La fornace delle Sieci: progettazione architettonica in ambito rurale.

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Corso di Laurea Magistrale in progettazione dell’architettura

Progettazione architettonica in ambito rurale:

La fornace delle Sieci

Relatore: Maria De Santis Correlatore: Tessa Matteini Candidati: Lapo Fioravanti, Fabio Ventimiglia

Anno accademico 2019/2020


ABSTRACT

Negli ultimi decenni forte è il dibattito che riguarda il riutilizzo del nostro patrimonio architettonico. La fabbrica, elemento che per eccellenza rappresentava il genio e l’avanzamento della società, simbolo della seconda rivoluzione industriale, è stata spesso nei contesti periferici abbandonata a seguito di un conseguente ammodernamento dei sistemi tecnologici, di un dislocamento produttivo, o del cambiamento delle nostre abitudini di vita. Gli enormi spazi che ospitavano i rumorosi macchinari e le incandescenti fornaci sono rimasti abbandonati e lasciati allo scorrere del tempo. Forte è la volontà e lo slancio nei progettisti di dare nuova linfa e funzionalità a queste “cattedrali” simbolo del progresso umano, al fine di farle riemergere a perno di riconoscimento della comunità, grazie alle fondamenta storiche su cui sorgono. E’ qui, lungo le sponde dell’Arno, che sorge lo scheletro dell’ex fabbrica di ceramiche Brunelleschi delle Sieci, punto nodale e crocevia di accesso tra il Valdarno e la piana fiorentina. Il manufatto ormai in stato di fatiscenza rappresenta un tassello inscindibile del “Genius loci” e del paesaggio circostante. Il reperto industriale abbandonato e deturpato dall’ eccessiva saturazione dovuta agli ampliamenti incoerenti degli anni successivi alle seconda guerra mondiale, è circoscritto dagli elementi viari, quasi a voler limitare il suo ruolo a mera area di lascito o refuso, invece che rivendicare in se il suo diritto a essere protagonista e simbolo.


La tesi pone la volontà di dare soluzione a queste tematiche. La riconquista del rapporto con il luogo deve partire dalla rivitalizzazione dell’area rimettendo al centro la figura della fornace storica, integrandola con il paesaggio collinare circostante. La permeabilità sia del fronte edificato sia visiva deve essere ritrovata attraverso un’attenta progettazione. Vi è inoltre la volontà di affrontare un altro importante tema: quello dell’abitare, non un abitare marginato come quello caratterizzante le periferie cittadine, ma un senso dell’abitare che ritroviamo nel pensiero di Leonardo Ricci, che sia generatore di relazioni e inscindibile dal contesto ove si colloca. Infine vi è la sfida della riconquista della sponda fluviale, del rapporto con il fiume da cui la fabbrica dipendeva e si nutriva delle materie prime che il fiume le forniva. II disegno planimetrico tende a slanciarsi e ad ammorsare la sponda (resa fruibile dalla deviazione della Via Aretina) le aree vegetali e minerali e il nuovo edificato attestato sui declivi del lotto di progetto, si compenetrano nella volontà di creare un “unicum”, una nuova porta di accesso a vita nuova restituita, che sia fulcro per la comunità e per i visitatori.


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FABIO VENTIMIGLIA fabio.ventimiglia93@gmail.com

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Indice • Capitolo 1 • Capitolo 2 • Capitolo 3 • Capitolo 4 • Capitolo 5 • Capitolo 6 • Capitolo 7 • Capitolo 8 • Capitolo 9

-

La Storia

Pag. 11

Il Paesaggio

Pag. 23

La Fabbrica

Pag. 33

Lo stato attuale

Pag. 47

-

Archeologia industriale

Pag. 57

Abitare

Pag. 67

Casi studio

Pag. 75

Il progetto

Pag. 95

La tecnologia

Pag. 127



LA STORIA


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01 - La Storia

Lungo l’ansa dell’Arno che si snoda dalla pescaia dell’Arte della Lana, fino alla pieve di San Giovanni a Remole, alla confluenza del torrente delle Sieci, ebbe origine il primo impianto dell’ormai fatiscente fabbrica abbandonata delle ex ceramiche Brunelleschi, che allora rappresentava la realtà produttiva più radicata nel tessuto sociale delle Sieci. Le prime notizie di un insediamento nel centro abitato risalgono alla descrizione del Cav. Repetti, una “contrada dove fu un castelletto presso un antica chiesa plebana (S.Giovanni Battista) a tre miglia da Pontassieve. La Pieve di Remole esiste assai presso la strada postale Aretina davanti la settima pietra miliare, a partire da Firenze, e poco lungi dalla ripa destra dell’Arno” (1)

lo più all’organizzazione produttiva della grande proprietà fondiaria. Diverse ragioni sono all’origine di questo stretto legame tra fornace e fattoria: 1) L’organizzazione agraria mezzadrile, comporta la manutenzione da parte dei proprietari, di un notevole numero di edifici colonici a cui si deve aggiungere la fattoria stessa, spesso inserita in un contesto edilizio, residenziale e produttivo di notevoli dimensioni. 2) Le materie prime vengono estratte sul luogo, nei torrenti della grande proprietà, con il concorso della mano d’opera agricola e dei braccianti organizzata dalla fattoria, la quale rappresentava spesso l’unica risorsa della stentata economia preindustriale.

Fino a tutto il XVII secolo furono numerose le fornaci per la realizzazione di mattoni e calcina, di dimensioni medio piccole, distribuite nel territorio di Pontassieve, legate per 11


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01 - La Storia

3) Le fonti energetiche sono, in questo periodo, quasi esclusivamente di origine vegetale. L’azienda all’epoca disponeva di materie prime a basso costo per l’alimentazione della fornace, esse si suddividevano in due tipologie: la “stipa” materiale ricavato dal taglio del sottobosco e dai piccoli arbusti autoctoni (ginestre, scope ecc..) e la “fastella” fascinotti di diradamento dei boschi. Il carbone a legna appariva materiale esclusivo delle aziende di montagna, data la provenienza da legname di faggio e, in qualche caso di castagno. Alla fine del 700 quindi, le numerose fornaci presenti sul territorio sono utilizzate quasi esclusivamente a fine di auto-consumo. Dal censimento promosso da Pietro Leopoldo nel 1766 sulle diverse attività del suo regno, nella comunità di Remole risultavano presenti 18 “fornaciai”, ma nessuno di loro produceva prodotti per la vendita. (2)

La prima testimonianza certa dell’esistenza di una Fornace, collegata alla tenuta degli Albizi di Poggio a Remole, risale quindi all’anno 1774, quando questa fornisce gran parte dei laterizi utilizzati per i lavori di restauro ed ampliamento del Palazzo Pretorio del Ponte a Sieve. Nel 1820, anno della redazione del Catasto generale Toscano, nel territorio di Pontassieve risulta già la presenza di un complesso di insediamento dalle diverse funzioni e articolato intorno a due fornaci, una per la produzione di laterizi e calcina, l’altra per la produzione del “lavoro sottile”. Alla morte del marchese Amerigo degli Albizi, avvenuta il 14 gennaio 1842, si estingue il ramo fiorentino della famiglia, e subentra dunque un ramo collaterale trasferitosi in Francia, sotto la guida del Cav. Alessandro Pietro. Il figlio Vittorio Pietro, personaggio di rilievo nell’ambiente culturale fiorentino della Toscana preunitaria, investi notevoli capitali per la trasformazione dell’azienda. 13


Listino dei prezzi di spedizione del materiale verso le principali stazioni ferroviarie italiane

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01 - La Storia

Importò dalla Francia nuove tecnologie con le quali dette inizio alla produzione di speciali embrici di copertura, che prenderanno il nome di Marsigliesi, dal luogo di provenienza delle maestranze specializzate. La vicinanza di una grande città, divenuta nel frattempo capitale del Regno di Italia, ha certamente influito sull’avvio della fornace degli Albizi, che rimaneva comunque, strettamente collegata alla fattoria di Poggio a Remole condividendone la gestione (avendo lo stesso fattore e agente) e utilizzandone buona parte delle risorse (gran parte della stipa veniva tagliata nei boschi pertinenti della fattoria).

La linea ferroviaria Firenze-Arezzo, inaugurata nel 1862, accerchia l’area della fornace a Nord e, se da una parte ne chiude ogni possibilità di sviluppo all’esterno isolandola dal paese, dall’altra parte costituirà nel tempo un supporto di grande importanza per la diffusione del prodotto su tutto il territorio italiano e all’approvvigionamento delle materie prime e dei combustibili. La morte nel 1877 di Vittorio Albizi viene accolta con profondo dolore, poiché uomo che si era speso personalmente e con ingenti capitali nel far fiorire le sue industrie sparse per la provincia fiorentina, dando lavoro e una prospettiva economica alla popolazione. Nel periodo compreso fra la morte di Vittorio Albizi ed il Giugno del 1879, la nuova fornace moltiplica la produzione e gli ordinativi, tanto da non riuscire a soddisfare tutte le richieste.

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01 - La Storia

Per far fronte all’aumento costante di ordini, viene decisa la realizzazione di un secondo forno che risulta già completato nel 1881. Sono individuabili dunque due forni Hoffmann dalla caratteristica pianta ellittica, il più antico dei quali era situato lungo la strada per Molino del Piano, e si era sviluppato nell’area della vecchia fornace. Questo forno utilizzava, per l’impianto di mattoni il materiale argilloso ricavato dalle rive del fiume (mota dell’Arno) che, condotto in loco con “barchetti”, veniva poi stagionato a lungo. La rena prelevata dall’Arno e trasportata sempre con i “barchetti” serviva da correttivo smagrante. La nuova fornace utilizzava le medesime materie prime, anche se estratte e trasportate con metodi più moderni. I materiali venivano condotti dal fiume direttamente in una rete di bacini di raccolta all’interno della fabbrica, collegati tramite un canale all’Arno. Un’idrovora convogliava le “torbide” in grandi vasche, i “magroni” di decantazione,

essiccazione e stagionatura dei materiali argillosi. Gli impasti venivano lavorati e modellati a macchina e la produzione era assai varia. Le aree dei “mattonai” sul greto dell’Arno testimoniano il permanere di tecniche manuali accanto a quelle industriali destinate alla produzione più moderna delle marsigliesi e dei mattoni forati. Il combustibile usato era la lignite e la polvere di carbon fossile, proveniente, con tutta probabilità dai bacini minerari del Valdarno superiore.

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1) Veduta dalla “pescaia della lana� in una cartolina del 1915

1) Veduta dal campanile della pieve delle Sieci in una cartolina del 1915

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01 - La Storia

Tale consistenza fisica della fabbrica si conserva fino agli anni della seconda guerra mondiale, quando il forno più antico subisce notevoli danni per i ripetuti bombardamenti del ponte ferroviario sul torrente Sieci. Il periodo di massimo sviluppo produttivo della fornace,risale agli anni 20, quando ancora entrambi i forni sono in funzione, con la presenza di circa 400 dipendenti. In seguito alla crisi economica che investe il paese, la fornace attua una riconversione che porta allo spegnimento del vecchio forno ed inizia la produzione di grès rosso, affiancata a quella dei laterizi. Da questo momento inizia un lento processo di diminuzione del personale giustificato sia dal tipo di produzione che dall’avvento di nuove tecnologie. Durante il periodo bellico la fabbrica è sequestrata, cessa ogni attività, ed è adibita a deposito di munizioni. All’indomani della fine del conflitto mondiale si riprende la produzione utilizzando il forno Hoffman, ancora esistente

ed affiancandolo a tecnologie italiane (nuovo processo di pressatura di macchine idrauliche). L’evoluzione del mercato rende nel frattempo obsoleta la produzione del vecchio forno per la modesta quantità e la scarsa qualità ottenibile. La ristrutturazione portata a termine nel 1955, comporta anche la costruzione di nuovi capannoni che insistono sull’area delle vasche di decantazione orami inutilizzate. Il nuovo forno a tunnel consente una maggiore produzione e una migliore qualità. Le richieste di mercato sono tali da inserire l’introduzione di un secondo forno e il potenziamento dell’intero ciclo produttivo che richiede l’impiego di circa 250 addetti. Il vecchio forno Hoffman, rimasto in funzione fino al 1962 viene definitivamente spento, a causa del mercato che richiede prodotti sempre migliori, che una tecnologia ormai superata non può garantire. 19


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01 - La Storia

Si arriva quindi al 1976 quando si registra una forte crisi del mercato del grès smaltato, tale da indirizzare la proprietà verso una completa riconversione aziendale, con un cambiamento radicale del tipo di produzione. In questo momento interviene la società “Ceramiche Brunelleschi” che riorganizza il vecchio impianto già in corso di ristrutturazione e inizia la produzione del cotto forte smaltato. Lo spostamento del ciclo produttivo nel nuovi capannoni costruiti nel secondo dopoguerra ha comportato l’abbandono delle due costruzioni storiche, con conseguente loro progressivo deterioramento fino a giungere a una situazione di completa inagibilità. A causa della forte speculazione edilizia sull’area, la mala gestione dello stabilimento e gli alti debiti ci si avviò a una crisi fallimentare dell’azienda che porta gli ultimi 34 dipendenti rimasti alla cassa integrazione.

La fabbrica dopo il fallimento del 2011 chiude definitivamente nel 2012, portando il complesso ad un lento degrado fino alla totale fatiscenza dei giorni nostri.

(1) E. Repetti,Dizionario corografico della Toscana, compilato a cura del Cav.E.Repetti 1855 p.1126,1127. (2)“Relazione dello stato delle arti , manifatture per la comunità sottoposta alla podesteria di Pontassieve e alla giurisdizione civile di detto luogo, 29 Febbario 1768”. Archivio di Stato,Corte Gianni, filza 39,n.58 21


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IL PAESAGGIO


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02 - Il Paesaggio

Bisogna tornare indietro di quasi duecento anni per ritrovare tracce dell’attuale fabbrica di monocotto smaltato della Società Ceramiche Brunelleschi, ed è nel grande solco ancora più lontano nel tempo, della tradizione del cotto toscano che si devono cercare le radici dell’attuale produzione. I rapporti con il territorio sono quindi stati e continuano ad essere molto articolati e di grande peso, consentendo di comprendere il cammino della fabbrica nel tempo. Alla fine del 1700, epoca in cui risalgono le prime memorie della fornace degli Albizi, l’abitato delle Sieci non era che un grosso territorio rurale coincidente con la fattoria del Poggio a Remole di proprietà dell’antica famiglia degli Albizi. Le poche case di cui si componeva erano poste alla confluenza del torrente Sieci con l’Arno, in prossimità della Pescaia dell’Arte della Lana, mentre nei luoghi del successivo centro abitato appaiono dai documenti dell’epoca solo la Pieve di San Giovanni a Remole e poche case coloniche sparse ad uso rurale.

La vicinanza dell’Arno è un motivo essenziale per comprendere la scelta del luogo d’impianto e del successivo sviluppo della Fornace. Da sempre il fiume è stato il fulcro degli insediamenti artigianali, come dimostrano le antiche gualchiere sorte in prossimità dei luoghi della fornace, le quali sfruttavano la forza motrice fornita dal fiume e l’acqua stessa per la lavorazione dei panni di lana. La pescaia, costruita per conto dell’arte della Lana, convogliava in appositi canali l’acqua necessaria al funzionamento delle gualchiere. In questi luoghi, già da tempo legati alla presenza di insediamenti produttivi, nasce e si sviluppa la fornace degli Albizi. E’ facile intuire come la sua presenza abbia indotto, fino dalle origini, la nascita di un centro abitato, che si sviluppa lungo la “strada postale” Aretina, attorno alla pieve di San Giovanni a Remole, come conseguenza diretta del richiamo di mano d’opera. 29


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02 - Il Paesaggio

All’epoca infatti, le fasi di produzione erano essenzialmente manuali, a partire dalla formatura dei mattoni nelle “piazze dei mattonai” sul greto dell’Arno, fino alla stagionatura, la cottura, il trasporto. La stessa materia prima per la formatura dei mattoni era trattata direttamente sul fiume. È verso la metà del XIX secolo che la fornace viene ricostruita con criteri industriali, introducendo nuove tecnologie che consentono maggiori e più raffinate produzioni, come quella delle tegole marsigliesi. Pur rimanendo legata amministrativamente alla fattoria di Poggio a Remole, la fabbrica si avvia verso la definizione di una dimensione propria. Il successivo “decollo” avviene in concomitanza con l’avvento della Capitale a Firenze, quando, alla grande domanda del mercato di materiali edili, corrisponde un notevole aumento di produzione e, di conseguenza, una maggiore richiesta di mano d’opera impiegata stabilmente.

Chiara è l’influenza diretta che esercita l’incremento di maestranze nella fornace, sull’ andamento della popolazione delle Sieci, come si denota dai rilevamenti demografici dell’epoca. Il rapporto tra incremento della popolazione e la crescente richiesta di mano d’opera rimane costante nel tempo, e le fasi dell’accrescimento della fornace scandiscono il parallelo sviluppo del centro abitato. I procedimenti produttivi, che fino alla fine dell’800 erano basati principalmente sulle tecnologie manuali e solo in parte su quelle meccanizzate, creavano un impatto non dannoso con l’ambiente circostante.

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EDIFICI - 1820

STRADE - 1820

IDROGRAFIA - 1820

EDIFICI - 1956

STRADE - 1956

IDROGRAFIA - 1956

EDIFICI - 1988

STRADE - 1988

IDROGRAFIA - 1988

EDIFICI - 2013

STRADE - 2013

IDROGRAFIA - 2013

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02 - Il Paesaggio

Negli anni del dopoguerra, Le Sieci perdono il loro carattere di comunità autonoma e autosufficiente. La vicinanza con Firenze, che si pone come polo di riferimento per i numerosi centri limitrofi, condiziona lo sviluppo urbanistico del paese, non più legato al solo andamento produttivo della Fornace. Il rapporto di scambio tra la fabbrica e il pese si affievolisce anche in concomitanza con l’introduzione di tecnologie sempre più avanzate, che migliorano e incrementano la produzione, ma che richiedono un minor numero di addetti. La riconversione avvenuta negli anni 80 ha riportato notevoli miglioramenti al sistema produttivo andando però a intaccare le condizioni ambientali. I nuovi capannoni vennero realizzati con coperture in fibrocemento eternit, si perse del tutto il rapporto con il fiume e con il paesaggio circostante dovuto alla saturazione eccessiva dell’edificato che portò a una permeabilità irrisoria.

Dopo il fallimento della società Ceramiche Brunelleschi avvenuto nel 2011 la situazione è ancora peggiorata lasciando l’area in totale degrado fino alla sua completa inagibilità La fabbrica, landmark e monumento crocevia sulla valle delle Sieci, rimane come porta di accesso a tutto il Valdarno in attesa di una soluzione congrua agli alti caratteri architettonici e paesaggistici che compongono il “genius loci” di tale entità.

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E M

L F

A G

C I

H

D

B

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02 - Il Paesaggio A - Compiobbi

B - Figline

C - Firenze S.M.N.

D - Incisa

6 min.

42 min.

34 min.

32 min.

7 min.

45 min.

48 min.

45 min.

3 min.

12 min.

21 min.

31 min.

E - Londa

F - Molino del piano

G - Pontassieve

H - Reggello

29 min.

3 min.

11 min.

40 min.

71 min.

4 min.

15 min.

12 min.

43 min.

Non presente

9 min.

Non presente

I - Rignano sull’Arno

L - Rufina

M - Santa Brigida

20 min.

17 min.

12 min.

35 min.

34 min.

24 min.

23 min.

25 min.

Non presente 35



LA FABBRICA


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03 - La Fabbrica

Del primo nucleo dell’antica fornace degli Albizi rimangono ormai poche tracce. Le trasformazioni operate con la prima grande ristrutturazione della metà del secolo scorso e i danneggiamenti subiti nell’ultima guerra, lasciano intravedere pochi segni dell’impianto originale, non consentendo di formulare un quadro articolato sull’architettura che ne traspare. La prima documentazione fotografica alla quale possiamo riferirci, mostra un complesso di edifici correlati tra loro da evidenti rapporti funzionali, gravitanti attorno al fulcro generatore costituito dal fabbricato dove è alloggiato il forno, cuore dell’impianto. Nel suo insieme, nonostante il succedersi nel tempo degli ampliamenti e delle nuove edificazioni che hanno reso meno organico e meno leggibile il primo impianto, questo appare unitariamente allineato lungo una direttrice all’incirca

parallela all’andamento dell’Arno, e ortogonale al torrente Sieci. Ben più organico e meglio distribuito appare il secondo nucleo, edificato attorno al 1870, che si conserva in buona parte inalterato nella sua forma originaria, fino ad oggi. I due edifici, dai volumi massicci, tra loro paralleli, ospitavano il forno ellittico, i magazzini e i macchinari del nuovo impianto. Li unisce ancora un ampio percorso coperto “l’andito”, attraverso il quale si distribuivano le funzioni e le maestranze. Le grandi vasche di accumulo e decantazione dell’argilla, i “magroni” avvolgevano i due edifici sui tre lati, ed un bacino-canale, detto “il porto”, li metteva in comunicazione con l’Arno.

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03 - La Fabbrica

Questa configurazione della fabbrica, che raggiunge la sua massima produttività alla fine del secolo scorso, non subisce grandi alterazioni per tutta la prima metà del ‘900. Solo alcune tettoie adibite a magazzino e deposito, realizzate con semplici strutture lignee, alterano l’impianto architettonico della fornace. I due fabbricati ancora oggi restano la sola testimonianza forte del primo impianto industriale, rappresentando un riferimento concreto nel tessuto urbano delle Sieci. Sono infatti i criteri funzionali del ciclo produttivo a determinare, senza prevaricarla, la forma dei luoghi. I nuovi forni, a pianta ellittica, indicano le dimensioni del loro involucro; gli spazi di movimentazione e di accumulo impongono la scelta di una distribuzione puntiforme della struttura verticale, la modularità propria del forno scandisce il ritmo della struttura che è poi riportata all’esterno con ricorrenti lesene che ordinano la rigida geometria dei pieni e

dei vuoti. L’equilibrio che traspare dai grandi volumi costruiti, e che trae origine dalla stretta e leggibile connessione con le funzioni che li determinano, trovano riscontro nelle tecniche e nei materiali della costruzione. Costante è l’uso della pietra forte squadrata intervallata e alleggerita da ricorsi e lesene in latereizio.

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03 - La Fabbrica

La facciata principale riproduce i ritmi delle grandi costolature verticali ed è sormontata da timpani di grande imponenza, alleggeriti da occhi centrali che richiamano forme neoclassiche. L’equilibrio che traspare dai grandi volumi costruiti, e che trae origine dalla stretta e leggibile connessione con le funzioni che li determinano, trovano riscontro nelle tecniche e nei materiali della costruzione. Costante è l’uso della pietra forte squadrata, intervallata e alleggerita da ricorsi e lesene in cotto. I timpani sono racchiusi da modanature in mattoni sbalzati che si prolungano a formare il coronamento dei muri perimetrali, gli occhi centrali e le architetture delle finestre trovano la loro leggerezza nell’uso del cotto lasciato a vista. L’uso del materiale, come elemento di decoro e generatore di forme evidenzia la ricerca di quei valori formali e ambientali che la funzione della “fabbrica” esalta. 43


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03 - La Fabbrica

La grande trasformazione iniziata nel secondo dopoguerra stravolge gli antichi equilibri, raggiunti in un processo di lento consolidamento delle funzioni produttive. L’impossibilità di ricostruire gli impianti danneggiati dai bombardamenti, la necessità di ristrutturare e riconvertire gli impianti più recenti, ed infine l’opportunità di introdurre nuove tecnologie e sistemi di produzione determinano ancora una volta lo strutturarsi del nuovo impianto, ma questa volta senza l’attenzione che il tessuto urbano avrebbe richiesto. Si ricostruisce il nuovo con la semplice occupazione dei vuoti, senza un disegno complessivo. Le vasche di accumulo dell’argilla ormai inutili al processo produttivo vanno a formare, coi loro muri, il basamento sul quale si edificano i nuovi impianti: capannoni a un piano con copertura a volta e strutture puntiformi in calcestruzzo. Un architettura molto povera dal preciso carattere industriale extraurbano che non lascia spazio, non solo a quelle

caratteristiche costruttive così presenti nei vecchi edifici, ma neppure a quell’equilibrio architettonico e ambientale che tali luoghi avrebbero richiesto; è il risultato di quella ricostruzione industriale che, nell’immediato dopoguerra, anche se consentì una rapida ripresa economica, impoverì in maniera spesso irreversibile l’ambiente extraurbano. A fianco delle nuove costruzioni si assiste ad una profonda riorganizzazione delle varie fasi del ciclo produttivo; gli edifici più antichi o subiscono trasformazioni strutturali legate alla nuova distribuzione, o, se non riassorbiti nel processo di produzione, cadono in disuso. Questa condizione degli edifici si inserisce in un quadro di ben più grave di carenza ambientale. Lo sviluppo disordinato del primo dopoguerra, in assenza di un progetto generale che ne regolasse il cammino, ha determinato la saturazione degli spazi vuoti senza che questi fossero integrati o sostituiti da una distribuzione razionale di servizi o di attrezzature. 45


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03 - La Fabbrica

L’immagine complessiva che se ne trae è di grande casualità. La dotazione di spazi liberi, per attrezzature, fasce di vegetazione e parcheggi non è individuabile per l’eccessiva saturazione e disomogeneità. Il progressivo degrado fisico, conseguenza diretta dello stato di abbandono, investe perciò da prima le parti più antiche, di fatto meno utilizzate della fornace, aggravandone le condizioni fino a raggiungere i limiti della fatiscenza. Gli ampi spazi interni, che ospitavano il forno ellittico e i magazzini, oggi risultano ormai diroccati e impraticabili. Praticamente crollati, ed ormai perduti, i solai interni e le coperture a doppia falda inclinata nascoste dietro i grandi timpani triangolari. Successivamente, dopo il fallimento della società Brunelleschi, tale stato di abbandono si trasferirà anche ai capannoni ed edifici più recenti svuotati dai macchinari e lasciati alle intemperie. Al degrado fisico si affianca quindi un sostanziale degrado

urbanistico e ambientale recuperabile solo attraverso un nuovo assetto funzionale derivato da un risanamento dell’area, in concomitanza con una maggior permeabilità del suolo riducendo così l’eccessivo livello di saturazione dell’edificato, e a un recupero del rapporto col paesaggio circostante.

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LO STATO ATTUALE


Planimetria generale

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04 - Lo stato Attuale

+7,70m

+3,70m

+0,00m

-3,95m

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Pianta piano terra

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04 - Lo stato Attuale

+21,00m

+13,60m

+7,80m

+4,30m

+0,00m

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Pianta piano inferiore

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04 - Lo stato Attuale

+6,60m

+2,36m

-3,95m

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04 - Lo stato Attuale

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ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE


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05 - Archeologia industriale

Il termine “Archeologia industriale” la cui paternità e da attribuire allo studioso Donald Dubley, venne introdotto per la prima volta dall’archeologo americano Vincent P. Folley intorno agli anni ‘50. Nei primi anni 90 si è passati ad un coinvolgimento interdisciplinare, introducendo un concetto nuovo per la cultura del tempo, vale a dire l’idea di “monumento industriale”. Il monumento industriale non è più interpretato come fatto artistico fine a se stesso ma assume una rilevanza di monumentale, in quanto espressione e testimonianza di una attività che forse la storia aveva confinato fuori dalla cultura: la produzione di beni. In questo modo il “monumento” industriale entra a far parte del patrimonio culturale di una società che lo considera un bene culturale cioè testimonianza di civiltà. (1) Il reperto industriale è segno tangibile di una precisa fase della storia umana e della sua cultura.

È opportuno definire il campo di indagine all’interno del periodo che va sotto il nome di “rivoluzione industriale”. Definito il periodo entro cui attuare l’indagine occorre tener presente come questa non si debba concentrare sul singolo edificio, ma piuttosto sui segni complessivi di carattere urbanistico che esso ha lasciato sul territorio. Le trasformazioni sul paesaggio (si pensi al rapporto tra la fabbrica e il fiume), le relazioni con i centri urbani, le prime fabbriche localizzate fuori dalla cerchia muraria, appaiono come mondi circoscritti che hanno rappresentato i capisaldi di una “colonizzazione” della campagna da parte delle città. Altrettanto significative sono le implicazioni di carattere sociale per la nascita di nuovi rapporti politici, che modificano le strutture della società: la fabbrica diviene il punto nodale di nuove relazioni che si instaurano con la nascita di una rinnovata economia. Infine le implicazioni di carattere architettonico: le nuove 63


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05 - Archeologia industriale

tecnologie hanno introdotto un nuovo modello di spazialità del luogo, modificandone i meccanismi di percezione e trasmissione estetica. Togliere l’oggetto dalla ricerca del suo contesto significherebbe perdere la possibilità di una nuova interpretazione del fenomeno. “L’archeologia industriale è fondamentalmente più interessata all’uomo che alle cose; fabbriche, laboratori, case e macchine sono degni di interesse solo in quanto prodotti dell’ingegno dell’uomo, del suo spirito di iniziativa, della sua cupidigia o generosità: espressioni fisiche del comportamento umano. Da qualsiasi punto di vista l’argomento sia trattato è l’uomo oggetto primo della nostra curiosità. Ogni fabbrica può dirci qualcosa sull’uomo che l’ha costruita e sulla sua reazione alle opportunità economiche e sociali create dalla rivoluzione industriale. I responsabili della crescita della moderna società industriale

hanno così eretto i loro monumenti. Sta noi leggere e interpretare ciò che vi sta scritto” (2) La fabbrica della prima rivoluzione industriale nasce nelle immediate vicinanze del nucleo urbano, non solo per motivazioni di carattere funzionale quali la vicinanza delle materie prime da lavorare o un più agevole scambio di merci attraverso le vie di comunicazione, ma principalmente per un offerta di mano d’opera a minor costo e per criteri connessi alla speculazione del territorio agricolo. La città riproduce parti di sé secondo una logica esclusivamente di profitto, generando vere e proprie “colonie” la cui immagine si sovrappone alla campagna, frutto dell’equilibrato gioco delle forme con un effetto traumatico. Basti pensare all’assoluta novità con la quale si ponevano i grandi ponti ad un’unica campata, le fabbriche gigantesche e i magazzini del primo Ottocento con la realtà dell’ambiente rurale o urbano che fosse. 65


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05 - Archeologia industriale

Le tipologie e gli schemi a cui si riferivano le fabbriche del primo periodo della rivoluzione industriale erano quelli corrispondenti a edifici di carattere collettivo quali le carceri, gli ospedali e le caserme. Strutture chiuse, rigidamente simmetriche e “monumentali”, che nella cultura ottocentesca si prestavano a comunicare un sistema sociale controllato e rigidamente suddiviso. Attorno ai nuovi insediamenti industriali si aggregano nuclei residenziali di nuova espansione e, a questo proposito, è utile ricordare l’esistenza di una analogia tra il modello di sviluppo del passato quando erano i conventi, le pievi o strutture similari gli elementi coaugulanti nella formazione della città. In questo caso tuttavia la crescita spontanea diluita nel tempo si accompagnava a un equilibrato rapporto con la morfologia del luogo, producendo aggregazioni di forte significato urbano; nel caso di periferia industriale si ha al

contrario la perdita della “città”. Essa nasce fin dall’inizio come area subordinata. La speculazione fondiaria e i criteri di economicità tenuti nella costruzione dei nuovi insediamenti hanno di fatto generato contesti urbani degradati, in cui trovano la loro collocazione le aree produttive e residenziali meno qualificate, mentre nel centro si addensano le funzioni commerciali, che associandosi a quelle direttive, coinvolgono sempre più il nucleo storico più rappresentativo. Ne consegue un’immagine della città contemporanea disgregata dalla realtà della sua periferia e dal rapporto con le campagne. “Per risolvere il problema di questa contrapposizione tra centro e periferia, tra città e campagna, tra residenza e lavoro occorre trasformare la periferia in città, cioè in un luogo in cui le varie funzioni, la residenza, il lavoro, i servizi siano integrati in un unico sistema urbano.” (3) In questa prospettiva può essere determinante il recupero dei manufatti di archeologia industriale, che diverranno 67


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05 - Archeologia industriale

occasioni per innescare un processo di riprogettazione della periferia. In questo ambito di riuso, nel riprogettare la periferia per inserirla in un disegno di riassetto del territorio, diventa importante predisporre un disegno urbano che rappresenti una valida alternativa alla città dello Zoning. Così come un tempo erano i conventi, i mercati, i luoghi di culto e di scambio, gli elementi generatori, oggi questo ruolo può essere assolto dai manufatti dell’Archeologia Industriale al fine di inserire forme e contenuti nella periferia in cui si collocano. “La fortissima carica semantica che tutt’ora traspare dalle vecchie fabbriche anche se defunzionalizzate o impoverite nei loro rapporti di produzione, è tale da legittimare il ruolo di polo fondante che tali manufatti possono avere nei confronti del territorio. Del resto i luoghi dell’Archeologia Industriale sono i luoghi in cui la collettività riconosce la propria storia, il messaggio architettonico ha superato quello strettamente

funzionale e si pone nei confronti dell’urbano come con gli stessi termini degli edifici collettivi di un tempo”. (4)

(1) Cit.Antonello e Massimo, Negri-L’archeologia Industriale” Casa EdistriceG. D’Anna 1978-Messina/ Firenze (2)cit.D.Smith in M.Rix Industrial Archeology 1967 in A. e M. Negri, Op.Cit (3)Cit. Giovanni Bacciardi 1981 “ Archeologia industriale i problemi del riuso” (4)Cit.Massimo Prizzon “ La fabbrica come elemento della città”in “ I temi dell’architettura della città” di Boninclzi, Del Bo, Di Leo, Grassi, Guazzoni, Monestiroli, Prizzon, Ed.Clup Milano 1976. 69



ABITARE


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Il tema della casa, e le problematiche dell’abitare, hanno assunto nel contesto sociale, politico ed economico attuale una nuova centralità, diventando molto più articolato che in passato. Il problema della casa non riguarda oggi soltanto le categorie disagiate, ma anche un ampio gruppo di persone che viene definito “fascia grigia”, costituita da giovani coppie, lavoratori precari, anziani con pensioni minime e più in generale, tutte quelle famiglie che per varie ragioni di carattere sociale, economico e professionale si trovano in una fase di difficoltà, tanto da non potersi permettere di sostenere l’onere di un affitto o l’acquisto di un’abitazione. I destinatari non rientrano nei canoni di povertà economica previsti per accedere all’edilizia residenziale, ma allo stesso tempo non sono in grado, da soli, di misurarsi con il mercato odierno immobiliare. “Una delle questioni da dover sottolineare è il cambiamento radicale dei nostri nuclei familiari negli ultimi anni a causadella

forte diminuzione delle nascite e matrimoni, contrapposti alla crescita costante di separazioni e convivenze. Seppur negli ultimi anni il numero delle famiglie sia aumentato, si tratta tuttavia di famiglie sempre più con un numero medio di componenti di 2,6 unità. I nuclei unipersonali, cioè le persone che vivono da sole, sono quasi una su quattro. Le coppie con i figli, pur costituendo la modalità prevalente, sono in lieve diminuzione mentre risultano in aumento le coppie senza figli.” [Anci 2011] “La domanda abitativa è collegata sia a profondicambiamenti nella composizione delle famiglie, sia alla povertà economica. Le condizioni di precarietà abitativa riguardano in particolar modo i nuclei monogenitoriali (in maggioranza donne e bambini), la popolazione anziana e i giovani tra i 18 e i 34 anni”. [Istat 2015]

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06 - Abitare

In questo panorama inoltre, il graduale aumento dei prezzi delle zone più centrali della città ha contribuito al fenomeno dello spostamento di molte famiglie alla ricerca di situazioni di alloggio meno care, in quartieri periferici spesso degradati, nella speranza di un aumento della qualità di vita. L’attuale fase di crisi economica che attraversa il paese ha ulteriormente aggravato la questione dell’abitare, evidenziando il tema dell’incontrollata dispersione urbana delle periferie che già dal secondo dopoguerra si evinceva su tutto il territorio nazionale. Il consumo sempre maggiore di territorio, consegnato di fatto ad un progressivo impoverimento, ha favorito l’aumento di episodi di aggregazioni urbane disomogenee, sottomesse alle logiche imposte dal mercato, dove la capacità progettuale si è spesso ridotta a schemi consolidati, basati su modelli tipologici, funzionali ed estetici di scarsissima qualità.

Si è costruito troppo ed ora l’enorme patrimonio di case invendute è l’aspetto più contraddittorio di fronte ad un evidente bisogno di alloggi. “La necessità è quella di ricostruire e recuperare quello che già c’è… e avere la voglia ed il coraggio di costruire sul costruito” (1) Da diversi anni sono diventati preponderanti all’interno dello studio sull’abitare le problematiche relative alla qualità nelle sue vare coniugazioni. Troppo spesso oggi si tende a sovrapporre completamente il concetto di qualità di un alloggio, con la presenza o meno all’interno di esso di sistemi per il contenimento energetico, o per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Tali elementi sono senza dubbio fondamentali e contribuiscono alla qualità dell’edificio, ma non sono sufficienti per poter parlare di “qualità abitativa”.

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06 - Abitare

Questa è data da una molteplicità di caratteristiche che comprendono la qualità degli spazi accessori (balconi e terrazze), la facilità di interconnessione, la costituzione di un senso stretto di appartenenza e sicurezza, “la capacità dell’architettura di generare relazioni e interazioni tra gli abitanti.” E’ necessario dunque innescare un processo virtuoso che coinvolga istituzioni e soggetti privati, nel gestire le proposte di riqualificazione e di rigenerazione accostando in maniera inscindibile agli interventi di recupero il rapporto con il contesto territoriale ove si collocano. (1) Oriol Bogas (professore emerito, archietto e urbanista del politecnico di Barcellona)

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CASI STUDIO


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07 - Casi studio

Leonardo Ricci Architetto, pittore, scenografo, urbanista, docente, è stato un esponente della ‘scuola fiorentina’ guidata da Giovanni Michelucci. Il suo fare progettuale è legato ad una concezione ‘esistenziale’ dell’architettura, conferendo allo spazio dinamico e continuo, il primato assoluto. La volumetria viene difatti modellata dagli ‘atti di vita’ di chi la abita: da qui il rifiuto dell’architetto di forme prestabilite e dettate da un particolare ‘stile’. Nelle sue architetture diventa essenziale il rapporto con il luogo e la valorizzazione dei materiali tradizionali.

La “Nave Sorgane” - Firenze 1962-1968 Il progetto rappresenta per Ricci un manifesto dei suoi ideali sia di uomo che di architetto, uno dei progetti più interessanti fra quelli presentati dal gruppo di ingegneri e architetti guidati da Giovanni Michelucci per la realizzazione di un nuovo impianto urbano di cui Ricci ricoprirà un ruolo di responsabilità a partire dal 1957. “La Nave” è una macrostruttura residenziale, un edificio città lungo duecento metri con struttura in cemento armato a vista, quasi di stampo brutalista (chiara è l’ispirazione che l’architetto ha assimilato dall’Unitè d’ Habitation di LC). Un insieme organizzato e mutevole di alloggi e spazi distributivi pubblici, come ballatoi, piazze coperte, percorsi pensili e terrazze, strade interne e vani scala. Al centro dell’idea progettuale c’è come sempre l’intento di favorire gli scambi tra le persone. Ricci vuole la realizzazione di appartamenti prefabbricati per consentire ai futuri abitanti una partecipazione attiva, secondo l’architetto l’edificio città

è qualcosa di più complesso, trova la sua forma completa nel momento in cui viene vissuta sul piano sociale, è fatta di relazioni e scambi interpersonali. È proprio per questo che Ricci decise di lasciare al di fuori della città edificio tutti i servizi, collocandoli nelle immediate vicinanze così da creare negli abitanti della Nave la necessità di uscire dall’involucro abitativo e avere l’occasione di relazionarsi con l’esterno quotidianamente. Le due realtà sociali, quella interna e quella esterna, sono in continuo dialogo grazie alle nuove spazialità create dalle passeggiate sospese, dalle piazze rialzate e nei loro collegamenti, occasioni di incontro. Gli ampi balconi e la loro ampia superfice generano slanci visivi quasi come se l’edificio volesse protendersi verso il contesto circostante. Senza dubbio è questo lo sforzo più grande di Ricci, creare una nuova forma di abitare, tale da permettere agli abitanti di relazionarsi tra loro. (1)

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Casa-Studio, insediamento di Monterinaldi - Firenze (1949-1951) Comunemente conosciuto come “il villaggio dei marziani”, chiamato così l’intervento sul terreno scosceso di fronte a Fiesole, è un vero e proprio manifesto del mondo ricciano di intendere l’opera architettonica come un tutt’uno con il paesaggio circostante. Qui Ricci ubicherà la sua casa-studio, esempio pregevole e altissimo di integrazione architettonica nel contesto dell’ambiente circostante a cui affianca nel frattempo una serie di altre residenze. Nelle intenzioni dell’architetto, Monterinaldi doveva formare infatti un villaggio comunitario privo di separazioni tra le proprietà, atto a favorire le relazioni tra le famiglie. L’insieme delle case sembra essere li da sempre, realizzato con i muri a scarpata e pietre del luogo ed è costruito seguendo le necessità primarie, senza barriere o interruzioni, per un fluire libero e dinamico della vita degli abitanti. La casa studio ubicata sulla parte alta della collina in prossimità delle due cave da cui venne estratta la pietra per muri e

lastrici, presenta un impianto molto articolato e dinamico che dipende in prima istanza dall’integrazione organica dell’architettura al sito (matrice wrigthiana) , tenendo conto delle irregolarità, dei dislivelli, delle vedute panoramiche, di modo che i vari corpi di fabbrica che la compongono siano disposti su terrazzamenti, fruibili come una sorta di giardini pensili. “La casa nasce dalla roccia ed è roccia essa stessa nella parte in cui è in contatto con il terreno; non assume cioè in partenza una posizione astratta con il paesaggio e quindi una concezione spaziale unilaterale; ma appena poco fuori dal terreno su cui poggia e da cui sembra prendere la spinta, sorge libera, assume forma propria, in certo senso la scala, stabilendo un rapporto non più con roccia, albero, cipresso, case, bensì con tutta la vastissima regione circostante”. [cit. Leonardo Savioli]

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DiverseRigheStudio Gruppo nato con l’esigenza di costruire operazioni che siano in grado di generare linguaggi e strumenti comuni tra abitanti e luoghi. Gli edifici realizzati principalmente nel contesto della provincia nord-italiana si caratterizzano dall’uso di materiali e soluzioni volumetriche essenziali ed efficaci. I nuovi impianti sono concepiti come luoghi dove creare un sistema di relazioni tra gli individui.

Asia - Bologna (2006) Il progetto sorge in un lotto intercluso e disomogeneo, a ridosso del centro storico, dove il contesto sfuma verso la spazialità della pianura padana bolognese. L’integrazione ed il consolidamento col paesaggio, assieme a armonia ed equilibrio interno, sono stati gli obbiettivi del percorso progettuale; per raggiungerli sono stati seguiti principi volti alla corretta gestione dei rapporti, sia sociali che architettonici, tra le varie tipologie. L’intervento si caratterizza per l’uso contemporaneo del mattone, che perde la propria scala reale-seriale, per trasformarsi in più edifici-monolitici, sfaccettati e scavati con regole che legano volumi e proporzioni. (2)

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Ostro+ Scirocco - Bologna (2008) Il progetto si colloca all’interno di un comparto di espansione residenziale strutturato come una macro-area suddivisa in lotti secondo le logiche commerciali. L’intento compositivo è di suddividere la capacità edificatoria dei lotti in piccoli volumi, realizzando edifici ibridi, che non consentano di comprendere esternamente dimensioni reali e tipologie degli alloggi. La sperimentazione di questo tipo edilizio permette di realizzare unità differenti l’una dall’altra, dove alle piccole dimensioni dell’alloggio corrispondono tutte le caratteristiche di una casa indipendente, capace di accogliere un ipotetico abitante universale.

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La Fornace Morandi La Fornace Morandi fu costruita nel 1898 tra la ferrovia ed il fiume Brenta, nella zona tra la Strada delle Boschette ed il confine est della proprietà dei Morandi. La famiglia acquistò e costruì anche diverse abitazioni in zona per i propri dipendenti, dando vita al cosiddetto “Villaggio Morandi”. Lungo via Fornace Morandi fu eretta anche la villa padronale. La concezione unitaria del sito fu poi stravolta con l’arrivo dell’autostrada Serenissima e della tangenziale nord, che separarono l’impianto produttivo da molti degli edifici che vi gravitavano attorno. Via via la fornace subì poi molte modifiche legate agli aggiornamenti produttivi, fino all’anno di cessione dell’attività, il 1981.

Il progetto di recupero L’edificio dopo la guerra è rimasto inutilizzato, subendo danni strutturali generalizzati e il crollo di gran parte della copertura, che però non ha intaccato la ciminiera, elemento fulcro dell’edificio. L’idea prevede la rinascita della suggestione operata dalla fornace, enfatizzando i suoi elementi principali. I fronti Sud e Ovest e una parte del fronte Est sono rimasti integri e sono stati mantenuti quali elementi di pregio del complesso. Il progetto si caratterizza per lo svuotamento della parte centrale del corpo principale in corrispondenza del secondo e terzo piano, per creare condizioni di luce naturale per gli uffici direzionali. La parte strutturale dell’edificio storico, in particolare la ciminiera, è stata resa visibile dall’interno. Il corpo posto ad Est del blocco principale è stato riorganizzato in un unico volume per esaltarne la struttura. La scansione ritmica dei pilastri in laterizio si alterna a quella delle tamponature realizzate con pareti vetrate che insieme

alle strutture in laterizio, mantenute grazie dall’utilizzo dell’acciaio, protagonista del consolidamento, generano nuovi spazi creati all’interno dei volumi “svuotati”. La distribuzione interna presenta una pianta libera. Un’ampia terrazza posta al piano del giardino interno e orientata a Nord, si relaziona con gli spazi che vi si affacciano. Il piano terra è caratterizzato dalla presenza del forno che ha influenzato le scelte distributive e di destinazione d’uso dei locali annessi. Uno spazio espositivo a doppia altezza ospita mostre d’arte e una mostra permanente delle testimonianze storiche che riguardano la vita della cittadina.

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Herzog & de Meuron Fondato nel 1978 a Basilea dagli architetti svizzeri Jacques Herzog e Pierre de Meuron è probabilmente uno degli studi associati di architettura più celebri al mondo. Il loro approccio progettuale si è sempre caratterizzato da una combinazione originale fra innovazione e sottili riferimenti agli archetipi dell’architettura, specialmente di quella centro-europea. Noti al pubblico per i loro grandi edifici pubblici, come lo Stadio Olimpico di Pechino sviluppato insieme all’artista cinese Ai Weiwei, Herzog & de Meuron sono unanimemente consideranti maestri nella progettazione di musei; dalla Collezione Goetz a Monaco di Baviera (1992) alla Tate Modern di Londra (2000); dal Museu Blau a Barcellona (2011) fino al nuovo museo Unterlinden a Colmar (2016).

Tate Modern - Londa (2000) La Tate Modern ha sede nell’edificio di un’ex centrale elettrica (Bankside Power Station), situata sulla riva meridionale del Tamigi. Vista la volontà di un adeguamento a funzione museale e rivitalizzazione del manufatto, furono chiamati gli architetti svizzeri Jacques Herzog e Pierre de Meuron. Il progetto di ristrutturazione ha rispettato pienamente il carattere originale dell’edificio, conservandone l’involucro in muratura e le sembianze di un tempo. All’esterno l’alterazione più evidente è rappresentata dall’inserimento di una struttura in vetro, lungo l’intero soffitto, la quale contiene i due livelli superiori del museo da cui si ammira lo splendido panorama del West End e che offre luce naturale alle gallerie situate al quinto piano. L’esterno della Tate Modern dimostra come gli architetti abbiano in ogni modo tentato di non snaturare la struttura industriale (come testimonia l’imponente ciminiera alta 99 metri).

A causa del sovraffollamento del museo, progettato per sopportare 1,8 milioni di visitatori all’anno a fronte degli effettivi 4 milioni annui, ne è stata prevista un’espansione. Sul lato meridionale dell edificio si trova una piramide di vetro, progettata sempre dallo studio Herzog & de Meuron, che incrementa la superficie espositiva del 60%, i cui lavori terminarono nel 2012.

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L’atrio della Tate Modern, la “Turbine Hall”, è stato concepito come luogo d’incontro e di sosta sia per i passanti sia per i visitatori. Al suo interno sono collocati dei balconi aggettanti che permettono al fruitore di osservare gli allestimenti di opere contemporanee. Delimitati da pannelli in vetro e illuminati, la loro funzione è di contrastare la simmetria e la verticalità dell’atrio e, allo stesso tempo, definire i 7 livelli del museo. Il secondo e il quarto piano sono invece dedicati alle esposizioni temporanee. I ristoranti, bar e librerie, le gallerie situate al terzo, quarto e quinto livello offrono un itinerario caratterizzato dall’alternanza di spazi monumentali, stretti corridoi, e nicchie. Vi è molta varietà nell’illuminazione degli spazi; atmosfere diverse sono create dalla luce naturale delle grandi vetrate, da soffuse luci artificiali, da lucernari o dal buio completo. In questi spazi l’architettura è al servizio dell’arte. Intorno alle gallerie sono collocati spazi lettura, dove ci si può rilassare,

mentre nella libreria si può avere accesso a materiale scritto e audiovisivo sugli artisti. Esistono inoltre anche sale conferenze, convegni, seminari, corsi e laboratori per le scuole, la famiglia e la comunità.

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Aires Mateus Manuel Aires Mateus si forma a Lisbona nella Facultad de Arquitectura de la Universidade Tecnica. Nel 1988 fonda con il fratello Francisco lo studio Aires Mateus & Associados.I numerosissimi incarichi privati e i premi internazionali vinti delineano i fratelli Mateus come personaggi di spicco dell’architettura europea. Le loro opere si contraddistinguono da una ricerca rigorosa e da una cura straordinaria nella qualità del dettaglio. La loro architettura si basa su una ricerca dello spazio e della materia che, pur riconoscendo nella massa la sua principale ragione d’essere, mira ad eliminare la gravità per affermare piuttosto la leggerezza attraverso una sua sostanziale smaterializzazione. Tra le opere più significative realizzate dallo studio figurano numerose case private.

Casa Ad Azeitao - Setùbal, Portogallo (2003) Il progetto nasce come recupero di un ex cantina vinicola nel borgo di Azeitao, con la volontà di farne un’abitazione privata. L’edificio esistente si caratterizza per un grande unicum spaziale e le sue volumetrie, in buono stato di conservazione, sono state mantenute e non alterate conservandone l’archetipo architettonico. Il volume interno svuotato ha consentito di costruire con un interessante gioco di elementi posti fra loro in aggetto, un sistema distributivo composto da ballatoi e scale situato nell’interstizio tra i cubotti e il contenitore esistente. L’ambiente viene illuminato dalle aperture perimetrali e dall’alto producendo un gioco di transizione della luce dallo spazio sociale a quello privato. Le aree più private (situate al primo piano): camere da letto, bagni e uno studio, sono concepite come volumi abitabili in un equilibrio “precario”, strutturando lo spazio.

I volumi, articolati dalla luce, modulano lo spazio principale del soggiorno inferiore, sottolineandone l’ampiezza.

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IL PROGETTO


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08 - Il progetto

La rete viaria Il progetto complessivo trova il suo sviluppo affrontando e mettendo in relazione tre macro temi quali il paesaggio, la città e l’architettura. Questi tre temi trovano risoluzione in altrettanti interventi che prevedono la modifica della rete viaria locale, la riconnessione della fascia fluviale naturale, ed il nuovo intervento architettonico composto dal recupero degli edifici storici della fornace e dei nuovi edifici abitativi. Individuate le criticità urbanistiche e viarie della sponda superiore dell’ansa fluviale delle Sieci, il primo passo progettuale è stato lo studio di un nuovo tracciato stradale della Via Aretina che risolvesse in una prospettiva a breve termine l’interruzione della fascia fluviale. Il primo dei micro-temi urbanistici affrontato è stato il nuovo percorso della Via Aretina (Strada Statale 67 Tosco Romagnola), che attualmente lambisce la riva del fiume fino ad intersecare il nucleo urbano delle Sieci. Osservando questo assetto da una planimetria, si può chiaramente

notare come la zona di progetto venga di fatto isolata dal resto del paese, trovandosi interclusa tra la strada carrabile e la ferrovia, impedendo un accesso pedonale intuitivo e sicuro da parte degli abitanti; interrompendo di fatto quel rapporto di accessibilità e visibilità che vi era tra la sponda del fiume da una parte e tra il sistema collinare dall’altra. Il nuovo tracciato della Via Aretina è stato deviato dall’incrocio di Via della Stazione fino all’innesto del piccolo ponte carrabile che attraversa il torrente Sieci, all’incrocio con Via Molino del Piano. In questo rinnovato assetto la strada corre parallelamente alla ferrovia, mantenendo una minima distanza da essa in cui è stata inserita una fascia boscata che funge come prima schermatura visiva ed acustica. In questo modo, le due “barriere” identificate dalla strada carrabile e dalla ferrovia, si riducono ad una sola.

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08 - Il progetto

La rete viaria Un altro argomento urbanistico dell’intervento è stato l’innesto proprio tra la Via Aretina e Via Molino del Piano, attualmente gestito da un’intersezione a raso con gestione semaforica del traffico. A causa di uno squilibrio tra i flussi veicolari tra l’asse Firenze-Pontassieve e quello diretto a Nord verso il piccolo paese di Molino del Piano, questo snodo crea una notevole quantità di traffico soprattutto nelle ore di punta. La soluzione per impedire che lo scorrimento maggiore venisse interrotto è stata l’inserimento di una rotonda che, a differenza della gestione semaforica dell’incrocio, consenta alle auto che provengono o che viaggiano in direzione Firenze di non essere interrotte nella loro marcia. In questo modo, il minor numero di auto che viaggiano in direzione Molino del Piano o Santa Brigida viene gestito senza interruzioni.

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Il parco Il secondo dei macro-temi progettuali è il trattamento della fascia fluviale lasciata libera dalla deviazione della Via Aretina, il cui obiettivo è la riconversione degli spazi minerali in un parco fluviale che ripristini non solo il rapporto tra l’area di progetto ed il fiume Arno, ma anche quello tra il nucleo principale delle Sieci con il tessuto edificato oltre l’omonimo torrente. Per tale scopo è stato sviluppato ed esteso il percorso pedonale lungo la sponda dell’Arno (che ad oggi si interrompe bruscamente su Via Aretina), che consente agli abitanti non solo di accedere al parco, ma anche un modo rapido e sicuro di spostarsi tra questi due luoghi. Lungo questa fascia è stato inoltre pensato un susseguirsi di spazi dalla differente natura, derivati dallo stretto rapporto tra gli spazi aperti vegetali con gli innesti a prevalenza minerale che connettono la naturalità del parco con i temi architettonici del progetto. In questo modo vengono integrati i temi di connessione con quelli di sosta, realizzando delle vere e proprie “terrazze” con affaccio

sul fiume. Queste forniscono alle persone occasione di un rapporto stretto con l’Arno, grazie all’impiego di sedute e di un sistema di pensiline coperte, che riparano i visitatori delle diverse condizioni meteorologiche sia in periodo estivo che invernale, fornendo inoltre coni visivi su tutto il sistema fluviale e la vallata antistante. All’inizio di questa fascia è stato inoltre individuato il miglior posizionamento del nuovo parcheggio dedicato al progetto, sia per la sua posizione strategia che sfrutta per l’accesso carrabile la piccola strada servente (che porta al parcheggio del limitrofo supermercato), sia per la possibilità di integrare l’ampia superficie sgombra dei luoghi di sosta con un sistema di alberature. Questo lo rende parte integrante del paesaggio, e non un semplice dispositivo indispensabile al raggiungimento del luogo via auto. Il tutto sarà inoltre completato dal disegno delle pensiline del livello superiore del progetto che, aggettando collaborano in un sistema sfrangiato con le fasce alberate.

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08 - Il progetto

La planimetria Il progetto planimetrico parte innanzitutto dallo studio dell’edificio protagonista dell’intero paese: l’ex Fornace Brunelleschi. Gli spiccati caratteri architettonici ed il glorioso passato della costruzione impongono un trattamento che la renda centro generativo dei vari spazi che compongono il progetto. Il primo passo, che ha successivamente portato allo sviluppo dei numerosi assi di connessione presenti in planimetria, è stato lo studio degli interassi delle strutture portanti dell’edificio principale, che ha rivelato una precisa e ripetibile scansione spaziale, individuabile anche esternamente dal partizionamento delle lesene dei prospetti. Questo criterio ha poi fornito dei suggerimenti per una disposizione molto precisa di ogni spazio, volume e struttura sia architettonica che vegetale dell’intero luogo, riportando il linguaggio urbanistico dell’area compatibile con quello sviluppatosi nel paese nei decenni scorsi.

Il parallelismo tra i due edifici esistenti ed il fiume ha suggerito lo sviluppo di un asse centrale a percorrenza pedonale (un boulevard), evidenziando un curioso allineamento con la ciminiera della prima fornace ad ovest. Da questo asse principale si diramano in maniera ortogonale degli assi secondari che, propagandosi secondo la scansione rilevata, ristabiliscono l’equilibrio direzionale della planimetria e riconnettono la parte rialzata del terreno con quella al di sotto del dislivello. Questi due aspetti progettuali stabiliscono sia dei collegamenti visivi che fisici tra i diversi elementi che popolano il progetto, identificando le diverse zone dove sono stati posizionati gli edifici, le alberature, le fasce vegetali e gli spazi aperti. La nuova struttura di connessione ha permesso inoltre di ritrovare il rapporto tra il livello più basso del parco fluviale e quello meramente visivo del sistema collinare retrostante, fino ad oggi interrotto dall’eccessiva e disordinata saturazione dell’area.

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La planimetria Componendo i diversi elementi come volumi e mancanze, vengono identificate lungo l’asse principale una successione di spazi assimilabili a delle “mirco-piazze” che trovano una precisa caratterizzazione attraverso l’uso di determinate specie arboree e differenti trame di pavimentazioni, nelle quali si creano occasioni di incontro e socializzazione tra gli abitanti. Ogni elemento, sia l’asse principale, sia gli assi secondari, viene poi concluso da episodi che favoriscono, o filtrano, il rapporto visivo col contesto e con lo spazio circostante: nel caso della parte sud, gli assi secondari si concludono in terrazze provviste di pensiline coperte ed altri elementi di arredo urbano, che favoriscono l’aggregazione ed il rapporto con contesto, mentre nella parte superiore fasce alberate e vegetali schermano lo spazio interno dal rumore e dal transito di auto e treni sui rispettivi sistemi viari. Ad Ovest le percorrenze pedonali si interrompono in degli elementi

terminali terrazzati con specie arbustive, che schermano insieme alla fascia alberata il traffico veicolare tangente il lotto di progetto. L’accesso all’area avviene attraverso diverse modalità e posizioni. Possiamo identificare un attraversamento pedonale dalla parte Sud-Est, proseguendo lungo la passeggiata che costeggia la riva dell’Arno, che immette direttamente nella parte più naturalistica del progetto, con la possibilità di percorso fino al ponte che attraversa il torrente Sieci.

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La planimetria L’immissione pedonale dal nucleo urbano delle Sieci avviene attraverso una scalinata integrata da rampa ad Est, che si connette direttamente sullo snodo che distribuisce sia chi proviene dal paese, sia chi raggiunge il luogo tramite la stazione ferroviaria limitrofa. Attraverso questo elemento si accede direttamente ad una delle due piazze dalle differenti identità che si sviluppano attorno agli edifici della fornace: la prima, antistante alla facciata Est, accoglie i visitatori concludendo l’asse principale ed è messa in protezione grazie ad una fascia di schermatura vegetale lungo la Via Aretina. La seconda piazza invece si insinua tra i due edifici ed ha la caratteristica di generare un forte rapporto con il fiume e con il contesto grazie ad una serie di pensiline che si proiettano oltre il dislivello del terreno, mitigando la vista sul parcheggio e fornendo un vero e proprio punto di vista privilegiato sul parco e sull’Arno. 113


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Involucro

Struttura

Contenuto

Copertura

La fornace Purtroppo le pessime condizioni in cui si trova l’edificio non hanno permesso il recupero di diversi elementi come la copertura ormai quasi del tutto crollata, ed i pilastri interni in pietra, che data la loro discreta altezza e snellezza sono stati resi vulnerabili ai crolli dai diversi agenti meteorologici. Ciò che è stato mantenuto e valorizzato è la facciata esterna percorsa da ricorsi orizzontali e verticali, che una volta consolidata ha generato uno spazio interno libero popolato unicamente da uno dei principali elementi caratteristici dell’intero territorio circostante: la ciminiera. Questa si erge al di sopra della copertura, mentre ai suoi piedi si può notare un frammento dell’antico forno ellittico Hoffman, che è stato reso testimone della storia dell’edificio, ospitando la mostra fissa che racconta le varie vicende e trasformazioni del complesso. L’inserimento di una nuova struttura a portali in legno lamellare ha consentito la realizzazione di una nuova

copertura posta ad una quota maggiore rispetto a quella della sagoma originaria dell’edificio, dichiarando la propria identità rispetto alla preesistenza riprendendone però la caratteristica sagoma a doppia falda. Elemento caratterizzante lo spazio interno è la grande vetrata lineare posta tra le due campate che fornisce sia un’illuminazione diffusa dall’alto, sia un suggestivo scorcio sulla ciminiera al centro di essa. In questo edificio sono state inserite le funzioni collettive di incontro, svago ed apprendimento, grazie alla realizzazione di una biblioteca che possa offrire anche una serie di servizi e spazi a disposizione della comunità locale e non, grazie alla facilità con la quale è possibile raggiungerla attraverso la rete ferroviaria e viaria. Le diverse funzioni pubbliche e di servizio sono state identificate attraverso la realizzazione di una serie di volumi interni all’edificio, ognuno dei quali chiaramente intelligibile 115


Biblioteca 1. Ingesso 2. Edicola e lettura 3. Esposizione permanente 4. Sala multimediale 5

5. Ambienti del personale

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Uffici 6. Ingesso 7. Portineria 8. Area svago

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9. Sala pranzo 10. Uffici direzione 11. Sala server 1

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ma allacciato e connesso da un ballatoio attrezzato, lungo il quale si susseguono i diversi ambienti della biblioteca. Lo scopo della riqualificazione della fornace è quello di mettere a disposizione degli abitanti una serie di ambienti di incontro, di supporto allo studio e di fruizione di contenuti bibliografici. Possiamo quindi trovare una sala dedicata ad edicola per giornali e quotidiani, una sala multimediale dedicata alla riproduzione di contenuti visivi, un piccolo auditorium per incontri e conferenze, due sale studio nelle quali è possibile isolarsi dal rumore esterno per una migliore concentrazione, spazi dedicati alla raccolta dei libri, attrezzati anche per la lettura sul posto e per la condivisione tra più persone di momenti di studio e formativi. Al primo piano si trova inoltre una piccola caffetteria, situata in prossimità del collegamento aereo che unisce l’edificio della biblioteca con quello dedicato agli uffici, in modo che questo non si riduca esclusivamente ad una funzione

lavorativa, ma che possa essere occasione di socializzazione tra i vari utilizzatori. Questo secondo edificio, più piccolo, si articola su tre livelli ed ospita uffici e spazi lavoro condivisi a disposizione di chi è in procinto di avviare una propria attività, o per chi si trova in una fase transitoria tra la fine di un percorso di studio e l’ingresso nel mondo del lavoro. La disposizione in pianta è stata concepita per valorizzare al massimo il rapporto con l’esterno, possibile grazie alle numerose finestre da cui è composta la facciata storica, concentrando le funzioni di servizio e di collegamento verticale al centro del volume. Anche in questo caso la copertura originale ed i pilastri sono risultati ormai del tutto compromessi, e sostituiti da una seconda struttura in legno lamellare che però non si eleva dalla sagoma dell’edificio come nel caso antecedente del fabbricato limitrofo.

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Biblioteca 12. Caffetteria 13. Sala studio 14. Area tavolini

Uffici 15. Postazioni 16. Area svago

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17. Sala riunioni

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Biblioteca 18. Librerie 19. Sala conferenze

Uffici 15. Postazioni 20. Sala lezioni

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Le abitazioni Uno degli obiettivi fondamentali del progetto è stato fin dall’inizio il recupero del suolo occupato dagli attuali edifici dismessi della fabbrica che non hanno particolare pregio architettonico (in quanto aggiunte di scarsa qualità, successive alla fine della seconda guerra mondiale), per restituirlo al tessuto urbano delle Sieci. Per questo motivo è risultato fondamentale l’inserimento di edifici che potessero ospitare abitazioni ed una serie di spazi di supporto al vivere quotidiano. Data la vicinanza alla città di Firenze ed a tutte le opportunità che essa è in grado di generare, è stato identificato un preciso target della popolazione a cui riservare le residenze: la cosiddetta “fascia grigia”. Questa si compone di giovani coppie, lavoratori precari e di neo professionisti che, concluso il loro processo formativo, si affacciano al mondo del lavoro. Vale a dire una importante fascia sociale che non versa effettivamente in difficoltà

economica, ma che per innumerevoli motivazioni si trova a dover impegnare le proprie energie umane e finanziarie in altri aspetti che non siano l’acquisto di una casa dove abitare, o che hanno una prospettiva a breve/medio termine di permanenza in uno specifico territorio. La sfida di questo progetto è quella di riuscire a mettere a punto delle tipologie abitative che riescano a contenere le spese di gestione che ogni abitante si trova costretto a sostenere ogni giorno, senza sacrificare la qualità degli elementi che le compongono, ma al contrario di fornire degli ambienti condivisi che possano anche andare oltre alle occasioni che ci si potrebbe aspettare di trovare in una residenza.

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Abitazioni 1. Bilocale 2. Trilocale 3. Lavanderia 4. Sale attrezzate 5. Foresteria

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6. Bike sharing

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Funzioni 7. Palestra 8. Asilo nido

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Le abitazioni L’abitazione è stata quindi scorporata nei diversi spazi che la costituiscono, andando a isolare un “modulo abitativo” minimo che potesse accogliere gli abitanti: un ambiente che soddisfi tutte le necessità del vivere e del condividere. Questi moduli hanno poi trovato il loro posto identificandosi all’interno della disposizione planimetrica che ne consente una lettura su molteplici livelli. Trattati con coperture a falde inclinate (dove sono posti i dispositivi solari) si è voluto ricreare il modello archetipico della casa a terrazzamento che sfrutta il dislivello esistente. Visivamente è possibile intuire i singoli appartamenti, ognuno di essi denunciato all’esterno da uno sfalsamento rispetto all’asse centrale planimetrico dei volumi e dal proprio terrazzo esterno. Le aggregazioni dei moduli condividono i collegamenti verticali, enunciati dal sistema a ballatoio che li connette. La prospettiva che si ottiene è quella di macro-blocchi

solidali l’un l’altro, che fornisce la percezione di un unico grande organismo. Questa gerarchia di aggregazione fornisce le basi per la distribuzione delle due tipologie di ambienti di cui sono formate le abitazioni, posizionando al piano terra le funzioni “di servizio” all’abitare, e riservando la qualità del primo piano ai moduli abitativi. Al piano terra troviamo gli spazi complementari condivisi dagli abitanti, alcuni di essi con lo scopo di ridurre i costi economici ed ambientali come le lavanderie, le caldaie ed i vari dispositivi tecnici a supporto degli impianti solari delle coperture, altri come vere e proprie estensioni della casa che sarebbe altrimenti stato impossibile implementare senza l’enorme incremento di spese e metri quadrati costruiti, oltre all’onere di dover mantenere un intero spazio utilizzato soltanto in alcune occasioni.

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Abitazioni 1. Bilocale 2. Trilocale

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Ambienti abitativi

Ambienti lavorativi

Si tratta di due tipologie di ambienti: le foresterie, vere e proprie camere per gli ospiti in visita agli inquilini, fornite di tutto il necessario per una permanenza a breve termine, e di alcune sale polifunzionali per l’organizzazione di feste, attività collettive e occasioni di incontro tra i residenti. Inoltre a ciò sono state aggregate alcune funzioni aggiuntive utili alla vita del nuovo quartiere, come una palestra collettiva e un micro-nido della capienza di venti bambini, dove i genitori delle abitazioni e della cittadina possano lasciare i loro figli prima di andare a lavoro. Il ruolo strettamente residenziale si ritrova invece nei moduli abitativi posizionati al primo piano, o attestati sul dislivello del terreno nella parte Sud. Questi sono formati da una zona giorno e da una zona notte che si articolano attorno agli elementi bagno e cucina che legano assieme la struttura principale della casa, quella più vissuta e che si trova in prima linea nel rispondere a tutte le

Ambienti complementari

necessità sia degli inquilini che degli eventuali ospiti ricevuti. La scarnificazione e l’aggregazione delle varie stanze, che tipicamente formano la casa nell’immaginario collettivo tradizionale, ha portato alla messa a punto di un’unica zona giorno nella quale possano avvenire tutte le mansioni quotidiane condivise dagli abitanti, così da fornire un grande spazio libero da vincoli dispositivi degli arredi, dove ognuno possa trovare la propria personale disposizione. Su questo ambiente si innesta inoltre uno degli elementi che eleva la qualità dell’abitare di queste abitazioni e che ne caratterizza l’identità: l’ampio terrazzo esterno. La scelta di fornire ad ogni abitazione una porzione di spazio esterno pari a circa la metà della sua superficie genera un aumento della quantità di occasioni di incontro e relazione delle persone che ne usufruiscono, e rafforza ulteriormente il rapporto dell’uomo col contesto, col fiume e col territorio che circonda il progetto.

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Le abitazioni lavoro, ambienti collettivi e di servizio che favoriscono la polifunzionalità dei macro-blocchi andando a implementare tutto quello che sarà il sistema di relazione e di interazione dei fruitori. Si è voluta coì sviluppare una forma ibrida che consenta di avere per la grande varietà di funzioni fornite ai fruitori un esperienza quasi a chilometro zero della loro realtà abitativa, lavorativa e di svago.

L’ambiente esterno e quello interno sono interconnessi da una grande parete vetrata che fa da unica membrana tra il salotto ed il terrazzo, schermata da un sistema di gelosie in mattoni che proteggono dal soleggiamento e dalla vista esterna senza però comprometterne il rapporto visivo. Per rendere più intimo ma non isolato lo spazio esterno, lungo il parapetto del terrazzo si snoda un sistema a vasca che ospita diverse specie vegetali arbustive, che collaborano a portare la componente naturalistica all’interno dell’intervento. Al piano terra dei moduli a tre livelli posti sul fronte del parco sono state poste le botteghe, luoghi dove, sia chi viene dalle vicinanze, sia gli stessi residenti delle unità abitative possano trovare un luogo di lavoro attrezzato e immerso nel verde dell’immediata prossimità. In questo modo si va a creare un circolo virtuoso casa, 127


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LA TECNOLOGIA


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08 - Il progetto 1 - SOLAIO COPERTURA

4 - SOLAIO PIANO TERRA

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• •

Pavimentazione flottante esterna in gress sp. 1,5 cm Massetto sagomato per la formazione di pendenza Isolante termico con membrana imp. in plastiche riciclate 14 cm Barriera al vapore 5 mm Solaio di copertura in pannelli prefabbricati di cemento armato precompresso sp.30 cm Sottostruttura in metallo + pannello isolante sp. 10 cm Controsoffitto tipo Knauff D112 h.30 cm

2 - SOLAIO INTERMEDIO • • • • • • • •

Pavimentazione esterna in doghe di larice sp. 1,5 cm Membrana impermeabilizzante sp. 6mm Isolante termico sp. 3 cm Massetto per formazione pendenza 1,5% H max Isolante termo-acustico sp 6 cm Solaio di copertura in pannelli di cemento armato precompresso sp.30 cm Sottostruttura in metallo + pannello isolante sp. 10 cm Controsoffitto tipo Knauff D112 h.30 cm

5 - PARTE ESTERNA • • • • •

3 - SEZIONE MURARIA • • •

Pavimentazione in listelli di larice sp.1,5cm Pannello radiante sp.3cm Isolante termo-acustico sp.6 cm Strato di allettamento C.l.s. trattato a vitsta s.p. 2 cm Massetto autolivellante sp.1 cm Getto c.l.s. armato con rete elettrosaldata s.p. 12 cm Vespaio areato con elementi cupolex h 45 cm Massetto c.l.s sp 15 cm Ghiaia e inerti sp. 40 cm Terreno compatto

Trave in cemento armato Isolante termico in plastiche riciclate sp.14cm Mattoni pieno tipo Toscana giuntati a malta

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Pavimentazione autobloccante in cemento stampato sp 3 cm Sabbia e inerti fini sp 12 cm Ghiaia e inerti sp. 40 cm Tessuto non tessuto sp 4mm Terreno compatto


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08 - Il progetto 1 - SOLAIO COPERTURA • • • • • • •

Pavimentazione flottante esterna in gress sp. 1,5 cm Massetto sagomato per la formazione di pendenza Isolante termico con membrana imp. in plastiche riciclate 14 cm Barriera al vapore 5 mm Solaio di copertura in pannelli prefabbricati di cemento armato precompresso sp.30 cm Sottostruttura in metallo + pannello isolante sp. 10 cm Controsoffitto tipo Knauff D112 h.30 cm

2 - SOLAIO INTERMEDIO • • • • • • • •

Pavimentazione esterna in doghe di larice sp. 1,5 cm Membrana impermeabilizzante sp. 6mm Isolante termico sp. 3 cm Massetto per formazione pendenza 1,5% H max Isolante termo-acustico sp 6 cm Solaio di copertura in pannelli di cemento armato precompresso sp.30 cm Sottostruttura in metallo + pannello isolante sp. 10 cm Controsoffitto tipo Knauff D112 h.30 cm

3 - SEZIONE MURARIA • • •

Trave in cemento armato Isolante termico in plastiche riciclate sp.14cm Mattoni pieno tipo Toscana giuntati a malta

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08 - Il progetto 4 - SOLAIO PIANO TERRA • • • • • • • • • • •

Pavimentazione in listelli di larice sp.1,5cm Pannello radiante sp.3cm Isolante termo-acustico sp.6 cm Strato di allettamento C.l.s. trattato a vitsta s.p. 2 cm Massetto autolivellante sp.1 cm Getto c.l.s. armato con rete elettrosaldata s.p. 12 cm Vespaio areato con elementi cupolex h 45 cm Massetto c.l.s sp 15 cm Ghiaia e inerti sp. 40 cm Terreno compatto

5 - PARTE ESTERNA • • • • •

Pavimentazione autobloccante in cemento stampato sp 3 cm Sabbia e inerti fini sp 12 cm Ghiaia e inerti sp. 40 cm Tessuto non tessuto sp 4mm Terreno compatto

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08 - Il progetto 1 - MANTO DI COPERTURA • • • • • •

4 - PARTE ESTERNA • • •

Pannelli in lamiera di acciaio brunito sp.5 mm Membrana impermeabilizzante sp.6mm Isolante termico in plastiche riciclate sp.18 cm Tavolato in legno sp.2cm Trave secondaria in legno lamellare (15x50) cm Controsoffitto tipo Knauff D112 h.30 cm

• • • •

Resina ipossidica spatolata per esterni sp.1,5cm Strato di allettamento sp.2cm Massetto sagomato per formazione di pendenza del 2% H max 15 cm Sabbia e inerti fini sp.12cm Ghiaia e inerti sp. 40 cm Tessuto non tessuto sp 4mm Terreno compatto

2 - SOLAIO INTERMEDIO 5 - SEZIONE MURARIA • • • • • • • • •

Pavimentazione in doghe di larice sp.1,5 cm Pannello radiante sp.3cm Strato di allettamento Tavolato in legno sp.1.5cm Isolante termo-acustico sp.6 cm Tavolato in legno sp.1.5cm Lamiera grecata tipo GR005 sp.6/10mm Trave IPE 240 struttura secondaria Controsoffitto tipo Knauff D112 h.60 cm

• • • •

3 - SOLAIO PIANO TERRA E FONDAZIONE • • • • • • • • • •

Pavimentazione in doghe di larice sp.1,5 cm Pannello radiante sp.3cm Strato di allettamento Tavolato in legno sp.1.5cm Isolante termo-acustico sp.6 cm Tavolato in legno sp.1.5cm Fondazione esistente in pietrame misto consolidata con tecnica del “cuci scuci” Getto di magrone sp.15cm Terreno compatto

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Muratura esistente mista (pietrame e laterizio) sp.54 cm Isolante termico in plastiche riciclate sp.16 cm Rimpello in calcestruzzo armato sp.18cm Pannello in cartongesso sp.2cm


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08 - Il progetto 1 - MANTO DI COPERTURA • • • • • •

Pannelli in lamiera di acciaio brunito sp.5 mm Membrana impermeabilizzante sp.6mm Isolante termico in plastiche riciclate sp.18 cm Tavolato in legno sp.2cm Trave secondaria in legno lamellare (15x50) cm Controsoffitto tipo Knauff D112 h.30 cm

2 - SOLAIO INTERMEDIO • • • • • • • • •

Pavimentazione in doghe di larice sp.1,5 cm Pannello radiante sp.3cm Strato di allettamento Tavolato in legno sp.1.5cm Isolante termo-acustico sp.6 cm Tavolato in legno sp.1.5cm Lamiera grecata tipo GR005 sp.6/10mm Trave IPE 240 struttura secondaria Controsoffitto tipo Knauff D112 h.60 cm

3 - SOLAIO PIANO TERRA E FONDAZIONE • • • • • • • • • •

Pavimentazione in doghe di larice sp.1,5 cm Pannello radiante sp.3cm Strato di allettamento Tavolato in legno sp.1.5cm Isolante termo-acustico sp.6 cm Tavolato in legno sp.1.5cm Fondazione esistente in pietrame misto consolidata con tecnica del “cuci scuci” Getto di magrone sp.15cm Terreno compatto

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08 - Il progetto 4 - PARTE ESTERNA • • • • • • •

Resina ipossidica spatolata per esterni sp.1,5cm Strato di allettamento sp.2cm Massetto sagomato per formazione di pendenza del 2% H max 15 cm Sabbia e inerti fini sp.12cm Ghiaia e inerti sp. 40 cm Tessuto non tessuto sp 4mm Terreno compatto

5 - SEZIONE MURARIA • • • •

Muratura esistente mista (pietrame e laterizio) sp.54 cm Isolante termico in plastiche riciclate sp.16 cm Rimpello in calcestruzzo armato sp.18cm Pannello in cartongesso sp.2cm

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1 - AIUOLA • • •

Terreno vegetale sp.30cm Ghiaia e inerti fini sp.20cm Terreno compatto

2 - PAVIMENTAZIONE ESTERNA • • • • •

Pavimentazione in listelli autobloccanti in cemento stampato sp 3 cm Sabbia e inerti fini sp 20 cm Ghiaia e inerti fini sp. 15 cm Tessuto non tessuto sp 4mm Terreno compatto

3 - PERCORSO • • • • • •

Conglomerato bituminoso drenante sp.3cm Strato drenante sp.8cm Ghiaia e inerti fini sp.20cm Pietrisco sp.20cm Tessuto non tessuto sp.4mm Terreno Compatto

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1 - AIUOLA • • •

Terreno vegetale sp.30cm Ghiaia e inerti fini sp.20cm Terreno compatto

2 - PERCORSO • • • • •

Terreno stabilizzato sp.10 cm Sabbia e inerti fini sp 15 cm Ghiaia e inerti fini sp. 20 cm Tessuto non tessuto sp 4mm Terreno compatto

3 - PAVIMENTAZIONE ESTERNA • • • •

Pavimentazione in listelli autobloccanti in cemento stampato sp 3 cm Sabbia e inerti fini sp 20 cm Ghiaia e inerti fini sp. 15 cm Terreno compatto

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Video presentazione del progetto Scansiona il QR code con lo smartphone o click sul link: https://youtu.be/1UwCegWThNA

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Bibliografia 1. Progetto di recupero urbano del complesso delle fornaci Brunelleschi e delle aree contermini o connesse - Arch. Riccardo Bartoloni, 2011 2. Piano di recuper della Fornace delle Sieci - Ing. Alessandro Chimenti, con la collaborazione di Arch. Franca Paggetti e Alessandro Moroni 3. Geoscopio cartoteca della Regione Toscana, per l’acquisizione di cartografia tecnica regionale 4. Geoscopio fototeca della Regione Toscana, per l’acquisizione delle ortofoto. 5. Castore, servizio per la consultazione di mappe catastali storiche della Regione Toscana 6. Leonardo Ricci 100, scrittura, pittura e architettura - A cura di Maria Clara Ghia, Clementina Ricci, Ugo Dattilo 7. Abitare collettivo, un’antologia italiana 1947|2003 - Michelangelo Pivetta 8. Temi dell’architettura della città - Del Bo, Grassi, Guazzoni, 1976 9. L’archeologia industriale - Antonello e Massimo Negri, 1978

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