FarCoro 3 2018

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‘Ho fatto proprie le nuove teorie secondo le quali la musica doveva illustrare i contenuti espressivi della parola, potenziandoli e traducendoli in immagini sonore. Dico spesso: l’armonia sia serva dell’orazione!’

alcune lettere, firmandomi l’Ottuso Accademico, e come da regola in ogni querelle che si rispetti, seguì la contro-risposta dell’Artusi. Ma la risposta migliore a queste critiche furono il mio Quarto e soprattutto il Quinto Libro dei Madrigali, dove intensificai tutti gli espedienti formali già sperimentati nel Terzo Libro, aggiungendo in quest’ultimo un’altra fondamentale innovazione: la prescrizione di un basso che doveva sostenere le linee vocali, ma non raddoppiandole meramente, bensì ponendosi con esse in un rapporto di larga indipendenza: per distinguerlo dal basso che raddoppiava, in uso nella musica liturgica e chiamato basso seguente, questo lo chiamai invece basso continuo. La funzione di questo basso era quella di consentire alle voci superiori, tre, due o una voce acuta, nella tradizione del Concerto delle Dame ferraresi, di muoversi con grande libertà per esprimere gli affetti del testo, mentre il basso doveva fungere da collante sonoro che ripristinava per altra via la fluidità polifonica compromessa. Ma la polemica non si fermò qui: pensi che Artusi, in maniera vile, celato sotto lo pseudonimo di Antonio Braccini da Todi, ebbe ancora la voglia di rispondere: a questo punto intervenne, in mia difesa, mio fratello Giulio Cesare, anch’egli compositore, in una ‘Dichiaratione premessa agli Scherzi musicali (1607) di Claudio’, mentre io meditavo di esporre più diffusamente i miei principi in un trattato intitolato polemicamente ‘Seconda prattica, overo Perfetione della moderna musica’, che però non venne mai stampato. So che per lei tutto ciò potrebbe sembrare senza senso e non mi giudichi come una persona polemica per spirito di contraddizione; ero sicuro di quanto affermavo! Quando mi allontanavo dalle regole lo facevo con perfetta coscienza e a ragion veduta, allo scopo di evidenziare il contenuto affettivo delle poesie messe in musica. Ma ancora lui, Artusi, sempre sotto lo pseudonimo di Braccini, ribatteva a mio fratello con il suo ‘Discorso secondo musicale’, del 1608. Stremato, l’ultima parola spettò a me, e a quelli che, come me, rifiutavano un astratto ideale di bellezza musicale fondato su presunti fondamenti pitagorico-matematici in nome del valore espressivo della musica, della sua capacità di esprimere e suscitare gli affetti dell’animo umano. Perché il nuovo stile incontrò sempre maggior successo nei cenacoli culturali delle corti di tutta Europa, facendo cadere ben presto nell’oblio il vecchio stile contrappuntistico puro, che non venne più applicato a testi madrigalistici. Alla fine ero riuscito nell’intento, ma sa i bruciori di stomaco che tali sforzi mi son costati? AA: Mi scuso ancora, mi avevano avvertito che lei non amava parlare di quest’argomento. Nel paese dal quale vengo queste dispute si svolgono sui social-network, a migliaia, tutti i giorni e per futili motivi. Ma non pretendo che lei possa capire questo. Provo ammirazione per la sua tenacia! Maestro, ci racconti un po’ della sua vita a Venezia, città in cui lei si trova oramai da tanti anni… CM. Come saprà, sono a Venezia da circa venticinque anni, esattamente dal 5 Ottobre 1613, dove vanto un trattamento faraonico: ‘Il servizio poi è dolcissimo’, lo scrissi anche nel 1620 al mio grande amico mantovano, il conte Alessandro Striggio. A sette anni dallo sbarco a Venezia a lui raccontavo, davvero compiaciuto, del grande rispetto che riceveva la mia autorità artistica e professionale, della libertà in riferimento agli obblighi d’orario e, particolare degno di nota, della lauta retribuzione: lo stipendio che ricevo a San Marco, come Maestro di cappella, che già all’inizio del mio incarico ammontava a trecento ducati, ha ormai raggiunto le vette dei quattrocento ducati annui. Una somma che i miei colleghi del passato (tra cui Adrian Willaert, Cipriano de Rore e Gioseffo Zarlino) mi avrebbero invidiato, senza contare i duecento ducati guadagnati dai lavori ‘fuori busta’. Il trattamento lusinghiero e gratificante che ho ottenuto a Venezia viene per di più esaltato dal ricordo che avevo di quei pochi, incerti e ritardatari scudi offerti a Mantova; capitava infatti che i pagamenti non arrivassero in tempo e che

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IL PERSONAGGIO


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