Tutto il villaggio lo saprà

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Il ritorno verso casa, il saluto di qualcuno che conosceva ma non riusciva a focalizzare, lo stupore, la paura. E mentre lentamente la lucidità, o soltanto una sua un’ombra, riaffiorava, con essa cresceva anche un'altra sensazione, di un’intensità sconosciuta e totalizzante. Disperazione. Infinita come il buio che la imprigionava. Scoppiò a piangere. E nel silenzio i suoi singhiozzi rimbombavano con la forza di un’esplosione insopportabile. Smise senza quasi rendersene conto. Rimaneva nell’aria immobile soltanto un lieve gemito quasi inumano. Un suono che non credeva di poter produrre. Gli occhi cominciavano ad abituarsi all’oscurità e gradualmente prese coscienza dell’ambiente in cui si trovava, anche se la paura sovrastava la ragione e i suoi sensi sembravano non riuscire a percorrere le vie nervose che conducono al cervello, smarriti. Il pensiero si addensava in nuvole d’angoscia. Comprese di trovarsi in ambiente di piccole dimensioni, con il soffitto piuttosto basso. Provò ad alzarsi, ma la lunga inattività le causò una fitta di dolore inaspettata. Scattò involontariamente verso destra e la faccia le andò a sbattere con violenza contro la parete che si trovava alle sue spalle. Sentì un labbro spaccarsi e il sapore del sangue misto a terra invaderle la bocca. Crollò al suolo e riprese a singhiozzare. Mentre il suo corpo sussultava, con la mano sfiorò un oggetto dalla forma familiare. Allungò le dita e afferrò qualcosa che per un momento riportò un fiotto di speranza e luce inattesa. Il suo cellulare. Tenne premuto il tasto di accensione e dopo pochi secondi il display si illuminò. Era carico, le sembrò di rinascere. Aspettò a lungo che l’antenna captasse un segnale qualsiasi, ma dopo qualche minuto si rese conto che era inutile. La luce irradiata dal dispositivo rese evidente ciò che già sospettava. Era sottoterra, ed era perduta. 15) In piedi di fronte al tavolo su cui erano state distese le planimetrie del museo, Ippoliti parlava ininterrottamente da almeno un quarto d’ora. E da circa quattordici minuti Castelli non lo ascoltava più. Se nei rapporti interpersonali appariva aggressivo e veemente, nelle questioni lavorative il direttore era di una meticolosità insopportabile. Il commissario, che già per natura faticava a mantenere la concentrazione su un unico argomento, si guardava intorno distratto, lasciandosi trasportare dalla corrente dei suoi pensieri. Che finiva inevitabilmente per concentrarsi sul corpo di Lucia De Bernardi. Con gran senso di democrazia non indugiava su nessun dettaglio in particolare, ma lasciava che ogni parte della figura dell’assistente lo raggiungesse con uguale esuberanza. Una meravigliosa applicazione della ‘par condicio’, pensò. 28


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