può essere formulato dal farmacista competente o prescritto da un medico floriterapeuta, riproduce l’originale terapia del Dott. Edward Bach e ha un’azione più dolce e penetrante. Più fiori di Bach possono essere utilizzati nello stesso diluito: il cocktail prevede un insieme di 5-6 rimedi al massimo sinergici tra loro e individuati in base ai criteri della diagnostica floriterapica. La tradizionale formula del 4x4 (4 gocce sublinguali 4 volte al dì) può ritenersi valida, qualora si tenga presente che le somministrazioni del mattino e della sera debbono coincidere con le fasi di risveglio e preaddormentamento, fasi di stato alpha, in cui la permeabilità tra mente conscia e inconscia è maggiore. Le rimanenti somministrazioni durante la giornata devono coincidere con momenti in cui sia possibile concentrarsi su un pensiero positivo: la terapia con i fiori è un atto sacro verso la propria Anima e l’assunzione dei fiori va vissuta nel rispetto di un gesto d’amore per se stessi e non come una casualità. L’uso dei fiori di Bach in gravidanza è un ottimo modo per aiutare mamma e bambino. Essendo un rimedio vibrazionale, accostabile a un omeopatico per quanto attiene alla diluizione, il fiore di Bach assunto dalla madre estende la sua eco terapeutica anche al bambino, promuovendo l’armonia tra i due e aiutando entrambi a stabilire un connubio assoluto. Non di rado la terapia con i fiori di Bach porta la donna a conoscersi meglio, ad apprezzare le proprie qualità e ad affrontare la vita con forza e determinazione: quello che ci vuole sia ad una mamma che al suo bambino.

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speciale Perché parlare di malattie allergiche “già” in età pediatrica?

Le malattie allergiche sono una patologia rilevante ai nostri giorni, con un pesante impatto su tutta la nostra società, sia dal punto di vista della morbilità, sia sotto il profilo economico; sono state infatti definite l’epidemia del nuovo secolo, in quanto la loro incidenza è in costante aumento, interessando soggetti di ogni fascia di età. Nonostante l’esordio di una patologia allergica possa verificarsi anche in età adulta, i primi sintomi spesso esordiscono nei primi anni di vita. Si stima che ai nostri giorni circa il 30% di bambini e adolescenti fino ai 14 anni di età siano affetti da una malattia allergica.

Dott.ri Giampaolo Ricci, Elisabetta Calamelli Allergologia Pediatrica - UOC Pediatria Pession Università di Bologna

Le malattie

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allergiche nei bambini


speciale Cos’è l’allergia e come si scatena

Per allergia si intende una reazione di ipersensibilità in genere determinata da anticorpi di tipo IgE. La reazione allergica è scatenata da una sostanza chiamata allergene che interagendo con le IgE provoca la comparsa dei sintomi. Nella maggior parte dei casi gli allergeni sono proteine presenti in natura: possono essere alimenti come le proteine di uovo, latte vaccino, pesce o vegetali, o allergeni respiratori come i pollini di graminacee, gli acari della polvere, gli epiteli di animali come il gatto.

Perché non tutti siamo allergici?

Potenzialmente tutte le persone possono sviluppare un’allergia nel corso della loro vita; tuttavia la presenza di geni predisponenti aumenta questa possibilità. La presenza infatti di uno o di entrambi i genitori con allergia aumenta significativamente nel bambino il rischio di sviluppare una patologia allergica nel corso degli anni. Inoltre gioca un ruolo fondamentale anche l’ambiente in cui il bambino cresce : inquinamento, diverse modalità di vita e di alimentazione, tipo di sostanze

a cui viene o non viene a contatto. La cosiddetta “ipotesi igienica” sviluppata anni fa imputa infatti il costante incremento delle malattie allergiche in età pediatrica a un’eccessiva “protezione” per cui il bambino non viene a contatto con sostanze o agenti infettivi; il mancato contatto determinerebbe uno sbilanciamento del sistema immunitario verso lo sviluppo di cellule implicate nella patogenesi della sensibilizzazione allergica. Si può quindi definire l’allergia una patologia multifattoriale, in cui sia una personale predisposizione genetica,

sia l’ambiente giocano ruoli fondamentali e sinergici. Frequentemente i primi segni di allergia si manifestano nei primi anni di vita, soprattutto con sintomi cutanei (eczema) o reazioni avverse agli alimenti (in particolare latte e uovo). Negli anni successivi l’allergia “avanza” e le forme cutanee/o alimentari lasciano il posto o vengono affiancate da allergie che coinvolgono l’apparato respiratorio, come rinocongiuntivite o asma. Questa è la cosiddetta “marcia allergica”, ovvero la storia naturale dell’allergia.

Quali sono e come si manifestano le malattie allergiche che interessano i bambini Le principali malattie allergiche di rilevanza in età pediatrica sono le allergie alimentari e le allergie respiratorie. Allergia alimentare Per allergia alimentare si intende una reazione avversa ad un alimento che può manifestarsi subito dopo l'ingestione, ma anche alcune ore dopo l’assunzione dell’alimento in causa e colpisce circa il 4-6% dei bambini e l’1-2% dei ragazzi. Nei primi anni di vita gli alimenti più frequentemente implicati sono latte e uovo, mentre negli anni successivi prevalgono le allergie a frutta secca, pesce, crostacei, frutta e verdura. L’allergia alimentare può manifestarsi con sintomi di severità variabile: esistono forme lievi localizzate o generalizzate con sintomi come prurito, orticaria, gonfiore localizzati al volto/ occhi oppure diffusi a tutto il corpo fino a forme più severe potenzialmente fatali (shock anafilattico). Dermatite atopica Per dermatite atopica o eczema si intende una malattia infiammatoria cronica della pelle che inizia soprattutto nei primi anni di vita, solitamente tende a migliorare con l’età, ma può protrarsi anche nell’adolescenza e nell’età adulta con risvolti psicologici e relazionali anche importanti. Interessa fino al 15% dei bambini e adolescenti e circa il 2-5% della popolazione generale. Nella dermatite atopica si osservano delle alterazioni della struttura cutanea che rendono la pelle più secca e sensibile permettendo l'ingresso di allergeni; non è quindi una vera e propria malattia allergica, ma rappresenta però molto spesso

l’inizio della “marcia allergica". I principali sintomi clinici sono lesioni secche o essudanti con prurito prevalentemente notturno. Nei primi due anni di vita le lesioni sono localizzate prevalentemente a guance e zone estensorie degli arti; negli anni successivi tendono a localizzarsi nelle zone flessorie e alle pieghe degli avambracci, ai cavi poplitei e alle pieghe retroauricolari. Asma L’asma è la malattia cronica più comune in età pediatrica e colpisce circa il 10% dei bambini nei Paesi industrializzati. E’ una malattia infiammatoria cronica del sistema respiratorio associata ad uno stato di iperreattività bronchiale con conseguente ostruzione reversibile al flusso dell’aria. L’accesso asmatico viene scatenato dal contatto con l’allergene, ma anche da virus, e si manifesta con difficoltà respiratoria (a riposo o sotto sforzo) con “respiro veloce” e “fame d’aria”, tosse prevalentemente notturna, respiro sibilante, senso di oppressione toracica, rientramenti al torace. Rinocongiuntivite allergica La rinocongiuntivite allergica è un’infiammazione della mucosa nasale e congiuntivale scatenata dal contatto con l’ allergene. Questa patologia colpisce circa il 9% nei bambini in età scolare e il 25% dei giovani adulti e si manifesta con rinorrea acquosa, ostruzione nasale, senso di congestione delle prime vie aeree con respirazione orale, salve di starnuti, prurito al naso con conseguente sfregamento, il cosiddetto “saluto allergico”. In caso coinvolgimento oculare si osservano arrossamento, lacrimazione, prurito agli occhi e fotofobia.

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speciale Esistono dei metodi di prevenzione efficaci in età pediatrica? Sono stati effettuati numerosissimi studi a riguardo e molti sono tuttora in corso. Per ora l’unico dato certo è che l’esposizione al fumo di sigaretta in gravidanza aumenta significativamente il rischio nel bambino di sviluppare asma.

Come si fa la diagnosi di allergia Nel sospetto di malattia allergica, la prima raccomandazione per i genitori è quella di riferire dettagliatamente al Pediatra la sintomatologia presentata dal bambino con particolare attenzione alle circostanze (stagione dell’anno, determinati momenti della giornata o luoghi, presenza o meno di animali) e/o ad eventuali alimenti assunti. è inoltre molto importante definire i tempi di insorgenza delle reazioni in quanto l’allergia si basa su meccanismi di ipersensibilità “rapidi”. Pertanto i sintomi compaiono il più delle volte da pochi istanti fino a qualche ora dal contatto con l’allergene. In ogni caso, il sospetto di malattia allergica richiede sempre la conferma tramite test diagnostici. In prima battuta vengono effettuati gli skin prick test (test cutanei a lettura immediata) e, qualora opportuno, il dosaggio ematico delle IgE specifiche. Questi test, in particolare quelli cutanei, essendo meno invasivi, possono essere effettuati anche dai primi mesi di vita del bambino.

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E’ fortemente raccomandato affidarsi sempre a uno specialista per effettuare diagnosi di allergia e mai affidarsi test non validati. E’ inoltre fondamentale speci-

ficare che la positività in un test (definita “sensibilizzazione”) non implica ancora una diagnosi di “allergia”: è sempre indispensa-

bile infatti correlare l’esito delle indagini allergologiche a una sintomatologia precisa. Questo vale per tutti i tipi di allergie, ma in particolare per le allergie alimen-


speciale tari: mai intraprendere diete di esclusione solo perché i test diagnostici hanno mostrato la presenza di sensibilizzazione verso quel determinato alimento senza chiara e precisa correlazione con una sintomatologia clinica. In caso di sospetta allergia alimentare, oltre alle indagini sopracitate, la conferma della diagnosi viene fatta attraverso il “Test di Provocazione Orale” cioè la somministrazione di quantità crescenti dell’alimento sospetto in ambiente protetto e sotto stretta sorveglianza del medico per poter intervenire in caso di necessità.

Quali trattamenti esistono al momento attuale? La cura e il controllo delle malattie allergiche si basa su 2 cardini. 1) Evitare l'allergene L'educazione alla prevenzione è un elemento determinante; tutte le figure che si occupano del bambino allergico (genitori, amici, insegnanti , etc…) e il bambino stesso appena possibile, debbono essere istruiti sui pericoli che corre, sui comportamenti da evitare, sui farmaci e gli interventi che devono essere messi in atto in caso di sintomi anche severi. Nel caso di allergie alimentari evitare assolutamente l’esposizione all’alimento in causa o ad alimenti che possano contenere anche tracce di esso (soprattutto quando il bimbo si trova fuori casa, come nelle mense scolastiche, alle feste di amici o al ristorante). Quando vi è una allergia ai pollini, nei periodi di fioritura, è buona norma tenere le fine-

stre degli ambienti dove si trova il bambino chiuse; per l’allergia agli acari evitare di tenere nella camera del bambino tappeti o molti peluche e usare coprimaterassi e copricuscini antiacaro. 2) Utilizzare farmaci appropriati Le terapie farmacologiche possono essere orientate al controllo dei sintomi (come gli antistaminici, i broncodilatatori, i cortisonici topici o sistemici, l’adrenalina autoiniettabile) o per prevenirne la comparsa. In quest'ultimo caso si utilizzeranno i "vaccini" più correttamente definiti "immunoterapia allergene specifica" con l'obiettivo di desensibilizzare dall’allergene in causa. I vaccini possono essere somministrati o per via sublinguale o sottocutanea e il trattamento deve durare almeno 3-5 anni per essere efficace.

Per concludere L’allergia è una condizione complessa che segue il bambino e la sua famiglia in ogni momento della sua vita con importanti ripercussioni sul benessere sia fisico, sia psicologico di tutto il nucleo famigliare. Resta pertanto fondamentale rimarcare come tutte le forme di allergia, in particolare quelle più complesse e con manifestazioni più severe, richiedano una valutazione specialistica accurata. E’ fondamentale inoltre che sia la famiglia del bambino, sia il bambino stesso vengano supportati e seguiti da figure di riferimento competenti, in grado di attuare le strategie preventive e terapeutiche più efficaci, in modo tale da ottimizzare la qualità di vita del piccolo paziente e della sua famiglia.

Un’Associazione nata per aiutare i bambini allergici A.GE.B.A. Ricerca, Associazione Genitori di Bambini Allergici, è un'associazione di volontariato fondata nel 2008 da genitori, medici e infermieri bolognesi che opera in ambito socio-sanitario a sostegno dell’Allergologia Pediatrica della Clinica Pediatrica Gozzadini - Policlinico S. Orsola - per la cura e la ricerca sulle malattie allergiche sia respiratorie sia alimentari. Obiettivi L’attività è volta a favorire la conoscenza, la ricerca, lo scambio di carattere scientifico e divulgativo in campo allergologico e a promuovere l’appoggio alle famiglie con bambini allergici. Alla fine del 2011, presso il Dipartimento Salute della Donna, del Bambino e dell’Adolescente, è stato consegnato il premio di Ricerca finanziato da A.GE.B.A. per un giovane medico distintosi nel settore dell’allergologia pediatrica. A.GE.B.A. svolge attività di informazione e formazione in campo allergologico nelle scuole, nelle biblioteche e in Ospedale, rivolgendosi sia ai bambini sia agli adulti organizzando laboratori con l’ausilio di volontari e medici specialisti del proprio Comitato Scientifico. A.GE.B.A. è coinvolta in convegni medici, ma anche in conferenze rivolte al personale scolastico e ai genitori per spiegare le allergie in età pediatrica e illustrare le ultime novità che la scienza mette a disposizione. In questi anni di attività, grande interesse hanno suscitato gli approfondimenti sulla dermatite atopica, sulle problematiche relative alle allergie respiratorie e, per quello che riguarda le allergie alimentari, gli argomenti relativi alla gestione del paziente allergico nei luoghi di aggregazione sociale quali scuole, organizzazioni sportive e centri estivi. Come sostenere l’associazione L’attività di A.GE.B.A. si fonda esclusivamente sul volontariato ed è resa possibile grazie alle donazioni ed erogazioni di privati cittadini, enti pubblici, banche e fondazioni. A.GE.B.A. organizza anche eventi e attività promozionali allo scopo di raccogliere fondi per sostenere le proprie attività. I volontari di A.GE.B.A. sono disponibili per fornire informazioni ai soci sia telefonicamente, sia via mail, o in sede per appuntamento. Diventare soci è molto facile, basta contattare l’associazione, compilare i moduli d’iscrizione e versare un piccolo contributo annuale. Per contatti e donazioni: A.GE.B.A. Ricerca onlus Tel. 392-5461492 • web: www.ageba.it • mail: ageba.ricerca@gmail.com

Testo raccolto da Marina Dall’Olio

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medicina Valeria Manicardi Direttore Dip. Internistico Ospedale di Montecchio AUSL di Reggio Emilia Consigliere Nazionale Ass.ne Medici Diabetologi manicardiv@ausl.re.it

L’autocontrollo domiciliare della glicemia nelle persone con Diabete è uno strumento importante nella gestione della malattia, va condiviso con il team diabetologico ed è strettamente legato all’educazione del paziente e al suo coinvolgimento attivo nel controllo della malattia.

Chi deve fare l’autocontrollo Le persone con Diabete sono educate dal team diabetologico ad autocontrollarsi la glicemia con cadenze e periodicità che dipendono dalla terapia in atto: l’autocontrollo per il Diabete Mellito Tipo 1 e il Diabete Mellito Tipo 2 in terapia con insulina è indispensabile; nel Diabete Mellito Tipo 2 in terapia orale con farmaci che possono dare ipoglicemia è consigliabile e nel Diabete Mellito Tipo 2 in dieta o in terapia con farmaci insulino-sensibilizzanti, non è strettamente necessario, se non in particolari situazioni di cattivo compenso o di malattia intercorrente. Anche la nuova classe di farmaci per il Diabete – le incretine - non necessitano di controllo glicemico stretto, perché sono farmaci glucosio–dipendenti, che non danno ipoglicemie.

Standard di cura Le Linee Guida Italiane per la cura del Diabete del 2009-2010 (Standard di Cura Italiani per la cura del Diabete Mellito, 20092010) ci ricordano che:

l'autocontrollo domiciliare della glicemia

 Nei pazienti diabetici che assumono terapie che possono potenzialmente indurre ipoglicemie, l’autocontrollo glicemico è una componente indispensabile nella gestione della malattia diabetica sia per raggiungere gli obiettivi terapeutici, sia per ridurre il rischio di ipoglicemie gravi.  L’autocontrollo quotidiano (almeno 3-4 controlli/die) è indispensabile per la persona con diabete tipo 1 o tipo 2 in terapia insulinica intensiva (3+1 iniezioni giornaliere di insulina).

come e quando fare l’autocontrollo L’autocontrollo si effettua con strumenti appositi (Glucometri) e strisce reattive che richiedono una piccola goccia di sangue capillare,

ottenuta con una puntura al dito. Oggi ci sono molti strumenti a disposizione dei pazienti: alcuni sono molto semplici da usare, con display grande, con numeri molto ben visibili per le persone anziane che hanno necessità di vedere bene i valori misurati; altri sono tecnologicamente avanzati, forniti di memoria e della possibilità di suggerire il bolo di insulina da somministrarsi, una volta inseriti i carboidrati del piatto che ci si appresta a consumare, ideali per giovani diabetici insulino dipendenti. I momenti per fare il controllo della glicemia sono a digiuno e prima dei pasti, per i pazienti che devono somministrare insulina rapida o ultrarapida a ogni pasto, e due ore dopo il pasto per valutare se si mantiene l’obiettivo desiderato, concordato con il diabetologo.

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medicina Se nel Diabete Tipo 1 in trattamento insulinico intensivo si chiede al paziente di eseguire 4 glicemie al giorno, prima di ogni somministrazione di insulina, nei Diabetici Tipo 2 l’autocontrollo si può eseguire con modalità diverse - condivise con il team di diabetologia:  a scaletta: 1 glicemia al giorno, pre o post prandiale, alternando colazione, pranzo e cena;  a coppie: prima e dopo 2 ore dal pasto, alternando colazione, pranzo e cena;  una volta a settimana o ogni 15 giorni un profilo a 4 punti nella stessa giornata, per verificare se gli obiettivi prefissati sono mantenuti. Le modalità e la cadenza dell’autocontrollo viene definita dal diabetologo in base alla situazione clinica e alla terapia in atto. Il controllo della Glicemia a digiuno serve a chi esegue l’insulina notturna per verificare se la dose serale è adeguata o se è da modificare: la dose di insulina serale non va modificata infatti in base al valore della sera, ma in base al valore del mattino successivo. Il controllo della Glicemia prima dei pasti serve a decidere la dose di insulina al pasto, in base agli obiettivi concordati con il diabetologo (es: 100-120 mg/dl prima del pasto) e ai carboidrati del pasto. Il controllo della Glicemia a due ore dal pasto serve per valutare il picco della glicemia

L’IPOGLICEMIA Che cosa è Una diminuzione del livello di glucosio (zucchero) nel sangue al di sotto dei valori di normalità ossia inferiore a 70 mg/dl. I sintomi Sensazione di fame, malessere generale, sudorazioni, diminuzione della vista, palpitazioni, senso di debolezza, cefalea, tremori. Raccomandazioni:  Non metterti alla guida se avverti questi sintomi, ma controllati la glicemia.

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dopo i pasti e verificare se si sono ottenuti i risultati desiderati. La frequenza dell’autocontrollo deve essere adattata agli eventi intercorrenti e intensificata in presenza di situazioni cliniche quali patologie intercorrenti, ipoglicemie inavvertite, ipoglicemie notturne, variazione della terapia ipoglicemizzante.

autocontrollo della glicemia in gravidanza Una fase della vita in cui è indispensabile l’autocontrollo è la gravidanza delle donne con Diabete, che vengono trattate con l’uso di microinfusori di insulina e devono in questi mesi sottoporsi a controlli stretti dei valori glicemici (5-6 volte al giorno), per mantenere le glicemie strettamente sottocontrollo (tra 80 e 120 mg/dl), al fine di garantire la salute della madre e del bambino.

un mezzo efficace nelle mani del paziente È necessario istruire il paziente all’autocontrollo glicemico, valutare periodicamente la correttezza dell’utilizzo del glucometro e la capacità di modificare la terapia sulla base dei valori misurati. L’autocontrollo è importante per controllare la glicemia in caso di malessere, sudorazione, tremori, astenia, irritazione, crampi, fame imperiosa: cioè di fronte ai sintomi dell’ipoglicemia, che va individuata e corretta adegua Se stai già guidando, fermati subito per controllare la glicemia e correggerla.  Tieni sempre con te alcune bustine di zucchero per poter correggere le ipoglicemie. Come correggerla (la regola del 15) 1) Non bisogna farsi prendere dal panico e abbuffarsi. 2) Assumere 15 g di carboidrati (che si trovano in 2 bustine di zucchero, o in una mezza lattina di coca-cola, o in un succo di frutta da 200 ml. ) per fare aumentare la glicemia di 50 mg/dl. Non è consigliato assumere cioccolato, caramelle dure perché impiegano troppo tempo per fare aumentare la glicemia.  dopo 15 minuti riprovare la glicemia che dovrà essere salita di 50 mg/dl;

tamente. Si parla di ipoglicemia quando i valori sono inferiori a 70 mg/dl ed è necessario correggerla in modo adeguato, seguendo la regola del 15: assunzione di 15 g di zucchero (due bustine di zucchero o un succo di frutta o ½ coca-cola), e dopo 15 minuti nuovo controllo della glicemia; se il valore non è aumentato di almeno 50 mg, ripetere l’assunzione di 15 g di zucchero (vedi box ipoglicemia). L’autocontrollo deve essere considerato come un elemento dell’educazione continua all’autogestione del Diabete per aiutare i soggetti diabetici a capire meglio la loro malattia; esso può rappresentare un mezzo per partecipare attivamente e in modo efficace al controllo e al trattamento, modificando gli interventi farmacologici e comportamentali secondo la necessità, consultandosi con l’operatore sanitario.

Obiettivi a medio-lungo termine L’istruzione all’autocontrollo glicemico si inserisce in un programma educativo condotto e controllato a medio-lungo termine dal personale sanitario del team diabetologico. Le registrazioni dell’autocontrollo vanno sempre portate al diabetologo per discuterne i risultati e concordare insieme le variazioni della terapia e dello stile di vita. Utilizzare l’autocontrollo se non si è disponibili o in grado di modificare la terapia o l’apporto alimentare o l’attività fisica, vanifica la spesa.  se questo non accade occorre ripetere la stessa operazione fino a quando la glicemia non è superiore ai 100 mg/dl Se compaiono i sintomi descritti, anche se i valori di glicemia sono maggiori 100 mg/dl è consigliata l’assunzione di carboidrati complessi (quali cracker, grissini, frutta) piuttosto che di zuccheri semplici (zucchero, coca-cola o succo di frutta). Segnali “d’allarme” per chi vive con una persona con Diabete: volto pallido e sudato, crisi di riso o di pianto, stanchezza, parlare confuso, brividi, sguardo fisso, tachicardia, ansietà, nervosismo ecc. In caso di perdita di coscienza o stato di sopore somministrare una fiala di Glucagone sottocute e chiamare il 118. Testo raccolto da Marina Dall’Olio



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medicina

Viverecon la

Sclerosi Multipla Dott.ssa Grazia Rocca Medico Neurofisiopatologo Sede nazionale AISM

I sintomi

che e non farmacologiche, tra queste ha un ruolo fondamentale la riabilitazione. I sintomi principali sono: disturbi visivi intesi come un calo visivo rapido e significativo o uno sdoppiamento della vista o movimenti non controllabili dell’occhio; disturbi delle sensibilità, cioè rilevanti e persistenti formicolii, sensazione di intorpidimento degli arti o perdita di sensibilità al tatto, difficoltà a percepire il caldo e il freddo; fatica e debolezza percepita come difficoltà a svolgere e a sostenere attività anche usuali, perdita di forza muscolare. I sintomi possono presentarsi singolarmente o simultaneamente, senza un criterio prestabilito. Se non opportunamente riconosciuti, i sintomi riferibili alla SM possono creare ansie e timori e condurre ad accertamenti non necessari. Nello stesso tempo non è raro che la persona con SM e chi vive con lei attribuisca ogni piccolo disturbo organico alla malattia anche se il sintomo non è associato ad essa. Per questo sono essenziali una corretta interpretazione dei sintomi, una buona relazione tra medico e paziente e la programmazione di regolari visite neurologiche di controllo.

La Sclerosi Multipla può presentarsi in vari modi, infatti i sintomi possono variare da persona a persona e in uno stesso individuo ve ne sono alcuni che si ripetono in maniera più frequente, in particolare all’esordio. La maggior parte dei sintomi dovuti alla SM può essere affrontata e trattata con successo attraverso terapie farmacologiche specifi-

Le cause della SM sono ancora sconosciute, tuttavia la ricerca ha fatto grandi passi nel chiarire il modo con cui agisce, permettendo di arrivare a una diagnosi e a un trattamento precoce che consentono alle persone con SM di mantenere una buona qualità di vita

La Sclerosi Multipla (SM) o sclerosi a placche è una malattia a decorso cronico che si manifesta quando avviene un danno e una perdita di mielina in più aree (da cui il nome «multipla») del sistema nervoso centrale. Queste aree di perdita di mielina sono di grandezza variabile e prendono il nome di placche. Alla base della SM quindi vi è un processo di demielinizzazione che determina danni o perdita della mielina e la formazione di lesioni (placche) che possono evolvere da una fase infiammatoria iniziale a una fase cronica da cui deriva il termine «sclerosi».

I numeri della SM Nel mondo si contano circa 2,5-3 milioni di persone con SM di cui circa 63.000 in Italia. La malattia può esordire a ogni età della vita, ma è diagnosticata per lo più tra i 20 e i 40 anni (le donne sono colpite in numero doppio rispetto agli uomini). Per frequenza, nel giovane adulto è la seconda patologia neurologica e la prima di tipo infiammatorio cronico.

Le cause

per molti anni. La SM non è infettiva e non si trasmette da individuo a individuo. Studi epidemiologici hanno riscontrato una maggiore frequenza della patologia in componenti dello stesso nucleo familiare, ma l’incidenza è molto bassa in termini assoluti e questo indica che la SM non è una patologia genetica in senso stretto.

Gli strumenti per la diagnosi Negli ultimi anni sono stati compiuti notevoli progressi nella comprensione di molti aspetti della SM e parte di questi è stato possibile grazie all’affinarsi di tecniche di neuroimaging sempre più efficaci. Tale strumento è determinante nel processo diagnostico per arrivare a identificare la sede e l’entità delle lesioni e pertanto contribuire al processo di certezza diagnostica della malattia; viene inoltre impiegata nel monitoraggio terapeutico, ossia nella valutazione degli effetti delle terapie e come rilevato da alcuni studi specifici, potrebbe svolgere un ruolo importante anche nella definizione prognostica, cioè nella previsione del decorso della malattia. Negli anni i criteri diagnostici della SM si sono evoluti tenendo conto dei progressi delle tecniche di Risonanza Magnetica e oggi è possibile porre diagnosi di SM con ragionevole certezza anche dopo un solo episodio clinico. Ciò consente di ridurre al minimo l’intervallo tra l’esordio della malattia e l’utilizzo di terapie in grado di prevenire, almeno parzialmente, l’accumularsi del danno nel sistema nervoso centrale. Una volta formulata la diagnosi, nonostante esistano dei fattori prognostici clinici, rimane la difficoltà di fornire informazioni rispetto alla possibile evoluzione della malattia. Studi prospettici hanno dimostrato che la Risonanza Magnetica è l’indicatore prognostico più affidabile tra quelli presi in considerazione, infatti è uno strumento fondamentale per lo studio in particolare delle prime fasi della malattia, permettendo di individuare, tra i pazienti con primo episodio clinico suggestivo di SM, quelli ad alto rischio di conversione verso la forma definitiva.

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medicina

Le persone diventano protagoniste della cura La relazione medico-paziente è profondamente mutata. Una soddisfacente relazione medico-paziente, oltre ad adempiere a principi etici e umanistici, comporta maggior soddisfazione da parte del paziente e del medico, aspettative più realistiche del paziente sugli effetti delle cure, maggiore aderenza terapeutica e continuità del rapporto di cura. Disporre di strumenti che aumentino la conoscenza della propria malattia e che possano aiutare il paziente nelle decisioni, supportando e non sostituendo l’interazione con il proprio medico, è altrettanto fondamentale. È necessario quindi integrare il modello biomedico tradizionale con aspetti psicologici e socio-ambientali: attuare un modello bio-psico-sociale nella ricerca, pratica clinica e organizzazione dei servizi sanitari per le persone con SM, non può prescindere da una diretta partecipazione dei pazienti stessi al processo di cura. Accanto a misure di esito e di efficacia basate su valutazione clinica, strumentale e di laboratorio, hanno peso anche misure basate sull’esperienza della persona con SM.

L’Associazione Italiana Sclerosi Multipla (AISM) è l’unica organizzazione italiana che interviene a 360 gradi sulla Sclerosi Multipla (SM); promuove ed eroga servizi a livello nazionale e locale, rappresenta e afferma i diritti delle persone con SM, sostiene, indirizza e promuove la ricerca scientifica. Da oltre quarant’anni AISM è un concreto punto di riferimento per 63.000 persone con SM e per i loro familiari. L’Associazione crede fermamente che le persone con SM abbiano diritto a una buona qualità di vita e alla piena integrazione sociale e per questo è al loro fianco con progetti mirati e innovativi, dedicati alle donne, ai giovani, alle coppie e alle famiglie. Sono incontri, convegni e seminari, attività di consulenza su argomenti specifici e pubblicazioni dedicate. AISM è attiva sul territorio con oltre 10.000 volontari, è impegnata a diffondere una corretta informazione sulla SM, a sensibilizzare l’opinione pubblica, a erogare servizi socio sanitari adeguati, anche là dove il servizio pubblico non arriva, e a promuovere iniziative di raccolta fondi a sostegno della ricerca scientifica. AISM è una ONLUS, cioè un’Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale, che opera dal 1968 su tutto il territorio italiano e dal 1998 è affiancata da FISM, Fondazione Italiana Sclerosi Multipla, anch’essa ONLUS, istituita per indirizzare, finanziare e promuovere la ricerca scientifica sulla SM. (www.aism.it)

PER LA FESTA DELLA DONNA, REGALA QUESTA “MIMOSA”.

Dott.ssa Alessandra Solari, Medico Neurologo Ricercatrice in epidemiologia clinica presso la Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano

Regala un fiore, sostieni la ricerca. Il 3 e il 4 marzo torna l’appuntamento con la solidarietà di Gardenia dell’AISM. In 3.000 piazze italiane migliaia di volontari distribuiranno piante di gardenia per sostenere la ricerca sulla Sclerosi Multipla: i fondi raccolti aiuteranno l’Associazione nella ricerca della causa della malattia e della cura. In particolare quest’anno il ricavato dell’SMS solidale (al numero 45599) finanzierà un progetto legato allo studio della biologia della gravidanza per comprendere il meccanismo regolatore di geni che, non funzionanti correttamente nelle persone con SM, durante la gravidanza tornano normali facendo diminuire le ricadute infiammatorie. Per ulteriori informazioni www.aism.it Testo raccolto da Marina Dall’Olio

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SABATO 3 E DOMENICA 4 MARZO COMBATTI lA SClEROSI MulTIplA CON lA gARDENIA DEll’AISM. Sosterrai la ricerca e aiuterai le donne, le più colpite dalla malattia. Combattere la sclerosi multipla, una delle più gravi malattie del sistema nervoso centrale, per noi di AISM significa anche aiutare tutte le donne, colpite in percentuale doppia rispetto agli uomini. Ecco perché durante la festa della donna siamo presenti nelle piazze italiane, per offrire la nostra gardenia. Vieni a regalarla e unisciti al movimento: aiuterai la ricerca scientifica, le donne e un po’ anche te. Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica.

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MAI COSI’ ANZIANI (IN ITALIA) L'Italia ha raggiunto il traguardo storico del 20,3% della popolazione con più di 65 anni. La “cartella clinica” dello stivale, disegnata dalla relazione sullo stato sanitario del Paese presentata di recente dal Ministro Renato Balduzzi, parla di un paziente più longevo, ma pigro, che non riesce a rinunciare al fumo, che vive molti anni di disabilità, negli ultimi anni di vita.

Alla Campania spetta il titolo di Regione con la più alta mortalità d'Italia sia per gli uomini, sia per le donne. Segue la Sicilia. La mortalità per tumori e quella per malattie del sistema circolatorio (che si confermano essere le principali cause) tracciano una chiara polarizzazione a sfavore delle Regioni più industrializzate del Paese per la mortalità per tumori e a sfavore delle Regioni meridionali, in termini di mortalità, per malattie cardiova-

scolari. In questo panorama, la Campania si distingue anche per la mortalità per tumore del polmone fra gli uomini (% più alta del Paese). Fra le buone notizie invece si è ridotta del 60% (dal 1980) la mortalità per malattie cardiocircolatorie e del 20% (dal 1990) la mortalità per tumori. Per approfondire: http://www.salute.gov.it/ imgs/C_17_pubblicazioni_1655_allegato.pdf

I CONCORSI ONLINE Il Ministero della Salute ha pubblicato il nuovo portale internet www.trovalavoro. salute.gov.it, per promuovere la massima conoscenza delle possibilità di lavoro offerte dal Ssn (Servizio sanitario nazionale) sia per le professioni sanitarie come medico,

infermiere e tecnico di laboratorio; sia per il personale non sanitario. Il portale, realizzato dalla Direzione Generale della Comunicazione e Relazioni Istituzionali del Ministero in collaborazione con l'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato permette per la prima volta gratuitamente e liberamente, la con-

sultazione e la ricerca in tempo reale di tutti i concorsi in ambito sanitario. I concorsi riguardano più di 1080 enti e strutture del Ssn (enti centrali, Asl, Aziende ospedaliere, Irccs, Izs, ospedali, etc) e tutte le professioni sanitarie e arti ausiliarie, più i ruoli non sanitari.

24 MARZO 2012 - Giornata mondiale della tubercolosi L’Organizzazione Mondiale Sanità (OMS) promuove ogni anno, il 24 marzo, la Giornata mondiale della tubercolosi, per aumentare la consapevolezza dei cittadini nei confronti di questa grave malattia. L'evento annuale ricorda il giorno (24 marzo del 1882) in cui Robert Koch (1843-1910), medico, batteriologo e microbiologo tedesco (Premio Nobel per la Medicina nel 1905),

individuò il bacillo della Tubercolosi. L’Italia è un Paese con un basso valore di incidenza, inferiore a 10 casi ogni 100.000 abitanti, ed è quindi tra quelli a cui l’OMS non fornisce assistenza prioritaria nella lotta alla Tubercolosi. Nonostante l’incidenza si sia ridotta negli ultimi anni, la popolazione immigrata ha ancora un rischio relativo di andare incontro a Tubercolosi che è circa 10-15 volte superiore rispetto alla popolazione italiana. La Tubercolosi, o TB, è una malattia infettiva

batterica causata dal Mycobacterium tuberculosis, che più frequentemente colpisce i polmoni. Si trasmette da persona a persona tramite le goccioline dalla gola e polmoni di persone con la malattia respiratoria attiva. I sintomi di TB attiva del polmone sono tosse, a volte con espettorato o sangue, dolore toracico, debolezza, perdita di peso, febbre e sudorazioni notturne. La tubercolosi è curabile con un corso semestrale di antibiotici. www.who.int

LA DISABILITA’ NON E’ UN PROBLEMA PRIVATO, MA SOCIALE “Ci sono solo due giorni l’anno in cui non puoi fare niente: uno si chiama ieri, l’altro si chiama domani, perciò oggi è il giorno giusto per amare, credere, fare e principalmente vivere”. (Dalai Lama) Anffas Bologna Onlus, Associazione senza scopo di lucro, opera su tutto il territorio della città e della provincia di Bologna. In base al proprio statuto promuove la tutela dei diritti delle persone con disabilità e delle loro famiglie, con opere di informazione e sensibilizzazione sulla disabilità intellettiva e/o relazionale. Attua, inoltre,

servizi di assistenza domiciliare, interventi di pronta risposta alle emergenze, accompagnamenti assistiti, servizio di aiuto alla persona. Nella consapevolezza che la disabilità non è un problema privato, ma sociale, ci rivolgiamo alla società intera, affinché possa attuarsi quella solidarietà che è espressione di civiltà e di sostegno. Abbiamo bisogno anche del vostro aiuto per assicurare una continuità negli interventi assistenziali da noi gestiti, come quello dei week-end che permette alla per-

sona disabile di sperimentare momenti di autonomia, di tempo libero e alle famiglie di potersi distaccare dalla cura quotidiana.


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Oltre all’età, un fattore di rischio importante sono gli sport che richiedono un uso eccessivo dei tendini

Dott. Lelio Rubbini Medico Chirurgo, Specialista in Ortopedia e Traumatologia (Bologna)

Q

uesta patologia è un processo infiammatorio che coinvolge uno o più dei 267 tendini presenti nel corpo umano. Un tendine sano è estremamente resistente e si rompe con difficoltà: sono, infatti, i soggetti più anziani quelli più sensibili a questo tipo di lesioni, poiché i tendini col passare degli anni e il loro disuso perdono buona parte dell’elasticità e della resistenza originali.

Cosa sono i tendini Si tratta di robuste strutture fibrose che connettono i muscoli alle ossa e consentono così di trasmettere, distribuire e graduare le sollecitazioni che le attività muscolari esercitano costantemente sull’apparato scheletrico. Sono strutture molto resistenti,

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anche se hanno una capacità di rigenerazione molto più lenta rispetto a quella del muscolo. Insomma, i tendini sono tessuti difficilmente lesionabili, ma se vengono sottoposti a sforzi eccessivi e ripetuti possono subire microlesioni che le loro cellule non sono in grado di riparare in tempi brevi.

Zone colpite

La tendinite è il processo infiammatorio del tendine o, meglio, del complesso di guaine connettive che avvolge l’intero tendine e i suoi fasci costitutivi. Questa infiammazione si verifica più spesso alle spalle, ai gomiti, alle ginocchia, alle mani, ai piedi, ai polsi e alle caviglie. I disturbi che solitamente si sviluppano comprendono: dolore, ipersensibilità e, in alcuni casi, tumefazione della zona interessata.

A seconda del distretto corporeo coinvolto, abbiamo:  Epicondilite nel gomito, con dolore nella parte esterna dell’avambraccio, quando si ruota o si afferra qualche oggetto;  Tendinite d’Achille nella zona paracalcaneare, con dolore appena sopra al tallone;  Tendinite dei muscoli adduttori, con dolore alla faccia interna della coscia e del basso ventre;  Tendinite infrapatellare del tendine rotuleo, con dolore nella zona anteriore del ginocchio;  Tendinite della cuffia dei muscoli rotatori, con dolore alla spalla che coinvolge la capsula dell’articolazione e i tendini ad essa associati.

Se la guaina che avvolge il tendine si restringe o ispessisce in alcuni distretti (come nelle dita e nel polso), si possono verificare dei “blocchi” in flessione o estensione, come nel caso del “dito a scatto” o, nel polso, il cosiddetto “De Quervain”, che avviene per la stenosi (cioè un restringimento) della guaina dell’estensore breve e dell’abduttore lungo del pollice. L’attività intensa del muscolo connesso al tendine interessato dall’infiammazione, ovviamente, peggiora la sintomatologia. Se la tendinite è grave, si può arrivare alla rottura di un tendine, con conseguente necessità di un intervento chirurgico riparatore: spesso, per fortuna, il semplice riposo e il trattamento medico conservativo possono risolvere definitivamente il dolore e l’infiammazione.


ortopedia

Fattoridirischio I tendini sono normalmente avvolti da una guaina di tessuto molto simile al rivestimento interno dell’articolazione (membrana sinoviale) e sono soggetti all’usura e agli stiramenti, ai traumi diretti e all’infiammazione, oltre che all’invecchiamento. È quindi evidente che la causa più frequente della tendinite è rappresentata dal superlavoro durante alcune attività lavorative o sportive. A partire dai 30/35 anni di età, poi, i tendini cominciano a perdere tonicità, la vascolarizzazione si riduce ed essi diventano più vulnerabili. Le lesioni dei tendini si possono così verificare a causa di microtraumi ripetuti, sforzi eccessivi, esercizi non abituali, soprattutto se eseguiti in modo non del tutto corretto. Vita sedentaria, alimentazione sbilanciata, stress quotidiano e, in alcuni casi, la ricerca esasperata del fisico perfetto hanno fatto sì che oggi una cospicua fascia di popolazione si avvicini sempre di più alla pratica sportiva sia generica che specifica, amatoriale o professionistica. Queste pratiche, però, vengono intraprese a prescindere dalla propria forma fisica o dallo stato naturale biologico, impigrito o appesantito dalla sedentarietà e da un’alimentazione scorretta.

Diagnosi

Una vista ortopedica specialistica a volte è sufficiente per la diagnosi, ma talvolta potrebbe essere necessaria un’indagine più approfondita tramite un’ecografia e, ancora, una risonanza magnetica (RMN) per mettere in evidenza una meiopragia (cioè una riduzione dell’attività funzionale) o la fragilità del tendine in esame. L’esame radiologico tradizionale normalmente è negativo, salvo in casi in cui il problema sia il punto di inserzione del tendine all’osso con un piccolo distacco parcellare (in questo caso il trattamento si orienterebbe in senso traumatologico, con immobilizzazione e terapia fisica adeguata). Può anche essere necessario un esame del sangue per escludere patologie sistemiche più gravi, come la citata artrite reumatoide.

Terapia

Se la tendinite cronicizza e porta a una degenerazione del tessuto tendineo fino alla rottura del tendine stesso, allora è necessario un intervento chirurgico ripartivo. Più spesso, però, il riposo, il trattamento con antinfiammatori, l’infiltrazione locale con corticosteroidi (da praticarsi nella zona paratendinea e non nel tendine stesso, ciò che ne potrebbe provocare un ulteriore indebolimento) o, ancora, le nuove tecnologie fisioterapiche come la Tecarterapia (cosiddetto Trasferimento Energetico Capacitivo Resistivo), la Laserterapia con sorgente a CO2, le Onde d’urto, l’Agopuntura e la Mesoterapia possono risolvere il problema fino a una completa guarigione. Se la tendinite non viene adeguatamente curata, peraltro, può portare alla formazione di aderenze fibrose

Ecco perché si assiste ad un aumento progressivo di un tipo di patologia infiammatoria che fino ad alcuni anni fa colpiva principalmente gli atleti sottoposti a un superallenamento. Se poi aggiungiamo l’uso improprio di farmaci antibatterici, come i chinolonici o, ancora, gli ipocolesterolemizzanti (ad esempio le statine) - che sicuramente nel tempo hanno conseguenze nocive a livello del metabolismo muscolo-tendineo - si assiste sempre più spesso all’insorgere di patologie a carico dell’apparato locomotore, una delle quali è proprio la tendinite. I fasci tendinei, però, possono anche essere interessati da alcune malattie sistemiche, di cui la più frequente è l’artrite reumatoide. Non dimentichiamo poi alcuni fattori di rischio indotti rappresentati dai movimenti ripetitivi degli arti superiori o inferiori in alcune discipline sportive, come, ad esempio, il tennis e il golf per il gomito e la spalla; la corsa, il podismo e la danza per il ginocchio (tendine rotuleo) e il calcagno (tendine d’Achille). E, ancora, il gioco del calcio per la tendinite degli adduttori. Insomma, qualunque pratica sportiva, se eseguita con tecnica impropria, può causare questo problema.

cicatriziali sulla guaina tendinea, restringendola e rendendo in tal modo più problematica l’estensione del tendine.

Prevenzione Vi sono alcune semplici precauzioni da tenere presenti quando si svolge un’attività che richiede un’intensa sollecitazione dei tendini: non esagerare mai durante l’esecuzione degli esercizi, evitando di andare oltre i propri limiti e ricordando che se si prova

dolore è opportuno fermarsi e riposarsi; fare stretching prima di iniziare qualsiasi attività sportiva per “allungare” i muscoli; riscaldare i muscoli prima dell’attività e rinfrescarli subito dopo; prima di intraprendere qualsiasi disciplina sportiva chiedere il parere professionale di un allenatore e seguirne con attenzione lezioni e consigli. Ma attenzione: a rischio di questa patologia sono anche le persone che lavorano al computer utilizzando spesso il mouse o che suonano strumenti musicali! Testo raccolto da Marina Dall’Olio

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danzaterapia Che danzare sia una facoltà che appartiene all’uomo e che gli permetta di esprimersi e di vivere profondamente la sua corporeità è ormai cosa ovvia; che la danza possa uscire da schemi e strutture che hanno talvolta paralizzato una grande energia pulsionale ci fa intuire qualcosa in più; che la danza possa divenire un mezzo di cura è un concetto affascinante, ma sicuramente non scontato. Curarsi danzando è una pratica antica che affonda le sue radici nella dimensione del sacro. Lo sciamano danza, il rituale cura, gli strumenti musicali evocano il battito cardiaco… è la visione di un mondo antico, “primitivo” che sicuramente affascina e tocca verità profonde. Quando danziamo celebriamo la nostra esistenza, quando danziamo con consapevolezza diamo spazio e ritmo a sensazioni, emozioni, esperienze personali diverse. La Danzaterapia ci permette di portar fuori attraverso il movimento, anche piccolo e semplice, ciò che a volte rimane troppo chiuso, inespresso e compresso.

G

li sguardi possono metterci in relazione e i gesti possono creare legami: la Danzaterapia grazie alla dimensione riattivante del corpo-cuore, fa di questa possibilità un percorso terapeutico.

Chi la pratica Persone diverse per età e problemi trovano nella danza che si fa terapeutica la soddisfazione di darsi lo spazio e il tempo per esprimersi: ognuno lavora con il proprio limite in base agli stimoli dati dal Danzaterapeuta. Possono bastare anche 8 incontri per un percorso di scoperta di risorse forse nascoste, senza nessuna controindicazione!

Come si pratica In gruppo. Il sentimento di separazione non solo tra sé e gli altri, ma anche tra diversi aspetti di una stessa persona viene gradualmente a cadere nel setting creativo e soprattutto non giudicante della Danzaterapia.

Danza terapia: Elena Cerruto Danzaterapeuta (Milano)

la Medicina del Corpo-Cuore 43


danzaterapia

Quando... Scarsa autostima, affaticamento, stress tecnologico, dispercezione corporea, dolori articolari, cefalee, depressioni di diverso tipo sono in realtà una sorta di zattere che conducono le persone a scegliere di condividere un percorso di Danzaterapia.

Cosa succede I partecipanti alternano momenti di lavoro da soli in cui si relazionano con lo spazio interno ed esterno, con le diverse qualità della musica, con i materiali usati come stimolo, a momenti di incontro e contatto con gli altri. Nelle diverse forme del contatto con gli altri possono rispecchiarsi nella continuità delle relazioni non giudicanti. La dimensione empatica, da sempre presente

Il giusto "dosaggio" Nella Danza Terapeutica si fa riferimento al mondo orientale in cui si parla di energie distorte ed energie liberate. Interessante però che non si tratta di Energie diverse: è l’uso che la persona ne fa a permettere quel cambiamento in cui si riattivano le parti sane presenti anche nell’essere più confuso. La consapevolezza di qualità energetiche anche distorte è la chiave d’accesso per l’inizio del percorso di auto guarigione. La danza mette direttamente in contatto con una qualità di movimento in cui i gesti sono diluiti o intensificati da musiche diverse e da stimoli semplici, ma coinvolgenti. Per tutto ciò è essenziale il dosaggio, la giusta misura di ogni elemento del setting, perché é il ritmo dell’alternanza che garantisce la fluidità e il piacere. Le musiche sono come medicine attivanti. Grazie ad esse la persona tocca una radice profonda che muove la possibilità di un nuovo linguaggio per comunicare, un modo di muoversi nel quale riconosce una sorta di perdita di condizionamenti esterni. Cade innanzitutto il concetto di una danza legata a fattori tecnici o competitivi, concetto allontanato o addirittura sopraffatto dalla gioia di sentirsi uno. Ritmi per eccellenza sono quelli del respiro e del battito del cuore. Cuore è inteso come corpo-cuore, luogo privilegiato in cui corpo e mente divengono uno. Questo è il punto di partenza e di arrivo: il centro, un centro che

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Persone con patologie più gravi quali anoressia o tumori o disturbi psichiatrici trovano nel setting ritualizzato e accogliente uno spazio creativo in cui confidare le proprie aspirazioni e danzarle. Per molti si sono verificati attimi di apertura alla dimensione spirituale in cui il dolore è stato vissuto come sorgente di comprensio-

ne per sé e per gli altri. Man mano che il percorso procede il microcosmo interno di ognuno cambia. La persona sin dai primi incontri sente riattivarsi il naturale e sano piacere di muoversi e contemporaneamente vede mutare gli altri imparando a sentirsi parte di una sorta di paesaggio in continuo mutamento.

nella Danza è stata avvalorata dalla scoperta dei neuroni specchio. Ognuno si esprime nella direzione dell’autenticità e nell’accettazione dei cambiamenti possibili per sé e per l’altro. Questo rispecchiamento avviene sia nei momenti danzati, sia nel cerchio di condivisione. Le persone dichiarano spesso di sentirsi profondamente cambiate, di uscire diverse e si chiedono con stupore come andrà la settimana a seguire... Il setting della Danza Terapeutica è parago-

nabile ad un giardino dove ogni radice trova spazio per crescere; a volte il terreno è un po’ duro, ma prima o poi è sempre possibile che si aprano spazi di consapevolezza. Nella dimensione verticale la persona si riconosce tramite tra Cielo e Terra e nella dimensione orizzontale entra nel gioco degli scambi tra sé e gli altri. La qualità del movimento di ognuno si modifica e grazie al cambiamento della qualità di movimento si sciolgono tensioni e si aprono nuovi orizzonti.

si muove con noi come un fedele specchio, il centro è la nostra danza, per questo anche senza musica quando danziamo possiamo percepire un’onda di movimento. Quest’onda è una possibilità per tutti, la può sentire chi è su una sedia a rotelle come la sente l’étoile che volteggia sul palcoscenico. Può coinvolgere tutto il corpo o solo una parte di esso. Essa dà continuità al movimento, ma non è monotona: il ritmo si modifica in modo analogo a quello cardiaco: rallenta, accelera, si arresta per un istante e può contenere tutte le qualità della musica: staccato, legato, allegro, andante. Il risultato generale, in una sessione di Danza Terapeutica, è di un’armonia strabiliante: il gruppo crea spontaneamente un movimen-

to che comunica forti emozioni, le stesse che si provano davanti a una rappresentazione di grande qualità artistica. Se focalizziamo la nostra attenzione sul fatto che la danza è innanzitutto un linguaggio per comunicare, la definizione di danza è allo stesso tempo antica e nuova: l’uomo che esprime con tutto il suo corpo emozioni, sensazioni e percezioni, scoprendo la libertà dell’esistere pienamente. Non ci sono controindicazioni, tutti indistintamente possono praticarla e non saranno così i criteri estetici a definirne la validità, ma le risposte interiori ed esteriori che verranno dalla pratica insieme agli altri. Altri che danzano con noi, ma soprattutto altri che vivono con noi.

Elena Cerruto è Supervisore APID (Associazione Professionale Italiana Danzamovimentoterapia); è autrice di A ritmo di cuore La Danza Terapeutica (Xenia Ed. Milano 1994) e di Metodologia e pratica della Danza Terapeutica: Danzamovimentoterapia tra Occidente e Oriente, (Franco Angeli Editrice, 2008). Collabora con il Dott. Giovanni Ansaldi, medico psicosomatista, cardiologo e musicologo. Supervisiona l'attività di Sarabanda (www.associazionesarabanda.it) per la diffusione della danzaterapia in diverse città italiane e all’estero. “La danza fa esprimere la parte “sana” che c’è in ognuno - afferma Elena Cerruto - la sua vera natura, senza condizionamenti, per quanto la persona possa essere malata o confusa. Per questi motivi è possibile a tutti, bambini, adulti e anziani e da molti anni è diffusa in luoghi diversi, anche nelle scuole pubbliche, negli ospedali, nelle carceri, nei centri psichiatrici e nei centri socio educativi”. Testo raccolto da Marina Dall’Olio


DEPURDREN



intervista a... Alena Seredova nasce a Praga dove, con la famiglia, trascorre quasi tutta l’infanzia. Nel mondo della moda entra giovanissima e lavora per diverse agenzie in giro per l’Europa prima di arrivare a Milano, capitale della moda italiana. Nel mondo dello spettacolo, invece, è Giorgio Panariello con la trasmissione televisiva Torno Sabato (2001) a farla conoscere al grande pubblico. Poi partecipa ad altre trasmissioni televisive, ad alcuni film e miniserie, senza mai lasciare l’attività di top model. Alena è anche mamma di due splendidi bimbi: Louiss Thomas di quattro anni e David Lee di due, avuti dal portiere della Juventus e della Nazionale Italiana Calcio, Gigi Buffon, che ha sposato nel giugno scorso. In questa breve intervista ci ha confidato come riesce a destreggiarsi tra bambini, lavoro e impegno sociale.

La gravidanza per le donne è un momento particolare, soprattutto alcune faticano ad accettare e gestire il cambiamento che avviene nel loro corpo: anche per lei è stato così? No, per fortuna è andato tutto bene. Io credo che molto dipenda dai consigli dei ginecologi perché ho sentito dire che alcuni tendono a fare passare la gravidanza come un periodo estremamente delicato, quasi una malattia e proibiscono alla donna di fare molte cose. Io invece durante le gravidanze ho fatto una vita normale: pensi che andavo anche a correre… Lei condivide l’opinione di alcune mamme, quando dicono che nell’accudire il secondo figlio si è meno apprensive? Premetto che io non sono di carattere apprensivo, però devo ammettere che con il primo figlio in qualche occasione mi sono comportata in modo diverso in confronto al secondo, ma per un motivo molto semplice: innanzitutto io sono diventata mamma lontano da mia madre che è la persona che mi avrebbe potuto aiutare di più con la sua esperienza, mentre per me era tutto nuovo, poi con il primo figlio non sempre riuscivo a capire se piangeva per un problema serio o se era solo un modo per farsi coccolare di più, quindi appena apriva bocca correvo a prenderlo in braccio. Con il secondo invece, le cose sono state più chiare e facili anche per me. Due gravidanze così ravvicinate non hanno quasi modificato la sua linea: come ha fatto?

Guardi che con il primo figlio sono aumentata di venti chili ed è stato davvero difficile ritornare al mio peso forma anche perché io non riesco a seguire una dieta troppo rigida, quindi ho cercato di perdere peso facendo tanta ginnastica e andando a correre un po’ tutti i giorni. Appena sono ritornata quasi al mio perso ideale sono rimasta incinta del secondo figlio, ma per fortuna l’aumento di peso è stato solo di dieci chili. Per una donna della mia altezza e della mia costituzione fisica dieci chili non sono tanti per una gravidanza, poi solo mio figlio ne pesava ben quattro, quindi non ho avuto bisogno di tanto “lavoro” per riprendermi. Comunque anche il mio corpo, come succede a quello di tutte le donne dopo una gravidanza non è ritornato proprio come prima, nonostante la dieta e la ginnastica. Ma adesso non sono più disposta a stare ore e ore in palestra, preferisco stare più tempo con i miei figli: insomma le priorità sono cambiate! Come riesce a conciliare il ruolo di mamma con il lavoro? Quando non sono vicina ai miei figli perché anch’io spesso mi devo allontanare come fanno un po’ tutte le mamme che lavorano, non sono particolarmente preoccupata perché io e mio marito abbiamo avuto la fortuna di trovare un signore che fa un poco di tutto: è come un custode per noi. Questa persona ci sa fare molto bene anche con i bambini, quindi, quando ho degli impegni affido a lui i miei figli e sono molto tranquilla.

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intervista a... I nostri lettori sono sicuramente curiosi di sapere che tipo di papà è Gigi Buffon, ce lo vuole raccontare? Gigi, come immagino altri uomini, finché i bimbi erano piccoli - diciamo fino a nove, dieci mesi - sentiva il legame con loro in modo diverso da me. Forse perché le donne vivono la gravidanza e poi il parto, soprattutto se avviene in modo spontaneo, hanno un rapporto con i figli più forte da subito, per istinto. Gli uomini, non vivendo tutto questo, non si rendono conto del perché questo sentimento è così forte. L’amore grande per loro scoppia più tardi quando i figli iniziamo a camminare e a dire le prime parole. Adesso che miei figli hanno quattro e due anni con me fanno le cose più tranquille come disegnare, colorare; con Gigi invece succede di tutto perché insieme si scatenano, corrono e giocano ovviamente con il pallone… Alena, che donna è quando non lavora? A dire il vero da quando sono diventata mamma riesco a fare proprio poco per me. Al mattino quando i miei bimbi sono alla materna vado almeno un’ora in palestra o a fare yoga che vorrei fare di più, se avessi più tempo, perché fa tanto bene. Naturalmente devo provvedere anche a tante altre faccende come tutti d’altra parte, quindi vado a fare la spesa, ad esempio. Non mi piace andare al supermercato dove c’è di tutto, preferisco i piccoli negozi come quello dell’ortolano, del macellaio, il forno dove si trovano le cose più buone. Nella zona di Torino dove abitiamo ci sono ancora questi piccoli negozi dove faccio la spesa molto volentieri. Poi torno a casa e faccio un po’ la casalinga.

Ama cucinare? Amo proprio no, ma se necessario lo faccio. Da quando è nato il primo figlio è cambiato tutto nella nostra vita, perché io e Gigi non possiamo andare troppo spesso al ristorante, quindi mi sono organizzata. Devo dire però che, anche se non faccio piatti troppo elaborati, mio marito mangia tutto e non si lamenta! A quale piatto non rinuncerebbe mai? Non c’è un piatto particolare. Anche se non è molto corretto da un punto di vista dietetico, acquisto spesso della carne da cucinare e del pesce. Diciamo che la mia cucina è un po’ orientata verso il mio Paese. Ho anche un libro di ricette con la foto di mia mamma sulla copertina che mi è molto caro. In mezzo alle pagine ci metto le ricette nuove che lei mi manda per posta. Quasi sempre però faccio piatti molto semplici perché Gigi deve seguire la dieta giusta per un atleta e io preferisco che anche i miei figli imparino a mangiare in modo sano. Ho anche un libro di Benedetta Parodi che ho comprato perché quando seguivo il suo programma (Cotto&Mangiato) avrei voluto imparare a cucinare bene come lei... Le ricette sono semplici, ma seguirne la preparazione in tv è più facile. Un pregio e un difetto del suo carattere? Sono sincera, forse troppo. Dico sempre quello che penso anche quando questo diventa un difetto, perché molte persone non amano sentirsi dire la verità. Parliamo un poco di salute ora, lei si cura con le medicine non convenzionali? L’Omeopatia fa parte della mia vita, questo non vuol dire che non usi le altre medicine quando servono. Sono contraria però all’uso eccessivo delle medicine: ad esempio, se i

miei figli hanno qualche linea di febbre aspetto un po’ prima di intervenire. Anche con gli antibiotici cerco di stare molto attenta. Sono molto favorevole invece alla prevenzione, alle vitamine ad esempio, perché secondo me aiutano il fisico a superare meglio il raffreddore, la tosse o l’influenza anche nei bambini. Lei aiuta l’associazione SOS Villaggi dei Bambini Onlus, di cosa si tratta? Ho conosciuto questa Associazione quando ancora ero nel mio Paese. Sono rimasta subito colpita dalla loro serietà e dal loro modo di agire. SOS è una organizzazione internazionale che chiede delle sottoscrizioni per sostenere economicamente le famiglie che hanno dei bambini e che vivono in condizioni di estrema povertà, non opera solo nei Paesi più poveri del mondo, ma anche in Italia. L’obiettivo è quello di non separare definitivamente i bambini dalla loro famiglia di origine, anche se spesso questo non è possibile. Credo sia importante aiutare chi ha bisogno e con il contributo di molte persone questi bambini che soffrono enormemente, possono stare meglio. Se pensa al futuro si sente più ottimista o pessimista? Di solito mi definisco realista, non voglio essere catastrofica, ma diciamo che per la situazione economica attuale che sta coinvolgendo tutto il mondo e non solo l’Italia, e per il mio carattere che vede prima il bicchiere mezzo vuoto, sono un po’ più incline al pessimismo. A questo punto della sua vita cosa le piacerebbe ancora fare? Io sto bene così: ho due figli splendidi, ho costruito la mia famiglia e sono molto soddisfatta. Anche se oggi è difficile dire che si sta bene, anzi si ha quasi timore nel farlo, perché basta guardarsi intorno per vedere quanto è difficile vivere per un numero sempre maggiore di persone. Io penso spesso al passato, alla mia gioventù in un Paese con un regime totalitario e forse per questo sono così vicina ai problemi degli altri. A volte penso anche che le soddisfazioni che sono riuscita a conquistarmi siano un po’ un riscatto per i miei genitori che nella loro vita hanno affrontato tante difficoltà in un Paese che per molti anni non ha offerto nulla a nessuno. Io sono una donna molto fortunata e questo per me è soprattutto un regalo per loro. Intervista di Marina Dall’Olio

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Alena Seredova insieme al marito Gigi Buffon e ai figli


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lettere

IPOTENSIONE Gastrite da reflusso: l’alimentazione mi può aiutare? Sono una vostra lettrice abituale, ho 36 anni e tre mesi fa ho scoperto - tramite gastroscopia - di avere un'ernia iatale e gastrite da reflusso. Il mio medico mi ha prescritto per un mese dei medicinali, che in realtà continuo a prendere in quanto il problema non si è risolto, anzi sta peggiorando. Spesso soffro di dolori allo stomaco con sensazione di gonfiore. Inoltre sono una persona molto emotiva e ultimamente i miei stati d'ansia sono più frequenti per via di alcuni problemi sul lavoro che mi mettono in agitazione. Vorrei sapere se, oltre alle medicine, anche un cambiamento di tipo alimentare potrebbe aiutarmi a guarire dal reflusso, perché per l'ernia iatale mi sembra di aver capito che non si possa fare nulla. Piera M. Risponde il Dott. Andrea Favara

Specialista Chirurgia Apparato Digerente ed Endoscopia Chirurgica Ospedale S. Antonio Abate, Cantù (Como)

Gent.ma, sarebbe importante sapere quali farmaci, a che dosaggio e per quanto tempo le sono stati prescritti. Sicuramente la dieta è essenziale nella terapia della malattia da reflusso ed alcuni alimenti specifici andrebbero evitati o comunque assunti con moderazione, ad esempio pomodoro, cioccolato, mela, agrumi, indipendentemente dalla eventuale presenza di un'ernia iatale che non modifica le indicazioni terapeutiche. è anche importante, ad esempio, evitare il fumo, non mangiare abbondantemente prima di sdraiarsi ed evitare il sovrappeso. La sintomatologia riferita potrebbe tuttavia dipendere da altro per cui su indicazione del suo medico potrebbe essere indicato eseguire eventuali ulteriori accertamenti. Infine, sicuramente lo stato emotivo influenza la maggiore o minore presenza di sintomi in questa patologia. Auguri!

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Aflatossine nella frutta secca: è un rischio reale? Ho letto con molto interesse il suo articolo sulla frutta secca perché fino a poco tempo fa mi piaceva portala in tavola abbastanza spesso, anche se in piccole quantità. Ora ho smesso perché ho letto che nelle nocciole, pistacchi, arachidi e semi di zucca e altro soprattutto se importata - si nascondono delle sostanze cancerogene dette aflatossine: è vero? Vorrei conoscere il suo parere in merito. Grazie, Nadia Lisi (Ravenna)

Valori alti del colesterolo: cosa fare? Ho 62 anni, sono normopeso, non ho mai fumato in vita mia e neppure ho fatto uso di alcolici, la mia pressione è abbastanza regolare (faccio la misurazione in casa una volta al giorno per 3/4 giorni consecutivi ogni mese per tenermi monitorata). Il mio problema è il colesterolo totale che dalle analisi risulta essere sempre troppo alto (260 all’ultimo controllo). Pertanto vorrei sapere se il mio è già un valore preoccupante, da correggere con le medicine, oppure no. Grazie per la risposta. Annarosa G. (Ferrara). Risponde il Dott. Sergio D’Addato

Dipartimento di Medicina Interna, dell’Invecchiamento e Malattie Nefrologiche Università di Bologna

Risponde la Dott.ssa Gabriella Pasini

Dietista, Responsabile ANDID Emilia-Romagna

Gentile signora, non esiste alcun rischio se si consuma frutta secca di produzione italiana. Per i prossimi tre mesi neppure ci sarà un maggior rischio per le produzioni estere di frutta secca, in attesa che la norma europea, che ammette un quantitativo più elevato di aflatossine non considerato rischioso per la salute umana sia approvata. Comunque dato che l’innalzamento dei livelli di aflatossine nella frutta secca e nei cereali è determinato dal Codex Alimentarius (un ente creato dalla FAO e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per stabilire gli standard alimentari) non bisogna temere danni per la salute anche dai prodotti esteri. Purtroppo è un tipo di diffusione allarmistica, delle notizie in genere non supportata da spiegazioni scientifiche, che è davvero da temere perché confonde l’ignaro consumatore. Resta il fatto che la frutta secca è comunque da consumare in piccolissime quantità per problemi nutrizionali e calorici e che in tali quantità non è assolutamente nociva.

Gentilissima Sig.ra Annarosa, per darle una risposta esaustiva avrei bisogno di sapere anche il valore del Colesterolo HDL e dei trigliceridi, questo mi permetterebbe di calcolare in modo corretto il colesterolo LDL che è il parametro più importante. Inoltre, nel suo caso, potrebbe essere utile eseguire una ecografia carotidea, al fine di verificare se il colesterolo ha già fatto dei “danni”, ovvero se si è già depositato nelle sue arterie in maniera significativa. Comunque, poiché lei scrive da Ferrara, oltre al suo Medico, può rivolgersi anche all’Ospedale S.Anna dove potranno visitarla e chiarire ogni suo dubbio in tempi brevi. I contenuti che MiaFarmacia Magazine propone sono solo a scopo informativo e in nessun caso possono costituire la prescrizione di un trattamento o sostituire la visita specialistica o il rapporto diretto con il proprio Medico curante. Pertanto i Medici che collaborano a Mia Farmacia Magazine rispondono ai lettori al solo scopo di approfondire una tematica. Tutti i quesiti inviati all'indirizzo redazione@miafarmaciamagazine.it riceveranno una risposta e, a discrezione della redazione, alcuni saranno pubblicati sulla rivista.


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